14 giugno 2014 - Derive Approdi
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14 giugno 2014 - Derive Approdi
ALIAS 14 GIUGNO 2014 (7) A pag 6: «Sin city» e «Batman il cavaliere oscuro il ritorno». Foto di due scene e di due location di «Vacanze Romane» con Audrey Hepburn e Gregory Peck. A pag 7: manifesti dal libro: «I muri del lungo ’68» VERONICA LAZAR location cinematografiche organizzandole e mappandole e Lorenzo Rumori è un pittore, grafico editoriale e pubblicitario romano particolarmente sensibile agli aspetti storico-urbanistici del grande cinema italiano. Dopo la prefazione di Dario Argento e l'introduzione di Carlo Verdone, sono passati in rassegna circa 120 pellicole esemplificative delle location suddivise nelle cinque zone di Roma (Centro, Nord, Est, Sud, Ovest), visualizzate cromaticamente all'inizio in due pagine con la mappa della città. Per ogni zona ci sono le schede dei film che comprendono cast e credit, il nome del quartiere e la via o la piazza dove sono state girate una o più scene, una scheda che informa su ciò che si vede nel fotogramma relativo al luogo del set e nella foto che ritrae quel posto come è oggi. Si viene risucchiati in un appassionante cineitinerario che ci porta attraverso i film di o con Dario Argento, Carlo Verdone, Lino Banfi, Alberto Sordi, Nanni Moretti, Vittorio Gassman, Marcello Mastroianni, Tomas Milian, Enrico Montesano,Renato Pozzetto, Dino Risi, Ettore Scola, Nino Manfredi, Ugo Tognazzi, i Vanzina, Paolo Villaggio, da Campo Marzio a Trastevere, dal Testaccio ai Parioli, da Monte Sacro a Pietralata, dal Tuscolano all'Ostiense, dal Gianicolense a Primavalle. Impostato con rigore e fantasia, il libro fornisce tutte le chiavi possibili di consultazione grazie anche a un indice dei film in ordine alfabetico e in ordine cronologico, un elenco dei principali registi e attori e a un corposo capitolo di Contenuti speciali con simpatiche chicche e sorprendenti curiosità che riguardano scene con auto e moto che attraversano le scalinate di Roma, la Roma «mascherata» (utilizzata cioè per simulare un altro luogo), i set allestiti nella periferia romana, gli Studios di Cinecittà per ricostruire interni e spesso anche esterni, i mezzi di trasporto, i panorami. I due autori fanno valere la loro matrice artistica e la loro professionalità con l'ottimo lavoro che hanno fatto nella fase del progetto grafico e dell'impaginazione, fondamentali per questo tipo di operazioni editoriali. Un volume davvero prezioso, originale e piacevole che da un lato si sintonizza sulla recente diffusione del «cineturismo», dei movie tour che in varie città italiane consentono ai turisti e non solo di scoprire le location che non ci sono più, dall'altro diventa un illuminante squarcio su un mondo (quello dei set naturali e artificiali, delle location vere e false) specchio dell'abilità e della creatività del glorioso cinema italiano scomparso. di SILVANA SILVESTRI ●●●Alcuni di quei manifesti degli anni anni Sessanta li avevamo dimenticati, invece altri li abbiamo ancora appesi nelle stanze della redazione, a monito perpetuo (Libera Valpreda, vota manifesto) di una campagna di nobili principi e di scarsi risultati: I muri del lungo ’68. Manifesti e comunicazione politica in Italia di William Gambetta (DeriveApprodi, 18 euro) ci racconta quei muri e gli anni che scorrevano veloci dal ’68 agli anni Ottanta: e non erano messaggi silenziosi, si affiancavano con la loro solennità agli slogan lanciati dai microfoni delle camionette elettorali (come lo sconcertante: «affinché lo stracciaccio rosso di Mosca non sventoli sul Campidoglio vota e fai votare...»), e a quelli scanditi nel corso delle manifestazioni. L’analisi compiuta da Gambetta è un viaggio nel tempo, studio degli schieramenti e delle trasformazioni iconografiche trasformati dall’incalzare degli eventi. Quello che successe nel dopoguerra in fatto di propaganda di destra e di sinistra lo abbiamo appreso dagli studi di Tatti Sanguineti, ora questo libro ci racconta tempi più recenti. Dalle immagini di propaganda che risentivano ancora di epoche passate arrivò inaspettatamente una grande scossa data dagli artisti d’avanguardia di Cuba - su Alias ne abbiamo parlato - dalla Francia, dall’underground americano e dalla Cina. Si combattevano vere e proprie battaglie con botta e risposta (come ora si fa in tv), oppure ci si fermava a cliché immutabili. È interessante ad esempio leggere a questo proposito quello che succedeva nelle immagini che portavano in primo piano i giovani, le donne, gli operai: tanto presenti sui manifesti, ci sarebbe da aggiungere, quanto poco presenti in maniera non distorta sugli schermi dove soprattutto la classe operaia è assai poco messa in scena rispetto all’alta borghesia, mentre i giovani, LIBRI ■ I MURI DEL LUNGO ’68 La politica appiccicata al muro fino ad allora categoria inesistente e improvvisamente diventati obiettivo privilegiato del consumo oltre che protagonisti del cambiamento di costume, sono materiale troppo incandescente per maneggiarlo decentemente. E, per quanto riguarda le donne, sono proprio gli anni di maggiore misoginia del nostro cinema. Al contrario i manifesti devono darsi da fare per attirare queste nuove categorie emergenti. Sono proprio operai, giovani e donne che in quegli anni si fanno sentire con forza e così ecco scomparire i cittadini indifferenziati della media borghesia che campeggiavano come testimonial pochi anni prima o le immagini mediate dalle figure ottocentesche. Come il lavoratore muscoloso «metafora della forza sociale del proletariato, spesso a torso nudo, con gli attrezzi del lavoro in mano o alla cintola e la sua marcia verso il sole nascente», immagini recuperate per riallacciare un rapporto storico dopo la censura del fascismo. Ma nei Sessanta cambia la figura dell’operaio, soprattutto dopo l’Autunno caldo: «quella figura divenne giovane e combattiva, ritratta in situazioni di conflitti, cortei, scioperi e picchetti. Si trattava quasi sempre di rielaborazione di fotografie di tipo giornalistico come se quei manifesti avessero l’intento di documentare le lotte realmente in corso». La marcia verso un nuovo mondo non era più solo un sogno ma una strada già avviata. Fino alla trasformazione finale, non più l’eroe ma un fumetto (Gasparazzo di Roberto Zamarin, Up di Alfredo Chiappori...) fino alla sua definitiva scomparsa dalla scena. Anche la donna fa la sua inedita comparsa. Non semplicemente donna ma sempre madre, angelo del focolare, madonna, compare a un certo punto figura autonoma in maniera decisa sui manifesti di Luciano Prati per il Pci del 1970 dedicati alla libertà con lo slogan «No al razzismo libertà per Angela Davis». Donne battagliere ma straniere, come la soldatessa vietnamita (e per contrapporsi, anche la Dc utilizzò la donna cecoslovacca in lotta). Ma appena il movimento femminista rompe gli schemi ecco che compaiono nuovi segni, nuovi colori, forme e slogan presi dai cortei. Ed anche se la produzione femminista non poteva competere con la propaganda dei grandi partiti, questi furono obbligati a tenerne conto. Fino al declino del manifesto degli anni ’80 (ma a quando un libro che analizza i faccioni elettorali?) Sua figlia Alessandra Celi mi ha detto che alla fine, negli ultimi giorni, era bellissima, come se miracolosamente fosse ringiovanita, e che quando se ne è andata, coraggiosa e libera come sempre, Veronica Lazar, la sua grande mamma, aveva predisposto tutto: il rito ebraico con cui è stata seppellita nella terra, le sigarette e le carte insieme a lei per essere certa di poter fumare e fare solitari anche nel luogo sconosciuto dove trasmigrano, forse solo nella nostra immaginazione, le anime di passaggio, la musica (il tema di Schindler’s list) suonata al violino dalla nipote, di cui era orgogliosissima. Veronica Lazar era Rosa la moglie morta suicida nell’Ultimo Tango di Bernardo Bertolucci, colei a cui Marlon Brando, disperato e incredulo, – «Anche se un marito vivesse duecento maledetti anni, non scoprirebbe mai la vera natura di sua moglie. Potrei anche… potrei anche arrivare a capire l’universo, ma non riuscirò mai a scoprire la verità su di te, mai» - le leva furiosamente il belletto dalle labbra, mentre la veglia accanto alla bara tutta piena di fiori, molto simile a quella reale che è stata il suo ultimo giaciglio l’8 giugno quando ci ha lasciati davvero, senza recitare. Veronica è stata una donna speciale, bellissima, aristocratica ed elegante, nata a Bucarest nel 1938 da famiglia ebraica, laureata in teatro (nei paesi dell’est il teatro è sempre stato considerato un lavoro serio), a 26 anni , poco prima che il famigerato Ceausescu prendesse il potere, ha lasciato il suo paese a cui è rimasta sempre legatissima, fu lei, nel 1989, l’interprete-traduttrice speciale della lunga diretta tv sulla caduta del regime dittatoriale, da allora si è molto prodigata per far conoscere il cinema rumeno, era la presidentessa della Fundatia Itaro Arte, collezionista di icone e veli tradizionali finemente ricamati del suo paese. Cosmopolita, colta, affascinante, abilissima cuoca, fumatrice incallita (ha chiesto ad amici e parenti di fumare al suo funerale) viaggiatrice, cooperatrice internazionale in Africa e in India. Veronica Lazar negli anni settanta si è stabilita in Italia, ma aveva vissuto a lungo in Brasile dove conobbe suo marito Adolfo Celi da cui ha avuto i due figli Alessandra, attrice brava e bella come lei, e Leonardo regista documentarista (autore del prezioso Adolfo Celi un uomo per due mondi) entrambi nati a Londra, ma italiani, anzi romani a tutti gli effetti. Con quella sua aria misteriosa è stata interprete di film horror di Dario Argento (Inferno, La sindrome di Stendhal) e Fulci (E tu vivrai nell’aldilà) ma anche di Antonioni (Identificazione di una donna, Aldilà delle nuvole) , di Gianni Amico (Affinità elettive) e tanti altri: Archibugi, Verdone, Rubini, ecc. ma è con Bertolucci il rapporto di amicizia e lavoro più costante Veronica è ne La Luna, Il tè nel deserto, L’assedio e nell’ultimo Io e te in cui è la meravigliosa e complice nonna dei due giovani protagonisti. E mi voglio unire all’ultimo saluto che Claire e Bernardo Bertolucci le hanno dedicato «la più bella di tutti noi… ci ha lasciato la leggerezza del suo tocco» ciao Veronica.