LA RIVOLUZIONE INGLESE 1. Società, politica e
Transcript
LA RIVOLUZIONE INGLESE 1. Società, politica e
LA RIVOLUZIONE INGLESE 1. Società, politica e religione alla vigilia della rivoluzione Per comprendere la situazione dell’Inghilterra nei decenni che precedono la prima rivoluzione inglese, occorre tener presente il contesto economico e sociale di questo paese. Nei primi anni del XVII secolo l’Inghilterra è una potenza economica, ben diversa da quella uscita un 150 anni prima dalla guerra dei Cento anni: produce tessuti di lana a buon prezzo e di ottima qualità, ha dato impulso alle enclosures, nell’ottica di un’agricoltura gestita in senso capitalistico, è la seconda potenza marittima dopo l’Olanda e sarà destinata a scalzarla dal centro dell’economia mondo negli ultimi decenni del secolo. Londra, con il suo mezzo milione di abitanti, è la città più fiorente d’Europa, in un paese dove le altre località non superavano i 25.000 abitanti. Resta il fatto che l’agricoltura continuava ad essere il motore dell’economia. Fatte queste premesse, guardiamo quali sono i ceti in questo contesto ed iniziamo dalle campagne, epicentro appunto dell’economia. Il ceto dominante è rappresentato ancora dall’aristocrazia (duchi, conti, marchesi), che pur avendo ancora un prestigio indiscusso, ha perso molto del potere politico del passato: da Enrico VII Tudor in poi (ossia, dalla fine della guerre delle due rose, nella seconda metà del ‘400) la monarchia rappresenta il principale cardine della politica britannica. Anche a livello economico contano meno che in passato, a vantaggio del ceto emergente, la gentry, la nobiltà di campagna (peraltro assai variegata al suo interno), arricchitasi enormemente grazie alle enclosures e alla vendita delle terre della chiesa cattolica ai tempi di Enrico VIII. Gli esponenti di questo ceto hanno anche un ruolo centrale nel controllo politico delle campagne, dove amministrano la giustizia come giudici di pace. Il ceto medio è composto dalla gentry minore e dagli yeomen, i piccoli produttori indipendenti, in vigorosa ascesa negli ultimi tempi. Il ceto più basso vede tra i suoi membri i salariati agricoli, braccianti che vivono al livello di sussistenza. Analizzando parallelamente la situazione nelle città, in cima alla piramide abbiamo la grande borghesia, che si è arricchita grazie al ruolo di primo piano assunto nelle compagnie commerciali, spesso grazie agli ottimi rapporti con la corona. Troviamo poi un ceto medio assai attivo, composto da mercanti, artigiani, imprenditori e liberi professionisti e un ceto basso, di lavoratori salariati nelle manifatture cittadine e nelle città portuali. Resta il fatto che sia nelle campagne che nelle città il livello più infimo è rappresentato da un esercito di vagabondi, domestici e disoccupati. Veniamo al contesto politico. Alla morte di Elisabetta I, estintasi senza eredi la dinastia dei Tudor, diviene re Giacomo I Stuart, figlio di Maria Stuart e re di Scozia. I due regni vennero così a trovarsi uniti in una sola persona, dopo che per secoli gli inglesi avevano tentato di sottomettere questo paese, estremamente geloso della propria indipendenza specie da quando, agli inizi del ‘300, guidato da William Wallace (soprannominato Braveheart) aveva sconfitto l’esercito nemico. Giacomo realizzò una politica assai diversa da colei che lo aveva preceduto: riguardo al rapporto con gli altri stati, non intervenne nella guerra dei 30 anni, dimostrando di non voler danneggiare le potenze cattoliche; nella situazione interna, iniziò un logorante braccio di ferro con il Parlamento, soprattutto su un aspetto centrale: il diritto di imporre nuove tasse. Storicamente in Inghilterra era consuetudine che ciò fosse prerogativa del Parlamento, almeno dalla fine del ‘200 (cosa del resto preannunciata dalla Magna Charta del 1215). I sovrani, fino ad allora (compresa Elisabetta), non si erano sottratti a questo vincolo. Riguardo a ciò, si tenga presente che, a differenza di quando accade oggi, negli stati nazionali del tempo non vigeva un’unica forma di imposizione fiscale omogenea su tutto il territorio nazionale. Gli introiti della corona derivavano in parte 1 dai proventi relativi alle rendite delle terre di proprietà del re, che non bastavano tuttavia per mantenere un esercito e una burocrazia sempre più imponente e ramificata. Pertanto, lo stato si affidava a numerose imposte, che i sudditi erano tenuti a pagare: diritti di dogana, sul commercio, gabelle divario tipo, oltre ad ‘aiuti’ straordinari che le città, i contadini e gli stessi nobili dovevano al re in casi di emergenza, come in guerra. Per quest’ultimo tipo di tasse, in Inghilterra fu stabilito che era compito del parlamento autorizzarne di nuove, in modo da prevenire l’eventuale arbitrio del sovrano. Dunque il Parlamento britannico, pur non avendo il potere di promulgare leggi come sarà in seguito, avocava a sé un importante diritto. Il re governava dunque collaborando con esso, diversamente da quanto avveniva in Francia e in Spagna. Questa consuetudine era denominata King in Parliament, stando proprio a significare la concordia tra i due poteri. I problemi iniziano, per quella che sarà la principale causa della rivoluzione, quando Giacomo I, rivendicando in nome della regalità sacra il suo diritto a governare in modo assoluto, essendo egli re per diritto divino e quindi vicario di Dio sulla terra, pretende di avere l’ultima parola in materia fiscale. Il contrasto verte dunque sul fondamento e sull’esercizio stesso della sovranità (da chi deriva? Chi la esercita?). Il programma assolutistico del monarca prosegue con il rafforzamento dei tribunali composti da funzionari di nomina regia e la conseguente riduzione dei diritti delle corti tradizionali, gestite dalla gentry. Come se non bastasse, egli punta ad imporre anche l’anglicanesimo in Scozia e questo aspetto ci introduce all’altra questione capitale, quella religiosa, che nelle vicende rivoluzionarie si intreccia con quella politica. In Inghilterra la chiesa anglicana ha un notevole potere, che condivide con la corona e comanda sulla base di una concezione episcopalista, ossia fortemente gerarchica e piramidale: re, primate della Chiesa (l’arcivescovo di Canterbury), cardinali e vescovi, parrocchie. Tuttavia, anche in virtù del legame con il re e dei forti poteri accumulati, l’anglicanesimo è fortemente avversato dai calvinisti inglesi, i puritani, che a loro volta non costituiscono un fronte compatto, ma si dividono in due fazioni: da un lato i presbiteriani, che ispirandosi al modello scozzese, vorrebbero una chiesa di stato calvinista impostata su base ascendente e democratica, nella quale i vai consigli locali di fedeli, presieduti dai pastori, eleggevano i presbiteri (anziani), i capi della comunità aventi il compito di vigilare sulla moralità pubblica. Una chiesa di questo tipo era peraltro decisamente intollerante verso le altre confessioni religiose. Dall’altro, i congregazionalisti o indipendenti, che rivendicavano assoluta libertà di culto per le varie confessioni e l’abolizione di una chiesa di stato, visto che il potere politico e quello religioso dovevano essere rigorosamente separati. Entrambi gli schieramenti vedevano nell’anglicanesimo l’anticristo, cioè la negazione stessa del cristianesimo, rivolgendo ad esso la stessa critica che gli anglicani rivolsero a suo tempo alla chiesa cattolica ai tempi della guerra con Filippo II. Giacomo I impose il divieto di tutti quei culti che non fossero anglicani e perseguitò duramente i puritani (soprattutto gli indipendenti), un gruppo dei quali emigrò in America (i celebri Padri pellegrini della Mayflower). A riprova di come l’aspetto politico e quello religioso si intreccino, si noti la composizione del Parlamento inglese: la Camera dei Lords era composta da aristocratici e rappresentanti dell’alto clero, nominati dal re per via del titolo nobiliare (si noti che a differenza degli Stati generali francesi, il clero non ha in Inghilterra una rappresentanza autonoma); la Camera dei Comuni, si cui sedevano membri legati alle attività produttive, fondamentalmente borghesi, visto che venivano eletti da un corpo elettorale su base fortemente censitaria. Inoltre, mentre la Camera dei Lords era a stragrande maggioranza anglicana, quella dei comuni era puritana. La differenza non poteva dunque essere più netta. 2 2. Da Giacomo a Carlo I: lo scontro aperto e la guerra civile Alla morte di Giacomo, divenne re il figlio Carlo I, che inasprì ancora di più i suoi rapporti con il Parlamento. Riprendendone il programma assolutistico, pretese che le decisioni più importanti fossero prese da un Consiglio della Corona, composto da funzionari fedelissimi del sovrano, esautorando in tutto e per tutto il parlamento stesso; diede notevole importanza alla Camera stellata, un tribunale speciale contro i suoi nemici e impose la Ship money, che divenne il simbolo della tirannide di Carlo: questa tassa, di origine medioevale, veniva imposta in tempo di guerra alle città costiere per il mantenimento della flotta ed era finalizzata alla difesa marittima del paese. Il re pretendeva adesso di estenderla ad ogni città al di fuori della stessa emergenza bellica. Il Parlamento rispose votando a larga maggioranza la Petition of Rights, che riaffermava le prerogative della Magna Charta ribadendo che il re non aveva il diritto di imporre tasse senza il consenso del Parlamento, e che nessuno poteva essere arrestato senza autorizzazione del magistrato e processato in tribunali speciali. Per tutta risposta, Carlo sciolse per 11 anni l’organismo parlamentare. Ad un certo punto, tuttavia, convinto dal primate anglicano William Laud, tento di imporre l’anglicanesimo in Scozia, ottenendo da questo paese una accanita resistenza. Inoltre, aveva affidato al duca di Stafford, suo consigliere fidato, l’amministrazione delle finanze e concesso a suoi favoriti, sulla base della più arbitraria discrezione regia, licenze commerciali e posti chiave nelle compagnie commerciali. Non meraviglia, pertanto, che proprio le città costiere più dinamiche e quelle agrarie più ricche fossero le più insofferenti verso un monopolio economico di questo tipo. Non avendo denaro sufficiente per preparare un esercito in grado di domare la rivolta scozzese, Carlo I fu costretto a convocare il Parlamento, che venne però sciolto dopo poche sedute, in quanto riottoso al volere regio (Corto Parlamento); poco dopo, nel 1640, ci fu una nuova convocazione e il Parlamento restò questa volta in carica per 13 anni. Con una legge detta Triennal act, quest’ultimo ottenne la fine dei tribunali speciali e delle persecuzioni religiose e la dichiarazione dell’illegalità della Ship money, che fu soppressa, in cambio della concessione delle tasse volute da Carlo per finanziare la campagna contro gli scozzesi. La norma più importante che venne strappata, come fa capire il nome stesso della legge, fu la convocazione obbligatoria del Parlamento ogni tre anni. Inoltre, il duca di Stafford e l’arcivescovo Laud vennero rimossi dal loro incarico (il primo addirittura giustiziato). Tuttavia, la partita era appena agli inizi. La rivolta dell’Irlanda cattolica, definitivamente annessa all’Inghilterra sotto Enrico VIII, si ribellò al dominio britannico. Il Parlamento, temendo per l’eccessivo potere che il re avrebbe avuto se gli fosse stato concesso un esercito ancora più forte, sancì la Grande rimostranza (1641), che ribadiva la centralità del parlamento stesso nel controllo dell’esercito e dei suoi ministri; documento molto importante, perché inizia a farsi strada un concetto cardine delle monarchie parlamentari e in genere di ogni stato liberale, ossia la responsabilità del governo e dei suoi ministri di fronte al parlamento e non al re. Carlo, che non voleva concedere altri benefici al Parlamento, tentò di intimidirlo dando l’ordine di arresto (non riuscito) per 5 parlamentari della camera dei Comuni. La conseguenza fu la guerra civile e l’inizio della prima rivoluzione inglese. 3 3. Schieramenti in campo e vicende belliche. I dibattiti di Putney Entrambi i contendenti schierarono i propri eserciti. Va subito chiarito che la parti in lotta sono piuttosto variegate al loro interno, in modo particolare per quanto concerne i ceti sociali: con il re si schierarono gran parte dell’aristocrazia e la Chiesa anglicana, una piccola parte della gentry e quella alta borghesia che alla corona doveva le proprie fortune; con il Parlamento stanno una piccola parte della nobiltà, il grosso della gentry e i ceti medi di città e campagna, che sono in larga parte puritani (di entrambi le fazioni esaminate). Possiamo fare anche una distinzione a livello geografico, visto che le regioni più arretrate del nord – ovest si alleano con il re, mentre quelle più ricche e dinamiche del sud – est con il Parlamento. Va notato il particolare intreccio tra questioni politiche, religiose ed economiche, oltre al fatto che i ceti più umili, il popolo insomma, restò piuttosto estraneo a questa guerra, spesso non capendone le ragioni. Prima di esaminare per sommi capi le vicende belliche, un cenno al concetto di rivoluzione: esso si distingue nettamente dalla rivolta. Infatti, mentre quest’ultima è un evento violento ma circoscritto nel tempo, ossia di breve durata, senza un programma costruttivo di profondo rinnovamento politico – sociale, viceversa la rivoluzione ha una durata maggiore, incide in modo molto più duraturo nelle vicende storiche e ha un programma di vasto respiro, spesso di sovvertimento e di palingenesi dell’ordinamento costituito. Gli eventi rivoluzionari sono spesso così imprevedibili, oltre che violenti, da andare spesso oltre (se non addirittura contro) il programma originario dei suoi promotori. Il termine rivoluzione, per concludere, assume un carattere fondamentale nella seconda metà del ‘700 (quando assisteremo a due fondamentali rivoluzioni, quella americana e francese), ma viene usato per contrassegnare qualunque evento di totale rivolgimento dell’assetto tradizionale, non solo in campo politico, ma anche scientifico (rivoluzione scientifica) ed economico (rivoluzione industriale). La guerra andò avanti stancamente fino al 1644, senza grandi sconvolgimenti; la svolta avvenne quando a capo dell’esercito parlamentare si pose Oliver Cromwell (1599-1658), un membro della gentry che creò un esercito sulla base di un sistema di reclutamento del tutto nuovo: fissò una paga elevata per i suoi soldati e una disciplina molto severa, per evitare che si abbandonassero al saccheggio. Inoltre, i combattenti credevano ciecamente nella causa per la quale si battevano, anche perché erano profondamente religiosi e passavano buona parte del loro tempo, nelle pause delle battaglie, a leggere la Bibbia o ad ascoltare prediche. Il fervore religioso, di stampo puritano, animava la loro azione e molti di loro erano in grado di leggere e scrivere, cosicché la New Model Army (esercito di nuovo modello) sarebbe diventato una fondamentale palestra di dibattito sia religioso che politico, in grado di avanzare proposte tali da far considerare, come vedremo tra poco, la rivoluzione inglese come il laboratorio politico dell’intera modernità. Sulla base di questi presupposti, l’esercito di Cromwell inflisse due sconfitte decisive a quello regio a Marston Moor nel 1644 e a Naseby nel 1645, e in seguito a quest’ultima sconfitta il re fu fatto prigioniero. Lo schieramento antimonarchico, tuttavia, era tutt’altro che compatto. Nel parlamento si stava facendo strada una tendenza moderata, volta a pervenire ad un accordo con il re che ne limitasse i poteri, per una sorta di monarchia costituzionale; costoro puntavano ad attuare il modello presbiteriano in ambito religioso, con una chiesa di stato calvinista subordinata al parlamento. Nell’esercito, le posizioni erano decisamente diverse. Nel 1647, a Putney, ci fu un pubblico dibattito tra i due schieramenti in campo che avevano idee piuttosto differenti (questo evento passa alla storia come dibattiti di 4 Putney). Da un lato abbiamo i moderati, che fanno capo ad Ireton, genero di Cromwell (dunque molto vicino a queste posizioni), radicati soprattutto nei quadri superiori dell’esercito. Essi sono antimonarchici (credendo che il re sia ormai delegittimato in virtù del suo comportamento), propendono per il suffragio censita rio e per la netta indipendenza tra stato e chiesa (congregazionalisti, dunque). Dall’altro, i livellatori, capeggiati da Rainborough, che possiamo definire dei democratici ante litteram, poiché pensano a trasformare l’Inghilterra in una repubblica fondata sul consenso popolare e quindi sul suffragio universale; dichiarano illegittima la Camera dei Lords, puro retaggio del passato legato alla conquista normanna (in seguito alla battaglia di Hastings, 1066), che aveva affermato al regalità sacra e dunque posto le basi della stessa camera dei Lords. A livello religioso, propugnano assoluta tolleranza. Il dibattito tra i due schieramenti fu acceso, tanto che i moderati accusarono gli avversari di mettere in dubbio l’esercizio stesso della proprietà privata: in realtà, tale accusa era decisamente tendenziosa, perché i livellatori definirono invece la proprietà un diritto naturale. A differenza dei primi, ritenevano che la sovranità dovesse spettare a tutto il popolo e non solo ai cittadini proprietari. 4. L’abolizione della monarchia e il Protettorato di Cromwell La fuga del re diede una decisa scossa agli eventi. Cromwell, vero protagonista di questa fase, si mosse a questo punto su due versanti: realizzò un’epurazione del Parlamento dei suoi membri più moderati, che avevano pensato di venire a patti con Carlo e fu a capo della commissione che giudico il re colpevole di alto tradimento. Egli venne giustiziato con la decapitazione il 30 gennaio 1649 e tale evento suscitò profonda indignazione e commozione in Europa: per la prima volta un popolo osava giudicare e condannare a morte un re per diritto divino. Dietro questo vi è un principio chiave: il re non è al di sopra della legge e incrina l’essenza stessa dell’assolutismo, cosa che Carlo contestò decisamente quando dovette difendersi, sostenendo di essere vicario di Dio in terra. Per il suo popolo era orami divenuto un funzionario a tutti gli effetti. A seguito di questo evento drammatico, Il Parlamento abolì la monarchia, sciolse la Camera dei Lords sostenendo che la sovranità spettava al popolo, sulla base di un suffragio rigorosamente censitario e proclamava la repubblica (Commonwealth). Stabilì poi la tolleranza religiosa per tutte le confessioni, eccezion fatta che per i cattolici e la soppressione della Chiesa anglicana. Sempre in questo anno chiave per la storia britannica, Cromwell fece arrestare i principali membri dei livellatori. Essi, in carcere, redassero un documento definito Patto del popolo, considerato il rimo esempio di costituzione moderna: oltre ai concetti già enunciati tipici del movimento, esso sosteneva la separazione dei poteri e i diritti fondamentali dell’individuo, tra cui il diritto di non rispondere a domande che potessero in qualche modo danneggiarlo (ripreso, più tardi, dal V emendamento alla Costituzione americana). Come conseguenza di ciò, il malcontento si diffuse nella New Model Army, per cui molti livellatori si ribellarono a Cromwell quando si trattò di reprimere la rivolta irlandese, rifiutandosi di farlo. I reparti più radicali giunsero all’ammutinamento vero e proprio, schiacciato con estrema durezza da Cromwell. A suo giudizio la democrazia era un pericolo per la proprietà e andava combattuta. I suoi timori aumentarono quando nel bienni 1649-50 si sviluppò un ulteriore movimento, i cosiddetti diggers o zappatori. Guidati da Gerrard Winstanley, essi si definivano i 5 veri livellatori, andando in realtà ben al di là di essi: mentre i levelers chiedevano uguaglianza politica, essi si spingevano più in là, mirando all’uguaglianza economica e sociale, definendo la proprietà un’invenzione diabolica. A differenza degli anabattisti del ‘500, essi erano contrari alla violenza e volevano convincere pacificamente con l’esempio della bontà delle proprie idee, puntando a creare comunità socialiste in cui regnassero l’armonia e la giustizia sociale. Propugnavano anche la piena libertà di culto. Rappresentando una sfida simbolica estremamente pericolosa al sistema di potere dominante, Cromwell non esitò a sradicare anche questo movimento con la forza. Egli si autoproclamò Lord Protettore del Commonwealth di Inghilterra, Scozia e Irlanda nel 1653 (carica che rivestì fino alla morte, avvenuta nel 1658), in teoria controllato dal Parlamento, che poi verrà invece addirittura sciolto. Nel periodo del suo dominio, che vide la sostanziale dittatura personale di Cromwell sui domini britannici, egli represse duramente la rivolta irlandese, eliminò definitivamente privilegi nobiliari e diritti feudali, dette ulteriore impulso alle enclosures, e favorì lo sviluppo delle manifatture inglesi, dei commerci e della flotta, entrando in rotta di collisione con l’Olanda. L’atto di navigazione del 1651 inaugurò il mercantilismo britannico: questa legge stabiliva che le merci in uscita e in entrata dall’Inghilterra dovevano essere trasportate con navi e con equipaggio inglesi, colpendo così gli interessi olandesi. Questa norma non deve stupire, se si pensa che in quegli anni la stragrande maggioranza dei commerci avveniva su navi di fabbricazione olandese, straordinari nell’industria cantieristica, che riceveva così un duro colpo., favorendo viceversa i settori più intraprendenti della borghesia inglese. La conseguenza vide susseguirsi guerre commerciali con l’Olanda, che segnarono la vittoria britannica e la conferma degli atti di navigazione. Il declino olandese era ancora lontano, ma l’Inghilterra si stava preparando a sostituirsi a questo paese nel controllo ei commerci. (anche se ciò avvenne solo a partire dal periodo a cavallo tra Sei e Settecento). 5. Dalla restaurazione monarchica alla Gloriosa rivoluzione Tentando di tramandare il suo potere, Cromwell rese ereditario il Protettorato nominando il figlio legittimo erede, anche se non riuscì a sanare gli scontri, nel frattempo ripresi, tra fazioni religiose. Alla sua morte, Il figlio Richard si dimostrò inadeguato ed inesperto per il governo del paese. Tra l’altro le classi agiate, fossero esse la gentry o la borghesia cittadina, iniziarono a mostrare timori per un contesto politico che avrebbe potuto favorire soluzioni politiche radicali come quelle dei livellatori. Nello stesso esercito si profilò uno scontro tra teste rotonde e cavalieri; a capo di questi ultimi si mise il generale Monck, comandante delle armate del nord, che sconfisse l’ala più estremista dell’esercito, entrò a Londra e si fece leggere ‘lord generale’. Poco dopo, un nuovo parlamento offrì la corona a Carlo II Stuart, fratello del defunto Carlo I. In questo contesto si attuò una sorta di restaurazione monarchica, anche se fu chiaro fin da subito che non si sarebbe potuto più ignorare il ruolo del parlamento. Furono ricostituiti la Camera dei lords e la Chiesa anglicana, ma il parlamento si affrettò ad emanare nel 1673 il Test Act, un decreto che escludeva i cattolici dalle cariche pubbliche e dalla Camera dei lords. Voleva essere la risposta ad un decreto regio dell’anno precedente, con il quale il re proclamava la tolleranza verso protestanti e cattolici. Queste avvisaglie fanno capire che tra Carlo II e parlamento inizia un attrito significativo: i parlamentari temevano il rischio di una restaurazione cattolica e dell’assolutismo. Assai significativo è il fatto che il parlamento britannico si divise in due schieramenti, che prefigurano il futuro bipolarismo 6 politico britannico: da un lato i Tories, esponenti dell’aristocrazia e sostenitori dell’anglicanesimo, ritenevano legittima a livello dinastico la successione al trono di Giacomo II, fratello di Carlo e oltretutto cattolico; dall’altro i Whigs, fautori della libertà religiosa e membri della borghesia cittadina, osteggiavano invece la futura incoronazione di Giacomo, paventando il rischio di un ritorno al passato. I Whigs riuscirono a far approvare nel 1679 una legge importante, l’Habeas Corpus Act, che vietava di imprigionare una persona senza un regolare processo e senza diritto alla difesa. Alla morte di Carlo II, la situazione era dunque piuttosto tesa. Nel 1685 suo fratello Giacomo II poté diventare re e i timori di una parte consistente del parlamento divennero reali: il cattolico Giacomo sospese i provvedimenti anticattolici e si scontrò con la Chiesa anglicana. A questo punto, alcuni rappresentanti dei Whigs, insieme ad altri dei Tories, scrissero una lettera a Guglielmo III d’Orange, capo dell’esercito olandese e genero di giacomo II, avendone sposato la figlia Maria. Grazie alla potenza della sua flotta e al suo esercito, nel 1688 Guglielmo sbarcò sulle coste inglesi e conquistò via via le più importanti città, senza spargimento di sangue: evidentemente gli inglesi erano stanchi degli Stuart. Giacomo fuggì dall’isola e si compì in tal modo la Gloriosa rivoluzione, così chiamata proprio perché non comportò una rottura traumatica come la precedente. Un’assemblea parlamentare appositamente nominata dichiarò Guglielmo re per volontà della nazione, come volevano i whigs e Maria regina per diritto divino, come pretendevano i tories, essendo la legittima discendente degli Stuart. Questa formula apparentemente compromissoria non deve però ingannare: per poter diventare sovrano Giacomo dovette accettare un documento emanato dal parlamento, il Bill of Rights, la dichiarazione dei diritti, che pose le basi per far diventare l’Inghilterra una monarchia costituzionale parlamentare: tale documento sanciva l’indipendenza del parlamento di fronte al sovrano, con il compito di promulgare le leggi e di imporre le tasse; l’illegalità di dover mantenere un esercito in tempo di pace; i diritti personali dei parlamentari e di tutti i cittadini, come la libertà di parola, di stampa e di opinione; l’obbligo di convocare il parlamento ogni tre anni e infine l’Atto di tolleranza, ossia la possibilità di professare il proprio culto liberamente, eccezion fatta che per atei e cattolici. Dunque, una costituzione limita il potere del sovrano che cessa di essere assoluto (sebbene non esista tutt’oggi un unico documento a contrassegnare la costituzione inglese, ma un insieme di leggi che costituiscono il corpo giuridico britannico, composto dalla Magna Charta del 1215, dalla Petition of Rights del 1628 e appunto il Bill of Rights). La monarchia inglese diverrà compitamente parlamentare solo nel 1701, con L’Act of settlement, secondo cui i ministri del re erano responsabili non di fronte al sovrano, ma al parlamento, di cui dovevano avere la fiducia. La strada verso la democrazia sarà ancora lunga, perché solo una minima parte degli inglesi aveva diritto di voto, ma la storia britannica era tracciata in modo ormai indelebile. 7