La tutela dei figli minori ancor prima del diritto di difesa del cliente: i

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La tutela dei figli minori ancor prima del diritto di difesa del cliente: i
La tutela dei figli minori ancor prima del diritto di difesa del cliente: i doveri
deontologici dell’avvocato matrimonialista.
Sentenza della Cassazione a Sezioni Unite del 26 maggio 2011 n. 11564 (Pres. Vittoria; Est.
Felicetti) :“In tema di responsabilità disciplinare degli avvocati, il comportamento dell’avvocato
che si adoperi al fine di consentire al proprio assistito, nell’ambito della controversia con l’altro
coniuge, di disfarsi dell’immobile costituente la casa familiare, vanificando, in tal modo, il diritto
delle figlie minori della coppia di abitarvi e sottraendo l’unica fonte di possibile soddisfacimento
dei loro diritti familiari, è contrario ai doveri deontologici e non ha nulla a che vedere con la tutela
del legittimo diritto di difesa del cliente.”
Le Sezioni Unite della Suprema Corte, in applicazione del riferito principio di diritto, ha confermato
la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio della professione forense per cinque mesi
irrogata dal C.N.F. ad un avvocato che, con il comportamento scorretto posto in essere (anche nei
confronti del collega), aveva consentito, da un lato, alla società di cui era titolare di quote societarie
(e di cui la figlia era amministratrice) di acquistare un immobile del proprio cliente ad un
corrispettivo inferiore a quello di mercato, e, dall’altro lato, aveva agevolato il proprio assistito, in
pendenza di una controversia con la moglie, a disfarsi dell’immobile adibito a casa familiare,
vanificando il diritto delle due figlie minori ad abitarvi (si consideri che la citata società, subito
dopo l’acquisto, aveva avviato la procedura di rilascio nei confronti della moglie e delle figlie con
lei conviventi).
Il tessuto motivazionale della sentenza e i percorsi di deontologia professionale che si intrecciano
rispetto alle tematiche sul diritto di famiglia e minorile, ci conducono a importanti riflessioni:
1) La necessità di “competenze adeguate” nell’esercizio della professione forense in tema di
diritto di famiglia.
L’avvocato che coltiva l’esercizio della propria professione nell’ambito del diritto di famiglia,
specialmente quando sono coinvolti minori, ha il dovere di assolvere la propria funzione con lealtà e
correttezza: egli rappresenta il primo referente dei genitori, successivamente alla crisi familiare,
quindi costituisce il primo canale di collegamento tra questi ultimi e l’autorità giudiziaria in quanto
veicola le domande delle parti e prospetta la vicenda familiare nei termini ritenuti più opportuni. Un
dovere deontologico che sia pienamente rispettato presuppone necessariamente una adeguata
competenza del professionista rispetto all’incarico di cui è stato investito: si tratta di una
responsabilità personale e professionale che nell’ambito del diritto di famiglia assume connotazioni
incisive e delicate perché interseca gli affetti e gli equilibri emotivi dei minori coinvolti nelle crisi
coniugali. In una sentenza del 22 giugno 2004, n. 178 intervenuta con riferimento ad un
procedimento di adozione e di controllo della potestà genitoriale, la Corte Costituzionale ha
evidenziato che l’esercizio della professione forense richiede, in capo ai professionisti, il possesso
di «competenze adeguate alla particolarità e alla delicatezza della funzione da assolvere».
2) La responsabilizzazione dei coniugi.
Un professionista capace di comprendere il peso specifico della propria responsabilità personale e
professionale è in grado di restituire la responsabilità ai coniugi: nelle maglie dei percorsi logici
condotti dalla pronuncia della Corte di Cassazione, emerge il compito primario dell’avvocato ossia
quello di responsabilizzare i coniugi, sollecitandoli a rispettare il dovere di leale cooperazione e
collaborazione nell’accertamento dei fatti rilevanti ai fini della decisione (sia in ordine alle esigenze
economiche e personali dei figli che all’esatta determinazione delle loro rispettive capacità
patrimoniali), fornendo nel procedimento anche elementi contrari al proprio personale interesse pur
di conformarsi al principio di responsabilità genitoriale (che rappresenta uno dei criteri informatori
del diritto di famiglia e minorile).
Peraltro, le peculiarità delle regole che disciplinano gli oneri processuali delle parti differenziano i
processi matrimoniali da ogni altro processo civile ed il temperamento del diritto di difesa, garantito
ad ogni parte ai sensi dell’art. 24 Cost., trova incisivo fondamento nei valori costituzionali di cui
agli artt. 29 e 30 Cost.( disposizioni concernenti la famiglia e indicati nel Titolo II della
Costituzione: Rapporti etico- sociali).Ne consegue che le parti così come i loro difensori hanno un
obbligo di lealtà ulteriore rispetto a quello previsto dall’art. 88 c.p.c.; un onere di trasparenza che
impone a ciascuno dei genitori di palesare la propria posizione economica e personale, senza potersi
trincerare dietro lo scudo del diritto di difesa.
Nella stessa prospettiva una ordinanza presidenziale del 2007 del Tribunale di Genova, ha affermato
che: «in altro tipo di procedimento, la reticenza della parte su elementi di fatto non favorevoli
sarebbe del tutto fisiologica; ma nelle controversie matrimoniali il principio costituzionale della pari
dignità morale e giuridica dei coniugi introduce il principio opposto dell’obbligatoria trasparenza di
ciascuno dei coniugi rispetto alla propria posizione patrimoniale, il comportamento di uno dei
coniugi che tenta di celare all’altro l’esistenza di un cespite di reddito costituisce comportamento
processuale valutabile dal giudice come elemento di giudizio».
3) Ridefinizione dei termini del “conflitto”: gestione civile del contenzioso.
Nel solco dei principi sopra richiamati si sviluppa il criterio della “gestione civile del contenzioso”,
ossia un metodo di coltivazione di un percorso giudiziario in cui consentire al conflitto (che è
trasformazione di un equilibrio) di diventare generatore di un nuovo rapporto. Per fare ciò, è
necessario evitare la radicalizzazione delle “posizioni” e il primo a dover offrirne l’esempio ai
propri clienti è proprio l’avvocato matrimonialista. Una pronuncia di merito (App. Cagliari 26
marzo 2011, in fattispecie in cui entrambi i coniugi erano animati da un prevalente reciproco
sentimento di astio e di rancore, che superava la normale instabilità emotiva che seguiva alla
separazione), ha affermato che “al fine di giungere ad una civile gestione del giudizio di
separazione personale nel precipuo interesse dell’equilibrio psicofisico dei figli minori, è necessario
ridefinire i termini del conflitto ossia che nessuno dei coniugi si radicasse nella difesa della propria
presunta ragione e della certezza dell’altrui torto".
Avv. Lucia Legati