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L’ALTERITA’: INTERAZIONE STATICA O DINAMICA? Una possibilità di risposta attraverso “American History X” Cristina Salvadori Cogliendo l’input iniziale che cerca di testimoniare e di elaborare cognitivamente la presenza dell’alterità all’interno del vario mondo del cinema, ho tentato di interagire con la pellicola di “American History X” (Tony Kay, USA, 1999) dando vita ad una cosiddetta “sceneggiatura a posteriori“, funzionale alla resa di uno scopo prefisso, ovvero quello di esaminare la possibilità di un cambiamento verso l’alterità a partire da situazioni estreme, arroccate su un sentimento di avversione che sembra non lasciare intravedere spiragli di mutamento. Ecco allora che un unico film è stato visionato, spezzettato, rincollato nelle parti interessate e reinserito all’interno di una nuova cornice interpretativa che spera di comunicare il messaggio e la tesi di fondo. La suddivisione in tre capitoli aiuta a mantenere il ritmo illustrativo della questione dando valore ermeneutico alle immagine selezionate. Il primo capitolo (Odio … / … genera odio … / … riproduce odio …) ci descrive la situazione di partenza. Il nostro protagonista appartiene ad un gruppo di naziskin sorto nei quartieri periferici di Los Angeles, come simbolo di sfogo sociale nonché di ricostruzione vivente dell’ideologia nazista, esternata mediante richiami storico-culturali, valori e simbologie. Il contatto con l’alterità afroamericana si esplica in comportamenti violenti, razzisti e xenofobi, provenienti da un puro sentimento di odio che crea un vero e proprio limite: il baratro dell’ignoto che costruisce una barriera tra i due mondi provocando una risposta analoga da parte della diversità disprezzata, nonché forme di emulazione di tale atteggiamento messe in atto da chi sta maturando la costruzione di un’identità e di una coscienza (fratello minore del protagonista). Il capitolo successivo (Mutamento …) ci apre le porte al nuovo mondo tirato su dal protagonista: l’estremo gesto del porre fine alla vita di un essere umano solo per il diverso colore della pelle ha come conseguenza la prigione, che assume qui la funzione di tempio per la redenzione. La caduta degli ideali, la condivisione della dura esperienza della reclusione, i significativi incontri, il ridimensionamento della visione precedente ed infine l’amicizia con il ragazzo afroamericano, protettore dell’incolumità fisica e supporto dell’integrità psicologica del protagonista, sradicano la posizione estrema del naziskin trasportando la sua identità in un’opposta dimensione attraverso un movimento dinamico che fa risaltare in positivo l’interazione con l’alterità, nonché la ricchezza proveniente dalla diversità. Il terzo ed ultimo capitolo (Ritorno alla origini …) blocca, in un certo senso, la fluidità dinamica messa in evidenza nei frames precedenti poiché si assiste ad un ritorno alle origini, all’immobile situazione iniziale di violenza che assegna un andamento circolare al montaggio dove l’inizio coincide con la fine e depotenzia il cambiamento messo in atto. Certo si deve tener conto delle generali variabili sociali, storiche, culturali e politiche nell‘assistere a tale risposta, ma, in questo piccolo spazio ricreato, il finale pone l’accento su una “dinamicità statica”, ossimoro che mette in evidenza l’utilità mancata di una dinamicità parziale e a senso unico, che regredisce verso la staticità interrelata presentata all’inizio e fonte di chiusura e violenza. L’interazione allora sarà totalmente dinamica nel momento in cui la volontà si farà viva da entrambe le parti materializzando il miraggio dell’intercultura.