Nozze … rito, vestito, casa, regali, pranzo, anelli

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Nozze … rito, vestito, casa, regali, pranzo, anelli
Nozze … rito, vestito, casa, regali, pranzo, anelli, confetti, ecc. Tutta una serie di cose cui pensare, ma … e
dal punto di vista giuridico, cosa significa matrimonio?
Innanzitutto, avanti alla legge italiana, il matrimonio fa sorgere dei diritti e dei doveri reciproci fra i coniugi,
disciplinati dall’art. 143 del codice civile. Il codice infatti precisa che, con le nozze, marito e moglie
acquistano gli stessi diritti e assumono gli stessi doveri. Dal matrimonio deriva l’obbligo reciproco alla
fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla
coabitazione. E si dispone pure che entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie
sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia.
Ciò significa, in altre parole, che dalle nozze sorgono a carico di marito e moglie degli obblighi l’uno verso
l’altro, i quali hanno un contenuto sia patrimoniale, attinenti cioè alla sfera più strettamente economica e
un contenuto morale, relativi alla sfera invece più strettamente morale. In sostanza, il matrimonio è un atto
giuridico che coinvolte per intero la persona, in ogni sua parte.
Sempre il codice civile dispone che con il matrimonio la moglie assume il cognome del marito, cognome
che, si badi, manterrà anche nell’ipotesi in cui, in seguito i coniugi dovessero separarsi, perdendo invero la
donna il diritto al cognome del marito solo con lo scioglimento del matrimonio civile o la cessazione degli
effetti civili del matrimonio.
Il matrimonio potrà assumere la forma del rito civile (quella che si fa, per intendersi avanti all’ufficiale dello
stato civile o da suo delegato) oppure quella concordataria (quella che si fa in chiesa) che, quando trascritta
nei registri dello stato civile, assume gli stessi effetti del rito civile. In parole povere, non vi è differenza,
sotto il profilo degli effetti per la legge italiana, fra un matrimonio celebrato con il rito civile o un
matrimonio celebrato in chiesa e poi regolarmente trascritto.
E’ ancora il codice civile a stabilire, all’art. 144, che i coniugi concordino tra loro l’indirizzo della vita
familiare, fissando la residenza della famiglia, secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della
famiglia stessa. A ciascun coniuge spetta poi il potere di attuare l’indirizzo concordato in tal modo. In caso
di dissidio fra i coniugi sull’indirizzo della vita familiare – vale dire in caso di disaccordo sui coniugi su come
vivere, su dove fissare la residenza, su quali decisioni assumere per i figli, ecc. – è prevista, dall’art. 145 cod.
civ.,
la possibilità di rivolgersi al tribunale che, sentito quanto hanno da dire i due coniugi ed
eventualmente anche i figli conviventi che abbiano più di sedici anni, tenta di metterli d’accordo. Ove non ci
riesca, il giudice , se ne viene richiesto congiuntamente ed espressamente dai coniugi, adotta la soluzione
che ritiene più adeguata alle esigenze della famiglia.
Dal matrimonio nascono però – e questo aspetto è importantissimo – anche doveri verso i figli. Per la
verità, sarebbe più corretto dire oggi, con la riforma del diritto di famiglia e il nuovo modo di intendere la
filiazione, dalla procreazione dei figli, nascono per i genitori doveri precisi. Dice infatti l’art. 147 del codice
civile che i coniugi hanno l’obbligo di mantenere, istruire, educare i figli tenendo conto delle capacità,
dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In modo ancora più pregante, l’art. 30 della
Costituzione italiana dispone che è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli,
precisando anche se nati fuori dal matrimonio. E lo stesso articolo aggiunge che la legge assicura ai figli nati
fuori dal matrimonio giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima.
Il codice civile poi stabilisce i principi della misura con cui i genitori devono concorrere al mantenimento dei
figli, disponendo, all’art. 148, che i coniugi devono adempiere all’obbligazione prevista dall’art. 147 in
proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo. In caso
di inadempimento, si badi anche in costanza di matrimonio, la legge prevede la possibilità di ricorrere al
giudice, il quale, sentito il genitore inadempiente e assunte le opportune informazioni, può ordinare con
decreto che una quota dei redditi dell’obbligato, in proporzione agli stessi, sia versata direttamente all’altro
coniuge o a chi sopporta le spese per il mantenimento, l’istruzione e l’educazione della prole.
Viene anche disposto che, nell’ipotesi in cui i genitori non abbiano mezzi sufficienti per adempiere
all’obbligo di mantenimento dei figli, gli altri ascendenti legittimi o naturale (per esempio i nonni), in ordine
di prossimità, siano tenuti a fornire ai genitori i mezzi necessari affinchè possano adempiere i loro doveri
nei confronti dei figli.
Come si può notare, quindi, con il matrimonio cambia davvero e radicalmente la vita di una persona e con a
procreazione ancora di più.
Ma far nozze significa anche parlare di comunione e separazione dei beni. Quando ci si accinge a sposarsi,
spesso ci si sente chiede: ma fai la separazione o la comunione dei beni? Beh, che vuol dire?
Innanzitutto, si precisa che, in mancanza di una scelta diversa espressamente dichiarata dai coniugi,
automaticamente, ai sensi dell’art. 159 del codice civile, entra in vigore il regime della comunione legale.
La scelta di un regime patrimoniale diverso dalla comunione legale deve essere compiuta dai coniugi o con
dichiarazione all’atto della celebrazione del matrimonio oppure, se si fa successivamente, con atto del
notaio.
Come detto, se nulla si dice quando ci si sposa, vale il regime della comunione legale. Ciò significa, spiega
l’art. 177 del codice civile, che entrano nella comunione dei coniugi, ovverosia sono da considerarsi di
entrambi i coniugi, gli acquisti effettuati dai coniugi durante il matrimonio, e questo sia se tali acquisti siano
stati compiuti congiuntamente o separatamente, con esclusione però dei beni strettamente personali (ad
esempio gli effetti personali). Poi entrano nella comunione dei coniugi i frutti dei beni propri di ciascuno dei
coniugi percepiti e non consumati allo scioglimento della comunione, e per frutti si intende per esempio gli
interessi di un conto corrente o il canone di locazione di un appartamento. Entrano nella comunione pure i
proventi dell’attività separata di ciascuno dei coniugi, vale a dire la retribuzione di ciascuno di essi. E ne
entrano a far parte anche le aziende gestite da entrambi se costituite dopo il matrimonio (si pensi, ad
esempio, ad un negozio preso dopo le nozze e gestite da entrambi). Se si stratta invece di aziende che
appartenevano ad uno solo dei coniugi prima del matrimonio, ma che poi sono gestite da entrambi i
coniugi, la comunione concerne solo gli utili e gli incrementi (si pensi, ad esempio, ad un’azienda agricola
che appartiene ad uno solo dei coniugi perché magari gli è stata ceduta dalla sua famiglia di origine: se a
condurla sono entrambi i coniugi, gli utili che fa questa azienda e i suoi incrementi diventano di entrambi).
Inoltre, precisa l’art. 178 cod. civ., i beni destinati all’esercizio dell’impresa di uno dei coniugi costituita
dopo il matrimonio e gli incrementi dell’impresa costituita anche precedentemente si considerano oggetto
della comunione.
Sono invece esclusi dalla comunione, ai sensi dell’art. 179 del codice civile, i cosiddetti beni personali,
ovverosia i beni di cui, prima del matrimonio il coniuge era proprietario o titolare di un diritto reale di
godimento (per esempio, un immobile di cui era già proprietario esclusivo prima delle nozze; i beni,
acquistati successivamente al matrimonio, ma per effetto di donazione o di successione ove però nell’atto
di liberalità o nel testamento non sia specificato che essi siano attribuiti alla comunione (quindi, per
esempio, un bene che diventa di uno dei coniugi per donazione da parte di terzi, ove però nell’atto di
donazione non si dica che va alla comunione); i beni di uso strettamente personale di ciascuno dei coniuge
e i loro accessori (leggasi, per esempio, gli abiti); i beni che servono all’esercizio della professione del
coniuge, tranne quelli destinati alla conduzione di un’azienda che fa parte della comunione (per esempio, il
pc del marito libero professionista); i beni ottenuti a titolo di risarcimento del danno nonché a pensione
attinente alla perdita parziale o totale della capacità lavorativa e i beni acquistati con il prezzo del
trasferimento dei beni personali sopra menzionati o con loro scambio, purchè però ciò sia espressamente
dichiarato nell’atto delle’acquisto. Inoltre, l’acquisto di un immobile o dei beni mobili iscritti a pubblici
registri, compiuto dopo le nozze, ai sensi delle lettere c), d) e f) dell’art. 179 cod. civ., qualora tale
esclusione risulti dall’atto di acquisto se di esso atto sia stato parte anche l’altro coniuge.
Ma che significa, in sostanza, che i beni sono in comunione?
Tale regime giuridico comporta che l’amministrazione di tali beni possa essere esercitata anche
disgiuntamente dai coniugi, però gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione e la stipula dei contratti con i
quali si concedono o si acquistano diritti personali di godimento spettano invece congiuntamente ad
entrambi i coniugi. Il che, in parole povere, vuol dire che, se vige il regime di comunione legale dei beni, se
si vuole comperare o vendere, ad esempio, l’auto, tale acquisto dovrà essere effettuato da entrambi i
coniugi e non potrà essere effettuato separatamente. Vuol dire anche, secondo il disposto dell’art. 184 del
codice civile, che gli atti compiuti da un coniuge senza il consenso dell’altro coniuge e da questo non
convalidati, tali atti sono annullabili se riguardano beni immobili o beni mobili registrati (tipo appunto,
l’auto). Se invece gli atti compiuti dal solo coniugi senza l’altro riguardano beni mobili diversi dagli immobili
e dai beni mobili registrati, il coniuge che li ha compiuti senza il consenso dell’altro, è obbligato, su istanza
del coniuge escluso, a ricostruire la comunione nello stato in cui era prima del compimento dell’atto in
questione, o, qualora ciò non sia stato possibile, al pagamento dell’equivalente.
Ciò ovviamente vale solo per i beni che sono entrati a far parte della comunione legale, secondo quanto
sopra specificato, e non invece per i beni personali.
Ove i coniugi abbiano optato per il regime patrimoniale di separazione dei beni, tale scelta importa che i
coniugi conservino la titolarità esclusiva dei beni acquistati durante il matrimonio. Ovverosia, se io sono
regime di separazione de beni e compero un’auto o un appartamento, quell’auto e quell’appartamento
diventano e rimangono esclusivamente miei e non ‘diventano’ anche del mio coniuge.
Tutto quanto sopra, è evidente, viene ad assumere un ruolo importante non soltanto nella vita quotidiana
dei due coniugi (si pensi, infatti, come detto prima, che, per vendere un bene bisogna fare l’atto entrambi),
ma soprattutto in sede di eventuale separazione personale dei coniugi, in caso di crisi della coppia. E’
proprio infatti in tali situazioni che sorge la necessità, nel dividere il patrimonio fra i coniugi, stabilire la
proprietà dei beni facenti parte dello stesso. A cura dell’avv. Monica Bombelli e dell’avv. Matteo Iato