La sicurezza negli stadi. Il nuovo modello organizzativo per la

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La sicurezza negli stadi. Il nuovo modello organizzativo per la
Nicola Ferrigni*
LA SICUREZZA NEGLI STADI
IL NUOVO MODELLO ORGANIZZATIVO DELLO STADIO OLIMPICO DI ROMA
1. Introduzione
In Italia, uno degli ambiti più problematici di gestione della sicurezza è storicamente rappresentato dalle manifestazioni sportive che, per loro stessa natura, costituiscono luoghi e momenti
di aggregazione sociale caratterizzati da un forte impatto emotivo/passionale, e in cui il desiderio
di esprimere il proprio tifo nei confronti di un atleta o di una squadra si incontra/scontra con il
tifo dei sostenitori dell’avversario, per non dire di quei casi in cui esso sfocia in episodi di pura e
semplice violenza (Dal Lago 2001; Porro 2011; Cucci, Germano 2003; Gallo, Massucci 2011). A
ciò si aggiunge che, nelle manifestazioni sportive, il problema della sicurezza sovente travalica
le mura degli stadi, dei palazzetti dello sport e, in genere, del campo di gara, per estendersi
invece nel tempo e nello spazio anche a tutto ciò che accade al di fuori, nonché al “prima” e al
“dopo” lo svolgimento della manifestazione sportiva (Massucci, Ferrigni 2013; Ferrigni 2015).
A conferma di ciò, gli ultimi anni hanno registrato un grande sforzo di aggiornamento della
normativa di settore e un impegno costante da parte delle Istituzioni, sportive e non, per soddisfare la domanda sempre crescente di sicurezza da parte della società, perché è indubbio che,
a fronte di frange di tifo violento, c’è in Italia un’ampia parte del pubblico che si reca sui campi
di gara animato dal desiderio di partecipare, di vivere in prima persona il clima di festa di evento
sportivo (Roversi 1992; Salvini 2008; Massucci, Ferrigni 2013). È in quest’ottica che, nel 1999, il
Ministero dell’Interno – di concerto con il Ministero per le Attività culturali – costituisce l’Osservatorio Nazionale sulle Manifestazioni Sportive1. In particolare, all’Osservatorio sono affidati
compiti di coordinamento centrale delle iniziative da attuare in occasione di incontri ritenuti particolarmente a rischio, nonché compiti di proposta legislativa.
Spostandoci dall’ambito dello sport nel suo complesso al calcio – che per numeri, dimensioni
del tifo e complessità nella gestione della sicurezza all’interno e all’esterno degli stadi rappresenta un caso paradigmatico nel nostro Paese (Papa, Panico 2002; Porro 2008) – qui la gestione
della sicurezza è stata oggetto di una profonda revisione normativa dopo l’uccisione dell’ispettore di Polizia Filippo Raciti (avvenuta nel 2007 nel corso del derby Catania-Palermo). Tale revisione ha coinciso con l’introduzione, già all’indomani dei tragici episodi di Catania2, di una serie
Ricercatore di Sociologia dei fenomeni politici, direttore Link LAB, Link Campus University, Roma.
L’Osservatorio, successivamente regolamentato dalla legge n. 210 del 17 ottobre 2005, è istituito all’interno dell’Ufficio Ordine Pubblico.
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Decreto-legge n. 8/2007.
*
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1
di nuove misure che, ispirate a garantire una maggiore sicurezza dentro e fuori gli stadi, superavano il tradizionale approccio emergenziale e repressivo: dopo il 2007 si inizia infatti a ragionare
in termini di sicurezza delle manifestazioni sportive, riconoscendo l’esigenza prioritaria di indirizzare la tutela legislativa a realizzare condizioni di tranquillità e regolarità per i frequentatori degli
stadi (Ferrigni 2015).
In particolare, tra le nuove misure adottate figurano l’estensione delle norme vigenti in materia di ticketing, videosorveglianza e norme di sicurezza per la costruzione e l’esercizio degli
impianti sportivi anche agli impianti con capienza superiore ai 7.500 spettatori3; l’ufficializzazione
del passaggio delle responsabilità connesse alla sicurezza degli incontri calcistici in capo alle
stesse società sportive; l’introduzione della figura dello steward, incaricata di gestire le tifoserie
all’ingresso (attraverso il filtraggio e lo smistamento degli spettatori), all’interno dello stadio (con
la verifica del rispetto del regolamento di utilizzo degli impianti sportivi) e all’uscita (coordinando
il deflusso). Come osserva Massucci (2008), lo spirito e i principi fondamentali della nuova normativa si muovono su tre distinte aree d’intervento: a) misure organizzative per assicurare la
sicurezza degli impianti sportivi; b) misure volte a prevenire la commissione di episodi di violenza;
c) misure repressive nei confronti degli autori dei reati “tipici” commessi in occasione o a causa
delle manifestazioni sportive.
Nonostante i risultati positivi seguìti all’introduzione di tale normativa (con una sensibile riduzione degli incidenti all’interno degli stadi, e di conseguenza una diminuzione del numero dei
feriti sia tra i civili che tra le Forze dell’Ordine) (Forgione, Massucci, Ferrigni 2015; Ferrigni 2015),
negli anni a seguire è tuttavia capitato – seppur con minore frequenza rispetto al passato – che
alcune partite di calcio siano state “macchiate” da episodi di violenza. Nell’ottica di una sempre
più efficace gestione della sicurezza nelle manifestazioni sportive (e in primis in quelle calcistiche), nel 2014 viene costituita una apposita Task Force, che nell’aprile dello stesso anno vara il
pacchetto “Nuove misure per la sicurezza e la partecipazione alle manifestazioni sportive” (successivamente reso operativo dal Ministero dell’Interno), con cui da una parte si prosegue il cammino già intrapreso dai precedenti interventi normativi, dall’altra si introducono nuovi elementi
e iniziative a sostegno e promozione della sicurezza nelle manifestazioni sportive in generale, e
calcistiche in particolare. Nello specifico, le nuove misure si focalizzano sulla vendita dei titoli di
accesso allo stadio (con particolare riguardo all’home ticketing), sulla fidelizzazione dei tifosi, sul
contrasto al razzismo, sulla sempre più capillare introduzione del servizio di stewarding, infine
sulla necessità di una nuova e diversa strutturazione degli impianti sportivi ai fini di una maggiore
fruibilità degli stessi. Con riferimento a quest’ultimo aspetto, la Task Force ha previsto la segmentazione dei settori degli stadi di calcio delle leghe professionistiche in sotto-settori dalla
capienza massima di 10.000 spettatori per settore (limite già imposto dal DM 18 marzo 1996),
da realizzarsi anche attraverso l’eventuale predisposizione di opportune limitazioni fisiche e organizzative4.
I precedenti decreti ministeriali 6 giugno 2005 applicavano tali norme solo agli stadi con capienza superiore ai 10.000 spettatori.
4
Cfr. “Nuove misure per la sicurezza e la partecipazione alle manifestazioni sportive. Pacchetto di misure
elaborato dalla Task Force”, Ministero dell’Interno, 2008, in http://www.governo.it/sites/governo.it/files/misure_stadi.pdf.
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La segmentazione dei settori all’interno degli stadi è altresì il punto cardine dell’ordinanza
di servizio “Modello organizzativo per la sicurezza degli incontri di calcio” (28 luglio 2015) con
cui la Questura di Roma introduce, a partire dalla stagione 2015/2016, una nuova modalità organizzativa per lo Stadio Olimpico di Roma, fondata appunto sull’installazione di barriere all’interno delle Curve, con il conseguente frazionamento delle stesse. Secondo quanto affermato
dalla stessa Questura di Roma, si tratta di un provvedimento dettato in primis dalla necessità di
un intervento sistemico sulle maggiori criticità dello Stadio Olimpico, che si ritengono alla base
di episodi di violenza e disordine, di pratiche illegali e di comportamenti inadeguati. Il provvedimento si motiva altresì in ragione di una esigenza di safety: il sovraffollamento delle Curve,
infatti, non solo viola il limite del numero degli spettatori5, ma crea soprattutto evidenti criticità
per l’incolumità dei tifosi (vie di fuga e scale di emergenza impraticabili perché occupate). Allo
stesso modo e nella stessa direzione, la riduzione degli spazi attraverso barriere appare funzionale alla prevenzione e al controllo di comportamenti violenti e/o illegali, agevolando anche
l’azione delle Forze dell’Ordine e degli stessi steward nell’individuazione dei soggetti protagonisti di tali comportamenti, a maggiore tutela, dunque, del resto della tifoseria.
Come prevedibile, tale normativa è stata oggetto di discussione nel dibattito pubblico tanto
sui media (sportivi e non sportivi) quanto tra i tifosi, e ha dato vita a forme di protesta (come
quella dei tifosi della Curva Sud davanti all’ex Mattatoio del quartiere Testaccio)6 che si sono
tradotte in ultima istanza nello sciopero del tifo (Cappelli 2015; Frignani 2015; Greco 2015; Stoppini 2015, Zucchelli 2015, 2016).
2. Obiettivi e metodologia della ricerca
Ma, e questa è la domanda cui ci proponiamo di rispondere attraverso questa ricerca, l’introduzione di questo nuovo modello organizzativo è stato percepito, dal pubblico che frequenta
abitualmente l’Olimpico, come uno strumento utile a migliorare la sicurezza all’interno dello stadio?
Al fine di rispondere a questa domanda, il paper presenta i risultati di una ricerca che, dal
punto di vista metodologico, integra due diverse modalità di indagine. Nella prima fase abbiamo
infatti utilizzato gli strumenti dall’analisi quantitativa (Corbetta, Gasperoni, Pisati 2001; Corbetta
2003a, 2003c) al fine di misurare da una parte il livello di sicurezza percepita da chi settimanalmente si reca allo stadio, dall’altra il grado di condivisione del provvedimento, con particolare
riferimento alla valutazione dei suoi effetti positivi sulla percezione della sicurezza. A tal fine,
abbiamo realizzato un questionario semi-strutturato ad alternative fisse predeterminate e autocompilabile in modalità anonima, che abbiamo successivamente somministrato in occasione di
Prima dell’entrata in vigore del provvedimento, in Curva sovente si registrava un numero di spettatori
finanche superiore del 20% rispetto alla capienza massima prevista per il settore.
6
Cfr. http://roma.corriere.it/notizie/cronaca/16_aprile_03/lazio-roma-protesta-ultra-tifosi-fuori-stadioCurve-vuote-f0399f56-f99f-11e5-91c9-425ed3b43648.shtml?refresh_ce-cp.
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8 partite, disputate allo Stadio Olimpico nella stagione 2015/20167. I questionari regolarmente
compilati sono 3.9938.
Nella seconda parte della ricerca abbiamo invece utilizzato lo strumento qualitativo dell’intervista a osservatori privilegiati (Corbetta 2003b) provenienti dal mondo dell’informazione giornalistica al fine di comprendere come essi hanno recepito e, a loro volta, veicolato la nuova
normativa, nonché la loro percezione del livello di condivisione della stessa (in termini di aumento/diminuzione della percezione di sicurezza all’interno dello Stadio Olimpico) da parte dei
tifosi. Le interviste hanno avuto luogo nei mesi di luglio/agosto 2016 e i giornalisti intervistati
sono stati Fulvio Bianchi de «la Repubblica», Alessandro Catapano de «La Gazzetta dello Sport»,
Carmine Fotia già direttore de «Il Romanista», Fabio Massimo Splendore del «Corriere dello
Sport-Stadio».
3. La ricerca sul pubblico
La prima parte della ricerca focalizza l’attenzione sul pubblico che abitualmente frequenta lo
Stadio Olimpico, al fine di misurare il livello di sicurezza percepita all’interno dello stadio, il grado
di condivisione del provvedimento, infine i vantaggi e/o gli svantaggi che, secondo il pubblico
stesso, il nuovo assetto organizzativo garantisce in termini di sicurezza.
Prima di addentrarci nell’analisi dei principali risultati emersi dalla ricerca, è opportuno soffermarsi preliminarmente sulle modalità della rilevazione e sulla tipologia di utente intervistato.
Con riferimento al primo aspetto, la rilevazione ha registrato un andamento omogeno nelle otto
partite in coincidenza delle quali è avvenuta la somministrazione del questionario (con una media
pari a circa 500 intervistati per ciascun incontro), con un picco massimo (pari a 643 questionari
regolarmente compilati) in occasione di Roma-Bate Borisov e un picco minimo (pari a 388 questionari) in occasione di Lazio-Juventus. I questionari compilati provengono in maggioranza dalle
Curve (43,9%), seguite dalla Tribuna Tevere (34,4%) e quindi dalla Tribuna Monte Mario (21,7%).
Per quanto concerne invece la profilazione del nostro intervistato, si tratta perlopiù di tifosi
di sesso maschile (77,5%, a fronte del 24,5% di questionari provenienti dalla tifoseria femminile),
che nella maggioranza dei casi si reca allo stadio “tutte le volte che la squadra del cuore gioca
in casa” (55,2%, cui va sommato il 9,4% che segue la squadra anche nelle trasferte) o comunque
con assiduità (14,7% circa una volta al mese). Un pubblico nella maggioranza dei casi in possesso
di un abbonamento allo stadio (54,6%), dove è solito recarsi in compagnia di amici (56,0%),
I questionari sono stati distribuiti in occasione di 6 incontri del Campionato di Seria A, di cui tre disputati
in casa dall’AS Roma (Roma-Atalanta, 29 novembre 2015; Roma-Fiorentina, 4 marzo 2016; Roma-Inter, 19
marzo 2016) e tre dalla SS Lazio (Lazio-Palermo, 22 novembre 2015; Lazio-Juventus, 4 dicembre 2015;
Lazio-Roma, 3 aprile 2016). Ulteriori 2 rilevazioni sono state realizzate in occasione di partite rispettivamente
di Champions League (Roma-Bate Borisov, 9 dicembre 2015) e di Europa League (Lazio-Sparta Praga, 17
marzo 2016).
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La ricerca è stata promossa dalla Questura di Roma e condivisa con il CONI e le società sportive interessate.
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4
genitori, fratelli o sorelle (19,4%), figli (10,2%), mogli o fidanzate (7,8%)9. Chi sceglie di andare in
Curva, lo fa principalmente per ragioni di carattere emozionale (il 56,9% risponde “perché in
Curva si vive la vera festa del calcio”) o abitudinarie (“sono sempre andato in Curva”, 15,4%);
per contro, chi opta per la Tribuna lo fa per ragioni più “razionali”: il 46,8% risponde che in
Tribuna la visibilità è migliore, il 12,% rimarca che in Tribuna viene rispettata l’assegnazione dei
posti a sedere, infine il 10,2% sostiene che in Tribuna è inferiore il pericolo di scontri.
3.1. La sicurezza percepita all’interno dello Stadio Olimpico
Così definito il nostro intervistato nei suoi tratti essenziali, focalizziamo l’attenzione sulla
prima questione affrontata nelle interviste, ovvero il livello di percezione della sicurezza all’interno dello stadio (Tabella 1) che, in linea generale, appare decisamente elevato: nel complesso
infatti, il 74,5% degli intervistati dichiara di sentirsi “abbastanza” (48,9%) e “molto” (25,6%) sicuro all’Olimpico, a fronte del 7,2% che non si sente affatto sicuro. Pari al 12,5% la percentuale
di coloro i quali affermano di sentirsi “poco” sicuri.
Il livello complessivo di percezione della sicurezza non conosce significative differenze se
scorporiamo il dato tra tifosi romanisti e tifosi laziali (nel complesso, rispettivamente 75,0% e
73,8%). Per contro, alcuni dati significativi emergono dallo scorporo tra i diversi settori, in primo
luogo per quanto attiene alla sicurezza all’interno dello stadio, che risulta percepita in misura
superiore da parte di chi siede in Tribuna Tevere (complessivamente 77,8%) e in Tribuna Monte
Mario (complessivamente 77,1%) rispetto a chi assiste alla partita dalle Curve (complessivamente
70,7%). Il dato a nostro avviso più interessante riguarda tuttavia la tendenza delle Curve a estremizzare il proprio giudizio: nel raffronto sia con la media generale che con gli altri settori, le
Curve esprimono infatti le percentuali più elevate di “per nulla sicuro” (10,6%, rispetto alla media
generale del 7,2%, al 5% della Monte Mario e al 4,4,% della Tevere) e di “molto sicuro” (29,2%,
rispetto alla media generale del 25,6%, al 21,7% della Monte Mario e al 23,6% della Tevere).
Tabella 1 – In che misura ti senti sicuro allo Stadio Olimpico?
Risposte
Per nulla
Poco
Abbastanza
Molto
Non risponde
Totale
% sul totale
7,2
12,5
48,9
25,6
5,8
100,0
Curve
10,6
12,8
41,5
29,2
5,9
100,0
Settore
Tribuna Monte Mario
5,0
12,8
55,4
21,7
5,1
100,0
Tribuna Tevere
4,4
12,0
54,2
23,6
5,8
100,0
La percezione di una generale sicurezza all’interno dell’Olimpico è infine confermata dalle
risposte alla domanda relativa agli stadi italiani maggiormente considerati più sicuri (Tabella 2)10:
lo stadio capitolino viene infatti indicato dal 28,8% degli intervistati, seguito a breve distanza
Solo il 5,8% degli intervistati dichiara di recarsi allo stadio da solo, con la percentuale che scende addirittura allo 0,6% per quanto concerne i gruppi di tifoserie organizzate.
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Dal punto di vista metodologico giova sottolineare come sia questa domanda che la successiva (relativa
agli stadi percepiti come meno sicuri) erano a risposta aperta, per cui sono stati gli intervistati a indicare
liberamente gli stadi considerati più o meno sicuri.
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5
dallo Juventus Stadium di Torino (25,4%); sono i tifosi romanisti, in particolare, a sentirsi più sicuri
all’interno del loro stadio (33,1% contro il 22,7% dei tifosi laziali). Al terzo posto di questa classifica degli stadi più sicuri, ma decisamente più distanziato, si colloca lo stadio Meazza di Milano
(11,2%).
Tabella 2 – Quale stadio italiano ritieni più sicuro?
Risposte (primi cinque indicati)
Stadio Olimpico – Roma
Juventus Stadium – Torino
Stadio Giuseppe Meazza – Milano
Mapei Stadium-Città del Tricolore – Reggio Emilia
Stadio Friuli – Udine
%
28,8
25,4
11,2
2,4
2,8
Tra gli stadi meno sicuri (Tabella 3) svetta invece il San Paolo di Napoli con oltre la metà
delle segnalazioni (52,0%), opinione questa condivisa da entrambe le tifoserie (50,5% dei tifosi
laziali contro il 53% dei tifosi romanisti). Questa sostanziale assenza di differenza di vedute tra
tifosi laziali e tifosi romanisti appare assai significativa se consideriamo la radicata rivalità – giunta
ai propri massimi livelli dopo la morte del tifoso napoletano Ciro Esposito – tra tifosi azzurri e
tifosi giallorossi cui fa da contraltare la storica “affinità” tra i supporter del Napoli e quelli della
Lazio (i quali, dunque, non dovrebbero percepire come poco sicuro uno stadio “amico” quale il
San Paolo).
Tabella 3 – Quale stadio italiano ritieni meno sicuro?
Risposte (primi cinque indicati)
Stadio San Paolo – Napoli
Stadio Olimpico – Roma
Stadio Atleti Azzurri d’Italia – Bergamo
Stadio Giuseppe Meazza – Milano
Juventus Stadium – Torino
%
52,0
7,3
4,1
4.0
2,7
3.2. La condivisione del nuovo modello organizzativo
Il secondo tema su cui sofferma il questionario riguarda la condivisione del nuovo modello
organizzativo (Tabella 4). A fronte di una quasi plebiscitaria conoscenza del provvedimento
(90,3%) che istituisce le barriere in Curva, la stragrande maggioranza degli intervistati si dichiara
assolutamente a sfavore dello stesso (64,9%). È tuttavia significativo notare che, nel complesso,
il 15,4% dei tifosi si schiera a favore (il 9% condividendolo “abbastanza” e il 6,4% dichiarandosi
totalmente a favore). Vi è inoltre il 14,8% che non si è schierato totalmente a sfavore del provvedimento, dichiarandosi tuttavia “poco” d’accordo. A queste percentuali si aggiunge infine
quel 4,9% che ha preferito non esprimere il proprio parere, al cui interno rientrano certamente
anche coloro i quali oggi sono “indecisi”, ma in un prossimo futuro potrebbero prendere posizione.
Spostandoci dal dato generale a quello distinto per settore, emergono delle differenze che,
per molti versi, sono fisiologiche. Chi non si dichiara a favore del provvedimento, infatti, è il
tifoso principalmente delle Curve, che nel 79% boccia indiscutibilmente la separazione. Non la
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pensa allo stesso modo lo spettatore della Monte Mario e della Tevere. Nel primo caso a dichiararsi assolutamente contraria al provvedimento è la maggioranza relativa (e non assoluta) degli
intervistati (48,6%), mentre il 18,2% si dichiara “poco” d’accordo e il complessivo 25% rispettivamente “abbastanza” (14,1%) e “molto” (10,9%) a favore. Anche in questo caso deve far riflettere quel significativo 8,2% che ha preferito non fornire la propria opinione. Nel caso della Tribuna Tevere, seppur si registri una percentuale leggermente più alta (57,2% vs. 48,6%) di chi si
dichiara completamente contrario alle barriere, c’è un complessivo 20,1% di intervistati che asseriscono di essere “abbastanza” (12,2%) e “molto” (7,9%) d’accordo con il provvedimento.
Tabella 4 – In che misura ti ritieni d’accordo con l’adozione del provvedimento?
Risposte
% sul totale
Per nulla
Poco
Abbastanza
Molto
Non risponde
Totale
64,9
14,8
9,0
6,4
4,9
100,0
Curve
79,0
10,6
4,1
2,9
3,4
100,0
Settore
Tribuna Monte Mario
48,6
18,2
14,1
10,9
8,2
100,0
Tribuna Tevere
57,2
17,9
12,2
7,9
4,8
100,0
Questo approccio in larga parte negativo nei confronti del provvedimento trova conferma
nelle risposte fornite alla domanda relativa ai vantaggi che da esso potrebbero derivare (Tabella
5). La maggioranza assoluta (53,4%) risponde infatti con un secco e deciso “il provvedimento
non produce alcun vantaggio”. Il restante 44,1% ritiene invece che le separazioni in Curva porteranno alcuni vantaggi in termini di safety, tra cui in particolare una più facile individuazione dei
tifosi violenti (17,6%), un impedimento oggettivo alla consuetudine di scavalcare da un settore
all’altro (10,6%), una maggior facilità nelle operazioni di filtraggio, afflusso e deflusso dei tifosi
(8,9%), infine l’eliminazione dei problemi di sovraffollamento (7,0%).
Spostandoci dal dato complessivo a quello scorporato per settore, ovviamente non sorprende che a sostenere i vantaggi siano soprattutto tifosi che siedono in Tribuna Tevere o in
Tribuna Monte Mario. Ma, ancora una volta, a destare interesse sono le risposte che vengono
dai tifosi della Curva, in primo luogo perché si tratta dei diretti destinatari del provvedimento, in
secondo luogo perché la rilevazione è stata realizzata in piena contestazione e quindi in una
situazione con molta probabilità meno incline alla riflessione razionale. Pur prevalendo infatti una
risposta negativa alla domanda (il preponderante 63,3% sostiene infatti che non vi siano vantaggi), è quantitativamente indicativo che circa un terzo dei tifosi della Curva (33,6%) condivide
l’esistenza di taluni vantaggi.
Tabella 5 – Secondo te, quali sono i principali vantaggi del provvedimento?
Risposte
È più facile individuare i tifosi più violenti
Si impedisce ai tifosi di scavalcare
da un settore all’altro
Si agevolano le operazioni di filtraggio,
afflusso e deflusso dei tifosi
È garantita la presenza di un adeguato numero
di tifosi in Curva, evitando il sovraffollamento
17,6
Curve
13,0
Settore
Tribuna Monte Mario
23,2
Tribuna Tevere
19,8
10,6
8,4
13,4
11,6
8,9
5,6
9,7
6,9
7,0
6,6
11,7
9,9
% sul totale
7
Il provvedimento non produce alcun vantaggio
Altro
Non risponde
Totale
53,4
1,5
1,0
100,0
63,3
2,1
1,0
100,0
39,8
0,9
1,3
100,0
49,8
1,2
0,8
100,0
Dai vantaggi agli svantaggi (Tabella 6). Il principale motivo per cui i tifosi “bocciano” il provvedimento consiste nel fatto che viene loro preclusa la possibilità di assistere alle partite con il
proprio gruppo di amici (39,3%). Il 34,5% degli intervistati sostiene inoltre che l’introduzione
delle separazioni “snatura” per così dire la goliardia della Curva a detrimento di gran parte dello
spettacolo del calcio. Per contro, il 13,3% degli intervistati ipotizza quale conseguenza del provvedimento un inasprimento dei rapporti tra tifoserie e Forze dell’Ordine. Con riferimento agli
svantaggi percepiti, è significativo altresì rimarcare come non vi siano sostanziali differenze nello
scorporo del dato per settore, il che conferma quanto emerso in precedenza, ovvero che la
frequentazione dello stadio non è mai un fatto individuale, bensì un’esperienza solitamente condivisa con amici o familiari.
Tabella 6 – Secondo te, quali sono i principali svantaggi del provvedimento?
Risposte
I tifosi non seguono più le partite della squadra
del cuore con il proprio gruppo di amici e tifosi
Le Curve sono smembrate,
togliendo al calcio gran parte dello spettacolo
I rapporti tra le tifoserie e le Forze dell’Ordine
sono più tesi
I biglietti a disposizione per assistere alle partite
si riducono in maniera considerevole
Il provvedimento non produce svantaggi
Altro
Non risponde
Totale
% sul totale
Curve
Settore
Tribuna Monte Mario
Tribuna Tevere
39,3
41,4
40,4
35,7
34,5
37,2
29,9
33,6
13,3
12,0
14,0
14,6
4,6
3,3
5,6
5,7
4,4
1,4
2,5
100,0
2,0
1,9
2,2
100,0
6,6
0,6
2,9
100,0
6,2
1,2
3,0
100,0
3.3. Il nuovo modello organizzativo come risposta al bisogno di sicurezza
L’ultima parte del questionario è finalizzata a comprendere quali sono le principali conseguenze del provvedimento, nonché se e in che modo l’adozione del nuovo modello organizzativo viene percepita dal pubblico come un possibile strumento in grado di aumentare la sicurezza
all’interno dello stadio (Tabella 7).
Con riferimento alla prima questione, la maggioranza degli intervistati (complessivo 68,3%)
ritiene che il nuovo modello organizzativo avrà perlopiù conseguenze negative, poiché contribuirà ad allontanare ulteriormente i tifosi dallo stadio (42,7%) o a trasformare lo stadio stesso da
luogo di aggregazione (quale dovrebbe essere per definizione) a luogo di divisione e disgregazione (25,6%). A fronte di ciò, c’è invece un complessivo 27,1% degli intervistati per cui dal provvedimento deriveranno effetti positivi, a cominciare da un cambiamento della tipologia di tifoseria attualmente presente in Curva (11,6%); il provvedimento viene altresì considerato un incentivo anche per le donne e le famiglie ad andare allo stadio (8,5%), un nuovo modello di riferi-
8
mento da adottare anche in altri stadi italiani (3,4%), infine uno strumento attraverso cui finalmente porre fine alle intimidazioni della Curva di cui a volte sono vittima gli stessi giocatori
(3,6%).
Tabella 7 – Secondo te, quali sono le principali conseguenze del provvedimento?
Risposte
Gli stadi saranno sempre più vuoti
Lo stadio, da luogo di aggregazione, si trasformerà in luogo di divisione e disgregazione
La Curva sarà popolata da tifosi diversi da quelli
che l’hanno frequentata finora
Un incentivo per sempre più persone (famiglie,
donne) ad andare allo stadio
Quello dello Stadio Olimpico rappresenterà un
modello da adottare anche in altri stadi italiani
Si porrà fine alle intimidazioni che a volte i giocatori subiscono da parte dei tifosi violenti
Altro
Non risponde
Totale
42,7
Curve
46,5
Settore
Tribuna Monte Mario
35,5
Tribuna Tevere
42,0
25,6
30,7
19,4
22,4
11,6
9,4
14,6
12,7
8,5
4,4
14,1
10,5
3,4
1,7
5,8
4,3
3,6
2,3
6,0
3,9
1,6
3,0
100,0
2,1
2,9
100,0
0,7
3,9
100,0
1,6
2,6
100,0
% sul totale
Questa tendenziale divisione tra gli intervistati tale per cui i due/terzi sono più critici nei
confronti del provvedimento laddove il restante terzo appare invece più favorevole (o quanto
meno “aperto”) trova conferma quando andiamo a focalizzare specificamente l’attenzione sulle
conseguenze che il provvedimento potrà avere sulla safety (Tabella 8). Alla domanda secca “Secondo te, la separazione della Curva contribuirà a rendere lo stadio più sicuro?”, il 59,7% risponde infatti “per nulla”, mentre il complessivo 36,4% ritiene invece che il provvedimento potrà
produrre degli effetti positivi (sebbene il 21,7% opti per il “poco”, a fronte dell’11,5% che risponde “abbastanza” e il 3,2% che risponde “molto”).
Tabella 8 – Secondo te, la separazione all’interno della Curva contribuirà a rendere lo stadio più sicuro?
Risposte
Per nulla
Poco
Abbastanza
Molto
Non risponde
Totale
%
59,7
21,7
11,5
3,2
3,9
100,0
Se il nuovo assetto organizzativo non viene percepito come pienamente in grado di garantire
effetti positivi, cosa bisognerebbe fare per aumentare la sicurezza all’interno dello stadio (Tabella
9)? Secondo il 32,2% degli intervistati, per rafforzare la sicurezza all’interno degli stadi è necessario l’ammodernamento delle infrastrutture e un uso maggiore dei dispositivi tecnologici in
grado di individuare i tifosi violenti. Un tifoso su quattro (22,4%) intravede invece nel dialogo
costante tra tifoserie, società e Istituzioni l’elemento necessario a contrastare la violenza e di
conseguenza a innalzare il livello di sicurezza negli stadi, con la percentuale che sale al 27,5% tra
i tifosi che siedono in Curva.
9
Il 18,7% degli intervistati propende invece per una soluzione meno diplomatica e intravede
in un inasprimento delle sanzioni la soluzione alla questione sicurezza negli stadi. La linea dura
è sentita in modo maggiore da parte della tifoseria della Tribuna Tevere (21,5%) e della Tribuna
Monte Mario (19,1%). Una presenza maggiore delle Forze dell’Ordine (8,3%) o una più efficace
gestione dell’ordine pubblico (5,8%) non costituiscono invece, secondo gli intervistati, le priorità
sulle quali concentrare gli sforzi. Solo tra i tifosi della Monte Mario la percentuale (12,3%) di chi
vede una correlazione diretta tra il numero di Forze dell’Ordine e la sicurezza negli stadi, è più
alta rispetto agli intervistati degli altri settori (rispettivamente Curva 6,5% e Tribuna Tevere 8,1%).
Tabella 9 – Secondo te, cosa contribuirebbe a una maggiore sicurezza all’interno degli stadi?
Settore
Risposte
% sul totale
Curve
Tribuna Monte Mario
Infrastrutture nuove e dispositivi tecnologici
32,2
29,3
32,8
per individuare e bloccare i tifosi violenti
Dialogo costante tra le tifoserie,
22,4
27,5
16,8
le società e le Istituzioni
Sanzioni più severe per i tifosi violenti
18,7
16,2
19,1
Maggiore presenza di Forze dell’Ordine
8,3
6,5
12,3
Maggiore e più efficace gestione dell’ordine
5,8
5,3
7,4
pubblico da parte delle Forze dell’Ordine
Maggiore presenza di famiglie allo stadio
5,9
5,4
6,5
Altro
2,3
3,2
1,4
Non risponde
4,4
6,6
3,7
Totale
100,0
100,0
100,0
Tribuna Tevere
35,3
19,4
21,5
8,1
5,5
6,2
1,8
2,2
100,0
4. L’opinione degli osservatori privilegiati
Quanto emerso nella prima parte della ricerca ha costituito il punto di partenza per la seconda fase del nostro lavoro in cui, attraverso lo strumento metodologico dell’intervista a osservatori privilegiati, abbiamo cercato di comprendere come il nuovo modello organizzativo dello
Stadio Olimpico è stato recepito e comunicato da quella particolarissima categoria di professionisti dell’informazione rappresentata dai giornalisti sportivi.
Come già anticipato nell’introduzione, i giornalisti intervistati sono stati quattro, di cui
espressione di testate giornalistiche specialistiche (Alessandro Catapano de «La Gazzetta dello
Sport» e Fabio Massimo Splendore del «Corriere dello Sport-Stadio»), uno proveniente da un
quotidiano generalista (Fulvio Bianchi de «la Repubblica»), l’ultimo infine con una esperienza di
direzione di una testata interamente dedicata a una squadra (Carmine Fotia de «Il Romanista»11).
Tre, in particolare, sono le questioni su cui si focalizzano le interviste: a) cosa pensano gli
intervistati del provvedimento e se secondo loro va replicato e/o sostituito da cosa; b) quali sono
state, a loro avviso, le ragioni del “sì” e quelle del “no”; c) se e quale è stato, a loro avviso, il
ruolo svolto dai media nella vicenda.
Carmine Fotia è stato direttore de “Il Romanista”, testata fondata nel 2004 da Riccardo Luna (che ne è
stato anche direttore fino al 2008), dal marzo 2010 al 6 agosto 2014, quando la testata ha cessato la propria
pubblicazione.
11
10
4.1. Le barriere all’Olimpico: giuste o sbagliate? Da replicare o da modificare?
La prima questione su cui abbiamo chiesto agli intervistati di esprimere un parere concerne
il nuovo modello organizzativo nel suo complesso: si tratta cioè – a loro avviso – di un modello
giusto o sbagliato? Nel contempo, un modello che può/deve essere replicato oppure un modello che richiede modifiche? E, in quest’ultimo caso, quali modifiche vanno apportate? Modifiche nelle modalità di comunicazione, così da renderlo più comprensibile ai tifosi? Modifiche
formali che, pur non modificando il provvedimento nella sua sostanza, intervengono su quegli
aspetti, magari marginali, ma che al pubblico risultano più indigesti? Oppure modifiche sostanziali tali per cui all’attuale assetto organizzativo se ne sostituisce uno nuovo e diverso? O, piuttosto, è auspicabile un ritorno all’antico, perché solo ripristinando lo status quo i tifosi torneranno
a riempire lo stadio?
«Un successo eccezionale»: sono queste le parole con cui Alessandro Catapano sintetizza
quella che a suo avviso non può essere una valutazione soggettiva, bensì rappresenta un dato
oggettivo. Il nuovo modello organizzativo, spiega infatti il giornalista de «La Gazzetta dello
Sport», non lascia nella memoria della stagione calcistica appena conclusa alcun «fatto di rilievo»,
espressione con la quale il giornalista indica «non soltanto i comportamenti violenti» ma anche
quelli «eccezionalmente illegali» (sovraffollamento, scale di emergenza occupate, utilizzo di petardi e artifici pirotecnici, ecc.) che «purtroppo ci eravamo abituati a considerare normali».
Secondo Catapano, dunque, sono i fatti a dimostrare l’efficacia di un provvedimento che
Fulvio Bianchi definisce «una forma di organizzazione diversa, più moderna, più civile». In particolare, secondo il giornalista de «la Repubblica» l’introduzione del nuovo modello organizzativo
è tanto più apprezzabile poiché esso costituisce l’esito di un lungo e articolato processo che,
benché osteggiato dalle posizioni di taluni tifosi – posizioni che, tuttavia, sovente sono espressione unicamente di disapprovazione e protesta contro la presidenza delle rispettive società
sportive –, va invece incoraggiato. Lungi infatti dall’essere un intervento che va “contro” la tifoseria, esso «è stato adottato per rendere le Curve non più territorio off limits dove in caso di
incidente o di qualsiasi evenienza non si poteva mettere piede perché i tifosi occupavano spalti,
corridoi, scale, ecc.». Dunque, un provvedimento che nasce “per” garantire una maggiore fruibilità e ordine delle Curve – in assenza dei quali la presenza allo stadio di particolari tipologie di
spettatori, come per esempio le famiglie, è messa a serio rischio – e nel contempo «un processo
che vale la pena tentare».
Secondo Fabio Massimo Splendore, un giudizio sul provvedimento non può invece prescindere da una preliminare distinzione tra il nuovo modello organizzativo, nei confronti del quale
esprime il proprio apprezzamento, e le modalità con cui esso è stato applicato. Per quanto riguarda il primo aspetto, egli ricorda come la settorializzazione dovrebbe garantire una maggiore
efficacia dei meccanismi di controllo, poiché – con la riduzione degli spazi – consente l’individuazione tempestiva delle responsabilità di «determinate persone e non di un intero settore di
fronte a fatti criminosi o pericolosi». Da questo punto di vista, è dunque indubbio che «le barriere
nascono come strumento tecnico per aumentare la sicurezza negli stadi». Nel caso dell’Olimpico,
tuttavia, è stato probabilmente commesso un errore nel momento in cui la normativa è stata
applicata esclusivamente allo stadio romano, esponendo così la Prefettura, la Questura e lo
11
stesso provvedimento a critiche e incomprensioni. Paradossalmente, conclude Splendore, «chi
è stato più virtuoso nell’applicazione delle regole si è esposto alle maggiori critiche».
Per esprimere un giudizio sul provvedimento c’è un ulteriore elemento che secondo Splendore occorre tenere in considerazione, e che riguarda la tempistica del provvedimento. È indubbio infatti che «i tempi di realizzazione di tutto questo dispositivo non hanno tenuto conto o non
hanno potuto rispettare i “tempi commerciali” delle società di calcio: nel caso della Roma per
esempio, per una impostazione di marketing tipicamente americana, la campagna abbonamenti
era cominciata durante la primavera e quindi, nel momento in cui poi si è arrivati al provvedimento, ci si è trovati di fronte alla situazione di dover porre rimedio, ed evidentemente non so
quale sia il confine fra il non esserci riusciti o l’essere magari finiti dentro quel meccanismo che
talune volte ti porta anche a non deludere il tuo tifoso di riferimento».
Su posizioni in parte diverse si pone invece Carmine Fotia, il quale sostiene che il provvedimento non è sufficientemente adeguato, poiché esso – limitandosi a disciplinare cosa accade
dentro lo stadio – non interviene invece sul più ampio e complesso problema della violenza fuori
dagli stadi. Di qui dunque la sua convinzione, e con questo ci spostiamo all’altra questione affrontata in questa prima parte delle nostre interviste, che «tutte le misure saranno misure transitorie, non perfettamente efficaci, finché non si arriverà agli stadi di proprietà», perché solo in tali
contesti si realizza quella «nuova fidelizzazione» in assenza della quale lo stadio continuerà a
essere percepito come un luogo poco sicuro: lo stadio di proprietà, dunque, come una sorta di
«”casa condivisa” del tifoso, dove ci sono i musei, dove si possono vedere la storia della propria
squadra e i trofei, si può andare con la famiglia a mangiare una pizza, ecc.».
Il tema degli stadi di proprietà ritorna anche nella risposta di Fabio Massimo Splendore. Chi
è chiamato a gestire la sicurezza si trova infatti a dover fare quotidianamente i conti con impianti
sportivi, la cui organizzazione e strutturazione ha reso l’utilizzo delle barriere un passaggio necessario, quasi obbligato: infatti, «nel momento in cui bisogna giocare un campionato in uno
stadio con la conformazione morfologica e architettonica dell’Olimpico, l’unico meccanismo per
realizzare le settorializzazioni (soprattutto “in corsa”) è stato quello delle barriere». Peraltro, egli
aggiunge, questo provvedimento è stato la conseguenza inevitabile di una sorta di “italico malcostume” tale per cui «per far andare avanti questo carrozzone, o comunque questo bellissimo
contenitore di spettacolo e anche di ricchezza che è il calcio, molto spesso si è andati avanti per
deroghe», che hanno consentito di continuare a giocare in stadi che non sono «sicuri e a norma
al 100%». Così posta la questione, è evidente che quella delle barriere è una scelta su cui non si
potrà tornare indietro, se non costruendo nuovi impianti, caratterizzati da una diversa gestione
architettonica degli spazi in grado di rispondere alla normativa internazionale dell’Uefa e alle
esigenze di sicurezza. Fino a che ciò non accadrà, tuttavia, le barriere appaiono l’unica soluzione
possibile, pur con tutti i loro limiti: «in un momento in cui anche l’Uefa e le organizzazioni internazionali del calcio vanno in una direzione di abbattimento di tutto ciò che divide», conclude
infatti il giornalista del «Corriere dello Sport-Stadio», «oggettivamente quella dell’Olimpico sembra una logica e un provvedimento antico».
12
Se per Fotia e Splendore, dunque, il mantenimento o la modifica delle barriere in Curva si
lega strettamente a innovazioni di carattere infrastrutturale, per Catapano la questione si inserisce in un discorso più articolato e complesso, alla cui base c’è la necessità di una «svolta culturale» in assenza della quale in nessuna circostanza lo stadio potrà essere percepito come un
luogo sicuro. Il modello sperimentato per lo Stadio Olimpico appare infatti come una scelta
quasi obbligata, senza la quale si rientrerebbe nella vecchia logica del «allo stadio si può fare
tutto a parte che non ci scappi il morto». Una scelta che, sostiene il giornalista de «La Gazzetta
dello Sport», deve ricevere il sostegno del mondo dell’informazione e della cultura: «se […] vogliamo cominciare a pensare che anche qui si possano organizzare delle importanti partite di
calcio senza che il quartiere intorno allo Stadio Olimpico venga completamente militarizzato,
senza che i negozianti del quartiere debbano abbassare le saracinesche due ore prima del fischio
d’inizio, senza che i residenti debbano tapparsi in casa, senza che le strade siano completamente
inaccessibili agli stessi residenti, senza che i tifosi avversari debbano essere scortati da volanti,
motociclette in un assetto di guerra, noi dell’informazione e del mondo della cultura dobbiamo
guardare con favore a nuove misure». Tuttavia, le barriere da sole non risolvono il problema, se
esse – come anticipavamo poc’anzi – non si abbinano a un percorso culturale, finanche “antropologico”, in ragione del quale si possa cominciare a «pensare di andare allo stadio senza respirare quel clima di tensione […] che si respirava fino a una stagione fa ogni volta che ci si avvicinava allo Stadio Olimpico per una partita della Roma».
4.2. Ragioni del sì vs ragioni del no
La seconda questione su cui abbiamo chiesto ai nostri osservatori di esprimersi riguarda le
“ragioni del sì” e le “ragioni del no”: quali sono stati cioè, a loro avviso, i motivi per cui il pubblico ha accettato il nuovo modello organizzativo e quali invece le motivazioni alla base della
protesta, poi sfociata nel cosiddetto “sciopero delle Curve”.
Partiamo proprio da questo secondo aspetto. Richiamando le principali ragioni alla base
delle critiche da parte dei tifosi all’indomani dell’adozione del provvedimento, tanto Alessandro
Catapano quanto Fulvio Bianchi ricordano come le proteste dei tifosi si siano inserite in un discorso e in una polemica già aperta con la dirigenza e i presidenti delle due società sportive,
Lotito e Pallotta (ognuna per ragioni differenti). Nel quadro così delineato, Bianchi sostiene che
la questione delle barriere è diventata «una scusa per non andare più in Curva». Per parte sua,
Catapano va addirittura oltre, giudicandola sì un «pretesto» utilizzato ad arte per alimentare di
nuova linfa la querelle con le due società (che, per parte loro, non hanno fatto nulla per favorire
la comprensione prima e l’accettazione poi del provvedimento, preferendo invece mantenere
un atteggiamento «ambiguo»), ma anche un utile strumento nelle mani di quella che egli definisce una «piccola “leadership-fascista-violenta”» della Curva Sud, che ha sfruttato la polemica nei
confronti dell’installazione delle barriere per guadagnare credito e rispetto agli occhi del resto
della Curva».
Un pretesto, dunque, e nel contempo uno strumento, e non potrebbe essere diversamente
perché, sostiene il giornalista de «La Gazzetta dello Sport», se si approccia con razionalità la
13
questione, appare assai difficile trovare argomenti a sostegno del “no”. Certamente non l’ipotesi, da alcuni sollevata, che le barriere rappresentino un provvedimento restrittivo della propria
libertà individuale. Su questo punto, in particolare, Catapano è categorico: «di cosa stiamo parlando?», egli infatti si chiede, e quindi aggiunge: «disertiamo lo Stadio Olimpico perché sono
arrivati un Questore e un Prefetto e hanno detto “scusate le scale di emergenza servono appunto
per emergenza per salvare una persona che si può sentire male? E magari questa persona muore
perché voi avete deciso di sedervi sulle scale di emergenza?”. Oppure abbiamo disertato l’Olimpico perché è arrivato un Questore che ha detto: “scusa potresti cercare di sederti al tuo posto
e di non andare a minacciare chi è seduto al suo posto dove ci vuoi andare tu? Di non toglierti
la cinta e minacciare di picchiarlo? Oppure puoi evitare di vietare a un tuo collega tifoso della
Roma di non far incitare la Roma perché tu hai deciso di protestare contro la società e quindi
nessuno deve cantare altrimenti ti arrabbi?”. Lo vogliamo dire che questo accadeva ogni domenica in Curva Sud prima che il Questore D’Angelo abbia deciso di istituire questi provvedimenti?
È la verità, io capisco che fa male ma è la verità».
Quanto, infine, alle responsabilità di chi avrebbe potuto, se non sedare, quanto meno non
alimentare la protesta, il giornalista de «La Gazzetta dello Sport» non ha dubbi: esse vanno ricercate non solo nell’atteggiamento ambiguo delle società sportive e degli organi di informazione, ma anche i cosiddetti “tifosi vip” («cioè scrittori, pensatori, intellettuali, liberi professionisti, politici, rappresentanti del mondo della cultura di questa città molti dei quali sono universalmente riconosciuti come grandi tifosi della Roma o della Lazio»), che hanno guardato con «diffidenza» al provvedimento, anziché supportarlo. «Queste prese di posizione», conclude Catapano, «hanno fatto dei danni enormi perché questo provvedimento, come tutti i provvedimenti
che si prendono, doveva essere accompagnato da una rinnovata mentalità, da una rivoluzione
culturale». Una assenza, ricorda infine Catapano, che è stata percepita e denunciata pubblicamente dal Prefetto Gabrielli che, citando una celebre battuta di Vittorio Gassman, ha più volte
affermato “M’hanno rimasto solo”: «ed è andata esattamente così. E noi tutti che lo abbiamo
lasciato solo abbiamo mancato di rispetto a un altissimo funzionario dello Stato e quindi abbiamo
mancato di legalità e di senso civico».
Secondo Fabio Massimo Splendore, come spesso accade l’adesione ad alcune forme di protesta cela invece una mancanza di conoscenza dei provvedimenti o una errata consapevolezza
dei motivi che li determinano. Esattamente ciò che è accaduto per il nuovo assetto organizzativo
dello Stadio Olimpico, dove la dura polemica dei tifosi, che hanno disertato lo stadio dopo l’installazione delle barriere, si fonda su una scarsa conoscenza tanto dell’ordinanza, quanto – e
forse soprattutto – della normativa riguardante la segmentazione dei settori in tutti gli stadi italiani, e dunque non solo all’Olimpico: «che il fulcro del provvedimento (cioè il fatto che non fosse
una cosa mirata su Roma quindi non ci fosse la voglia di colpevolizzare una città e delle tifoserie)
– afferma infatti il giornalista – era un aspetto poco conosciuto e credo che, come spesso capita
un po’ in tutti i settori della nostra vita, non tutte le persone che hanno partecipato a quello
sciopero fossero effettivamente consapevoli di quello che stavano facendo».
Va da sé che chi ha capito le vere ragioni del provvedimento, continua Splendore, non solo
non lo ha contestato, ma lo ha considerato per ciò che è: un punto di partenza per «aprire a un
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confronto collaborativo [attraverso il quale] arrivare insieme a ottenere un percorso che sia condiviso»: d’altronde, conclude il giornalista del «Corriere dello Sport-Stadio», «una partita di calcio
giocata senza barriere in condizioni di assoluta sicurezza e vissuta come un vero e proprio spettacolo è l’obiettivo di chi scrive i giornali, di chi va in televisione, di chi va allo stadio, di chi gioca
la partita e di chi come società la organizza».
Per Carmine Fotia le “ragioni del sì” nei confronti del provvedimento si legano invece strettamente a un’esigenza condivisa da parte di tutte quelle persone che sono «stanche di andare
allo stadio e dover ogni volta vivere come se ci entrasse dentro una battaglia»: «insomma, la
gente vorrebbe anche tornare semplicemente andare allo stadio per divertirsi, per tifare la propria squadra, per gioire, per piangere. È questo lo sport, questo è il calcio», quindi se le barriere
servono a «mantenere la pace negli stadi, per me vanno bene anche queste».
«Riavvicinare i tifosi allo stadio e non allontanarli» è, anche secondo Bianchi, la percezione
che del provvedimento hanno avuto quei tifosi che non hanno aderito alla protesta, ma che anzi
hanno sostenuto la scelta della Questura. «I favorevoli – sostiene Bianchi – forse hanno capito
che il provvedimento non vuole limitare l’afflusso dei tifosi nelle Curve, ma disciplinare l’afflusso
dei tifosi e rendere lo stadio un luogo più civile, un luogo più moderno, un luogo dove ci possano
andare le famiglie e dove, da parte dello Stato, anche nelle Curve ci sia quella forma di controllo
che invece non c’era più in quanto territorio off limits per le Forze dell’Ordine».
L’immagine dei tifosi che si riappropriano del loro stadio campeggia anche nella risposta di
Alessandro Catapano, che esordisce con il ricordare come un tempo, «prima che nascesse il tifo
cosiddetto organizzato, in Curva ci andavano le famiglie con i bambini, molto banalmente perché erano i settori più popolari»; poi, con la radicalizzazione nelle Curve delle frange di tifo più
violento, i bambini che un tempo assistevano alla partita dalla Curva hanno cambiato settore,
quando non addirittura iniziato a disertare lo Stadio. Va da sé che chi ha espresso parere favorevole nei confronti del provvedimento sono senza dubbio «persone che avevano smesso di
frequentare lo Stadio Olimpico (oppure continuavano a farlo ma con paura e in una condizione
di tensione) e che hanno registrato un cambiamento che, da questo punto di vista, è innegabile.
Chiunque sia andato allo Stadio Olimpico a vedere una partita prima e dopo l’istituzione delle
barriere racconterà con onestà che prima si respirava un clima e poi se n’è respirato un altro».
C’è da augurarsi, conclude Catapano, che nei prossimi mesi la schiera dei favorevoli aumenti
sempre più, perché questo vorrà dire che il «provvedimento ha colto nel segno, che è stato
metabolizzato, che è diventato un po’ parte dell’humus della città».
4.2. Il ruolo e le responsabilità dei media
L’ultima parte dell’intervista è finalizzata a capire quale, secondo i giornalisti, è stato il loro
ruolo, e più in generale quello dei media, nella vicenda, e più in generale nella percezione della
sicurezza negli stadi da parte del pubblico. Essi hanno fatto “buona informazione”, offrendo ai
propri lettori tutti gli strumenti utili per farsi la propria idea in merito? Oppure sono venuti meno
al loro ruolo di mediatori, assumendo un atteggiamento tifoso a favore o contro il provvedimento? E, nello svolgere il proprio lavoro, sono stati vittime di pressioni?
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Su quest’ultimo aspetto Alessandro Catapano ammette che, nella vicenda, delle pressioni
possano esserci state, ma questo non vuol dire necessariamente che i giornalisti abbiano assunto
un atteggiamento «ammorbidito» verso una direzione piuttosto che un’altra. Ben altra questione,
invece, è se, complice anche la «realtà molto particolare di Roma», qualcuno non abbia volutamente trasformato il provvedimento in «terreno di scontro mediatico». Quel che è certo, osserva
Catapano, è che «sono stati pochi pochissimi a raccontare – cercando di usare un po’ di obiettività e di giustizia – la genesi di questo provvedimento, l’evoluzione di questo provvedimento, e
gli effetti che questo provvedimento ha scatenato», con la conseguenza che «mai come in questa
stagione [il racconto giornalistico] ha avuto degli effetti negativi, perché non ha veicolato obiettivamente questa storia, ma lo ha fatto subito ammantandosi di una cornice di tifo. Ma quando
le cose che vengono fatte per legge, per giustizia, le si ammanta di tifo ovviamente si porta il
tutto su un terreno sbagliato, su un terreno sul quale il messaggio viene veicolato in modo sbagliato anche a quelli che invece avrebbero voglia di ascoltarlo e di leggerlo nel modo giusto e
obiettivo».
Anche Fabio Massimo Splendore ritiene che i media avrebbero potuto gestire diversamente
la questione. Il giornalista del «Corriere dello Sport-Stadio» rimarca infatti come i giornalisti abbiano tendenzialmente «cercato di rappresentare una realtà di mezzo», e nel farlo abbiano ecceduto in una «un’eccessiva personalizzazione nei confronti del Prefetto di allora (del Prefetto
Gabrielli)». Prendersela con il Prefetto, tuttavia, ha fatto sì che i giornalisti (e di conseguenza il
pubblico) perdessero di vista il «vero anello debole del provvedimento, cioè il fatto che un provvedimento nazionale sia stato personalizzato, sia stato attuato solamente a Roma quando invece
[…] bisognava, che a livello centrale, a tutte le province fosse imposto di procedere a quel tipo
di settorializzazione, che fossero le barriere o fosse qualsiasi altro tipo di meccanismo».
Fotia è ancor più esplicito nell’accusare alcuni media: a Roma «ci sono [infatti] degli organi
di informazione, soprattutto alcune radio, che non hanno interessi a spiegare bene come stanno
le cose, ma ad accendere gli animi perché solo in questi animi accesi trovano alla fine la loro
ragion d’essere». Questi media, aggiunge Fotia, sono «portatori di interessi particolari, di gruppi
di pressione, di lobby all’interno del mondo dei tifosi», e temono che «attraverso un maggior
controllo da parte delle Forze dell’Ordine possano perdere il loro controllo sull’attività di certi
gruppi». Di qui dunque la scelta di un’informazione settoriale e tifosa, frutto anche della consapevolezza della loro capacità di influenzare una certa parte dell’opinione pubblica.
La posizione di Fulvio Bianchi per alcuni versi riflette quanto sostenuto dagli altri osservatori,
dall’altra introduce un ulteriore elemento che, se non contribuisce a scagionare i media, riconduce le loro responsabilità nell’alveo di una più ampia responsabilità che essi non possono non
condividere con le società sportive. Non bisogna infatti dimenticare che «alla base di tutto c’è
stato un messaggio sbagliato da parte delle società sportive», ed è su questo messaggio che «si
sono innescati i media» che, a loro volta, «hanno generato confusione, cavalcando una protesta
assurda con manifestazioni fuori dallo stadio». Quali che siano le responsabilità individuali e/o
collettive, conclude Bianchi, è indubbio che «un po’ di tutti […] hanno contribuito a ingigantire
il problema e a creare questa contrapposizione forte tra i tifosi e le autorità».
16
Spostandoci dal cosa specifico delle barriere all’Olimpico a una più generale riflessione sul
peso che i racconti mediatici possono avere e hanno sulla percezione della sicurezza negli stadi,
Catapano è categorico nel rivendicare il proprio diritto/dovere di cronaca («un Paese in cui si
arriva a pensare che sia meglio nascondere la cronaca per evitare di alimentare chissà quali tensioni, paure, ecc., è un Paese che si dichiara sconfitto»), e per spiegare il proprio pensiero si
affida all’esempio, a suo avviso emblematico, di Gomorra («un Paese non può vietare per esempio la messa in onda di Gomorra perché racconta la realtà di quella zona d’Italia», e certo non
può farlo perché «c’è una fascia debole della popolazione che pensa che il camorrista di Gomorra che uccide i suoi rivali sia un mito e non sia un criminale»). Il giornalista, a prescindere dai
temi di cui si occupa, ha dunque il dovere di «fare cronaca obiettiva, cronaca reale», anche se e
quando questo significa «pubblicare la notizia degli incidenti tra due tifoserie prima o durante o
dopo la partita di calcio». Anzi, è proprio in questi casi che il dovere di cronaca raggiunge i propri
massimi livelli, perché accanto al dovere di raccontare i fatti, c’è anche un obbligo di tutela nei
confronti di quelle «famiglie con i bambini che devono decidere se andare oppure no la domenica successiva allo stadio».
L’altro osservatore che si sofferma approfonditamente sul tema del peso dei racconti mediatici sulla percezione della sicurezza è Fabio Massimo Splendore, il quale riconduce la questione
in un ragionamento più ampio sui rapporti tra organi di informazione, tifosi e Forze dell’Ordine.
Egli ritiene infatti che il racconto giornalistico non possa che essere l’esito di un processo in cui
lo «stare dalla parte del cittadino» (che egli considera una «tendenza inevitabile» di qualsiasi
giornalista) deve costantemente bilanciarsi con il «rendere il giusto merito al lavoro fatto dalle
Forze di Polizia», perché non può esserci sicurezza negli stadi (e men che mai percezione della
stessa) finché non si abbasserà «il livello di scontro anche ideologico tra il tifoso e il personale in
divisa».
5. Conclusioni
Giunti alla conclusione del nostro lavoro, siamo ora in grado di rispondere alla nostra research question, ovvero se l’introduzione del nuovo modello organizzativo è stata percepita, dal
pubblico che frequenta abitualmente l’Olimpico, come uno strumento utile a migliorare la sicurezza all’interno dello stadio. La risposta a questa domanda ben si presta a una duplice formulazione, a seconda che si privilegi una lettura meramente quantitativa dei risultati della ricerca sul
pubblico, oppure che si migri verso un approccio quali-quantitativo in cui l’analisi di quegli stessi
risultati si intreccia con quanto emerso dalle interviste agli osservatori privilegiati: nel primo caso,
l’esito della misurazione coincide con una risposta negativa, nel secondo caso il tentativo di
comprensione si traduce invece in una risposta in cui il “no” che prevale è il punto di partenza
di una riflessione più ampia e articolata. Proviamo dunque a “leggere” i principali risultati della
ricerca muovendo dal dato quantitativo, per poi integrare la sua analisi con un chiave interpretativa di tipo qualitativo.
17
a) Il nuovo assetto organizzativo: una risposta a quale esigenza di sicurezza?
Come anticipavamo poc’anzi, dall’analisi quantitativa dei risultati della ricerca sul pubblico –
che, giova ricordarlo, consta di circa 4.000 questionari compilati – emerge una prevalenza di
coloro i quali tendono a esprimere un’opinione negativa nei confronti del provvedimento: esso
non piace “per nulla” al 64,9% degli intervistati (cui si aggiunge il 14,8% di coloro cui piace
“poco”), mentre circa il 60% non lo considera affatto uno strumento in grado di garantire una
maggiore sicurezza all’interno dello stadio (anche in questo caso, c’è un 21,7% cui piace “poco”).
Ma, è lecito e per molti versi doveroso chiedersi, di quale sicurezza stiamo parlando? Di quella
scarsa sicurezza che tanto nel dibattito pubblico quanto nel sentire comune viene solitamente
associata all’immagine dello stadio? Di quella sicurezza sovente raccontata dai media con quella
«metafora di una battaglia» coniata da Alessandro Dal Lago (2001)? Oppure, più semplicemente,
di quella sicurezza che effettivamente percepisce chi frequenta abitualmente lo stadio?
Come appare evidente, rispondere a questa domanda è cruciale ai fini di una corretta interpretazione del dato relativo alla percezione della funzionalità o meno del provvedimento rispetto
al tema della sicurezza. Ora, considerando che il nostro questionario si rivolge specificamente al
pubblico che va allo stadio, e che le risposte provengono da persone che dichiarano una presenza assidua sugli spalti, non vi è dubbio che l’idea di sicurezza cui dobbiamo pensare non può
che essere la terza tra quelle precedentemente proposte. Così posta la questione, il dato più
significativo che a nostro avviso emerge dalla ricerca è la forte discrasia che esiste tra una sicurezza che possiamo definire “immaginata” e/o “raccontata” e la sicurezza “realmente percepita”
(ricordiamo a tal proposito che il 74,5% degli intervistati dichiara di sentirsi “molto sicuro” all’interno dello stadio), discrasia che a sua volta si riflette sulla valutazione di un provvedimento che,
nelle sue intenzioni, serve proprio a garantire una maggiore sicurezza: da questo punto di vista,
non è dunque da escludere che la mancata condivisione del nuovo modello organizzativo non
si leghi a una diversa percezione, a monte, del problema.
b) Perché il nuovo modello organizzativo non piace
Il secondo dato significativo che emerge dall’analisi quantitativa riguarda le motivazioni per
cui il provvedimento non ha incontrato il favore del pubblico, in cima alla cui lista svetta il fatto
che esso va a sradicare alcuni rituali intrinsecamente parte della “domenica del tifoso”, nonché
a rompere alcuni legami che sono insiti, radicati, cementati all’interno delle Curve. Anche in
questo caso, chiediamoci quali sono i legami che il provvedimento va a minare. Sicuramente ci
sono quei legami genuini, emotivi, solidali che solo una passione sportiva condivisa può contribuire a far nascere, quei legami che Ormezzano (2006) sostiene si cementano su quell’«amore
stupido» che è rappresentato dal tifo, che per sua stessa definizione incarna «il massimo della
poesia e della stupidità fatte carne». Tuttavia, è indubbio che accanto a questi legami per molti
versi “fisiologici”, nel corso degli anni le Curve hanno rappresentato l’humus perfetto nel quale
sono nati e si sono sviluppati fenomeni criminali, tanto più difficili da sradicare perché essi si
alimentano grazie al patologico legame che si instaura tra alcuni capi delle tifoserie e i cosiddetti
«militanti della curva» (Salvini 1988). Da questo punto di vista, il costante richiamo al fatto che il
nuovo modello organizzativo va a minare rapporti consolidati, da una parte certamente riflette
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l’anima più genuina del tifo, dall’altra parte mette in luce la sua accezione più patologica, per
non dire criminale. Come appare evidente, nel primo caso la valutazione negativa del pubblico
nei confronti del nuovo modello organizzativo ha a che fare con il provvedimento e con le motivazioni per cui esso è stato adottato (e dunque non può non essere tenuta in considerazione),
nel secondo caso usciamo completamente dalla logica sportiva per entrare in altre logiche che,
con lo sport, hanno poco a che fare.
Sempre sul versante delle motivazioni, non va poi sottovalutato l’aspetto che alcuni osservatori privilegiati rimarcano, ovvero il fatto che il provvedimento è stato percepito dai tifosi di Roma
e Lazio come una misura ad hoc, pensata e realizzata contro di loro. Dunque, non per ciò che è,
ovvero un provvedimento che rientra in una più ampia strategia finalizzata a garantire una maggiore sicurezza all’interno degli stadi e che, nel disegno del legislatore, non avrebbe dovuto
riguardare il solo Olimpico, bensì estendersi anche ad altri stadi italiani. Va da sé tuttavia che,
nel momento in cui esso è stato applicato al solo stadio romano, il pubblico non l’abbia percepito correttamente, complice anche – e qui veniamo a un altro aspetto che emerge chiaramente
dalle interviste – una strategia di condivisione non sempre efficace tanto sul versante della comunicazione da parte delle Istituzioni e delle società sportive quanto sul versante dell’informazione giornalistica12. Per non dire, poi, del mancato sostegno da parte di quella “tifoseria vip”
che, per la credibilità di cui gode presso i sostenitori di ciascuno dei due club coinvolti, avrebbe
potuto svolgere un ruolo di primaria importanza nella condivisione prima e nell’accettazione poi
del provvedimento. Quanto sostenuto dai nostri intervistati trova conferma anche nella ricerca
sul pubblico, se consideriamo che circa un intervistato su quattro (22,4%) considera il dialogo
costante tra società sportive, Istituzioni/Forze dell’Ordine e tifoserie lo strumento per aumentare
i livelli di sicurezza. Da questo punto di vista, dunque, siamo in presenza di una contestazione
che non ha un fondamento esclusivamente ideologico e quindi difficilmente scalfibile; ci sono
quindi le premesse per avviare un dialogo costruttivo finalizzato a individuare una soluzione soddisfacente per entrambe le parti, a patto tuttavia che si instauri un reale confronto tra tifoserie,
società e Istituzioni e, prima ancora, che tale dialogo sia preceduto e/o accompagnato da una
corretta informazione sulle ragioni del provvedimento.
c) Gli effetti del provvedimento: stadi sempre più vuoti o “diversamente popolati”?
Il terzo dato che emerge dalla ricerca sul pubblico, ma che ritroviamo anche nelle interviste
agli osservatori privilegiati, riguarda gli effetti che deriveranno dal nuovo assetto organizzativo.
Pur in assenza di percentuali nette come quelle in precedenza menzionate, anche in questo caso
emerge una sostanziale convergenza degli intervistati (42,7%), secondo cui il principale effetto
consisterà in un allontanamento del pubblico dagli stadi. Ma, anche in questo caso ci chiediamo,
la sensibile riduzione del pubblico presente sugli spalti dell’Olimpico nel corso della stagione
2015/2016 è da considerarsi conseguenza esclusiva del provvedimento (il cosiddetto “sciopero
delle Curve”) o, piuttosto, è l’ultimo anello di un processo più articolato e complesso, in cui le
potenzialità di visione offerte dalla televisione, unite a un certo timore ad andare allo stadio per
L’importanza, per le Istituzioni, del saper comunicare in maniera efficace i provvedimenti adottati viene
rimarcata, tra gli altri, da Sgalla, Viola, Caristo (2008).
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paura di restare coinvolti in episodi violenti, ha progressivamente persuaso molte famiglie a vedere le partite della squadra del cuore in televisione o al massimo seduti in settori dello stadio
diversi dalla Curva (e magari evitando le partite più a rischio)?
Stando a quanto sostengono i nostri intervistati, non solo le barriere non hanno rappresentato la causa scatenante del sensibile calo di pubblico negli stadi, ma forse neppure un fattore
così determinante in negativo. Per non dire ovviamente di chi, come Alessandro Catapano, vede
nelle barriere un strumento utile a produrre proprio l’effetto contrario, ovvero ripopolare gli stadi
di quel pubblico che oggi è, suo malgrado, costretto a disertarli. Opinione, quest’ultima, che in
parte riflette il pensiero di quell’11,6% di intervistati che, alla domanda relativa alle conseguenze
del provvedimento, afferma che esso contribuirà a popolare la Curva di tifosi diversi da quelli
che l’hanno finora frequentata. Ma, se l’introduzione delle barriere costituiscono solo l’ultimo
step di un processo di progressivo “svuotamento” degli stadi, iniziato molti anni fa, perché la
protesta contro il nuovo modello organizzativo ha cavalcato proprio questo tema? Sono ancora
una volta gli osservatori privilegiati a offrirci una risposta a questa domanda, allorquando concordano nel definire la protesta come un pretesto utilizzato dalle Curve per alimentare di nuova
linfa il dissenso nei confronti delle due società coinvolte. Da questo punto di vista, dunque, lo
sciopero delle Curve va letto certamente per ciò che è, ovvero un’azione “contro”, ma avendo
ben chiaro – come sostiene in particolare Fulvio Bianchi – che il suo destinatario sono principalmente Pallotta e Lotito, e solo in misura incidentale il Questore D’Angelo o il Prefetto Gabrielli.
d) “Cosa bisognerebbe fare per…”: interventi infrastrutturali, innovazione tecnologica e dialogo costante a servizio della sicurezza
Nelle interviste, gli osservatori privilegiati fanno ricorso a molteplici e diverse espressioni per
definire il nuovo modello organizzativo dello Stadio Olimpico; tali espressioni – «scelta obbligata», «successo incredibile», «norma transitoria», «punto di partenza» – riflettono un ventaglio
di posizioni all’apparenza diverse, ma nella sostanza strettamente connesse l’una con l’altra, poiché chiamano in causa aspetti diversi di uno stesso problema.
I giornalisti intervistati ritengono infatti che l’attuale assetto infrastrutturale dello Stadio Olimpico non consentiva altra scelta se non quella di operare un frazionamento delle Curve, perché
solo attraverso una misura di tal genere si poteva porre fine a una situazione tanto di illegalità
(scavalcamenti, sovraffollamento, occupazione di scale e spazi di passaggio) quanto di effettivo
impedimento a svolgere la propria attività per le Forze dell’Ordine (in primis, l’impossibilità di
individuare tempestivamente i responsabili di eventuali atti criminali). Alla base del provvedimento ci sarebbe dunque un vizio infrastrutturale di un impianto che non appare più in linea con
le norme sulla sicurezza stabilite in ambito sia nazionale che internazionale: un vizio che, tuttavia,
non viene condiviso dal pubblico, probabilmente proprio in ragione di quell’elevato livello di
sicurezza percepita all’interno dello stadio cui accennavamo in precedenza, e in alcuni casi neppure dagli stessi osservatori privilegiati. Rispetto dunque a un problema di carattere infrastrutturale, assistiamo all’emergere di almeno tre diverse posizioni: da una parte il pubblico, che come
detto considera le barriere del tutto inutili (perché a monte non percepisce un problema infrastrutturale); dall’altra i giornalisti, che si dividono a seconda che essi giudichino il provvedimento
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come un «successo incredibile», perché ha consentito di riportare la gestione domenicale dello
stadio nell’alveo di una normalità non più fittizia, oppure come una sorta di “male necessario”,
ovvero una misura che nella sostanza non convince, ma che allo stato attuale non presenta alternative.
Quale che sia la posizione assunta, né il pubblico né tanto meno gli osservatori privilegiati
considerano le barriere come un punto di arrivo, bensì come una soluzione transitoria o, meglio
ancora, come un punto di partenza. Anche in questo caso, il ventaglio delle possibili destinazioni
del “treno sicurezza” appare assai ampio e diversificato, ma non per questo inconciliabile se,
piuttosto che pretendere di individuare una destinazione unica e condivisa, proviamo a immaginare le diverse soluzioni prospettate come tappe di uno stesso viaggio. Da questo punto di vista,
la prima possibile soluzione consiste in una totale sostituzione delle infrastrutture esistenti con
stadi nuovi, costruiti secondo le più moderne esigenze di sicurezza. È il tema – che viene, seppur
marginalmente, richiamato nelle interviste – degli stadi di proprietà, che a significative innovazioni infrastrutturali aggiungono il fascino del loro essere “casa del tifoso”. Come appare evidente si tratta tuttavia di una soluzione non così facile da attuare (poiché la costruzione degli
stadi di proprietà dei singoli club si intreccia con questioni di carattere giuridico, economico,
logistico, ecc.), e che soprattutto non risolve il problema nell’immediato.
Quali sono dunque le altre possibili soluzioni? Secondo una parte consistente dei tifosi intervistati (pari al 32,3%), la gestione della sicurezza passa sì attraverso infrastrutture nuove, ma
anche – e forse soprattutto – tramite il ricorso a dispositivi tecnologici, i quali consentano di
individuare e bloccare i tifosi violenti. Su questo tema, in particolare, si inserisce la novità che è
stata introdotta con l’avvio della stagione 2016/2017, consistente nell’utilizzo di telecamere biometriche in grado di riconoscere, grazie alle immagini, i tratti somatici dei tifosi. Rispetto a un
approccio marcatamente sanzionatorio (legato a una maggiore presenza delle Forze dell’Ordine
e/o a sanzioni più severe contro i tifosi violenti), il pubblico ritiene dunque che sia necessario
prevenire piuttosto che curare, e da questo punto di vista la tecnologia può offrire un validissimo
aiuto.
L’altro fattore che, secondo gli intervistati, può contribuire a innalzare il livello di sicurezza
consiste nell’istaurare un dialogo costante tra tifoserie, società e istituzioni (menzionato da circa
un intervistato su quattro). Un dialogo, aggiungono gli osservatori privilegiati, in cui devono essere coinvolti anche media, che da questo punto di vista possono svolgere una funzione fondamentale tanto nel sensibilizzare l’opinione pubblica sul “problema sicurezza” che si vive ogni
domenica negli stadi (non venendo meno, dunque, al proprio diritto/dovere di cronaca), quanto
nel momento in cui essi non sono chiamati soltanto a dare informazione sulle decisioni assunte
dalle Istituzioni in materia di sicurezza, bensì a fare informazione (Schudson 1995), fornendo al
pubblico tutti gli elementi di valutazioni utili affinché esso, poi, possa farsi una propria opinione
(Spalletta 2011).
e) Destinazione sicurezza: la rivoluzione culturale della “maggioranza silenziosa”
Dalla nostra ricerca sembrerebbe dunque emergere come vi sia, tra il pubblico che frequenta
l’Olimpico, una “minoranza rumorosa” (ricordiamoci infatti che chi siede in Curva rappresenta
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circa il 25% dei tifosi, a fronte del restante 75% che occupa gli altri settori dello stadio) che, da
una parte, non percepisce un “problema sicurezza” all’interno dello Stadio, dall’altra parte si
oppone veementemente al nuovo modello organizzativo, per le ragioni che abbiamo fin qui
richiamato. Ma, riteniamo quanto mai doveroso chiederci mentre ci avviamo alla conclusione del
nostro lavoro, a fronte di questa “parte che si confonde col tutto” (e che si distingue per il tono
con cui fa sentire la propria protesta), cosa pensa quella che, per sillogismo, non possiamo che
definire come la “maggioranza silenziosa”? Se guardiamo sia alla ricerca sul pubblico che alle
interviste agli osservatori privilegiati, non vi è dubbio che abbiamo a che fare con una maggioranza che vorrebbe uno stadio diverso: una maggioranza che auspica un miglioramento della
struttura finalizzato a risolvere quelle criticità che mettono a rischio la sua stessa incolumità (sovraffollamento, ecc.), e nel contempo una maggioranza che vede nel provvedimento un importante segnale di cambiamento, attraverso cui porre fine a quel tradizionale processo che confonde la parte (incivile) del tifo per il tutto. Una maggioranza che oggi non possiamo che definire
“silenziosa”, ma che è potenzialmente candidata un domani a “far sentire la propria voce”. Perché ciò accada tuttavia, e qui veniamo a un aspetto rimarcato con forza dai giornalisti intervistati,
è necessario che vi sia prima una vera e propria rivoluzione culturale: prima ancora che l’investimento infrastrutturale e/o l’innovazione tecnologica, è infatti necessario costruire prima, e cementare poi una “cultura della sicurezza”, che a sua volta si intersechi con una rinnovata “cultura
dello sport”. Solo dall’incrocio tra queste due diversi processi, il nuovo modello organizzativo
dello Stadio Olimpico non resterà un caso isolato, bensì potrà aspirare a diventare, nel sentire
comune, una best practice non solo potenzialmente esportabile in altre realtà, ma che può e
deve essere esportata, cosicché lo stadio possa tornare a essere luogo di aggregazione e condivisione.
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