Indennità di mobilità e ripresa del lavoro

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Indennità di mobilità e ripresa del lavoro
30-11-2008
Indennità di mobilità e ripresa del lavoro
a cura di METELLO CAVALLO
Proponiamo una scheda di approfondimento in materia di compatibilità tra lavoro dipendente e fruizione
dell’indennità di mobilità.
Il tema è stato più volte proposto concretamente agli sportelli del nostro Sistema Servizi. In questo senso riteniamo
utile fornire un puntuale resoconto sulla materia, cogliendo l’occasione per chiarire alcuni aspetti relativi alle
motivazioni che possono determinare la perdita del diritto all’indennità.
La sospensione dell’indennità di mobilità per rioccupazione a tempo determinato o parziale
L’articolo 8 comma 6 della Legge 223/1991 ha affermato il principio che è data la facoltà di sospendere
l’iscrizione alle liste e l’erogazione dell’indennità e di rioccuparsi sia a tempo parziale (determinato o
indeterminato), che con contratto a termine.
A carico del lavoratore vi è l’onere di comunicare tempestivamente all’INPS l’inizio del rapporto di lavoro.
La Circolare INPS n. 16/1997, aveva individuato in cinque giorni il termine entro il quale comunicare
all’Istituto di previdenza competente l’inizio dell’attività. La perentorietà di tale obbligo è stata ribadita,
pena la decadenza dal diritto alla mobilità, dall’articolo 13, comma 2, lett. B e C del D. Lgs. n. 276/2003.
Il comma 7 della Legge 223/1991 afferma che per il periodo di svolgimento dei predetti contratti,
l’indennità di mobilità e l’iscrizione alle liste rimangono sospesi. Pertanto il periodo di lavoro a tempo
parziale o a termine sono da considerare neutri a tutti gli effetti ai fini del beneficio monetario della
mobilità, oltre che all’iscrizione alle liste speciali.
Al fine di percepire l’intera indennità di mobilità spettante, la durata totale dei contratti a termine o a
tempo parziale non devono superare la durata massima dell’indennità.
L’INPS è intervenuto in via interpretativa sul punto, con la circolare n. 3 del 2 gennaio 1992, in cui ha
puntualizzato che le giornate di lavoro eccedenti la durata della mobilità, andranno detratte poi dal periodo
massimo indennizzabile.
Ad esempio, se un lavoratore ha diritto ad un anno di indennità di mobilità, e dopo due mesi di
permanenza in mobilità, si rioccupa con un contratto a tempo determinato di otto mesi, avrà al termine del
contratto diritto ai restanti dieci mesi di mobilità.
Qualora lo stesso lavoratore si rioccupi sempre a tempo determinato in più contratti per un totale di
tredici mesi, gli resteranno di mobilità da fruire nove mesi e non più dieci in quanto la durata dei contratti
ha prodotto un mese di eccedenza.
In definitiva, per capire il massimo di mesi di contratto a termine o a tempo parziale utilizzabili per non
perdere alcun giorno di indennizzabilità, occorre seguire il seguente schema:
a) Lavoratore con diritto a 12 mesi di mobilità: contratti di durata totale massima di 12 mesi
b) Lavoratore con diritto a 24 mesi di mobilità: contratti di durata totale massima di 24 mesi
c) Lavoratore con diritto a 36 mesi di mobilità: contratti di durata totale massima di 36 mesi
d) Lavoratore con diritto a 48 mesi di mobilità: contratti di durata totale massima di 48 mesi
Il lavoratore in mobilità, rioccupatosi a tempo parziale (determinato o indeterminato) o a tempo
determinato, al fine di mantenere l’iscrizione alle liste e fruire dell’indennità residua, non è necessariamente
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obbligato a svolgere per intero l’obbligazione contrattuale. Infatti è data facoltà di dimettersi, confermata
dalla Circolare INPS n. 255/1996.
Tuttavia alla luce delle recenti modifiche normative, in particolare alle disposizioni derivanti dall’articolo 1quinques della legge n. 291/2004, di conversione del Decreto Legge n. 249/2004, tale facoltà di dimissione
viene messa indirettamente in discussione e sarà necessario un chiaro pronunciamento da parte INPS.
I lavoratori che si rioccupino devono darne comunicazione alla competente Sede dell’INPS entro 5 giorni
dall’avvenuta rioccupazione, ai sensi dell’articolo 4, comma 38, della legge n. 608/1996 (Circolare INPS n.
16/1997), in caso contrario vengono cancellati dalle liste di mobilità e perdono il diritto alla residua
indennità.
La rioccupazione a tempo indeterminato per un periodo limitato.
Nel caso di rioccupazione a tempo indeterminato, il lavoratore assunto dalle liste di mobilità a tempo cessa
definitivamente dal diritto all’indennità di mobilità, in quanto la prestazione di ammortizzatore sociale ha
raggiunto lo scopo finale della rioccupazione.
Tuttavia il lavoratore assunto a tempo indeterminato, che venga licenziato anche per giusta causa, prima di
maturare nuovamente il requisito aziendale (almeno dodici mesi di anzianità di cui sei effettivamente
lavorati), ha diritto alla re-iscrizione alle liste di mobilità e viene riammesso a beneficiare dell’indennità
residua non goduta, decurtata del periodo lavorato precedente al licenziamento.
Nel caso in cui il lavoratore viene licenziato per non aver superato il periodo di prova, è prevista la
riammissione nelle liste di mobilità e la percezione dell’indennità residua eventualmente non goduta. E'
quanto previsto espressamente dalla Circolare INPS n. 3/1992. La riammissione al beneficio è possibile
anche in caso di dimissioni per giusta causa, sempre intervenute nel periodo di prova.
La decadenza dall’indennità di mobilità
Il lavoratore decade dal diritto all’indennità di mobilità e all’iscrizione alle liste, qualora si verifichi una delle
seguenti situazioni:
- l’assunzione del lavoratore in mobilità a tempo pieno e indeterminato
-
scadenza del periodo previsto di beneficio dell’indennità di mobilità
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rifiuto di un lavoro professionalmente equivalente , inquadrato in un livello retributivo non inferiore
del 20% rispetto a quello delle mansioni di provenienza, con riferimento al Contratto nazionale
collettivo di lavoro. Tale limite di riduzione è stato elevato dall'articolo 1-quinques della legge
291/2004, di conversione del Decreto Legge n. 249 del 5 ottobre 2004.
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rifiuto di un lavoro, la cui ubicazione sia a più di 50 km di distanza dal domicilio dell’interessato,
oppure a più di ottanta minuti con i tempi medi di percorrenza dei mezzi pubblici.
Anche quest’ultima ipotesi ha avuto una revisione dall’ articolo 13 del D. Lgs. n. 276/2003 e all’articolo
1-quinques della legge n. 291/2004, di conversione del Decreto Legge n. 249/2004.
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rifiuto o mancanza di regolare frequenza, da parte del lavoratore in mobilità, di
formazione professionale autorizzato dall’ente Regione
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non accettazione, senza un giustificato motivo, di lavori socialmente utili
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mancata comunicazione di lavoro a termine o a tempo parziale
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mancata presentazione al Centro per l’impiego o all’Agenzia per l’impiego, in caso di convocazione
un corso di
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opzione per il trattamento di invalidità INPS, in quanto nel caso di titolarità dell’assegno di invalidità
erogato dall’INPS, il lavoratore in mobilità è tenuto a optare per uno dei due trattamenti, decadendo
dal diritto dell’altro. Ricordiamo che i lavoratori titolari di assegno di invalidità, che abbiano esercitato
l’opzione per l’indennità di mobilità, possono rinunciare all’indennità in qualsiasi momento e
ripristinare l’assegno, rinunciando così in modo definitivo alla mobilità.
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inizio di qualsiasi attività di carattere autonomo, sia di carattere occasionale che con contratto di
collaborazione coordinata e continuativa o a progetto. Ricordiamo che in questi casi è possibile la
liquidazione anticipata in unica soluzione dell’indennità. L’INPS in particolare si mostra intransigente
su tale incompatibilità e persegue nel dare parere negativo facendo decadere il lavoratore in mobilità
dal diritto. Ciò nonostante il Ministero del lavoro abbia dato in una circolare parere positivo purché
non si superassero 7.200.000 lire di reddito annuo, e la giurisprudenza si sia espressa favorevolmente
rispetto alla conservazione del diritto alla mobilità, con la sentenza della Cassazione n. 12757/2003.
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espatrio per motivi di lavoro o per raggiungere la residenza di un familiare all’estero. Su questo punto
è intervenuto l’INPS con il Messaggio n. 931/2003 in cui si ammettono, al fine di conservare il diritto
all’indennità, le ipotesi di espatrio per brevi periodi: a) per matrimonio nel limite di 15 giorni,
normalmente previsto nei limiti del congedo matrimoniale; b) per motivi di salute propria o di un
familiare; c) per il lutto di un familiare all’estero nel limite di 3 giorni di permesso normalmente
previsti
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compimento dell’età pensionabile, intendendosi il requisito della pensione di vecchiaia (65 anni di età
per gli uomini e 60 anni per le donne)
La Circolare del Ministero del Lavoro n. 5/2006 ha applicato quanto previsto dall'articolo 1-quinques della
legge n. 291/2004, di conversione del Decreto Legge n. 249/2004.
Il Ministero del Lavoro con nota prot. n. 1759/2006 ha chiarito che:
a) Le nuove norme abrogano le precedenti in materia, in particolare l’articolo 9 della Legge 223/1991;
b) il principio di congruità si applica anche riferito alle competenze e le qualifiche possedute dal
lavoratore;
c) il livello retributivo dell’offerta di lavoro – che non può essere inferiore del 20% rispetto a quello
precedente – il Ministero precisa che il parametro di riferimento, ai fini dell’applicazione della norma
decadenziale, debba essere commisurato all’ultima retribuzione mensile lorda del rapporto di lavoro
precedente rispetto a quello offerto;
d) il chiarimento più importante riguarda il criterio di congruità: tale criterio, riferibile sia a contratti di
lavoro a tempo indeterminato che a tempo determinato, non prevede una durata minima
dell’eventuale contratto a tempo determinato offerto.
L'INPS ha recepito tale novità nella Circolare n. 39/2007.
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