individuo, societa`, violenza e opera narrativa di nağīb maḥfūẓ

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individuo, societa`, violenza e opera narrativa di nağīb maḥfūẓ
INDIVIDUO, SOCIETA’, VIOLENZA
E OPERA NARRATIVA DI NAĞĪB MAḤFŪẒ
Dopo Awlād ḥāratinā (I ragazzi del nostro quartiere), di cui si è parlato
precedentementei, Nağīb Maḥfūẓ, nel 1961, pubblica un altro romanzo in cui il
rapporto fra individuo e società è incentrato sul tema della violenza:
al-Liṣṣ wa-l-kilāb ii (Il ladro e i cani). Il protagonista di quest’opera appare dominato
da un pensiero ossessivo che stravolge la sua visione della realtà. La prosa incalzante
dell’autore ci fa percorrere il processo mentale attraverso il quale un’idea si trasforma
in ideologia e giunge a provocare conseguenze irrimediabili. Ancora una volta, in un
testo di Maḥfūẓ, la storia di un individuo diventa simbolo di una più ampia dimensione
storica.
La trama trae spunto da un fatto di cronaca: un uomo, dopo essere stato scarcerato,
aveva incominciato a perseguitare quanti riteneva essere stati all’origine della sua
rovina.
Nella fiction, un ladro, Sa‘īd Mahrān, quando esce di prigione, vuole vendicarsi della
moglie e del suo ex-amico ed ex-socio di malaffare perché è convinto di essere stato
denunciato da loro, che nel frattempo si sono messi insieme privandolo dell’affetto
della figlia oltre che degli averi. Il suo rancore si riversa anche su un’altra figura:
Ra‘ūf ‘Alwān, al quale si è rivolto per cercare aiuto ricevendo in risposta una
sprezzante offerta di denaro. Questo episodio lo riporta all’origine delle scelte della
sua carriera criminale, quando Ra‘ūf, ora giornalista di successo, gli ha fornito la
ragione ideologica per appropriarsi dei beni altrui, presentandogli tale azione come
un atto di giustizia sociale; da questa prima motivazione, che lo ha fatto sentire
moralmente assolto dai suoi crimini, sono derivati tutti gli altri delitti.
L’uso della tecnica del flusso di coscienza permette di considerare le cose dall’unico
punto di vista del ladro, escludendo il modo di vedere degli altri personaggi, che
conosciamo solo attraverso l’opinione del protagonista. La realtà che sta intorno a
Sa‘īd Mahrān non lo porta mai ad uscire da sé, dalla prigione dell’odio che riversa
sul mondo e la sua rabbia lo spinge a sferrare colpi che mancano l’obiettivo. L’ottusità
del suo agire si ritorce contro di lui, lo fa scivolare verso una condizione disperata,
sottolineata dall’atmosfera dell’ambiente che lo circonda che si fa sempre più cupa.
L’uomo, in fuga nel timore di essere riconosciuto, si sposta di notte e solo di notte
prende respiro nell’abitazione di un’amica. Da questo rifugio può spingere lo sguardo
verso l’esterno, ma oltre la casa c’è, a costituire l’orizzonte, il cimitero, proiezione del
mondo interiore sul mondo esteriore. E nel cimitero avrà conclusione la vicenda.
Quella di Sa‘īd Mahrān è la storia di una pulsione omicida mossa dal tradimento,
vero o supposto, della moglie, dell’amico, del “maestro”, è una vicenda privata? E
quindi, come si è sostenuto, in questo romanzo Maḥfūẓ non è più interessato a
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fornire un quadro della società e vuole invece parlare di una forma di alterazione
della vita psichica? E’ un punto di vista, ma è difficile pensare che l’opera si possa
limitare a questa sola lettura. L’azione di una mano armata da una furia cieca e da
una visione distorta, che cercando i colpevoli colpisce gli innocenti, appare
straordinariamente emblematica. L’atteggiamento del protagonista, che non arriva
mai a verificare le proprie convinzioni nel confronto con quelle degli altri, rimanda alla
piega dittatoriale che il regime nasseriano aveva assunto negli anni in cui Maḥfūẓ
scriveva e riflette le conseguenze che ciò aveva avuto nella vita della società. Il
personaggio del giornalista, sotto questo profilo, appare particolarmente significativo:
Ra‘ūf è passato dalla divulgazione di principi che spingevano all’odio sociale alla
scelta di accomodarsi in una vita agiata e teme che la scoperta del suo vecchio
legame con Sa‘īd faccia cadere la facciata di perbenismo che si è costruito e che
questo gli faccia perdere la stima, i privilegi e la posizione sociale di cui gode, perciò
rinnega quanto ha detto, fatto ed è stato. A mio giudizio, questa figura ha la doppia
funzione di incarnare, da un canto, chi aveva usato la rabbia e i bisogni dei più deboli
solo per perseguire una politica di potere e, dall’altro, di mettere in guardia gli
intellettuali dal pericolo di tradire i propri valori, venendo a patti con scelte di
comodo, in un momento in cui si chiedeva a tutti gli appartenenti al mondo
dell’informazione e della cultura di schierarsi in modo acritico a sostegno del regime.
Il tema dell’estremizzazione della contrapposizione fra classi sociali e le
conseguenze del sospetto e dell’odio che ciò ha comportato nell’era nasseriana è
trattato in modo non più solo simbolico e allusivo in un altro romanzo di Maḥfūẓ del
1967, Mīrāmāriii(Miramar). Attraverso le vicende dei personaggi, ognuno dei quali
incarna una particolare ottica psicologica e sociale, abbiamo la rappresentazione del
tempo in cui vivono.
Il periodo in cui è ambientata l’azione è quello che immediatamente precede la
guerra dei sei giorni e i protagonisti, accomunati dalla ricerca di un alloggio ad
Alessandria per un lungo periodo, si ritrovano nella decorosa pensione Miramar
gestita da una anziana signora di origine greca che, nei ricordi, nei modi e
nell’aspetto, evoca il passato coloniale e gli sfarzi dell’epoca del kedivè. Il primo ad
apparire sulla scena è un anziano giornalista che ricorda i momenti di gloria e di lotta
di cui è stato protagonista ai tempi del wafd, il partito che ebbe un grande ruolo nella
lotta per l’indipendenza a partire dal 1918. C’è poi, a rappresentare l’ancien régime,
un ex grande proprietario terriero, ora espropriato.
Ad un certo punto, attraverso la figura della protagonista femminile, compare una
nuova forza sociale: la giovane, bella, volitiva contadina, che sarà accolta a prestare
servizio nella pensione e che, con la sua voglia di affermarsi, il suo anticonformismo,
la sua avvenenza, verrà e turbare gli equilibri dell’ambiente e le idee precostituite
diventando il fulcro del dramma. Tutti ne sono attratti e in particolare gli ospiti più
giovani che, uno dopo l’altro, si stabiliscono nella pensione: un funzionario che
rappresenta la politica ufficiale, in realtà un ambizioso disposto anche al crimine per
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denaro; un proprietario terriero ignorante e dissoluto; un giovane annunciatore radio,
idealista, provato dal senso di colpa per aver vissuto una passione in conflitto con i
suoi principi. Attorno alla giovane si accendono gli animi, cadono le maschere e
ognuno mostra il meglio, o il peggio, della propria personalità, per lei si scatena la
violenza.
Il testo rimanda alle lacerazioni prodotte dalla lotta politica che ha segnato l’Egitto,
dalla fine della prima guerra mondiale al momento in cui è ambientata l’azione, e
sottolinea l’ingiustizia a cui induce il considerare gli altri non come persone, ma come
simbolo delle idee o delle classi sociali che si avversano e disprezzano. L’anziano
intellettuale riflette ricordando le parole e lotte della sua giovinezza: “Chi può
distruggere un uomo accusandolo di ateismo?”iv, “Chi può affermare di conoscere la
vera fede?”v. La convivenza, dovuta alle circostanze, e la conoscenza del “nemico di
classe” del momento, rappresentato dall’ex grande proprietario, porta il funzionario
che spera di far carriera grazie alla rivoluzione a considerare: “Quando Tolba Marzuq
elogiò le imprese memorabili della rivoluzione, non potei che apprezzare la sua
simpatica ipocrisia , convincendomi sempre più che l’uomo, malgrado successi e
realizzazioni, resta immerso fino alle orecchie nell’idiozia e nella stupidaggine e che
ogni tanto sarebbe utile riunirsi tra nemici e trascorrere tutti insieme delle serate
allegre, bevendo e ascoltando musica.”vi
Anche nel romanzo: Yawm qutila al-zā’imvii (Il giorno in cui fu ucciso il leader, 1985),
passioni private e pubbliche si confondono: il risentimento per un amore tradito, la
volontà di rivalsa sociale e insieme il disgusto per la corruzione e la caduta dei valori,
nell’epoca di al-Sadāt, si risolvono in un atto di violenza finale. E’ il periodo che
culminerà con l’uccisione dello stesso presidente al-Sadāt. Il punto di vista è quello
dei membri di due famiglie, rappresentanti il ceto medio egiziano che, giorno dopo
giorno, si sente sempre più impotente rispetto all’erosione delle sue condizioni di vita
e che vede le sue aspettative dissolte dalla messa in opera della politica dell’infitāḥ,
liberalizzazione, dalla corruzione e dal mercato selvaggio che ne derivano e dal
degrado morale che dalla vita pubblica s’insinua nel privato. Ancora una volta, nel
crescere della tensione, un giovane uomo, sul quale si scaricano tutte le tensioni della
famiglia e della società, giunge a compiere un omicidio, sopprimendo la persona che
nella vicenda rappresenta l’opportunismo sfrenato, lo sfruttamento, la corruzione,
l’ingiustizia.
La violenza è spesso considerata da Maḥfūẓ come reazione all’oppressione subita e
può quindi apparire in qualche modo giustificata nell’ottica di chi la compie, ma,
evidenziandone gli aspetti distruttivi e autodistruttivi, l’autore mostra chiaramente di
rifiutarla come mezzo di soluzione dei conflitti personali e collettivi.
Pieralberta Viviani
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i
Si veda: http://www.arcire.it/news/egitto-violenza-e-libert%C3%A0-secondona%C4%9F%C4%ABb-ma%E1%B8%A5f%C5%AB%E1%BA%93
ii
iii
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v
vi
vii
Traduzione italiana: Nagib MAHFUZ, Il ladro e i cani, Milano, Universale Economica Feltrinelli, 2002.
In traduzione: Nagib MAHFUZ, Miramar, Roma, Edizioni Lavoro, 2002.
Ibid., p. 13.
Ibidem.
Ibid., p. 149.
Tradotto: Nagib MAHFUZ, Il giorno in cui fu ucciso il leader, Roma, Newton & Compton, 2005.
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