“La rivoluzione americana”: confronto tra la dieta iperproteica di

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“La rivoluzione americana”: confronto tra la dieta iperproteica di
Editoriale
Vol. 95, N. 9, Settembre 2004
“La rivoluzione americana”:
confronto tra la dieta iperproteica di Atkins
e quella mediterranea di Keys
Maria Luisa Eliana Luisi 1, Gian Franco Gensini 2
Riassunto. Dalla fine dell’800 si assiste periodicamente ad un rinnovato interesse per
diete a basso tenore di carboidrati ed alto tenore di proteine. Dagli anni ’70 il medico
newyorkese Robert Atkins è stato il maggior promotore e sostenitore di questo modello
dietetico che definì «Diet Revolution». L’efficacia di questo schema dietetico e la sua eventuale nocività sono tuttora oggetto di discussione.
Parole chiave. Dieta iperproteica, dieta mediterranea, malattie cardiovascolari, prevenzione.
Summary. Comparison between low-carbohydrate and mediterranean diet.
Since seventies Robert Atkins promoted a low-carbohydrate, high-protein diet without calories counting. This dietetic approach, first described at the end of 1960 and periodically devised by different authors, is yet object of scientific discussion for its efficacy and safety.
Key words. Cardiovascular diseases, low carbohydrate diet, mediterranean diet, prevention.
La dieta Atkins
Negli anni settanta Robert Atkins iniziò a diffondere quella che egli definì «una rivoluzione in
ambito dietologico». Si trattava di uno schema alimentare con un contenuto in carboidrati ridotto
rispetto a quello in proteine e grassi. Da allora si
discute sull’efficacia ed eventuale nocività di questo
schema 1.
La riduzione del peso attraverso una dieta povera di carboidrati non era comunque una novità.
Alla fine dell’ottocento, un chirurgo inglese, William Harvey 2, inventò una dieta che aboliva il consumo di dolci e amidacei, permettendo il consumo
ad libitum della carne. Un suo paziente, William
Banting, attestò l’efficacia della dieta nella “Letter
on corpulence, addressed to the public” 3.
Dai primi del novecento c’è stata una recrudescenza ciclica di diete simili, che avevano in comune un bassissimo contenuto di carboidrati, senza
alcuna restrizione dei grassi, delle proteine e delle
calorie in genere.
Alcune varianti della dieta erano state descritte nel 1958 da Pennington (Treatment of obesity
with calorically unrestricted diets) 4,5; nel 1960 una
dieta simile era stata pubblicata come Air Force
diet 6; e nel 1961 da Taller (Calories don’t count) 7;
nel 1964 come Drinking man’s diet da Jameson e
Williams 8, da Stillman nel 1967: The doctors’ quick
weight loss diet 9. Infine, da Atkins nel 1972 come
Dr Atkins’ diet revolution 1.
Questo modello dietetico, dunque, con le sue diverse definizioni e i suoi diversi proponenti e sostenitori, presenta – come tutte le mode – periodi
di decadenza e di rinascita 10.
La dieta mediterranea
È ancora uno studioso statunitense, Ancel
Keys, negli anni ’50, durante un viaggio a Napoli,
ad individuare uno stile alimentare completamente diverso: prevalentemente vegetariano, capace di ridurre la mortalità per le malattie cardiovascolari e per alcune neoplasie, lo stile che
egli stesso definì «Good Mediterranean diet» 11. Le
principali caratteristiche di quella che noi definiamo dieta mediterranea emerse dallo studio di
Keys nel “Seven Countries Study” 12 sono: l’abbondanza di cibi di origine vegetale (frutta, verdura, cereali integrali, noci e legumi); l’olio extravergine di oliva come principale fonte di grassi; il
pesce ed il pollame in modesta quantità; un basso
consumo di carne rossa; un moderato consumo di
vino rosso durante i pasti 13.
1
Fondazione Don Gnocchi, Centro S. Maria agli Ulivi IRCCS, Pozzolatico, Firenze; 2 Dipartimento di Area Critica Medico Chirurgica, Università, Firenze.
Pervenuto il 12 marzo 2003.
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Recenti Progressi in Medicina, 95, 9, 2004
La peculiarità di questo stile alimentare è il
prevalente consumo di carboidrati complessi rispetto a quelli semplici; l’accusa che viene fatta
dai sostenitori delle diete iperproteiche verso i
regimi ad alto contenuto in carboidrati tiene raramente conto di questo aspetto. Se l’aumento
del numero di obesi e di diabetici negli Stati Uniti d’America è attribuibile all’elevato consumo di
carboidrati, questo è dovuto all’eccessivo introito
di carboidrati semplici; inoltre, la pasta consumata negli Stati Uniti è di farina di grano tenero (la nostra è di farina di grano duro) con un differente impatto sull’indice glicemico e quindi in
termini di risposta insulinica e di aumento ponderale.
Trichopoulou ha pubblicato, nel giugno 2003 sul
New England Journal of Medicine, i dati relativi ad
uno studio prospettico che ha coinvolto 22043 greci adulti in apparente buona salute ai quali è stato
somministrato il questionario EPIC (European
Prospective Investigation into Cancer and Nutrition) per la valutazione del tipo di alimentazione
seguita 14. I dati raccolti hanno mostrato una mortalità significativamente più bassa per malattie
cardiovascolari e neoplastiche in quei soggetti che
avevano maggiormente aderito agli standard della
dieta mediterranea, rispetto agli altri 15.
Bisogna però ricordare che i Paesi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo sono molti e gli
stili alimentari anche. Dunque, non tutti gli schemi alimentari di questi Paesi che oramai si sono
“occidentalizzati” presentando un aumento nella
dieta di grassi saturi, zuccheri semplici e di calorie
totali, vanno presi ad esempio 16.
Lo schema dietetico di riferimento rimane quello indicato da Keys e in un’ottica di prevenzione di
malattia si devono tener presenti altri aspetti comportamentali determinanti come, per esempio, la
regolarità con cui si esercita attività fisica.
Il confronto
Ancora oggi è oggetto di discussione scientifica
quale tra queste due diverse concezioni dietetiche
(basso o alto contenuto in carboidrati) sia quella
che comporta maggiori vantaggi in termini di riduzione del peso, di mantenimento di quello ideale e di prevenzione della mortalità e morbilità
(U.S. Department of Agriculture’s Symposium:
The great nutrition debate. February 24, 2000,
Washington).
Un interessante confronto è quello riportato in
JAMA dell’aprile 2003 tra R. Atkins (dieta a basso
contenuto in carboidrati: meno del 10%, e alto contenuto in grassi: più del 40%), D. Ornish, Fondatore e Presidente dell’Istituto di Ricerca di Medicina Preventiva, in Sausalito, California, (dieta con
meno del 10% delle calorie totali in grassi) e T.
Wadden, Professore di Psicologia e Direttore all’Università della Pennsylvania del Corso sui disturbi del comportamento alimentare. Tale confronto è
scaturito dalla discussione, pubblicata sul New
York Times Sunday Magazine del 7 luglio 2003, riguardo alla perdita di peso corporeo ed all’efficacia
delle diete iperproteiche e ipoglicidiche.
Atkins sostiene che in ambito scientifico vi sia
un preconcetto che vede le diete a basso contenuto di grassi come “buone” e cita a proprio favore il
lavoro presentato nel novembre 2002 da E. Westman 17 (lavoro commissionato dalla Atkins Foundation) in occasione dell’Annual Scientific Session
dell’AHA (American Heart Association). Questo
studio riporta un confronto tra diete a basso ed alto contenuto in carboidrati; nelle diete a basso
contenuto in carboidrati si ha una più evidente
perdita di peso e di trigliceridi plasmatici e le
HDL aumentano maggiormente rispetto a quelle
rilevate nelle diete ad alto contenuto in carboidrati. Ornish, che propone una dieta prevalentemente vegetariana 18, sottolinea che la dieta proposta da Atkins valuta solo alcuni fattori di rischio, quali la perdita di peso ed un ridotto livello
di trigliceridi, ma non esiste dimostrazione che
questo schema alimentare possa rendere reversibile la malattia cardiaca coronarica. Inoltre, osserva che solamente ai pazienti che seguivano la
dieta di Atkins veniva somministrato olio di pesce
e di semi di lino e questo può ulteriormente spiegare i risultati ottenuti. Per Wadden, invece, la
perdita di peso è soltanto una questione di calorie
totali assunte, indipendentemente dalla qualità
dei macronutrienti introdotti e il problema dell’obesità è generato dal fatto che introduciamo in assoluto troppe calorie in confronto a quanto consumiamo con l’attività fisica 19.
Nel 2001 è stato pubblicato su Circulation il
”Dietary Protein and Weight Reduction. A Statement for Healthcare Professionals from the Nutrition Committee of the Council on Nutrition,
Physical Activity, and Metabolism of the American
Heart Association”, documento in cui si sostiene,
inoltre, che gli effetti positivi sui lipidi plasmatici
e sulla resistenza insulinica indotti dalla dieta
iperproteica sono dovuti alla perdita di peso in sé
e non al cambiamento della composizione in termini di calorie della dieta 20.
Nel maggio 2003, New England Journal of Medicine ha pubblicato i risultati di uno studio randomizzato di Foster sulla dieta a basso contenuto
di carboidrati nell’obesità 21. Questo trial controllato, multicentrico, della durata di un anno, ha
coinvolto 63 obesi (20 uomini e 43 donne). Criteri
di esclusione: soggetti affetti da gravi malattie,
diabetici, soggetti in terapia con farmaci per l’obesità o anti-dislipidemici, soggetti in gravidanza o
in allattamento. I pazienti erano assegnati in maniera random a seguire una dieta a basso contenuto in carboidrati, alto in proteine e grassi (dieta
di Atkins), oppure una dieta convenzionale con poche calorie, alto contenuto in carboidrati e basso
contenuto di grassi. I pazienti che hanno seguito la
dieta di Atkins, a tre e sei mesi dall’inizio dello studio avevano raggiunto un peso significativamente
più basso rispetto a quelli che seguivano una dieta convenzionale.
MLE. Luisi, GF. Gensini: Confronto tra la dieta iperproteica di Atkins e quella mediterranea di Keys
A 12 mesi, però, la differenza di perdita di peso tra i due gruppi non era significativa. A tre
mesi non si sono trovate differenze significative
tra i due gruppi in termini di colesterolo totale o
LDL (Low Density Lipoprotein). Durante quasi
tutto lo studio si è osservato un aumento di concentrazione delle HDL (High Density Lipoprotein) e di riduzione di concentrazione dei trigliceridi nei pazienti che seguivano la dieta a basso contenuto in carboidrati, rispetto a quelli che
seguivano la dieta convenzionale. Nei due gruppi si è omologamente rilevato un abbassamento
della pressione arteriosa sistolica ed un aumento della risposta insulinica ad un carico orale di
glucosio. In conclusione, la dieta a basso contenuto di carboidrati induce una perdita di peso
maggiore del 4 %, rispetto a quella convenzionale, nei primi 6 mesi ma non dopo un anno. La
dieta a basso contenuto di carboidrati è associata ad un miglioramento di alcuni fattori di rischio di malattia cardiovascolare; l’aderenza alle due diete è stata scarsa in tutti e due i gruppi
valutati. L’autore conclude che più lunghi e ampi studi devono essere effettuati per determinare l’innocuità e l’efficacia della dieta ad alto contenuto in grassi e proteine e basso contenuto in
carboidrati.
Ancora su New England Journal of Medicine
troviamo un articolo che confronta una dieta a
basso contenuto di carboidrati con una a basso
contenuto calorico e di grassi 22 in 132 pazienti
obesi (BMI medio 43) con alta prevalenza di diabete (39%) o sindrome metabolica (43%). A sei
mesi, la perdita di peso è maggiore negli obesi
con alta prevalenza di diabete o sindrome metabolica che hanno seguìto una dieta con bassi livelli di carboidrati; la loro sensibilità all’insulina
è maggiore e il livello di trigliceridi è diminuito
(aggiustando per la quantità di peso perduto).
Secondo gli Autori, però, questi dati devono essere letti con cautela per numero ridotto di soggetti studiati, per la differenza in termini di perdita di peso e per la breve durata dello studio.
Anche in questo caso gli Autori ritengono necessari nuovi studi che valutino gli esiti cardiovascolari a lungo termine prima che si possa scegliere di prescrivere una dieta a basso contenuto
di carboidrati.
Bisogna inoltre ricordare che l’adozione di un
regime alimentare controllato nei Paesi occidentali ricchi è motivata, oltre che da fini di prevenzione primaria o secondaria, anche da finalità meramente estetiche. Nei due casi, comunque, si riscontrano difficoltà a seguire e mantenere a lungo
il regime prescelto. Da questo deriva il gran numero e varietà di schemi dietetici offerti dal mercato, che ha visto sin dall’esordio una enorme opportunità di speculazione commerciale 23. A causa
della difficoltà a mantenere un regime alimentare
adeguato, quindi, le diverse culture tendono a produrre schemi che partono dalle abitudini alimentari originali.
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Questa chiave di lettura potrebbe dare una ragione del successo della dieta Atkins nei paesi nord
europei e anglosassoni che, come noto, consumano
abitualmente molti grassi e proteine. A questo si
contrappone l’entusiasmo, sin dall’antichità, dei
Paesi del bacino del mediterraneo nei confronti di
una dieta ricca di carboidrati complessi, frutta e
verdura 24,25.
Nonostante l’importanza dell’approccio in termini di concordanza col paziente, alla luce di quanto sopra resta fondamentale – in una logica di medicina basata sull’evidenza – valutare l’effettivo
valore delle due diete in termini di risultati clinici.
Lo stato dell’arte è il seguente:
1. Esiste evidenza che la dieta mediterranea in
associazione ad un corretto stile di vita previene le
malattie cardiovascolari o neoplastiche sia in senso primario che secondario 26,27,28.
2. Lo schema dietetico mediterraneo è consigliabile dall’età di due anni per tutti gli individui
sani e per i pazienti affetti da malattie croniche
come sindrome metabolica, diabete mellito, insufficienza renale, malattia cardiovascolare, obesità 29-32.
3. Non esiste evidenza che la dieta mediterranea sia nociva 33.
4. Non esiste evidenza che la dieta di Atkins sia
a breve termine nociva 21,34, ma si può obiettare
che l’escrezione dei chetoni (anioni prodotti dal
metabolismo degli acidi grassi indotto dalla carenza di carboidrati) in diete che contengono meno di
50g/die di carboidrati, necessita di cationi che possono derivare dal cibo o dai depositi corporei di cui
il maggiore è il compartimento osseo. Chetosi prolungate possono indurre quindi perdita di mineralizzazione ossea 35.
5. La dieta di Atkins non è prescrivibile a pazienti diabetici o con disfunzioni renali (per i quali sono indicate diete a basso contenuto proteico) 36,37.
6. Non è dimostrato che la dieta di Atkins prevenga le malattie cardiovascolari o neoplastiche.
Conclusioni
La dieta di Atkins induce a breve termine un
buon calo ponderale e riduce alcuni fattori di rischio cardiovascolare, ma una dieta iperproteica
può anche essere associata ad un aumento dei fattori di rischio aortocoronarici dovuti al maggior introito di grassi saturi e di colesterolo di cui sono
ricche le carni animali 20.
La dieta mediterranea fa parte di uno stile di
vita che previene a lungo termine la mortalità per
malattia cardiovascolare, per alcune neoplasie e
per alcune malattie croniche 38.
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Non esiste sufficiente evidenza per raccomandare o sconsigliare diete a basso contenuto in carboidrati (20g/die o meno) per più di 90 giorni in
soggetti ultracinquantenni. Dagli studi pubblicati
la perdita di peso dei soggetti che hanno seguìto
una dieta a basso contenuto di carboidrati è principalmente associata ad una riduzione delle calorie
introdotte ed alla durata della dieta ma non al ridotto contenuto in carboidrati 39. Diete prevalentemente proteiche non sono però raccomandabili
perché attuano una restrizione dietetica di cibi che
forniscono nutrienti essenziali al mantenimento
della salute. Chi segue questi regimi alimentari rischia un deficit di minerali, vitamine (vit. A,E,B, a.
folico, calcio, potassio, ferro) e di fibre, potenzialmente dannoso per il cuore, il rene l’osso ed il fegato.
In sintesi
Le diete ipocaloriche inducono calo ponderale. In assenza di esercizio fisico, diete che contengono 14001500 kcal, indipendentemente dalla composizione,
fanno perdere peso.
Le diete ricche in grassi e povere in carboidrati inducono perdita di peso, perché l’introito di grassi e
proteine è autolimitante e di conseguenza l’introito
totale di nutrienti si riduce.
Diete a basso o bassissimo contenuto in grassi e ricche di cereali integrali, frutta e verdura sono naturalmente ricche di fibra e di acqua, hanno un elevato potere saziante ed una limitata densità energetica e quindi favoriscono il controllo dell’introduzione
energetica.
Diete con riduzione bilanciata dei nutrienti inducono perdita di peso, anche se condotte ad libitum.
A lungo tempo, una dieta sana deve essere bilanciata
ed associata a costante attività fisica; un bilancio calorico negativo in termini quantitativi tra entrate e
uscite è, da solo, responsabile del calo ponderale, indipendentemente dalla qualità dei nutrienti 20,23,40,41.
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Indirizzo per la corrispondenza:
Dott. Maria Luisa Eliana Luisi
Fondazione Don Gnocchi, Centro S. Maria agli Ulivi
IRCCS
Via Imprunetana, 124
50020 Pozzolatico (Firenze)
E-mail: [email protected]
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