LA RIVOLUZIONE INGLESE 1. Società, politica e

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LA RIVOLUZIONE INGLESE 1. Società, politica e
LA RIVOLUZIONE INGLESE
1. Società, politica e religione alla vigilia della rivoluzione
Per comprendere la situazione dell’Inghilterra nei decenni che precedono la prima
rivoluzione inglese, occorre tener presente il contesto economico e sociale di questo
paese. Nei primi anni del XVII secolo l’Inghilterra è una potenza economica, ben diversa
da quella uscita un 150 anni prima dalla guerra dei Cento anni: produce tessuti di lana a
buon prezzo e di ottima qualità, ha dato impulso alle enclosures, nell’ottica di
un’agricoltura gestita in senso capitalistico, è la seconda potenza marittima dopo l’Olanda
e sarà destinata a scalzarla dal centro dell’economia mondo negli ultimi decenni del
secolo. Londra, con il suo mezzo milione di abitanti, è la città più fiorente d’Europa, in un
paese dove le altre località non superavano i 25.000 abitanti.
Resta il fatto che l’agricoltura continuava ad essere il motore dell’economia. Fatte queste
premesse, guardiamo quali sono i ceti in questo contesto ed iniziamo dalle campagne,
epicentro appunto dell’economia. Il ceto dominante è rappresentato ancora
dall’aristocrazia (duchi, conti, marchesi), che pur avendo ancora un prestigio indiscusso,
ha perso molto del potere politico del passato: da Enrico VII Tudor in poi (ossia, dalla fine
della guerre delle due rose, nella seconda metà del ‘400) la monarchia rappresenta il
principale cardine della politica britannica. Anche a livello economico contano meno che in
passato, a vantaggio del ceto emergente, la gentry, la nobiltà di campagna (peraltro assai
variegata al suo interno), arricchitasi enormemente grazie alle enclosures e alla vendita
delle terre della chiesa cattolica ai tempi di Enrico VIII. Gli esponenti di questo ceto hanno
anche un ruolo centrale nel controllo politico delle campagne, dove amministrano la
giustizia come giudici di pace.
Il ceto medio è composto dalla gentry minore e dagli yeomen, i piccoli produttori
indipendenti, in vigorosa ascesa negli ultimi tempi. Il ceto più basso vede tra i suoi membri
i salariati agricoli, braccianti che vivono al livello di sussistenza. Analizzando
parallelamente la situazione nelle città, in cima alla piramide abbiamo la grande borghesia,
che si è arricchita grazie al ruolo di primo piano assunto nelle compagnie commerciali,
spesso grazie agli ottimi rapporti con la corona. Troviamo poi un ceto medio assai attivo,
composto da mercanti, artigiani, imprenditori e liberi professionisti e un ceto basso, di
lavoratori salariati nelle manifatture cittadine e nelle città portuali. Resta il fatto che sia
nelle campagne che nelle città il livello più infimo è rappresentato da un esercito di
vagabondi, domestici e disoccupati.
Veniamo al contesto politico. Alla morte di Elisabetta I, estintasi senza eredi la dinastia dei
Tudor, diviene re Giacomo I Stuart, figlio di Maria Stuart e re di Scozia. I due regni vennero
così a trovarsi uniti in una sola persona, dopo che per secoli gli inglesi avevano tentato di
sottomettere questo paese, estremamente geloso della propria indipendenza specie da
quando, agli inizi del ‘300, guidato da William Wallace (soprannominato Braveheart) aveva
sconfitto l’esercito nemico. Giacomo realizzò una politica assai diversa da colei che lo
aveva preceduto: riguardo al rapporto con gli altri stati, non intervenne nella guerra dei 30
anni, dimostrando di non voler danneggiare le potenze cattoliche; nella situazione interna,
iniziò un logorante braccio di ferro con il Parlamento, soprattutto su un aspetto centrale: il
diritto di imporre nuove tasse. Storicamente in Inghilterra era consuetudine che ciò fosse
prerogativa del Parlamento, almeno dalla fine del ‘200 (cosa del resto preannunciata dalla
Magna Charta del 1215). I sovrani, fino ad allora (compresa Elisabetta), non si erano
sottratti a questo vincolo. Riguardo a ciò, si tenga presente che, a differenza di quando
accade oggi, negli stati nazionali del tempo non vigeva un’unica forma di imposizione
fiscale omogenea su tutto il territorio nazionale. Gli introiti della corona derivavano in parte
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dai proventi relativi alle rendite delle terre di proprietà del re, che non bastavano tuttavia
per mantenere un esercito e una burocrazia sempre più imponente e ramificata. Pertanto,
lo stato si affidava a numerose imposte, che i sudditi erano tenuti a pagare: diritti di
dogana, sul commercio, gabelle divario tipo, oltre ad ‘aiuti’ straordinari che le città, i
contadini e gli stessi nobili dovevano al re in casi di emergenza, come in guerra. Per
quest’ultimo tipo di tasse, in Inghilterra fu stabilito che era compito del parlamento
autorizzarne di nuove, in modo da prevenire l’eventuale arbitrio del sovrano. Dunque il
Parlamento britannico, pur non avendo il potere di promulgare leggi come sarà in seguito,
avocava a sé un importante diritto. Il re governava dunque collaborando con esso,
diversamente da quanto avveniva in Francia e in Spagna. Questa consuetudine era
denominata King in Parliament, stando proprio a significare la concordia tra i due poteri. I
problemi iniziano, per quella che sarà la principale causa della rivoluzione, quando
Giacomo I, rivendicando in nome della regalità sacra il suo diritto a governare in modo
assoluto, essendo egli re per diritto divino e quindi vicario di Dio sulla terra, pretende di
avere l’ultima parola in materia fiscale. Il contrasto verte dunque sul fondamento e
sull’esercizio stesso della sovranità (da chi deriva? Chi la esercita?). Il programma
assolutistico del monarca prosegue con il rafforzamento dei tribunali composti da
funzionari di nomina regia e la conseguente riduzione dei diritti delle corti tradizionali,
gestite dalla gentry.
Come se non bastasse, egli punta ad imporre anche l’anglicanesimo in Scozia e questo
aspetto ci introduce all’altra questione capitale, quella religiosa, che nelle vicende
rivoluzionarie si intreccia con quella politica. In Inghilterra la chiesa anglicana ha un
notevole potere, che condivide con la corona e comanda sulla base di una concezione
episcopalista, ossia fortemente gerarchica e piramidale: re, primate della Chiesa
(l’arcivescovo di Canterbury), cardinali e vescovi, parrocchie. Tuttavia, anche in virtù del
legame con il re e dei forti poteri accumulati, l’anglicanesimo è fortemente avversato dai
calvinisti inglesi, i puritani, che a loro volta non costituiscono un fronte compatto, ma si
dividono in due fazioni: da un lato i presbiteriani, che ispirandosi al modello scozzese,
vorrebbero una chiesa di stato calvinista impostata su base ascendente e democratica,
nella quale i vai consigli locali di fedeli, presieduti dai pastori, eleggevano i presbiteri
(anziani), i capi della comunità aventi il compito di vigilare sulla moralità pubblica. Una
chiesa di questo tipo era peraltro decisamente intollerante verso le altre confessioni
religiose. Dall’altro, i congregazionalisti o indipendenti, che rivendicavano assoluta
libertà di culto per le varie confessioni e l’abolizione di una chiesa di stato, visto che il
potere politico e quello religioso dovevano essere rigorosamente separati. Entrambi gli
schieramenti vedevano nell’anglicanesimo l’anticristo, cioè la negazione stessa del
cristianesimo, rivolgendo ad esso la stessa critica che gli anglicani rivolsero a suo tempo
alla chiesa cattolica ai tempi della guerra con Filippo II. Giacomo I impose il divieto di tutti
quei culti che non fossero anglicani e perseguitò duramente i puritani (soprattutto gli
indipendenti), un gruppo dei quali emigrò in America (i celebri Padri pellegrini della
Mayflower). A riprova di come l’aspetto politico e quello religioso si intreccino, si noti la
composizione del Parlamento inglese: la Camera dei Lords era composta da aristocratici e
rappresentanti dell’alto clero, nominati dal re per via del titolo nobiliare (si noti che a
differenza degli Stati generali francesi, il clero non ha in Inghilterra una rappresentanza
autonoma); la Camera dei Comuni, si cui sedevano membri legati alle attività produttive,
fondamentalmente borghesi, visto che venivano eletti da un corpo elettorale su base
fortemente censitaria. Inoltre, mentre la Camera dei Lords era a stragrande maggioranza
anglicana, quella dei comuni era puritana. La differenza non poteva dunque essere più
netta.
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2. Da Giacomo a Carlo I: lo scontro aperto e la guerra civile
Alla morte di Giacomo, divenne re il figlio Carlo I, che inasprì ancora di più i suoi
rapporti con il Parlamento. Riprendendone il programma assolutistico, pretese che
le decisioni più importanti fossero prese da un Consiglio della Corona, composto da
funzionari fedelissimi del sovrano, esautorando in tutto e per tutto il parlamento
stesso; diede notevole importanza alla Camera stellata, un tribunale speciale contro
i suoi nemici e impose la Ship money, che divenne il simbolo della tirannide di
Carlo: questa tassa, di origine medioevale, veniva imposta in tempo di guerra alle
città costiere per il mantenimento della flotta ed era finalizzata alla difesa marittima
del paese. Il re pretendeva adesso di estenderla ad ogni città al di fuori della stessa
emergenza bellica. Il Parlamento rispose votando a larga maggioranza la Petition
of Rights, che riaffermava le prerogative della Magna Charta ribadendo che il re
non aveva il diritto di imporre tasse senza il consenso del Parlamento, e che
nessuno poteva essere arrestato senza autorizzazione del magistrato e processato
in tribunali speciali. Per tutta risposta, Carlo sciolse per 11 anni l’organismo
parlamentare. Ad un certo punto, tuttavia, convinto dal primate anglicano William
Laud, tento di imporre l’anglicanesimo in Scozia, ottenendo da questo paese una
accanita resistenza. Inoltre, aveva affidato al duca di Stafford, suo consigliere
fidato, l’amministrazione delle finanze e concesso a suoi favoriti, sulla base della
più arbitraria discrezione regia, licenze commerciali e posti chiave nelle compagnie
commerciali. Non meraviglia, pertanto, che proprio le città costiere più dinamiche e
quelle agrarie più ricche fossero le più insofferenti verso un monopolio economico
di questo tipo. Non avendo denaro sufficiente per preparare un esercito in grado di
domare la rivolta scozzese, Carlo I fu costretto a convocare il Parlamento, che
venne però sciolto dopo poche sedute, in quanto riottoso al volere regio (Corto
Parlamento); poco dopo, nel 1640, ci fu una nuova convocazione e il Parlamento
restò questa volta in carica per 13 anni. Con una legge detta Triennal act,
quest’ultimo ottenne la fine dei tribunali speciali e delle persecuzioni religiose e la
dichiarazione dell’illegalità della Ship money, che fu soppressa, in cambio della
concessione delle tasse volute da Carlo per finanziare la campagna contro gli
scozzesi. La norma più importante che venne strappata, come fa capire il nome
stesso della legge, fu la convocazione obbligatoria del Parlamento ogni tre anni.
Inoltre, il duca di Stafford e l’arcivescovo Laud vennero rimossi dal loro incarico (il
primo addirittura giustiziato).
Tuttavia, la partita era appena agli inizi. La rivolta dell’Irlanda cattolica,
definitivamente annessa all’Inghilterra sotto Enrico VIII, si ribellò al dominio
britannico. Il Parlamento, temendo per l’eccessivo potere che il re avrebbe avuto se
gli fosse stato concesso un esercito ancora più forte, sancì la Grande rimostranza
(1641), che ribadiva la centralità del parlamento stesso nel controllo dell’esercito e
dei suoi ministri; documento molto importante, perché inizia a farsi strada un
concetto cardine delle monarchie parlamentari e in genere di ogni stato
liberale, ossia la responsabilità del governo e dei suoi ministri di fronte al
parlamento e non al re. Carlo, che non voleva concedere altri benefici al
Parlamento, tentò di intimidirlo dando l’ordine di arresto (non riuscito) per 5
parlamentari della camera dei Comuni. La conseguenza fu la guerra civile e l’inizio
della prima rivoluzione inglese.
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3. Schieramenti in campo e vicende belliche. I dibattiti di Putney
Entrambi i contendenti schierarono i propri eserciti. Va subito chiarito che la parti in
lotta sono piuttosto variegate al loro interno, in modo particolare per quanto
concerne i ceti sociali: con il re si schierarono gran parte dell’aristocrazia e la
Chiesa anglicana, una piccola parte della gentry e quella alta borghesia che alla
corona doveva le proprie fortune; con il Parlamento stanno una piccola parte della
nobiltà, il grosso della gentry e i ceti medi di città e campagna, che sono in larga
parte puritani (di entrambi le fazioni esaminate). Possiamo fare anche una
distinzione a livello geografico, visto che le regioni più arretrate del nord – ovest si
alleano con il re, mentre quelle più ricche e dinamiche del sud – est con il
Parlamento. Va notato il particolare intreccio tra questioni politiche, religiose ed
economiche, oltre al fatto che i ceti più umili, il popolo insomma, restò piuttosto
estraneo a questa guerra, spesso non capendone le ragioni.
Prima di esaminare per sommi capi le vicende belliche, un cenno al concetto di
rivoluzione: esso si distingue nettamente dalla rivolta. Infatti, mentre quest’ultima è
un evento violento ma circoscritto nel tempo, ossia di breve durata, senza un
programma costruttivo di profondo rinnovamento politico – sociale, viceversa la
rivoluzione ha una durata maggiore, incide in modo molto più duraturo nelle vicende
storiche e ha un programma di vasto respiro, spesso di sovvertimento e di
palingenesi dell’ordinamento costituito. Gli eventi rivoluzionari sono spesso così
imprevedibili, oltre che violenti, da andare spesso oltre (se non addirittura contro) il
programma originario dei suoi promotori. Il termine rivoluzione, per concludere,
assume un carattere fondamentale nella seconda metà del ‘700 (quando
assisteremo a due fondamentali rivoluzioni, quella americana e francese), ma viene
usato per contrassegnare qualunque evento di totale rivolgimento dell’assetto
tradizionale, non solo in campo politico, ma anche scientifico (rivoluzione
scientifica) ed economico (rivoluzione industriale).
La guerra andò avanti stancamente fino al 1644, senza grandi sconvolgimenti; la
svolta avvenne quando a capo dell’esercito parlamentare si pose Oliver Cromwell
(1599-1658), un membro della gentry che creò un esercito sulla base di un sistema
di reclutamento del tutto nuovo: fissò una paga elevata per i suoi soldati e una
disciplina molto severa, per evitare che si abbandonassero al saccheggio. Inoltre, i
combattenti credevano ciecamente nella causa per la quale si battevano, anche
perché erano profondamente religiosi e passavano buona parte del loro tempo,
nelle pause delle battaglie, a leggere la Bibbia o ad ascoltare prediche. Il fervore
religioso, di stampo puritano, animava la loro azione e molti di loro erano in grado di
leggere e scrivere, cosicché la New Model Army (esercito di nuovo modello)
sarebbe diventato una fondamentale palestra di dibattito sia religioso che politico, in
grado di avanzare proposte tali da far considerare, come vedremo tra poco, la
rivoluzione inglese come il laboratorio politico dell’intera modernità.
Sulla base di questi presupposti, l’esercito di Cromwell inflisse due sconfitte
decisive a quello regio a Marston Moor nel 1644 e a Naseby nel 1645, e in seguito
a quest’ultima sconfitta il re fu fatto prigioniero. Lo schieramento antimonarchico,
tuttavia, era tutt’altro che compatto. Nel parlamento si stava facendo strada una
tendenza moderata, volta a pervenire ad un accordo con il re che ne limitasse i
poteri, per una sorta di monarchia costituzionale; costoro puntavano ad attuare il
modello presbiteriano in ambito religioso, con una chiesa di stato calvinista
subordinata al parlamento. Nell’esercito, le posizioni erano decisamente diverse.
Nel 1647, a Putney, ci fu un pubblico dibattito tra i due schieramenti in campo che
avevano idee piuttosto differenti (questo evento passa alla storia come dibattiti di
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Putney). Da un lato abbiamo i moderati, che fanno capo ad Ireton, genero di
Cromwell (dunque molto vicino a queste posizioni), radicati soprattutto nei quadri
superiori dell’esercito. Essi sono antimonarchici (credendo che il re sia ormai
delegittimato in virtù del suo comportamento), propendono per il suffragio censita
rio e per la netta indipendenza tra stato e chiesa (congregazionalisti, dunque).
Dall’altro, i livellatori, capeggiati da Rainborough, che possiamo definire dei
democratici ante litteram, poiché pensano a trasformare l’Inghilterra in una
repubblica fondata sul consenso popolare e quindi sul suffragio universale;
dichiarano illegittima la Camera dei Lords, puro retaggio del passato legato alla
conquista normanna (in seguito alla battaglia di Hastings, 1066), che aveva
affermato al regalità sacra e dunque posto le basi della stessa camera dei Lords. A
livello religioso, propugnano assoluta tolleranza. Il dibattito tra i due schieramenti fu
acceso, tanto che i moderati accusarono gli avversari di mettere in dubbio
l’esercizio stesso della proprietà privata: in realtà, tale accusa era decisamente
tendenziosa, perché i livellatori definirono invece la proprietà un diritto naturale. A
differenza dei primi, ritenevano che la sovranità dovesse spettare a tutto il popolo e
non solo ai cittadini proprietari.
4. L’abolizione della monarchia e il Protettorato di Cromwell
La fuga del re diede una decisa scossa agli eventi. Cromwell, vero protagonista di
questa fase, si mosse a questo punto su due versanti: realizzò un’epurazione del
Parlamento dei suoi membri più moderati, che avevano pensato di venire a patti
con Carlo e fu a capo della commissione che giudico il re colpevole di alto
tradimento. Egli venne giustiziato con la decapitazione il 30 gennaio 1649 e tale
evento suscitò profonda indignazione e commozione in Europa: per la prima volta
un popolo osava giudicare e condannare a morte un re per diritto divino. Dietro
questo vi è un principio chiave: il re non è al di sopra della legge e incrina l’essenza
stessa dell’assolutismo, cosa che Carlo contestò decisamente quando dovette
difendersi, sostenendo di essere vicario di Dio in terra. Per il suo popolo era orami
divenuto un funzionario a tutti gli effetti.
A seguito di questo evento drammatico, Il Parlamento abolì la monarchia, sciolse la
Camera dei Lords sostenendo che la sovranità spettava al popolo, sulla base di un
suffragio rigorosamente censitario e proclamava la repubblica (Commonwealth).
Stabilì poi la tolleranza religiosa per tutte le confessioni, eccezion fatta che per i
cattolici e la soppressione della Chiesa anglicana. Sempre in questo anno chiave
per la storia britannica, Cromwell fece arrestare i principali membri dei livellatori.
Essi, in carcere, redassero un documento definito Patto del popolo, considerato il
rimo esempio di costituzione moderna: oltre ai concetti già enunciati tipici del
movimento, esso sosteneva la separazione dei poteri e i diritti fondamentali
dell’individuo, tra cui il diritto di non rispondere a domande che potessero in qualche
modo danneggiarlo (ripreso, più tardi, dal V emendamento alla Costituzione
americana).
Come conseguenza di ciò, il malcontento si diffuse nella New Model Army, per cui
molti livellatori si ribellarono a Cromwell quando si trattò di reprimere la rivolta
irlandese, rifiutandosi di farlo. I reparti più radicali giunsero all’ammutinamento vero
e proprio, schiacciato con estrema durezza da Cromwell. A suo giudizio la
democrazia era un pericolo per la proprietà e andava combattuta. I suoi timori
aumentarono quando nel bienni 1649-50 si sviluppò un ulteriore movimento, i
cosiddetti diggers o zappatori. Guidati da Gerrard Winstanley, essi si definivano i
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veri livellatori, andando in realtà ben al di là di essi: mentre i levelers chiedevano
uguaglianza politica, essi si spingevano più in là, mirando all’uguaglianza
economica e sociale, definendo la proprietà un’invenzione diabolica. A differenza
degli anabattisti del ‘500, essi erano contrari alla violenza e volevano convincere
pacificamente con l’esempio della bontà delle proprie idee, puntando a creare
comunità socialiste in cui regnassero l’armonia e la giustizia sociale. Propugnavano
anche la piena libertà di culto. Rappresentando una sfida simbolica estremamente
pericolosa al sistema di potere dominante, Cromwell non esitò a sradicare anche
questo movimento con la forza.
Egli si autoproclamò Lord Protettore del Commonwealth di Inghilterra, Scozia e
Irlanda nel 1653 (carica che rivestì fino alla morte, avvenuta nel 1658), in teoria
controllato dal Parlamento, che poi verrà invece addirittura sciolto. Nel periodo del
suo dominio, che vide la sostanziale dittatura personale di Cromwell sui domini
britannici, egli represse duramente la rivolta irlandese, eliminò definitivamente
privilegi nobiliari e diritti feudali, dette ulteriore impulso alle enclosures, e favorì lo
sviluppo delle manifatture inglesi, dei commerci e della flotta, entrando in rotta di
collisione con l’Olanda. L’atto di navigazione del 1651 inaugurò il mercantilismo
britannico: questa legge stabiliva che le merci in uscita e in entrata dall’Inghilterra
dovevano essere trasportate con navi e con equipaggio inglesi, colpendo così gli
interessi olandesi. Questa norma non deve stupire, se si pensa che in quegli anni la
stragrande maggioranza dei commerci avveniva su navi di fabbricazione olandese,
straordinari nell’industria cantieristica, che riceveva così un duro colpo., favorendo
viceversa i settori più intraprendenti della borghesia inglese. La conseguenza vide
susseguirsi guerre commerciali con l’Olanda, che segnarono la vittoria britannica e
la conferma degli atti di navigazione. Il declino olandese era ancora lontano, ma
l’Inghilterra si stava preparando a sostituirsi a questo paese nel controllo ei
commerci. (anche se ciò avvenne solo a partire dal periodo a cavallo tra Sei e
Settecento).
5. Dalla restaurazione monarchica alla Gloriosa rivoluzione
Tentando di tramandare il suo potere, Cromwell rese ereditario il Protettorato nominando il
figlio legittimo erede, anche se non riuscì a sanare gli scontri, nel frattempo ripresi, tra
fazioni religiose. Alla sua morte, Il figlio Richard si dimostrò inadeguato ed inesperto per il
governo del paese. Tra l’altro le classi agiate, fossero esse la gentry o la borghesia
cittadina, iniziarono a mostrare timori per un contesto politico che avrebbe potuto favorire
soluzioni politiche radicali come quelle dei livellatori. Nello stesso esercito si profilò uno
scontro tra teste rotonde e cavalieri; a capo di questi ultimi si mise il generale Monck,
comandante delle armate del nord, che sconfisse l’ala più estremista dell’esercito, entrò a
Londra e si fece leggere ‘lord generale’. Poco dopo, un nuovo parlamento offrì la corona a
Carlo II Stuart, fratello del defunto Carlo I. In questo contesto si attuò una sorta di
restaurazione monarchica, anche se fu chiaro fin da subito che non si sarebbe potuto più
ignorare il ruolo del parlamento. Furono ricostituiti la Camera dei lords e la Chiesa
anglicana, ma il parlamento si affrettò ad emanare nel 1673 il Test Act, un decreto che
escludeva i cattolici dalle cariche pubbliche e dalla Camera dei lords.
Voleva essere la risposta ad un decreto regio dell’anno precedente, con il quale il re
proclamava la tolleranza verso protestanti e cattolici. Queste avvisaglie fanno capire che
tra Carlo II e parlamento inizia un attrito significativo: i parlamentari temevano il rischio di
una restaurazione cattolica e dell’assolutismo. Assai significativo è il fatto che il
parlamento britannico si divise in due schieramenti, che prefigurano il futuro bipolarismo
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politico britannico: da un lato i Tories, esponenti dell’aristocrazia e sostenitori
dell’anglicanesimo, ritenevano legittima a livello dinastico la successione al trono di
Giacomo II, fratello di Carlo e oltretutto cattolico; dall’altro i Whigs, fautori della libertà
religiosa e membri della borghesia cittadina, osteggiavano invece la futura incoronazione
di Giacomo, paventando il rischio di un ritorno al passato. I Whigs riuscirono a far
approvare nel 1679 una legge importante, l’Habeas Corpus Act, che vietava di
imprigionare una persona senza un regolare processo e senza diritto alla difesa. Alla
morte di Carlo II, la situazione era dunque piuttosto tesa. Nel 1685 suo fratello Giacomo II
poté diventare re e i timori di una parte consistente del parlamento divennero reali: il
cattolico Giacomo sospese i provvedimenti anticattolici e si scontrò con la Chiesa
anglicana. A questo punto, alcuni rappresentanti dei Whigs, insieme ad altri dei Tories,
scrissero una lettera a Guglielmo III d’Orange, capo dell’esercito olandese e genero di
giacomo II, avendone sposato la figlia Maria. Grazie alla potenza della sua flotta e al suo
esercito, nel 1688 Guglielmo sbarcò sulle coste inglesi e conquistò via via le più importanti
città, senza spargimento di sangue: evidentemente gli inglesi erano stanchi degli Stuart.
Giacomo fuggì dall’isola e si compì in tal modo la Gloriosa rivoluzione, così chiamata
proprio perché non comportò una rottura traumatica come la precedente. Un’assemblea
parlamentare appositamente nominata dichiarò Guglielmo re per volontà della nazione,
come volevano i whigs e Maria regina per diritto divino, come pretendevano i tories,
essendo la legittima discendente degli Stuart. Questa formula apparentemente
compromissoria non deve però ingannare: per poter diventare sovrano Giacomo dovette
accettare un documento emanato dal parlamento, il Bill of Rights, la dichiarazione dei
diritti, che pose le basi per far diventare l’Inghilterra una monarchia costituzionale
parlamentare: tale documento sanciva l’indipendenza del parlamento di fronte al sovrano,
con il compito di promulgare le leggi e di imporre le tasse; l’illegalità di dover mantenere un
esercito in tempo di pace; i diritti personali dei parlamentari e di tutti i cittadini, come la
libertà di parola, di stampa e di opinione; l’obbligo di convocare il parlamento ogni tre anni
e infine l’Atto di tolleranza, ossia la possibilità di professare il proprio culto liberamente,
eccezion fatta che per atei e cattolici. Dunque, una costituzione limita il potere del sovrano
che cessa di essere assoluto (sebbene non esista tutt’oggi un unico documento a
contrassegnare la costituzione inglese, ma un insieme di leggi che costituiscono il corpo
giuridico britannico, composto dalla Magna Charta del 1215, dalla Petition of Rights del
1628 e appunto il Bill of Rights). La monarchia inglese diverrà compitamente
parlamentare solo nel 1701, con L’Act of settlement, secondo cui i ministri del re
erano responsabili non di fronte al sovrano, ma al parlamento, di cui dovevano
avere la fiducia. La strada verso la democrazia sarà ancora lunga, perché solo una
minima parte degli inglesi aveva diritto di voto, ma la storia britannica era tracciata in modo
ormai indelebile.
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