Nota a sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VI

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Nota a sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VI
Consiglio di Stato, Sez. VI, 3 marzo 2006, n. 1023, sul silenzio serbato
dall’amministrazione procedente a seguito dell’istanza di riesame presentata dalla
Provincia di Brindisi, in relazione al decreto interministeriale di approvazione del
progetto e autorizzazione all’esercizio del terminale di rigassificazione in Comune di
Brindisi, rilasciata dal Ministro delle attività produttive, di concerto con il Ministro
dell’ambiente e della tutela del territorio, ai sensi dell’art. 8, della l. n. 340/2000.
Nota a Cons. Stato, sez. VI, 3 marzo 2006, n. 1023
Francesco Fonderico
Con la decisione che si segnala, il Consiglio di Stato, in riforma della sentenza del Tar Puglia,
Lecce, 27 ottobre 2005, n. 4633, ha escluso la sussistenza di un obbligo di provvedere in capo
all’autorità ministeriale a fronte di un’istanza di autotutela formulata da un ente locale
(provincia), che aveva partecipato alla conferenza di servizi conclusasi con un provvedimento
autorizzatorio ministeriale, non tempestivamente impugnato dall’ente locale, ma dallo stesso
ente successivamente ritenuto viziato per carenza di un atto presupposto obbligatorio per il
diritto comunitario (valutazione d’impatto ambientale).
La decisione del Consiglio di Stato, tuttavia, non convince, tra l’altro, in considerazione del
fatto che il vizio prospettato (illegittimità del provvedimento fondato su norma nazionale, da
disapplicare perché, a sua volta, in contrasto con direttiva comunitaria self executing) avrebbe
dovuto condurre addirittura alla dichiarazione di nullità (per difetto di attribuzione) dell’atto, in
ordine al quale la provincia chiedeva di esercitare i poteri ministeriali di autotutela (cfr. Cons.
Stato, sez. V, 10 gennaio 2003, n. 35, in Foro it., 2004, III, 413, nonché art. 21-septies, l. n.
241/1990).
Ed infatti, in tal senso ha successivamente disposto, in materia di Via, lo stesso Legislatore
(art. 4, ult. comma, d.lgs. n. 152/2006), recependo un consolidato orientamento della Corte di
giustizia.
La Corte comunitaria peraltro ragiona, in termini più anodini, di “disapplicabilità ex officio” del
provvedimento illegittimo per carenza di Via e di obbligatorietà nell’an del relativo potere di
autotutela (da intendersi nel senso, amplissimo, di tutti i provvedimenti ammissibili alla luce
del diritto interno e della concreta situazione di fatto, idonei al fine di ricondurre la fattispecie
alla completa conformità comunitaria mediante lo svolgimento, anche ex post, della Via
illegittimamente pretermessa), lasciando agli ordinamenti dei singoli Stati membri autonomia
nella qualificazione sostanziale di diritto nazionale, salva la necessità di assicurare comunque
l’effetto utile e la tutela delle situazioni soggettive, fondate sulla pertinente normativa
comunitaria di settore (direttiva 85/337/Cee e succ. modif.), ritenuta di diretta applicabilità
(Corte giust., 7 gennaio 2004, C-201/02, in Riv. giur. ambiente, 2004, 253, con nota di A.
Gratani, nonché in Urb. App., 2004, 415, con nota di E. Boscolo).
Sotto tale profilo, la mera esistenza nell’ordinamento giuridico nazionale del potere di rivedere
le proprie decisioni (per le varie specie di autotutela, cfr. ora gli artt. 21-quater, 21-quinquies e
21-nonies, l. n. 241/1990), impedisce agli Stati membri di invocare il principio della “certezza
del diritto” per escludere l’(obbligatorio) esercizio dello stesso potere di autotutela in caso di
violazione del diritto comunitario in materia di Via (Corte giust., sez. I, 4 maggio 2006, C508/03, Commissione). Analogamente, il diritto comunitario non impone al giudice nazionale,
investito della relativa domanda, di annullare per violazione del diritto comunitario una
precedente decisione giurisdizionale, su cui si sia formata la cosa giudicata, a meno che il
giudice nazionale non sia dotato del relativo potere in virtù del diritto processuale interno
(Corte giust., 16 marzo 2006, C-234/04, Kapferer, ibidem).
Lo stesso Consiglio di Stato, peraltro, non dubita della disapplicabilità ex officio delle norme
interne contrastanti con la direttiva Via (ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 16 maggio 2006, n.
2773) e, con particolare riferimento alla problematica dell’autotutela “comunitaria”, ne ha
affermato la doverosità sia in generale (Cons. Stato, sez. IV, 5 giugno 1998, n. 918), sia con
specifico riguardo alla Via, salve le situazioni completamente esaurite (ossia, qualora l’opera
sia stata, sia pure illegittimamente, di fatto realizzata: Cons. Stato, ad. gen., 25 gennaio 1996,
n. 21).
Nel caso di specie, dunque, sussistevano tutte le condizioni, anche di fatto (opera ancora non
realizzata) affinché il Giudice amministrativo, quantomeno, investisse della relativa questione
pregiudiziale la Corte di giustizia (art. 234 Trattato CE). Sebbene tale error in procedendo, per
costante, ma criticabilissima giurisprudenza, non sia deducibile con ricorso per cassazione (ex
multis, Cass., sez. un., 2 dicembre 2005, n. 26228), appare suscettibile di adeguata censura
innanzi alla Suprema Corte il diverso vizio, in cui pare essere incorsa la decisione in
commento, nella parte in cui ha espressamente negato la stessa giustiziabilità della pretesa
della originaria ricorrente.
Così statuendo, il Giudice amministrativo ha in sostanza negato l’esistenza di una situazione
giuridica deducibile innanzi a qualsivoglia giudice (in primis, quello amministrativo), privando i
ricorrenti originari del riconoscimento dovuto a quello che, invece, la Corte di giustizia ha
qualificato come “diritto” derivante direttamente dalla pertinente norma comunitaria self
executing (sentenza Wells, cit. e precedenti ivi richiamati, cui adde Id., sez. I, 4 maggio 2006,
C-290/03, Diane Barker).
In tal caso, infatti, la relativa censura è proponibile innanzi alla Suprema Corte di cassazione,
sotto forma di ricorso per motivi inerenti alla giurisdizione ex art. 111 Cost. e 362 c.p.c. (ex
multis, Cass., sez. un., 1° luglio 2002, n. 9558). Ciò a prescindere dalla non meno complessa
questione delle conseguenze da trarre dalla eccepita “nullità” del provvedimento autorizzatorio
rilasciato (illegittimamente), in assenza della previa Via sulla base di norma interna da
disapplicare. La mancanza di un potere discrezionale giuridicamente efficace (la nullità, come è
noto, producendo l’assoluta inefficacia rilevabile ex officio senza limiti di tempo)
determinerebbe, secondo la costante giurisprudenza, la persistente consistenza di “diritto
soggettivo” delle eventuali situazioni giuridiche contrapposte al potere, ove si accedesse alla
tradizionale teoria della “degradazione”. In ogni caso, l’autorità sarebbe carente di potere “in
astratto”, attesa l’inefficacia originaria della norma nazionale su cui si fonda il potere, da
disapplicare per la dedotta illegittimità comunitaria (Cons. Stato, sez. V, 10 gennaio 2003, n.
35, cit.). Da qui, sotto altro profilo, una distinta seppur connessa questione, potendosi
addirittura prospettare il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo (che, senza
pronunciarsi nel merito, avrebbe dovuto declinarla in favore del giudice ordinario), non
risultando sul punto alcuna riserva in favore della giurisdizione esclusiva dello stesso giudice
amministrativo (art. 21-septies, comma 1, l. n. 241/1990).
Consiglio di Stato, Sez. VI, 3 marzo 2006, n. 1023; Pres. SCHINAIA – Est. CHIEPPA –
Brindisi LNG S.p.A. (Avv.ti Sticchi Damiani, Police), Ministero delle attività produttive e
Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio (Avv. Generale dello Stato) c. Provincia di
Brindisi (Avv.ti Giampietro, Durano). Annulla Tar Puglia, sede Lecce, Sez. I, 27 ottobre 2005,
n. 4633.
E’ legittimo il silenzio serbato dall’amministrazione procedente sull’istanza di riesame di una
decisione pluristrutturata, divenuta inoppugnabile, avanzata da parte di un ente pubblico (nella
specie, la Provincia di Brindisi), che ha partecipato alla conferenza di servizi, al cui esito è stata
emanata la decisione medesima; infatti, in presenza di un provvedimento non più impugnabile,
l’amministrazione non ha alcun obbligo di rispondere in merito all’istanza con cui viene
sollecitato il riesame dell’atto, che costituisce manifestazione dell’esercizio di un potere di
autotutela tipicamente discrezionale dell’amministrazione.
L’amministrazione che ha adottato il provvedimento è l’unico soggetto che può valutare se
sussistono i presupposti per la revoca, la modifica o l’annullamento d’ufficio dell’atto originario
e tale verifica deve essere svolta alla luce dei principi di cui agli artt. 21 nonies della l. n.
241/90, che indica quali presupposti per l’esercizio di tale potere, oltre all’accertamento
dell’originaria illegittimità dell’atto, la sussistenza delle ragioni di interesse pubblico, il decorso
del termine ragionevole (e quindi non eccessivamente lungo) e la valutazione degli interessi
dei destinatari e dei controinteressati; tali principi non vengono derogati quando l’asserito vizio
di illegittimità del provvedimento da rimuovere consiste nella violazione del diritto comunitario,
in quanto anche nell’ordinamento comunitario la revoca dell’atto illegittimo può essere
consentita entro un termine ragionevole, a seguito di un’attenta ponderazione degli interessi
coinvolti, tra cui quello del destinatario che ha fatto affidamento sul provvedimento illegittimo.
Il provvedimento amministrativo adottato in violazione delle disposizioni comunitarie, non è
affetto da nullità, in quanto tale ipotesi non rientra tra i casi disciplinati dall’art. 21 septies, l.
n. 241/90, che costituiscono un numero chiuso, da far valere anche oltre il termine
decadenziale, ma è illegittimo, e, quindi, annullabile.
Spetta all’amministrazione procedente assumere ogni determinazione in merito all’eventuale
esercizio dei poteri di autotutela; è evidente che tale valutazione comporta una rilevante
assunzione di responsabilità, soprattutto in casi in cui è pur sempre possibile che il
provvedimento inoppugnato possa essere rimesso in discussione a seguito di una procedura di
infrazione comunitaria.
Consiglio di Stato, Sez. VI, 3 marzo 2006, n. 1023; Pres. SCHINAIA – Est. CHIEPPA –
Brindisi LNG S.p.A. (Avv.ti Sticchi Damiani, Police), Ministero delle attività produttive e
Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio (Avv. Generale dello Stato) c. Provincia di
Brindisi (Avv.ti Giampietro, Durano). Annulla Tar Puglia, sede Lecce, Sez. I, 27 ottobre 2005,
n. 4633.
DIRITTO
Omissis
4. I ricorsi in appello sono fondati nei termini che seguono.
Come già detto, non è in discussione il principio generale, condiviso dalla sezione, che
configura l’esercizio dei
poteri
di
autotutela in termini
di
non doverosità da parte
dell’amministrazione di attivare un procedimento di riesame di un
provvedimento non
impugnato.
La certezza delle situazioni giuridiche definite costituisce un bene irrinunciabile, posto a tutela
dei cittadini (v. Cons. Stato, sez. VI, 18 aprile 1992, n. 201) e non può essere elusa mediante
l’impugnazione del silenzio rifiuto formatosi su un’istanza diretta a sollecitare l’adozione di
provvedimenti di annullamento o di modifica di precedenti determinazioni, non impugnate nei
termini e nelle forme di rito (Cons. Stato, sez. IV, n. 7136/2003).
L’amministrazione che ha adottato il provvedimento è l’unico soggetto che può valutare se
sussistono i presupposti per la revoca, la modifica o l’annullamento d’ufficio dell’atto originario
e tale verifica deve oggi essere svolta alla luce dei principi codificati in sede di riforma della L.
n. 241/90 (L. n. 15/2005) e in particolare dagli artt. 21-quinques e 21-nonies.
Per quanto concerne l’annullamento d’ufficio, l’art. 21- nonies della L. n. 241/90 ha indicato
quali presupposti per l’esercizio di tale potere, oltre all’accertamento dell’originaria illegittimità
dell’atto, la sussistenza delle ragioni di interesse pubblico, il decorso di un termine ragionevole
(e quindi non eccessivamente lungo) e la valutazione degli interessi dei destinatari e dei
controinteressati.
5. Tali principi non vengono derogati quando l’asserito vizio di illegittimità del provvedimento
da rimuovere consiste nella violazione del diritto comunitario.
Anche nell’ordinamento comunitario la sola illegittimità dell’atto non è elemento sufficiente per
giustificare la sua rimozione in via amministrativa, in quanto è necessaria una attenta
ponderazione degli altri interessi coinvolti, tra cui quello del destinatario che ha fatto
affidamento sul provvedimento illegittimo.
Secondo la Corte di Giustizia, la revoca di un atto illegittimo è consentita entro un termine
ragionevole e se la Commissione ha adeguatamente tenuto conto della misura in cui il privato
ha potuto eventualmente fare affidamento sulla legittimità dell’atto (Corte Giust. CE, 26
febbraio 1987, C 15/85).
Anche con la recente sentenza Kunhe & Heitz il giudice comunitario, pur affermando che il
giudicato formatosi su una interpretazione ritenuta poi non conforme al diritto comunitario
dalla stessa Corte di Giustizia non costituisce un limite all’esercizio dei poteri di autotutela, ha
ribadito che il diritto comunitario non esige, in linea di principio, che un organo amministrativo
sia obbligato a riesaminare una decisione amministrativa che ha acquistato carattere definitivo,
in quanto la certezza del diritto è inclusa tra i principi generali riconosciuti nel diritto
comunitario e il carattere definitivo di una decisione amministrativa, acquisito alla scadenza dei
termini ragionevoli di ricorso o in seguito all’esaurimento dei mezzi di tutela giurisdizionale,
contribuisce a tale certezza (Corte Giust. CE, 14 gennaio 2004, C- 453/00).
Dalla giurisprudenza comunitaria si ricava, quindi, che l’esercizio dei poteri di autotutela non
può essere configurato in termini di doverosità con la conseguenza che il vizio della violazione
del diritto comunitario non comporta il necessario, e sostanzialmente vincolato, esercizio dei
poteri di autotutela da parte dell’amministrazione (tesi prospettata da Cons. Stato, sez. IV, 5
giugno 1998, n. 918, che comporterebbe però la totale svalutazione degli elementi
dell’affidamento del privato e del decorso del tempo, valorizzati proprio dalla Corte di
Giustizia).
Anche la sentenza Wells, invocata dalla parte appellata, non deroga tali principi nel caso in cui
la violazione del diritto comunitario consista nell’omesso svolgimento della procedura di
valutazione di impatto ambientale (Corte Giust. CE, 7 gennaio 2004, C-201/02). Infatti, con
tale decisione la Corte di Giustizia ha esaminato una fattispecie in cui era stato accertato che
l’autorizzazione allo sfruttamento di una cava avrebbe dovuto essere sottoposta ad una
valutazione del suo impatto ambientale e non lo era invece stata (par. 68); in tal caso,
secondo il giudice comunitario, lo Stato membro ha l’obbligo di eliminare le conseguenze
illecite della violazione (anche attraverso una valutazione di impatto ambientale «postuma») o
di risarcire tutti i danni causati dalla mancata valutazione dell’impatto ambientale (par. 64 70).
Nella fattispecie qui in esame deve rilevarsi come innanzitutto il vizio dell’omessa valutazione
di impatto ambientale è stato solamente dedotto dalla provincia di Brindisi e non anche
accertato in sede giurisdizionale (né è possibile farlo in questa sede come già detto).
Comunque, la stessa Corte di Giustizia, nel prevedere l’alternativa risarcitoria, ammette la
possibilità che il decorso del tempo renda non rimediabile l’eventuale vizio; nel caso al suo
esame è invece risultata determinante la circostanza che l’ultima fase della procedura di
autorizzazione non era terminata nel momento in cui la ricorrente aveva presentato la sua
richiesta di riesame, con la conseguenza che la revoca di tale autorizzazione non violava in tal
modo il principio della certezza del diritto (v. par. 60).
Non può quindi ritenersi che una richiesta di esercizio dei poteri di autotutela assuma una
natura diversa, sotto il profilo della non doverosità dell’attivazione di un procedimento di
riesame, solo perché venga dedotto il vizio dell’assenza della VIA.
Le suesposte considerazioni conducono anche ad escludere che si possa qualificare in termini
di nullità il provvedimento amministrativo adottato in violazione del diritto comunitario, come
invece sostenuto dall’appellata.
Infatti, la stessa Corte di Giustizia nel ritenere compatibile con il diritto comunitario un regime
di impugnazione con termini di decadenza applicabili anche in presenza del vizio della
violazione del diritto comunitario, ha implicitamente escluso che tale vizio possa determinare la
nullità del provvedimento amministrativo da far valere anche oltre il termine decadenziale
(Corte Giust. CE, sentenza 12 dicembre 2002, causa C-470/99, Universale- Bau, punti 76 e
79; sent. 27 febbraio 2003 C- 327/00 - Santex S.p.A.; in entrambe è richiamato il principio
della certezza del diritto).
Del resto, anche il Consiglio di Stato aveva affermato che di norma la violazione di una
disposizione comunitaria da parte di un atto amministrativo implica un vizio di illegittimita`annullabilita`, e non di nullità, dell’atto stesso contrastante (Cons. Stato, sez. V, 10 gennaio
2003, n. 35).
L’entrata in vigore dell’art. 21-septies della L. n. 241/1990, introdotto dalla L. n. 15/2005, ha
codificato le ipotesi di nullità del provvedimento amministrativo, che costituiscono quindi un
numero chiuso e all’interno delle quali non rientra il vizio consistente nella violazione del diritto
comunitario.
Deve quindi ritenersi che la non doverosità dell’attivazione del procedimento di autotutela, che
preclude la giustiziabilità del silenzio dell’amministrazione sulle istanze dirette a stimolare tale
potere, costituisca principio che non viene derogato quando il vizio dedotto è costituito dalla
violazione del diritto comunitario (vizio che comporta l’annullabilità e non la nullità del
provvedimento amministrativo).
Tale vizio deve essere adeguatamente ponderato dall’amministrazione procedente anche alla
luce del principio di leale collaborazione previsto dall’art. 10 del Trattato UE; la valutazione se
attivare o meno i poteri di autotutela resta di carattere discrezionale e non è giustiziabile
perché altrimenti si
determinerebbe l’effetto di consentire la riapertura di un contenzioso,
precluso a seguito dell’inoppugnabilità del provvedimento e in violazione di quel principio di
certezza del diritto valorizzato anche dal giudice comunitario.
6. La doverosità dell’attivazione del procedimento di autotutela deve ora essere esaminata
sotto altro profilo, che caratterizza la fattispecie in esame, in cui la richiesta proviene non da
un soggetto leso dall’originario provvedimento, che ha omesso di impugnarlo e ne chiede poi la
rimozione, ma da un soggetto pubblico che ha contribuito in sede di conferenza di servizi
decisoria all’adozione del provvedimento e, a seguito di un ripensamento o dell’essersi accorto
della sussistenza di un vizio, chieda che la questione venga riesaminata.
Si tratta di verificare quali siano le modalita` di esercizio dei poteri di autotutela in ordine ad
una decisione cd. «pluristrutturata» adottata all’esito di una conferenza di servizi decisoria e
quale ruolo può assumere a tal fine una amministrazione che ha partecipato alla conferenza.
Va premesso che risulta irrilevante, ai fini del decidere, il fatto che la Provincia di Brindisi abbia
precisato di non aver chiesto l’annullamento di ufficio del precedente provvedimento, ma
l’adozione dei rimedi più opportuni per sanare l’illegittimità dedotta, in quanto comunque la
richiesta tende ad ottenere una nuova determinazione sulla questione.
Deve poi essere osservato come non possa ritenersi ammissibile che una amministrazione che
ha partecipato alla conferenza di servizi possa rimettere in discussione gli esiti della stessa a
seguito di un «ripensamento» dovuto a ragioni di opportunità o motivazioni di carattere politico
(es. cambio di maggioranza).
Questa sezione ha di recente ritenuto che una regione, che ha formulato la propria intesa in
ordine ad un determinato intervento (in quel caso, centrale termoelettrica), non possa poi
revocare tale intesa con la pretesa di travolgere il provvedimento finale che sulla base
dell’intesa era stato adottato (Cons. Stato, sez. VI, n. 3502/2004).
Dopo la conclusione del procedimento la revoca di un atto endoprocedimentale non può in
alcun modo essere idonea a travolgere il provvedimento finale, che quindi resta valido e
pienamente
efficace.
Tale
considerazione
non
può
che
valere
anche
quando
l’atto
endoprocedimentale è stato assorbito dalla posizione espressa in sede di conferenza di servizi;
anche in questo caso non è ipotizzabile un ripensamento che possa rimettere in discussione, e
peraltro nel caso di specie a distanza di tempo, quanto già deciso.
Erra quindi il TAR quando afferma che in casi del genere il potere di autotutela possa fondarsi
anche su un ripensamento delle ragioni che hanno indotto, in un primo tempo, una
amministrazione a formulare assensi o prestare nulla osta per la realizzazione di un’opera
pubblica di rilevante interesse nazionale.
Nello stesso precedente prima citato, era stato affermato che la regione poteva al più stimolare
l’amministrazione procedente all’esercizio dei propri poteri di autotutela, senza però affrontare
la questione della doverosità, o meno, della risposta in caso di una tale richiesta.
Si tratta di verificare se in presenza di una siffatta istanza i principi generali già descritti
cambino per la circostanza che la richiesta proviene da un’amministrazione che ha contribuito
alla decisione.
Nel caso di specie, il procedimento per il rilascio dell’autorizzazione si è concluso, come
previsto dall’art. 8 della L. n. 340/00, con decreto del Ministro dell’industria, del commercio e
dell’artigianato, di concerto con il Ministro dell’ambiente, d’intesa con la regione interessata e
previo svolgimento di una conferenza di servizi.
Il decreto ministeriale costituisce atto consequenziale rispetto agli esiti della conferenza;
tuttavia il Ministero procedente (nella specie, delle attività produttive) è il soggetto che
conserva la piena responsabilità del procedimento (indizione della conferenza, tempi del
procedimento, provvedimento finale).
Come anche previsto dall’art. 21-nonies della L. n. 241/90 il potere di autotutela spetta
all’organo che ha emanato il provvedimento (ovvero ad altro organo previsto dalla legge) e
quindi per la regola del contrarius actus è il Ministero delle attività produttive il soggetto
pubblico cui spetta assumere ogni determinazione con riguardo all’eventuale esercizio dei
poteri di autotutela.
Tuttavia, sempre per la stessa regola del contrarius actus, il Ministero non potrebbe revocare o
annullare il provvedimento autonomamente, ma dovrebbe riconvocare una nuova conferenza
cui sottoporre la questione.
Cosı̀ come grava sul Ministero la responsabilità di indire la conferenza, nello stesso modo
grava sullo stesso soggetto la responsabilità della decisione se indire, o meno, una nuova
conferenza in presenza di una richiesta in tal senso di un’amministrazione che ha partecipato
alla originaria conferenza di servizi.
L’amministrazione procedente, in questo caso il Ministero delle attività produttive, non è
obbligato a riconvocare la conferenza, ma dovrà valutare se ricorrano i presupposti per
proporre alla conferenza l’esercizio di poteri di autotutela. E ` evidente che tale valutazione
comporta una rilevante assunzione di responsabilità soprattutto in casi, quali quello in esame,
in cui è pur sempre possibile che il provvedimento inoppugnato possa essere rimesso in
discussione a seguito di una procedura di infrazione comunitaria.
Del resto, ipotizzando che il procedimento non si fosse svolto attraverso una conferenza di
servizi, la Provincia di Brindisi avrebbe espresso il suo assenso con atto autonomo, ma non
avrebbe potuto revocare o annullare tale atto dopo che lo stesso aveva ormai prodotto i propri
effetti e determinato il rilascio da parte di altra amministrazione del provvedimento
autorizzatorio; ne´ avrebbe potuto pretendere l’apertura di un procedimento di autotutela.
Inoltre, non si può ritenere che il dissenso postumo di una amministrazione che ha partecipato
alla conferenza di servizi, esprimendo parere favorevole, sia idoneo a riaprire necessariamente
la questione con obbligatorietà di una riconvocazione della conferenza, che sarebbe costretta
quindi ad esprimersi con una nuova decisione, riaprendo anche in sede giurisdizionale una
vicenda da ritenersi chiusa in assenza di tempestive impugnazioni.
Riconoscere un tale effetto al dissenso sopravvenuto (anche se fondato su una asserita
illegittimità dell’atto) significherebbe attribuire a tale elemento una rilevanza addirittura
maggiore del dissenso eventualmente espresso nel procedimento originario, che sarebbe
comunque potuto essere superato sulla base del principio di maggioranza, introdotto nella
conferenza di servizi dalla L. n. 340/2000 e solamente attenuato dalla L. n. 15/2005.
Anzi l’attuale art. 14-ter, comma 6-bis, della L. n. 241/90, introdotto dalla L. n. 15/05, se da
un lato ha temperato il principio di maggioranza in sede di conferenza di servizi, dall’altro lato
ha potenziato il ruolo (e le responsabilità) dell’amministrazione procedente cui è rimessa la
determinazione finale, previa valutazione delle specifiche risultanze della conferenza e tenendo
conto delle posizioni prevalenti espresse in quella sede.
A maggior ragione, se l’amministrazione procedente poteva prescindere dall’eventuale dissenso
originario della Provincia di Brindisi, tanto più può autonomamente valutare se ricorrano o
meno i presupposti per l’apertura di un procedimento di autotutela, senza essere vincolata
dalla richiesta della stessa Provincia di Brindisi, che ha espresso il suo dissenso per essersi
tardivamente accorta di un presunto vizio di legittimità.
Deve quindi ritenersi che non sussista un obbligo di provvedere in ordine alla richiesta
presentata
dalla
Provincia
di
Brindisi
di
riesame
dell’autorizzazione
rilasciata
per
la
realizzazione, da parte della società British Gas Italia (poi divenuta Brindisi LNG S.p.A.) di un
terminale di rigassificazione di gas naturale liquefatto (GNL), e delle opere connesse, da
ubicare nel porto di Brindisi in località «Capo Bianco». L’assenza di un obbligo in tal senso
determina la conseguente non giustiziabilità della condotta tenuta dalle amministrazioni
intimate e l’insussistenza dei presupposti per accogliere il ricorso proposto avverso il silenzio.
Resta ferma la responsabilità del Ministero delle attività produttive, quale amministrazione
procedente, per le valutazioni di sua competenza in ordine all’eventuale esercizio dei poteri di
autotutela invocati dalla provincia di Brindisi.
7. In conclusione, i ricorsi in appello principale e incidentale devono essere accolti e, in riforma
della sentenza impugnata, deve essere respinto il ricorso proposto in primo grado.
Ricorrono giusti motivi per compensare integralmente le spese di giudizio.
La sentenza del Consiglio di Stato sopra riportata ha riformato la sentenza
Tar Puglia, Lecce, 27 ottobre 2005, n. 4633 ; Pres. RAVALLI – Est. DIBELLO –
Provincia di Brindisi (Avv.ti Giampietro, Durano), c. Ministero delle attività produttive,
Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio (Avv. Generale dello Stato), Brindisi L.N.G.
(Avv.ti Sticchi Damiani, Police, Rabitti).
Il
principio
secondo
cui,
in
presenza
di
un
provvedimento
non
più
impugnabile,
l’amministrazione non ha alcun obbligo di rispondere in merito all’istanza con cui viene
sollecitato il riesame dell’atto, non può operare nell’ipotesi in cui la richiesta di autotutela
provenga da un soggetto titolare di interessi pubblici, che sia intervenuto nel procedimento di
primo grado e che si faccia successivamente portatore, anche nella stessa sede di autotutela,
dei medesimi interessi. Nella specie, il Tar ha rilevato l’illegittimità del silenzio espresso dal
Ministero delle attività produttive sull’istanza di riesame del decreto interministeriale di
approvazione del rigassificatore di Brindisi, presentata dalla Provincia, in riferimento alla
violazione delle disposizioni della direttiva n. 85/337/Cee, in materia di valutazione di impatto
ambientale mentre, lo stesso Collegio, nella connnessa vicenda processuale, concernente i
lavori di colmata del Porto di Brindisi, aveva dichiarato l’applicabilità diretta dalla citata
direttiva negli ordinamentinazionali, con ordinanza cautelare n. 893/2005 nel ricorso n.
1241/2005 pure riformata dal Consiglio di Stato, con ordinanza 4968/2005 nel ricorso n.
7681/2005.
Tar Puglia, Lecce, 27 ottobre 2005, n. 4633; Pres. RAVALLI – Est. DIBELLO – Provincia di
Brindisi (Avv.ti Giampietro, Durano), c. Ministero delle attività produttive, Ministero
dell’ambiente e della tutela del territorio (Avv. Generale dello Stato), Brindisi L.N.G. (Avv.ti
Sticchi Damiani, Police, Rabitti).
FATTO E DIRITTO
Si premette in fatto che , con decreto del 21 gennaio 2003, il Ministero delle Attività
Produttive, di concerto con il Ministero dell’Ambiente, ha concesso l’autorizzazione alla
realizzazione, da parte della società British Gas Italia ( poi divenuta Brindisi LNG s.p.a.) di un
terminale di rigassificazione di gas naturale liquefatto (GNL), e delle opere connesse, da
ubicare nel porto di Brindisi in località “ Capo Bianco”.
La ricorrente Provincia di Brindisi, che ha recentemente inoltrato una denuncia di
inadempimento della Repubblica Italiana ad una serie di disposizioni di diritto comunitario
asseritamente vulnerate nell’ambito della procedura autorizzativa de qua, ha da ultimo
proposto motivata istanza di autotutela alle amministrazioni intimate, diretta a sollecitare la
rimozione della rilevata situazione di illegittimità comunitaria e nazionale, sicchè, non essendo
intervenuto, ad oggi, alcun provvedimento espresso, propone il rito del silenzio ex art 2 legge
241/90 , come novellata con legge 15/2005 .
Il Collegio rileva che , nella specie, sussistono, in primis, i requisiti previsti per la formazione
della fattispecie del silenzio inadempimento.
La Provincia di Brindisi ha, infatti, inoltrato alle amministrazioni intimate un’istanza tendente
a sollecitare la loro potestà di autotutela nel contesto di un procedimento culminato, in
precedenza, negli assensi alla realizzazione di un terminale di rigassificazione di gas naturale
liquefatto e opere connesse nel porto di Brindisi.
Detta istanza è stata presentata il 9 febbraio 2005 sulla base della ritenuta illegittimità
comunitaria e nazionale dei provvedimenti autorizzativi dei quali viene oggi sollecitato il
riesame dall’Ente provinciale.
Deve rilevarsi, anzitutto, che il termine per provvedere risulta decorso , trovando
applicazione, nella specie, il disposto dell’art 2, comma 3 della legge 241 del 1990 , a mente
del quale, qualora non si provveda a norma del comma 2- cioè laddove difettino i regolamenti
attuativi della citata legge, volti a disciplinare i termini di conclusione dei procedimenti- il
termine è di novanta giorni .
Il termine in questione è infatti scaduto il 9 maggio 2005 senza che sia stato adottato un
provvedimento espresso sull’istanza.
Così come si applica, nella specie, la disposizione contenuta nel comma 5 dell’art 2 della citata
legge, che legittima la proposizione del ricorso avverso il silenzio dell’amministrazione , senza
necessità di previa diffida alla o alle amministrazioni inadempienti, fintanto che perdura
l’inadempimento e comunque non oltre un anno dalla scadenza dei termini di cui , nel caso che
ci riguarda, al comma 3 dello stesso articolo 2 .
Il Collegio stima pure sussistente l’obbligo di provvedere in capo alle amministrazioni intimate
che, tuttavia, richiede alcune considerazioni finalizzate ad inquadrare correttamente il tema
tenendo conto della peculiarità della vicenda.
In linea generale è noto che l’esercizio del potere di autotutela costituisce uno degli ambiti in
cui si esprime un elevato coefficiente di discrezionalità dell’autorità amministrativa .
Risulta, perciò, problematica e dibattuta la ricostruzione della connessa potestà in chiave di
doverosità, cioè di obbligatorietà del potere di ripensamento dell’amministrazione.
E’ altrettanto noto che la giurisprudenza afferma non esservi obbligo di pronuncia in merito a
provvedimenti divenuti inoppugnabili qualora di questi ultimi si intenda ottenere il ritiro in
autotutela .
Tuttavia, tale principio , formatosi con riguardo al rapporto tra soggetto privato e autorità
pubblica, non può operare tout court nel caso in cui la richiesta di autotutela provenga da un
soggetto titolare di interessi pubblici, che sia intervenuto nel procedimento di primo grado e
che si faccia successivamente portatore , anche in sede di autotutela, dei medesimi interessi.
Deve anche osservarsi che il potere di autotutela può fondarsi non solo su motivi di
legittimità, ma anche su valutazioni di opportunità che militino in favore di un atto di ritiro di
un precedente provvedimento.
Siffatte valutazioni di opportunità ben possono risiedere in un ripensamento delle ragioni che
hanno indotto , in un primo tempo, una amministrazione a formulare assensi, prestare nulla
osta, ecc alla realizzazione, per quanto di interesse, di una opera pubblica di pur rilevante
interesse nazionale.
Aggiungasi che, nel caso di specie, la vicenda sottostante presenta aspetti problematici, sul
versante della legittimità comunitaria, in ordine all’ assoggettamento dell’impianto di
rigassificazione in questione, alle procedure di V.I.A. , come questo Giudice ha avuto occasione
di apprezzare occupandosi del sottostante procedimento autorizzativo posto in essere dal
Ministero delle Attività produttive per la parte concernente i lavori di colmata nel porto di
Brindisi e i connessi profili di sicurezza della navigazione.
In un contesto del genere, quando la richiesta di autotutela promana da una amministrazione
che ha espresso , per la parte di competenza, pareri o nulla osta obbligatoriamente convogliati
in sede di conferenza decisoria, si pone concretamente il problema delle modalità per mezzo
delle quali la stessa amministrazione compartecipe possa far valere il ripensamento su di un
eventuale assenso precedentemente prestato , che si fondi su fatti nuovi.
Tanto deriva , come risulta evidente, dalla impossibilità di assumere una autonoma decisione
capace di produrre effetti di ritiro del provvedimento di primo grado al cui varo si è concorso
in sede conferenziale.
Per questo, sembra logico ritenere che il principio di leale cooperazione tra enti che hanno
adottato una decisione di tipo collegiale possa fondare una legittima richiesta di autotutela da
parte dell’ente che rimedita il proprio assenso allo scopo di conseguire una rivalutazione della
complessiva vicenda.
Ma il principio su richiamato opera pure nel senso di investire gli enti destinatari della istanza
di autotutela dell’obbligo di pronunciarsi perchè , in siffatte ipotesi, la collaborazione deve
concretamente tradursi nell’esercizio di poteri di amministrazione attiva capaci di dar corso ad
una rimeditazione della vicenda procedimentale “re melius perpensa “.
D’altronde, occorre tener presente che il principio di leale cooperazione evocato pone a carico
dell’ente provincia, ente esponenziale della collettività destinata ad ospitare il rigassificatore
della Brindisi LNG, obblighi di collaborazione intensa e rafforzata trattandosi di
amministrazione deputata istituzionalmente alla tutela di interessi pubblici che le sono devoluti
per legge( ambiente, sicurezza, ecc) e che risultano coinvolti dalla autorizzazione alla
realizzazione dell’opera in esame.
Il sistema così delineato sarebbe, tuttavia, privo di effettività se non si immaginasse, a fronte
di una ammissibile istanza di autotutela ad opera di un ente pubblico partecipante al
procedimento , un altrettanto doveroso obbligo di pronuncia del soggetto titolare del potere di
autotutela.
Nella specie, peraltro, il contesto normativo comunitario e nazionale è tale da non potersi
ritenere evidentemente infondata la richiesta dell’Ente di provvedere in autotutela al pari del
corrispondente obbligo di pronunciarsi sulla richiesta stessa.
E’ perciò legittimo il ricorso , da parte della provincia di Brindisi, al rito del silenzio nel caso che
ci occupa, così come è doveroso, da parte degli enti intimati, assumere un provvedimento
espresso sull’istanza inoltrata il 9 febbraio 2005 .
In questo senso, il ricorso merita accoglimento
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sezione di Lecce, definitivamente
pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie e, per l’effetto, ordina alle Amministrazioni
intimate di provvedere fissando il termine di gg 90 .
Spese compensate
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
Così deciso in Lecce, in camera di consiglio, il 12 ottobre 2005
Pubblicata mediante deposito in Segreteria il 27 ottobre 2005