Capitolo 1_1_104

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Capitolo 1_1_104
1. Il quadro generale
1.1. Introduzione
1.1.1. Le condizioni di contesto
Per l’industria italiana la ripresa tarda ancora ad arrivare. Nei primi mesi del 2004 la produzione industriale ha seguitato a mostrare un profilo che, per quanto altalenante, appare tuttora
orientato verso un tendenziale cedimento; qualche segnale di recupero sembra peraltro emergere
dall’evoluzione più recente degli ordinativi e delle aspettative delle imprese sulla produzione a breve termine.
L’Italia stenta in ogni caso ad agganciare il treno di una ripresa internazionale che altrove mostra già segni di consolidamento. Il tasso di crescita dell’economia mondiale è risultato nel 2003 in
ulteriore accelerazione rispetto all’anno precedente, accompagnandosi a una crescita del commercio ancora più pronunciata (infra, parr. 1.2.1 e 1.2.2); anche se a un passo più contenuto, l’attività industriale sembra essersi a sua volta pienamente inserita su questo percorso. La crescita è
già visibile negli Stati Uniti, in Giappone (dopo tanti problemi) e, al di fuori dell’ambito dei paesi
industrializzati, in Asia, nell’Europa orientale e in America Latina1. È ancora incerta nei paesi
dell’Europa occidentale (ma non nel Regno Unito, dove appare già salda). Associandosi a un livello dei tassi di interesse ancora basso, il miglioramento delle condizioni di profittabilità conseguente alla ripresa alimenta attese di un recupero dell’attività di investimento, che nelle economie
più dinamiche mostra di essersi già avviata. Permangono tuttavia incertezze legate al possibile aumento dei tassi e delle quotazioni delle materie prime che la stessa espansione in corso potrà indurre (in particolare per quanto riguarda quelle petrolifere, su cui incombono anche le incerte prospettive del conflitto in Iraq)2.
La ripresa del commercio internazionale trova un fattore di alimento importante nella forte
crescita degli scambi intra-area. Su questo piano è sempre maggiore l’impatto che l’espansione tumultuosa dell’economia cinese esercita in termini di attivazione degli scambi interni all’area asiatica — probabilmente, anche più di quanto non derivi alla dinamica degli scambi mondiali dallo
stesso ingresso della Cina nell’ambito del Wto3. La dimensione assunta dal complesso delle economie dell’Estremo Oriente rende sempre più evidente il delinearsi di un graduale spostamento
del baricentro dell’economia mondiale — in particolare per quanto riguarda le attività di trasformazione e gli scambi connessi al loro sviluppo — dall’Atlantico al Pacifico. La velocità di questo
spostamento appare assai rapida, e si riflette in primo luogo nel ruolo decisivo che i paesi asiatici
vanno acquisendo in quanto importatori (di beni e, forse soprattutto, di investimenti). Ma in questa prospettiva i confini economici dell’Asia devono essere spostati ancora più a Ovest, dove sembra destinata ad assorbire quote crescenti di investimenti (in particolare nell’ambito delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione) un’altra economia di dimensioni continentali come
quella indiana — in gran parte sottraendoli alla stessa area delle economie industrializzate.
Nell’ambito europeo4 la dinamica degli scambi si è rivelata assai modesta, sia all’interno dell’area che verso l’esterno (infra, par. 1.2.4)5. Si amplia in ogni caso la rete degli scambi di mercato
con le economie ormai uscite dalla «transizione». La progressiva integrazione delle economie
dell’Europa orientale nel contesto del sistema industriale continentale — ora in parte formalizzata nello stesso ampliamento dei confini dell’Unione — spinge verso una ridislocazione verso Est
non soltanto dei flussi di interscambio, ma anche degli stessi nuovi investimenti6.
1 Cfr.
le valutazioni contenute, tra gli altri, in Oecd, Economic Outlook, May 2004.
anche Imf, World Economic Outlook, April 2004.
3 Su questo specifico punto cfr. ancora Oecd, cit. (Box I.1, pp. 12-13).
4 In questo Rapporto — che si riferisce al 2003 — l’Unione europea è sempre intesa come Ue-15.
5 Cfr. anche European Commission, Economic Forecasts, Spring 2004.
6 Cfr. infra, par. 1.5.3, e Unctad, World Investment Report 2004.
2 Cfr.
1
IL QUADRO GENERALE
Ma la creazione di un’economia integrata costituisce anche il presupposto di una divisione del
lavoro più efficiente, in cui prevalga la logica dei vantaggi comparati che — in un contesto di cambiamento — ciascun paese saprà esprimere. Sotto questo profilo il progressivo realizzarsi di una
effettiva integrazione del mercato interno ha già prodotto, all’interno dei confini dell’Europa a 15,
importanti effetti di concentrazione settoriale, che riflettono il graduale consolidamento di un processo di specializzazione produttiva. La tendenza verso un aumento della specializzazione appare generalizzata; essa comporta che ciascuna delle economie dell’Unione competa già oggi su un
numero di produzioni più limitato che in passato (infra, par. 1.2.3).
La creazione di un sistema industriale integrato nell’ambito europeo pone però anche un problema più generale, che è quello del grado di autonomia di un’economia continentale che deve
ancora dimostrare di essere in grado di crescere «da sola» (ossia in primo luogo sulla base della
propria domanda interna, come accade in altre economie continentali, da quella statunitense a
quelle emergenti), senza che le sue prospettive di sviluppo debbano dipendere da esogene internazionali. A sua volta, la questione dell’autonomia si lega a quella della forza che l’intera nuova
Europa sarà in grado di sviluppare nel quadro di una competizione che tende sempre più a configurarsi in termini di confronto tra i diversi «blocchi» dell’economia industriale mondiale.
Per le singole imprese, questo contesto pone problemi senza precedenti. Essi hanno a che vedere in primo luogo con la pressione che la competizione internazionale esercita sulla stessa struttura fisica dell’organizzazione, spesso forzando la ridislocazione di fasi produttive all’esterno dei
confini nazionali, e imponendo un’esigenza di governo della distanza che si configura su una scala non paragonabile a quella del passato. Ma la ridefinizione del ruolo che ciascun sistema industriale potrà assumere negli anni che verranno involve anche aspetti di ordine extra-produttivo: soprattutto, riguarda la capacità di sviluppare e gestire il complesso di tutte quelle attività di servizio
(dalle infrastrutture alla logistica alla distribuzione all’assistenza) dall’efficienza delle quali sono destinati a dipendere sempre più strettamente i risultati della stessa attività di trasformazione.
1.1.2. Le tendenze in atto
Per l’industria nazionale il 2003 è stato ancora un anno di recessione. Come già all’inizio dei
decenni Ottanta e Novanta, l’avvio del nuovo secolo ha coinciso con una prolungata fase di contrazione produttiva (infra, par. 1.3.1). Ormai da un triennio suggestioni di ripresa e nuove cadute
dei livelli di attività si susseguono con una frequenza ciclica ormai misurabile sull’arco dei mesi,
ma il saldo di queste convulsioni resta sistematicamente negativo.
In un contesto settoriale che si mostra uniformemente cedente (par. 1.3.2), i pochi segni di tenuta provengono da alcune delle produzioni legate all’attività edilizia, il cui recupero negli ultimi
anni — prevalentemente legato alla ristrutturazione residenziale — sembra essersi ultimamente
esteso anche alle nuove costruzioni. È invece pesantemente negativo il saldo delle industrie più
aperte verso l’estero, per le quali i problemi legati alla domanda internazionale si sono risolti in un
arretramento produttivo specialmente marcato. È questo in gran parte l’ambito in cui l’Italia concentra le sue produzioni di specializzazione; esse hanno subìto nel corso dell’ultimo biennio i contraccolpi negativi derivanti contemporaneamente dall’apprezzamento dell’euro nei confronti del
dollaro e dalla stagnazione della domanda interna all’area europea. L’approfondirsi della recessione è visibile anche nel suo progressivo estendersi a livello territoriale, e nella contrazione generalizzata del ritmo di formazione di nuove imprese (par. 1.3.3).
L’eccesso di offerta creatosi sul mercato ha comportato ancora una caduta della produttività,
a cui ha corrisposto un grado di utilizzazione degli impianti persistentemente ridotto. La spesa per
investimenti — già ridimensionata dal contro-shock implicato dall’esaurimento degli incentivi fiscali — è risultata ulteriormente scoraggiata (par. 1.3.4). In questo contesto le variazioni dell’occupazione seguitano, ormai da anni, a oscillare intorno allo zero. Per l’industria in senso stretto il
dato del 2003 è stato comunque negativo, se pure di poco; anche in questo caso segnali positivi
provengono invece dall’industria delle costruzioni — coerentemente con una dinamica dell’output più espansiva.
Indicazioni relative alla domanda di lavoro (par. 1.3.5) forniscono evidenza di una netta pre-
2
IL QUADRO GENERALE
valenza, per quanto riguarda le preferenze espresse dalle imprese, di contratti tipici a tempo indeterminato, principalmente orientati verso figure maschili di età relativamente giovane, e in particolare con formazione tecnico-professionale. In quasi tutti i settori industriali prevalgono, nell’ambito delle assunzioni previste, quelle di personale con bassi livelli di istruzione, e massimamente nelle imprese di dimensione minore — la domanda di laureati cresce all’aumentare della
scala dell’impresa. Gli stessi dati indicano tuttavia come il semplice titolo di studio non esaurisca
la domanda di qualificazione proveniente dalle imprese, nell’ambito della quale riveste invece un
ruolo molto importante l’esperienza lavorativa. Ma, soprattutto, essi indicano che il reperimento
della manodopera, a tutti i livelli professionali, incontra crescenti difficoltà.
Il persistere della recessione si è riflesso ineluttabilmente in un ulteriore ridimensionamento
del livello dei margini industriali, esito di una dinamica dei prezzi di vendita inferiore a quella dei
costi (par. 1.4.1); la flessione della produttività e un aumento delle retribuzioni si sono coniugati
nello spingere verso l’alto il costo del lavoro per unità di prodotto. Indicazioni provenienti da un
ampio insieme di bilanci di impresa (disponibili fino al 2002) confermano la tendenza dei margini a contrarsi, e mostrano come essa si sia riflessa in un cedimento della redditività operativa (par.
1.4.2); nell’aggregato, il saldo positivo della gestione extraindustriale — in gran parte legato a movimenti delle partite straordinarie — ha tuttavia contribuito a un’evoluzione positiva della redditività globale.
In questo contesto il prelievo fiscale a carico delle imprese mostra una tendenza verso la diminuzione delle aliquote medie effettive. Questa indicazione può essere ricavata sia dal confronto tra
il gettito delle imposte pagate dalle società e il reddito aggregato (effettuato attraverso l’analisi dei
più recenti dati di consuntivo elaborati dal Ministero dell’economia e delle finanze sulla base delle
dichiarazioni dei redditi), sia utilizzando dati di bilancio delle imprese. Poiché tuttavia la distribuzione del carico fiscale sulle imprese non è uniforme è importante sottolineare che l’analisi dei microdati di bilancio evidenzia che — pur nell’ambito di una tendenza verso la riduzione delle aliquote — il valore mediano osservato è sempre molto più elevato della media dell’aggregato.
Sul versante internazionale (par. 1.5), i risultati deludenti ottenuti ormai da un biennio in termini di esportazioni trovano una parziale spiegazione nell’apprezzamento del tasso di cambio (effettivo) reale dell’euro, su cui la dinamica dei prezzi relativi e della produttività (in particolare per
quanto riguarda il cambio misurato sul Clup) ha influito più ancora del cambio nominale.
Nonostante i risultati positivi ottenuti sui nuovi mercati dell’Est europeo (che stanno a loro volta
comportando una apprezzabile riallocazione regionale del commercio estero italiano), le esportazioni delle industrie di maggiore specializzazione hanno ancora subìto un ridimensionamento.
È proseguito il processo di privatizzazione di imprese a partecipazione pubblica (par. 1.6.1). Le
più importanti operazioni di dismissione effettuate dal Ministero dell’Economia e delle Finanze
nel 2003 hanno riguardato la cessione di Eti spa e la collocazione sul mercato di un’ulteriore quota di capitale dell’Enel. Sul versante delle liberalizzazioni continuano ad essere adottate misure
volte a promuovere la sostituzione dei regimi amministrativi con meccanismi di mercato (par.
1.6.2). Nel mercato dell’energia elettrica, l’avvio della Borsa segna un momento importante nello
sviluppo della concorrenza. Altri elementi di carattere normativo (quali una chiara assegnazione
delle competenze tra livelli di governo) e sistemico (relativi alla scarsa capacità di generazione del
sistema elettrico italiano, al potenziamento delle infrastrutture di rete, all’unificazione della gestione con la proprietà) sono ancora in via di definizione. Nel mercato del gas continua, anche se
più lentamente rispetto all’energia elettrica, un processo di graduale liberalizzazione di tutti i segmenti di attività, mentre si è completata l’apertura del mercato dal lato della domanda dal primo
gennaio 2003. Alcuni vincoli strutturali, quali i limiti di capacità sui metanodotti internazionali e la
struttura a lungo termine dei contratti di importazione, costituiscono tuttavia ancora ostacoli rilevanti allo sviluppo della concorrenza. Le caratteristiche del settore e il progresso tecnologico che
lo caratterizza hanno favorito un più celere processo di liberalizzazione nell’ambito delle telecomunicazioni. I mercati della telefonia fissa e mobile presentano risultati positivi per il grado di
apertura dal lato dell’offerta e della domanda e per la riduzione dei prezzi ai clienti finali, mentre
è ancora da potenziare lo sviluppo dell’accesso a banda larga.
La sezione monografica del Rapporto (cap. 2) si concentra quest’anno sulle relazioni di mercato che connettono tra loro, a monte e a valle, le attività manifatturiere con quelle terziarie. In
3
IL QUADRO GENERALE
particolare, l’analisi attira l’attenzione sulle industrie produttrici di tecnologie elettriche ed elettroniche destinate al sistema infrastrutturale - e specificamente a quello energetico e a quello delle telecomunicazioni. L’esplorazione è ancora del tutto preliminare, e intende per ora soprattutto
contribuire a definire una prospettiva di analisi; l’obiettivo è quello di inquadrare la dinamica dell’offerta delle produzioni in questione in relazione alla recente evoluzione tecnologica e organizzativa delle due filiere dei servizi a rete, in un quadro in cui sia le infrastrutture fisiche che quelle
immateriali svolgono un ruolo sempre più decisivo nella catena del valore.
1.2. Tendenze dell’industria a livello internazionale
1.2.1. L’attività industriale nel mondo: Stati Uniti, Giappone, Unione
europea
1.2.1.1. Il ritmo di crescita dell’economia mondiale nel 2003 (+2,5%) ha mostrato un’accelerazione rispetto all’anno precedente (+1,9%), evidente soprattutto nel corso del secondo semestre.
La crescita è risultata superiore alle attese — condizionate al ribasso dalle possibili conseguenze
dell’epidemia di Sars e dalle tensioni geopolitiche sviluppatesi in Medio Oriente fin dalla prima
metà dell’anno — ed è sostanzialmente in linea con il tasso medio di sviluppo dell’ultimo decennio. Il buon risultato è stato favorito soprattutto dall’inaspettata dinamicità degli Stati Uniti
(+3,1%), che hanno beneficiato di politiche economiche fortemente espansive, e delle economie
dell’Asia orientale (+3,3%). In questo secondo ambito, la performance dei paesi di nuova industrializzazione è stata migliore rispetto a quella del Giappone; la svolta ciclica intervenuta nell’economia giapponese — sostenuta principalmente dall’aumento delle esportazioni verso il resto del
continente asiatico — lascia comunque sperare che il periodo di stagnazione in cui versa il paese
da oltre un decennio sia stato ormai superato. Nell’Unione europea persistono i problemi legati
alla debolezza della domanda interna, e il ritmo di espansione nel 2003 è risultato contenuto
(+0,8%). Un contributo rilevante alla crescita mondiale è invece stato fornito dai paesi in via di sviluppo, il cui output è cresciuto del 5%. Al sostegno dell’attività economica nei paesi industrializzati ha contribuito l’aumento degli scambi commerciali mondiali (+4,5%).
1.2.1.2. Dopo il risultato negativo del 2001 e quello sostanzialmente stagnante dell’anno successivo, la produzione industriale nei paesi Ocse è aumentata nel 2003 dell’1% in ragione d’anno
(fig. 1.1). Questo dato, tuttavia, nasconde situazioni profondamente differenziate (fig. 1.2). Ai modesti incrementi degli Stati Uniti e dell’Unione europea, che rispetto al biennio 2001-2002 si sono
riportati su un sentiero di crescita positivo, si contrappongono i risultati più incoraggianti del
Giappone, che fanno seguito a
Fig. 1.1 - Tassi di crescita della produzione industriale delle
un dinamica nel complesso poco
economie avanzate (a) e del commercio mondiale
soddisfacente nell’ultimo decennio (+0,5% in media d’anno).
6
12
L’evoluzione dell’attività del5
10
le imprese industriali negli Stati
4
Uniti nasconde andamenti diffe8
3
renti in corso d’anno. Durante il
primo trimestre del 2003 la pro6
2
duzione industriale è cresciuta in
1
4
media dell’1,4% rispetto al mese
0
precedente, per poi contrarsi nel
2
-1
corso dei mesi successivi, presuProduzione industriale
0
mibilmente a causa dell’incertez-2
Commercio mondiale (scala destra)
za relativa al conflitto iracheno. In
-3
-2
chiusura d’anno, infine, essa ha
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
ripreso vigore, sostenuta non so(a) Paesi Ocse.
lo dalla rinnovata fiducia sulle
Fonte: Elaborazioni su dati Wto e Ocse.
4
IL QUADRO GENERALE
prospettive economiche a breve
termine, ma anche dagli ingenti
investimenti federali per la difesa.
8
Il Giappone, dopo falsi segnali di
Unione europea
ripresa succedutisi per oltre un
6
Stati Uniti
decennio, ha mostrato una cresci4
Giappone
ta sostenuta degli investimenti
2
delle imprese, stimolati dal canale estero, dalla riduzione dell’in0
debitamento e dall’aumento del-2
la profittabilità.
Nell’Unione europea, la si-4
tuazione appare in lieve recupero
-6
rispetto al 2002, grazie anche alla
-8
diminuzione dei tassi di interesse
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
sui prestiti bancari e al ritorno
dell’orientamento degli investiFonte: Elaborazioni su dati Eurostat e Fmi.
tori verso strumenti finanziari
con un profilo di rischio più elevato. I paesi dell’area, tuttavia, hanno mostrato un’evoluzione congiunturale tutt’altro che omogenea. Il ciclo economico dei paesi di lingua inglese, Regno Unito e Irlanda, riflette da vicino quello delle economie nordamericane, e si trova in fase espansiva. Nell’area dell’euro, per converso, permangono dubbi sulla ripresa in corso (che appare peraltro di modesta entità); con l’eccezione della
Spagna, la domanda interna è rimasta debole nel corso del 2003 — soprattutto in Germania.
Secondo valutazioni di consenso, solo nel 2006-08 l’Europa riuscirà a riportare il tasso di crescita del proprio Pil reale effettivo ai livelli un po’ sopra il 2% che è stimato per il Pil potenziale7.
Nel confronto con le performance di altri paesi, come ad esempio gli Stati Uniti (caratterizzati da
una vivace crescita demografica), il potenziale è d’altra parte frenato da una bassa crescita della
popolazione (intorno all’1%), fenomeno che accomuna anche i paesi nuovi entranti in Europa.
All’interno dell’Europa occidentale paesi come Regno Unito, Spagna, Finlandia e Grecia già nel
2003 sono comunque cresciuti a ritmi superiori al 2%.
Fig. 1.2 - Produzione industriale delle economie avanzate
(Variazioni percentuali)
1.2.2. L’evoluzione del commercio mondiale
1.2.2.1. Ormai lontani dalla fase recessiva del 2001, quando il volume delle esportazioni mondiali subì un calo assoluto dello 0,5%, il consuntivo del 2003 e il profilo prevedibile del 2004 confermano l’avvenuta ripresa degli scambi internazionali (tab. 1.1). Nel 2003, con un Pil mondiale in crescita del 3,9%8, il commercio mondiale è cresciuto in termini reali del 4.5%, e i tassi di crescita previsti per la media del 2004 sono rispettivamente di poco inferiori al 4% per il Pil e tra il 7 e l’8% per
il commercio mondiale. Fenomeno Sars, turbolenze in Medio Oriente e tensioni sui prezzi delle materie prime (su cui più avanti) non sono bastati a spegnere una fase congiunturale in netta ripresa.
Naturalmente differiscono le velocità di crescita delle diverse aree, anche se nelle analisi congiunturali continua ad essere evocata l’immagine delle locomotive e del convoglio (in cui necessariamente locomotiva e vetture devono viaggiare di conserva). A tirare la volata della congiuntura internazionale sono ormai da mesi il Nord America (le cui importazioni in volume sono cresciute nel 2003 quasi del 6%), nonché Asia e l’Europa centro-orientale (intorno all’11%). Ma i risultati più spettacolari sono sempre quelli della Cina, che — con un cambio bloccato a 8,3 reminbi per dollaro e un dollaro in discesa — ha registrato aumenti nominali (a prezzi e cambi correnti) del 40% per le importazioni e del 35% per le esportazioni. Le importazioni sono invece cresciute
meno del 2% in Europa e nell’America Latina. Nell’Unione europea nel 2003 il Pil è cresciuto dello 0,4%, con un contributo negativo delle esportazioni nette.
7
Cfr. ad esempio Prometeia, Rapporto di Previsione, marzo 2004.
8 La misura indicata è tratta da stime Imf; secondo valutazioni Wto la crescita sarebbe stata decisamente inferiore (2,5%).
5
IL QUADRO GENERALE
Tab. 1.1 - Commercio di beni per aree, 1990-2003
Esportazioni
Aree
Miliardi
di dollari
Importazioni
Variazioni %
2003 1990-2000
Miliardi
di dollari
2002
2003
Variazioni %
2003 1990-2000
2002
2003
Nord America
Stati Uniti
996
724
7
7
–5
–5
5
4
1.552
1.306
6
9
4
2
16
9
America Latina
Messico
Mercosur
Altri
377
165
106
106
9
15
6
6
–
1
1
–3
9
3
19
8
366
179
69
118
12
15
12
7
–7
–
–26
–4
3
1
10
3
3.141
2.894
1.099
4
4
5
6
6
7
17
17
17
3.173
2.914
1.114
4
4
5
5
4
2
18
18
19
400
191
135
10
10
–
10
15
4
28
29
26
378
225
74
8
12
–
11
11
12
27
27
24
Africa
Medio Oriente
Asia
Giappone
Cina
Altri esportatori (a)
173
290
1.897
472
438
686
3
7
8
5
15
9
2
1
8
3
22
6
22
16
17
13
35
14
165
188
1.734
383
413
615
3
5
8
5
15
8
4
3
6
–3
21
3
17
9
19
14
40
12
Mondo
7.274
6
4
16
7.557
6
4
16
Europa occidentale
Unione europea
esclusi scambi intra Ue
Economie in transizione
Europa centro–orientale
Russia
(a) Taipei, Repubblica di Corea, Malesia, Filippine, Singapore e Thailandia.
Fonte: Wto, Press Release 22 aprile 2004.
Gli Stati Uniti sono diventati di gran lunga il primo importatore mondiale di merci (1.305 miliardi di dollari), superando nettamente il peso di tutte le importazioni extra-Ue (1.114 miliardi).
Come paese esportatore sono invece al secondo posto (724 miliardi), alquanto distanti dal valore
delle esportazioni extra-Ue (1.099 miliardi) e al di sotto perfino del livello corrispondente alle
esportazioni della sola Germania (748 miliardi, sia pure per quasi due terzi rivolte al mercato intra-Ue). Nei servizi gli Stati Uniti restano il primo importatore ed esportatore mondiale — l’Italia,
favorita dal turismo, è al sesto posto (al settimo come esportatore di merci).
Nell’area asiatica la Cina costituisce un caso emblematico di crescita impetuosa della domanda interna, e quindi delle importazioni, che caratterizza una fase lunga di esplosione del mercato
in un sistema ad alto potenziale di capitale umano. Come fornitore del resto del mondo nel 2003
la Cina è risultato il quarto esportatore mondiale (con 438 miliardi di dollari). Se si aggiungessero
le esportazioni di Taipei (151 miliardi, solo in parte dirette verso Cina e Hong Kong), nonché le
esportazioni di Hong Kong al netto del traffico diretto alla Cina (più di 15 miliardi), il totale supererebbe i 472 miliardi di esportazioni del Giappone e la Cina potrebbe già oggi essere considerata il terzo esportatore del mondo. Ma ancora più sorprendente è il ruolo della Cina come cliente
del mondo: preceduta da Stati Uniti e Germania, è ormai il terzo importatore mondiale, ed è già
arrivata ad assorbire più della metà del consumo mondiale di acciaio, rame, gomma naturale e altri prodotti primari. I suoi 413 miliardi (a cui pure si potrebbero sommare circa 100 miliardi di importazioni di Taipei e Hong Kong al netto degli scambi intra-area) superano di gran lunga le importazioni dei singoli maggiori paesi europei (l’Italia è il settimo importatore con 289 miliardi). La
Cina è anche il primo dei paesi emergenti come esportatore e importatore di servizi, trovandosi in
ottava-nona posizione nella graduatoria mondiale.
6
IL QUADRO GENERALE
1.2.2.2. I prezzi in dollari delle merci scambiate sui mercati internazionali hanno registrato nel
2003 un rialzo del 10.5%, assai al di sopra della media di lungo periodo (nel decennio 1990-2000
i prezzi in dollari delle merci e dei servizi sono saliti rispettivamente del 6% e del 7% all’anno). Per
la prima volta dal 1995 i prezzi in dollari dei manufatti sono cresciuti del 10%. Questa impennata
dei prezzi ha contribuito per circa due terzi al forte incremento del valore corrente in dollari del
commercio internazionale (+16%), giunto così al record storico di 7.274 miliardi di dollari, a cui
possono aggiungersi gli scambi internazionali di servizi commerciali (1.763 miliardi). Al forte incremento dei prezzi internazionali in dollari ha concorso tuttavia per oltre la metà l’indebolimento del cambio del dollaro rispetto alle altre valute forti (euro, sterlina, yen, franco svizzero). Solo
l’incremento delle esportazioni asiatiche, in larga parte ancorate al dollaro, ha risentito meno dell’effetto-cambio.
L’altra componente rilevante dell’aumento dei prezzi internazionali è da attribuire ai rincari
dei combustibili (+16%), alimentati a loro volta da cause diverse tra cui temporanee carenze di offerta dovute alla crisi medio-orientale e ai disordini in Venezuela, forte aumento della domanda di
importazioni energetiche in Cina, maggiori importazioni statunitensi dovute alla minor produzione interna. Anche alcune materie prime non energetiche, come i metalli (la cui quotazione media
è salita del 12%), hanno contribuito all’inflazione internazionale dei prezzi in dollari. Complessivamente il ciclo espansivo della domanda mondiale, combinato con l’indebolimento del dollaro,
ha concorso alla tendenza rialzista dei prezzi delle materie prime dalla seconda parte del 2003. I
primi mesi del 2004 hanno confermato se non accelerato tale tendenza, spinta da una vigorosa
espansione (+6%) della domanda mondiale.
L’avvenuto deprezzamento del dollaro, peraltro in parte rientrato nei primi mesi del 2004, è
ancora insufficiente a imprimere una decisa tendenza all’aggiustamento del disavanzo esterno degli Stati Uniti, che solo per la componente merci ha raggiunto nel 2003 il picco di 550 miliardi di
dollari (pari al 5% del Pil statunitense).
1.2.3. I settori della trasformazione industriale in Europa
1.2.3.1. Nel 2003 l’attività produttiva dell’Europa si è dimostrata debole, facendo registrare un
tasso di crescita della produzione industriale in senso stretto sostanzialmente nullo (+0,3%) e proseguendo la tendenza al rallentamento innescatasi a partire dal 2001.
Come mostra la figura 1.3,
nel 2003 si è realizzata un’ulteFig. 1.3 - Variazione % della produzione in senso stretto, meriore riduzione della variabilità
dia Ue e variabilità fra paesi
del ritmo della crescita tra i di(Dati corretti per le giornate lavorative)
versi paesi dell’Unione; questo
fenomeno — osservabile fin dal6
30
la metà degli anni Novanta e di5
venuto sempre più evidente a
25
4
partire dal 1998 — pone in evi3
denza una progressiva conver20
genza dei cicli di crescita all’in2
terno delle singole economie
1
15
dell’area. Il processo, che conci0
de sul piano temporale con l’in10
-1
tegrazione economica e monetaria in atto all’interno dell’am-2
5
Ue
bito europeo, è visibile anche nei
-3
variabilità (scala destra)
dati riportati nella tabella 1.2: in
-4
0
questo caso appare evidente co1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003
me anche le economie più dinamiche nel periodo 1995-2001
Fonte: Elaborazioni su dati Eurostat.
(Irlanda, Austria e Finlandia),
7
IL QUADRO GENERALE
Tab. 1.2 - Tassi medi annui di crescita della produzione nell’industria in senso stretto
(Dati corretti per le giornate lavorative)
cresciute a ritmi decisamente superiori rispetto alla media Ue,
abbiano mostrato già nei due
anni successivi chiari segnali di
Settori
1995–2001
2002
2003
rallentamento, che si riflettono
in variazioni della produzione
Austria
8,1 (a)
0,9
1,5
sempre più vicine a quelle medie
Belgio
3,2 (a)
1,5
–
dell’area (ovvero a quelle delle
Finlandia
7,6 (a)
1,7
0,6
principali economie continentaFrancia
3,0 (a)
–1,3
–0,3
li)9. Per quanto riguarda le altre
Germania
2,8 (a)
–1,1
0,5
economie il processo di ridimenGrecia
5,2 (a)
1,7
1,6
Irlanda
17,3 (a)
7,8
6,5
sionamento dei tassi di crescita,
Italia
1,2 (a)
–1,3
–0,4
già intervenuto nel 2002, sembra
Lussemburgo
4,8 (a)
0,4
2,6
non avere registrato accentuaOlanda
2,0 (a)
–1,0
–2,1
zioni, con l’eccezione di Belgio,
Portogallo
2,8 (a)
–0,2
0,3
Olanda e Danimarca, i cui risulSpagna
3,3 (a)
0,2
1,4
tati subiscono un ulteriore pegArea Euro
3,1 (a)
–0,5
0,4
gioramento. Passano invece da
variazioni negative a variazioni
Danimarca
3,2 (a)
1,4
0,3
positive Germania (da –1,1% a
Regno Unito
1,0 (a)
–2,7
–0,4
+0,5%), Spagna (da 0,2% a
Svezia
3,2 (a)
–0,5
1,9
1,4%) e Svezia (da –0,5% a
Ue
2,7 (a)
–0,8
0,3
+1,9%); anche se in assenza di
una vera e propria inversione
(a) 1996-2001.
della fase recessiva, un parziale
Fonte: Elaborazioni su dati Eurostat.
recupero è osservabile anche per
Italia, Francia e Regno Unito.
Un quadro più dettagliato
dei fenomeni descritti può essere ricavato dalla fig. 1.4, che illustra il profilo intertemporale degli scarti nei tassi di crescita di alcuni paesi rispetto alla media Ue. Dalla figura si ricava in primo luogo che, per quanto riguarda le due economie più dinamiche degli ultimi anni (Irlanda e
Finlandia), gli ultimi anni hanno visto un evidente assottigliamento dei differenziali positivi accumulati in passato (nel caso della Finlandia, in particolare, il differenziale sembra di fatto essersi annullato). L’andamento del ciclo è molto simile a quello medio dell’Unione per due paesi di più antica industrializzazione come Svezia e Danimarca (nella quale prevalgono comunque
negli ultimi anni scarti positivi), mentre il dato del 2003 conferma, anche se in misura leggermente più attenuata rispetto agli anni trascorsi, la costante decelerazione dell’industria britannica, il cui ridimensionamento strutturale sembra non conoscere soste.
Nell’ambito delle economie dell’area mediterranea, la figura mostra una graduale attenuazione del ritmo di crescita anche per un paese late comer come la Spagna, il cui processo di rincorsa nei confronti delle economie più antiche dell’area può considerarsi ormai esaurito (anche
se il differenziale rispetto alla media europea torna ad essere, per ragioni di ordine congiunturale, positivo nell’ultimo biennio). Il tasso di crescita si mantiene invece su valori persistementemente più sostenuti della media europea nel caso della Grecia, in cui il processo di industrializzazione è invece in gran parte ancora da compiere; per l’altro late joiner del gruppo dei paesi fondatori dell’Unione, ossia il Portogallo, il differenziale mostra ampie oscillazioni al di sopra e al di
sotto della media: dopo essere cresciuta nel 1995 e nel 1996 a ritmi decisamente elevati, l’attività produttiva ha mostrato infatti segnali di marcato rallentamento negli anni successivi, e soprattutto nel biennio 1999-2000. I risultati ottenuti nell’ultimo triennio indicano in ogni caso un miglioramento.
1.2.3.2. Passando a considerare il profilo settoriale della crescita a livello dell’intera Unione
9
Germania, Francia, Regno Unito e Italia insieme contribuiscono per il 74% circa alla formazione del valore aggiunto nei settori della trasformazione industriale dell’Europa.
8
IL QUADRO GENERALE
Fig. 1.4 - Tassi di crescita della produzione, scarti rispetto alla media Ue nell’industria in senso stretto
Portogallo
Grecia
10
10
5
5
0
0
-5
-5
-10
-10
92 93 94 95 96 97 98 99 00 01 02 03
92 93 94 95 96 97 98 99 00 01 02 03
Regno Unito
Spagna
10
10
5
5
0
0
-5
-5
-10
-10
92 93 94 95 96 97 98 99 00 01 02 03
Danimarca
92 93 94 95 96 97 98 99 00 01 02 03
Svezia
10
10
5
5
0
0
-5
-5
-10
-10
92 93 94 95 96 97 98 99 00 01 02 03
92 93 94 95 96 97 98 99 00 01 02 03
Finlandia
Irlanda
20
10
15
5
10
0
5
0
-5
-5
-10
-10
92 93 94 95 96 97 98 99 00 01 02 03
92 93 94 95 96 97 98 99 00 01 02 03
Fonte: Elaborazioni su dati Eurostat.
9
IL QUADRO GENERALE
(tab. 1.3) si può constatare come
la fase di stagnazione che ha interessato il sistema produttivo
europeo nel corso del 2003 si sia
Settori
1996–2000
2001
2002
riflessa in modo sostanzialmente generalizzato sui risultati otIndustria estrattiva
2,1
1,3
–2,9
tenuti dai singoli settori maniEnergia elettrica
3,1
0,6
3,0
fatturieri, che hanno, nella
Attività manifatturiere
4,2
–1,1
0,2
maggior parte dei casi, mostraAltri mezzi di trasporto (a)
9,2
–4,0
4,6
to oscillazioni poco significative
Autoveicoli (a)
9,0
0,7
1,9
del livello di produzione rispetProdotti energetici da raffinazione (a)
7,5
–1,1
1,8
to al 2002. A questo riguardo le
Chimica
6,7
4,1
1,7
uniche eccezioni sono costituite
Alimentari e bevande (a)
3,4
2,3
1,2
da un lato dall’industria dei
Strumenti di precisione
6,6
–0,4
1,2
grandi mezzi di trasporto, che si
Lavorazione della gomma e della plastica
5,2
–0,5
0,9
è attestata su valori di produMateriali da costruzione di base
1,9
–1,7
0,9
zione del 4,6% maggiori di
Carta, cartotecnica, editoria e stampa (a)
4,4
0,3
0,4
quelli dell’anno precedente; e
Metallurgia
3,3
–0,7
0,1
dall’altro dai settori del sistema
Elettronica
10,3
–12,8
0,1
moda (pelli e calzature, abbiLavorazione dei metalli
5,0
–1,5
–0,7
Apparecchi meccanici ed elettrici
3,3
–1,2
–1,0
gliamento, tessile e maglieria)
Elettronica strumentale
5,4
–4,4
–1,1
che hanno invece subito una
Vetro e ceramica
2,9
–2,4
–1,2
forte contrazione dell’attività
Legno, mobilio e arredamento
3,7
–2,3
–1,4
produttiva (–18,9%). In flessioMeccanica strumentale
3,5
–2,4
–2,7
ne, se pure molto più contenuTessile e maglieria
0,2
–4,8
–3,5
ta, è risultata anche la meccaniAbbigliamento
–0,1
–12,8
–7,4
ca strumentale (–2,7%). Mentre
Pelli e calzature
1,3
–7,3
–8,0
per i mezzi di trasporto la crescita è da considerarsi come una
(a) Lussemburgo escluso.
netta inversione di tendenza riFonte: Elaborazioni su dati Eurostat.
spetto ai risultati dell’anno precedente, la flessione di produzione realizzatasi nella meccanica strumentale e, ancora più pesantemente, nel sistema moda rappresenta piuttosto la prosecuzione di una tendenza recessiva già in atto. Tra le altre industrie quelle che nel 2003 hanno
mostrato maggiori segnali di tenuta, con tassi di crescita intorno al 2%, sono quella degli autoveicoli, l’industria dei prodotti da raffinazione e la chimica (le prime due con tassi di crescita più
sostenuti rispetto al 2002, la chimica in graduale rallentamento). La forte contrazione dell’attività produttiva che aveva interessato il settore dell’elettronica nel 2002 sembra essersi arrestata; i dati attualmente disponibili non consentono tuttavia di stabilire se la ripresa del 2003 rappresenti soltanto una temporanea attenuazione della fase di ristrutturazione avviatasi nel settore dopo la crisi emersa nel corso del 2001 o se possa piuttosto considerarsi come l’inizio di un
processo di stabilizzazione dei livelli di attività dopo il boom sperimentato negli anni finali del
decennio Novanta. Al di fuori dell’ambito manifatturiero vanno segnalate la contrazione dell’attività nell’industria estrattiva (–2,9%) e la crescita sostenuta della produzione di energia elettrica (+3%).
Tab. 1.3 - Unione europea, tassi medi annui di crescita della
produzione
(Dati corretti per le giornate lavorative)
1.2.3.3. La tab. 1.4 fornisce un quadro sintetico della struttura dei flussi produttivi
dell’Unione europea nel periodo 2001-2003, indicando il contributo percentuale per ciascun
paese e settore10 alla variazione assoluta della produzione manifatturiera. Nel triennio considerato la produzione industriale dell’Ue è diminuita ad un tasso medio annuo dello 0,4%.
10 La tabella 1.4 riporta i settori aggregati secondo la classificazione Ateco, mentre nella tabella 1.3 viene utilizzata
la classificazione Csc corrispondente ai quadri macrosettoriali di questo Rapporto: il raccordo tra le due classificazioni è
ricavabile dall’Appendice metodologica (par. 6.3).
10
29,8
Attività manifatturiere (b)
20,5
6,6
11,9
2,0
3,0
8,7
–
4,0
–1,4
–
4,0
4,5
–
–2,4
2,3
–2,4
2,5
–5,0
–3,1
–5,2
–5,3
–4,0
Spagna
9,5
–1,2
–0,7
0,5
–2,7
–1,7
–
–3,5
9,8
6,1
–7,0
1,0
3,5
–1,5
–
–
1,1
1,3
–
3,7
–
Belgio
8,4
6,5
–
11,0
2,5
–
–
–0,5
–
–
0,7
–
–
–
–1,4
–
–
4,1
–
–
–
–14,2
Svezia
6,3
1,6
4,0
–1,0
0,7
–3,6
2,1
–
–
1,5
–
0,7
–
–0,5
1,7
–
–
1,9
–1,0
–
–
–3,8
3,7
–
–
–
2,5
0,9
–1,3
–
–0,6
0,8
–
–
–
–
–
–
–0,8
–2,2
–
–
–
5,1
Austria Finlandia
3,7
–
7,4
–
–
–
–0,6
–
–0,6
–
–0,7
–1,2
–
–
1,4
–
–
–1,0
–
–
–
–
Danimarca
2,0
1,3
0,5
–1,0
1,3
–
–
–
–
–
–
–
–1,1
–0,8
0,7
–1,0
–
–
–
–1,1
–
3,0
Portogallo
1,5
1,1
–
–
–
–
–
–
–
–
–
1,1
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–1,0
Grecia
Germania
–10,2 –17,0
6,2 12,6
–1,4
8,0
– 23,0
–
–1,5
2,9
–2,7
–0,7 10,4
–
4,2
–
1,2
–
–2,6
–
0,5
–2,5
–8,9
–1,9
–7,0
–
–1,7
–3,0
–3,0
–
–4,1
–1,8
–0,9
–3,2 –17,6
–0,8 –12,6
–
–6,9
–1,3
–6,0
–0,9
–1,6
Olanda
(a) Lussemburgo escluso.
(b) Tabacco escluso.
(c) Variazione percentuale media annua.
Fonte: Elaborazioni su dati Eurostat (European Business trends e Structural Business Statistics) e Oecd (Stan Database for Industrial Analysis).
24,0
6,7
–
–
–
–
–
2,6
–
–
7,0
–
–
–
–
–
–
–1,1
–
–0,8
–8,1
Irlanda
Chimica
Alimentari
Autoveicoli
Carta e affini
Coke, raffinerie etc.
Altri mezzi di trasporto
Gomma e plastica
App.di precisione
Legno
Metallurgia
Editoria e stampa
Minerali non metalliferi
Pelli e cuoio
Prodotti in metallo
Tessile
Macchine ed app. elettrici
Macchine ed app. mecc.
Altre industrie manufatt.
Abbigliamento
Macchine per ufficio
App. radiotel. e per com.
Settori
–36,8
10,2
9,2
4,0
0,8
–2,2
4,7
–
1,3
–1,3
–4,1
–3,4
–2,4
–2,3
–11,0
–5,3
–10,4
1,7
–5,5
–12,2
–8,8
–
–59,2
Italia
–62,2
2,1
8,2
–10,0
2,2
2,3
–2,6
–3,0
–
1,8
–0,8
0,9
–0,8
–8,6
–0,7
–9,3
–10,5
–6,1
–8,7
–9,0
–6,0
–3,8
Regno
Unito
1,6
2,2
17,0
0,5
–5,2
–7,5
–3,3
–0,7
0,7
–5,3
–3,7
1,7
–1,9
–6,5
–1,1
–8,8
–6,3
0,6
–3,1
–13,6
–16,8
Francia
Tab. 1.4 - Contributo % per settore e paese alla variazione della produzione industriale nell’Unione europea (a), 2001-2003
(c)
(c)
(c)
(c)
(c)
(c)
(c)
(c)
(c)
(c)
(c)
(c)
(c)
(c)
(c)
(c)
(c)
(c)
(c)
(c)
(c)
–0,4 (c)
83,5
62,9
39,0
12,8
5,3
2,0
2,1
2,5
2,4
–3,2
–5,8
–7,3
–18,9
–19,7
–25,8
–31,5
–33,9
–34,5
–40,6
–42,1
–49,1
Ue-14
IL QUADRO GENERALE
11
IL QUADRO GENERALE
Osservando l’ultima colonna della tabella è possibile notare, in primo luogo, che la varianza dei
contributi settoriali alla crescita aggregata è eccezionalmente ampia (i contributi si estendono su
un range che va, in termini percentuali, da oltre 80 a –50); in secondo luogo il ridimensionamento
del livello di produzione a livello dell’intero aggregato manifatturiero risulta quasi interamente
determinato dall’andamento negativo di sei settori: due che possono essere considerati caratteristici delle c.d. Ict, due di tipo «tradizionale» e due appartenenti all’ambito della produzione di
attrezzature meccaniche.
L’impatto più rilevante viene dai primi due (macchine per ufficio e apparecchi radiotelevisivi
e per comunicazioni), che insieme hanno contribuito negativamente alla produzione manifatturiera complessiva dell’area per una misura corrispondente a oltre il 90%11; seguono abbigliamento e «altre» industrie manifatturiere (–75%)12, e macchine e apparecchi elettrici e macchine e apparecchi meccanici (–65%). Ad attenuare la flessione dell’output manifatturiero hanno invece principalmente contribuito quattro industrie: chimica, alimentare, autoveicoli e filiera cartario-editoriale, che, complessivamente considerate, hanno determinato un aumento della produzione manifatturiera dell’area del 198%.
Dalla tavola si ricava anche un’immagine della «provenienza» settoriale e territoriale dei contributi alla crescita all’interno dell’Unione (i valori evidenziati in grigio indicano la cella a cui corrisponde il contributo settore/paese più elevato); su questo piano essa evidenzia la forte concentrazione territoriale dell’industria chimica e di quella degli autoveicoli. Nel periodo in esame, il
45% dell’incremento dell’output complessivo del settore chimico dell’Ue è stato realizzato dalle
industrie irlandesi e tedesche, mentre la produzione di autoveicoli è risultata fortemente concentrata in Germania e nel Regno Unito (queste quattro realtà, da sole, contribuiscono alla variazione dell’output dell’Ue per il 77%).
La tab.1.4 mostra anche come la flessione della produzione industriale europea nel periodo
2001-2003 sia in gran parte attribuibile all’andamento fortemente negativo di Italia e Regno Unito
e al marcato rallentamento di Francia e Germania. L’attuale debolezza dell’industria italiana è connessa non soltanto ai settori dell’high-tech, ma anche ad alcune produzioni del made in Italy: l’Italia
è il paese che più di tutti ha contribuito al ridimensionamento dell’attività nell’industria tessile e
in quella della pelle. Il contributo italiano risulta positivo solo in pochi settori, tra i quali rientrano
quello alimentare, il legno e la filiera cartario-editoriale (infra, par. 1.3.1). Il Regno Unito palesa
gravi difficoltà nel settore dell’elettronica ed evidenzia segnali di debolezza ormai estesi all’intero
spettro produttivo, fatta eccezione per l’industria degli autoveicoli. La Francia ha risentito oltre che
della crisi dell’elettronica e dell’elettrotecnica strumentale anche dei pessimi risultati ottenuti nell’abbigliamento e nella lavorazione dei metalli. La Germania, che nel periodo in esame ha realizzato quasi il 60% della produzione di autoveicoli dell’Ue ed ha ottenuto buoni risultati anche nell’industria chimica, è stata negativamente condizionata dalla crisi che ha interessato la meccanica
strumentale e alcuni settori tradizionali.
I paesi che nel triennio 2001-2003 hanno sostenuto la produzione dell’area sono stati Irlanda,
Spagna e Belgio, che complessivamente hanno determinato un aumento del 60% dell’output manifatturiero dell’Ue. L’Irlanda, che è il paese che ha fornito nel periodo il maggior contributo alla
crescita, è un new comer che cresce a ritmi molto sostenuti ormai da vent’anni; ma è importante
sottolineare che il suo contributo nel periodo deriva in misura preponderante dalla sola industria
chimica.
1.2.3.4. La distribuzione dell’offerta all’interno delle singole economie che costituiscono
l’Unione è in realtà un fenomeno soggetto a cambiamenti anche rilevanti, in relazione all’influenza che lo stesso processo di integrazione commerciale esercita sulla dinamica dei vantaggi comparati dei diversi paesi e sui processi di ri-localizzazione delle attività industriali. A questo riguardo un quadro sintetico del fenomeno per gli anni più recenti può essere ricavato dalla tabella 1.5,
in cui vengono riportate, con riferimento al livello della produzione, la differenze percentuali tra i
11
Ovvero, la somma delle variazioni assolute della produzione di queste due industrie corrisponde a oltre il 90%
della variazione manifatturiera complessiva.
12 In questa tavola l’aggregato delle altre industrie manifatturiere include, tra le altre, la produzione di mobili,quella di articoli sportivi, i giocattoli, l’oreficeria e gli strumenti musicali.
12
IL QUADRO GENERALE
Tab. 1.5 - Concentrazione settoriale nei paesi dell’Ue
valori della concentrazione settoriale (misurata dall’indice di
Herfindahl) in ciascun paese nel
Paesi
Livello 2003
Variazione %
1995 e nel 200313, oltre che i valori assunti dall’indice nel 2003
Irlanda
268,8
31,4
(uguagliato a 100 il livello medio
Germania
119,8
12,8
europeo).
Svezia
127,8
11,9
Il primo dato che emerge
Finlandia
138,2
10,4
Francia
112,7
7,2
dalla tavola è che in questo inDanimarca
171,8
4,6
tervallo temporale si realizza
Belgio
129,7
4,3
un aumento generalizzato delAustria
93,3
4,2
la concentrazione settoriale
Italia
94,0
4,0
della produzione. Detto in altri
153,2
3,7
Grecia (a)
termini, si riduce — in alcuni
Olanda
149,6
0,9
casi molto fortemente — il nuRegno Unito
99,6
0,3
mero delle industrie da cui ciaPortogallo
94,6
–1,9
scuno dei paesi dell’area ricava
Spagna
114,6
–5,6
la propria produzione complessiva. Questo processo è naUe14
100
4,5
turalmente legato all’abbattimento delle barriere commer(a) 1996-2003.
Fonte: Elaborazioni su dati Asi.
ciali all’interno dell’area — da
ultimo, e per una parte rilevante delle economie in questione,
alla stessa eliminazione di
qualsiasi barriera valutaria —, il cui effetto è quello di allargare il mercato potenziale dei produttori nazionali, accrescendo la possibilità di sfruttare rendimenti crescenti di tipo dinamico e
favorendo la concentrazione delle risorse nelle produzioni di vantaggio comparato.
Anche in questo caso la variabilità dei comportamenti tra le singole economie dell’area appare però molto ampia: in particolare, l’incremento di gran lunga più pronunciato del grado di
concentrazione interessa l’Irlanda, che è il paese in cui la concentrazione raggiunge nel 2003 il
massimo livello relativo e in cui, come già visto, l’avvio di un processo di sviluppo e l’inserimento nella realtà economica europea si sono tradotti in un processo di allocazione delle risorse molto selettivo. Scendendo nella graduatoria compaiono nel gruppo di testa le due maggiori economie continentali (Germania e Francia) e quelle del blocco scandinavo; in fondo due
dei paesi late comer (Portogallo e Spagna) e la Gran Bretagna. In una posizione intermedia dal
punto di vista della «velocità di concentrazione», ma al penultimo posto quanto al livello raggiunto nel 2003 si posiziona l’Italia, che nel contesto europeo si configura dunque come un’economia in cui l’attività produttiva è attualmente ripartita su un numero di produzioni mediamente più elevato che negli altri paesi dell’area. Il livello relativamente elevato del grado di diversificazione produttiva dell’industria italiana nei confronti sia delle economie più sviluppate
che di quelle in ritardo, come risulta dai dati qui riportati, è in netto contrasto con l’idea, spesso acriticamente accreditata, di un paese in cui l’attività produttiva è tutta sbilanciata verso settori di tipo «tradizionale»: sotto questo profilo la struttura settoriale dell’offerta italiana si presenta, nel confronto internazionale (quantomeno nell’ambito europeo) assai meno squilibrata
che altrove.
Le tendenze in atto sul piano della concentrazione produttiva possono essere esaminate più
in dettaglio considerando direttamente, paese per paese, la struttura dei coefficienti di specializzazione settoriale e i suoi cambiamenti nel tempo (tab. 1.6)14. In questo caso si può innanziL’indice di Herfindahl può essere espresso come: Σi (Xi/Xm)2; dove Xi è il livello della produzione nel settore i-esimo e Xm quello dell’intera industria di trasformazione L’indice varia tra 1 e 1/n (dove n è il numero dei settori), ovvero
è massimo quando tutta la produzione è concentrata in un settore, minimo quando è equidistribuita.
14
Il coefficiente di specializzazione può essere espresso in questo caso come: S = (jXi/tXi)/(jXUe/tXUe), dove jXi è la
produzione del prodotto j per il paese i-esimo, tXi quella totale manifatturiera (tutti i prodotti) dello stesso paese, jXUe è
13
13
14
Fonte: Elaborazioni su dati Eurostat.
Autoveicoli
Chimica
Alimentari
Macchine ed apparecchi meccanici
Prodotti in metallo
Macchine per ufficio ed elaborazione
Gomma e plastica
Macchine ed apparecchi elettrici
Apparecchi radiotel. e per com.
Editoria e stampa
Altri mezzi di trasporto
App. di precisione
Metallurgia
Carta e affini
Minerali non metalliferi
Altre industrie manifatturiere
Legno
Pelli e cuoio
Coke, raffinerie, ecc.
Tessile
Abbigliamento
Settori
1,63
1,77
1,39
1,76
1,62
1,19
Belgio
1,98
1,23
1,37
1,19
1,08
1,04
1,63
1,03
1,44
1,23
1,33
1,02
1,60
Germania
2,08
1,36
1,10
Danimarca
3,37
1,83
2,71
2,03
2,50
1,15
1,47
Grecia
Tab. 1.6 - Coefficienti di specializzazione settoriale per paese nel 2003
(In grigio i valori in aumento rispetto al 1995)
1,25
1,02
1,91
1,12
1,21
1,56
1,10
1,03
1,13
1,10
1,14
1,36
Spagna
1,11
1,96
1,10
1,34
1,06
1,29
1,12
1,05
Francia
2,14
2,22
11,78
3,05
1,56
Irlanda
1,35
1,47
1,12
3,58
1,19
2,25
2,77
1,08
1,04
1,36
1,38
Italia
1,58
1,27
1,37
1,01
1,64
1,59
Olanda
1,14
1,79
1,65
1,37
1,33
2,71
1,02
1,07
1,51
1,29
1,20
Austria
1,37
1,79
1,46
2,53
4,07
1,41
3,02
3,69
1,86
1,17
2,94
1,20
5,37
6,08
1,18
2,75
1,28
1,36
3,22
2,30
1,12
1,46
1,58
Porto- Finlandia Svezia
gallo
1,05
1,32
1,73
1,57
1,35
1,94
1,13
1,12
Regno
Unito
IL QUADRO GENERALE
IL QUADRO GENERALE
tutto osservare che i pattern di specializzazione differiscono in misura anche marcata tra i diversi sistemi economici, e che in ogni caso è possibile individuare continuità rilevanti tra diversi
gruppi di paesi. Il dato più evidente è quello che riguarda l’area delle economie mediterranee (e
in particolare Italia, Spagna, Portogallo), che mostrano tutte una evidente specializzazione relativa in produzioni di tipo «tradizionale», anche se i semplici dati contenuti nella tavola non consentono in alcun modo di valutare possibili differenze di prodotto all’interno dei codici a due digit disponibili. Ancora più notevole appare il fatto che in quasi tutti i casi in questione la specializzazione tenda ad accrescersi ulteriormente nel tempo, come evidenziato dalla griglia grigia
della tabella. Sul versante geografico opposto, tra i paesi scandinavi evidenziano una specializzazione produttiva del tutto simile Finlandia e Svezia, con una concentrazione relativa nella produzione di legno e carta, nella metallurgia, nell’elettronica e nella meccanica strumentale (l’unica differenza di rilievo è rappresentata in questo caso dalla forte specializzazione svedese nell’industria automobilistica).
Su un piano più generale la tabella evidenzia tuttavia anche una ulteriore caratteristica del fenomeno, consistente nel fatto che le economie dell’Europa meridionale, ovvero quelle sviluppatesi in ritardo rispetto all’area continentale, presentano una distribuzione settoriale dell’offerta manifatturiera meno concentrata (ovvero valori del coefficiente di specializzazione superiori all’unità
in un numero relativamente maggiore di settori) rispetto ai sistemi industriali più «antichi» del
Centro-Europa (Francia e Germania, ma anche Belgio e Olanda). Sotto questo aspetto a un maggiore «grado di maturità» sembrano corrispondere assetti produttivi in cui il processo di selezione
delle produzioni di vantaggio comparato è più avanzato. Una caratteristica simile è però osservabile anche in quei paesi di recentissima industrializzazione (tra cui massimamente Irlanda e
Finlandia) il cui sviluppo decolla di fatto successivamente all’instaurarsi di un effettivo mercato
unico integrato; in questo caso sembrano prevalere piuttosto gli effetti dovuti alla semplice apertura: la necessità di acquisire una dimensione produttiva minima in un mercato di dimensioni continentali, sotto questo profilo, spinge necessariamente verso un restringimento del range delle produzioni presidiabili.
1.2.4. Gli scambi commerciali nell’Unione europea
1.2.4.1. La crescita del commercio intra-area è stata molto contenuta e ha risentito della sostanziale stagnazione del Pil dell’Unione europea nella prima parte dell’anno. I bassi tassi di interesse, nell’area dell’euro storicamente a livelli mai osservati in precedenza, non sono serviti a stimolare a sufficienza il recupero dell’attività economica.
La modesta crescita dell’economia europea nel 2003 (inferiore all’1%) è stata pesantemente
condizionata soprattutto dalla performance negativa dell’area dell’euro (+0,4% in ragione d’anno).
Questo risultato, tuttavia, nasconde due tendenze differenti. Nella prima parte dell’anno l’attività
economica è stata sostanzialmente stagnante (soltanto la Spagna ha dimostrato un certo dinamismo sia nei consumi che negli investimenti), essenzialmente a causa della debolezza della domanda interna e di un mercato esterno poco favorevole. A partire dal secondo semestre si è avviato invece un lento ma progressivo recupero. Gli altri paesi europei hanno registrato tassi di crescita più elevati, ma in ogni caso lontani dai ritmi di espansione della seconda metà degli anni
Novanta.
Nel complesso, il commercio comunitario ha beneficiato del recupero del secondo semestre,
anche se permangono notevoli differenze tra i singoli paesi e le singole industrie, legate anche allo sfasamento del ciclo tra le diverse economie dell’Unione. In particolare, con una certa dose di
semplificazione è possibile cogliere una differenza di fondo tra l’evoluzione del ciclo nei paesi di
lingua inglese, che attualmente si trova in fase espansiva ed è strettamente influenzato dall’evolula somma delle produzioni del prodotto j-esimo dell’intera earea Ue, e tXUe è la somma delle produzioni totali manifatturiere dei paesi Ue. In questo modo la specializzazione relativa di ciascun paese (a numeratore del rapporto) è misurata rispetto a quella media Ue (a denominatore).
15
IL QUADRO GENERALE
GLI ACCORDI COMMERCIALI INTERNAZIONALI DELL’UNIONE EUROPEA
Introduzione
Una quota crescente delle transazioni commerciali mondiali avviene nell’ambito di Accordi di scambio
preferenziali (Asp). Dal novembre 2001 non meno di 33 nuovi accordi bilaterali o regionali sono stati notificati al Wto, e questa tendenza sembra destinata a proseguire anche nei prossimi anni. I paesi che tradizionalmente hanno favorito la liberalizzazione commerciale secondo il principio della «nazione più favorita» (most favoured nation) sono quelli più coinvolti negli Asp, e quelli che vi partecipano da più tempo stanno attivando numerose iniziative anche con partner non regionali. Un’ulteriore tendenza in corso è quella
della creazione di grandi blocchi regionali (Area di libero scambio delle Americhe o Area di libero scambio
euro-mediterranea); essi possono rappresentare un valido mezzo di transizione verso un sistema di scambi
multilaterali, ma costituiscono comunque un allontanamento dal principio Wto relativo alla non-discriminazione.
Le motivazioni che inducono alla crescente regionalizzazione degli scambi sono molteplici, e vanno
dalla necessità di accedere a mercati più vasti all’esigenza di acquisire un potere di mercato più rilevante
nei confronti dei paesi terzi. Gli effetti netti complessivi dell’intricata rete di Asp stipulati da quasi tutti i
paesi sono molto complessi da valutare e variano a seconda delle circostanze.Vale la pena di notare, tuttavia, che l’apertura internazionale in alcune aree del globo, ad esempio in Asia orientale, è molto spesso non-discriminatoria, poiché molte facilitazioni agli scambi sono il risultato dell’iniziativa unilaterale
dei singoli paesi che fanno parte della regione asiatica e vengono applicate a tutti i partner che facciano
parte o meno di accordi di cooperazione formalizzati. Negli altri grandi blocchi regionali l’evidenza suggerisce un quadro molto eterogeneo, anche se numerose analisi empiriche evidenziano che gli Asp e il
processo di liberalizzazione multilaterale del Wto mostrano un certo grado di sovrapposizione e si ostacolano a vicenda.
Nel corso degli ultimi anni l’Unione europea, che ha la competenza esclusiva in materia di commercio internazionale rispetto ai singoli Stati membri1, è stata fra i più attivi sostenitori del processo di
liberalizzazione degli scambi internazionali nell’ambito del Wto. Questa posizione non è sempre stata coronata da successi (basti ricordare i recenti fallimenti delle conferenze di Seattle e Cancun). Gli insuccessi trovano in gran parte una spiegazione nella elevata complessità raggiunta dai temi relativi al commercio internazionale, dovuta a sua volta alla notevole ampiezza della gamma di argomenti trattati, al gran
numero di attori coinvolti e, soprattutto, alla forte contrapposizione degli interessi in campo.
Parallelamente all’impegno a livello multilaterale nell’ambito del Wto, l’Unione europea ha però sviluppato nel corso degli anni una propria rete di accordi commerciali, sia bilaterali con singoli stati (quali ad
esempio, il Messico o il Cile), sia a livello regionale, ossia con gruppi di paesi (quali i paesi del
Mediterraneo o i paesi c.d. Acp — Africa, Caraibi e Pacifico). L’attuale stallo dei negoziati multilaterali in
ambito Wto rende prevedibile una rinnovata azione dell’Ue per sviluppare ulteriormente la propria rete
di accordi bilaterali e regionali, di cui questo riquadro intende offrire una breve panoramica.
1. Accordi bilaterali
Messico. Dal 1° gennaio 2003 è entrato in vigore un accordo di libero scambio fra Ue e Messico, che prevede una progressiva liberalizzazione degli scambi commerciali (da completare nel 2010). Nella prima fase
di attuazione dell’accordo i prodotti messicani usufruiscono della riduzione dei dazi doganali europei, ma
ad essa non corrisponde un’analoga riduzione da parte messicana sui prodotti europei; in una seconda fase (il cui avvio è previsto per il gennaio 2007) l’accordo prevede che la liberalizzazione si estenda anche alle importazioni messicane. Per i prodotti agricoli la liberalizzazione è prevista a partire dal 2010 (ed è applicata all’80% delle importazioni europee e al 42% delle importazioni messicane). Per i prodotti ittici la scadenza è sempre a partire dal 2010 (e riguarda il 100% delle importazioni europee e l’89% di quelle messicane). Per quanto riguarda la liberalizzazione nel settore dei servizi e le forme di tutela degli investimenti,
l’intesa fra Ue e Messico, pur esistendo specifici accordi bilaterali, è di fatto inquadrata nei più ampi contesti regolamentari del Wto e dell’Ocse.
1 Propriamente tale competenza giuridicamente spetta ancora alla Comunità europea, che, a sua volta, costituisce uno dei c.d. pilastri su cui si basa l’Unione europea. Per evitare confusione in questo testo si fa riferimento semplicemente all’Ue.
16
IL QUADRO GENERALE
Cile. Nel novembre 2002 è stato siglato un accordo di associazione con il Cile, che prevede la progressiva realizzazione di un’area di libero scambio fra Cile e Ue. Analogamente a quanto stipulato con il Messico,
l’accordo prevede una prima fase di liberalizzazioni unilaterali da parte dell’Ue, seguita da reciproche concessioni da parte del Cile. Il processo sarà definitivamente ultimato nel 20132.
Sud Africa. Nel 1999 l’Ue ha siglato un accordo di cooperazione con il Sud Africa, nell’ambito del quale le misure relative al commercio sono in vigore a partire dal gennaio 2000. L’accordo ha l’obiettivo di giungere progressivamente alla realizzazione di un’area di libero scambio nell’arco di 12 anni, con una prima fase di apertura da parte europea seguita da successive concessioni da parte del Sud Africa3.
2. Accordi regionali
Area Economica Europea. Parallelamente alla costituzione della Comunità europea, alla fine degli anni Cinquanta è stata creata nell’ambito continentale un’area di libero scambio comprendente la Gran
Bretagna e altri paesi dell’Europa settentrionale, denominata Efta (European free trade area). Diversi paesi membri dell’Efta sono successivamente confluiti nella Comunità europea. Tre paesi non hanno invece
aderito all’Ue: Norvegia, Svizzera e Islanda. Accordi di libero scambio sono in vigore dal 1973 con questi tre paesi4. Tali accordi hanno posto le premesse per la creazione dell’Area Economica Europea, a partire da una nuova intesa siglata nel maggio 1992, che estende ai paesi in questione le quattro libertà di
movimento di beni, capitali, servizi e persone5.
Europa sud-orientale. Con i paesi dell’Europa sud-orientale6 sono stati stipulati accordi di associazione
che hanno l’obiettivo di favorire ed agevolare l’interscambio commerciale con l’Ue. In questo quadro, l’Ue
ha avuto un ruolo fortemente propulsivo; a novembre 2003 è stata completata una rete di accordi bilaterali
fra tutti i paesi della regione, cui si è aggiunta la Moldavia. Non si tratta tuttavia di un’area di libero scambio effettiva, in quanto i diversi accordi siglati disciplinano e liberalizzano comparti produttivi differenti, che
variano a seconda dei paesi firmatari7.
Paesi Acp (Africa, Caraibi e Pacifico). La prima forma di accordo regionale risale al Trattato di Roma
del 1957, costitutivo della Comunità economica europea, che prevedeva un trattamento commerciale agevolato per i territori d’oltremare e le colonie di alcuni dei sei stati fondatori. Nel corso degli anni, con il
progressivo allargamento della Cee/Ue e il conseguimento dell’indipendenza da parte delle colonie, la
base giuridica si è trasformata in una serie di trattati internazionali (convenzioni di Yaoundé e Lomé).
L’ultimo accordo siglato, attualmente in vigore, è quello di Cotonou, che vede come firmatari, oltre all’Ue,
77 paesi Acp (i 48 stati dell’Africa sub-sahariana8, 15 stati caraibici e 14 stati del Pacifico). L’accordo di
Cotonou ha rappresentato un punto di svolta rispetto alla precedente impostazione delle relazioni commerciali fra Ue e paesi Acp, basate sulla non-reciprocità dei trattamenti commerciali preferenziali 9. Si prevede ora di realizzare una serie di Economic partnership agreement che comporteranno obblighi e concessioni da entrambe le parti e che avranno anche l’obiettivo di stimolare l’integrazione regionale fra i paesi Acp, compatibilmente con il più ampio quadro regolamentare stabilito in sede Wto.
Paesi meno sviluppati. Anche se di ridotto impatto economico per l’Ue, è opportuno ricordare l’ini2
La liberalizzazione delle importazioni europee di prodotti industriali dal Cile sarà completata al 100% a partire dal gennaio 2006; le tariffe cilene per i prodotti europei saranno completamente eliminate a partire dal gennaio
2013. Per i prodotti agricoli e per i prodotti ittici il raggiungimento della piena liberalizzazione, in entrambe le direzioni, è previsto a partire dal gennaio 2013.
3 Uno specifico accordo sulla commercializzazione delle bevande alcoliche è stato siglato nel gennaio 2002.
4 Il successivo accordo siglato con la Svizzera include anche il Liechtenstein. La Svizzera, tuttavia, a seguito di
referendum non ha ratificato l’accordo di associazione con l’Ue.
5 Per quanto riguarda i prodotti agricoli ed ittici la liberalizzazione è ancora parziale.
6 Romania, Bulgaria, Croazia, Bosnia, Serbia-Montenegro, Macedonia e Albania.
7 Si tratta comunque di un risultato importante, anche in considerazione delle precarie condizioni di stabilità
politica dell’area.
8 Le relazioni commerciali con il Sud Africa, pur essendo paese firmatario dell’accordo di Cotonou, sono disciplinate dal precedente accordo bilaterale firmato nel 1999.
9 Che resteranno comunque in vigore fino al 2007, secondo le modalità stabilite con l’ultima convenzione di
Lomé.
17
IL QUADRO GENERALE
ziativa unilaterale europea nei confronti dei 49 paesi meno sviluppati (i c.d. least developed countries), denominata «Everything But Arms». L’Ue si è unilateralmente impegnata ad abolire ogni barriera tariffaria
per qualsiasi tipo di prodotto, con la sola esclusione di armi ed altri prodotti bellici.
Area di Libero Scambio euro-mediterranea. A partire dal 1995 è stato avviato un processo per la realizzazione di un’area di libero scambio fra l’Ue e i paesi della sponda sud del Mediterraneo10, al fine di giungere nel 2010 alla piena integrazione commerciale. Questo ambizioso obiettivo è stato fin qui perseguito attraverso la realizzazione di accordi bilaterali fra l’Ue e i diversi paesi: nel frattempo Malta e Cipro sono divenuti stati membri dell’Ue, con la Turchia è stata realizzata un’unione doganale, mentre con tutti
gli altri paesi, ad eccezione della Siria, sono stati siglati accordi di associazione che porteranno al completo abbattimento delle barriere doganali entro il 2010. Già oggi gli accordi di associazione in vigore
comportano una notevole riduzione dei dazi doganali fra le due sponde del Mediterraneo.
Mercosur. Da diversi anni sono in corso negoziati fra l’Ue e l’area del Mercosur — costituito da
Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay — per la realizzazione di un accordo di libero scambio fra le due
aree. L’avanzamento dei negoziati è reso particolarmente difficoltoso dalle forti resistenze verso un’effettiva apertura commerciale11 esistenti in America Latina e a causa delle inevitabili interferenze che derivano dai concomitanti negoziati per la creazione dell’Area di libero scambio delle Americhe12. La realizzazione di un accordo Ue-Mercosur aprirebbe alle imprese europee un mercato di circa 230 milioni di
abitanti.
Consiglio di cooperazione del Golfo (Ccg). Anche con il Consiglio di cooperazione del Golfo — costituito da Arabia Saudita, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Bahrain ed Oman — sono stati avviati, a partire dall’inizio degli anni Novanta, negoziati per la realizzazione di un’area di libero scambio con l’Ue. Per
lungo tempo non si è registrato nessun significativo progresso; la recente costituzione di un’unione doganale fra i paesi del Ccg sembra poter costituire un valido stimolo per il rilancio dei negoziati, la cui conclusione potrebbe avere anche positive ricadute nel quadro della complessa situazione politica mediorientale.
Conclusioni
Da questa breve panoramica emerge che l’Unione europea ha già sviluppato una significativa rete di
accordi commerciali internazionali. Anche se non sembra possibile individuare un indirizzo strategico
prevalente nella scelta delle aree/paesi con cui sono stati realizzati accordi di libero scambio, è tuttavia
evidente la scelta da parte europea di abbinare considerazioni di carattere politico alle esigenze di natura prettamente economica. Gli accordi con i paesi Acp derivano chiaramente dai precedenti legami coloniali dell’Europa (con l’eccezione del Sud Africa, ove le ragioni dell’accordo possono essere ritrovate nello specifico impegno politico da parte europea a sostenere l’economia di quel paese nella delicata fase di
transizione post-apartheid). Le ragioni degli accordi stipulati con Messico e Cile e, in prospettiva, con il
Mercosur sembrano invece corrispondere maggiormente all’esigenza di bilanciare la predominante influenza statunitense nei confronti dell’area latinoamericana. Nel processo avviato con il Consiglio di
Cooperazione del Golfo coesistono motivazioni di natura economica (volte a favorire la penetrazione
commerciale europea verso paesi che detengono consistenti riserve petrolifere da cui l’Europa tuttora dipende) e politica (miranti a rafforzare i legami con un’area che sta attraversando una fase di crescente instabilità). Analogamente, il progetto dell’Area di libero scambio euro-mediterranea e l’estensione degli
accordi commerciali all’Europa sud-orientale rispondono al duplice obiettivo di incentivare la penetrazione delle imprese europee e di contribuire alla stabilizzazione dell’area mediterranea e balcanica. Per
l’Unione europea resta ancora da esplorare la prospettiva dell’Estremo Oriente, dove si stanno autonomamente sviluppando iniziative per realizzare accordi commerciali regionali e dove anche gli Stati Uniti
hanno già avviato una propria azione al di fuori del quadro Wto.
10
Algeria, Cipro, Egitto, Giordania, Israele, Libano, Malta, Marocco, Siria, Territori palestinesi, Tunisia e Turchia.
La Libia è l’unico paese mediterraneo non ancora pienamente coinvolto in questo processo.
11
All’interno dello stesso Mercosur l’apertura commerciale fra i diversi paesi membri è decisamente meno pronunciata rispetto a quella esistente in Europa.
12
Free Trade Area of Americas. Questo progetto vede coinvolti tutti i paesi del continente americano, con l’unica
eccezione di Cuba.
18
IL QUADRO GENERALE
zione congiunturale degli Stati Uniti, e quello dei paesi dell’Europa continentale, nei quali il recupero deve invece ancora svilupparsi.
A livello intra-area, così come nell’ambito del commercio totale, l’elevata incertezza, connessa con le tensioni nello scenario geopolitico internazionale, ha frenato la crescita degli scambi. La mancata conclusione del conflitto iracheno ha fatto sì che non si avviasse in Europa quel
recupero della produzione e delle transazioni — già depressi nel corso dell’ultimo triennio —
che una parte degli osservatori internazionali si attendeva. D’altro canto, il perdurare di un clima di incertezza ha influito sui costi di assicurazione e di trasporto più ancora che sulla dinamica degli scambi. A ciò si aggiunge l’effetto negativo che l’apprezzamento della moneta unica
ha esercitato sugli scambi tra i paesi dell’area dell’euro e i mercati esterni — anche se l’impatto
complessivo della variazione dei prezzi relativi è stato abbastanza contenuto in ragione del fatto che all’interno dell’Unione europea l’area dell’euro ha un peso preponderante nel volume degli scambi.
1.2.4.2. Utilizzando dati sul commercio estero di fonte Eurostat, le tabelle 1.7 e 1.8 illustrano l’evoluzione degli scambi commerciali all’interno dell’Unione europea nel corso del
2003, rispettivamente in termini di variazioni del valore delle transazioni e delle quote di mercato15.
Nell’ambito preso in considerazione si rileva un andamento negativo nella quasi totalità
dei settori. Fanno eccezione il dato relativo all’industria estrattiva, che risulta un comparto in
forte espansione in tutti i paesi tranne Grecia, Irlanda, Lussemburgo e Regno Unito, e quelli
dell’industria alimentare e chimica, che registrano un modesto incremento. In generale, le economie minori registrano risultati migliori di quelle «grandi». In Germania, ad eccezione delle
industrie chimica ed estrattiva, le esportazioni di manufatti intra-Ue diminuiscono rispetto al
periodo corrispondente dell’anno precedente. In particolare, subiscono notevoli perdite la
meccanica strumentale (–8,1%), l’industria tessile (–10,7%) e quella delle pelli e calzature
(–13,5%), anche se le conseguenze in termini di peso relativo nell’ambito delle esportazioni
intra-area non sono particolarmente rilevanti (nonostante queste diminuzioni in termini assoluti, infatti, la quota di mercato della Germania nel settore della meccanica strumentale passa
dal 23,9% al 24,6%, mentre rimane sostanzialmente stabile nel tessile e diminuisce nelle pelli
e calzature).
Per contro, il commercio di manufatti in Francia ha registrato performance notevolmente differenziate tra i singoli settori. La flessione delle esportazioni è di ampiezza analoga a quella della
Germania nel caso della meccanica strumentale e del tessile, mentre la filiera conciario-calzaturiera mostra una certa tenuta. Nel Regno Unito si rileva invece una contrazione delle quote di mercato in tutti settori, che prosegue lungo un trend evidente ormai da tempo, a sua volta riflesso di
una debolezza crescente dell’industria britannica sul piano strutturale. Il paese in cui si verifica un
aumento del valore delle esportazioni nel maggiore numero di settori (anche se in valore assoluto gli incrementi registrati sono di modesta entità) è l’Austria. Per quanto riguarda l’Italia, gli scambi commerciali con i principali partner commerciali europei hanno registrato nel complesso un risultato ancora più negativo di quello rilevato l’anno precedente, e peggiore rispetto all’interscambio complessivo. Tuttavia, l’andamento delle esportazioni di manufatti è notevolmente differente
a seconda del settore preso in considerazione. Una preoccupante diminuzione dell’export a prezzi correnti è particolarmente evidente in alcuni settori rappresentativi del made in Italy, come il tessile e la filiera conciario-calzaturiera, che registrano entrambi una contrazione prossima al 13% e
nei quali l’Italia detiene la quota intra-area più elevata.
Le tendenze generali suggeriscono che nel complesso il 2003 sia stato, come già quello precedente, un anno di transizione. Le previsioni del Wto per il 2004 lasciano sperare che l’inversione ciclica degli ultimi mesi, caratterizzata da esitazioni e false partenze, si consolidi e favorisca una
ripresa degli scambi su ritmi più elevati.
15 A questo scopo è stata effettuata una riclassificazione ad hoc degli aggregati settoriali, a partire dalla
Nomenclatura combinata, al fine di approssimare la classificazione Ateco. In entrambe le tabelle i codici che compaiono a fianco della denominazione dei singoli settori corrispondono a quelli della Nomenclatura combinata.
19
20
50-60
41-43,
64
Tessile
Pelli, cuoio e calzature
66, 71,
95-97
Fonte: Elaborazioni su dati Eurostat.
Altre ind. manifatturiere
24
68-70
Tabacco
87-89
Vetro e ceramica
84-86,
93
Meccanica strumentale
Mezzi di trasporto
82-83
Lavorazione di metalli
25-27
44-46,
94
Legno e arredamento
Estrattive
72-76
78-81
Metallurgia
39-40
47-49
Carta e stampa
61-63,
65-67
28-38
Chimica
Abbigliamento
90-91
Gomma e plastica
15,1
16-23
Alimentari e bevande
Strumenti di precisione
–7,6
140,3
9,6
–5,6
2,0
–14,9
15,8
8,6
1,8
2,2
8,5
6,5
7,9
2,5
8,8
4,4
Austria
codici
Settori
–6,1
13,8
2,3
0,9
–3,6
3,0
–1,1
5,7
–7,6
3,6
–3,5
–2,8
–28,5
11,1
–20,3
–10,7
8,8
16,5
2,4
–1,9
–5,4
10,7
–10,0
–6,0
–2,0
10,9
29,9
–13,0
3,2
–15,3
3,6
2,0
13,5
–7,3
–0,6
1,9
–4,4
Dani- Finlandia
marca
–0,1 –14,2
–2,9
23,9
–2,2
0,6
–3,8
4,2
–2,6
–0,1
–0,1
6,1
9,1
4,5
Belgio
–4,9
–5,0
0,3
–7,1
–4,5
–1,7
10,3
2,6
1,6
–10,0
1,0
–0,2
–2,3
–2,2
2,3
2,2
1,8
Francia
–6,6
–15,7
–13,5
–10,7
–6,8
–1,7
14,1
–2,2
–2,4
–8,1
–5,8
–5,9
–6,5
–6,1
5,5
–6,8
–1,5
Germania
55,6
12,5
50,7
15,7
–4,6
39,8
–5,7
–7,4
–1,8
18,6
–2,3
52,5
10,5
58,8
98,4
–4,5
2,2
Grecia
–6,6
–1,2
–3,6
–8,3
–2,2
–3,8
–6,5
–4,0
37,6
–9,7
–4,8
–5,8
–16,9 –15,2
–6,2 –12,9
–15,2 –13,3
–11,8 –12,9
–1,7
–42,9
–17,6
–5,8
1,1
–36,8
1,2
8,3
35,0
10,7
–5,6
–1,6
–16,1
–
2,1
19,2
29,7
–8,2
–0,8
–15,5
21,4
2,8
4,7
Italia Lussemburgo
43,0 –10,4
–9,1
–13,7
31,0
–13,0
57,5
4,1
Irlanda
Tab. 1.7 - Commercio di manufatti nell’Unione europea
(Esportazioni in valori correnti, variazioni tendenziali gennaio-novembre 2003/gennaio-novembre 2002)
–5,5
–11,2
8,8
–7,9
1,5
0,2
3,5
3,0
0,6
–2,4
–5,1
0,3
4,1
2,0
–0,3
3,4
0,1
Olanda
30,4
–9,9
–13,4
–30,7
3,5
–3,0
14,4
–5,5
12,0
–5,2
–1,5
13,1
–3,0
–10,1
9,7
9,9
5,3
Portogallo
–0,6
–0,8
–14,5
–11,6
–6,7
–6,4
–6,3
–1,5
–6,5
–29,7
–17,7
–6,9
–5,5
–6,6
–0,8
–14,3
–3,8
Regno
Unito
–8,1
5,2
–12,8
–11,3
–5,4
2,8
4,5
–0,9
–1,0
–0,7
–0,2
–8,2
–
–3,8
4,2
7,0
3,8
Spagna
–4,8
–2,3
–1,0
–3,5
0,7
–
0,7
Ue
–4,3
–2,0
7,4
–2,4
–0,9
–13,2
135,9
4,5
–9,1
–5,8
–9,6
–6,5 –10,4
–4,6
8,0
15,8
6,5
4,0
7,7 –10,8
–3,6
–0,8
0,9
–4,0
6,6
–2,0
0,1
Svezia
IL QUADRO GENERALE
50-60
41-43,
64
Tessile
Pelli, cuoio e calzature
66, 71,
95-97
Fonte: Elaborazioni su dati Eurostat.
Totale manifatturiero
Altre ind. manifatturiere
24
68-70
Tabacco
87-89
84-86,
93
Meccanica strumentale
Vetro e ceramica
82-83
Lavorazione di metalli
Mezzi di trasporto
44-46,
94
Legno e arredamento
25-27
72-76,
78-81
Metallurgia
Estrattive
47-49
Carta stampa
39, 40
28-38
Chimica
61-63,
65-67
90-91
Strumenti di precisione
Abbigliamento
16-23
Alimentari e bevande
Gomma e plastica
codici
Settori
3,5
4,2
2,9
3,9
4,1
3,5
2,4
2,1
2,9
2,8
4,8
5,9
9,3
5,2
5,3
1,4
2,2
2,5
Austria
10,9
11,6
7,1
11,1
14,3
12,7
10,4
13,3
12,4
15,8
6,2
5,9
9,4
12,3
8,7
17,2
6,8
12,1
Belgio
2,2
1,5
3,0
2,1
1,7
1,9
0,6
4,5
4,3
1,7
2,5
2,0
6,1
2,0
1,3
2,0
2,7
3,8
1,7
0,7
–
0,7
0,7
1,5
0,6
1,9
0,2
0,9
1,8
0,5
5,0
2,9
11,0
0,5
1,2
0,3
Dani- Finlandia
marca
13,5
9,9
4,5
8,8
11,9
12,2
20,4
7,7
10,3
13,5
11,0
9,7
8,8
14,2
10,3
14,1
13,3
18,8
Francia
22,4
18,1
18,6
9,8
18,0
18,5
31,8
10,1
16,0
23,7
24,6
31,2
17,9
21,3
20,2
17,6
26,3
14,8
Germania
0,3
0,2
1,4
0,5
1,2
0,2
-
0,2
2,2
0,2
0,1
0,3
0,1
0,7
0,1
0,3
0,2
0,7
Grecia
3,1
0,9
1,2
0,6
1,1
1,0
0,1
0,4
0,7
0,8
4,1
0,7
0,9
0,4
1,1
10,7
5,9
3,8
Irlanda
Tab. 1.8 - Quote di mercato settoriali nell’Unione europea
(Esportazioni di manufatti in % delle esportazioni totali, valori correnti, gennaio-novembre 2003)
9,0
10,6
1,9
27,9
18,8
18,7
6,7
3,6
18,4
9,4
9,2
12,4
15,7
10,1
7,2
5,7
6,1
9,4
0,7
0,4
2,2
0,1
1,0
1,2
0,2
0,1
0,3
1,0
1,2
0,1
0,4
1,8
0,5
0,2
0,2
0,3
Italia Lussemburgo
12,1
11,9
43,2
11,8
9,2
6,6
3,9
28,0
11,1
13,5
14,1
8,8
6,0
11,8
9,4
12,1
18,1
16,7
Olanda
1,5
0,6
1,1
6,8
2,3
3,4
1,7
0,5
7,7
1,2
1,0
1,7
3,9
0,9
1,8
0,5
0,6
1,3
Portogallo
10,1
23,5
9,9
4,8
7,8
6,6
7,6
20,7
6,7
7,4
12,3
9,6
4,0
6,6
6,8
11,5
10,4
8,0
Regno
Unito
5,8
4,2
2,5
10,2
6,8
10,4
11,0
3,5
5,3
5,8
3,8
6,2
5,3
5,4
4,9
3,8
2,6
6,5
Spagna
3,2
1,8
0,5
1,0
1,1
1,6
2,6
3,2
1,4
2,2
3,3
5,2
7,3
4,4
11,3
2,3
3,3
1,1
Svezia
100
100
100
100
100
100
100
100
100
100
100
100
100
100
100
100
100
100
Ue
IL QUADRO GENERALE
21
IL QUADRO GENERALE
1.3. L’attività industriale in Italia
1.3.1. L’andamento dell’attività produttiva e la formazione di nuove
imprese
1.3.1.1. Per l’industria italiana il 2003 è stato ancora un anno di recessione. Ormai da un biennio, l’alternarsi sempre più ravvicinato di sintomi di ripresa e fasi di ulteriore rallentamento non
riesce a risolversi in un effettivo recupero dei livelli di attività; i timidi segnali di ripresa emersi nella seconda metà dell’anno, come già quelli affiorati all’inizio del 2002 e poi subito dissipati, appaiono a loro volta ormai in via di esaurimento (fig. 1.5).
La modesta entità del recupero produttivo delineatosi nei mesi centrali del 2003, dopo quasi
un anno di declino, ha fatto sì che nella media dell’anno il flusso della produzione sia risultato comunque inferiore a quello del 2002: la serie Istat dell’indice generale della produzione industriale
indica una variazione negativa dello 0,8%, a cui corrisponde una contrazione quasi doppia (–1,5%)
per la sola industria di trasformazione. La flessione è appena più contenuta (–1,1% per la trasformazione) quando il livello della produzione venga corretto per il numero di giornate lavorative.
Per quanto riguarda i dati grezzi, e sempre con riferimento alla trasformazione, le stime del valore della produzione a prezzi costanti ricavate dalle serie settoriali di questo Rapporto (fonte Asi)
indicano una contrazione leggermente meno pronunciata (–1,3%)16.
Che il rialzo dell’indice di produzione abbia cominciato a spegnersi già negli ultimi mesi del
2003 è suggerito dall’evoluzione degli indici tendenziali, che a dicembre 2003 indicavano per l’industria manifatturiera – sulla base dei dati corretti per il numero di giorni lavorati – una flessione
dello 0,8%. Sempre in termini tendenziali la situazione mostra qualche leggero segno di recupero
nei primi mesi del 2004: con riferimento all’industria manifatturiera l’indice Istat corretto mostra
ad aprile una variazione tendenziale sostanzialmente nulla (+0,1%); l’Indagine congiunturale rapida effettuata mensilmente dal Centro Studi Confindustria indica a maggio una crescita tendenziale (sempre sulla base di dati corretti, ma riferita in questo caso all’intera industria in senso stretto) dell’1,8%.
A una recessione che dura
da
un
triennio corrisponde un ciFig. 1.5 - Indice generale della produzione industriale e ordiclo congiunturale la cui durata è
nativi (a)
(Base 2000 = 100)
ormai diventata di pochi mesi.
La tendenza delle fasi di espan104
105
sione e di contrazione ad avvicendarsi con un ritmo sempre
102
100
più serrato — più volte rilevata
100
nelle passate edizioni di questo
95
Rapporto17 — ha assunto una
98
90
connotazione sempre più esa96
Produzione
sperata. Se nel quadriennio
85
Ordinativi (scala destra)
compreso tra il 1995 e il 1998 (cfr.
94
ancora fig. 1.5) la durata di ogni
80
92
fase si era già ridotta ad appena
un anno, negli anni che seguono
90
75
il rialzo del biennio 1999-2000
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
(ormai peraltro quasi del tutto ri(a) Dati destagionalizzati, medie mobili centrate a cinque termini degli indici mensili.
assorbito) i tempi appaiono anFonte: Elaborazioni su dati Istat.
16 Il dato relativo al 2003 conferma la tendenza dell’indice ricavato dalle serie Asi ad attenuare le variazioni della
produzione quando esse siano negative (tutte le indicazioni relative ai criteri di costruzione della banca dati Asi sono
contenute nell’Appendice metodologica, cap. 5, par. 1).
17 All’analisi del fenomeno — più volte sottolineato in termini descrittivi nelle diverse edizioni di questa pubblicazione — è stata dedicata attenzione specifica già nel Rapporto sul 1997, con una analisi quantitativa sia della durata che
dell’intensità del ciclo: cfr. Centro Studi Confindustria, Rapporto sull’industria italiana, Roma, Sipi, maggio 1998 (Riquadro
1, pp. 11-14).
22
IL QUADRO GENERALE
cora più contratti, e in alcuni casi non superano i sei mesi. La medesima figura mostra d’altra parte come una forte erraticità caratterizzi lo stesso andamento degli ordinativi — anche in questo caso i primi mesi del 2004 segnalano un miglioramento delle attese di domanda.
L’intensità effettiva del rallentamento, d’altro canto, è verosimilmente ancora maggiore di
quanto i soli dati di produzione consentano di misurare. Come si ricava dalle serie Istat del fatturato a prezzi correnti, la variazione del valore delle vendite per l’industria in senso stretto è risultata nel 2003 negativa di circa un punto percentuale; in presenza di una crescita dei prezzi alla produzione dei beni industriali dell’1,6%, è possibile stimare la contrazione delle vendite in termini
reali nell’ordine dei due punti e mezzo. La caduta, in particolare, è assai più marcata nel caso delle vendite sull’estero (in termini nominali, –2,3 contro –0,6 per cento per quelle sul mercato interno). L’andamento relativo degli indici di fatturato rispetto a quelli di produzione è pienamente coerente con quello che risulta dagli indici Isae relativi alle valutazioni degli operatori in merito al
grado di adeguatezza delle scorte (fig. 1.6), il cui livello a partire dagli ultimi mesi del 2001 e per
tutto il 2002 si contrae ininterrottamente, per poi risalire nel corso del 2003.
Mentre dunque il ciclo delFig. 1.6 - Giudizi degli operatori sul grado di adeguatezza delle scorte aveva comportato un
le scorte di prodotti finiti nell’industria manifatturiera (a)
contributo negativo all’attività
(Saldi destagionalizzati)
produttiva nel 2002 (parte delle
vendite era stata soddisfatta de10
cumulando i beni in magazzino), il contributo è diventato
5
positivo nel 2003, e il livello dei
magazzini è stato ricostituito18.
0
Ne consegue che il sistema è attualmente tornato in grado di
-5
fronteggiare — almeno in parte
Totale
— nuovi eventuali ritorni di doBeni di consumo
-10
manda (che nel contesto attuaBeni di investimento
le potrebbero essere scontati su
Beni intermedi
-15
orizzonte comunque breve)
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
senza dover immediatamente
riavviare la produzione. Questo
(a) Medie mobili centrate a undici termini dei valori mensili.
Fonte: Elaborazioni su dati Isae.
quadro sembra confermare la
lettura del fenomeno formulata,
con riferimento alla sua fase iniziale, nella precedente edizione del Rapporto, in cui si suggeriva che l’effetto degli incentivi fiscali agli investimenti della prima parte del 2002 fosse destinato
ad esaurirsi rapidamente; come indica anche l’andamento delle scorte di beni di investimento,
che ha seguitato a ridursi costantemente (fig. 1.6), il riassorbimento mostra effettivamente di essersi realizzato già nel corso dell’anno successivo.
1.3.1.2. Affiancando ai dati che risultano dalle indagini sulle imprese (produzione, fatturato e
scorte) le serie di Contabilità nazionale relative al valore aggiunto, si può trarre una sostanziale
conferma del fatto che i segnali di ripresa emersi intorno ai mesi centrali del 2003 tendano già a
sfumare (fig. 1.7): nonostante il valore aggiunto mostri una impennata estremamente vistosa nel
terzo trimestre (la valutazione della quale dovrebbe comunque indurre a qualche prudenza)19, la
variazione congiunturale nel quarto torna ad essere di segno negativo. Come sempre le fluttuazioni che interessano il settore industriale appaiono sempre più marcate di quelle relative all’intera economia; il fatto che anche per quanto riguarda le seconde i tassi di variazione nel 2003 diventino negativi — se pure di poco e con l’eccezione del dato singolare del terzo trimestre — co18
Cfr. su questo punto anche Congiuntura Ref, gennaio 2004.
questo riguardo vale la pena di osservare che i Conti nazionali attualmente disponibili correggono decisamente
al ribasso, rispetto ai dati già forniti nel corso del 2003, il dato relativo al terzo trimestre 2002, che secondo le precedenti stime mostrava anch’esso, su base congiunturale, un recupero assai sostenuto. Sulla base delle nuove valutazioni il
profilo delle serie relative al valore aggiunto mostra in effetti per il 2002 una sostanziale coincidenza con quello della
produzione.
19 A
23
IL QUADRO GENERALE
stituisce in ogni caso una conferma del graduale approfondirsi della recessione.
I dati sul valore aggiunto of5
frono la possibilità di verificare
4
l’intensità della fase recessiva in
Manifatturiero
Economia
3
corso anche sotto un altro profilo, che ha a che vedere con il lo2
ro andamento in rapporto a
1
quello dell’output netto (fattura0
to). Nel lungo termine, la dinamica relativa delle serie delle
-1
due variabili (a prezzi costanti)
-2
misura com’è noto l’evoluzione
-3
del grado di integrazione verti1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
cale della produzione20; a questo
riguardo si può osservare che —
(a) Calcolate su dati destagionalizzati a prezzi costanti corretti per il numero dei giorni
lavorati.
rispetto a quanto già discusso
Fonte: Elaborazioni su dati Istat.
nella precedente edizione del
Rapporto con riferimento agli
Fig. 1.8 - Fatturato e valore aggiunto dell’industria manifatanni 1990-2002 — i dati relativi
turiera
al 2003 evidenziano un’inversio(Variazioni % su dati a prezzi costanti)
ne di tendenza (fig. 1.8): il declino di lungo periodo del grado di
9
verticalizzazione della produFatturato
zione, che mostrava già segni di
7
Valore aggiunto
attenuazione verso la fine degli
5
anni Novanta21, sembra arrestarsi, e l’output lordo mostra
3
una variazione a prezzi costanti
1
che oltre ad essere negativa è
anche inferiore a quella dell’out-1
put netto (rispettivamente, –3
-3
contro –1 per cento)22.
-5
Ancora i dati sul valore ag1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003
giunto consentono di evidenziare un fenomeno che nel quadro
Fonte: Elaborazioni su dati Istat.
di un’attività industriale in cui
prevalgono chiaramente gli elementi di difficoltà acquista un rilievo tutt’altro che trascurabile, ovvero i risultati assai positivi che
hanno caratterizzato anche per il 2003 l’industria delle costruzioni. In questo caso l’andamento registrato nel corso dell’ultimo anno conferma una linea di tendenza che data ormai dalla fine dello scorso decennio (fig. 1.9); e indica come si affermi sempre più nettamente la tendenza del settore ad assumere un ruolo decisivo in termini di attivazione della domanda rivolta alle industrie a
valle (infra, par. seguente). Dalle serie di contabilità nazionale relative alla spesa per investimenti
si ricava, peraltro, come la crescita del settore sia concentrata esclusivamente nell’ambito dell’ediFig. 1.7 - Valore aggiunto ai prezzi base per il settore manifatturiero e per l’intera economia
(Variazioni % congiunturali) (a)
20 Poiché i dati del fatturato risultano dalla semplice somma dei valori relativi alle singole imprese e quelli del valore aggiunto vengono invece calcolati al netto delle duplicazioni che derivano dagli scambi tra di esse, in un contesto
di espansione degli scambi di mercato (di riduzione del grado di integrazione verticale) la prima variabile tende a crescere più della seconda.
21 Cfr. Tendenze dell’industria italiana, Roma, Sipi, maggio 2003 (pp. 19-20).
22 In un’ottica di breve periodo, il fenomeno può essere considerato anche dal punto di vista della capacità delle
imprese di mantenere, in periodi di recessione, il «controllo» del loro mercato (quando la domanda cade gli acquisti all’esterno vengono contratti prima di ridurre la produzione interna). Sotto questo profilo, il comportamento delle due variabili nel 2003 è del tutto simile a quello già registrato nella recessione del 1996.
24
IL QUADRO GENERALE
lizia residenziale (fig. 1.10), a
fronte di un andamento stazionario degli investimenti in opere
pubbliche e di una evidente flessione dell’edilizia non residenziale.
Stime di fonte Ance consentono di precisare, a questo riguardo, il ruolo svolto dalla costruzione di nuove abitazioni rispetto a quello delle attività di ristrutturazione, che nell’ambito
dell’edilizia destinata ad uso abitativo hanno svolto negli ultimi
anni — anche grazie alla costante proroga degli incentivi fiscali
— un ruolo assai rilevante23. Per
quanto riguarda le prime, secondo l’Ance il 2003 ha visto un netto recupero delle concessioni
edilizie, che si è tradotto in un
aumento degli investimenti effettuati del 3,1% in termini reali.
Relativamente più contenuta è
risultata la dinamica degli investimenti di riqualificazione del
patrimonio abitativo esistente
(1,5%), sulla quale hanno verosimilmente influito in senso negativo anche le incertezze normative (la scadenza del regime agevolativo, inizalmente fissata per il
30 settembre 2003, è stata solo in
extremis estesa all’intero anno)24.
Fig. 1.9 - Indici di valore aggiunto
(1998 = 100), prezzi base
115
113
Costruzioni
111
Industria Manifatturiera
109
107
105
103
101
99
97
95
1998
1999
2000
2001
2002
2003
Fonte: Elaborazioni su dati Istat.
Fig. 1.10 - Industria delle costruzioni: investimenti
60000
50000
2001
2002
2003
40000
30000
20000
10000
0
Abitazioni
Fabbricati non
residenziali
Opere Pubbliche
Fonte: Elaborazioni Ance su dati Istat.
1.3.1.3. In un’ottica di medio periodo, il dato del 2003
conferma come la recessione in corso mostri sempre più evidenti analogie, in particolare sul piano della durata, con quelle che hanno caratterizzato gli inizi degli anni Ottanta e Novanta. In tutti e tre i casi (fig. 1.11) la recessione — che si profila per una singolare coincidenza proprio nei pri23
Date le sue stesse caratteristiche, il fenomeno sembra d’altra parte destinato a persistere, dal momento che in
prospettiva la riduzione delle possibilità di una ulteriore espansione dello stock abitativo — implicata da ineludibili vincoli di natura ambientale — si accompagna a un’esigenza di rinnovo che proprio le dimensioni del patrimonio accumulato negli anni del «boom» edilizio (e ormai avviato verso una progressiva obsolescenza) rendono sempre più diffusa.
24 Gli incentivi alle attività di ristrutturazione edilizia sono stati istituiti dalla l. 27 dicembre 1997, n.449, che ha introdotto, a partire dal 1998, la possibilità di detrarre dall’Irpef il 41% delle spese sostenute per lavori di recupero dei fabbricati residenziali fino ad un ammontare massimo di 150 milioni di lire. Una prima modifica si è avuta a partire dal 2000
quando, a fronte della riduzione dell’aliquota Iva dal 20 al 10%, la percentuale di detrazione è stata ridotta al 36%.
Successivamente la Finanziaria 2002 ha esteso i benefici fiscali anche agli acquirenti o assegnatari di abitazioni poste in
immobili che risultavano essere stati ristrutturati da imprese di costruzione o cooperative edilizie, stabilendo la possibilità di usufruire della detrazione sul 25% del prezzo di acquisto. La Finanziaria 2003 ha poi previsto la proroga (fino al
settembre 2003, poi prolungato al successivo mese di dicembre da un nuovo provvedimento legislativo) della detrazione Irpef al 36% e dell’Iva al 10% stabilendo contestualmente un tetto massimo di spesa di 48.000 euro. La Finanziaria
2004, infine, ha prorogato di un anno la possibilità di detrazione riportandone l’aliquota al 41% ed innalzando il tetto
di spesa a 60.000 euro. Il decreto legge 355 del 2003 ha tuttavia ristabilito, con efficacia retroattiva, sia la precedente soglia del 36% che il tetto a 48.000 euro, prorogando però l’incentivo a tutto il 2005.
25
IL QUADRO GENERALE
mi tre anni di ogni decennio e si
accompagna sempre a una inversione di tendenza (verso l’al8
60
to) nell’andamento della variaMedia
bilità intersettoriale dei tassi di
Varianza (scala destra)
6
50
crescita — si manifesta alla fine
di cicli espansivi piuttosto lun4
40
ghi, e coincide con fasi di (progressivo) irrigidimento del regime di cambio25. Confrontando
2
30
in particolare i due cicli espansione/recessione che si susse0
20
guono dalla seconda metà degli
anni Ottanta ai primi anni del
-2
10
nuovo secolo si può osservare
che in entrambi i casi il rallenta-4
0
mento del ritmo annuale della
crescita è tanto continuo quanto
rapido, come se il sistema subisse l’effetto di un vincolo sempre
Fonte: Elaborazioni su dati Asi.
più stringente. E, sempre in entrambi i casi, la crisi si accompagna a importanti aggiustamenti di tipo strutturale, che — come evidenziato nella precedente edizione del Rapporto26 — si sostanziano sia in una crescente spinta verso la razionalizzazione dell’apparato produttivo che in un assottigliamento dell’area dei produttori marginali, attraverso la
costante riduzione degli ingressi sul mercato (cfr. nel merito anche infra, rispettivamente par.
1.3.1.6 e 1.3.1.5).
La crisi attuale mostra però una caratteristica inedita rispetto alle precedenti, che può essere
apprezzata osservando direttamente il profilo di lungo periodo dei tassi di crescita della domanda
interna (apparente) e di quella
estera (esportazioni). Come moFig. 1.12 - Tassi di crescita della domanda interna apparente e
strato dalla figura 1.12, è infatti
delle esportazioni
la prima volta, nell’arco dell’ultimo trentennio, che il flusso del20
le esportazioni subisce una condomanda interna
trazione in termini reali (il minidomanda estera
15
mo precedente è la variazione
nulla corrispondente al 1991,
10
ossia al punto più basso della
5
crisi sviluppatasi nella seconda
metà degli anni Ottanta). Il dato
0
è tanto più rilevante in quanto si
inscrive in una tendenza costan-5
te al rallentamento (con l’ecce-10
zione del recupero osservabile
nel biennio 2000-2001 a seguito
dell’esplosione del mercato
high-tech), che culmina con una
Fonte: Elaborazioni su dati Asi.
variazione negativa nel 2003 di
2002
2003
2002
2003
1999
2000
2001
1999
2000
2001
1997
1998
1997
1998
1996
1995
1996
1995
1993
1994
1993
1994
1992
1992
1990
1991
1990
1991
1989
1989
1987
1988
1987
1988
1985
1985
1986
1983
1984
1983
1984
1986
1981
1982
1981
1982
Fig. 1.11 - Variazione % della produzione nell’industria manifatturiera, media e variabilità intersettoriale
25 Nel 1979 l’Italia aderisce agli accordi di cambio entrando nello Sme, nella seconda metà degli anni Ottanta entra nella c.d. «banda stretta di oscillazione» del sistema, a partire dal 2001 lo strumento del cambio rispetto a gran parte dell’area continentale (che assorbe la quota prevalente delle merci nazionali) viene definitivamente meno per la nascita dell’euro.
26 Cfr. ancora Tendenze dell’industria italiana, cit, 2003 (pp. 22-23).
26
IL QUADRO GENERALE
Fig. 1.13 - Produzione industriale: scarti tra i livelli relativi
oltre tre punti percentuali27. La
all’Italia e alle aree Ue e Ocse (a)
stessa figura mostra come inve(Indici base 1997 = 100)
ce la contrazione del ritmo di
crescita della domanda interna,
2
che connota il passaggio a tutte
e tre le fasi recessive qui consi0
derate, sia, nel caso dell’ultima,
Italia-Ue
-2
mediamente meno accentuata
Italia-Ocse
rispetto alle precedenti — sem-4
mai, in termini assoluti l’am-6
piezza delle variazioni tende a
ridursi leggermente.
-8
Nel confronto internazionale, la dinamica di medio pe-10
riodo dell’output denuncia il
-12
persistere di un deficit relativo
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
nei confronti della media dei
paesi dell’Europa e — in misura
(a) Dati destagionalizzati, medie mobili centrate a cinque termini degli indici mensili.
ancora più pronunciata — delFonte: Elaborazioni su dati Istat, Thomson Financial su fonti varie.
l’intera area dei paesi industrializzati (fig. 1.13). Il parziale recupero che era stato realizzato nei confronti dell’area Ocse nel corso del 2000 (legato alla crisi dell’industria high-tech negli Stati Uniti e nell’area asiatica, ossia nelle economie di maggiore specializzazione) cede il passo fin dal 2002 a un nuovo peggioramento, che nei mesi finali del 2003 subisce una accentuazione ulteriore. Il divario tende invece ad appiattirsi nel confronto con l’area europea: il differenziale di «velocità», assai netto negli anni di creTab. 1.9 - Tassi di crescita medi annui della produzione per
scita (1997-2000), si fa chiarasettore
mente meno evidente in fase di
recessione (2001-2003).
Settori
1.3.1.4. Il ruolo che il flusso
di spesa proveniente dall’edilizia
svolge nel sostenere la produzione di una parte delle attività
di trasformazione, più sopra evidenziato, acquista un’importanza specifica in un contesto nel
quale la domanda interna aggregata seguita a mantenere un
profilo cedente, e il rafforzamento dell’euro si accompagna
a una forte pressione concorrenziale sulle industrie di specializzazione (infra, par. 1.5.2).
Nel merito, la tabella 1.9
mostra che tra i pochi settori che
nel 2003 sono riusciti a mantenersi su un sentiero di crescita
compaiono quelli legati alla produzione di materiali per l’edili-
Metallurgia
Alimentari e bevande
Carta, cartotecnica, stampa e editoria
Strumenti di precisione
Materiali da costruzione di base
Chimica
Lavorazione metalli
Elettrotecnica strumentale
Lavorazione gomma e plastica
Vetro e ceramica
Apparecchi meccanici ed elettrici
Legno, mobilio, arredamento
Abbigliamento
Meccanica strumentale
Tessile e maglieria
Pelli e calzature
Autoveicoli
Elettronica
Altri mezzi di trasporto
1995-2001
2002
2003
–0,1
1,3
2,8
3,1
3,5
2,5
2,2
2,4
4,0
2,0
2,2
1,5
0,7
2,7
–0,2
–2,4
–
6,0
0,5
–0,5
2,3
1,1
1,4
0,3
1,4
–1,6
1,2
–1,1
–4,5
0,2
–0,5
–2,2
–1,6
–3,5
–6,1
–6,6
–10,6
–1,5
3,7
1,4
1,0
1,0
0,8
0,1
0,1
–0,4
–0,7
–0,7
–1,0
–1,8
–2,2
–2,7
–2,8
–4,3
–5,3
–6,5
–15,1
Fonte: Elaborazioni su dati Asi.
27 È importante ricordare che nelle serie Asi a prezzi costanti qui utilizzate esportazioni e importazioni risultano
deflazionate, anziché con i valori medi unitari di fonte Istat, attraverso indici di prezzo dell’output ricavati da bilanci delle imprese (cfr. Appendice metodologica, par. 5.1).
27
IL QUADRO GENERALE
zia (metallurgia e materiali da costruzione di base), con l’eccezione dell’aggregato che comprende
la produzione di vetro e ceramica, negativamente condizionato dall’andamento sfavorevole dell’industria delle piastrelle28. Altre industrie produttrici di beni intermedi, ma non legate all’edilizia
(in particolare chimica e gomma, ma anche in parte elettrotecnica ed elettronica) risultano invece
in stagnazione o in recessione. I dati del 2003 evidenziano ancora un’evoluzione positiva, come già
negli anni passati, per la filiera cartario-editoriale, in costante espansione, e l’industria alimentare, i cui risultati complessivi non sono stati pregiudicati dai problemi — pur ragguardevoli — che
hanno investito il comparto lattiero-caseario. In evidente contrazione, con intensità più o meno
pronunciata, risultano invece — oltre all’elettronica e alla produzione di mezzi di trasporto — tutte le industrie più rilevanti del modello di specializzazione nazionale, sia per quanto riguarda quelle destinate alla domanda finale di consumo che per quelle destinate agli investimenti (infra, par.
1.3.4). In alcuni casi la contrazione è inferiore rispetto a quella già registrata nel 2002, ma si inscrive comunque in un quadro di evidente difficoltà.
Le informazioni disponibili dal lato dell’offerta indicano dunque che gli effetti della crescita
dei consumi delle famiglie, in ogni caso contenuta (+1,3%), non sono stati tali da sostenere la produzione interna dei beni destinati alla domanda finale di consumo29; esse appaiono inoltre coerenti con quelle fornite dalle indagini Istat a livello disaggregato, che nella media dell’anno non
mostrano sostanziali differenze
di comportamento tra beni duFig. 1.14 - Indici della produzione per settore, trienni 1990revoli e non durevoli30. La debo1993 e 2000-2003
lezza della domanda interna
sembra svolgere un ruolo anco2000-2003
ra più rilevante nel caso della
110
produzione di beni di investi7
18
mento. A questo riguardo va
11
17
1 6
8
evidenziato come dati di fonte
14
100
9
13
5
12
Ucimu, relativi alle industrie
3
15
10
produttrici di macchine utensili
2
per la lavorazione dei metalli,
90
mostrino lungo tutto il 2003 una
4
16
caduta assai pronunciata degli
ordinativi provenienti dal mer80
19
cato interno (–23%), a fronte
della stazionarietà di quelli
20
esteri31.
70
60
70
80
90
100
110
Una valutazione più artico1990-1993
lata delle tendenze in atto a livello settoriale può essere otte1. Alimentari e bevande
11. Materiali da
2. Tessile e maglieria
costruzione di base
nuta confrontando i risultati ot3. Abbigliamento
12. Metallurgia
tenuti dai singoli settori lungo
4. Pelli e calzature
13. Lavorazione dei metalli
l’arco dell’intera fase di recessio5. Legno, mobilio,
14. Apparecchi meccanici ed elettrici
arredamento
15. Meccanica strumentale
ne attuale con quelli registrati
6. Carta, cartotecnica, stampa, editoria
16. Elettronica
nel corso della crisi degli anni
7. Prodotti energetici da raffinazione
17. Elettrotecnica strumentale
1991-93 (fig. 1.14). Un primo
8. Chimica
18. Strumenti di precisione
9. Lavorazione gomma e plastica
19. Autoveicoli
dato che può essere ricavato
10. Vetro e ceramica
20. Altri mezzi di trasporto
dalla figura è che esiste un grupFonte: Elaborazioni su dati Asi.
po di industrie che ha attraver28
Dalla tabella 1.9 (come anche dalla successiva 1.10) risulta escluso il settore dei prodotti energetici da raffinazione, in conseguenza dei valori fortemente perturbati che — nel calcolo delle variazioni a prezzi costanti — si ottengono in un contesto di forte variabilità dei prezzi (infra, par. 1.5).
29 Sull’andamento della spesa per consumi cfr. le valutazioni — non sempre coincidenti — fornite, tra gli altri, in
Centro Studi Confindustria, I consumi in Italia nel biennio 2002-2003, nota dal CSC n. 04-09, 30 marzo 2004, Congiuntura
Ref, 11 marzo 2004, Centro Europa Ricerche, Rapporto congiunturale, marzo 2004.
30 Cr. ancora Centro Studi Confindustria, I consumi in Italia nel biennio 2002-2003, cit. .
31 Cfr. Ucimu-Sistemi per produrre, Il settore della macchina utensile in Italia nel 2003, Fatti & Tendenze, 1/2004.
28
IL QUADRO GENERALE
I MUTAMENTI RECENTI DELLA STRUTTURA DIMENSIONALE DELLE IMPRESE SECONDO
L’VIII CENSIMENTO GENERALE DELL’INDUSTRIA E DEI SERVIZI
1. Nel marzo 2004 l’Istat ha reso pubblici i risultati definitivi dell’ottavo Censimento dell’industria e dei
servizi riferito al 20011. Come già in parte avvenuto per il Censimento intermedio del 1996, sul piano metodologico il reperimento delle informazioni censuarie è stato «assistito da archivio», ovvero è stato realizzato
integrando le informazioni disponibili a livello amministrativo con una rilevazione diretta presso le imprese.
In questo quadro il punto di partenza è rappresentato da Asia (Archivio statistico delle imprese attive), il sistema informativo costituito dall’Istat a partire dal 1994 sulla base di fonti di tipo amministrativo2. Asia fornisce un elenco delle unità attive in ciascuna sezione di censimento per l’anno di riferimento. Ai fini del censimento, per ogni unità viene predisposto un questionario pre-compilato con le informazioni presenti nell’archivio (che possono anche solo essere corrette o aggiornate da parte dei rispondenti). La rilevazione diretta «sul campo» consente però l’individuazione anche di unità non presenti nelle liste di Asia; in questo caso viene utilizzato un questionario in bianco da compilare per intero.
La tecnica assistita da archivio permette di semplificare il processo di reperimento e di trattamento
dei dati, riducendo notevolmente anche i tempi relativi alla loro elaborazione e diffusione. Una volta effettuata la rilevazione (ossia il censimento vero e proprio), si procede al confronto tra le unità rilevate e
quelle presenti negli archivi amministrativi, allo scopo di minimizzare l’errore di sottocopertura (che generalmente caratterizza la rilevazione sul territorio), e l’errore di sovracopertura (da cui è generalmente
affetta l’informazione amministrativa)3.
2. Pur sottolineando la complessità del confronto tra i risultati del censimento del 2001 con quelli dei
censimenti precedenti (a causa della differente tecnica di rilevazione utilizzata), l’Istat nel suo database online ne garantisce la comparabilità statistica, almeno fino al 1971. Le brevi considerazioni svolte di seguito si avvalgono della ricostruzione fornita dall’Istat con riferimento ai censimenti inclusi nel periodo 19712001. La disponibilità delle informazioni relative alla rilevazione del 2001 offre la possibilità di aggiornare il quadro dei cambiamenti di lungo periodo della struttura industriale — finora documentabile solo fino alla data del Censimento intermedio del 1996 — con le informazioni relative a un quinquennio importante per la riorganizzazione del sistema produttivo. In quanto segue l’attenzione è circoscritta alla
struttura dimensionale dell’industria di trasformazione considerata a livello aggregato, di cui vengono
esplorati assai sinteticamente e su un piano strettamente descrittivo alcuni aspetti complessivi, allo scopo di fornire un primo aggiornamento di analisi precedentemente svolte nell’ambito del CSC4.
3. La prima informazione che può essere tratta dal confronto intertemporale dei dati di censimento
è quella relativa alle quote di occupazione per classi di dimensione (classi di addetti) delle imprese (fig.
1). Il confronto mostra che le linee di tendenza registrate nel ventennio 1971-91 subiscono nell’arco dell’ultimo decennio cambiamenti non marginali. Il primo riguarda l’arresto del processo di assorbimento di
quote crescenti di occupazione da parte delle imprese di piccola dimensione: al di sotto della soglia dei 9
addetti la quota smette di salire, e anzi registra una leggera riduzione; nell’intervallo compreso tra i 10 e
i 49 seguita invece ad aumentare, ma l’aumento è molto inferiore a quello del ventennio precedente (e
in ogni caso è relativamente più pronunciato tra i 20 e i 49 addetti che non tra i 10 e i 19). Parallelamente,
si inverte la tendenza verso la riduzione della quota di occupazione concentrata nelle imprese di dimen1
Disponibili su Internet sul sito a cura dell’Istat: http://193.204.90.17/cis/index.htm.
Le fonti utilizzate per la costituzione di Asia sono di tre tipi. Un primo livello è costituito dai diversi archivi esistenti per la raccolta delle informazioni sulle imprese (Anagrafe tributaria, Registro delle imprese, Archivio Inps,
Archivio Inail, Archivio utenze elettriche Enel). La seconda tipologia di fonti è costituita dai sub-archivi di specifici
settori gestiti da enti pubblici o privati (ad esempio l’Abi e la Banca d’Italia per le banche, l’Ania per le imprese assicurative, il Ministero delle attività produttive, il Ministero dei trasporti). Il terzo livello di fonti è costituito dalle indagini condotte dall’Istat sulle imprese (il Sistema dei conti delle imprese, l’Indagine sul prodotto lordo delle piccole
imprese, le Indagini sul settore dei servizi, ecc).
3 Il primo è generato dalla mancata rilevazione di alcune unità esistenti (anche a causa di scarsa visibilità e incerta localizzazione delle imprese), il secondo dalla registrazione nelle fonti amministrative di unità non appartenenti
al campo di osservazione del censimento oppure non ancora (o non più) attive.
4 Il tema è stato oggetto di un’estesa attività di ricerca nell’ambito del Centro Studi Confindustria; cfr. in particolare gli studi raccolti in F. Traù (a cura di), La «questione dimensionale» nell’industria italiana, Bologna, Il Mulino 1999,
e, più ampiamente, F. Traù, Structural macroeconomic change and the size pattern of manufacturing firms, Basingstocke
and New York, Palgrave MacMillan 2003.
2
29
IL QUADRO GENERALE
Fig. 1 - Industria manifatturiera, addetti alle unità locali di impresa per classe di addetti
(Quote %)
25
20
15
10
5
0
1-5
6-9
10-19
1971
20-49
1981
50-99
1991
100-499
500-999
>1000
2001
Fonte: Elaborazioni su Censimenti industriali.
sione media: la quota torna infatti a risalire sia nell’intervallo tra i 50 e i 99 addetti che in quello tra i 100
e i 499 (nel primo caso il livello del 2001 risulta addirittura superiore a quello del 1971). Ancora più notevole è il fatto che si arresti il declino della quota nell’intervallo compreso tra i 500 e i 999 addetti, anche
se in questo caso non si realizza una inversione di tendenza; e d’altra parte la stessa persistente riduzione di peso in termini di occupazione delle imprese più grandi (oltre 1.000 addetti) appare un po’più contenuta di quelle registrate in passato.
4. Dal momento che il profilo delle quote nasconde il segno dei cambiamenti (aumento o diminuzione dell’occupazione in termini assoluti), nella figura 2 vengono riportati, per le medesime classi dimensionali, gli indici relativi ai livelli dell’occupazione, uguagliato a 100 il livello corrispondente al 1971.
Dalla figura si ricava che il livello assoluto dell’occupazione si riduce in quasi tutti gli intervalli dimensionali, ma mostra una sostanziale inerzia nell’intervallo compreso tra i 20 e i 499 addetti — nell’ambito del
quale risulta ricompresa l’unica classe dimensionale (tra 50 e 99 addetti) in cui l’occupazione aumenta. È
del pari degno di nota il fatto che nelle classi inferiori (meno di 20 addetti) l’occupazione cominci a ridursi anche in termini assoluti, mostrando una evidente inversione di tendenza rispetto al passato.
Dunque, i nuovi dati evidenziano una tendenza complessiva verso il consolidamento dimensionale delle imprese della trasformazione: pur se in un contesto di perdurante flessione del livello assoluto dell’occupazione, il baricentro dimensionale tende a «spostarsi» verso l’alto — sempre escludendo le unità molto
grandi — e il ruolo delle imprese minori nel sostegno dei livelli di occupazione si ridimensiona (anche se resta certamente rilevante). È possibile che a questo fenomeno corrisponda l’esaurimento del processo di costante riduzione del grado di integrazione verticale della produzione che ha caratterizzato in termini strutturali lo sviluppo industriale a partire almeno dall’inizio degli anni Settanta5; alcuni riscontri preliminari a questa ipotesi sono contenuti in questa edizione del Rapporto e nella precedente6.
5. Proprio il processo di diverticalizzazione, sub specie di un crescente ricorso all’acquisto di input all’esterno, ha accresciuto negli anni la quota dei servizi acquisiti dalle imprese attraverso scambi di mercato piuttosto che mediante la destinazione a questo scopo di risorse interne.È dunque possibile che l’esternalizzazione di alcune attività di servizio — che una volta sul mercato vengono classificate per definizione al di fuori del settore manifatturiero — possa comportare una sottostima del livello effettivo dell’occupazione destinata allo svolgimento di attività di trasformazione produttiva (che esse vengano o meno svolte all’interno di imprese di trasformazione). Anche se la crescita degli scambi di mercato tra le imprese fosse effettivamente in fase di attenuazione, nell’intero arco degli anni Novanta — e specificamente nell’ambito dei servizi — potrebbe in ogni caso essersi verificata una persistente tendenza verso la sottrazione dai confini manifatturieri di quote apprezzabili di terziario implicito. Un modo per verificare in
5 Su questo specifico punto cfr. in particolare A. Arrighetti, Integrazione verticale in Italia e in Europa: tendenze e
ipotesi interpretative, in F. Traù (1999), a cura di, cit.
6 Cfr. infra, par. 1.3.1, e Tendenze dell’industria italiana, Roma, Sipi, giugno 2003, pp. 19-20.
30
IL QUADRO GENERALE
Fig. 2 - Industria manifatturiera, addetti alle unità locali di impresa per classe di addetti
(1971=100)
200
100
0
1-5
6-9
10-19
20-49
1981
50-99
1991
100-499
500-999
>1000
2001
Fonte: Elaborazioni su Censimenti industriali.
via preliminare questa eventualità è quello di misurare le variazioni dell’occupazione — ancora, a livello
delle diverse classi dimensionali sopra osservate — aggiungendo agli addetti alla trasformazione anche
quelli relativi alle attività di servizio esplicitamente rivolte alle imprese (in termini dell’Ateco 2002, quelle corrispondenti ai codici 72 e 74)7.
I risultati di questo calcolo, riferiti alle variazioni intervenute tra il 1991 e il 2001, sono riportati nella figura 3, da cui risulta che tenendo conto dei c.d. servizi alle imprese la dinamica dell’occupazione è positiva
in tutti gli intervalli dimensionali fuorché in quello compreso tra 6 e 9 addetti e in quello al di sopra dei 1.000.
In particolare, la crescita dell’occupazione è particolarmente forte per le microimprese (meno di 6 addetti)
e nelle «medie» (addetti tra 50 e 500), ma è apprezzabile anche tra le medio-grandi (tra 500 e 1.000). Se ne
deduce che il ricorso a input di servizio esterni è una ragione assai rilevante del ridimensionamento del livello assoluto dell’occupazione a tutti i livelli dimensionali; anche in questo caso è però nell’ambito delle
imprese di media dimensione che sembra concentrarsi gran parte della crescita delle risorse.
Fig. 3 - Variazione % del numero di addetti rispetto al decennio precedente
30
20
10
0
-10
-20
-30
-40
1-5
6-9
10-19
Ind. man.
20-49
50-99
100-499
500-999
>1000
Ind. man+Serv. Impr.
Fonte: Elaborazioni su Censimenti industriali.
7 I due codici individuano rispettivamente gli aggregati settoriali «Informatica e attività connesse» e «Attività di
servizi alle imprese».
31
IL QUADRO GENERALE
sato entrambe le fasi di crisi senza subire un ridimensionamento dei propri livelli di attività, ma anzi espandendole ulteriormente. Questo gruppo include l’industria alimentare, la filiera cartario-editoriale, la produzione di apparecchiature elettromeccaniche e, in misura inferiore, l’aggregato che
comprende la lavorazione della gomma e della plastica (il cui tasso di crescita nella fase più recente peraltro si annulla)32. È poi identificabile nella figura un insieme di produzioni che mostrano nella fase attuale una capacità di resistenza maggiore rispetto a quella del triennio 1991-93: alcuni settori dell’industria meccanica, l’industria chimica, e quelle che producono materiali di base per l’edilizia (principalmente cemento e laterizi). Ad esse si contrappongono due settori che, al contrario,
passano da risultati economici relativamente assai positivi a una netta perdita di posizioni: quella
elettronica (condizionata da una crisi di ordine internazionale) e l’aggregato che include vetro e ceramica (negativamente influenzato dalle crescenti difficoltà del comparto delle piastrelle).
Ma l’ambito in cui i problemi sembrano più consistenti è quello che corrisponde alle industrie
che peggiorano la loro posizione assoluta in entrambi i periodi: in questo caso le difficoltà attuali
rinviano a quelle emerse già in passato, segnalando l’esistenza di una vulnerabilità di fondo rispetto alle fasi avverse del ciclo. Oltre all’aggregato che include i grandi mezzi di trasporto e all’industria automobilistica (per la quale i due periodi in esame concidono con fasi di aggiustamento
particolarmente intense), nel quadrante in basso a sinistra della figura compare l’intero blocco delle industrie più tradizionali del c.d. made in Italy, ovvero quelle comprese nelle filiere tessile-abbigliamento e conciario-calzaturiera.
Altri mezzi di trasporto
Apparecchi meccanici ed elettrici
Strumenti di precisione
Elettronica
Vetro e ceramica
Pelli e calzature
Autoveicoli
Tessile e maglieria
Meccanica strumentale
Chimica
Elettrotecnica strumentale
Produzione energia da raffinazione
Lavorazione gomma e plastica
Metallurgia
Legno, mobilio, arredamento
Abbigliamento
Lavorazione metalli
Alimentari e bevande
Carta, cartotecnica, stampa
Materiali costruzione di base
1.3.1.5. Come rilevato più sopra, l’elemento che sembra caratterizzare la recessione in corso è
la netta erosione del volume delle vendite all’estero, che non ha precedenti nella storia industriale degli ultimi trent’anni. La performance internazionale dell’industria italiana è oggetto di esplorazione specifica in una sezione ad hoc del Rapporto (infra, par. 1.5); è tuttavia opportuno entrare
fin d’ora nel merito di quanto
proprio l’evoluzione sfavorevole
Fig. 1.15 - Tassi medi annui di crescita della produzione (20002003), settori ordinati in funzione di valori crescenti della
delle vendite sui mercati esteri
propensione a esportare
abbia contribuito ai risultati negativi ottenuti dalla maggior
6
parte delle industrie in termini
5
4
di produzione. A questo riguar3
do la fig. 1.15 riporta, ancora con
2
media
1
riferimento all’intero arco della
0
-1
recessione (anni 2001-2003), i
-2
tassi medi annui di crescita del-3
media
-4
la produzione di ciascun settore,
media
-5
ordinati in funzione delle pro-6
-7
pensioni settoriali a esportare.
-8
L’immagine che se ne ricava è
-9
-10
molto netta: le industrie più
-11
-12
aperte sono quelle che — me-13
diamente — ottengono i risulta>45%
>30% <45%
<30%
-14
-15
ti peggiori. Al di sotto di una
quota del fatturato esportata inferiore al 30% la media del tasso
di crescita nel periodo considerato è di poco superiore all’1%;
nell’intervallo compreso tra 30 e
45 per cento la crescita diventa
già nettamente negativa (–3,2%)
Fonte: Elaborazioni su dati Asi.
e al di sopra del 45% scende an32 Come mostrato più avanti (infra, par. 1.3.4), anche se sulla base di una classificazione settoriale leggermente diversa, che non consente un confronto diretto, per alcune di queste industrie è osservabile negli anni più recenti addirittura un miglioramento della produttività.
32
IL QUADRO GENERALE
Tab. 1.10 - Tassi medi annui di crescita delle esportazioni per
cora a –5%. Il fenomeno non è
settore
naturalmente privo di eccezioni;
ma il suo profilo complessivo inSettori
1995-2001
2002
2003
dica chiaramente che la dipendenza dai mercati esteri ha agito
Autoveicoli
8,9
–1,2
3,4
nel periodo in questione come
Apparecchi
meccanici
ed
elettrici
6,6
2,1
1,4
un fattore di condizionamento
Strumenti di precisione
9,1
–0,7
–0,1
rilevante.
Lavorazione metalli
6,5
–1,6
–0,4
Osservando direttamente i
Metallurgia
3,0
0,8
–0,9
tassi di crescita annui delle
Lavor. gomma e plastica
8,4
4,3
–1,0
Meccanica strumentale
2,4
–3,9
–1,2
esportazioni per gli ultimi anni
Elettrotecnica strumentale
10,9
–5,1
–1,8
(tab. 1.10) è possibile constatare
Alimentari e bevande
6,1
5,9
–3,0
che la caduta delle vendite all’eCarta, cartotecnica, stampa
6,7
3,8
–3,3
stero fa seguito a un periodo che
Chimica
11,2
5,8
–3,9
— per la maggior parte delle inPelli e calzature
4,6
–6,7
–4,7
Vetro e ceramica
5,0
0,9
–4,9
dustrie — è stato invece di forte
Legno,
mobilio,
arredamento
5,1
–2,7
–7,0
crescita. Anche includendo il
Elettronica
15,7
–15,1
–7,1
2001, il quadriennio che precede
Abbigliamento
4,9
–1,9
–7,7
la crisi mostra per oltre un terzo
Tessile e maglieria
3,4
–6,5
–8,5
dei settori considerati tassi di
Materiali da costruzione di base
2,7
–4,4
–10,4
Altri mezzi di trasporto
17,3
12,3
23,9
crescita superiori all’8% medio
33
annuo in termini reali , e in nesFonte: Elaborazioni su dati Asi.
sun caso variazioni negative.
Questo dato, che è tanto più notevole in quanto si verifica in una
fase in cui la competitività di prezzo delle esportazioni nazionali torna a peggiorare visibilmente,
dopo la svalutazione del triennio 1992-95 (infra, par. 1.6), suggerisce che i problemi che emergono
nel corso dell’ultimo biennio debbano trovare una spiegazione in fattori diversi dal semplice apprezzamento del cambio (effettivo reale). E d’altro canto la repentina inversione di tendenza della
dinamica delle esportazioni rende alquanto improbabile che il deterioramento della performance sull’estero possa dipendere da un così improvviso peggioramento della qualità delle merci nazionali.
È legittimo formulare a questo riguardo l’ipotesi (naturalmente da verificare sulla base dell’evoluzione futura del fenomeno) che ciò sia piuttosto da ricondurre al fatto nel corso del 2002, e
ancora più marcatamente nel 2003, le imprese nazionali sono state strette nella doppia morsa di
un mercato continentale (verso cui esse orientano oltre il 50% delle loro esportazioni) in decelerazione e di un dollaro in forte deprezzamento nei confronti dell’euro (con un mercato nordamericano invece in netta espansione). Una tale coincidenza ha in ogni caso avuto l’effetto di sottrarre agli operatori italiani uno degli strumenti da essi più frequentemente utilizzati nel governo del
ciclo internazionale, ovvero una velocità di riposizionamento tra i diversi mercati (a sua volta consentita da un livello degli investimenti in strutture commerciali generalmente molto contenuto)
che è spesso apparsa assai maggiore rispetto a quella delle economie concorrenti.
1.3.1.6. Anche per il 2003 i dati di fonte Infocamere relativi alla formazione di nuove imprese
e alle cessazioni di imprese in attività appaiono, come già per il biennio precedente, del tutto coerenti con un quadro congiunturale recessivo34. In percentuale dello stock delle imprese esistenti
33
Cfr. in ogni caso quanto più sopra osservato in merito ai criteri di deflazionamento delle serie dei dati di commercio a prezzi correnti.
34 I dati qui riportati sono tratti da rilevazioni periodiche realizzate da Infocamere sulla base delle registrazioni delle iscrizioni e cancellazioni prodotte dagli archivi delle Camere di Commercio. Ai fini di questo lavoro vengono escluse
dall’universo delle imprese censite le ditte individuali, per evitare di includere nei tassi di natalità la semplice creazione
di partite Iva. I dati riportati nelle tavole che seguono si riferiscono dunque alle sole società di capitali e di persone. Va
inoltre precisato che per loro natura i dati Infocamere misurano semplicemente il numero delle iscrizioni e delle cancellazioni dal Registro Imprese, indipendentemente dalla data di effettivo inizio o cessazione dell’attività; con riferimento a quanto osservato nel testo, ciò può implicare qualche sottostima dell’effettiva intensità della relazione tra la formazione di nuove unità e il ciclo della produzione.
33
IL QUADRO GENERALE
Fig. 1.16 - Tassi di natalità e di mortalità delle imprese nell’industria manifatturiera (a)
6
Tasso di natalità
Tasso di mortalità
Tasso netto di natalità
5
4
3
2
1
0
-1
-2
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
(a) Dati annuali relativi alle sole società di capitale e di persone, valori in % dello
stock dell’anno di riferimento.
Fonte: Elaborazioni su dati Infocamere.
Tab. 1.11 - Tasso di mortalità delle imprese per settore (a)
Settori
Alimentari e bevande
Tessile e maglieria
Abbigliamento
Pelli e calzature
Legno
Carta, cartotecnica, stampa ed editoria
Prodotti energetici da raffinazione
Chimica
Lavorazione della gomma e della plastica
Minerali non metalliferi
Metallurgia
Lavorazione dei metalli
Macchine e apparecchi meccanici
Elettronica
Elettronica strumentale
Strumenti di precisione
Autoveicoli
Altri mezzi di trasporto
Mobili e altre industrie manifatturiere
1995-2001
2002
2003
2,0
2,9
3,3
2,5
2,1
2,3
1,7
2,4
2,3
2,0
2,1
1,9
2,3
2,9
2,4
2,8
2,4
2,5
2,3
2,5
3,9
4,7
3,6
2,8
3,1
2,2
3,0
2,7
2,4
2,7
2,5
3,1
3,6
3,4
3,5
3,3
3,6
3,1
2,3
3,7
3,8
3,0
2,4
2,6
2,7
2,5
2,6
2,2
2,8
2,3
2,7
3,6
2,6
3,1
2,4
2,7
2,6
(a) Dati annuali relativi alle sole società di capitali e di persone, valori in % dello stock
dell’anno di riferimento.
Fonte: Elaborazioni su dati Infocamere.
(fig. 1.16), i flussi delle nuove
entrate tendono a ridursi ulteriormente, proseguendo lungo
una tendenza che sulla base dei
dati disponibili è documentabile
almeno a partire dagli anni centrali del decennio Novanta. Al
tempo stesso i tassi di mortalità
subiscono un leggero ridimensionamento rispetto al 2002 (anno in cui avevano registrato una
decisa impennata), ma si mantengono su un livello comunque
superiore a quello del 2001. Il
saldo di questi andamenti in termini di natalità netta resta negativo, anche se meno di quanto
non lo fosse nel 2002.
Stante il persistere della recessione, è possibile che la limitata flessione dei tassi di mortalità evidenziata dalla figura 1.16
costituisca semplicemente un
aggiustamento rispetto al balzo
verso l’alto registrato nell’anno
precedente; in particolare, si può
avanzare a questo riguardo l’ipotesi che la flessione rifletta semplicemente l’esaurimento (o comunque un assottigliamento)
del processo di uscita dei produttori marginali. Questa ipotesi
sembra corroborata dal fatto che
il fenomeno non mostra sostanziali disomogeneità sul piano
settoriale, come è possibile desumere dai dati riportati nella tabella 1.11: con due sole eccezioni, i tassi settoriali di uscita risultano tutti in ridimensionamento
rispetto ai livelli del 2002 — esattamente all’opposto di quanto
avvenuto (senza eccezioni) nel
2002 rispetto al 2001.
1.3.2. L’evoluzione congiunturale dell’attività produttiva a livello
settoriale35
1.3.2.1. La recessione ha interessato pressoché l’intero spettro delle attività produttive; dal
punto di vista della destinazione economica dei beni (fig. 1.17), si sono contratti i volumi di pro35
In questo paragrafo sono sintetizzate le principali indicazioni di carattere congiunturale che emergono dalla documentazione contenuta nel capitolo 3 di questo Rapporto.
34
IL QUADRO GENERALE
duzione sia per i beni strumentali che per quelli intermedi e
(seppure in misura inferiore)
quelli di consumo. Secondo gli
indici Istat di produzione industriale relativi ai principali raggruppamenti di industrie36, la
produzione di beni intermedi ha
subito una flessione piuttosto
pronunciata (–1,9%), mentre
quella di beni strumentali ha
evidenziato un calo più contenuto (–1,%). Per entrambi gli aggregati si è realizzato un forte ridimensionamento nella prima
parte dell’anno (che nel caso dei
beni strumentali è stato seguito
da una leggera ripresa nei mesi
estivi), e l’indice di produzione
industriale è tornato a fine 2003
all’incirca sugli stessi livelli raggiunti al termine della profonda
recessione del 2001. La produzione dei beni di consumo (sostenuta dal parziale recupero
della domanda) ha invece evidenziato maggiori segnali di tenuta, scendendo dello 0,6% rispetto al 2002; i dati relativi al
primo trimestre del 2004 confermano un maggiore dinamismo
rispetto agli altri due aggregati
(in termini tendenziali l’indice
corretto per i giorni lavorativi
aumenta del 2,9%, a fronte di
una flessione dell’1,1% per i beni strumentali e del 2,4% per gli
intermedi).
1.3.2.2. Beni strumentali. Sulla
base dei dati disaggregati provenienti dalle Associazioni di categoria aderenti alla Confindustria,
il 2003 delinea per i beni strumentali un quadro di generale
flessione dei livelli produttivi.
Questo profilo è in parte riconducibile all’esaurimento, nel dicembre 2002, del periodo di operatività degli incentivi promossi
Fig. 1.17 - Indici di produzione industriale per
raggruppamenti di industrie
(Dati mensili destagionalizzati, base 2000=100)
a - beni strumentali
105
Indice
Medie mobili a tre termini
100
95
90
2000
2001
2002
2003
2004
b - beni intermedi
105
Indice
Medie mobili a tre termini
100
95
90
2000
2001
2002
2003
2004
c - beni di consumo
110
Indice
105
Medie mobili a tre termini
100
95
90
2000
2001
2002
2003
2004
Fonte: Elaborazioni su dati Istat.
36 La disaggregazione settoriale adottata in questo paragrafo segue per quanto possibile il nuovo schema di classificazione dei settori di destinazione economica proposto da Eurostat (cfr. Les grands regroupements industriels (MIGs) agrègats communs d’analyse des cycles conjoncturels, Statistiques en bref; Industrie, commerce e services, Theme 4 - n.8, 2001),
e accolta dall’Istat con il passaggio al calcolo degli indici della produzione industriale in base 2000. A fini di semplificazione si aggregano qui, nei consumi, la componente dei beni durevoli con quella dei beni non durevoli.
35
IL QUADRO GENERALE
dalla c.d. «Tremonti bis». Il 2003 si è rivelato un anno particolarmente difficile per la meccanica strumentale, che ha subìto una contrazione dei volumi di produzione prossima al 3,5% in termini reali.
Tale andamento è stato determinato da una pronunciata riduzione delle vendite sul mercato interno (–6,5%), ma anche dalla debolezza del ciclo degli investimenti nei principali mercati d’esportazione, in particolare nell’area Ue. Nel dettaglio, i singoli comparti hanno mostrato andamenti peraltro differenziati. I risultati peggiori sono stati ottenuti nel comparto delle macchine per calzature e
pelle (–24,5% in valore) e in quello delle macchine per la lavorazione del legno (–16,4% in valore),
entrambi fortemente penalizzati sia dalla debolezza della domanda interna che, soprattutto, dal calo delle vendite all’estero (le macchine per calzature e pelle hanno subìto una contrazione delle
esportazioni del 20% in valore). Gi ordini interni sono stati condizionati negativamente dall’aumento della pressione competitiva dei manufatti cinesi, che, congiuntamente al rafforzamento dell’euro,
ha contribuito ad acuire la crisi dell’industria calzaturiera nazionale. Le macchine per la lavorazione
del legno hanno sperimentato una contrazione dell’export pari a circa 13 punti percentuali, con un
incremento del flusso di esportazioni verso i paesi dell’Est Europa non sufficiente a compensare le
perdite subite sul mercato dell’Ue e su quello statunitense.
Abbastanza marcato si è dimostrato anche il calo nella produzione di macchinari utilizzati
da altri settori, quali tessile, alimentare e ceramica (rispettivamente –7, –5,3, –3,5 per cento in
valore). Si è inoltre registrata una brusca flessione nella produzione di macchine utensili (–8,2%
in valore), segmento a monte del processo produttivo della meccanica strumentale e fortemente esposto alla crisi dell’industria dei mezzi di trasporto. L’andamento negativo del settore delle macchine utensili è da attribuirsi ad un drastico calo dei consumi (–18,5%): le consegne interne sono scese dell’11%, le esportazioni del 5%. Buoni risultati sono stati invece ottenuti nel
comparto delle macchine per la lavorazione delle pietre naturali e in quello degli impianti petroliferi (l’aumento di produzione è stato rispettivamente del 5% e del 3,1% in valore). Entrambe
le produzioni sono state sostenute da una crescita della domanda estera (rispettivamente del
12% e del 3%); l’export relativo agli impianti petroliferi è stato in particolare stimolato dalla realizzazione di alcuni progetti di carattere internazionale che hanno coinvolto le imprese italiane.
Positivo anche il profilo mostrato dai macchinari per gomma e plastica (+2,7% in valore), che
hanno beneficiato di una forte crescita della domanda estera di calandre e laminatoi, recuperando così la flessione dei livelli produttivi (–2% in valore) sperimentata l’anno precedente. Più
contenuto è stato l’aumento di produzione delle macchine agricole e di quelle edili (rispettivamente +1,6% e +1,7% in valore).
Nell’ambito dell’elettronica destinata all’investimento, le singole produzioni hanno conseguito risultati piuttosto eterogenei; il fatturato è cresciuto sia per i componenti elettronici (+2,3%) che
per le apparecchiature per l’informatica (+5%). In entrambi i casi, comunque, la debolezza delle
esportazioni è stata compensata dal mercato interno. Gli apparati per le telecomunicazioni hanno
invece proseguito l’intensa fase recessiva iniziata nel 2001, subendo una flessione del fatturato superiore ai 10 punti percentuali. Alle difficoltà incontrate sui mercati esteri si è sommato il calo degli ordini interni da parte dei gestori delle reti: le flessioni più marcate si sono registrate sul mercato dei sistemi e apparati di rete.
La debolezza del ciclo economico e la contrazione degli investimenti hanno avuto effetti di
rallentamento sull’attività produttiva dell’intero settore dei veicoli industriali e commerciali, che nel
2003 ha fatto complessivamente registrare un calo del 2% in termini reali. La flessione — più lieve per i veicoli commerciali leggeri e più marcata per gli autocarri — non ha tuttavia riguardato
l’intero comparto. La produzione di autobus ed autotelai è cresciuta di quasi il 10% rispetto al 2002,
prevalentemente grazie alla vivacità del mercato estero, che ha consentito un aumento delle esportazioni di circa il 4% (nel 2003 le esportazioni hanno rappresentato più del 68% dell’intera produzione).
Nonostante la debolezza del quadro congiunturale, il settore degli strumenti di precisione, pur
avendo subito un rallentamento del ritmo di crescita, ha proseguito lungo il trend positivo che data fin dall’inizio degli anni Novanta (+0,6% a prezzi costanti). Anche per l’elettrotecnica strumentale è continuata la fase espansiva avviatasi all’inizio degli anni Novanta con un lieve aumento dei
volumi di produzione (+0,4% a prezzi costanti). L’attività del settore è stata sostenuta dalla favorevole evoluzione della domanda interna, che ha beneficiato della dinamicità del comparto edili-
36
IL QUADRO GENERALE
zio, di quello ferrotramviario, stimolato dagli investimenti nell’alta velocità, e di quello termoelettromeccanico, favorito dallo sblocco degli investimenti per la realizzazione di nuove centrali elettriche. Nel complesso il comparto dei trasporti ferroviari ed elettrificati ha fatto registrare un aumento di produzione del 6,2% in valore. Buoni anche i risultati ottenuti dai componenti e sistemi
per impianti (+1,8% a prezzi correnti) e dal segmento dell’illuminazione (+5,7% a prezzi correnti). Una brusca frenata ha invece caratterizzato la produzione di apparecchiature per la generazione di energia elettrica, che nel 2003 hanno mostrato una flessione del fatturato di circa 20 punti
percentuali; tale contrazione è essenzialmente imputabile alle difficoltà emerse sul mercato interno in conseguenza del processo di ristrutturazione che ha interessato molte delle grandi imprese
del settore.
Lo straordinario impulso ai traffici via mare derivante dalla ripresa dell’economia negli Stati
Uniti e in Giappone e, soprattutto, dall’esplosione dell’economia cinese, ha consentito all’industria
navalmeccanica di attestarsi su buoni livelli di crescita. La cantieristica italiana si è distinta positivamente nella costruzione di navi da crociera medio-grandi, la cui richiesta era stata sospesa l’anno precedente, e di traghetti di vario genere. Buoni stimoli sono provenuti anche dalla realizzazione dell’impegnativo programma di rinnovamento della flotta della Marina italiana. Su livelli
modesti si è invece mantenuta l’attività nel comparto della riparazione navale.
Per quanto riguarda gli apparecchi meccanici ed elettrici (da cui risultano esclusi gli elettrodomestici), i singoli segmenti hanno presentato andamenti fortemente eterogenei, consentendo,
complessivamente, di mantenere la produzione sui livelli dell’anno precedente. I risultati migliori
sono stati ottenuti dal comparto degli impianti per il trattamento dei rifiuti (+11% in valore) e da
quello delle turbine idrauliche e a vapore (+9% in valore), mentre i maggiori cali produttivi sono
stati sperimentati dagli impianti per la depurazione dell’aria (–10% in valore), da quelli di insonorizzazione (–8% in valore) e dai motori a combustione interna (–8%).
1.3.2.3. Beni intermedi. Sul profilo dell’aggregato ha influito l’andamento profondamente negativo dell’industria tessile, la cui attività produttiva (includendo la maglieria) ha evidenziato nel
corso del 2003 un calo del 4,6% a prezzi costanti. Hanno contribuito alla caduta della produzione
la debolezza della domanda (sia interna che estera) e il rafforzamento dell’euro, che ha determinato un aumento della pressione concorrenziale esercitata dai paesi con valute legate al dollaro. Il
calo ha interessato tutti i comparti, ma si è mostrato particolarmente intenso in quello laniero
(–10,4 % in valore), in quello della seta (–7,1% in valore) ed in quello cotoniero e liniero (–6,2% in
valore).
Un ulteriore contributo negativo alla crescita dell’aggregato è provenuto dall’industria estrattiva, che, nel 2003, ha sperimentato una contrazione dei volumi produttivi pari all’1,6% (a prezzi
costanti), dopo un lungo ciclo positivo avviatosi a metà degli anni Ottanta. I buoni risultati ottenuti nel segmento dei materiali da cava sono stati più che compensati dalla brusca flessione (–4,2%
in valore) nella produzione di idrocarburi liquidi e gassosi, imputabile essenzialmente all’esaurirsi delle riserve nazionali di gas naturale.
Anche l’industria della gomma e della plastica ha registrato una riduzione, seppur lieve, della
produzione (–0,4% a prezzi costanti). Le esportazioni si sono dimostrate stagnanti, mentre la domanda interna ha risentito della caduta degli investimenti, che ha limitato gli ordini di settori importanti, quali quelli dell’elettronica e dei mezzi di trasporto. La performance del settore è attribuibile soprattutto all’andamento della gomma, la cui produzione ha subito una riduzione dell’1% in
valore, proseguendo così la fase recessiva iniziata nel 2001. La flessione è risultata particolarmente evidente nel comparto degli articoli tecnici (–4% in valore), a fronte di un modesto incremento
(+1% in valore) per i pneumatici.
Anche l’industria chimica non ha ottenuto risultati soddisfacenti, evidenziando un calo della produzione in termini reali dello 0,5% (esclusa l’industria farmaceutica, ma includendo la
chimica per il consumo). Dal lato della domanda interna la chimica continua a risentire della
crisi dei settori tradizionali del made in Italy che sono tra i clienti più importanti, in particolare
per alcuni settori della chimica fine e delle specialità. Le esportazioni, penalizzate dal peggioramento delle condizioni di competitività, hanno subìto un ridimensionamento (–4,2% in valore). I dati disaggregati mostrano che i risultati peggiori sono stati conseguiti dal comparto del-
37
IL QUADRO GENERALE
le fibre chimiche (–13% in termini reali), da quello delle pitture e adesivi (–1,5% in termini reali) e da quello di base (–0,6% in termini reali). Nell’ambito delle delle fibre il calo è il risultato
di una lieve diminuzione delle fibre artificiali e di una contrazione assai marcata di quelle sintetiche.
Più modesta è stata la contrazione dell’attività nel settore del legno e dei prodotti in legno, dove il fatturato è sceso dello 0,9% in valore. Il settore ha potuto beneficiare della domanda proveniente dall’industria delle costruzioni e del ciclo delle scorte, che ha contribuito positivamente all’attività della prima trasformazione delle materie prime legnose. Nel dettaglio i problemi maggiori
hanno riguardato il comparto dei pannelli, semilavorati e componenti (–1,7% in valore) e quello
del sughero (–1,4% in valore), mentre il comparto dei prodotti in legno per l’edilizia ha mostrato
una relativa stabilità. Il persistere di un contesto di domanda interna ed internazionale piuttosto
debole ha condizionato, nel 2003, l’industria della carta, che ha mantenuto i volumi (+0,6%) al costo di una netta flessione in termini di fatturato (–4,1%).
Le industrie del vetro e della ceramica hanno complessivamente mostrato un andamento migliore di quello del 2002. Per il vetro, dopo la flessione dell’anno precedente, la produzione ha registrato un incremento del 3,1% in quantità (in particolare grazie ai risultati del vetro piano, mentre il vetro cavo è rimasto sostanzialmente stabile). L’industria della ceramica ha chiuso il 2003 con
una contrazione dei livelli di attività dello 0,5% (in termini reali), risultato comunque decisamente migliore di quello dell’anno precedente (–5,2%). Le imprese italiane hanno incontrato grandi
difficoltà sui mercati esteri, mentre il mercato interno si è mostrato stabile. Tra le varie tipologie di
prodotto quella che è risultata in maggiore espansione è il gres porcellanato, che copre circa il 60%
dell’intera produzione del settore.
L’aggregato che include le produzioni di base destinate all’edilizia (materiali da costruzione di
base) ha registrato un aumento della produzione dell’ordine del 1,8% (a prezzi costanti), proseguendo il ciclo positivo degli ultimi anni. Il maggior contributo alla crescita è derivato dal mercato interno, e in particolare dagli investimenti in costruzioni, soprattutto per quanto riguarda l’edilizia residenziale. La produzione di cemento è cresciuta del 4,9% in quantità, raggiungendo un
massimo storico. Si sono evidenziati risultati positivi anche per la produzione di calce (+2,1% in
quantità), e, soprattutto, per quella di gesso, +16,5% (in quantità).
L’evoluzione positiva della domanda proveniente dal settore edilizio, accompagnata da un
processo di ricostituzione delle scorte, ha sostenuto anche l’attività dell’industria metallurgica, che
ha chiuso l’anno con una crescita del 2,3% a prezzi costanti. I diversi comparti produttivi hanno
tuttavia ottenuto risultati assai differenti. Per la siderurgia all’espansione del mercato nazionale,
cresciuto del 9%, si sono contrapposti i deludenti risultati ottenuti sia sui mercati Ue (–6%), che su
quelli terzi (–12%). Le condizioni di competitività sono comunque peggiorate, sia in conseguenza
del rafforzamento dell’euro, sia per l’aumento dei prezzi di mercato (indotto a sua volta dal forte
incremento dei prezzi delle materie prime siderurgiche, la cui domanda è aumentata rapidamente a seguito della crescita esponenziale del consumo e della produzione della Cina, dell’India e degli altri paesi asiatici, oltre che della ripresa americana).
La congiuntura economica negativa e le difficoltà dell’industria automobilistica italiana hanno contributo a determinare un rallentamento dell’attività per le fonderie di metalli ferrosi, che hanno fatto registrare una calo dei livelli produttivi dell’ordine del 1,3% in quantità, imputabile essenzialmente alla brusca frenata nella produzione di getti di acciaio (–9,6%). Al contrario, le fonderie di metalli non ferrosi hanno confermato un profilo positivo, con un aumento a prezzi costanti della produzione del 2,1% rispetto all’anno precedente.
1.3.2.4. Beni di consumo. Dopo la brusca flessione dell’anno precedente, nel 2003 la produzione di beni di consumo ha evidenziato segnali di ripresa. Tra i beni durevoli, risultati soddisfacenti sono stati ottenuti dal comparto degli elettrodomestici, che, proseguendo lungo un trend
di crescita, ha realizzato un aumento del fatturato di circa 3 punti percentuali. Questo dato risulta da un buon andamento delle vendite sia sul mercato interno che su quelli esteri; a livello
di singoli segmenti è da segnalare la vivacità del mercato nazionale dei piccoli elettrodomestici,
dei frigoriferi e dei congelatori, mentre la crescita delle esportazioni è stata principalmente sostenuta dalle vendite di microonde e aspirapolvere. Al contrario, l’elettronica per il consumo ha
38
IL QUADRO GENERALE
evidenziato una decisa contrazione del fatturato (–16%), nonostante una crescita apprezzabile
della domanda.
Nel corso del 2003 sono emersi segnali positivi anche per il settore degli autoveicoli, che pur
non avendo invertito la fase recessiva in atto dal 2001, ha comunque registrato una flessione
dei livelli produttivi (prossima al 5% a prezzi costanti) decisamente inferiore a quella dell’anno precedente. La ripresa della domanda interna nel terzo trimestre 2003 ha contributo a contenere, nell’arco dell’anno, il calo delle immatricolazioni (–1,3%). Questo risultato soddisfacente è stato conseguito anche grazie all’impulso derivante dall’offerta sul mercato di importanti novità di prodotto da parte del maggiore produttore nazionale e dalle iniziative commerciali e promozionali che si sono tradotte in agevolazioni di acquisto vantaggiose per i consumatori. La produzione di motoveicoli e biciclette, dopo la brusca flessione del 2002, è tornata a
crescere, facendo registrare un incremento del 5% in volume; in questo ambito il dato negativo dei ciclomotori e dei motoscooter è stato più che compensato dalla crescita nella produzione di biciclette.
In flessione è risultata l’industria dell’arredamento (–4,1% in valore), che ha sofferto della
debolezza sia della domanda estera che di quella interna. Le maggiori perdite sono state registrate nel comparto del mobile (–4,3%), in quello degli apparecchi per l’illuminazione
(–3,4%) e in quello dei complementi d’arredo (–2,7%). Assai negativo è risultato l’andamento dell’industria dell’oreficeria-gioielleria, che ha visto scendere la propria produzione in valore del 22%.
Nell’ambito dei beni non durevoli, un contributo positivo alla crescita dei beni destinati al
consumo è derivato dall’industria alimentare, che si è confermata tra le più dinamiche nell’ambito manifatturiero, anche se la crescita è risultata comunque contenuta (di poco superiore
all’1% in termini reali). La crescita è stata trainata dal mercato interno, e in particolare dalla domanda di prodotti industriali (in forte espansione rispetto a quella degli alimentari freschi, penalizzati dall’aumento dei prezzi). Nel dettaglio, i segmenti che nel corso del 2003 hanno fatto
registrare gli aumenti più sostenuti dei consumi interni sono stati quelli delle bevande e dei gelati, favoriti dalle elevate temperature estive, quello della lavorazione del caffè e quello della lavorazione del pesce, il comparto delle conserve vegetali e i surgelati; negativo si è invece dimostrato l’andamento dell’industria dell’olio, sia di oliva che di semi. Le esportazioni, che negli ultimi anni avevano mostrato buoni segnali di tenuta, hanno subìto un ridimensionamento dell’ordine del 3% in volume. I prodotti alimentari italiani hanno perso quote di mercato sia nell’Ue
che in Nord America, dove la svalutazione del dollaro rispetto all’euro ha contribuito a frenare
la domanda.
Nell’industria farmaceutica il fatturato è aumentato del 2,3%; tale incremento è tuttavia da
considerarsi piuttosto modesto se rapportato a quelli registrati negli altri principali paesi industrializzati. Sulla debole dinamica del mercato farmaceutico ha sostanzialmente influito la flessione della domanda pubblica, diminuita del 5,3% rispetto al 2002. Andamenti positivi sono stati evidenziati dall’industria grafica e da quella cartotecnica trasformatrice, che hanno fatto registrare aumenti di produzione rispettivamente dell’1,7% e dello 0,7% in valore. La prima è stata favorita dalla crescita della grafica editoriale e della grafica pubblicitaria e commerciale; la seconda ha beneficiato del buon andamento del comparto dell’imballaggio, mentre è stata penalizzata dalla flessione delle altre lavorazioni di cartotecnica e di trasformazione.
Il 2003 è stato invece ancora un anno difficile per la filiera conciario-calzaturiera. La produzione è scesa del 4% (a prezzi costanti), confermando un trend negativo in atto, con la sola eccezione del 2000, dal 1997. Questo scenario è il risultato della debole congiuntura economica internazionale e dell’aumento della pressione competitiva esercitata dai paesi orientali (Cina in particolare). Altrettanto netta è stata flessione produttiva sperimentata dal settore dell’abbigliamento
(-3,9% a prezzi costanti), penalizzato da un ridimensionamento delle esportazioni e da un andamento poco brillante dei consumi interni. Le vendite di prodotti di abbigliamento italiani sono cadute negli Stati Uniti e, soprattutto, in Germania, mentre sono aumentate in Francia e nel Regno
Unito. In flessione anche la produzione di maglieria (–4,9% in valore), che ha subito un netto ridimensionamento dei livelli di export (–4,5% in quantità).
39
IL QUADRO GENERALE
1.3.3. L’evoluzione dell’attività produttiva a livello territoriale
1.3.3.1. Nel 2002 il valore aggiunto dell’industria in senso stretto (tab. 1.12) è diminuito nelle
regioni settentrionali (–0,9% tanto nella ripartizione orientale quanto in quella occidentale) e ha
registrato un andamento positivo nel Centro (+0,7%) e nel Mezzogiorno (+3,1% nel Sud Ovest e
+1,1% nel Sud Est). Rispetto agli anni precedenti, la crescita è risultata comunque in rallentamento in tutte le ripartizioni con la sola eccezione del Sud Est. Per il 2003 stime di fonte Svimez forniscono evidenza di una crescita del valore aggiunto soltanto per la ripartizione sud-occidentale
(+2%), a fronte di un ulteriore peggioramento nel Nord Ovest (–1,5%) e di una marcata inversione di tendenza nel Centro (–1,9%) e nel Sud Est (–3,2%), per la prima volta in flessione negli ultimi sette anni. Ancora in lieve diminuzione (–0,1%) l’area nord-orientale.
Tab. 1.12 - Tassi di variazione del valore aggiunto dell’industria in senso stretto per ripartizione
territoriale
Nord Ovest
Nord Est
Centro
Sud Ovest
Sud Est
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2,6
3,1
1,1
2,9
3,0
2,3
0,6
3,2
0,2
1,8
–1,6–
1,5
1,5
0,8
3,7
1,6
3,3
3,3
2,2
4,7
0,1
–
3,2
4,0
0,1
–0,9–
–0,9–
0,7
3,1
1,1
–1,5–
–0,1–
–1,9–
2,0
–3,2–
Fonte: Elaborazioni su dati Istat per il periodo 1996-2002 e stime Svimez per il 2003.
Tab. 1.13 - Tassi medi annui di crescita del valore aggiunto
dell’industria in senso stretto
A livello regionale i risultati
peggiori sono stati registrati in
Liguria
(–3,1%),
Toscana
1980-1990 1990-2000
2001
2002
(–2,1%), Piemonte (–2,1%) e
Veneto (–1,9%); negli ultimi due
Liguria
–
0,2
3,0
–3,1
casi la variazione risulta negativa
Toscana
0,7
1,7
2,0
–2,1
per il secondo anno consecutivo.
Piemonte
1,1
0,7
–3,0
–2,1
Veneto
2,7
2,5
–1,0
–1,9
Le regioni il cui valore aggiunto
Basilicata
1,4
5,2
2,2
–1,3
industriale aumenta nonostante
Abruzzo
2,7
3,0
–1,3
–0,8
la congiuntura sfavorevole sono
Emilia Romagna
1,7
1,9
0,9
–0,6
Lombardia
2,3
0,9
1,0
–0,3
la Calabria (+5,9%), la Valle
Sicilia
0,1
–0,6
4,1
0,3
d’Aosta (+5,5%) e la Campania
Trentino–Alto Adige
1,8
2,0
1,1
0,5
(+4,7%), in cui il livello della
Molise
–
2,8
0,7
0,8
Marche
1,5
2,1
3,9
1,0
produzione industriale parte peFriuli–Venezia Giulia
1,2
2,5
–0,4
1,9
rò da livelli assoluti molto bassi.
Sardegna
1,2
–1,2
7,4
2,0
Il difficile momento dell’ecoUmbria
0,1
–
3,7
2,3
Puglia
1,7
1,0
0,5
2,9
nomia italiana sembra dunque riLazio
2,5
1,3
4,3
3,6
guardare soprattutto le aree più
Campania
0,3
1,3
2,4
4,7
industrializzate del paese. Mentre
Valle d'Aosta
–0,3
–1,0
9,6
5,5
Calabria
0,2
2,1
6,6
5,9
tuttavia nel caso delle regioni
nord-occidentali la crescita era riNord–Ovest
1,8
0,8
0,1
–0,9
Nord–Est
2,1
2,2
–
–0,9
sultata già modesta per tutto l’arCentro
1,4
1,5
3,2
0,7
co degli anni Novanta (0,6% meSud–Ovest
0,4
0,4
4,0
3,1
dio annuo tra il 1990 e il 2002, osSud–Est
1,9
2,1
0,1
1,1
sia meno di tutte le altre ripartiFonte: Elaborazioni su dati Istat.
zioni territoriali), per quanto riguarda le regioni del Nord Est il
rallentamento è un fenomeno molto più recente37 (tab. 1.13) e si accompagna a una graduale, ma continua, riduzione del tasso di industrializzazione.
37
Negli anni Ottanta e Novanta la crescita del valore aggiunto industriale nelle regioni nord-orientali è stata superiore a quella registrata nelle altre aree.
40
IL QUADRO GENERALE
La tendenza verso il ridimensionamento dei tassi di industrializzazione non riguarda
in ogni caso soltanto le aree settentrionali, ma anche quelle relativamente meno industrializzate del Centro e del Sud Ovest
(fig. 1.18). In quest’ultimo caso il
dato è influenzato soprattutto
dalla variazione negativa fatta
registrare dalle Isole (4% circa
nel periodo preso in considerazione). L’unica ripartizione in cui
il tasso di industrializzazione risulta ancora crescente è il Sud
Est, trainato soprattutto dalla
Basilicata (+4,7% tra il 1990 e il
2002) e dall’Abruzzo (+3%).
Fig. 1.18 - Tasso di industrializzazione in termini di valore aggiunto per ripartizione territoriale
40
35
1980
1990
2002
30
25
20
15
10
5
0
Nord Ovest
Nord Est
Centro
Sud Ovest
Sud Est
Fonte: Elaborazioni su dati Istat.
Variazione % delle esportazioni
manifatturiere nel 2003
1.3.3.2. Sui risultati del 2003 continua a pesare in misura consistente la riduzione della domanda estera. Le esportazioni manifatturiere sono bruscamente diminuite in tutte le ripartizioni
territoriali: in misura più contenuta nel Nord Ovest (–2,6%) — le cui esportazioni manifatturiere
rappresentano però il 42,2% del totale nazionale — e nel Sud Est (–3,6%), e maggiormente nel
Nord Est, nel Centro e nel Sud Ovest (calati rispettivamente di 6,2, 7,3 e 4,8 punti percentuali).
L’andamento delle singole regioni è risultato abbastanza differenziato: le riduzioni maggiori si sono registrate in Campania (–15,2%), Lazio (–12,7%) e Friuli-Venezia Giulia (–10%), mentre in positivo risulta rilevante la performance fatta registrare dalla Sardegna, le cui esportazioni risultano incrementate del 14% (soprattutto per l’aumento del valore delle vendite dei prodotti petroliferi da
raffinazione).
Nella figura 1.19 viene mesFig. 1.19 - Variazione % delle esportazioni manifatturiere nel
sa a confronto, per ciascuna re2003 rispetto al livello relativo del 2002
gione, la crescita delle esporta(Valori normalizzati con il numero degli occupati)
zioni per occupato nel 2003 con
20
il livello relativo della stessa va15
riabile nel 2002 (ottenuto uguaSar
10
gliando a 100 il valore corriVdA
5
spondente alla media nazionaSic
Cal
TAA
Bas
Mar
0
le). Essa mostra che la quasi toLig
Pie
Emi
Abr
-5
Lom
Pug Umb
talità delle regioni che nel 2002
Tos Ven
Mol
-10
FVG
esportavano più della media naLaz
-15
Cam
zionale (con la sola esclusione
-20
del Trentino Alto Adige) ha su0
100
bìto una contrazione delle venIndice del valore delle esportazioni manifatturiere per occupato, 2002
(Italia=100)
dite verso l’estero.Viceversa, tutte le regioni in cui le esportazioFonte: Elaborazioni su dati Istat.
ni sono aumentate partivano da
livelli per occupato molto bassi
(soprattutto la Calabria), e dunque influenzano in misura molto limitata il risultato complessivo
della ripartizione territoriale di appartenenza.
Come mostrato nella tabella 1.14, rispetto a quanto avvenuto nel corso del 2002 — quando
a pesare quasi totalmente sulla dinamica delle esportazioni manifatturiere erano state le regioni nord-occidentali (a causa soprattutto della brusca diminuzione delle vendite all’estero nel
comparto dell’elettronica e dei mezzi di trasporto) — nel 2003 è stata la performance negativa
fatta registrare da quasi tutte le regioni nord-orientali a influire per buona parte (oltre il 40%)
41
IL QUADRO GENERALE
Tab. 1.14 - Contributo % per settore e per ripartizione territoriale alla variazione delle esportazioni manifatturiere (2002-2003)
Settori
Nord Ovest
Prodotti alimentari, bevande e tabacco
Prodotti delle industrie tessili e dell'abbigliamento
Cuoio e prodotti in cuoio, pelle e similari
Legno e prodotti in legno
Pasta da carta, carta e prodotti di carta;
prodotti dell'editoria e della stampa
Coke, prodotti petroliferi raffinati e
combustibili nucleari
Prodotti chimici e fibre sintetiche e artificiali
Articoli in gomma e materie plastiche
Prodotti della lavorazione di minerali
non metalliferi
Metalli e prodotti in metallo
Macchine ed apparecchi meccanici
Macchine elettriche ed apparecchiature elettriche,
elettroniche ed ottiche
Mezzi di trasporto
Altri prodotti delle industrie manifatturiere
Industria manifatturiera
per memoria: contributo % 2001–2002
Nord Est
Centro
Sud Ovest
Sud Est
0,4
–5,5
–0,5
–0,3
–1,4
–5,8
–4,6
–0,8
–1,1
–4,0
–3,4
–0,3
–0,6
–0,2
–1,2
–0,1
–0,4
–0,5
–0,3
–
–0,9
–0,9
–0,4
–
–0,1
0,7
–8,8
–0,8
0,2
–0,1
–1,0
2,3
–0,6
–0,6
3,9
–0,2
–
0,2
0,1
0,1
–0,8
–0,3
–6,0
–2,7
–1,6
–2,5
–1,7
–1,6
3,2
–0,2
–0,2
–1,1
–0,1
0,4
–1,0
–4,0
6,3
–2,6
–4,0
–7,9
–8,7
–3,7
–8,6
–5,1
–1,5
–4,3
–
–1,0
–0,2
–0,9
–23,2
–96,8
–41,9
13,1
–25,6
3,4
–5,6
–22,9
–3,7
3,1
Fonte: Elaborazioni su dati Istat.
sulla riduzione delle esportazioni di beni manufatti. Nel Nord Est quasi tutti i comparti (con la
sola eccezione dei prodotti petroliferi raffinati) hanno fatto registrare una flessione del valore
delle esportazioni rispetto all’anno precedente. Sulla diminuzione delle esportazioni manifatturiere hanno influito in misura consistente anche i risultati negativi registrati nel Centro e nel
Nord Ovest (23,2%).
1.3.3.3. Anche in questo caso le informazioni relative alle entrate e alle uscite dal mercato appaiono coerenti con le linee di tendenza osservabili a livello produttivo. Come mostrato nella tabella 1.15, anche a livello ripartizionale sia i tassi di natalità che quelli di mortalità mostrano, con
riferimento al 2003, una tendenza del tutto omogenea a ridursi, così come già rilevato a livello settoriale. Tuttavia, mentre nel caso delle uscite la flessione fa seguito all’aumento — altrettanto netto — registrato nel 2002, suggerendo anche in questo caso la possibile esistenza di un aggiustamento del tipo di quello più sopra ipotizzato (infra, par. 1.3.1.6), il profilo intertemporale dei tassi
di entrata appare più articolato.
In particolare, si può osservare che lungo l’intervallo temporale considerato nelle regioni settentrionali la natalità è sempre in declino, mentre nelle altre ripartizioni risulta in aumento fino al
2002, per poi ridursi come in quelle del Nord; il fatto che nelle aree caratterizzate da tassi di industrializzazione minori il ritmo di formazione di nuove attività si sia mantenuto sostenuto relativamente più a lungo (e ancora fino al secondo anno di recessione) segnala la possibile esistenza di
una tendenza tuttora diffusiva dello sviluppo, tale da mantenere in crescita il ritmo delle entrate
anche in un contesto in cui, come accaduto nel 2002, la recessione spinge comunque verso l’alto i
tassi di uscita.
42
IL QUADRO GENERALE
Tab. 1.15 - Tassi di natalità e di mortalità delle imprese manifatturiere per ripartizione territoriale (a)
Aree
2000
2001
2002
2003
Tasso di natalità
Nord Ovest
Nord Est
Centro
Sud Est
Sud Ovest
6,2
6,9
6,0
7,5
6,8
6,1
6,9
6,7
8,2
7,2
5,9
6,7
6,8
8,5
7,4
5,4
6,1
6,2
7,1
6,2
Tasso di mortalità
Nord Ovest
Nord Est
Centro
Sud Est
Sud Ovest
3,3
3,3
2,6
2,3
2,2
3,3
3,2
3,2
2,3
2,5
4,2
4,3
3,5
4,1
2,9
3,6
3,6
3,1
3,0
2,7
(a) Dati annuali relativi alle sole società di capitali e di persone, valori in % dello stock dell’anno di riferimento.
Fonte: Elaborazioni su dati Infocamere.
1.3.4. Capacità produttiva, investimenti, occupazione
1.3.4.1. Dopo il marcato rallentamento del ritmo di crescita intervenuto nel corso del 2001
(da +2,3% nel 2000 a +0,3%), il valore aggiunto per unità di lavoro ha fatto registrare, sulla base dei Conti nazionali, variazioni negative sia nel 2002 (–0,8%) che nel 2003 (–0,6%). In termini congiunturali la produttività è scesa in tutti i trimestri del 2003 fatta eccezione per il terzo, nel
quale comunque il tasso di crescita si è dimostrato di poco superiore a quello medio del 1996
(anno di recessione). La crescita negativa della produttività si
Fig. 1.20 - Tasso di crescita della produttività e grado di utilizè accompagnata ad una ulteriozo degli impianti nell’industria in senso stretto (a)
re riduzione del grado di utiliz(Variazioni % congiunturali)
zo degli impianti, che si è portato nella media dell’anno sul
2,5
80
valore più basso dal 1997 (fig.
2
79
1.20). A livello settoriale (fig.
1.21) il rallentamento della pro1,5
78
duttività intervenuto nel periodo 2000-2003 sembra aver ri1
77
guardato una quota rilevante
0,5
76
delle produzioni, risultando
particolarmente marcato in al0
75
cune industrie tradizionali (tessile, cuoio e abbigliamento) e
-0,5
74
nell’elettronica38. Un miglioraProduttività
-1
73
Grado di utilizzo (scala destra)
mento delle condizioni di efficienza derivante da un aumen-1,5
72
to del valore aggiunto pur in
1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003
1996
presenza di un’espansione del
(a) Valore aggiunto per unità di lavoro a prezzi costanti.
livello dell’occupazione è stato
Fonte: Elaborazioni su dati Istat e Isae.
ottenuto dall’industria alimen38
Il risultato relativo all’aggregato che comprende le macchine elettriche ed elettroniche è fortemente condizionato dall’eccezionale caduta della produttività registrata nell’industria elettronica.
43
IL QUADRO GENERALE
Fig. 1.21 - Tassi medi annui di crescita di occupazione e valore
aggiunto, 2000-2003
valore aggiunto
8
6
10
4
2
0
8
2 12
6
1 15
tare, dall’editoria, dai prodotti
farmaceutici e dall’industria
della gomma. Questi settori sono tra quelli che nel periodo in
esame hanno evidenziato i migliori segnali di tenuta sui mercati esteri (infra, par. 1.3.1).
13
1.3.4.2. L’attività di investimento
è stata fortemente condi20
-4
zionata dal permanere di elevati
19
14
4
-6
margini di capacità produttiva
11
3 9
inutilizzata e dal clima di incer-8
5
17
tezza che ancora caratterizza lo
-10
-10
-8
-6
-4
-2
0
2
4
6
8
scenario economico internaziooccupazione
nale. I dati di Contabilità nazionale riferiti al totale dell’econo1. Alimentari e bevande
11. Fibre sintetiche e artificiali
mia indicano a questo riguardo
2. Bevande e tabacco
12. Gomma e materie plastiche
3. Tessile e maglieria
13. Materiali da costruzione, vetro e
un calo della spesa per investi4. Abbigliamento
ceramiche
menti del 2,1% (fig. 1.22). Questo
4. Cuoio, pelli e calzature
14. Metallurgia
scenario è coerente con i risultati
5. Legno, mobilio, arredamento
15. Lavorazione dei metalli
6. Legno
16. Macchine e app. mecc.
dell’inchiesta semestrale realiz7. Carta e cartotecnica
17. Macc. elettr. ed elettron.
zata dall’Isae su un campione di
7. Prodotti energetici da raffinazione
18. App. medicali, prec. e ott.
4.000 imprese39, da cui emerge
8. Editoria
19. Autoveicoli
9. Prodotti chimici di base
20. Altri mezzi di trasporto
come l’evoluzione della doman10. Prodotti chimici di base
21. Altre industrie manifatturiere
da sia il fattore che maggiormenFonte: Elaborazioni su dati Asi.
te ha contribuito a condizionare
le decisioni di investimento. La
stessa indagine indica che la
Fig. 1.22 - Investimenti fissi lordi, variazioni % tendenziali e
maggior parte della spesa per inquota sul valore aggiunto (a)
vestimento (35%) è stata destinata alla sostituzione e al rinno12
24
vo di impianti obsoleti, e il 24%
10
23
alla loro razionalizzazione. La ri8
duzione subita dagli investimen6
22
ti nel 2003 è particolarmente im4
portante perché segna l’interru2
21
zione di una lunga fase di cresci0
20
ta, avviatasi successivamente alla
-2
recessione del triennio 1991-4
19
1993.
-6
Investimenti fissi lordi
Terminati con la fine del
-8
Macchinari e attrezzature
18
Quota (scala destra)
-10
2002 gli effetti degli incentivi
-12
previsti dalla c.d. «Tremonti
17
2002
1997
1998
2000
2001
1996
1999
2003
bis», nel 2003 la spesa per investimento ha subito un contrac(a) Dati destagionalizzati, prezzi costanti.
Fonte: Elaborazioni su dati Istat.
colpo negativo. Ciò è risultato
particolarmente evidente negli
ultimi due trimestri dell’anno,
in cui gli investimenti fissi lordi hanno fatto registrare una flessione tendenziale rispettivamente del 2,6 e del 7,6 per cento. Gli acquisti di macchine e attrezzature si sono dimostrati in linea
con l’andamento del totale degli investimenti, facendo registrare una forte crescita nella secon7
16
-2
39
2003.
44
21
18
Cfr. Isae, Indagine congiunturale sugli investimenti presso le imprese estrattive e manifatturiere, ottobre-novembre
IL QUADRO GENERALE
L’ATTIVITÀ INNOVATIVA IN ITALIA SECONDO LA TERZA
COMMUNITY INNOVATION SURVEY (CIS 3)
L’Italia accusa un forte ritardo in termini di spesa per ricerca e sviluppo (R&S) e di brevetti. Nella seconda metà degli anni Novanta il peso sul Pil delle spese di R&S è lievemente cresciuto, passando dall’1%
del 1995 all’1,1% del 2001; ciononostante l’incidenza è rimasta costantemente pari a circa la metà di quella media dei paesi Ocse. Il deficit italiano viene confermato anche dal numero di brevetti, che rappresenta
un indicatore di output dell’attività innovativa. La più bassa intensità di R&S riscontrata nei settori industriali italiani può derivare dal fatto che le spese per R&S rappresentano un indicatore della ricerca più
formalizzata, svolta nei laboratori di ricerca delle imprese, negli istituti di ricerca pubblica e nelle università: in molti dei settori nei quali l’Italia è specializzata le attività innovative non formalizzate (design, progettazione, introduzione di nuovi materiali e nuove prestazioni nei prodotti) sono di importanza cruciale.
I recenti risultati della Terza Indagine europea sull’innovazione (Community innovation survey, d’ora in
avanti Cis 3), condotta tra il 2000 e il 2002 nei paesi dell’Unione europea e relativa al triennio 1998-2000,
mostrano che il contributo della R&S (svolta in-house) alla spesa totale per innovazione delle imprese è per
l’Italia tra i più bassi (30% contro il il 60% circa di Finlandia e Francia e quasi il 47% della Germania (tab.
1). In Italia le spese sostenute per la R&S sono superate da quelle relative a innovazioni introdotte tramite la tecnologia incorporata nei macchinari, che rappresentano la principale attività innovativa (pari a poco meno del 50%). Sempre i risultati della Cis 3 evidenziano che la spesa innovativa totale delle imprese
italiane è quasi quadrupla (2,15% del Pil) rispetto alle sole risorse investite in R&S interna1.
In questo riquadro vengono sintetizzati alcuni risultati della Cis3 relativi all’Italia. Le produzioni manifatturiere sono state raggruppate, utilizzando la classificazione Ocse2, in 4 macro-settori a seconda della loro intensità di R&S: alta3, medio-alta4, medio-bassa5 e bassa6. La lettura congiunta delle tipologie di
Tab. 1. - Spesa per innovazione, 2000
Spesa innovativa totale
Paesi
di cui:
R&S interna
Belgio
Finlandia
Francia
Germania
Italia
Olanda
Portogallo
Spagna
R&S esterna
Acquisizione
di macchinari
in % del Pil
in % del Pil
% sul totale
in % del Pil
% sul totale
in % del Pil
% sul totale
4,03
3,76
2,25
4,11
2,15
2,21
4,42
1,53
1,46
2,21
1,40
1,92
0,58
1,09
0,47
0,53
36,2
58,7
62,3
46,8
26,9
49,3
10,6
34,6
0,39
0,41
0,58
0,17
0,14
0,26
0,84
0,14
9,6
11,0
25,9
4,1
6,4
12,0
19,0
8,9
1,18
0,62
0,02
1,15
1,02
0,48
1,85
0,55
29,2
16,5
1,0
27,9
47,2
21,5
42,0
36,1
Fonte: Elaborazioni su dati Eurostat.
1
Va osservato peraltro che l’indagine esclude le imprese con meno di nove addetti, e dunque — considerata
l’elevata incidenza relativa delle microimprese nel tessuto produttivo italiano — può comportare una sottostima
della spesa innovativa nazionale.
2
Cfr. Ocse, Oecd Science, Technology and Industry Scoreboard, Annex I, 2003.
3
Costruzione di aeromobili e di veicoli spaziali; fabbricazione di prodotti farmaceutici e di prodotti chimici e
botanici per usi medicinali; fabbricazione di macchine per ufficio, di elaboratori e sistemi informatici; fabbricazione di apparecchi radiotelevisivi e di apparecchiature per le comunicazioni; fabbricazione di apparecchi medicali,
di apparecchi di precisione, di strumenti ottici e di orologi.
4
Fabbricazione di macchine ed apparecchi elettrici; fabbricazione di autoveicoli, rimorchi e semirimorchi; fabbricazione di prodotti chimici e di fibre sintetiche e artificiali, farmaceutica esclusa; fabbricazione di macchine ed
apparecchi meccanici; costruzione di locomotive e di materiale rotabile ferro-tranviario.
5
Fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche; fabbricazione di coke, raffinerie di petrolio, trattamento dei combustibili nucleari; fabbricazione di prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi; metallurgia, fabbricazione di prodotti in metallo.
6
Altre industrie manifatturiere; industria del legno e dei prodotti in legno; fabbricazione della pasta-carta,
45
IL QUADRO GENERALE
spese innovative sostenute dalle imprese innovatrici (tab. 2) e delle fonti di informazione dell’innovazione (tab. 3) permette di capire quali siano i fattori alla base della competitività dei singoli settori. Nella
maggior parte dei casi, la ricerca formalizzata rappresenta il principale capitolo di spesa solo nei settori a
alta e medio-alta intensità di R&S: nella fabbricazione di apparecchi di precisione, ottici, orologeria e nella costruzione di aeromobili e veicoli spaziali essa supera rispettivamente il 60 e il 70% delle spese innovative. Gli altri settori in cui le spese in R&S formalizzata sono preponderanti sono quelli della chimica,
della fabbricazione di macchine e apparecchi meccanici, della fabbricazione di autoveicoli. Nei settori a
bassa e medio-bassa intensità di R&S, l’acquisto di macchinari e impianti innovativi è di gran lunga il
principale capitolo di spesa innovativa.
Tab. 2. - Spesa per tipo di attività innovativa delle imprese innovatrici, 2000
(Composizione %, salvo diversa indicazione)
Attività manifatturiere
Tipologia
R&S interna
Acquisizione di servizi di R&S
Acquisto macchinari e impianti innovativi
Acquisto di tecnologia non incorporata
in beni capitali
Progettazione
Attività di formazione
Marketing
Migliaia di euro per addetto
Alta
intensità
di R&S
Medio-alta
intensità
di R&S
Medio-bassa
intensità
di R&S
Bassa
intensità
di R&S
29,7
6,0
49,7
37,7
8,3
46,1
37,5
8,0
31,8
16,6
2,2
67,0
12,7
1,6
68,6
3,9
3,6
3,1
4,1
1,7
2,5
0,8
3,0
5,9
5,8
6,7
4,4
4,5
3,7
3,7
2,3
4,9
2,6
2,1
7,3
9,6
32,2
7,8
5,3
6,5
Fonte: Elaborazioni su dati Istat.
Tab. 3. - Fonti di informazione per l’innovazione, triennio 1998-2000
(% di imprese innovatrici che ha dichiarato la fonte «molto importante»)
Attività manifatturiere
Fonti
Fonti interne all’impresa
Altre imprese del gruppo (a)
Mostre, fiere
Reti informatiche (Internet, ecc.)
Istituti di ricerca pubblici e privati
Conferenze, seminari, riviste specializzate
Concorrenti e altre imprese operanti nello
stesso settore
Università o altri istituti di istruzione superiore
Fornitori di attrezzature, materiali,
componenti o software
Clienti
Alta
intensità
di R&S
Medio-alta
intensità
di R&S
Medio-bassa
intensità
di R&S
Bassa
intensità
di R&S
27,4
17,2
14,0
5,3
1,8
5,5
40,3
17,9
17,2
12,1
3,0
9,7
30,8
19,0
17,6
6,0
2,3
7,1
27,2
17,8
11,9
4,2
1,4
4,2
23,3
15,4
13,4
4,8
1,7
4,9
7,4
1,8
9,0
6,6
12,6
2,2
5,8
1,4
5,7
1,1
17,7
16,8
18,1
19,6
14,7
24,6
20,0
15,7
17,3
12,7
(a) Per le fonti informative derivanti da altre imprese del gruppo le percentuali sono state calcolate sul totale delle imprese innovatrici appartenenti ad un gruppo industriale.
Fonte: Elaborazioni su dati Istat.
della carta e del cartone, dei prodotti di carta; stampa ed editoria; industrie alimentari, delle bevande e del tabacco; industrie tessili e dell’abbigliamento; industrie conciarie, fabbricazione di prodotti in cuoio, pelle e simili.
46
IL QUADRO GENERALE
I risultati della Cis 3 confermano le indicazioni che emergevano dalla Cis 1 e dalla Cis 2: la competitività delle imprese dell’industria tradizionale dipende, più che dalla R&S, dalla tecnologia innovativa
incorporata nei beni di investimento acquisiti dai fornitori di attrezzature, materiali, componenti o software. Per queste imprese diventa dunque fondamentale la capacità innovativa delle industrie che producono beni di investimento. L’esame delle fonti di informazione delle innovazioni (tab. 3) evidenzia il ruolo rilevante svolto dalle richieste della propria clientela per l’attività innovativa delle imprese a alta e medio-alta intensità di R&S. Per queste imprese, infatti, i clienti sono, dopo la R&S interna, la seconda fonte di informazione delle innovazioni. In particolare, nell’industria meccanica l’impulso dei clienti è molto forte ed è pari a quello delle fonti interne all’impresa. Questa evidenza suggerisce che la competitività dei settori a bassa intensità di ricerca dipende in modo stretto dall’innovatività dei settori a medio-alta e alta intensità di ricerca. Per le imprese ad alta e medio alta intensità di R&S sono fonti di informazione non trascurabili anche mostre, fiere, reti informatiche, conferenze, seminari, riviste specializzate,
università.
La valutazione degli effetti, attesi o riscontrati, dell’innovazione sulla performance economica evidenzia che il miglioramento della qualità dei prodotti offerti è giudicato come il più rilevante da gran parte dei settori industriali (tab. 4). Il miglioramento qualitativo era stato indicato come l’effetto più importante già dalle indagini precedenti (Cis 1 e Cis 2). Dal confronto delle tre indagini emerge che la rilevanza attribuita alla riduzione del costo del lavoro è andata diminuendo nel tempo. Se ne deduce che le imprese innovative italiane dei settori tradizionali hanno affrontato la crescente pressione competitiva dei
paesi a basso costo del lavoro puntando ad un innalzamento della qualità dei propri prodotti.
L’innovazione risulta invece avere un ruolo trascurabile dal punto di vista dell’accesso a nuovi mercati (o
nell’aumento della quota di mercato) per le imprese che appartengono ai settori a bassa intensità di ricerca.
Tab. 4. - Effetti dell’introduzione di innovazioni nelle imprese, triennio 1998-2000
(% di imprese innovatrici che ha dichiarato l’effetto «molto importante»)
Attività manifatturiere
Effetto
Aumento numero di prodotti
Accesso a nuovi mercati o aumento
quota di mercato
Miglioramento qualità prodotti/servizi
Maggiore flessibilità produttiva
Maggiore capacità produttiva
Riduzione costo lavoro (a)
Riduzione costi materiali/energia (a)
Riduzione impatto ambientale o rischio
di incidenti sul lavoro
Adeguamento a normative e standard
Alta
intensità
di R&S
Medio-alta
intensità
di R&S
Medio-bassa
intensità
di R&S
Bassa
intensità
di R&S
25,3
48,9
27,2
24,0
21,2
22,0
50,4
22,2
35,6
29,4
13,8
34,2
54,3
21,0
28,6
40,0
27,6
30,2
71,8
25,8
46,1
42,7
18,3
19,3
43,5
27,2
38,2
29,8
13,5
17,7
43,7
15,6
28,2
19,2
9,0
27,1
27,3
38,7
31,1
36,1
40,0
27,6
25,9
19,2
20,3
(a) Per unità di prodotto.
Fonte: Elaborazioni su dati Istat.
47
IL QUADRO GENERALE
da parte del 2002, seguita da una fase di discesa che nell’arco del 2003 è andata gradualmente
intensificandosi. Fatta eccezione per la seconda metà del 2002, influenzata dagli incentivi, dal
terzo trimestre del 2000 la quota di investimenti sul Pil manifesta una progressiva tendenza alla diminuzione. Ulteriori indicazioni — se pur indirette — del ridimensionamento dell’attività
di investimento possono essere colte dall’andamento dell’indice Ucimu degli ordini di macchine utensili: in calo fin dal 2001, nel corso del 2003 l’indice ha registrato una flessione dell’11,9%
a prezzi costanti.
1.3.4.3. Dopo il saldo positivo registrato nel 2002 (+0,5% per le unità di lavoro standard misurate dalla contabilità nazionale), nei settori dell’industria in senso stretto nel 2003 l’occupazione è tornata a scendere (–0,3%), confermando nuovamente quanto più volte osservato nelle precedenti edizioni del Rapporto40 circa la tendenza — sempre più evidente a partire dalla seconda
metà degli anni Novanta — secondo cui l’input di lavoro industriale mostra un andamento altalenante e sostanzialmente erratico a frequenza poco più che
Fig. 1.23 - Variazione % dell’occupazione (a) e numero di ore di
annuale. Questo fenomeno preCassa integrazione ordinaria (b) nell’industria in senso stretto
senta un’evidente simmetria
4
300
con la tendenza del ciclo a frantumarsi in fasi di espansione/re2
250
cessione sempre più brevi, oltre
che di intensità declinante (in0
200
fra, par. 1.3.1), che contribuiscono a rendere sempre più incerto
-2
150
l’orizzonte temporale lungo il
quale possono essere calibrate le
-4
100
assunzioni di manodopera (fig.
1.23). La leggera riduzione del50
-6
l’input di lavoro è il risultato di
Var. % dell'occupazione
Ore di Cig (scala di destra)
una flessione dello 0,4% fra i la-8
0
80 81 82 83 84 85 86 87 88 89 90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 00 01 02 03
voratori dipendenti e di un calo
dello 0,2% nella componente
(a) Unità di lavoro totali.
autonoma (tab. 1.16).
(b) Milioni di ore autorizzate.
I dati trimestrali evidenziaFonte: Elaborazioni su dati Istat (Contabilità nazionale) e Inps.
no come la contrazione dell’occupazione abbia caratterizzato
quasi interamente i primi tre trimestri dell’anno (fig. 1.24), con un calo congiunturale complessivo dello 0,5%, corrispondente a circa 24.578 unità di lavoro in meno rispetto alla fine del 2002.
Tab. 1.16 - Tassi medi annui di crescita dell’occupazione
(Unità di lavoro)
Attività economiche
1991-1994
1995-1998
1998-2001
2002
2003
Industria in senso stretto
Totale
dipendenti
indipendenti
– 2,5
– 2,6
– 2,0
0,4
0,6
– 0,9
– 0,4
– 0,4
– 0,8
0,5
0,5
0,7
– 0,3
– 0,4
– 0,2
Costruzioni
Totale
dipendenti
indipendenti
– 1,4
– 2,1
– 0,3
– 0,4
– 1,5
1,2
3,2
3,6
2,8
2,6
5,3
– 1,0
2,9
4,0
1,2
Fonte: Elaborazioni su dati Istat (Contabilità nazionale).
40
48
Cfr. su questi aspetti in particolare le edizioni 1998, 2002 e 2003.
IL QUADRO GENERALE
2003
2002
2001
2000
1999
1998
1997
1996
1995
1994
1993
1992
1991
1990
1989
1988
1987
1986
1985
1984
1983
1982
1981
1980
1979
1978
1977
1976
1975
Fig. 1.24 - Tassi di crescita del valore aggiunto e dell’occupaNell’ultimo trimestre del 2003,
zione
nell’industria in senso stretto
al contrario, la dinamica dell’in(Variazioni % congiunturali su dati destagionalizzati)
put di lavoro nell’industria in
senso stretto è tornata ad essere
8
positiva (+0,4%) e tale da recuValore aggiunto (a)
Occupati (b)
6
perare
quasi
interamente
(+22.771 unità di lavoro) le per4
dite occupazionali dei tre trime2
stri precedenti. Coerentemente
con la lieve flessione dell’occu0
pazione (il calo complessivo del-2
lo 0,3% in media d’anno corrisponde ad una perdita di circa
-4
17.500 unità di lavoro), il nume-6
ro di ore autorizzate di Cassa in1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003
tegrazione ordinaria nell’indu(a) Valore aggiunto ai prezzi base; valori correnti.
stria in senso stretto è cresciuto
(b) Unità di lavoro standard.
solamente del 2,9% (2,5 milioni
Fonte: Elaborazioni su dati Istat (Contabilità nazionale).
di ore in più rispetto al 2002, pari a circa 1.000 occupati equivalenti), con una forte decelerazione rispetto a quanto registrato l’anno precedente (+24,4 milioni di
ore pari a circa 14.000 occupati equivalenti). È risultata invece in crescita la componente straordinaria della Cassa integrazione, legata principalmente ai casi di ristrutturazione aziendale, il cui numero di ore autorizzate è aumentato nella media del 2003 del 70,4% (passando dai circa 63 milioni di ore concesse nel 2002 a oltre 107 milioni). Nonostante questa nuova espansione, il numero
di ore di Cig straordinaria resta in ogni caso su livelli molto bassi, sia rispetto al picco registrato
durante i grandi processi di riorganizzazione industriale a cavallo fra la fine degli anni Settanta e
i primi anni Ottanta, sia rispetto all’impennata avvenuta in concomitanza della crisi dei primi anni Novanta (fig. 1.25).
La leggera flessione occupazionale registrata nel complesso dell’industria in senso stretto è
il risultato di andamenti piuttosto differenziati all’interno dei singoli settori che la compongono. La tabella 1.17 mostra in particolare come, nonostante il protrarsi della fase di stagnazione,
circa la metà dei settori che aveva accresciuto la propria base occupazionale nel 2002 ha continuato ad assumere lavoratori anche nel 2003. Ciò è avvenuto soprattutto nel settore delle «altre
industrie manifatturiere», degli apparecchi medicali, ottici e di precisione e in quello dei materiali da costruzione di base, sul quale ha certamente influito positivamente il buon andamento
dell’industria edilizia, in continua espansione dal 1998 (cfr. più sotto). In questo primo gruppo
di settori rientrano anche l’industria dei prodotti farmaceutiFig. 1.25 - Andamento della Cig nell’industria in senso stretto
ci, la lavorazione dei metalli e la
(Milioni di ore autorizzate)
produzione di bevande e tabacco. Circa un quarto dei settori
600
elencati nella tabella 1.17, al
Ore Cig ordinaria
500
Ore Cig straordinaria
contrario, dopo aver registrato
un saldo occupazionale positi400
vo nel 2002 è tornato a ridurre
la propria domanda di lavoro
300
nell’anno successivo. Si tratta in
200
particolare del settore del legno
— il cui input di lavoro, dopo
100
essere aumentato dell’1,9% tra
il 2001 e il 2002 si è ridotto
0
dell’1,7% nella media del 2003
— e di quello della gomma e
Fonte: Elaborazioni su dati Inps.
49
IL QUADRO GENERALE
Tab. 1.17 - Andamenti settoriali della crescita dell’occupazione industriale
Settori
Altre industrie manifatturiere
Apparecchi medicali, precisione, ottici
Materiali da costruzione di base
Prodotti farmaceutici
Lavorazione dei metalli
Carta e cartotecnica
Bevande e tabacco
Macchine elettriche ed elettrotecniche
Prodotti energetici da raffinazione
Macchine e apparecchi meccanici
Alimentari
Editoria
Gomma e materie plastiche
Cuoio, pelli e calzature
Abbigliamento
Legno
Prodotti chimici di base
Altri mezzi di trasporto
Fibre sintetiche e artificiali
Metallurgia
Tessile
Energia elettrica
Autoveicoli
Estrazione
Trasformazione industriale
Industria in senso stretto
Costruzioni
Totale industria
Totale economia
Occupati in migliaia
Tasso di crescita medio annuo
1995
2003
1995-2001
2002
2003
324
103
286
94
581
92
54
346
25
519
427
195
182
233
386
201
116
109
13
147
409
165
183
44
316
123
359
112
630
101
49
354
25
570
443
202
203
196
299
195
111
100
9
150
360
128
157
39
–1,4
2,4
2,6
2,3
0,7
1,5
–2,5
0,4
0,2
1,2
–0,6
0,3
1,6
–1,9
–2,8
–0,5
0,4
–0,7
–4,6
0,9
–0,6
–2,6
–1,1
–0,7
2,7
1,4
5,4
1,9
2,9
–1,4
2,8
–0,4
–
2,4
7,4
1,7
2,2
–4,3
–6,7
1,9
–4,6
–1,8
–8,0
–1,1
–5,3
–5,2
–3,3
–1,2
3,2
2,4
2,1
1,5
1,3
1,3
0,8
0,1
–
–
–0,1
–0,3
–0,7
–1,1
–1,5
–1,7
–1,9
–2,0
–2,2
–2,2
–3,5
–4,0
–5,0
–5,8
5.024
5.233
1.510
6.743
5.063
5.230
1.734
6.963
–
–
1,4
0,3
0,7
0,5
2,6
1,0
–0,2
–0,3
2,9
0,4
22.528
24.240
0,9
1,3
0,4
Nota: I settori appaiono in ordine decrescente in base alla crescita dell’occupazione registrata nell’ultimo anno.
Fonte: Elaborazioni su dati Istat (Contabilità nazionale).
delle materie plastiche (–0,7% rispetto al 2,2% registrato l’anno precedente), ma in misura minore anche delle industrie alimentari e dell’editoria. La maggior parte dei settori restanti (11 settori sui 24 complessivamente elencati) si caratterizza a sua volta per un andamento negativo dell’occupazione sia nel 2002 che nel 2003. In particolare, nell’arco dell’ultimo biennio l’utilizzo del
fattore lavoro è sceso complessivamente di circa il 10% nella produzione di fibre sintetiche e artificiali, del 9% nella produzione e distribuzione di energia elettrica, dell’8,6% nell’industria tessile e dell’8,1% sia nell’abbigliamento che negli autoveicoli. Tra il 2001 e il 2003, altri cali consistenti nella domanda di lavoro si sono registrati nel comparto estrattivo (–7%), nei prodotti chimici di base (–6,5%) e nell’industria del cuoio, delle pelli e delle calzature (–5,3%). Restano fuori dai tre gruppi di settori già elencati solo due industrie (l’industria della carta e quella relativa
alle macchine elettriche ed elettrotecniche) che sono tornate a espandere la propria base occupazionale dopo un 2002 in contrazione. Ciò è particolarmente evidente per il settore cartario e
cartotecnico che, dopo aver registrato una flessione nel 2002 dell’1,4%, è tornato nel 2003 ai livelli occupazionali del 2001.
Per il quinto anno consecutivo l’occupazione ha continuato a crescere a ritmi sostenuti nel
settore delle costruzioni: tra il 2002 e il 2003 l’input di lavoro impiegato nell’industria edile è infatti cresciuto del 2,9% — pari a circa 48.000 unità di lavoro aggiuntive —, riportandosi sui livel-
50
IL QUADRO GENERALE
41
2002
2003
1999
2000
2001
1997
1998
1995
1996
1992
1993
1994
1990
1991
1989
1987
1988
1985
1986
1982
1983
1984
1980
1981
Fig. 1.26 - Andamento dell’occupazione nell’industria
li dei primi anni Ottanta, imme(1980=100)
diatamente precedenti la forte
caduta occupazionale del de105
cennio successivo (fig. 1.26). A
differenza del 2002, l’incremento ha riguardato non solo i lavo100
ratori dipendenti, ma anche la
componente autonoma (cfr. an95
cora tab. 1.16). Sulla ripresa dell’industria delle costruzioni nel90
l’ultimo quinquennio hanno sicuramente influito gli incentivi
alle attività di ristrutturazione
85
edilizia erogati ininterrottaIndustria in senso stretto
Costruzioni
mente, pur con alcune modifi41
80
che nel corso del tempo , dal
1998, anno a partire dal quale
l’occupazione del settore è cresciuta ad un tasso medio annuo
Fonte: Elaborazioni su dati Istat (Contabilità nazionale).
del 3%.
Sulla base dei dati della rilevazione trimestrale sulle forze di
lavoro, la figura 1.27 evidenzia in
Fig. 1.27 - Andamento dell’occupazione nel settore edile per
particolare come tra il 1998 e il
ripartizione geografica
2003 la crescita degli occupati
(1994=100)
edili sia avvenuta soprattutto
nelle regioni del Nord Est
125
(+22,8% pari a circa 69.000 per120
Nord-est
sone in più) e del Centro
Nord-ovest
Centro
Sud e isole
(+20,7%, circa 57.000 occupati
115
Italia
aggiuntivi). Nelle regioni meri110
dionali e nelle isole, invece, l’oc105
cupazione ha cominciato a crescere solo a partire dal 1999, con
100
incrementi sensibili fino a tutto
95
il 2001 (circa 70.000 occupati in
90
più, corrispondenti ad un tasso
medio annuo di crescita del
85
6,1%), per poi rallentare note1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003
volmente nei due anni successivi (circa 5.000 posti di lavoro agFonte: Elaborazioni su dati Istat (Forze di lavoro).
giuntivi tra il 2001 e il 2003, pari
a un tasso di crescita medio annuo dello 0,4%).
La tabella 1.18 mostra inoltre, con riferimento all’occupazione edile sull’intero territorio nazionale, che l’espansione dell’ultimo quinquennio ha riguardato quasi esclusivamente gli uomini, appartenenti alle classi centrali di età, con contratto di lavoro subordinato a carattere permanente. L’occupazione dipendente a tempo determinato è infatti aumentata complessivamente
solo di 8.000 unità (+6,1%) rispetto ai quasi 200.000 lavoratori in più con contratto a tempo indeterminato. L’incidenza dei rapporti di lavoro permanenti sul totale degli occupati (inclusi cioè
anche quelli autonomi) è infatti cresciuta di oltre 3 punti percentuali (dal 52,3% del 1998 al
55,5% del 2003), con i maggiori incrementi concentrati a partire dal 2000 e soprattutto dall’anno successivo, in concomitanza con il progressivo consolidamento dell’attività economica e l’enInfra, par. 1.3.1.2.
51
IL QUADRO GENERALE
Tab. 1.18 - Occupati nel settore edile per sesso, età, posizione professionale e tipologia di contratto
1998
2003
(Migliaia di occupati)
Totale
- Maschi
- Femmine
1998-2003
variazione assoluta
var. %
1.544
1.452
92
1.809
1.694
115
265
242
23
17,2
16,7
24,8
181
466
708
189
181
542
875
211
–
76
167
22
–0,2
16,3
23,6
11,8
Dipendenti
- Tempo indeterminato
- Tempo determinato
931
807
124
1.135
1.004
131
205
197
8
22,0
24,5
6,1
Indipendenti
613
673
60
9,8
-
15-24 anni
25-34 anni
35-54 anni
55 e oltre
Fonte: Elaborazioni su dati Istat (Contabilità nazionale).
trata in funzione degli incentivi all’assunzione di lavoratori con contratto a tempo indeterminato (il c.d. bonus occupazione42) anche per il settore edile.
1.3.4.4. Con riferimento alle sole posizioni lavorative alle dipendenze è possibile confrontare,
per l’industria in senso stretto e per le costruzioni, la dinamica occupazionale effettivamente registrata dall’indagine Istat sulle forze di lavoro nella media del 2003 con le previsioni di assunzione
che, alla fine del 2002, le imprese di questi stessi settori avevano manifestato per l’anno a venire. Le
informazioni sui saldi occupazionali attesi da parte delle imprese provengono dall’indagine
Excelsior sulle previsioni occupazionali e i fabbisogni professionali condotta annualmente dalle
Camere di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura con il coordinamento di Unioncamere
in accordo con il Ministero del Lavoro e l’Unione europea43. Nella tabella 1.19 la variazione percentuale annuale dei saldi occupazionali attesi per il 2003 rispetto allo stock di dipendenti dichiarato dalle imprese alla fine del 2002 viene confrontata con il tasso di crescita degli occupati dipendenti registrato nella media del 2003 dall’indagine trimestrale Istat delle forze di lavoro.
42
L’articolo 7 della L. Finanziaria 2001, approvata alla fine del 2000, ha introdotto, per i datori di lavoro che nel periodo compreso tra il 1°ottobre 2000 e il 31 dicembre 2003 incrementassero il numero dei lavoratori dipendenti con contratto di lavoro a tempo indeterminato, un credito di imposta di circa 413 euro mensili (620 nel caso di unità produttive
ubicate nel Mezzogiorno) per ogni lavoratore che andasse ad incrementare la base occupazionale a carattere permanente rispetto alla media registrata nel periodo ottobre 1999-settembre 2000. Per dare diritto al credito d’imposta, il nuovo assunto doveva avere più di 24 anni d’età e non avere svolto un lavoro con contratto a tempo indeterminato nei 24
mesi antecedenti l’assunzione.
43
Dopo alcune sperimentazioni a livello locale iniziate nel 1992, il Progetto Excelsior ha dato vita ad una serie di
indagini a cadenza annuale a partire dal 1997, volte a rilevare l’andamento della domanda di lavoro con particolare attenzione ai fabbisogni espressi dalle imprese relativamente alle caratteristiche demografiche, formative e professionali
dei lavoratori richiesti. L’obiettivo dichiarato dell’indagine è da un lato «ridurre lo squilibrio informativo sul fronte della
domanda di lavoro e delle professioni», dall’altro diventare uno «strumento utile nella regolazione delle politiche del lavoro e della formazione». Dopo il primo triennio di indagini, la rilevazione ha subito alcuni importanti cambiamenti. In
particolare, a partire dal 2000 il periodo di indagine è stato spostato dalla primavera (aprile-maggio) alla fine dell’anno
(novembre-dicembre), per migliorare le capacità previsive delle imprese circa i flussi occupazionali attesi per l’anno successivo. Allo stesso tempo si è deciso di ridurre l’orizzonte di previsione dagli originari due anni ad uno solo, per le difficoltà manifestate dalle imprese — soprattutto quelle di minore dimensione — nel formulare aspettative oltre i 12 mesi. Il campo di osservazione dell’indagine è costituito da tutte le imprese private iscritte al Registro delle imprese delle
Camere di commercio che al 31 dicembre di ciascun anno risultano avere almeno un lavoratore dipendente. Dal campione restano in ogni caso escluse le unità operative della Pubblica amministrazione, le aziende pubbliche del settore
sanitario, le unità scolastiche ed universitarie pubbliche, le organizzazioni associative. Le unità di rilevazione sono l’impresa, l’unità locale e l’unità provinciale.
52
IL QUADRO GENERALE
Tab. 1.19 - Saldi occupazionali attesi ed effettivi dei lavoratori diPer quanto riguarda innanpendenti nell’industria per area geografica: 2003
zitutto il settore edile, le previsio(Tassi di crescita % annuale)
ni occupazionali fatte dalle imprese alla fine del 2002 risultano
Industria in
Costruzioni
sostanzialmente confermate con
senso stretto
riferimento alla media nazionale
(+4,8 e +4,7 per cento le variaSaldi
Saldi
Saldi
Saldi
zioni percentuali rispettivamente
attesi
effettivi
attesi
effettivi
attese ed effettive). Andando ad
Nord-ovest
0,7
–0,7
2,8
10,8
analizzare il dettaglio territoriale,
Nord-est
2,0
2,3
5,3
7,4
tuttavia, la situazione cambia
Centro
1,4
–0,7
5,1
6,1
completamente, con saldi effettiSud e isole
2,6
1,3
5,9
–0,5
vi superiori in tutte le ripartizioni
geografiche (lo scarto maggiore
Italia
1,5
0,4
4,8
4,7
riguarda il Nord Ovest dove gli
Fonte: Elaborazioni su dati Istat (Forze di lavoro) e Unioncamere, Ministero del
occupati dipendenti sono creLavoro (Sistema informativo Excelsior, 2003).
sciuti del 10,8% — pari a circa
27.000 persone in più — rispetto
ad una previsione del 2,8%) ad
Fig. 1.28 - Saldi occupazionali attesi nell’industria per area
eccezione del Mezzogiorno dogeografica e dimensione d’impresa: previsioni 2003
ve, a fronte di una previsione di
(Tasso di crescita % atteso rispetto al 2002)
crescita del 5,9% i lavoratori dia - Industria in senso stretto
pendenti sono diminuiti dello
0,5%.
10
10-49 Dipendenti
1-9 Dipendenti
Nell’industria in senso stret50-249 Dipendenti
>= 250 Dipendenti
8
Totale
to le previsioni formulate dalle
6
imprese alla fine del 2002 si sono
rivelate in generale piuttosto ot4
timistiche rispetto a quanto poi
2
effettivamente registrato. Fatta
0
eccezione per il Nord Est, nel
-2
quale la crescita dell’occupazio-4
ne realizzatasi nel 2003 si è riveItalia
Nord Ovest
Nord Est
Centro
Sud e isole
lata superiore, seppur di poco, alle previsioni (con una variazione
annuale rispettivamente del 2,3 e
b - Costruzioni
del 2 per cento), in tutte le altre
11
regioni la dinamica effettiva10-49 Dipendenti
1-9 Dipendenti
50-249 Dipendenti
>= 250 Dipendenti
mente registrata è stata o di mol9
Totale
to inferiore (nel Mezzogiorno) o
7
addirittura negativa (Nord Est e
5
Centro). Come traspare dall’esa3
me della figura 1.28, le imprese
che negli ultimi mesi del 2002
1
avevano previsto gli incrementi
-1
occupazionali più forti sono so-3
prattutto quelle di dimensione
-5
più piccola (al di sotto della soNord Ovest
Nord Est
Centro
Sud e isole
Italia
glia dei 10 dipendenti), e questo
Fonte: Elaborazioni su dati Unioncamere - Ministero del Lavoro (Sistema informatisia nell’industria in senso stretto
vo Excelsior, 2003).
(fig. 1.28a) che nelle costruzioni
(fig. 1.28b). Al contrario, in entrambi i settori le imprese di dimensione più ampia (al di sopra dei 249 dipendenti) si sono caratterizzate per saldi occupazionali attesi negativi o sostanzialmente invariati rispetto al 2002.
53
IL QUADRO GENERALE
1.3.4.5. Il maggiore dinamismo occupazionale delle imprese di piccola e media dimensione
trova conferma nei dati Inps sull’evoluzione delle posizioni lavorative dipendenti, qui di seguito
analizzati a livello di settore e classe dimensionale. Con riferimento al periodo 1998-2003, la tabella 1.20 mostra in particolare come nel settore delle costruzioni la forte crescita degli occupati
avvenuta nell’ultimo quinquennio sia avvenuta esclusivamente nelle imprese con meno di 500 dipendenti, con gli incrementi più forti concentrati al di sotto dei 100. Nel complesso dell’industria
Tab. 1.20 - Evoluzione del numero di occupati per settore e dimensione di impresa
(Indici 1998-2003; 1998=100)
Settori
Dimensioni d’impresa
1-19
20-99
100-499
oltre 500
Totale
Industria estrattiva
Alimentari e bevande
Tessile e maglieria
Abbigliamento
Pelli e calzature
Legno, mobilio e arredamento
Carta, cartotecnica, stampa ed editoria
Prodotti energetici da raffinazione
Chimica
Lavorazione della gomma e della plastica
Vetro e ceramica
Materiali da costruzione di base
Metallurgia
Lavorazione dei metalli
Apparecchi meccanici ed elettrici
Meccanica strumentale
Elettronica
Elettrotecnica strumentale
Strumenti di precisione
Autoveicoli
Altri mezzi di trasporto
Energia elettrica
Industria delle costruzioni
Industria in senso stretto
93,4
112,9
82,6
92,6
83,8
101,7
94,8
111,0
95,8
95,2
99,8
98,8
91,4
105,7
116,5
105,9
114,0
99,6
99,8
101,7
102,4
128,1
128,0
99,4
98,0
103,2
79,5
75,4
83,1
99,1
94,5
102,0
103,5
97,2
87,9
102,6
89,3
102,8
107,6
101,9
113,8
97,1
109,6
97,9
85,2
146,1
120,8
95,8
90,7
97,7
76,7
81,3
84,1
121,1
94,3
90,0
97,8
105,1
90,6
111,3
100,4
98,9
106,6
96,5
131,8
106,1
99,3
127,4
95,6
146,7
114,5
100,1
152,7
91,9
108,4
85,3
86,8
89,2
100,3
77,9
88,2
102,9
105,5
114,1
77,0
107,8
89,9
86,3
106,4
90,5
96,9
71,5
84,3
71,9
72,7
88,2
108,7
103,5
82,1
84,1
83,7
103,4
95,3
86,3
95,1
99,4
94,8
103,1
90,1
103,3
106,0
98,5
115,3
98,4
101,0
83,8
88,2
85,0
122,6
96,1
Totale
108,0
98,9
100,9
87,6
100,2
Fonte: Elaborazioni su dati Inps.
in senso stretto, l’occupazione appare in flessione (area in grigio nella tabella) in tutte le classi dimensionali ad eccezione di quella compresa tra i 100 e i 499 dipendenti, dove è rimasta sostanzialmente invariata.
Il dato medio sintetizza tuttavia andamenti anche molto differenziati all’interno dei singoli
settori industriali. In alcuni (industrie dell’abbigliamento, delle pelli e delle calzature) l’occupazione dipendente registra una forte flessione indipendentemente dalla dimensione, mentre in altri, a
fronte di un saldo negativo, l’input di lavoro dipendente risulta in crescita in alcuni intervalli dimensionali. Nelle industrie estrattiva, tessile, della carta, del vetro e della ceramica l’occupazione
risulta in crescita esclusivamente nelle imprese al di sopra dei 500 dipendenti, mentre nelle pro-
54
IL QUADRO GENERALE
Fig. 1.29 - Occupazione dipendente nell’industria in senso
duzioni alimentari, nei prodotti
stretto per categoria professionale e dimensione di impresa
energetici da raffinazione, nella
(Indici 1998-2003; 1998=100)
chimica, nella meccanica strumentale e negli strumenti di
140
precisione cresce solamente nelOperai
120
Impiegati
le imprese con meno di 100. Un
solo settore, quello dell’elettro100
nica, ha invece accresciuto la
80
propria base occupazionale in
tutte le classi dimensionali, con
60
incrementi compresi fra il 6 e il
40
32%.
20
I dati Inps consentono di
esaminare l’evoluzione della
0
1-19
20-99
100-499
oltre 500
Totale
struttura dimensionale dell’occupazione dipendente analizFonte: Elaborazioni su dati Inps.
zando separatamente la componente operaia e quella impiegatizia. Sempre con riferimento al
periodo 1998-2003, la figura 1.29 mostra come, a fronte di un’occupazione complessiva sostanzialmente invariata nella media dell’industria in senso stretto, è proseguito il processo di terziarizzazione implicita, con una redistribuzione del personale che vede ridursi il peso dei colletti blu
a vantaggio dei colletti bianchi in tutti gli intervalli dimensionali presi in considerazione.
1.3.5. I fabbisogni occupazionali delle imprese industriali
1.3.5.1. Accanto alle informazioni sui movimenti attesi di lavoratori (in entrata e in uscita dalle imprese), i dati di fonte Excelsior più sopra analizzati consentono anche di esplorare in dettaglio i fabbisogni delle aziende in termini di caratteristiche demografiche (sesso, età), tipologia di
contratto (a tempo determinato e indeterminato, a tempo pieno o part-time), professioni maggiormente richieste, titolo di studio posseduto ed esperienza lavorativa e/o formativa già maturata.
Anche in questo caso i dati si riferiscono alle assunzioni previste dalle imprese alla fine del 2002.
Partendo dal primo aspetto (tab. 1.21), è possibile in primo luogo rilevare una netta preferenza per le figure maschili in pressoché tutti i settori dell’industria in senso stretto (e in misura ancora più forte nelle costruzioni, dove — come si è già avuto modo di osservare — la manodopera
femminile è quasi marginale). L’eccezione è rappresentata dalle produzioni tessili, dell’abbigliamento e delle calzature. In altri casi il sesso non è considerato rilevante: ciò accade ad esempio per
il 55,7% delle assunzioni programmate nella produzione di energia, gas e acqua, per il 41,7% nelle industrie petrolifere, chimiche e delle materie plastiche, per il 40% circa nell’industria delle macchine elettriche ed elettroniche e nel comparto degli accessori personali, per la casa e il tempo libero (da qui in avanti «altre industrie manifatturiere»).
Relativamente all’età, le assunzioni programmate per il 2003 appaiono concentrate sui lavoratori fino ai 35 anni, e in particolare nella fascia che comprende quelli più adulti (sopra i 25
anni). La richiesta di manodopera al di sotto dei 25 anni varia da un minimo del 16,5% nel settore dell’estrazione dei minerali ad un massimo del 36,1% nelle industrie del legno e del mobile: nella media dei settori dell’industria in senso stretto tale incidenza è pari al 31,1% rispetto al
22,8% delle costruzioni, dove — come già osservato — la crescita dell’occupazione negli ultimi
cinque anni ha riguardato in modo pressoché esclusivo i lavoratori nelle classi centrali di età. Le
assunzioni previste di lavoratori fra i 26 e i 35 anni rappresentano, rispettivamente per l’industria in senso stretto e per le costruzioni, il 37 e il 33,8 per cento della domanda di lavoro attesa, con un minimo del 28,3% nelle altre industrie manifatturiere e un massimo del 49% e nell’estrazione di minerali. In analogia con quanto osservato per il sesso, per una buona quota delle assunzioni previste non viene richiesto necessariamente il possesso di specifici requisiti di età:
55
IL QUADRO GENERALE
Tab. 1.21 - Assunzioni previste nel 2003 nei settori industriali per sesso ed età
(In % delle assunzioni totali previste)
Settore
Sesso
Femmine
Estrazione di minerali
Industrie alimentari
Industrie tessili, dell'abbigliamento
e delle calzature
Industrie del legno e del mobile
Industrie della carta, della stampa
ed editoria
Industrie petrolifere, chimiche e
delle materie plastiche
Industrie dei minerali non metalliferi
Industrie dei metalli
Industrie meccaniche e dei mezzi
di trasporto
Industrie delle macchine elettriche
ed elettroniche
Industria beni per la casa, tempo
libero e altre manifatture
Produzione di energia, gas e acqua
Industria in senso stretto
Costruzioni
Maschi
Età
Non
Fino a 25
rilevante
26-35
Oltre 35
Non
rilevante
Totale
assunzioni
previste
(val. ass.)
1,9
23,2
79,7
40,2
18,4
36,6
16,5
32,9
49,0
34,9
7,3
3,6
27,2
28,7
1.702
17.701
46,8
7,4
23,8
73,8
29,4
18,8
30,0
36,1
29,8
30,4
3,9
3,3
36,3
30,2
27.388
16.236
13,2
57,0
29,8
35,3
40,9
1,8
22,0
8.250
8,0
7,0
5,0
50,2
70,3
81,7
41,7
22,7
13,3
25,2
29,5
32,9
44,8
36,7
34,4
3,7
3,7
2,9
26,4
30,2
29,8
16.477
9.585
37.849
4,2
65,0
30,8
28,4
43,2
2,6
25,8
32.476
11,7
48,4
39,9
32,7
41,5
2,6
23,2
17.216
26,8
3,2
33,2
41,1
40,0
55,7
32,4
31,2
28,3
42,8
1,4
1,4
37,8
24,6
3.463
2.081
14,5
57,3
28,3
31,1
37,0
3,1
28,8
190.424
3,4
90,6
6,0
22,8
33,8
5,6
37,8
90.534
Fonte: Elaborazioni su dati Unioncamere, Ministero del Lavoro (Sistema informativo Excelsior, 2003).
nell’industria in senso stretto ciò riguarda il 28,8% delle assunzioni previste, nelle costruzioni il
37,8%.
Passando ad analizzare la distribuzione delle assunzioni attese per tipologia di contratto, la tabella 1.22 consente di distinguere da un lato i rapporti di lavoro desiderati a seconda della durata
del contratto (contrapponendo al contratto di lavoro tradizionale a carattere permanente quelli a
tempo determinato, distinti a loro volta in temporaneo tout court, formazione e lavoro, apprendistato, altri), dall’altro quelli basati su un diverso orario di lavoro (rapporti di lavoro a tempo pieno
o part-time). I dati mostrano innanzitutto una netta prevalenza delle assunzioni programmate con
contratti tipici a tempo indeterminato sia nell’industria in senso stretto (53,1%) che nelle costruzioni (64,2%), con un massimo del 67,3% nel settore dell’estrazione dei minerali ed un minimo
del 48,2% nell’industria alimentare. Come già osservato nell’edizione precedente del Rapporto44,
nonostante il ricorso alle forme di lavoro atipico sia cresciuto negli anni più recenti, l’industria resta ancora saldamente ancorata ai rapporti di lavoro tradizionali a carattere permanente. In questo contesto, la minore incidenza dell’occupazione permanente nell’industria in senso stretto rispetto alle costruzioni che emerge dalla tabella 1.22 è motivata non solo da una quota leggermente
superiore dei rapporti di lavoro a tempo determinato tout court ma soprattutto da un utilizzo più
che doppio dei contratti di formazione e lavoro (13,8% rispetto al 5,4% delle costruzioni), che rappresentano spesso, per i lavoratori più giovani, un primo passo preliminare all’occupazione stabile a tempo indeterminato. Relativamente all’orario di lavoro, l’ultima parte della tabella mostra
44
56
Cfr. Centro Studi Confindustria, Tendenze dell’industria italiana, giugno 2003, pp. ??????.
IL QUADRO GENERALE
Tab. 1.22 - Assunzioni previste nel 2003 nei settori industriali per tipologia di contratto
(In % delle assunzioni totali previste)
Settore
Tipologia di contratto
Durata contratto e speciali categorie di lavoratori
CFL
Apprendistato
Orario di lavoro:
Altro
Parttime
Totale
assunzioni
previste
(val. ass.)
Permanente
Temporaneo
Fulltime
67,3
48,2
12,2
26,3
18,0
10,2
2,2
14,4
0,3
1,0
2,4
7,6
97,6
92,4
1.702
17.701
53,3
53,0
23,7
16,4
9,0
11,8
12,6
17,4
1,4
1,5
3,0
1,4
97,0
98,6
27.388
16.236
55,6
17,3
15,5
10,1
1,4
3,8
96,2
8.250
51,9
60,9
53,0
23,3
19,5
21,7
18,8
9,6
14,2
4,1
9,6
10,3
1,8
0,4
0,7
2,6
2,2
1,4
97,4
97,8
98,6
16.477
9.585
37.849
52,3
25,5
16,0
5,0
1,2
1,1
98,9
32.476
Estrazione di minerali
Industrie alimentari
Industrie tessili, dell'abbigliamento
e delle calzature
Industrie del legno e del mobile
Industrie della carta, della stampa
ed editoria
Industrie petrolifere, chimiche e
delle materie plastiche
Industrie dei minerali non metalliferi
Industrie dei metalli
Industrie meccaniche e dei mezzi
di trasporto
Industrie delle macchine elettriche
ed elettroniche
Industria beni per la casa, tempo
libero e altre manifatture
Produzione di energia, gas e acqua
53,7
19,5
16,7
8,9
1,1
1,9
98,1
17.216
53,2
52,4
18,5
18,7
14,8
27,2
13,2
1,3
0,4
0,3
3,6
1,0
96,4
99,0
3.463
2.081
Industria in senso stretto
53,1
22,1
13,8
9,9
1,1
2,5
97,5
190.424
Costruzioni
64,2
19,2
5,4
10,6
0,7
1,8
98,2
90.534
Totale industria
56,7
21,1
11,1
10,1
1,0
2,3
97,7
280.958
Fonte: Elaborazioni su dati Unioncamere, Ministero del Lavoro (Sistema informativo Excelsior, 2003).
chiaramente come il part-time sia un istituto ancora poco utilizzato nei settori dell’industria, dove
rappresenta mediamente solo il 2,3% delle assunzioni globalmente previste. Anche in questo caso è l’industria alimentare a mostrare un utilizzo relativamente maggiore delle forme di lavoro più
flessibili, con una incidenza del part-time del 7,6%.
1.3.5.2. Le tabelle 1.23 e 1.24 consentono invece di affrontare il problema del fabbisogno occupazionale delle imprese industriali dal punto di vista delle figure professionali maggiormente richieste. La tabella 1.23, relativa alla scomposizione percentuale della domanda di lavoro programmata per il 2003 per figura professionale, mostra in particolare che nell’industria in senso
stretto circa il 70% delle assunzioni complessivamente previste riguarda operai specializzati (39%)
e personale tecnico addetto alla conduzione di impianti e macchinari (30,9%). Entrambe queste figure risultano inoltre in moderata crescita rispetto a due anni prima, ossia a una fase congiunturale sicuramente più favorevole rispetto a quella di fine 2002. Solo il 4,3% delle assunzioni programmate riguarda figure dirigenziali o comunque ad elevata specializzazione; tale quota risulta
inoltre in diminuzione rispetto al 2001, confermando ancora una volta le minori aspettative di crescita rispetto a due anni prima. I dati mostrano infine un aumento della domanda di professioni
relative alla vendita e ai servizi alle famiglie (la cui quota, tuttavia, non supera ancora il 2% delle
assunzioni globalmente previste) e contestualmente una flessione della richiesta di personale non
qualificato.
Nell’industria delle costruzioni due terzi dei posti di lavoro programmati riguardano figure di
operai specializzati, mentre una percentuale ancora molto rilevante (17,3%) è rivolta a lavoratori
non qualificati. Ulteriori informazioni possono essere ricavate in merito al modo in cui la doman-
57
IL QUADRO GENERALE
Tab. 1.23 - Distribuzione % delle figure professionali richieste nell’industria in senso stretto e nelle costruzioni
Figure professionali
Industria in
senso stretto
2001
2003
2001
2003
0,8
3,7
13,3
6,1
1,0
37,3
0,4
3,9
13,0
5,3
2,0
39,0
0,2
1,7
6,0
3,1
60,2
0,1
0,8
6,9
3,1
0,1
66,8
30,2
7,5
30,9
5,5
5,6
23,1
4,9
17,3
251.677
190.702
94.859
90.659
Dirigenti e direttori
Professioni intellettuali scientifiche e di elevata specializz.
Professioni tecniche
Professioni esecutive relative all'ammin. e alla gestione
Professioni relative alle vendite ed ai servizi per le famiglie
Operai specializzati (a)
Conduttori impianti, operatori macchinari e operai
mont. industr.
Personale non qualificato
Totale (numero assunzioni)
Costruzioni
(a) Inclusi i lavoratori specializzati nell’agricoltura e nella pesca.
Fonte: Elaborazioni su dati Unioncamere, Ministero del Lavoro (Sistema informativo Excelsior, vari anni).
Tab. 1.24 - Previsioni della distribuzione % delle figure professionali domandate nell’industria nel
2003 per settore di attività economica
(Distribuzione % in colonna, salvo altrimenti indicato)
Dirigenti
e direttori
Estrazione di minerali
Industrie alimentari
Industrie tessili, dell'abbigliamento e delle calzature
Industrie del legno e del mobile
Industrie della carta, della
stampa ed editoria
Industrie petrolifere, chimiche
e delle materie plastiche
Industrie dei minerali non
metalliferi
Industrie dei metalli
Industrie meccaniche e dei
mezzi di trasporto
Industrie delle macchine
elettriche ed elettroniche
Industria beni per la casa,
tempo libero e altre manifatture
Produzione di energia, gas
e acqua
Costruzioni
Totale industria
(numero assunzioni)
ProfesProfessioni
sioni
inteltecniche
lettuali
scientifiche e
di elevata
specializz.
ProfesProfessioni
sioni
esecutive relative
relative alle venall’amm.
dite ed
e alla
ai servizi
gestione
per le
famiglie
Totale
0,4
7,2
1,0
2,9
1,1
5,5
0,6
8,4
0,5
74,3
0,2
4,0
1,5
7,5
0,1
6,6
0,6
6,3
6,0
2,5
3,5
3,6
6,6
3,2
10,8
5,3
8,7
2,0
8,4
8,1
17,5
4,4
3,3
1,8
9,7
5,8
5,6
5,0
3,6
6,1
0,1
1,4
5,7
1,6
2,9
27,0
25,9
9,5
10,6
1,1
0,9
12,0
4,0
5,9
2,3
7,6
1,9
4,3
2,9
11,3
3,1
12,6
0,4
1,5
3,2
14,0
4,7
17,4
3,0
8,8
3,4
13,5
16,5
16,8
20,3
10,1
1,7
9,0
15,1
6,1
11,6
12,4
23,8
11,6
7,7
5,9
4,4
5,8
3,0
6,1
1,9
0,4
1,8
1,1
1,3
1,1
1,3
1,2
1,2
2,3
8,4
1,8
9,1
2,3
20,2
2,0
21,8
2,5
0,5
44,8
0,2
7,0
0,6
59,8
0,7
32,2
751
8.157
30.981
12.811
3.976
(a) Inclusi i lavoratori specializzati nell’agricoltura e nella pesca.
Fonte: Unioncamere, Ministero del Lavoro, Sistema informativo Excelsior, 2003.
58
Operai CondutPersospeciatori
nale
lizzati (a) impianti, non quaoperalificato
tori
macchinari e
operai
mont.
industr.
135.007 63.452 26.226 281.361
IL QUADRO GENERALE
da delle diverse figure professionali si distribuisce all’interno dei singoli settori industriali. Tale informazione si evince dalla tabella 1.24, che mostra come alla fine del 2002 la domanda prevista di
figure dirigenziali ed intellettuali ad elevata specializzazione appaia concentrata nelle industrie petrolifere, chimiche e delle materie plastiche, nella produzione di macchine elettriche ed elettroniche e nel settore meccanico e dei mezzi di trasporto; il 40% circa delle professioni di tipo tecnico
risulta invece equamente distribuito fra le industrie meccaniche e il comparto edile, mentre un altro 22% riunisce l’industria dei metalli e quella delle macchine elettriche ed elettroniche.
Particolarmente concentrata appare la domanda di manodopera relativa alle mansioni di vendita
e servizi alle famiglie: il 74,3% delle assunzioni previste proviene esclusivamente dalle industrie
alimentari. La necessità di operai specializzati appare particolarmente forte nelle costruzioni
(44,8%), seguite a distanza dalla lavorazione dei metalli (14%) e dalle industrie meccaniche e dei
mezzi di trasporto (9%). Il settore delle costruzioni emerge inoltre come principale acquirente potenziale di manodopera non qualificata (59,8%), mentre nell’industria in senso stretto i settori relativamente più coinvolti, pur con percentuali notevolmente inferiori a quelle edili, sono l’industria
dei metalli (8,8%) e quella alimentare (6,6%).
La domanda di manodopera da parte delle imprese può derivare sia dalla mera necessità di rimpiazzare una figura professionale in uscita, sia dall’esigenza di creare una nuova posizione per rispondere a mutate esigenze organizzative. Seguendo la metodologia elaborata dallo stesso sistema
informativo Excelsior, la tabella 1.25 illustra l’andamento nel tempo di un indice (calcolato come rapporto fra le assunzioni previste non in sostituzione di figure professionali in uscita e quelle meraTab. 1.25 - Indice di rinnovamento professionale nell’industria (a)
1999
2001
2002
2003
Industria in senso stretto
2,6
3,2
2,3
2,1
Area territoriale:
Nord-ovest
Nord-est
Centro
Sud e isole
2,3
2,1
2,9
4,8
2,7
2,8
3,4
5,2
2,0
2,0
2,6
3,8
1,7
1,8
2,2
3,2
Settore
Estrazione di minerali
Industrie alimentari
Industrie tessili, dell'abbigliamento e delle calzature
Industrie del legno e del mobile
Industrie della carta, della stampa ed editoria
Industrie petrolifere, chimiche e delle materie plastiche
Industrie dei minerali non metalliferi
Industrie dei metalli
Industrie meccaniche e dei mezzi di trasporto
Industrie delle macchine elettriche ed elettroniche
Industria beni per la casa, tempo libero e altre manifatture
Produzione di energia, gas e acqua
2,2
2,9
1,9
2,9
3,0
2,4
2,5
2,5
2,5
3,2
3,2
4,6
4,0
3,5
2,9
3,9
3,8
2,7
2,8
3,3
2,9
3,3
4,7
4,7
2,9
3,0
1,9
3,0
2,4
1,9
1,7
2,7
2,3
2,0
2,9
4,4
2,2
2,3
1,9
2,6
2,3
1,9
1,6
2,3
2,0
2,1
1,9
1,2
Dimensione:
1-9
10-49
50-249
250 e oltre
4,5
2,8
2,3
1,5
5,0
4,3
2,2
1,8
3,6
2,6
1,6
1,7
3,2
2,5
1,4
1,3
3,7
4,3
2,8
3,3
2,3
3,1
4,0
5,5
3,4
4,1
4,5
4,9
2,8
2,5
3,2
2,8
2,4
2,9
4,7
3,5
Costruzioni
Area territoriale:
Nord-ovest
Nord-est
Centro
Sud e isole
(a) (Assunzioni previste totali–assunzioni previste per sostituzione)/(assunzioni previste per sostituzione).
Fonte: Elaborazioni su dati Unioncamere, Ministero del Lavoro (Sistema informativo Excelsior, vari anni).
59
IL QUADRO GENERALE
mente sostitutive) che cerca di misurare l’intensità del processo di rinnovamento dei fabbisogni professionali nelle imprese industriali, distinguendo per area territoriale e dimensione d’impresa.
L’indice mostra in generale una tendenza all’aumento delle figure professionali richieste nelle previsioni per il 2001 rispetto a quelle per il 1999 (sia nell’industria in senso stretto che nelle costruzioni), e una contestuale flessione, anch’essa generalizzata, nell’anno successivo, ovvero in
concomitanza con il progressivo rallentamento del ciclo (che può aver portato le imprese a rinviare a tempi migliori l’avvio di nuovi progetti). Nel 2002 l’indice continua a scendere nei settori dell’industria in senso stretto (ad eccezione della produzione di macchine elettriche ed elettroniche,
per la quale tuttavia una drastica flessione era già avvenuta fra il 2001 e il 2002), mentre registra
una consistente ripresa nelle costruzioni. A livello dimensionale — a fronte di un rallentamento
generalizzato — la propensione al rinnovamento delle imprese più piccole rimane nettamente superiore rispetto a quelle di dimensione maggiore. A livello territoriale l’andamento osservato nelle diverse ripartizioni è sostanzialmente analogo a quanto registrato a livello nazionale per i settori dell’industria in senso stretto; in particolare il livello dell’indice relativo alle regioni meridionali rimane ancora elevato rispetto alle altre aree, mentre resta invece molto basso, per il secondo
anno consecutivo, al Nord.
1.3.5.3. I dati Excelsior consentono di andare oltre la semplice analisi delle figure professionali desiderate dalle imprese, e offrono informazioni anche in merito ai titoli di studio che esse ritengono più idonei, ai requisiti di esperienza professionale già maturati prima dell’entrata in azienda, alla necessità di ulteriore formazione (interna o esterna).
A questo proposito la tabella 1.26 mostra innanzitutto che, per poco meno del 50% delle assunzioni previste per il 2003, le imprese hanno dichiarato di volersi rivolgere ai lavoratori con titolo di studio non superiore alla scuola dell’obbligo. Tale percentuale sale fino al 56,3% nelle regioni meridionali, ma supera in ogni caso il 40% in tutte le altre ripartizioni. La prevalenza di assunzioni di personale con livelli d’istruzione di base si riscontra in quasi tutti i settori industriali,
ad esclusione delle industrie meccaniche — in cui tende a prevalere la domanda di lavoratori con
qualifica professionale — e di quelle elettroniche, elettrotecniche e per la produzione e distribuzione di energia elettrica, gas e acqua, nelle quali domina la richiesta di manodopera con diploma
secondario superiore.
Più in particolare, la domanda di lavoratori che hanno completato la sola scuola dell’obbligo
sembra caratterizzare soprattutto le imprese di dimensione piccola e media, mentre nelle grandi
imprese è più alto il fabbisogno espresso di personale con titolo di studio più elevato. La domanda di laureati, pari complessivamente al 6,3% di tutte le assunzioni programmate nel settore, cresce all’aumentare della dimensione d’impresa, rappresentando solamente l’1% del fabbisogno
complessivo nelle imprese al di sotto dei 10 dipendenti, e giungendo fino ad un massimo del 18%
in quelle oltre la soglia dei 249. Nel settore delle costruzioni il fabbisogno previsto di possessori di
un titolo universitario è pari complessivamente all’1,3%, mentre due terzi della domanda complessiva (65,7%) sono concentrati esclusivamente sui lavoratori che hanno terminato la scuola dell’obbligo. L’incidenza della domanda programmata di lavoratori in possesso della sola licenza di
scuola media, oltre ad essere maggioritaria sia nell’industria in senso stretto che nelle costruzioni,
risulta inoltre in aumento rispetto a quattro anni prima (fig. 1.30), così come — pur se in misura
molto minore — il fabbisogno di personale con titolo universitario. È invece diminuita o rimasta
costante la quota di manodopera richiesta con qualifica professionale o diploma secondario superiore.
1.3.5.4. La preferenza per lavoratori con titoli di studio medio-bassi può portare ad interpretazioni fuorvianti circa il reale fabbisogno formativo delle imprese se non si analizzano contestualmente anche le risposte che esse forniscono in merito ai requisiti di esperienza mediamente
richiesti. Guardando le ultime quattro colonne della tabella 1.26 la questione risulta evidente in
particolare per il settore delle costruzioni, in cui se il 66% della domanda di lavoro attesa è fatta di
manodopera di bassa qualifica, almeno il 40% deve tuttavia possedere almeno tre anni di esperienza. Nell’industria in senso stretto il numero di anni di esperienza mediamente richiesti dalle
imprese è più basso rispetto al comparto edile (il 33% circa dei lavoratori attesi deve avere un an-
60
72,2
68,5
40,0
35,7
62,3
45,6
27,1
16,3
45,4
14,6
27.398
16.280
8.255
16.479
9.585
37.865
32.548
17.221
3.468
2.081
68.859
44.334
30.799
46.710
90.659
17.368
18.687
16.009
38.595
Dimensione:
1-9
10-49
50-249
250 e oltre
Costruzioni
Area territoriale:
Nord-ovest
Nord-est
Centro
Sud e isole
61
(a) In grigio sono evidenziati, per ciascuna sezione, i valori massimi di riga.
Fonte: Elaborazioni su dati Unioncamere, Ministero del Lavoro (Sistema informativo Excelsior, 2003).
58,2
61,4
62,0
72,8
65,7
57,9
54,2
42,4
26,7
63,8
64,3
41,3
45,1
48,1
56,3
1.704
17.818
61.406
54.803
32.181
42.312
Area territoriale:
Nord-ovest
Nord-est
Centro
Sud e isole
46,9
28,0
22,7
20,4
16,3
20,6
23,5
22,9
25,4
25,1
30,2
28,3
15,1
18,4
33,5
32,8
31,5
12,8
18,2
23,3
6,7
15,1
24,5
26,7
20,8
22,6
24,1
11,8
14,5
15,7
10,3
12,4
17,6
20,8
25,5
30,3
22,5
37,9
30,8
16,0
19,1
31,3
37,1
13,0
12,4
30,4
14,5
17,2
25,6
23,4
21,7
18,5
22,7
Scuola Qualifiche Diploma
dell’obbligo profes- superiore
sionali
2,1
1,4
2,0
0,6
1,3
1,0
2,1
6,6
17,9
1,9
19,3
18,5
3,3
1,8
8,7
15,1
2,0
0,9
6,2
15,0
3,4
8,6
4,8
9,4
2,6
6,3
Titolo
universitario
Titolo di studio segnalato dalle imprese (%)
Settore
Estrazione di minerali
Industrie alimentari
Industrie tessili, dell'abbigliamento e
delle calzature
Industrie del legno e del mobile
Industrie della carta, della stampa ed editoria
Industrie petrolifere, chimiche e delle
materie plastiche
Industrie dei minerali non metalliferi
Industrie dei metalli
Industrie meccaniche e dei mezzi di trasporto
Industrie delle macchine elettriche ed elettroniche
Industria beni per la casa, tempo libero e
altre manifatture
Produzione e distribuzione di energia, gas e acqua
190.702
Industria in senso stretto
Totale
assunzioni
2003
(val. ass.)
21,3
17,9
19,7
15,0
17,6
32,1
29,0
30,8
32,5
41,3
39,5
40,6
32,6
25,7
26,2
35,2
29,2
30,4
33,8
25,0
39,7
32,1
31,3
30,8
30,5
31,3
20,2
25,1
25,0
21,5
22,6
22,4
24,8
42,2
48,8
27,9
36,7
35,3
33,3
33,2
36,7
33,8
32,4
24,9
30,2
32,1
29,2
34,3
32,2
30,7
32,2
32,6
1 anno
18,6
20,5
19,0
19,9
19,6
21,1
23,3
13,8
10,3
14,6
8,2
12,9
17,8
19,4
18,1
16,6
19,3
16,6
18,9
21,4
19,2
15,8
18,8
20,0
17,8
17,8
2 anni
40,0
36,5
36,4
43,6
40,2
24,3
22,9
13,2
8,3
16,2
15,6
11,2
16,3
21,6
19,0
14,4
19,1
28,1
17,1
21,5
11,8
17,7
17,8
18,5
19,5
18,3
almeno
3 anni
Anni di esperienza richiesti (%)
nessuna
esperienza
Tab. 1.26 - Assunzioni previste nei settori industriali nel 2003 per titolo di studio ed anni di esperienza (a)
IL QUADRO GENERALE
IL QUADRO GENERALE
Fig. 1.30 - Assunzioni previste per titolo di studio nell’industria
no di esperienza) ed è più alta la
(In % del totale delle assunzioni)
quota di manodopera per la
quale non è richiesta alcuna
a - Industria in senso stretto
esperienza (31%).
Proprio l’esigenza di inter50
pretare correttamente le dichiarazioni delle imprese circa i pro2003
1999
40
pri fabbisogni formativi effettivi
si riflette nel tentativo, da parte
30
della stessa indagine Excelsior,
di costruire un indicatore che
20
aggiunge al numero desiderato
di anni di formazione scolastica
quelli relativi all’esperienza ma10
turata; il risultato è una misura
del numero complessivo di anni
0
Titolo universitario (a)
Licenzia media
Qualifiche professionali Diploma superiore
in cui il lavoratore ha maturato i
requisiti professionali richiesti
(indipendentemente dal fatto
che ciò sia avvenuto nella scuob - Costruzioni
la o nel lavoro). Questa misura
viene definita come un indice di
70
formazione «equivalente»45.
I risultati di questo processo
60
2003
1999
di aggregazione sono illustrati
50
nella tabella 1.27, dalla quale
emerge un generale innalza40
mento del numero di anni di
30
maturazione professionale richiesti rispetto a quanto visto
20
più sopra con riferimento ai soli
10
titoli di studio. In particolare, in
quasi tutti i settori considerati (e
0
soprattutto nel comparto edile)
Titolo universitario (a)
Licenzia media
Qualifiche professionali
Diploma superiore
l’aggiunta degli anni di esperienza sposta il baricentro della
(a) Fino al 2002 il dato comprende anche i possessori dei diplomi universitari.
distribuzione della domanda
Fonte: Elaborazioni su dati Unioncamere - Ministero del Lavoro (Sistema informativo
per livello formativo dal livello
Excelsior, vari anni).
inferiore (scuola dell’obbligo) al
successivo (qualifica professionale).
Su questo piano può essere utile esaminare, inoltre, le dichiarazioni delle imprese circa la necessità di formazione aggiuntiva dei futuri neoassunti. Tale informazione consente, tra le altre cose, di analizzare eventuali problemi di mismatch fra le reali esigenze formative delle imprese e l’offerta resa effettivamente disponibile dalle strutture nazionali. I dati — riportati nella tabella 1.28
— mostrano innanzitutto un aumento, negli ultimi tre anni, nella percezione manifestata dalle imprese industriali circa la necessità di adeguare — attraverso programmi di formazione successiva
all’entrata in azienda — la preparazione dei neoassunti alle effettive esigenze lavorative. Nelle intenzioni delle imprese, infatti, per il 53,4% delle assunzioni previste per il 2003 nell’industria in
senso stretto si riteneva necessaria una formazione aggiuntiva a quella già posseduta dal lavoratore, rispetto al 41,9% emerso per l’anno 2001 (in presenza di un numero di assunzioni complessive che è andato riducendosi nel corso dei tre anni). Tale tendenza si ravvisa in ciascuno dei set45
Cfr. per i dettagli metodologici del calcolo dell’indicatore: Progetto Excelsior (2003), Le previsioni occupazionali e i
fabbisogni professionali per il 2003. Sintesi dei principali risultati.
62
IL QUADRO GENERALE
Tab. 1.27 - Assunzioni previste nel 2003, livello formativo equivalente (a)
Livello formativo equivalente (%)
Estrazione di minerali
Industrie alimentari
Industrie tessili, dell'abbigliamento e
delle calzature
Industrie del legno e del mobile
Industrie della carta, della stampa
ed editoria
Industrie chimiche e petrolifere
Industrie della gomma e delle materie
plastiche
Industrie dei minerali non metalliferi
Industrie dei metalli
Industrie meccaniche e dei mezzi di
trasporto
Industrie delle macchine elettriche ed
elettroniche
Industria beni per la casa, tempo libero e
altre manifatture
Produzione e distribuzione di energia,
gas e acqua
Costruzioni
Totale
Licenza
media
Qualifiche
professionali
Diploma
superiore
Titolo
universitario
22,7
44,1
44,0
32,8
18,1
18,7
15,2
4,4
34,7
33,2
48,4
47,4
14,1
16,9
2,8
2,5
28,2
11,8
28,4
15,3
34,2
39,0
9,2
33,9
44,6
36,6
24,7
26,0
41,4
47,1
22,7
18,0
23,7
6,7
4,0
4,5
13,5
41,0
33,1
12,4
12,3
31,1
38,7
17,9
34,2
36,7
26,8
2,3
7,9
21,0
24,9
32,0
60,5
46,4
38,5
14,8
21,8
21,6
3,7
6,9
(a) In grigio sono evidenziati, per ciascuna sezione, i valori masasimi di riga.
Fonte: Elaborazioni su dati Unioncamere, Ministero del Lavoro (Sistema informativo Excelsior, 2003).
tori industriali evidenziati, ad eccezione della produzione e distribuzione di energia, gas e acqua
nella quale si è registrata una considerevole flessione fra il 2002 e il 2003.
Prescindendo dall’evoluzione temporale, in ciascuno degli anni presi in considerazione la necessità di ulteriore formazione cresce all’aumentare del titolo di studio posseduto: riguardo al 2003
sono stati previsti programmi di formazione post-entry per l’80% delle assunzioni con titolo di studio universitario, per il 61,3% di quelle con diploma superiore, per il 56,5% dei possessori di una
qualifica professionale e per il 44,3% di chi ha completato la sola scuola dell’obbligo. Tale comportamento atteso sembrerebbe evidenziare un’attenzione crescente da parte delle imprese alla effettiva preparazione professionale dei nuovi lavoratori ma potrebbe anche essere indice di una crescente insoddisfazione rispetto ai «prodotti» del sistema formativo scolastico ed universitario rispetto alle reali esigenze del mondo produttivo.
La necessità di procedere ad ulteriori programmi formativi è particolarmente sentita nelle regioni settentrionali e nelle imprese di media e grande dimensione, mentre coinvolge meno del
50% delle assunzioni previste nel Mezzogiorno dove, come si è già avuto modo di osservare nel
commentare la tabella 1.26, è più alta la domanda di lavoratori con licenza media. Rispetto ai settori dell’industria in senso stretto, la previsione di formazione post-entry appare considerevolmente più bassa nelle costruzioni dove, pur essendo cresciuta negli ultimi tre anni, la percentuale di
assunzioni richiedenti ulteriore preparazione è stata pari al 30% nella media nazionale, con un
massimo del 41,7% nelle regioni del Nord Est.
63
IL QUADRO GENERALE
1.3.5.5. L’esigenza crescente di fornire una formazione aggiuntiva ai nuovi lavoratori in entrata si accompagna ad una accresciuta difficoltà da parte delle imprese nel reperire la manodopera
desiderata. Riguardo alle assunzioni programmate per il 2003, problemi di reperimento sono segnalati dal 49,1% delle imprese dell’industria in senso stretto e dal 53,5% delle imprese edili (tab.
1.29). Nonostante la fase di rallentamento dell’attività economica, tali percentuali risultano in aumento rispetto a due anni prima. In entrambi i settori le difficoltà maggiori si riscontrano nelle regioni del Nord Est, seguite da quelle del Centro nel caso dell’industria in senso stretto e dal Nord
Ovest nel caso delle costruzioni. Nel Mezzogiorno i valori sono più bassi, ma rispetto alle previsioni per il 2001 è questa l’area geografica che ha registrato gli incrementi maggiori, soprattutto
per le imprese edili.
Il settore che per il 2003 ha previsto le difficoltà più forti nel reperire la manodopera desideTab. 1.28 - Assunzioni con necessità di formazione aggiuntiva nei settori industriali
(In % del totale delle assunzioni)
2001
2002
2003
Industria in senso stretto
41,9
45,2
53,4
Titolo di studio:
Scuola dell'obbligo
Qualifica professionale
Diploma superiore
Titolo universitario
29,3
40,7
54,0
70,6
35,9
44,5
55,8
71,0
44,3
56,5
61,3
80,3
Settore:
Estrazione di minerali
Industrie alimentari
Industrie tessili, dell'abbigliamento e delle calzature
Industrie del legno e del mobile
Industrie della carta, della stampa ed editoria
Industrie petrolifere, chimiche e delle materie plastiche
Industrie dei minerali non metalliferi
Industrie dei metalli
Industrie meccaniche e dei mezzi di trasporto
Industrie delle macchine elettriche ed elettroniche
Industria beni per la casa, tempo libero e altre manifatture
Produzione e distribuzione di energia, gas e acqua
20,2
30,0
30,6
30,1
36,9
52,2
35,1
35,4
56,6
58,7
30,3
68,1
35,0
32,9
36,3
33,4
44,2
56,5
42,2
39,4
60,3
56,3
31,5
74,4
45,0
43,4
42,3
40,5
48,8
66,4
52,7
51,0
67,1
65,4
48,9
48,9
Area territoriale:
Nord-ovest
Nord-est
Centro
Sud e isole
47,0
44,3
35,9
34,6
49,5
47,0
41,3
39,5
56,2
56,3
51,6
46,9
Dimensione:
1-10
10-49
50-249
250 e oltre
24,7
31,2
49,2
74,9
27,1
34,0
51,7
75,9
37,3
40,9
62,7
82,9
251.677
207.202
190702
Costruzioni
19,6
22,1
30,5
Area territoriale:
Nord-ovest
Nord-est
Centro
Sud e isole
22,9
23,7
35,9
17,8
25,9
25,6
20,6
19,1
30,2
41,7
36,4
22,7
94.859
86.739
90.659
Totale assunzioni (val.assoluti)
Totale assunzioni (val. assoluti)
Fonte: Elaborazioni su dati Unioncamere, Ministero del Lavoro (Sistema informativo Excelsior, vari anni)
64
IL QUADRO GENERALE
Tab. 1.29 - Difficoltà attesa nel reperire la manodopera nelle imprese industriali per settore di attività economica, area geografica e dimensione aziendale
(In % del totale delle assunzioni)
Assunzioni con
difficoltà nel
reperimento in
% delle assunzioni
—————————
Totale industria in senso stretto
Motivi della difficoltà di reperimento nel 2003
(% assunzioni con difficoltà)
———————————————————————————————————————————
2001
2003
mancanza mancanza
qualificazione strutture
necessaria formative
ridotta
livelli
presenza retributivi
figura,
non
forte
adeguati
concorrenza
alle
fra imprese aspettative
altri
motivi
48,2
49,1
37,7
8,3
45,0
1,0
8,0
40,0
35,0
39,2
38,9
39,8
30,1
6,7
6,9
39,8
29,2
0,4
0,8
13,2
32,9
52,7
61,8
53,3
64,6
35,3
40,4
9,9
7,7
44,6
46,4
0,6
0,7
9,6
4,7
45,2
38,4
42,6
12,0
35,5
3,6
6,3
36,0
40,0
30,8
8,4
50,1
1,7
9,1
42,1
55,6
45,6
55,4
41,3
38,8
5,4
7,8
46,1
47,5
0,8
0,9
6,4
5,1
48,3
50,8
37,0
8,1
49,4
1,0
4,5
45,7
42,2
45,1
8,7
42,7
0,4
3,1
Settore:
Estrazione di minerali
Industrie alimentari
Industrie tessili,
dell'abbigliamento e delle calzature
Industrie del legno e del mobile
Industrie della carta,
della stampa ed editoria
Industrie petrolifere, chimiche e
delle materie plastiche
Industrie dei minerali
non metalliferi
Industrie dei metalli
Industrie meccaniche e
dei mezzi di trasporto
Industrie delle macchine
elettriche ed elettroniche
Industria beni per la casa,
tempo libero e altre manifatture
Produzione e distribuzione
di energia, gas e acqua
51,5
44,6
35,3
14,7
40,1
0,6
9,4
16,5
23,1
54,7
4,4
38,5
1,5
1,0
Area territoriale:
Nord-ovest
Nord-est
Centro
Sud e isole
46,0
57,9
48,3
37,3
46,2
58,1
50,3
40,8
36,7
33,7
36,3
48,0
7,8
6,7
9,0
11,4
46,0
51,2
44,9
32,1
1,4
0,7
1,0
0,5
8,1
7,7
8,8
7,9
Dimensione:
1-49
10-49
50-249
250 e oltre
53,9
52,7
46,0
36,2
58,2
51,1
44,6
36,8
40,7
38,4
30,5
35,3
9,8
7,7
6,1
7,3
38,8
44,4
54,4
52,8
0,7
0,8
1,1
1,5
9,9
8,6
7,9
3,1
Costruzioni
42,5
53,5
42,0
4,6
45,3
0,4
7,7
Area territoriale:
Nord-ovest
Nord-est
Centro
Sud e isole
45,1
66,1
42,9
28,2
61,1
68,1
58,9
40,7
39,3
44,4
48,2
38,0
5,6
2,6
2,3
6,9
48,9
43,9
38,6
48,2
–
1,0
–
0,5
6,2
8,1
10,9
6,4
Fonte: Elaborazioni su dati Unioncamere, Ministero del Lavoro (Sistema informativo Excelsior, vari anni).
65
IL QUADRO GENERALE
rata è quello del legno-arredo (64,6%), seguito dalla lavorazione dei metalli (55,4%) e dall’industria meccanica e dei mezzi di trasporto (50,8%). In tutti questi casi la difficoltà è dovuta — nella
percezione delle imprese — soprattutto alla ridotta presenza sul mercato della figura professionale richiesta (e alla conseguente forte concorrenza fra imprese nell’acquisirla), ma anche alla insufficiente qualificazione dei lavoratori disponibili. Nel complesso dell’industria in senso stretto la
quota di assunzioni programmate per il 2003 per le quali la mancanza di qualificazione costituisce
un ostacolo al reperimento della manodopera è pari al 37,7%, rispetto al 45% imputabile invece
alla ridotta presenza della figura professionale. La scomposizione per dimensione d’impresa mostra inoltre come l’insufficiente qualificazione sia un problema particolarmente sentito nelle piccole imprese, mentre la scarsità di certe posizioni professionali tende a crescere all’aumentare del
numero degli addetti.
Con riferimento ai soli settori dell’industria in senso stretto, la tabella 1.30 consente di entrare nel dettaglio dei titoli di studio e delle figure professionali specifiche per i quali le imprese si attendono maggiori ostacoli nel reclutamento. Per quanto attiene ai titoli di studio, nelle
previsioni sul 2003 vengono considerate relativamente più difficili le assunzioni di lavoratori con
qualifica professionale (52,8%) insieme a quelle rivolte ai soli possessori della licenza media
(51,6%). La difficoltà di reperimento delle seconde appare inoltre in aumento rispetto al 2001
(in controtendenza rispetto a tutti i restanti titoli di studio). Passando ad analizzare le figure professionali più difficili da coprire, la tabella 1.30 mostra come gli ostacoli maggiori vengano rav-
Tab. 1.30 - Difficoltà attesa nel reperire la manodopera nell’industria in senso stretto per titolo di
studio e gruppo professionale
(In % del totale delle assunzioni)
Assunzioni con
difficoltà nel
reperimento in
% delle assunzioni
Titolo di studio:
Scuola dell'obbligo
Qualifica professionale
Diploma superiore
Titolo universitario
Motivi della difficoltà di reperimento nel 2003
(% delle assunzioni con difficoltà)
———————————
————————————————————————————————————————
2001
2003
mancanza mancanza
qualificazione strutture
necessaria formative
50,0
52,9
42,2
43,0
51,6
52,8
42,1
42,1
35,0
39,1
40,1
46,4
7,5
9,7
8,5
8,5
45,3
44,9
45,6
40,8
0,9
0,6
1,0
3,1
11,4
5,6
4,7
1,2
44,4
41,6
46,2
3,5
45,5
3,8
1,0
46,2
43,7
41,3
41,9
49,0
43,5
7,0
8,8
39,4
43,8
3,0
0,8
1,6
3,1
19,0
18,5
32,6
7,5
44,6
3,8
11,4
ridotta
livelli
presenza retributivi
figura,
non
forte
adeguati
concorrenza
alle
fra imprese aspettative
altri
motivi
Figura professionale:
Dirigenti e direttori
Professioni intellettuali,
scientifiche e ad elevata specializz.
Professioni tecniche
Professioni esecutive relative
all'ammin. e alla gestione
Professioni relative alle vendite
e ai servizi alle famiglie
Operai specializzati (a)
Conduttori impianti, operatori
macchinari e operai mont.industr.
Personale non qualificato
24,4
56,4
44,1
63,2
33,5
40,4
6,4
9,1
27,5
42,8
0,7
0,5
32,0
7,2
49,7
38,6
44,0
32,2
29,7
37,5
7,5
5,2
51,5
44,0
1,4
0,4
9,9
12,9
Totale industria in senso stretto
48,2
49,1
37,7
8,3
45,0
1,0
8,0
(a) Inclusi lavoratori specializzati in agricoltura e pesca.
Fonte: Elaborazioni su dati Unioncamere, Ministero del Lavoro (Sistema informativo Excelsior, vari anni).
66
IL QUADRO GENERALE
Costruzioni
Ind. in senso stretto
Energia, gas e acqua
Altre ind.
manifatturiere
Macchine elettr. ed
elettroniche
Meccanica
e mezzi trasporto
Metalli
Minerali non metall.
Petrol., chimiche e
mat. plastiche
Carta, stampa e
editoria
Legno e mobile
Alimentari
Tessili, abbigl. e
calzature
Estr. minerali
visati nel reclutamento degli operai specializzati (63,2%), dei lavoratori impiegati nelle vendite
e nei servizi alle famiglie (44,1%) e dei conduttori di impianti e macchinari (44,0%). Nei primi
due casi la percezione della difficoltà di reperimento di queste categorie professionali ha registrato un considerevole incremento (rispettivamente 20 e 7 punti percentuali), a differenza di
tutti gli altri gruppi che, coerentemente con il progressivo rallentamento congiunturale, hanno
mostrato una flessione.
Il fatto che risulti tuttora relativamente più difficile reperire la manodopera meno qualificata,
sia in termini di titolo di studio che di figura professionale, potrebbe in realtà essere indice dell’accresciuta domanda di lavoratori immigrati — che le quote di ingresso non sempre consentono
di soddisfare — per i quali le imprese, a prescindere dagli effettivi percorsi formativi seguiti dal lavoratore straniero nel suo paese (spesso anche ad alta qualificazione), non richiedono elevati livelli di istruzione. La figura 1.31
mostra effettivamente che, fra il
Fig. 1.31 - Numero massimo previsto per il 2003 di assunzioni
2001 e il 2003, il numero di imdi personale extracomunitario nelle imprese industriali
migrati che le imprese dichiara(In % delle assunzioni totali previste)
no di avere intenzione di assu45
mere in proporzione alla do40
manda di lavoro totale è cresciu2001 2003
35
to in tutti i settori industriali,
30
oscillando da un aumento minimo di 4,2 punti percentuali nel25
la produzione delle macchine
20
elettriche ed elettroniche ad un
15
massimo di 13,8 punti nell’ag10
gregato che include carta, stam5
pa ed editoria. Nel complesso
0
dell’industria in senso stretto
l’incidenza della manodopera
immigrata rispetto al totale delle assunzioni programmate è
passata dal 21,4% al 32,2%; un
simile andamento ha caratterizFonte: Elaborazioni su dati Unioncamere - Ministero del Lavoro (Sistema informatizato anche il settore delle covo Excelsior, vari anni).
struzioni (rispettivamente 22,3 e
33,4%).
1.4. Costi, prezzi, redditività
1.4.1. Margini industriali, costi, prezzi e retribuzioni
1.4.1.1. Il persistere del quadro recessivo si è tradotto in un ulteriore deterioramento delle condizioni di profittabilità delle imprese, e il profilo dei margini lordi sul valore aggiunto ha subìto nel
2003 un significativo assottigliamento, che fa seguito a quello già apprezzabile dell’anno precedente. Sulla base dei dati di Contabilità nazionale, per l’aggregato dell’industria in senso stretto la
flessione rispetto al 2002 è dell’ordine di un punto percentuale (da 33,6 a 32,7), ma per la sola trasformazione industriale sfiora i due punti (da 28,6 a 26,8), facendo scendere il livello dei margini
unitari al valore minimo registrato a partire dall’inizio degli anni Ottanta e situandolo al di sotto
della sua stessa linea di tendenza di lungo periodo (fig. 1.32).
La differenza negli andamenti dei due aggregati dipende, anche se in misura differente, dalle
tendenze relative all’industria estrattiva (che pesa per l’1,5% del totale dell’industria in senso stretto) e, soprattutto, da quelle della produzione e distribuzione di energia elettrica, acqua e gas (il cui
peso raggiunge il 6,5% del totale). Come viene documentato più sotto, in entrambi i casi l’evolu-
67
IL QUADRO GENERALE
zione dei margini è risultata relativamente superiore a quella
media manifatturiera (ma nel
36
settore estrattivo è stata in ogni
35
caso negativa).
34
Il profilo del mark-up nell’industria in senso stretto ha
33
presentato una leggera discesa
32
(–0,2% in media d’anno nel
31
2003), dovuta a una crescita dei
y = -0,2111x + 34,041
30
costi unitari variabili (+2,0%)
29
superiore a quella dei prezzi
28
d’offerta (+1,7%); la flessione si
27
inscrive in una linea di tenden26
za osservabile a partire dalla
1980 1981 1982 1983 1984 1985 1986 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003
metà degli anni Novanta (fig.
1.33). La dinamica piuttosto so(a) Al costo dei fattori.
Fonte: Elaborazioni su dati Istat.
stenuta dei costi unitari variabili nell’industria in senso stretto
trae origine, a sua volta, dall’ulFig. 1.33 - Markup, prezzi e costi unitari variabili nell’industria
teriore accelerazione del costo
in senso stretto
del lavoro per unità di prodotto
(+3,7%) e da una ripresa dei
120
prezzi degli input intermedi
markup
115
(+1,5%). La variazione comprezzi
costi
plessiva del mark-up nell’ulti110
mo biennio è di –0,7%.
105
Ancora la figura 1.33 mo100
stra l’andamento relativo delle
95
due componenti del mark-up,
ovvero il deflatore dell’output
90
e i costi unitari variabili. Essa
85
indica come il profilo delle due
80
variabili tenda sostanzialmen1991-I 1992-I 1993-I 1994-I 1995-I 1996-I 1997-I 1998-I 1999-I 2000-I 2001-I 2002-I 2003-I
te a coincidere nel lungo periodo; a partire dalla fine degli
Fonte: Elaborazioni su dati Istat.
anni Novanta, e più marcatamente negli anni iniziali del
decennio successivo, i dati evidenziano tuttavia l’aprirsi di una forbice tra le due curve, con il
livello dei costi che supera di un ammontare crescente quello dei prezzi. Questo fenomeno riflette in primo luogo, nella sua fase iniziale e fino al 2002, la forte crescita dei prezzi degli input (sostenuti anche dai rialzi dei prezzi petroliferi); ma fin dall’inizio del nuovo decennio —
anche in relazione al profilarsi della recessione e al conseguente peggioramento della produttività — al divario contribuisce soprattutto l’aumento del costo del lavoro per unità di prodotto.
Fig. 1.32 - Margine operativo lordo in % del valore aggiunto
nell’industria manifatturiera (a)
1.4.1.2. L’evoluzione dei margini industriali a livello settoriale può essere osservata a partire da
informazioni di fonte Asi; in questo caso (tab. 1.31) i margini vengono espressi in percentuale della produzione anziché del valore aggiunto. La tabella evidenzia come il calo più sopra mostrato
per l’insieme dell’industria risulti generalizzato alla quasi totalità dei settori considerati. In tutti i
settori, con una sola eccezione, i margini 2003 risultano in ogni caso inferiori ai livelli medi del
triennio 1999-2001.
Sulla base della stessa fonte è possibile anche confrontare direttamente, settore per settore,
la dinamica relativa dei prezzi alla produzione (media di quelli praticati sia sul mercato interno
68
IL QUADRO GENERALE
46
Tab. 1.31 - Margine operativo lordo nei settori industriali
(In % della produzione)
Settori
1999–2001
2002
2003
20,5
7,2
9,5
9,3
6,8
9,3
10,7
9,1
11,9
9,4
14,2
12,3
8,0
10,2
9,9
8,1
4,9
10,4
11,5
2,8
2,4
30,0
17,1
7,3
8,9
9,4
6,2
8,8
10,3
8,1
11,5
9,1
14,3
13,1
6,5
9,4
9,1
6,8
4,4
9,9
11,1
0,8
1,6
23,9
16,2
7,0
7,8
8,2
5,3
8,1
10,0
8,5
10,7
8,4
13,3
13,3
6,0
8,7
8,2
6,1
3,3
9,8
9,9
0,2
0,5
24,7
Industria estrattiva
Alimentari e bevande
Tessile e maglieria
Abbigliamento
Pelli e calzature
Legno, mobilio, arredamento
Carta, cartotecnica, stampa
Prodotti energetici da raffinazione
Chimica
Lavorazione gomma e plastica
Vetro e ceramica
Materiali da costruzione di base
Metallurgia
Lavorazione metalli
Apparecchi meccanici ed elettrici
Meccanica strumentale
Elettronica
Elettrotecnica strumentale
Strumenti di precisione
Autoveicoli
Altri mezzi di trasporto
Energia elettrica, gas, acqua
Fonte: Elaborazioni su dati Asi.
Fig. 1.34 - Costi operativi e prezzi alla produzione nei settori
industriali nel 2003
(Variazioni %)
6
22
4
prezzi
che su quello estero) e di una
misura dei costi operativi delle
imprese (che include una stima
dei costi fissi)46. Come mostra
chiaramente la figura 1.34, nel
2003 le variazioni dei costi sono
risultate sistematicamente superiori a quelle dei prezzi (19
settori su 22 figurano nel grafico
al di sotto della bisettrice); a seconda tuttavia del segno delle
variazioni è possibile individuare diverse tipologie di comportamento. Mentre infatti in alcuni casi a variazioni dei costi in
aumento corrispondono variazioni dei prezzi in diminuzione
(quadrante in basso a destra), in
altri (quadrante in alto a destra,
ma al di sotto della bisettrice) le
variazioni dei costi e dei prezzi
risultano entrambe in aumento,
ma le seconde non riescono a
riassorbire per intero le prime.
Un esempio del primo tipo di
comportamento è dato da alcuni comparti della meccanica; un
esempio del secondo dalle industrie dell’abbigliamento e
della maglieria. Ancora più evidenti risultano però i problemi
per i settori che compaiono nel
quadrante in basso a sinistra e al
di sotto della bisettrice: in questo caso infatti le imprese mostrano di non essere riuscite a
mantenere la dinamica dei
prezzi al di sopra di quella dei
costi anche con i secondi in evidente flessione.
Informazioni ulteriori possono essere ottenute considerando la dinamica dei prezzi alla produzione, misurata dagli
indici di fonte Istat per raggruppamenti principali di industrie; la figura 1.35 illustra in
particolare l’evoluzione degli
indici nell’ultimo triennio. A
parte il profilo dell’indice relativo alla componente dei beni
energetici, che è in modo del
tutto evidente legato a quello
12
2
3
2
4
13
0
7
18
-2
14 9
11
201610
6
19
15
21
5 1
8
17
-4
-4
-3
-2
-1
0
1
2
3
4
5
6
costi
1. Industria estrattiva
2. Alimentari e bevande
3. Tessile e maglieria
4. Abbigliamento
5. Pelli e calzature
6. Legno, mobilio,
arredamento
7. Carta, cartotecnica,
stampa, editoria
8. Prodotti energetici da
raffinazione
9. Chimica
10. Lavorazione gomma e
plastica
11. Vetro e ceramica
12. Materiali da
costruzione di base
13. Metallurgia
14. Lavorazione dei
metalli
15. Apparecchi meccanici
ed elettrici
16. Meccanica strumentale
17. Elettronica
18. Elettrotecnica strumentale
19. Strumenti di precisione
20. Autoveicoli
21. Altri mezzi di trasporto
22. Energia elettrica
Fonte: Elaborazioni su dati Asi.
Per i criteri di misurazione delle due variabili cfr. Appendice metodologica, cap. 5.
69
IL QUADRO GENERALE
Fig. 1.35 - Prezzi alla produzione per raggruppamenti di industrie
(Gennaio 2001=100)
108
beni intermedi
beni strumentali
energia
beni di consumo
beni di consumo durevoli
106
104
102
100
98
96
94
92
90
2001/1
2002/1
2003/1
Fonte: Elaborazioni su dati Istat.
Fig. 1.36 - Prezzi in euro delle materie prime (a)
(Gennaio 1998=100)
delle quotazioni petrolifere,
dalla figura si ricava che l’evoluzione dei prezzi dell’output
segue piuttosto fedelmente
quella della domanda: da un lato infatti le rilevanti difficoltà di
mercato incontrate dai produttori di beni intermedi e di investimento (penalizzati da un ristagno della domanda che, con
la parziale eccezione degli ultimi mesi del 2003, dura da un
triennio) si traducono in una
crescita dei prezzi pressoché insignificante; dall’altro per i beni
destinati alla domanda finale di
consumo (che in particolare nel
corso del 2003 ha invece beneficiato di un parziale recupero,
sebbene limitato - infra, par.
1.3) la dinamica, per quanto
sempre estremamente contenuta, appare leggermente più
pronunciata.
1.4.1.3. Sulle variazioni dei
prezzi di vendita influiscono —
280
sul piano dei costi variabili —
due componenti principali, ovalimentari
vero i prezzi delle materie prime
240
non alimentari
e il costo del lavoro. Una misura
combustibili
dell’andamento delle quotazioni
200
delle materie prime è fornita
172,6
dall’indice Csc dei prezzi delle
160
merci aventi mercato interna150,7
zionale, che a sua volta classifica
120
i beni censiti in tre aggregati di100,5
95,0
stinti: alimentari, non alimenta85,8
80
79,0
ri, combustibili (fig. 1.36). Nonostante il notevole aumento dei
40
prezzi in dollari di molte commogen-98
gen-99
gen-00
gen-01
gen-02
gen-03
dity (specie per quanto riguarda
quelle energetiche), dal punto di
(a) Ponderati con le quote del commercio italiano.
vista dell’industria italiana il noFonte: Elaborazioni CSC su fonti varie.
tevole e prolungato apprezzamento del cambio nei confronti
del dollaro ha svolto tra il 2002 e il 2003 un significativo effetto calmieratore sull’andamento delle quotazioni delle materie prime in euro.
Dall’andamento dell’indice Csc non emerge in particolare alcuna pressione al rialzo sui costi delle imprese italiane, nel biennio 2002-2003, da parte dei prezzi delle materie prime alimentari o non alimentari (–8 e –5,5 per cento rispettivamente tra il dicembre 2001 e il dicembre
2003). All’interno dell’aggregato delle materie prime non alimentari va tuttavia considerata l’evoluzione delle quotazioni dei metalli, cresciute in modo molto significativo nella seconda metà del 2003 (+12,4% da giugno a dicembre): se da un lato gli effetti del rialzo sulla gestione del
70
IL QUADRO GENERALE
2003 dovrebbero comunque essere stati limitati, in prospettiva essi potrebbero invece rivelarsi
non trascurabili.
Pure in presenza dello scudo offerto dal tasso di cambio, hanno invece esercitato significative
spinte sui costi energetici dell’industria le quotazioni delle materie prime combustibili (+14,6%
dalla fine del 2001 alla fine del 2003), sostenute da diversi eventi extra-economici susseguitisi negli ultimi anni (le operazioni belliche in Iraq, il prolungato blocco dell’attività petrolifera in
Venezuela, la perdurante profonda instabilità politica dell’area medio-orientale).
1.4.1.4. Nel 2003 è proseguita l’intensa attività di rinnovo dei contratti collettivi dei settori dell’industria in senso stretto. Nel mese di dicembre risultava il vigore il 97,5% dei contratti, due terzi dei quali rinnovati nel corso del 2003 e riguardanti circa 2,7 milioni di lavoratori dipendenti. Il
rinnovo più rilevante in termini di lavoratori coinvolti (poco meno di 2 milioni) è stato quello siglato nel mese di maggio nell’industria metalmeccanica, che ha stabilito, con riferimento alla parte economica, un aumento totale a regime di 90 euro medi lordi mensili (da erogare in tre distinte tranche — rispettivamente di 45 euro da luglio 2003, 24 euro da febbraio 2004 e 21 euro da dicembre 2004) e il pagamento di un importo una tantum di 220 euro (a copertura del periodo gennaio-giugno 2003), da liquidare in due rate successive (115 euro a giugno 2003 e 105 euro a gennaio 2004).
All’entrata in vigore dei nuovi contratti si sono inoltre aggiunti gli incrementi salariali derivanti dall’applicazione di contratti rinnovati nel 2002 che prevedevano il pagamento di una o più
tranche di aumento nell’anno successivo. È questo ad esempio il caso dei settori legno-arredo e sistema moda (rispettivamente 250.000 e 603.000 dipendenti). La combinazione di questi due elementi ha determinato una crescita delle retribuzioni contrattuali nell’industria in senso stretto del
2,6% nella media del 2003 (tab. 1.32), confermando l’andamento dell’anno precedente (2,7%). Tale
incremento medio dei minimi salariali si è riflesso a sua volta in una crescita delle retribuzioni lorde per dipendente (misurate dalla Contabilità nazionale) del 2,8%, leggermente al di sopra del tasso di inflazione del periodo corrispondente (2,7%) e in accelerazione rispetto alla dinamica registrata nel 2002 (2,5%). Tale aumento complessivo sintetizza andamenti diversificati all’interno dei
singoli settori industriali (tab. 1.32). L’accelerazione più pronunciata ha riguardato le industrie ali-
Tab. 1.32 - Retribuzioni, costo del lavoro e produttività nell’industria nel biennio 2002-2003
(Variazioni % annuali)
Retribuzioni
contrattuali
per
dipendente
Retribuzioni
lorde
per
dipendente
————————— —————————
Industria in senso stretto
di cui:
Alimentari, bevande e
tabacco
Tessile e abbigliamento
Legno e prodotti del legno
Carta, editoria e grafica
Chimico–farmaceutico
Gomma e plastiche
Minerali non metalliferi
Metalmeccanico
Costruzioni
Costo
del lavoro
per
dipendente
Produttività
del
lavoro
(a)
Occupazione
totale
Costo del
lavoro per
unità di
prodotto (b)
————————— ————————— ————————— —————————
2002
2003
2002
2003
2002
2003
2002
2003
2002
2003
2002
2003
2,7
2,6
2,5
2,8
2,2
3,0
–0,8
–0,6
0,5
–0,3
3,1
3,7
2,7
2,3
2,3
2,6
2,1
2,9
1,5
3,2
2,4
2,7
3,4
3,3
2,4
2,8
2,7
3,6
2,2
2,6
0,6
4,0
3,1
2,9
3,1
3,0
1,6
2,0
1,8
2,1
2,6
3,1
2,2
2,9
3,0
2,8
2,9
2,3
0,2
4,0
3,2
2,6
2,8
2,8
1,2
1,6
2,4
2,4
2,9
3,6
2,4
3,2
3,4
3,1
3,2
3,2
–2,5
–2,8
0,3
–1,0
1,2
–0,1
–2,1
–3,4
–0,1
1,3
–1,6
1,0
1,7
–0,6
–0,1
–1,4
–2,4
–0,4
6,9
–5,9
1,9
0,7
–1,8
2,2
5,4
1,7
2,6
–
–2,6
–1,7
0,2
–0,3
–0,7
2,1
0,4
2,9
2,9
7,0
2,8
3,7
1,5
2,9
3,4
5,2
2,5
1,2
4,6
2,6
0,6
3,9
3,5
4,5
5,8
3,6
(a) Valore aggiunto per occupato.
(b) Costo del lavoro per dipendente in rapporto alla produttività del lavoro.
Fonte: Elaborazioni su dati Istat, Contabilità nazionale.
71
IL QUADRO GENERALE
mentari (tabacco incluso), le cui retribuzioni pro-capite risultano essere cresciute del 2,1% dopo
essere aumentate dello 0,6% nell’anno precedente. La dinamica delle retribuzioni lorde per dipendente ha accelerato anche nel settore della lavorazione dei minerali non metalliferi (+2,8% rispetto all’1,6% del 2002), mentre è rimasta sostenuta nella gomma-plastica (+3% in entrambi gli
anni). Accelerazioni ancora più pronunciate hanno caratterizzato la crescita del costo del lavoro
per dipendente, che ha risentito del forte aumento dei contributi sociali indotto soprattutto dal
processo di regolarizzazione dei lavoratori extracomunitari.
Per il secondo anno consecutivo, nel 2003 i settori dell’industria in senso stretto hanno registrato una caduta della produttività del lavoro (–0,6%; infra, par. 1.3.4). Tuttavia, mentre nel
2002 la flessione della produttività (–0,8%) era il risultato della combinazione di un valore aggiunto stagnante (–0,3%) e di una dinamica modesta ma in ogni caso positiva dell’input di lavoro (+0,5%), nel 2003 l’andamento discendente della produttività sintetizza una riduzione
marcata del valore aggiunto (–1%) che viene solo parzialmente compensata da una contenuta
contrazione dell’occupazione (–0,3%).
L’accelerazione registrata nella dinamica dei redditi per dipendente, unita alla nuova flessione della produttività si è riflessa in una ulteriore accelerazione del costo del lavoro per unità di prodotto (+3,7% rispetto al 3,1% del 2002). La tab.1.32 mostra tuttavia come tale fenomeno non abbia riguardato l’industria alimentare, il tessile-abbigliamento, la produzione del
legno-arredo e il settore cartario e cartotecnico. Tutti questi settori, con l’unica eccezione del
comparto tessile, hanno infatti sperimentato nel 2003 un recupero della produttività del lavoro.
1.4.2. Redditività e struttura finanziaria delle imprese manifatturiere
1.4.2.1. Le imprese della trasformazione industriale47 hanno chiuso i bilanci del 2002 con
un’ulteriore riduzione della redditività operativa media (fig. 1.37). La flessione subita dal Roi48 non
si è tradotta in una contrazione della profittabilità globale media espressa in termini di Roe49, che
è anzi lievemente aumentata, dopo la marcata diminuzione dell’anno precedente50.
Il Roe è un indicatore sintetico del risultato delle scelte economico-finanziarie dell’impresa,
ovvero dipende, oltre che dal Roi, anche dai risultati delle gestioni non operative. Uno dei modi di
esprimere questi legami è dato dalla seguente equazione51:


Df
Roe =  s Roi +
Roi − i) ;
(
Pn


47 In questo paragrafo vengono analizzati i dati cumulati relativi a un insieme di oltre 21.000 società ricavato dalla
banca dati Aida. Il campione, chiuso per gli anni 1997-2002, include le imprese dell’industria manifatturiera con l’eccezione dei settori del tabacco (codice Ateco 2002: DA 16) e delle «altre industrie manifatturiere» (DN) al netto dei mobili (DN 36.1), aventi numero di dipendenti, fatturato e attività totali maggiori di zero in tutti gli anni in esame. La rappresentatività, rispetto al Censimento dell’industria e dei servizi del 2001, è pari al 38% in termini di dipendenti; rispetto all’indagine Istat sui Conti economici delle imprese, sempre con riferimento al 2001, è pari al 41,9% in base al fatturato e al 41,4% in base al valore aggiunto.
48 Il Roi è espresso in questo caso come rapporto (percentuale) tra margine operativo netto e capitale investito
netto.
49 Rapporto percentuale tra utile netto e patrimonio netto.
50 È importante precisare che nel 2000 gli elevati livelli sia del Roi che del Roe sono stati influenzati dalle rivalutazioni volontarie delle immobilizzazioni ex lege 342/2000. Va inoltre sottolineato che i criteri di riclassificazione delle poste contabili adottati e la scelta degli aggregati di riferimento possono comportare differenze nel confronto dei risultati
qui proposti con quelli ottenuti attraverso dati ricavati da altre fonti (in particolare Centrale dei Bilanci e Mediobanca).
Sulla base di dati Centrale dei Bilanci — ma con riferimento all’intero aggregato delle imprese non finanziarie — valutazioni di fonte Banca d’Italia evidenziano ad esempio un andamento del Roe nettamente declinante (Cfr. Relazione
Annuale, maggio 2004); questo dato risulta tuttavia da una definizione dell’indice del tutto diversa da quella qui adottata, e in particolare dalla scelta di inserire a numeratore l’utile al lordo degli ammortamenti e di «altre rettifiche e rivalutazioni», invece dell’utile di bilancio.
51 Cfr. per una formulazione analoga E. Pellizzoni (2002), Le potenzialità di crescita del numero di società quotate
in Borsa, Borsa Italiana, BitNotes, n. 6.
72
IL QUADRO GENERALE
Fig. 1.37 - Redditività operativa (Roi) e redditività globale
dove s indica la gestione extra52
(Roe) nelle imprese della trasformazione industriale
caratteristica , Df e Pn rispettivamente i debiti finanziari e il
14
patrimonio netto, e Df/Pn(Roi-i)
la leva finanziaria.
13
Partendo dall’ultima, si può
Ro i
12
rilevare un brusco calo che fa
Ro e
11
seguito al picco raggiunto nel
2000; nel 2002 la leva diventa
10
nulla (tab. 1.33). L’evoluzione
9
della leva finanziaria dipende
8
dall’andamento relativo di una
parte della gestione extracarat7
teristica (ovvero l’andamento
6
degli oneri finanziari rispetto al5
l’indebitamento) e da quello dei
risultati operativi. In questo ca4
1997
1998
1999
2000
2001
2002
so il peggioramento della leva
risulta guidato dal cedimento
dei risultati operativi visto più
Fonte: Elaborazioni su dati Bureau Van Dijk (Aida).
sopra, dal momento che l’incidenza degli oneri finanziari netti sull’utile dopo le imposte presenta invece a partire dal 2000 una
forte discesa, e diventa addirittura negativa nel 2002, per effetto dei minori oneri finanziari conseguenti all’abbassamento dei tassi di interesse (ma anche per un aumento dei proventi finanziari).
Nell’ambito della gestione straordinaria (extra-operativa ed extra-finanziaria) si riscontra invece una tendenza negativa fino al 2001, seguita da un miglioramento nel 2002. La somma — invertita di segno — dei saldi delle partite straordinarie e delle rettifiche di valore delle attività finanziarie, espressi in rapporto all’utile netto, indica in ogni caso che rispetto al 2001 il recupero del
2002 è solo parziale (in termini percentuali, da 22,8 a 11,5). La correzione dei valori degli asset finanziari, seguita al forte ribasso dei corsi di borsa, è proseguita anche nel 2002; il miglioramento
dei proventi straordinari ha, però, impedito il ripetersi della performance negativa del 2001.
Tab. 1.33 - Componenti del Roe per le imprese della trasformazione industriale
Leva finanziaria (a)
Oneri finanziari netti/Utile netto (%)
Gestione extracaratteristica (b)
Oneri straordinari netti (c)/Utile netto (%)
1997
1998
1999
2000
2001
2002
–1,5
25,6
1,1
9,8
0,1
15,0
0,9
–8,5
0,9
–8,4
0,9
5,4
1,3
10,9
0,9
2,7
0,5
6,2
0,8
22,8
–
–13,9
1,0
11,5
(a) (Roi-i)*(Df/Pn)
(b) Utile netto (Mon-oneri finanziari).
(c) Somma di oneri straordinari (al netto dei relativi proventi) e svalutazioni nette delle attività finanziarie.
Fonte: Elaborazioni su dati Bureau Van Dijk (Aida).
52
s è definito come rapporto tra utile netto e margine operativo netto (Mon) meno oneri finanziari. Il rapporto tra
utile netto e Mon è maggiore di uno se il saldo della gestione extracaratteristica (che include la gestione finanziaria,
quella straordinaria in senso stretto, le rettifiche di valore delle attività finanziarie, le imposte e le altre rettifiche) è positivo, e minore di uno nel caso contrario. Dal momento che a denominatore dell’indice s compaiono anche gli oneri
finanziari (ovvero una parte della gestione finanziaria), si può dire che l’indice fornisca nel complesso una misura dei
risultati della gestione straordinaria (in senso lato); la misura è comunque approssimativa perché per misurare soltanto la gestione straordinaria dovrebbero a rigore essere aggiunti al Mon i proventi finanziari (che non compaiono nella
variabile s).
73
IL QUADRO GENERALE
Scomponendo
ulteriormente il Roi e la leva finanziaria, si possono analizzare, per il
5,6
primo, gli andamenti dei margini unitari netti (Ros) e del tas1999
5,4
2000
so di rotazione del capitale investito (che costituisce una misura della produttività del capi5,2
2001
tale)53 e, per il secondo, quelli
relativi al differenziale tra Roi e
5,0
costo apparente del debito (il
1997
cosiddetto effetto semplice di
4,8
1998
leva finanziaria), e al grado di
indebitamento (rapporto tra
2002
4,6
debiti finanziari e patrimonio
netto). Riguardo al Roi, entram4,4
be le componenti hanno mo1,45
1,50
1,55
1,60
1,65
1,70
1,75
1,80
1,85
1,90
strato nel primo triennio in esaFatturato/Capitale investito
me un profilo crescente, al quale si è contrapposta nel secondo
Fonte: Elaborazioni su dati Bureau Van Dijk (Aida).
triennio un’evoluzione decrescente (fig. 1.38). Il calo del Roi
nel 2002 è imputabile alla flessione dei margini unitari netti
Fig. 1.39 - Componenti della leva finanziaria nelle imprese del(–0,6 punti percentuali), a fronla trasformazione industriale
te di un lieve incremento della
rotazione del capitale investito.
2
Con riferimento invece alla leva
1,6
finanziaria, l’«effetto semplice»
2000
1,2
ha invertito la sua tendenza po1999
sitiva a partire dal 2000, e il gra0,8
do di indebitamento ha regi2001
0,4
strato una dinamica sempre in
1998
0
discesa54, ad eccezione del 1999
2002
(fig. 1.39). In quasi tutto il pe-0,4
riodo il Roi si è attestato su li-0,8
velli superiori al costo del debito e la leva finanziaria ha gene-1,2
1997
rato un’influenza positiva sul
-1,6
0,80
0,85
0,90
0,95
1,00
1,05
1,10
1,15
1,20
1,25
1,30
Roe; negli anni più recenti tale
Debiti finanziari/Patrimonio netto
influenza è stata attenuata da
un grado di indebitamento deFonte: Elaborazioni su dati Bureau Van Dijk (Aida).
clinante.
In sintesi, nel periodo in
esame, gli effetti positivi sia del Roi che della leva finanziaria sul Roe sono stati generalmente più
che compensati dai risultati negativi della gestione extracaratteristica. Ciò non si è però verificato
Roi - Costo del debito
Margini netti/Fatturato (in %)
Fig. 1.38 - Componenti della redditività operativa nelle imprese della trasformazione industriale
53
L’identità contabile è la seguente: Roi = (Mon/K) = (Mon/F) (F/K), dove Mon = Margine operativo netto, K =
Capitale investito, F = Fatturato e, quindi, (Mon/F) = Ros e (F/K) = Rotazione del capitale investito. Quest’ultimo è
definito come somma tra patrimonio netto e debiti finanziari, i quali includono, oltre alle obbligazioni convertibili e
non, ai debiti bancari e agli altri finanziamenti, anche gli acconti, i titoli di credito e i debiti verso fornitori oltre l’esercizio (queste variabili sono approssimazioni per i debiti verso fornitori per impianti) e gli altri debiti a breve termine.
54 Per risultati analoghi, anche se non per tutti gli anni osservati, cfr Banca d’Italia (2003), Relazione Annuale, p.
259.
74
IL QUADRO GENERALE
sia nel 1999 che nel 2002, anni in cui la gestione extracaratteristica ha invece assicurato al Roe un
contributo rispettivamente positivo e nullo.
Le uniche informazioni contabili attualmente disponibili per il 2003 si riferiscono ai bilanci ricostruiti da R&S-Mediobanca a partire dai conti consolidati di 11 grandi gruppi industriali e dei
servizi55. Esse risultano dunque del tutto eterogenee rispetto a quelle fin qui commentate; in particolare, i risultati del 2003 risentono, per alcuni dei grandi gruppi inclusi nell’aggregato, degli effetti dovuti a movimenti importanti delle partite straordinarie, che alterano profondamente la dinamica effettiva della redditività. Escludendo i saldi relativi alle partite straordinarie, e circoscrivendo dunque l’attenzione al c.d. risultato corrente (che esclude tutte le perdite straordinarie e le
imposte), emerge comunque che per l’aggregato in questione il Roe registra un apprezzabile aumento (da 17,4 a 20.1 per cento), nonostante una evidente contrazione dei livelli del fatturato netto (–2,8%).
1.4.2.2. La disponibilità di dati a livello di singola impresa consente di analizzare più in dettaglio, attraverso la costruzione di una matrice di transizione, la dinamica reddituale delle imprese
qui esaminate nell’arco degli anni che vanno dal 1999 al 2002. Nella tabella 1.34 vengono riportate le transizioni attraverso le diverse classi di redditività globale (ovvero espressa in termini di Roe),
ponendo a confronto la redditività media del biennio 1999-2000 (espansione) con quella del biennio successivo (recessione). Dalla tavola risulta in primo luogo che una quota rilevante delle imprese che nel biennio 1999-2000 presentavano una redditività negativa resta in perdita anche nel
biennio successivo (il 51,6% di quelle con Roe percentuale compreso tra –100 e –10, e il 51,8% di
quelle con Roe tra –10 e zero). Per quanto invece riguarda le società in attivo, risulta dalla tavola
che, rispetto alla cella «di partenza» (ovvero la classe di Roe in cui l’impresa si trova nel primo dei
due periodi in esame), i «trasferimenti» verso le classi inferiori superano quelli verso le classi superiori — dunque, le imprese che peggiorano la loro posizione relativa sono più di quelle che la
migliorano. La mobilità delle imprese attraverso il range della distribuzione di frequenza del Roe
appare comunque alta: solamente in un caso — che corrisponde all’intervallo di massima frequenza compreso tra zero e +10 — la percentuale delle imprese che non escono dalla classe di partenza supera (e in ogni caso di poco) il 50%.
I dati elementari permettono anche di osservare direttamente i cambiamenti intervenuti, nel
periodo di riferimento, nel profilo delle distribuzioni degli indici di redditività. Nella tabella 1.35
Tab. 1.34 - Matrice di transizione delle imprese manifatturiere per classe di Roe (a)
(In %)
1999-2000
–100/–10
–10/0
2001-2002
———————————————————————————————————————————
–100/–10
–10/0
0/10
10/20
20/50
50/100
Totale
34,4
22,9
17,2
28,9
22,3
32,7
9,7
8,2
11,3
6,0
5,3
1,3
1.864
2.536
0/10
10/20
20/50
50/100
9,2
5,1
4,4
5,6
15,1
8,3
4,4
2,3
55,2
35,9
19,9
9,9
12,1
31,3
27,6
10,7
7,2
18,0
39,7
41,8
1,2
1,4
4,0
29,7
7.864
3.971
3.429
485
Totale
2.325
2.771
7.741
3.580
3.209
563
20.149
(a) Sono escluse, rispetto al campione totale, le imprese con Roe <–100 e >100.
Fonte: Elaborazioni su dati Bureau Van Dijk (Aida).
55
Cfr. www.mbres.it, dicembre 2003.
75
IL QUADRO GENERALE
vengono in particolare riportati i valori relativi alla media, alla variabilità e al grado di asimmetria
delle distribuzioni del Roe, osservate a livello settoriale.
Se ne ricava che tra il biennio 1999-2000 e quello 2001-2002 la media dei Roe delle imprese
accusa flessioni — in alcuni casi molto rilevanti — in tutte le industrie considerate, con sole tre
eccezioni (legno e prodotti in legno, chimica e minerali non metalliferi). Più forte è il peggioramento della redditività e maggiore risulta l’incremento della variabilità dei livelli del Roe, con un
aumento anche del grado di asimmetria delle distribuzioni (misurato dalle distanze interquartiliche)56.
Tab. 1.35 - Media, variabilità e grado di asimmetria della distribuzione del Roe per settore industriale (a)
Settori
Alimentari e bevande
Tessile e abbigliamento
Pelli e calzature
Legno e prodotti in legno
Carta e stampa
Chimica
Lavorazione gomma e plastica
Minerali non metalliferi
Metallo e prodotti in metallo
Macchine e apparecchi meccanici
Macchine e apparecchi elettrici
Mezzi di trasporto
Mobili
1999-2000
2001-2002
————————————————— —————————————————
Codice
Media Coefficiente Distanza
Media Coefficiente Distanza
Ateco 2002
variazione
intervariazione
interquartilica (b)
quartilica (b)
DA
DB
DC
DD
DE
DG
DH
DI
DJ
DK
DL
DM
DN 361
2,9
1,8
3,1
4,7
2,9
3,7
4,5
3,2
6,5
6,3
3,9
–0,1
0,6
25,2
50,8
24,0
10,6
31,5
15,8
12,9
19,6
11,7
11,7
25,3
684,8
166,0
5,8
4,1
3,6
2,7
3,4
2,6
2,4
2,1
3,0
2,3
2,3
2,8
3,4
0,8
–3,0
1,7
7,4
2,2
5,2
–0,6
4,9
1,8
6,1
1,3
–4,8
–7,6
95,5
38,4
70,6
16,9
46,1
12,7
125,0
16,3
47,8
14,2
74,4
26,8
15,6
5,5
5,3
3,5
3,2
3,3
2,8
3,1
2,2
4,5
2,4
2,9
4,6
4,2
(a) Sono escluse le imprese con valori anomali del Roe (> 1500% e < –1500%).
(b) Definita come: (Q3 – Q1)/Q2, dove con Q sono indicati i quartili della distribuzione dei Roe.
Fonte: Elaborazioni su dati Bureau Van Dijk (Aida).
1.4.3. Il carico fiscale sulle imprese
1.4.3.1. Il ruolo cruciale svolto dal sistema fiscale nella determinazione delle strategie d’impresa — tale da condizionare, oltre alle scelte di localizzazione, di investimento e di finanziamento, lo stesso livello della redditività — rende rilevante disporre di una misura del prelievo a carico
delle imprese57.
Un modo semplice per calcolare il carico fiscale medio è quello di rapportare il gettito delle
imposte pagate dalle società ad un indicatore aggregato del reddito. L’impatto dell’imposizione societaria sugli utili d’esercizio dipende, infatti, sia dal livello dell’aliquota legale che dai criteri di determinazione della base imponibile. Le aliquote medie implicite o effettive, calcolate rapportando
le imposte dovute al risultato d’esercizio prima delle imposte, riescono a tenere conto di entram56 L’uso della distanza interquartile invece delle usuali misure di skewness consente di ottenere una misura del fenomeno che non risente della presenza di possibili outlier (ovvero si riferisce al «corpo centrale» della distribuzione).
57 Le semplici quote di ripartizione del gettito, pur rilevanti in un’ottica di analisi della distribuzione del carico fiscale tra i diversi settori e le diverse categorie di soggetti passivi (cfr. Riquadro a pagina seguente), non sono infatti sufficienti a definire in che modo il fisco incida sulle singole industrie.
76
IL QUADRO GENERALE
ANALISI DELLA DISTRIBUZIONE DEL GETTITO IRAP E IRPEG
PER SETTORE ECONOMICO E TIPOLOGIA DI CONTRIBUENTI
Per gli anni in cui sono disponibili i dati relativi alle dichiarazioni dei redditi (di fonte Ministero dell’economia e delle finanze, d’ora in avanti Mef) vengono di seguito analizzate la distribuzione del gettito Irap per settore economico e per tipologia di contribuente, e la distribuzione del gettito Irpeg ed Irap
per le diverse attività economiche.
L’Irap1 (imposta sul valore aggiunto netto della produzione) grava su una vasta platea di contribuenti: dai privati alle Amministrazioni locali ed Enti pubblici. Bisogna quindi innanzitutto quantificare in che modo tale imposta si ripartisce tra le diverse categorie di contribuenti. In media, nel triennio
1998-2000 il 76,4% dell’Irap dovuta dall’intera economia (tab. 1) fa capo al settore privato, e passa da
Tab. 1. - Distribuzione dell’Irap dovuta per tipologia di contribuente (a)
Tipologia di contribuente
1998
1999
2000
Media
su
totale
Media
settore
privato
Persone fisiche
Società di persone
Società di capitali ed enti commerciali
Enti non commerciali
Totale settore privato
Amministrazioni ed enti pubblici
Totale
12,4
9,9
57,2
1,2
80,6
19,4
100
12,2
9,8
51,6
1,1
74,6
25,4
100
9,5
8,8
55,2
1,0
74,4
25,6
100
11,3
9,5
54,6
1,1
76,4
23,6
100
14,7
12,4
71,5
1,4
100
Ammontare Irap dovuta settore privato (b)
19,7
19,4
21,5
Ammontare totale Irap dovuta (b)
24,4
26,0
28,8
(a) Quote in percentuale sul totale dell’imposta dovuta.
(b) Miliardi di euro.
Fonte: Elaborazione CSC su dati Mef, Unico, Irap-Imposta regionale sulle attività produttive, (1999) pp. 108; (2000), pp. 113-114;
(2001), pp. 120-121.
19,7 miliardi di euro del 1998 a 21,5 miliardi del 2000 (+8,9%)2. Nel periodo in esame in media il 54,6%
dell’Irap totale è dovuta dalle società di capitali ed enti commerciali e, se si considera il solo settore privato, questa percentuale sale al 71,5%. Alle società di persone e alle persone fisiche, in media di periodo, fa capo rispettivamente il 9,5% e l’11,3% dell’Irap dovuta dall’intera economia e il 12,4% ed il
14,7% dell’imposta del solo settore privato. Per le persone fisiche, in particolare, nel 2000 si nota una
diminuzione della percentuale d’imposta dovuta, rispetto al totale dell’economia, che passa dal 12,2%
al 9,5%. Nel 2000, se si considera il solo settore privato (tab. 2), il 43,4% dell’Irap dovuta è riferita al
settore industriale, il 36,5% al settore dei servizi e il 12,6% al settore bancario-finanziario ed assicurativo.
Circoscrivendo l’analisi ai soggetti che pagano sia l’Irap che l’Irpeg (ossia società di capitali ed enti commerciali), è possibile individuare come il gettito sia distribuito tra i diversi settori dell’economia.
Sui redditi 2000 il 46,9% dell’Irap è dovuta dall’industria, il 32,4% dai servizi e solo il 16,2% dal settore bancario-finanziario e assicurativo (tab. 3). Sempre nel 2000 il 38,7% dell’Irpeg netta fa capo ai redditi dell’industria, il 28,2% al settore bancario-finanziario ed assicurativo e il 30% ai servizi. La ripar1
L’aliquota Irap ordinaria per i redditi 1998, 1999 e 2000, per la generalità dei soggetti, era pari al 4,25%; per
gli operatori nel settore agricolo all’1,9% per il 1998 e il 1999, mentre per il 2000 era pari al 2,3%. Per le banche e
assicurazioni corrispondeva al 5,4%.
2 Dai dati di competenza giuridica forniti dai Bollettini delle entrate tributarie (Mef), non direttamente confrontabili con i dati delle dichiarazioni, si rileva che l’Irap del settore privato è stata pari a 23,1 miliardi di euro nel
2001, 23,7 nel 2002 e 24,3 nel 2003. L’Irap per il totale dell’economia è stata, invece, rispettivamente pari a 31,3,
32,1 e 33,6 miliardi di euro.
77
IL QUADRO GENERALE
Tab. 2. - Distribuzione dell’Irap dovuta per tipologia di contribuente e per attività economica (a)
Attività economica
Tipologia di contribuente
Industria
Banche
finanza e
assicurazioni
Servizi
Altro
Totali
25,9
45,2
46,9
1,3
43,4
0,7
32,5
3,1
2,0
16,2
0,1
12,6
0,0
9,4
54,2
46,5
32,4
7,6
36,5
2,0
27,6
16,9
6,3
4,6
91,0
7,5
97,3
30,5
100
100
100
100
100
100
100
Persone fisiche
Società di persone
Società di capitali ed enti commerciali
Enti non commerciali
Totale settore privato
Amministrazioni ed enti pubblici
Totale economia
(a) Quote in percentuale sul totale di Irap dovuta per l’anno d’imposta 2000.
Fonte: Elaborazione CSC su dati Mef, Unico 2001, Irap-Imposta regionale sulle attività produttive, pp. 120-121.
Tab. 3. - Irpeg corrispondente al reddito imponibile e Irap dovuta, per attività economica (a)
Irpeg
Irap
Irpeg+Irap
Attività economica
Industria
Banche, finanza e assicurazioni
Servizi (b)
Altro (c)
Totale
Ammontare totale (d)
1998
1999
2000
1998
1999
2000
1998
1999
2000
39,6
30,9
26,8
2,6
100
33,7
39,7
25,8
31,8
2,7
100
35,3
38,7
28,2
30,0
3,1
100
39,4
47,1
18,9
29,8
4,2
100
14,0
50,8
9,5
34,8
4,9
100
13,4
46,9
16,2
32,4
4,6
100
15,9
41,8
27,4
27,7
3,1
100
47,6
42,8
21,3
32,6
3,3
100
48,8
41,1
24,7
30,7
3,5
100
55,3
(a) Quote percentuali per le società di capitali ed enti commerciali.
(b) Si intendono i servizi privati esclusi quelli bancari, finanziari e assicurativi.
(c) Comprende l’agricoltura, la silvicoltura, la caccia, la pesca, le altre attività dei servizi (pubblica amministrazione, difesa, assicurazione sociale obbligatoria, istruzione, sanità e altri servizi sociali, altri servizi pubblici, sociali personali, servizi domestici c/o famiglie e convivenze) e l’attività non classificabile in base alle informazioni fornite nei modelli di dichiarazione.
(d) Ammontare espresso in miliardi di euro.
Fonte: Elaborazioni CSC su dati Mef, Unico, Le Società di capitali e gli enti commerciali, (1999) pp. 259; (2000), pp. 325; (2001),
pp. 72.
tizione tra i settori risulta sostanzialmente stabile nel triennio in considerazione, fatto eccezione per la
quota di Irap dovuta dal settore banche, finanza e assicurazioni che nel 1999 ha avuto una forte flessione.
Il totale dell’Irap dovuta sui redditi 2000 è pari a 15,9 miliardi di euro (+13,6% rispetto al 1998), a cui
si sommano 39,4 miliardi di euro di Irpeg3 (+16,9% rispetto al 1998), per un totale di 55,3 miliardi di euro. L’industria copre il 41,1% del totale Irpeg e Irap dovuta dalle società di capitali ed enti commerciali,
mentre il 30,7% è a carico del settore dei servizi privati e il 24,7% è riferito al settore bancario, finanziario ed assicurativo.
3 Gli accertamenti per il gettito Irpeg risultano, invece, pari a 32,8 miliardi di euro per il 2001; 30,2 per il 2002
e 28,6 miliardi di euro per l’anno d’imposta 2003 (Bollettini delle entrate tributarie, Mef).
78
IL QUADRO GENERALE
be queste leve fiscali. Tali indicatori quantificano l’entità di drenaggio dei mezzi di autofinanziamento e rispondono alla necessità di valutare l’effetto reddito della tassazione. Questo calcolo consente di valutare a livello aggregato il reddito disponibile delle imprese, ovvero quanto rimane del
risultato d’esercizio, dopo aver pagato le imposte, per il finanziamento dell’attività d’investimento e della remunerazione del capitale proprio.
I più recenti dati di consuntivo elaborati dal Ministero dell’economia e delle finanze (Mef) sulla base delle dichiarazioni dei redditi (modello Unico) si riferiscono agli anni d’imposta 1998, 1999
e 2000. I dati corrispondono ai primi tre anni di applicazione dell’Irap; la Dual income tax (Dit) era
già in vigore dal 1997. In questo paragrafo, relativamente alle imposte dovute dalle imprese in questi anni, si analizza la distribuzione del gettito Irpeg ed Irap per le diverse attività economiche; successivamente vengono calcolate le aliquote medie effettive. Per gli anni più recenti, per i quali i dati analitici di fonte Mef non sono disponibili, il calcolo delle aliquote medie viene invece effettuato utilizzando dati di bilancio delle imprese (in parte di fonte Mediobanca e in parte tratti da un
data-set costruito a partire da informazioni di fonte Aida).
Secondo i dati Mef l’aliquota media effettiva dell’Irpeg per l’industria (tab. 1.36) diminuisce
dal 32% dell’utile ante-imposta nel 1998 al 29,1% nel 2000 (–2,9 punti percentuali). Considerando
anche l’Irap, la diminuzione del peso del fisco sugli utili ante imposte è pari a 4,4 punti percentuali
(da 47,7 al 43,3%). Per l’intera economia, esclusi i servizi bancari, finanziari e assicurativi, si rileva
anche una discreta diminuzione del carico fiscale complessivo, che passa dal 48,5% degli utili ante imposte al 44,6%.
Nel triennio 1998-2000 l’aliquota ordinaria Irpeg in vigore era pari al 37%. Erano però in vigore varie forme di tassazione ad aliquota ridotta. Le più rilevanti del periodo in questione erano
la Dit (D. Lgs. 466/97), che consentiva di applicare una aliquota pari al 19%58 sulla remunerazione ordinaria del capitale59, e la c.d. legge Visco60 (L. 133/99). La distribuzione del reddito imponibile viene di seguito analizzata a seconda delle diverse aliquote applicate. Da tale elaborazione si
evince che, nel triennio preso in considerazione, si è verificata una diminuzione della percentuale
di reddito imponibile a cui si applica l’aliquota ordinaria del 37%, che passa dal 98,8% del 1998
all’89,4% dell’anno d’imposta 2000 (tab. 1.37). Questa tendenza riguarda senza distinzione tutti i
Tab. 1.36 - Aliquote fiscali medie effettive Irpeg e Irap per attività economica (a)
Attività economica
Aliquote medie effettive (b)
————————————————————————————————————————————
Irpeg
Irap
Irpeg+Irap
—————————————
—————————————
—————–———————
1998
1999
2000
1998
1999
2000
1998
1999
2000
Industria
Servizi (c)
Totale economia (c)
32,0
33,7
32,6
26,7
33,0
29,2
29,1
31,7
30,3
15,8
15,5
15,9
13,0
13,7
13,5
14,2
13,8
14,2
47,7
49,2
48,5
39,7
46,7
42,8
43,3
45,5
44,6
(a) Aliquote in percentuale rispetto all'utile ante imposta delle società di capitali ed enti commerciali.
(b) L'aliquota per l'imposta è calcolata come rapporto tra la somma dell'Irpeg netta e l'Irap dovuta e l'utile ante imposta.
(c) Esclusi i settori delle banche, della finanza e delle assicurazioni.
Fonte: Elaborazioni su dati Mef, Unico, Le Società di capitali e gli enti commerciali, (1999), pp. 204, 259, 480, 492; (2000), pp. 261,
324, 574, 585; (2001), pp. 72.
58 Per le società i cui titoli di partecipazione erano ammessi, successivamente alla data di entrata in vigore del decreto istitutivo, alla quotazione nei mercati regolamentati dei paesi Ue, l’aliquota era ridotta al 7% - SuperDit (art. 6 D.
Lgs. 466/97).
59 La remunerazione ordinaria del capitale si calcola applicando un tasso d’interesse nominale ai soli incrementi di
patrimonio netto dal 1996. Il tasso d’interesse da applicare era determinato con decreto legge in base agli andamenti dei
tassi d’interesse sui mercati delle obbligazioni pubbliche e private (nei primi anni di applicazione è sempre stato fissato al 7%).
60 La «legge Visco» prevedeva l’applicazione di un’aliquota d’imposta ridotta (pari al 19%) su una quota di reddito
imponibile pari all’importo degli investimenti in beni strumentali al netto degli ammortamenti. A tale ammontare doveva anche corrispondere un pari aumento del patrimonio netto.
79
IL QUADRO GENERALE
Tab. 1.37 - Distribuzione del reddito imponibile per aliquota fiscale di riferimento (a)
Reddito soggetto
al 37%
Attività
Aliquota ridotta
al 19% (b)
Reddito soggetto
ad aliquote Dit
al 19% o al 7%
—————————— ———————— ——————————
1998 1999 2000 1998 1999 2000 1998 1999 2000
Reddito soggetto
ad altre aliquote
Totale
————————— ——————————
1998 1999 2000 1998 1999 2000
Industria
Banche, finanza
e assicurazioni
Servizi (c)
98,6 95,5 91,8
n.d.
2,7
5,0
1,2
1,7
2,6
0,1
0,1
0,7
100
100
100
99,5 96,7 90,3
98,8 95,6 85,7
n.d.
n.d.
0,7 1,6
2,8 10,6
0,3
1,2
0,5
1,6
5,6
2,7
0,2
–
2,1
–
2,5
0,9
100
100
100
100
100
100
Totale
98,8 95,6 89,4
n.d.
2,2
0,9
1,4
3,4
0,3
0,8
1,4
5,6
(a) Quote percentuali sul totale imponibile.
(b) Imposta calcolata applicando l'aliquota ridotta del 19% alla parte di reddito imponibile che beneficia dell'agevolazione Visco a
partire dall’anno d’imposta 1999.
(c) Si intendono i servizi privati esclusi quelli bancari, finanziari e assicurativi.
Fonte: Elaborazioni su dati Mef, Unico, Le società di capitali e gli enti commerciali, (1999) pp. 203; (2000), pp. 260; (2001), pp. 157.
settori dell’economia: l’industria, in particolare, vede la propria quota di reddito imponibile soggetta ad aliquota ordinaria scendere dal 98,6% al 91,8%. Per tutti i settori a tale diminuzione corrisponde, come conseguenza, un aumento della percentuale di base imponibile a cui vengono applicate le aliquote agevolate (sia quella del 19%, introdotta con la legge Visco, che passa dal 2,2%
del 1999 al 5,6% del 2000, sia quelle della Dit, dallo 0,9 del 1998 al 3,4 per cento).
Tale aumento dell’applicazione di aliquote agevolate non sembra, però, concordare con le
elaborazioni qui proposte delle aliquote medie pagate dalle imprese, che nel 2000 aumentano
rispetto al 1999. La spiegazione di tale divergenza nei trend può essere esplicitata attraverso l’analisi di un’altra componente fondamentale per la determinazione del carico fiscale per le imprese; oltre alle aliquote ridotte, infatti, la determinazione dell’aliquota effettiva dipende anche
dal rapporto tra reddito imponibile e utili ante imposte che, nel periodo considerato per il totale dell’economia, passa dal 90,2%, del 1998 al 82,6% del 1999 al 89,8% del 2000. La dinamica di
questo rapporto rispecchia l’andamento delle aliquote medie effettive delle elaborazioni sopra
riportate.
1.4.3.2. Per gli anni successivi al 2000, per i quali non sono disponibili dati analitici di fonte
Mef, è possibile effettuare il calcolo delle aliquote medie effettive solo utilizzando i dati di bilancio delle imprese, come ad esempio quelli raccolti e riclassificati da Mediobanca61. Poiché nei dati
di bilancio alla voce «imposte» corrisponde tutta l’Irpeg e l’Irap versata dalle aziende62, l’unico indicatore di pressione fiscale che è possibile costruire è il rapporto tra le imposte come da bilancio
e il valore degli utili ante imposte. Ai fini della comparazione viene qui costruito un indicatore
omogeneo, calcolato rapportando la somma dell’Irpeg e Irap dovuta al corrispettivo utile d’esercizio prima delle imposte.
Per l’intera economia, secondo i dati fiscali, l’aliquota media effettiva risulta pari al 48,5% nel
1998, al 42,8% nel 1999 e al 44,6% nel 2000. Le aliquote corrispondenti con i dati Mediobanca63
sono rispettivamente 45,2, 38,9 e 36,4 per cento (cfr. tab. 1.38). Una spiegazione della divergenza
61 Cfr. Mediobanca, Dati cumulativi di 1941 società italiane (2003). L’indagine Mediobanca si riferisce a un gruppo di
aziende italiane di dimensione medio-grande operanti nell’industria e nel terziario. Sono considerate medie le imprese
che non appartengono a gruppi di grande dimensione e che nel 2002 non hanno superato un fatturato di 265 milioni di
euro e un numero di addetti di 499 unità.
62 Ma anche altri valori quali, ad esempio, le imposte differite.
63 Le aliquote sono state calcolate utilizzando i dati di Mediobanca di 641 imprese costantemente in utile. Il fatturato medio di questo campione di imprese è nel 2002 di 218 milioni di euro, tale ammontare risulta simile al fatturato
medio del nostro campione Aida per quanto riguarda la selezione delle sole grandi imprese che corrisponde a circa 200
milioni di euro.
80
IL QUADRO GENERALE
osservabile sia nei livelli che nel trend delle aliquote può essere imputata alla particolare composizione dell’universo Mediobanca, in cui non sono presenti imprese di piccola dimensione (le stesse imprese definite «medie» hanno un peso limitato, costituendo circa il 25% del campione in termini quantitativi — a cui corrisponde solo il 5,8% del fatturato totale del campione). I livelli bassi
di queste aliquote si spiegano, secondo Mediobanca, con l’applicazione dell’aliquota al 19% sulle
plusvalenze (ad es. per operazioni di ristrutturazione societaria: cessione, conferimento d’azienda,
fusioni)64.
Allo scopo di tenere conto per quanto possibile di questa distorsione a livello dimensionale è
stato costruito, per il periodo che va dal 1998 al 2002, un data-set dei bilanci relativi alle società di
capitali appartenenti al settore dell’industria in senso stretto65 presenti all’interno della banca dati Aida (nella quale risultano rappresentate, almeno in parte, anche imprese di dimensione mediopiccola). L’analisi è stata condotta all’interno di un campione chiuso di 13.893 imprese con utile
d’esercizio prima delle imposte non negativo. Il trend delle aliquote medie ottenute dai bilanci
somma dell’aggregato in questione è molto simile a quello rilevato sulla base dei dati fiscali.
Nell’intero periodo considerato l’aliquota media è scesa dal 45,8% del 1998 al 33,5% del 2002 (tab.
1.38). Per avere un confronto con i dati Mediobanca dall’insieme dei bilanci sono state scorporate
658 «grandi» imprese (oltre 40 milioni di euro), per le quali l’aliquota media è passata dal 42,3%
del 1998 al 28,9% del 2002.
Come nel caso delle aliquote effettive riportate nella tabella 1.36, anche in questo caso l’aliquota media relativa al bilancio somma è una media implicitamente ponderata, in cui il peso delle singole imprese è la loro quota di utili sul totale degli utili prodotti dal sistema. Tale aliquota pertanto non è rappresentativa di quanto in media viene pagato dalle singole imprese: in particolare,
il valore mediano per il campione qui utilizzato è sempre molto più elevato della media dell’aggregato, anche se il trend è comunque in discesa (dal 65,3% del 1998 al 58,6% del 2002). Questo
significa che nel 2002 il 50% delle imprese del nostro campione paga un’aliquota pari o superiore
a 58,6% degli utili ante imposta.
Tab. 1.38 - Aliquote medie effettive
MEF
Mediobanca (a)
Banca dati Aida (b)
Banca dati Aida: grandi imprese (c)
1998
1999
2000
2001
2002
48,5
45,2
45,8
42,3
42,8
38,9
36,3
30,3
44,6
36,4
38,8
32,7
n.d.
33,5
36,3
31,5
n.d.
28,1
33,5
28,9
(a) L'aliquota media effettiva è stata calcolata con i dati delle società costantemente in utile o in pareggio nel periodo 1993-2002.
(b) Calcolate attraverso un’elaborazione dei dati Aida.
(c) Per grandi imprese si intendono quelle con oltre 40 milioni di euro di fatturato (658 imprese).
Aliquote in percentuale del risultato d'esercizio prima delle imposte.
Fonte: Elaborazione su dati Mef; Mediobanca, (2003) dati cumulativi di 1941 società italiane, pp. 12, e dati Aida.
1.5. Cambi, interscambio commerciale, investimenti esteri
1.5.1. L’evoluzione del commercio estero dell’Italia
1.5.1.1. L’avanzo di bilancia commerciale (cif-fob), sceso dal picco di 35 miliardi di euro del 1996
a meno di 2 miliardi nel 2000 e lievemente risalito nel 2001-02, nel 2003 si è di nuovo pressoché
64
Con l’entrata in vigore del D. Lgs n. 358 del 1997 (c.d. Riforma Visco), l’aliquota sulle plusvalenze era del 27%. Il
versamento dell’imposta poteva, inoltre, essere rateizzato in cinque anni al massimo. Dal dicembre 2000 (L. 342) l’aliquota è scesa al 19% non più rateizzabile.
65 Codici Ateco dal 10 al 41.
81
IL QUADRO GENERALE
prosciugato a poco più di 1 miliardo di euro. A ciò ha concorso sia un aumento di 3,4 miliardi nel
disavanzo (ormai permanente) verso la Ue, sia una riduzione nel tradizionale avanzo verso le aree
extra-Ue di 4,2 miliardi.
A prezzi costanti, il 2003 ha visto un contributo fortemente negativo delle esportazioni nette alla crescita del Pil. Da un lato, i bassi investimenti e la prolungata caduta della produzione
industriale hanno indotto un calo assoluto dei volumi importati, mentre l’apprezzamento dell’euro ha tenuto fermi i prezzi medi all’importazione a fronte di sensibili rincari delle quotazioni in dollari dei prodotti energetici e di alcune materie prime. Ma d’altro lato i volumi esportati
hanno registrato, stando ai dati Istat per ora disponibili, un calo assoluto tra il 4 e il 5 per cento, accompagnato da un aumento dei prezzi (valori medi per unità di peso) di poco inferiore
all’1% (cfr. anche infra, parr. 1.3.1.3 e 1.3.1.5).
Il profilo tendenziale all’inizio del 2004 vede una flessione ancora più pesante dei volumi sia
esportati che importati rispetto agli inizi dell’anno precedente. Benché l’accelerazione prevista
del commercio mondiale — più debole in Europa e più marcata in Asia e Nord America — faccia presagire una ripresa delle esportazioni italiane nei prossimi trimestri rispetto ai bassi livelli passati, una accelerazione anche modesta della domanda interna in Italia, unita agli effetti di
un euro non più debole come due anni fa, dovrebbe in prospettiva tendere a far crescere i volumi importati.
1.5.1.2. L’interpretazione dei dati relativi a quantità e prezzi nella bilancia commerciale italiana è sempre aperta a dubbi e riserve, e a confronto con i maggiori concorrenti dell’area dell’euro
la forbice prezzi-quantità non appare sempre immediatamente decifrabile. Un esempio è dato dal
profilo nettamente calante dei prezzi in euro delle esportazioni tedesche (soprattutto nei confronti dei mercati extra-Ue), che si è accompagnato ad aumenti anche sensibili dei volumi esportati
(un quadro simile sembra emergere anche per altre economie dell’area Ue), mentre l’Italia ha registrato nello stesso periodo e con lo stesso cambio dell’euro contemporaneamente aumenti dei
prezzi e calo dei volumi. Questo fenomeno può riflettere naturalmente un comportamento da parte delle imprese esportatrici (o di una parte di esse) orientato a privilegiare i margini sui mercati
esteri rispetto ai volumi (comportamento emerso più volte in passato in presenza di un deprezzamento del cambio della lira); è tuttavia singolare che questa possa essere la spiegazione del fenomeno anche in un anno come il 2003, caratterizzato da un lato da una forte pressione concorrenziale sia esterna che interna all’area euro, e dall’altro da un basso profilo di crescita della domanda interna e estera.
Un’ipotesi alternativa, più volte formulata nelle analisi sul «caso italiano», è che queste tendenze riflettano invece una evoluzione virtuosa nella composizione delle esportazioni italiane (indotta proprio dalla crescente concorrenza esterna e in atto ormai da tempo), sub specie di un graduale spostamento verso l’alto delle fasce qualitative dei prodotti venduti sui mercati esteri, siano
essi di consumo, intermedi o di investimento.
1.5.2. Competitività e quote di mercato
1.5.2.1. Il cambio reale dell’euro, misurato in termini di prezzi industriali (fig. 1.40) e ancor più
in termini di costo del lavoro per unità di prodotto, ha subìto un sensibile apprezzamento (perdita di competitività) nel corso dell’ultimo biennio, anche se dall’inizio del 2004 il dollaro ha recuperato di circa il 6% rispetto all’euro66.
Considerando la quota delle esportazioni italiane rispetto al commercio mondiale emerge
con chiarezza la misura della forbice tra prezzi e volumi sopra ricordata: mentre la quota italiana a prezzi e cambi correnti (fig. 1.41) manifesta una qualche ripresa nel triennio più recente, dopo la forte caduta sperimentata dal 1996 al 2000, a prezzi costanti (tab. 1.39) la quota nel
2002-03 manifesta una netta caduta rispetto al quadriennio precedente, e perde circa un pun66 Il cambio effettivo reale della lira, misurato in termini di prezzi al consumo o alla produzione, resta in ogni caso
attualmente più competitivo di 5-10 punti percentuali rispetto agli inizi degli anni Novanta (cfr. le precedenti edizioni
del Rapporto).
82
IL QUADRO GENERALE
Fig. 1.40 - Cambi effettivi e prezzi relativi
to (dal 5 al 4 per cento) rispet(Indici 1995=100)
to alla prima metà degli anni
Novanta. Ciò sembrerebbe im150
plicare una elasticità-prezzo
Cambio effettivo reale (a)
della domanda rivolta alle
140
Cambio effettivo nominale
esportazioni italiane inferiore
Prezzi relativi
Cambio effettivo reale (b)
all’unità, segno di un forte po130
tere di mercato67.
L’interpretazione del feno120
meno, anche per la qualità dei
dati disponibili, non è scevra di
110
ambiguità. A differenza di
quanto accaduto in passato, la
100
figura 1.41 sembra anche indicare che una accelerazione del90
la domanda mondiale non si è
1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003
più accompagnata, come nel
triennio 1993-95 e ancora nel
(a) Calcolato in base ai prezzi alla produzione.
(b) Calcolato in base al Clup.
2000, ad un calo, se pure lieve,
Fonte: Elaborazioni su dati Eurostat e Istat.
della quota italiana sulle esportazioni mondiali (il dato aggregato deve in ogni caso essere
valutato in relazione alla comFig. 1.41 - Beni manufatti: tassi di crescita della domanda
mondiale e quota di mercato dell’Italia
posizione della domanda per
(Valori correnti)
mercati e settori - infra, di seguito).
6
20
Ancora la tabella 1.39 evidenzia, sempre per il biennio
15
5
2002-03 rispetto alla media del
4
10
quadriennio precedente, andamenti difformi tra i concorrenti
3
5
dell’Italia. In maggiore o minor
misura perdono quota sulle
0
2
esportazioni mondiali, come
-5
1
l’Italia, anche Stati Uniti, Giappone, Francia e Regno Unito.
-10
0
Corrispettivamente guadagna1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003*
no quota non solo le economie
Domanda Mondiale
Quota Italia (scala destra)
dinamiche dell’Asia, Cina in testa, ma anche paesi più vicini
* Dato provvisorio.
come Germania, Spagna,
Fonte: Statistics Canada (World Trade Analyzer) per gli anni 1990-96; Ice (Gti) per
gli anni 1997-2003.
Irlanda, nonché le economie
della nuova Europa (in cui lo
sviluppo della domanda interna
concorre a sua volta a spiegare i successi delle esportazioni delle imprese tedesche, che per ragioni di lingua e altre radici storiche da tempo sono fortemente insediate come partner e fornitori nei principali paesi dell’area). Diversi esercizi di constant market share analysis, ripetutamente condotti negli anni dall’Ice, confermano che la perdita della quota italiana sulle esportazioni
mondiali risente non solo di una composizione tendenzialmente sfavorevole dei mercati e dei
settori in termini di dinamica della loro domanda, ma anche di un effetto di minore competiti67
L’esistenza di un apprezzabile potere di mercato da parte dei produttori nazionali di beni di consumo è documentata in un recente contributo apparso nella serie dei Working Paper del Centro Studi Confindustria (cfr. S. de Nardis
e C. Pensa, Misure del potere di mercato degli esportatori italiani di beni tradizionali, CSC Working Paper n. 37, giugno
2003).
83
IL QUADRO GENERALE
Tab. 1.39 - Quote di mercato sulle esportazioni mondiali per
aree
(Prezzi costanti 1992)
Paesi
1992-95
1996-2000
2001
vità a parità di composizione
percentuale dei mercati e dei
settori68.
2002
1.5.2.2. Dal punto di vista
dei mercati di sbocco, le esportaEconomie avanzate (a)
77,7
76,0
74,1
73,0
zioni italiane tendono a restare
Unione Europea
41,2
39,4
38,8
37,3
forti su mercati relativamente viFrancia
6,1
6,4
6,5
6,1
cini, ma spesso a crescita della
Germania
10,4
10,7
11,4
11,2
domanda meno dinamica (come
Irlanda
0,9
1,3
1,5
1,3
la vecchia Europa), e/o di limitaItalia
5,0
4,7
4,4
4,0
ta dimensione (paesi nuovi enRegno Unito
5,1
5,1
4,9
4,7
trati e di prossima entrata nella
Spagna
1,9
2,4
2,4
2,4
Ue, Africa), mentre restano assai
Giappone
8,1
6,8
6,4
6,4
meno rilevanti su mercati lontaStati Uniti
11,8
11,7
10,3
10,1
ni e difficili ma di grande dimenNies (b)
8,8
10,0
10,6
11,7
sione e a domanda dinamica, coEuropa centro - orientale
2,8
3,0
3,4
3,7
me il Nafta e il grande mercato
Paesi in via di sviluppo (c)
18,6
20,1
21,6
22,6
asiatico. A confronto con quanto
Asia
8,6
9,9
11,8
12,9
sembrano registrare la Germania
America latina
4,2
4,8
4,8
4,8
e alcuni paesi minori della Ue,
(a) Somma delle seguenti aree: Unione Europea, Australia, Canada, Giappone,
l’Italia mostra di fare più fatica a
Islanda, Norvegia, Nuova Zelanda, Stati Uniti Svizzera, Nies.
intercettare il potenziale di
(b) Corea del Sud, Hong Kong, Singapore e Taiwan.
espansione di domanda su que(c) Africa, Asia, Medio Oriente e America Latina.
Fonte: Ice.
sti mercati.
I dati degli ultimi mesi mostrano comunque che le esportazioni italiane stanno crescendo vigorosamente sui mercati nella nuova Europa, oltre che in mercati attualmente in forte crescita come Turchia, Russia e paesi Opec medio-orientali. Nel primo trimestre 2004, a confronto col corrispondente trimestre del 2003, a fronte di un calo di quasi un punto percentuale delle esportazioni totali (a prezzi correnti), l’Italia ha registrato una crescita tendenziale del 5% nei paesi oggi nuovi membri della Ue, del 9% in Russia, di quasi il 15% in Turchia,
del 6-7% nell’area Opec. Ne approfittano favorevolmente le industrie del sistema-moda, del sistema-casa, degli elettrodomestici, della meccanica strumentale.
E tuttavia, secondo recenti elaborazioni di fonte Ice, fra il 1997 e il 2003 la quota italiana sulle esportazioni mondiali verso l’Europa centro-orientale (che include la Russia) è aumentata soltanto dello 0,8%, mentre la Germania è riuscita ad accrescerla di quasi il 4% e la Cina del 2,6%.
Sul mercato dell’America settentrionale la tenuta della quota italiana, comunque su livelli bassi
(meno del 2%) contrasta con la perdita notevole (superiore al 3%) delle esportazioni giapponesi; nello stesso periodo tuttavia la Germania è riuscita ad espandere la propria quota dal 4,2 al
5 per cento, e la Cina è passata dal 6,4 a quasi il 9 per cento. Sul mercato dell’Asia Orientale,
sempre negli ultimi sei anni, la quota italiana sulle esportazioni mondiali si è ulteriormente ridimensionata, pur partendo da livelli già bassi (dall’1,6 all’1,2 per cento). Stati Uniti e Giappone
hanno subìto perdite anche maggiori, ma la Germania si è mantenuta poco al di sotto il 4%, e
la Cina è diventata il primo fornitore con una quota superiore al 13%, aumentata di quasi quattro punti.
1.5.2.3. Sul piano settoriale (tab. 1.40) l’evidenza disponibile segnala come il modello di specializzazione dell’Italia stia gradualmente modificandosi. Questo cambiamento appare tuttavia più
il risultato di una perdita di terreno nei settori tradizionali di consumo, dove la domanda mondiale cresce più lentamente e le quote italiane sono erose nelle fasce più basse dalla crescente penetrazione dei paesi a basso costo del lavoro, che di significativi guadagni di quota nei settori a do68
Cfr. su questo punto anche G. Foresti, An Attempt to Explain the Italian Export Market Share Dynamics During
the Nineties, CSC Working Paper, n. 47, marzo 2004.
84
IL QUADRO GENERALE
Tab. 1.40 - Quote di mercato settoriali dell’Italia sulla domanda mondiale
Attività economiche
Industria estrattiva
Alimentari e bevande
Tessile e maglieria
Abbigliamento
Pelli e calzature
Legno, mobilio e arredamento
Carta, cartotecnica, stampa ed editoria
Prodotti energetici da raffinazione
Chimica
Lavorazione della gomma e della plastica
Vetro e ceramica
Materiali da costruzione di base
Metallurgia
Lavorazione dei metalli
Apparecchi meccanici ed elettrici
Meccanica strumentale
Elettronica
Elettrotecnica strumentale
Strumenti di precisione
Autoveicoli
Altri mezzi di trasporto
1991-96
1997-2001
2002
2003 (a)
0,2
3,6
8,7
8,4
16,9
8,7
3,7
3,0
3,6
6,4
12,2
22,8
3,9
8,4
9,4
9,8
2,1
3,8
3,0
3,8
3,4
0,1
4,2
8,9
6,3
14,5
8,2
3,5
2,8
3,5
6,5
11,4
17,8
3,2
8,0
9,8
9,7
1,2
3,1
2,8
3,4
3,7
0,1
4,5
8,2
6,3
13,9
7,7
3,6
2,9
3,5
6,2
11,0
15,6
3,4
7,6
9,6
9,7
1,0
3,0
2,7
3,0
4,4
0,1
4,5
8,2
6,4
13,9
7,3
3,7
3,3
3,5
6,2
11,0
14,4
3,4
7,7
9,8
9,5
0,9
3,0
2,7
3,2
3,8
(a) Dato provvisorio.
Fonte: Statistics Canada (Wold Trade Analyzer) per gli anni 1990-96; Ice (Gti) per gli anni 1997-2003.
manda più dinamica e più nettamente orientati alla tecnologia. La quota italiana complessiva sulla domanda mondiale misurata a prezzi correnti è calata di 0,7 punti percentuali tra la prima metà degli anni Novanta e il biennio 2002-03; questa flessione è il risultato di una caduta più o meno
sensibile di alcune industrie (abbigliamento, pelli-calzature, legno-mobilio, vetro-ceramica, materiale da costruzione, lavorazione dei metalli) e del tendenziale miglioramento di altri (alimentaribevande, prodotti energetici da raffinazione, carta-cartotecnica-editoria, apparecchi meccanici ed
elettrici). La caduta di quota per il primo gruppo di settori appare ancora più evidente sul mercato
tedesco (quasi sempre il primo mercato di sbocco per l’Italia): secondo dati di fonte Ice, negli ultimi quattro anni la flessione è stata di 5 punti percentuali nell’industria delle pelli e calzature, di 6
punti nella gioielleria-oreficeria, 6-7 punti nel legno e mobilio, 7 punti nel vetro-ceramica.
Le quote nei settori tradizionali del made in Italy di consumo stanno ridimensionandosi anche
sui mercati dell’America settentrionale e meridionale e sul mercato cinese. Al contrario proprio all’interno del commercio intra-asiatico e dell’area Nafta (due aree in forte espansione della domanda) cresce con particolare forza la concorrenza delle esportazioni cinesi.
1.5.2.4. Nel dettaglio, i dati di trade contenuti nei quadri macrosettoriali del Rapporto (relativi
a 21 industrie) offrono la possibilità di individuare ulteriori linee di tendenza del fenomeno.
L’industria alimentare registra un buon tasso di crescita medio annuo delle esportazioni nel periodo 1997-2003 (4,3% contro un calo medio delle esportazioni italiane in valore del 4%), al tempo stesso confermandosi anche sesto importatore mondiale. Sul mercato interno della Ue l’Italia
ha scavalcato il Regno Unito come concorrente e ha seriamente indebolito la quota dei concorrenti
francesi.
I settori del made in Italy di consumo vedono, come già notato, un progressivo cedimento di
quote italiane a fronte di una impetuosa avanzata della Cina e di altri paesi emergenti.
Nell’industria tessile e della maglieria la Cina copre ormai più del 20% delle esportazioni mondiali, lasciando al secondo posto l’Italia (8,3% nel 2003). Va notata anche la posizione della Cina
85
IL QUADRO GENERALE
come terzo importatore mondiale (secondo, scavalcando la Germania, se si tiene conto dei flussi
di Hong Kong). Ancora più dominante la produzione cinese nell’abbigliamento (quasi il 30% delle esportazioni mondiali, con l’Italia al secondo posto a lunga distanza (6,5%). Ma la Cina è ormai
di gran lunga il primo esportatore mondiale anche nelle produzioni delle filiere conciario-calzaturiera e del legno-arredamento, lasciando l’Italia al secondo posto nella prima (con una quota pari
a circa metà del 31% cinese) e al quarto posto, a ruota della Germania, nella seconda.
Nel campo dei settori caratterizzati da prevalenza di prodotti intermedi, dove l’Italia non spicca per vantaggi comparati ma copre quote di un certo rilievo in alcuni comparti, si possono osservare alcuni segnali interessanti. Nella chimica la quota italiana sulle esportazioni mondiali (calcolata a prezzi correnti) oscilla fra il 3,5 e il 4 per cento, mantenendo una tendenza stabile nel lungo
periodo, e nella filiera cartario-editoriale la quota tende negli anni Novanta ad una leggera crescita (pur mantenendosi a meno di un terzo della quota della Germania, che insieme agli Stati Uniti
resta preminente sul mercato mondiale e dominante sul mercato dell’Europa centro-orientale).
L’Italia perde invece lentamente posizione, nel corso degli anni Novanta, nell’industria del vetro e della ceramica, dove resta peraltro seconda solo alla Germania. In particolare tra il 1997 e il
2003 le quote italiane perdono qualche punto sui mercati della vecchia e nuova Europa e del
Mediterraneo-Medio Oriente a vantaggio dei concorrenti europei e, ancora, della Cina, che in pochi anni ha raddoppiato la propria quota sul mercato mediterraneo e medio-orientale, scavalcando l’Italia come primo fornitore dell’area (18 contro 15 per cento). La perdita di quota è ancora più
rilevante (12 punti percentuali dal 1990) nei materiali da costruzione, dove l’Italia resta comunque
ancora il primo esportatore, con una quota del 15% delle esportazioni mondiali. Anche in questo
caso appare netto l’inseguimento della concorrenza cinese, che col 45% domina di gran lunga il
mercato asiatico, ma penetra sensibilmente anche i mercati europei e mediterranei.
Nella metallurgia l’Italia guadagna terreno sul mercato dell’Europa centro-orientale (ma assai
meno dei concorrenti tedeschi e di altri paesi europei), e registra invece una netta perdita di quota negli anni recenti nella lavorazione dei metalli, che include sia prodotti intermedi (come caldaie,
serbatoi, fusioni metalliche per usi industriali, valvolame) sia prodotti finali (come utensili da cucina e da tavola). In questo ambito la Cina diventa il secondo esportatore dopo la Germania e vede crescere a tassi superiori al 10% annuo anche le proprie importazioni.
Nel campo degli apparecchi meccanici ed elettrici, che comprende l’importante comparto degli elettrodomestici bianchi, lungo gli anni Novanta l’Italia mantiene, e anzi migliora, la propria
posizione come esportatore (prevalentemente grazie ai risultati ottenuti sui mercati extra-europei
più che su quelli europei, sui quali invece perde qualche punto negli anni recenti). Nella meccanica strumentale, che rappresenta la seconda gamba forte dei vantaggi comparati dell’Italia, la quota ha mostrato nell’ultimo decennio una discreta tenuta. In questo caso la Cina svolge come paese esportatore un ruolo ancora modesto, ma tra il 1997 e il 2003 ha registrato in ogni caso tassi di
crescita superiori al 15% medio annuo; è invece primo esportatore mondiale nell’elettronica, con
tassi di crescita superiori al 20% annuo (oltre che secondo importatore mondiale dopo gli Stati
Uniti). In questo ambito la Cina è riuscita a guadagnare sensibili quote anche sui mercati europei
e mediterranei, e non solo su quelli asiatici e nordamericani, mentre l’Italia figura al ventesimo posto tra gli esportatori mondiali e al quindicesimo posto come importatore.
Nell’elettrotecnica strumentale (che include apparecchiature e cavi per produzione, trasmissione e distribuzione dell’energia elettrica, oltre che apparecchiature per illuminazione domestica
e urbana), l’Italia vede ridimensionata dal 4% al 3% la propria quota di esportazioni, anche se negli ultimi tre anni sembra di assistere a una stabilizzazione. Anche in questo campo la Cina è riuscita ad espandere a tassi superiori al 10-15% medio annuo i propri scambi, diventando nel 2003
terzo esportatore mondiale, a ruota con Germania e Stati Uniti, e terzo importatore mondiale.
Anche in questo caso la penetrazione commerciale si estende a i mercati europei e mediterranei.
Nell’ambito degli strumenti di precisione, che include produzioni tecnologicamente avanzate
come apparecchiature per controllo e misura sui processi ed elettromedicale, ma anche comparti
più standardizzati come ottica-foto e orologi, l’Italia mantiene una quota stabile ma modesta, ponendosi nel 2003 come undicesimo esportatore (con meno del 3% delle esportazioni mondiali), e
perdendo negli ultimi anni quote a vantaggio di altri paesi europei oltre che di Messico e Taiwan.
La quota dell’Italia è in tendenziale calo anche nel settore degli autoveicoli; in particolare si
86
IL QUADRO GENERALE
può notare a questo riguardo come le esportazioni italiane, certo in parte integrate con una estesa produzione diretta all’estero in diversi paesi emergenti, abbiano perso terreno a vantaggio della Francia e soprattutto della Germania. Infine, nel settore degli «altri» mezzi di trasporto (aerei,
treni, navi, motocicli), l’Italia riemerge con una quota significativa (intorno al 4%) e tendenzialmente stabile lungo gli anni Novanta.
1.5.3. Tendenze degli investimenti diretti in entrata e in uscita
1.5.3.1. Dopo la vorticosa caduta dal picco di 1400 miliardi di dollari ai 651 miliardi del 2002,
il flusso degli investimenti diretti esteri (Ide) mondiali nel 2003 si è attestato sui livelli dell’anno
precedente e, secondo le prime stime e previsioni dell’Unctad, dovrebbe tornare a crescere nel
2004, in connessione alla ripresa economica mondiale e al migliorato clima di profittabilità e fiducia degli investitori. Della ripresa dovrebbero beneficiare, come paesi riceventi, soprattutto le economie dinamiche dell’Asia orientale, fra cui la Cina, che nel 2003 ha raggiunto un nuovo record di
57 miliardi di dollari (senza tener conto dei 14 miliardi investiti in Hong Kong), la Russia, alcuni
paesi dell’Europa centro-orientale, alcuni paesi africani legati al petrolio, forse anche gli Stati Uniti
(che nel 2003, con 87 miliardi, sono tornati ad essere il primo paese per attrazione degli Ide mondiali). In tendenziale stagnazione o declino è invece l’America Latina. Sempre secondo stime
Unctad, a fine 2002 il fatturato realizzato dalle affiliate estere di imprese multinazionali (vendite
sul mercato locale più esportazioni verso la casa madre e altri paesi) era più del doppio dell’intero valore delle esportazioni mondiali di merci e servizi (17.685 contro 7840 miliardi di dollari). Gli
occupati nelle medesime affiliate estere erano intorno a 53.000 unità.
La composizione geografica dello stock cumulato degli Ide a fine 2002 mostra la preminenza
della quota dell’Europa, che col 36% distanzia di gran lunga il 19% degli Stati Uniti come area di
destinazione, e ancora di più come area d’origine degli Ide in uscita (50% contro 22%). Come area
di attrazione, la Cina ha già superato il 6% dello stock mondiale, e si sta avviando ad assumere un
ruolo anche come paese investitore, sulla scia passata di Hong Kong e Taiwan. Nel lungo periodo,
va registrato il forte avanzamento dell’Europa, come area sia di origine che di destinazione, mentre perdono terreno soprattutto il Giappone (Ide in uscita) e gli Stati Uniti (in entrata). Negli anni
Novanta emergono come importanti aree di attrazione degli Ide mondiali Cina, Asia orientale e
nuova Europa.
1.5.3.2. L’Italia, settimo esportatore e importatore mondiale di merci, resta in undicesima posizione per lo stock di Ide in uscita (superata da Svizzera, Canada, Spagna) e in quindicesima posizione per quelli in entrata (superata da Spagna, Irlanda, Cina, Hong Kong, Brasile, Messico,
Australia), anche se a partire dalla metà degli anni Ottanta molta strada è stata percorsa in entrambe le direzioni (tab. 1.41).
All’inizio del 2003 la banca dati Reprint69 registrava nel solo settore manifatturiero quasi 2.800
imprese italiane con 5.052 partecipazioni all’estero (per quattro quinti di controllo), 920.000 addetti e più di 155 miliardi di euro di fatturato. Il numero delle partecipate risultava quintuplicato
dal 1990, con una dimensione media decrescente a manifestare la crescente quota di imprese manifatturiere medie e medio-piccole come investitrici. Sul fronte degli Ide in entrata, sempre all’inizio del 2003 si contavano 2.362 partecipate da imprese manifatturiere a capitale estero operanti in
Italia (quasi tutte di controllo), ovvero più del doppio rispetto al 1990, con 624.000 addetti e quasi 188 miliardi di fatturato.
Le informazioni di fonte Reprint relative alle partecipazioni in imprese dei principali settori di
servizi non finanziari (commercio ingrosso, logistica e trasporti, informatica e telecomunicazioni,
servizi professionali vari) indicano che complessivamente, sul fronte degli Ide in entrata, a queste
partecipazioni corrispondono circa altre 2400 imprese investitrici italiane, con circa 14.000 partecipate all’estero, 230.000 addetti e 110 miliardi di euro di fatturato. Sul fronte degli Ide in entrata
si registrano altre quasi 3600 partecipate da imprese estere operanti in Italia, con più di 300.000
addetti e quasi 150 miliardi di euro di fatturato.
69
Cfr. Ice, Italia multinazionale 2003, Roma.
87
IL QUADRO GENERALE
Tab. 1.41 - Investimenti diretti esteri in entrata e in uscita
(Industria manifatturiera)
a. investimenti in uscita
Imprese italiane con partecipazioni all’estero
Imprese estere partecipate da imprese italiane
Addetti
Fatturato (a)
1990
Partecipazioni
di controllo
Partecipazioni
totali
Partecipazioni
di controllo
Partecipazioni
totali
Numero
Numero
Numero
Numero
%
2.766
5.052
919.593
155.689
100
100
100
100
293
771
279.749
29.372
b. investimenti in entrata
Imprese partecipate
Addetti
Fatturato (a)
2003
%
72,5
404
71,7
1.075
64,2 435.690
72,3 40.612
%
%
100
2.186 79,0
100
4.029 79,8
100 680.702 74,0
100 117.269 75,3
1990
2003
Partecipazioni
di controllo
Partecipazioni
totali
Partecipazioni
di controllo
Partecipazioni
totali
Numero
Numero
Numero
Numero
%
2.362
623.838
187.757
100
100
100
1.284
409.204
97.499
%
84,3
1.075
78,9 435.690
80,1 40.612
%
%
100
2.112 89,4
100 513.850 82,4
100 150.257 80,0
(a) Milioni di euro.
Fonte: Elaborazioni Ice su dati R&P-Politecnico di MIlano.
Considerando l’insieme dei settori manifatturieri e di servizi, la ripartizione geografica degli
addetti all’estero nelle partecipate estere di imprese italiane risulta, all’inizio del 2003, la seguente: 38% in Europa occidentale, 21% in Europa centro-orientale, 13% in America Latina (in fortissimo calo dal 30% dell’inizio 2000), 9% nel Nord America, 7% in Africa. Per quanto riguarda gli
addetti nelle partecipate italiane di imprese a capitale estero la ripartizione geografica vede prevalere gli investimenti dall’Europa (oltre il 60%); un terzo proviene dal Nord America e il restante
6% da Giappone e altri paesi.
1.6. La politica industriale
1.6.1. Le dismissioni del Ministero dell’economia nel 2003
Nel corso del 2003 il Ministero dell’Economia ha svolto alcune significative operazioni di dismissione di imprese a partecipazione pubblica. Le più importanti operazioni, concentratesi nella
seconda metà dell’anno, hanno riguardato la cessione del 100% del monopolista pubblico dei tabacchi Eti spa e la collocazione sul mercato di un’ulteriore quota (6,6%) di capitale dell’Enel. La
cessione dell’Eti, nata come Ente pubblico economico nel 1998 e trasformata in società per azioni
nel 2000, è la seconda più ingente operazione in termini di introiti effettuata in Italia dal 1999 dopo la cessione della quinta tranche dell’Eni nel febbraio 2001 (tab. 1.42). L’operazione di dismissione è stata condotta con vendita all’asta e avendo come obiettivo la massimizzazione dei ricavi.
L’incasso lordo complessivo, pari a 2,32 miliardi di euro (15,5 volte superiore al margine operativo
lordo registrato dalla società nel 2002) dimostra che, anche in periodi di incertezza dei corsi azionari, è possibile realizzare significative operazioni di dismissione. L’operazione ha consentito al
Ministero dell’economia e delle finanze (Mef) di portare liquidità nel Fondo di ammortamento dei
titoli di stato e di contabilizzare, alla fine dell’anno, una riduzione dello 0,2% del debito pubblico.
88
IL QUADRO GENERALE
Tab. 1.42 - Le privatizzazioni del Ministero dell’Economia, tra
Anche a seguito dei risultati
il 1999 e il 2003: cessioni di quote di controllo e non di conraggiunti con la dismissione
trollo di società
dell’Eti, il Mef è ricorso a una
procedura di vendita all’asta anSocietà
Incasso lordo
che nel caso della seconda tran(milioni di euro)
che dell’Enel. In questo caso lo
strumento utilizzato è stato
A - Cessioni di quote di controllo
quello dell’asta tra banche, defiMediocredito Centrale 1999
2.036,9
nita bought deal70. La struttura
Unim (7,49%) (adesione a Opa) 1999
21,7
Cis 2000
21,7
del bought deal prevede che la
Meliorbanca 2000
15,0
banca o le banche vincitrici delMediocredto Lombardo 2000
38,7
l’asta possano successivamente
Banco di Napoli 1997-nov 2000
493,6
Meliorbanca upside 2001
15,0
vendere i titoli acquisiti entro un
S. Paolo Imi 2001
80,2
breve lasso di tempo (25 giorni
Beni Stabili 2001
2,3
dall’operazione di dismissione
Mediocredito Centrale 2001
1,6
Bnl 2001
76,9
nel caso Enel) o decidere di conMediocredito Umbria 2001
5,9
servare le azioni. Qualora il vinMediocredito Toscano 2002
17,8
citore o i vincitori dell’asta riMediovenezie 2002
0,1
Cariverona 2002
0,3
escano a collocare i titoli sul
Ina 4
1,2
mercato a un prezzo superiore a
Generali spa 2002
74,9
quello pagato, è prevista una
Mediocredito Fondiario Centroitalia 2002
5,6
Telecom 2002
1.434,0
cessione del differenziale allo
Eti 2003
2.320,0
Stato venditore (meccanismo
Mediocredito Friuli Venezia Giulia 2003
61,3
c.d. dell’earn out). In caso di
Totale privatizzazioni
4.343,4
prezzo inferiore, il rischio è a caB - Cessioni di quote non di controllo
rico degli acquirenti. L’asta si è
Enel 1999
16.549,3
conclusa con la vendita della seEni 5 2001
2.720,8
conda tranche dell’Enel alla banEnel 2003
2.173,0
ca americana Morgan Stanley
Totale smobilizzi
21.443,2
che ha pagato un prezzo pari a
5,432 euro per azione71, geneFonte: Elaborazioni su dati Ministero dell’economia e delle finanze.
rando un incasso per un ammontare complessivo di circa 2,2
miliardi di euro, che ha consentito al Ministero di contabilizzare un ulteriore abbattimento del debito pubblico di 0,2 punti percentuali e di avvicinarsi all’obiettivo del 105% del rapporto debito/Pil
dichiarato dal Governo per il 2003.
Nonostante la cessione di questa seconda quota, la partecipazione dello Stato nell’Enel (pari al
50,628%), garantisce ancora un ampio controllo pubblico della società. L’incasso ottenuto con la
cessione della quota Enel rappresenta il 47,7% del totale realizzato nel 2003. Il mantenimento del
controllo costituisce peraltro una caratteristica di fondo delle privatizzazioni italiane: tra il 1992 e il
2003 circa il 53% delle operazioni ha comportato una cessione non di controllo ai privati72. Infatti
se dal ricavo lordo complessivo di 128,768 miliardi di euro (pari al 12,3% del Pil; cfr. tab. 1.43) si sottrae la quota relativa al trasferimento di indebitamento (13,2 miliardi di euro), si ottiene che i proventi derivanti da operazioni di vendita cui ha corrisposto una cessione di quote di controllo ai privati costituiscono solo 54,51 miliardi di euro circa. Gli incassi derivanti da privatizzazioni sostanziali
70
La bought deal è una tecnica di dismissione che è stata utilizzata anche in altri paesi europei, per esempio per la
cessione di una quota della Renault in Francia e della società di telecomunicazioni olandese Kpn. L’asta riguarda il prezzo di acquisto dei titoli: vince chi offre il prezzo più elevato. Sulla base di questa procedura, la banca o le banche vincitrici dell’asta sono lead manager, ossia possono avvalersi di altri istituti di credito per gestire il successivo collocamento
dei titoli sul mercato.
71 Il prezzo pagato include un premio superiore al 3% del prezzo del titolo del giorno prima della vincita dell’asta.
La banca ha successivamente collocato l’intero ammontare delle azioni in due tempi a un prezzo inferiore a quello pagato (5,42 e 5,35 euro per azione).
72 Questa caratteristica si è accentuata negli ultimi sei anni: dal 1998, più del 64,5% degli incassi ha riguardato la
cessione di quote non di controllo, toccando punte del 76,5% nel 1999 e del 93% nel 2001.
89
IL QUADRO GENERALE
Tab. 1.43 - Privatizzazioni
(In % del Pil) (a)
Operazioni effettuate
Controvalore delle cessioni
– Indebitamento trasferito
= Ricavo netto
– Cessioni non di controllo
Cessioni di controllo
di cui incerte:
Cessioni di controllo sicure
Francia
Germania
Spagna
Regno Unito
Italia
7,8
–
7,8
2,4
5,4
0,2
5,2
5,4
–
5,4
4,0
1,4
0,1
1,3
8,3
–
8,3
0,1
8,2
0,1
8,1
13,4
1,5
11,9
–
11,9
–
11,9
12,3
1,3
11,0
5,7
5,3
–
5,3
(a) Le percentuali sono ottenute sommando i rapporti fra incassi da privatizzazione e Pil dei vari anni in cui si è privatizzato (1984-96
per il Regno Unito, 1986-88 e 1993-2003 per la Francia, 1986-88 e 1992-2003 per la Spagna, 1991-2002 per la Germania, 19922003 per l’Italia).
Fonte: Elaborazioni su dati Ministero del tesoro italiano, inglese, francese e spagnolo, Mediobanca e Bloomberg. Per la Germania i dati sono di fonte Ifr e Ocse.
Tab. 1.44 - Partecipazioni detenute dal Ministero
dell’Economia per settore, aprile 2004
Società
Sace
Consap spa
Coopercredito spa
Cassa Depositi e Prestiti
Finmeccanica spa
Settore di
attività
Quota
partecipata
Assicurativo
100,0
100,0
Bancario
14,4
70,0
Difesa
32,4
Seat spa
Editoriale
0,1
Enel spa
Eni spa
Grtn spa
Sogin spa
Energetico
50,6
25,3
100,0
100,0
Poste italiane
Rai Holding
Alitalia
Ferrovie dello Stato spa
Enav spa
Anas spa
Fintecna spa
Fime spa
Sviluppo Italia spa
Italia Lavoro spa
Sogesid spa
Patrimonio dello Stato
Istituto Poligrafico e Zecca
dello Stato
Consip spa
Sicot srl
Cinecittà Holding spa
Coni Servizi spa
Postale
65,0
Radio-televisivo
100,0
Trasporti
63,4
100,0
100,0
Infrastrutture
100,0
Metalmeccanico
100,0
Servizi per il Mezzogiorno
100,0
100,0
100,0
100,0
Servizi vari
100,0
Fonte: Ministero dell’economia e delle finanze e Consob.
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
rappresentano dunque il 5,3%
del Pil, contro il 5,7% corrispondente a quelli derivanti da cessioni di quote non di controllo.
Per la cessione di quote di
controllo, i risultati dell’Italia sono in linea con quelli francesi
(5,2% del Pil)73, peggiori di quelli registrati dalla Spagna (8,1%) e
dal Regno Unito (11,9%).
Tuttavia, l’Italia è il paese con la
più ampia differenza tra il controvalore complessivo delle cessioni e l’ammontare degli incassi
derivanti da cessioni di quote di
controllo (in percentuale del Pil,
rispettivamente 12,3% vs. 5,3%),
mentre per gli altri paesi a confronto la differenza non supera i
quattro punti percentuali di Pil.
Nonostante il processo di
privatizzazione sia stato avviato
dal 1992, la presenza dello Stato
è ancora rilevante in alcuni settori strategici per l’economia. Il
Ministero detiene il 100% del capitale o quote di maggioranza/controllo in aziende del settore energetico, dei trasporti, delle
telecomunicazioni e in altri (tab.
1.44). In alcuni casi l’opportunità
di procedere a operazioni di dismissione richiede valutazioni
relative sia all’efficienza delle im-
73 Dopo una battuta d’arresto del 2002, anche la Francia ha effettuato importanti operazioni di dismissione nel corso del 2003: tra le altre, ha ceduto il 15,75% della partecipazione detenuta in Dassault systémes (settore aerospaziale )
e il 13,5% di Orange controllata da France Telecom.
90
IL QUADRO GENERALE
prese che al benessere della collettività. Solo nel caso di Coopercredito spa e Seat spa, il Ministero
detiene quote di minoranza del capitale sociale delle società.
1.6.2. La liberalizzazione dei servizi di pubblica utilità
1.6.2.1. Nel marzo 2004 la Commissione europea ha pubblicato il Terzo Rapporto sullo stato
di attuazione delle Direttive sul mercato unico dell’energia (96/92/Ce) e del gas (98/30/Ce)74. Il documento mette in luce come nel corso del 2002 si siano registrati significativi progressi nel processo di liberalizzazione del mercato dell’elettricità (meno in quello del gas). Tra Stati membri rimangono, tuttavia, rilevanti asimmetrie e disomogeneità nelle modalità e nei tempi di implementazione della normativa europea. Al fine di accelerare la formazione di un mercato unico energetico, il Consiglio Affari Generali e Relazioni Esterne dell’Unione europea ha approvato, nel giugno
2003, due nuove direttive (2003/54/Ce per l’energia elettrica e 2003/55/Ce per il gas) che andranno a sostituire dal luglio 2004 le Direttive 96/92/Ce e 98/30/Ce, e un Regolamento relativo alle condizioni di accesso alle reti per gli scambi transfrontalieri.
Le direttive mirano ad armonizzare a livello europeo le disposizioni relative ai tempi previsti
per l’apertura del mercato, agli obblighi di servizio pubblico e di garanzia di servizio universale, alle procedure per la costruzione di nuovi impianti di generazione elettrica (sostituendo le procedure di gara d’appalto con un’autorizzazione da parte dello Stato), alla separazione societaria (e gestionale, ma non proprietaria) dei gestori delle reti di trasmissione e di distribuzione, all’accesso
non discriminatorio di terzi alle reti (sulla base di un sistema tariffario regolamentato). È prevista
anche l’istituzione di un’Autorità nazionale di regolamentazione. Anche il Regolamento, che da
luglio avrà diretta attuazione negli Stati membri, ha lo scopo di rimuovere le disparità normative
tra paesi dell’Unione circa le procedure di allocazione della capacità di interconnessione, fissando
i criteri minimi per la determinazione delle tariffe per il vettoriamento dei flussi transfrontalieri,
per la gestione delle congestioni, per l’utilizzo di un meccanismo di mercato (in particolare di procedure d’asta) destinato all’allocazione di tali capacità.
Nonostante gli sforzi compiuti dal legislatore europeo e dai singoli Stati membri, permangono differenti gradi di apertura dell’offerta e della domanda, disparità nelle condizioni e delle tariffe di accesso alle reti, insufficienza di capacità di interconnessione tra paesi. Questi fattori continuano a condizionare il funzionamento generale (e a limitare le possibilità di sviluppo) dei mercati nazionali, nonché a ridurre i benefici che i consumatori trarrebbero da una completa liberalizzazione del settore. A fronte di ciò, in Italia a quattro-cinque anni dai decreti di liberalizzazione dei
mercati del gas (D.Lgs 164/00, c.d. «Decreto Letta») e dell’energia elettrica (D.Lgs. 79/99, c.d.
«Decreto Bersani»), con i quali veniva recepita la normativa comunitaria, continuano a essere adottate misure di promozione di un graduale cambiamento strutturale orientato alla sostituzione dei
regimi amministrativi con meccanismi di mercato, alla separazione delle fasi competitive da quelle monopolistiche, all’apertura della domanda, alla diversificazione dell’offerta.
Anche il settore delle telecomunicazioni è stato interessato da un cambio del quadro normativo a livello europeo. Il Parlamento europeo e il Consiglio hanno approvato quattro nuove direttive per i mercati delle telecomunicazioni nel marzo 200275, vincolando gli Stati membri a recepirle entro luglio 2003 in ciascun ordinamento nazionale. A fine 2003, solo Austria, Danimarca,
Irlanda, Finlandia, Spagna, Svezia, Regno Unito e Italia hanno adottato misure di recepimento.
Gli aspetti principali del pacchetto di direttive riguardano i poteri e le competenze riconosciute
alle Autorità nazionali di regolamentazione, il coordinamento e la collaborazione tra Commissione, Autorità nazionali, Comitato consultivo e Gruppo europeo dei regolatori per armonizzare l’assetto normativo in ciascuno Stato membro, la definizione dei criteri guida per definire i mercati ri74
Commissione europea, Third Benchmarking Report on the Implementation of the Internal Electricity and Gas Market,
Marzo 2004.
75 La Direttiva quadro comprende: a) la Direttiva 2002/19/Ce relativa all’accesso alle reti di comunicazione elettronica; b) la Direttiva 2002/20/Ce relativa alle autorizzazioni per le reti e i servizi di comunicazione elettronica; c) la Direttiva
2002/21/Ce relativa alle reti e ai servizi di comunicazione elettronica; d) la Direttiva 2002/22/Ce relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica.
91
IL QUADRO GENERALE
levanti (ad esempio, la presenza di forti ostacoli all’accesso al mercato e allo sviluppo della concorrenza), nonché l’individuazione dei mercati rilevanti all’interno dei settori della telefonia fissa,
mobile e delle linee affittate. Tutti i mercati definiti dalla Direttiva quadro sono sottoposti ad analisi da parte delle Authority nazionali per stabilire se siano o meno concorrenziali, per determinare se vi siano o meno operatori con significativo potere di mercato. In tal caso, le Autorità intervengono per imporre agli operatori in posizione dominante l’obbligo più adeguato alla situazione
specifica.
1.6.2.2 (Energia elettrica). Nel corso del 2003 è continuato il processo di apertura del mercato
della generazione dell’energia elettrica, a seguito della dismissione delle tre Gen.Co76 e dell’entrata di nuovi operatori. A dismissione avvenuta, la quota di produzione nazionale dell’incumbent
si è molto ridimensionata, scendendo dal 77,4% del 2000, primo anno di attuazione del Decreto
Bersani, al 45% del 2002 (tab. 1.45), seguito dal Gestore della Rete di Trasmissione Nazionale
(Grtn)77 con circa il 21% e da Endesa Italia s.p.a., nata dalla cessione della prima Gen.Co nel luglio del 2001 (6,7%)78. Questo risultato è in linea con il vincolo posto all’operatore dominante di
non eccedere, a partire dal 1 gennaio 2003, il 50% della produzione e dell’importazione nazionale (D.P.C. del 4.8.1999).
Tab. 1.45 - Evoluzione della struttura di mercato della produzione nazionale
(Composizione %)
2000
Società
Enel Produzione
- Totale Genco
Gruppo Edison
Gruppo Sondel
Altri (Eni, Iel)
Totale produzione
2002
Quota di mercato (a)
56,3
21,1
7,3
2,7
12,7
Società
Quota di mercato (b)
Enel Produzione (c)
Grtn
Endesa Italia
Edison
Edipower
Eurogen
Interpower (d)
Eni
Aem Milano
C.V.A-Idroenergia
Aem Torino
Acea
Altri
100,0
45,0
20,8
6,7
4,9
4,2
2,8
2,5
1,3
1,3
1,0
0,6
0,4
7,8
100,0
(a) Produzione netta, esclusa l'autoproduzione.
(b) Produzione destinata al consumo data dalla differenza tra produzione netta e quella destinata ai pompaggi.
(c) Include la quota di Enel Green Power.
(d) Interpower (oggi Tirreno Power) è stata ceduta nel gennaio 2003.
Fonte: Autorità per l'energia elettrica e il gas.
76
Tra luglio 2001 e novembre 2002, Enel ha ridotto la sua capacità produttiva di 15.000 Mw mediante la cessione
di tre Generation Companies (Gen.Co): Elettrogen da 5.438 Mw, Eurogen da 7.008 Mw e Interpower da 2.611 Mw.
77 Il Grtn ha il compito di immettere nel sistema l’energia ritirata dagli impianti sotto incentivazione CIP6, art.3 del
Dlgs. 79/99.
78 Per un ulteriore approfondimento sull’avvio del processo di liberalizzazione cfr. CSC, Tendenze dell’Industria italiana, Roma, Sipi, giugno 2003 (pp.60-63).
92
IL QUADRO GENERALE
Nei prossimi anni, la concorrenza potrebbe ricevere un ulteriore impulso dalla realizzazione
di nuove centrali in seguito alle autorizzazioni rilasciate dal Ministero delle Attività Produttive
(Map); sulla base di un procedimento amministrativo semplificato (l. n. 83/2003 a integrazione del
c.d. decreto «sblocca centrali») il Map ha concesso, secondo gli ultimi dati disponibili (maggio
2003), autorizzazioni per la costruzione di 14 nuove centrali e per la trasformazione di due centrali
a ciclo combinato, che dovrebbero aumentare la capacità produttiva nazionale di 16.740 Mwt. È
anche in atto il repowering degli impianti delle tre ex Gen.Co (previsto dallo stesso Decreto del
1999) e la loro conversione, per la maggior parte, a ciclo combinato. Con l’ammodernamento di
impianti esistenti e l’entrata in funzione di nuovi sarà possibile aumentare l’offerta di energia nazionale e ridurre il ricorso alle importazioni per far fronte alla crescente domanda di energia.
Ulteriori misure volte ad aumentare l’offerta disponibile e a promuovere la concorrenza riguardano:
i) la formazione di un’area di libero scambio di energia con l’estero. In linea generale,
l’Autorità ha stabilito l’allocazione ai clienti finali della capacità di trasporto sulle reti di interconnessione (tra Italia e la Francia, la Svizzera, l’Austria e la Slovenia) attraverso un meccanismo pro
quota che consentirebbe un incremento dell’offerta proporzionale alla potenza di interconnessione disponibile (delibere n. 190/02 e 200/02; legge n. 273/02). Per l’assegnazione della capacità di
interconnessione residuale (non utilizzata o rivenduta dagli assegnatari al gestore), il Grtn si avvale di un meccanismo d’aste spot mensili79, mentre l’Autorità — in linea con il nuovo
Regolamento europeo — ha previsto per il 2003 un meccanismo non ancora realizzato per un’allocazione giornaliera che dovrebbe far venire meno la necessità di aste mensili (delibere n. 190/02
e 200/02);
ii) la costruzione di nuove linee di interconnessione (merchant lines). L’ampliamento del numero delle linee risponde, oltre che all’esigenza di aumentare l’offerta, anche a quella di sviluppare il sistema di rete, per fare fronte ai problemi di scarsa capacità di interconnessione (utilizzata per importare energia) e di congestione (i c.d. «colli di bottiglia») sulla rete. Una scarsità di offerta di capacità rispetto al fabbisogno di un mercato liberalizzato costituisce un ostacolo alla concorrenza. Al fine di incentivare l’investimento di capitali privati nella costruzione di queste linee si
riconosce un diritto di accesso prioritario all’80% della nuova capacità installata per un periodo di
dieci anni (delibere n. 151/02 e 230/02 dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas)80. Le garanzie di
accesso di lungo periodo rispondono alla necessità di incentivare l’investimento di capitali privati
e di assicurare condizioni di redditività agli operatori che ne sostengono il costo. La fissazione di
un tempo determinato mira a restringere, per quanto possibile, il libero accesso da parte di altre
imprese;
iii) la cessione da parte del Grtn dell’energia ritirata in base alle concessioni c.d. «Cip6»81 al
mercato libero. In un contesto ancora limitato di diversificazione dell’offerta, l’assegnazione dovrebbe costituire uno strumento di promozione della concorrenza. Tale finalità è venuta tuttavia in
parte meno a causa della modalità dell’assegnazione mediante asta, che ha favorito la categoria di
clienti liberi non interrompibili a discapito degli altri (interrompibili con preavviso e senza) e non
ha consentito di coprire con la vendita a 4,7 centesimi di euro/kwh il costo medio di ritiro (pari a
9,109 centesimi di euro/kwh), facendo ricadere sull’utenza complessiva l’onere di copertura della
perdita;
iv) l’avvio della Borsa elettrica (l’Italian power exchange-Ipex) a partire dal 1 aprile del 2004,
che segna un momento importante nel processo di sviluppo della concorrenza. Essa comprende
79
Il ricorso a tale meccanismo è da più parti messo in discussione sia per motivi di trasparenza sia per il ruolo da
importatore svolto impropriamente da parte del Grtn. Cfr. Ref, «Le aste spot per l’import», in Newsletter Osservatorio
Energia, n. 57, giugno 2003.
80 Si sono registrati notevoli ritardi e sono stati prorogati i termini dall’ottobre 2002 all’aprile/maggio 2003 per la
pubblicazione del bando e fino a giugno 2004 per la presentazione di proposte di progetto al Grtn da parte degli operatori interessati (trattasi comunque di imprese operanti, direttamente o per conto terzi, da almeno cinque anni nella
progettazione, realizzazione e manutenzione di elettrodotti e/o stazioni elettriche). Spettano, invece, al proprietario della rete (Terna, la società del gruppo Enel è proprietaria del 95% della rete ad alta e altissima tensione) gli interventi di
adeguamento sulla stessa.
81 Sulla base del provvedimento Cip 6/92 è previsto il finanziamento degli incentivi alle fonti rinnovabili e assimilate. Uno degli aspetti più interessanti della liberalizzazione del mercato è l’assegnazione da parte del Grtn, mediante
aste, della capacità di importazione e dell’energia prodotta da fonti incentivate (energia Cip6) ai clienti idonei.
93
IL QUADRO GENERALE
tre mercati (quello del giorno prima, quello di aggiustamento e quello dei servizi di dispacciamento), e si caratterizza per un meccanismo di offerta e di prezzo di tipo zonale e orario con un
limite massimo raggiungibile pari a 500 euro/Mwh (bid cap). Il meccanismo dei prezzi orari consente di rispecchiare le reali condizioni di domanda e offerta e di coordinare la disponibilità degli impianti con l’andamento del fabbisogno. Sui mercati giornalieri dell’energia (quello del giorno prima e di aggiustamento) possono presentare le proprie offerte solo i produttori e il Grtn
(transitoriamente l’unico acquirente di Borsa). Dal lato della domanda, alla Borsa potranno accedere i clienti liberi (con esclusione di quelli soggetti a contratti bilaterali stipulati con i produttori prima del suo avvio) e l’Acquirente unico, che opera come agente dei clienti vincolati82. Fino al
2005, il funzionamento della Borsa e, in particolare quello del meccanismo di formazione dei
prezzi, sarà comunque condizionato dalla impossibilità da parte degli utenti finali di esprimere
offerte di acquisto e di assumere un ruolo attivo nelle contrattazioni. Spetta infine all’Autorità
un’attività di monitoraggio sull’andamento del mercato e di controllo di potere di mercato degli
operatori (delibera n. 21/04).
Nel mercato della fornitura di energia elettrica continuano a distinguersi le vendite al mercato vincolato da quelle al mercato libero. Delle risorse totali disponibili per la vendita al mercato finale (290,5 Twh), quelle destinate al mercato libero sono state nel 2002 solo il 39,7% (pari a 115,3
Twh)83. Nelle vendite ai clienti finali sul mercato libero persiste una forte concentrazione: quattro
fornitori (Enel Energia, Edison Energia, Egl Italia, Energia) detengono oltre il 67% del mercato.
L’offerta al mercato vincolato è stata caratterizzata dal processo di razionalizzazione della distribuzione di energia elettrica come previsto dal Decreto Bersani (art. 9 del D.Lgs n.79/99). Le cessioni di porzioni di rete da parte di Enel Distribuzione a favore di società partecipate dagli enti locali effettuate dal 2000 ai primi mesi del 2003 hanno comportato per l’incumbent una perdita di più
di 24mila Km di rete e di circa 1,7 milioni di clienti vincolati, per un introito complessivo di circa
1,6 miliardi di euro. In alcuni casi, Enel Distribuzione ha a sua volta acquisito porzioni di reti o ha
rilevato del tutto l’attività di distribuzione e vendita di altre società operanti a livello locale. La ristrutturazione in atto non ha dunque sostanzialmente modificato l’assetto della distribuzione, rimanendo l’87% della quota di mercato all’operatore dominante, seguito dai distributori di Roma
e Milano (Acea e Aem con il 4% di quota del mercato rispettivamente), l’Aem Torino (2%) e il restante 3% frantumato tra più di 200 distributori locali84. L’applicazione delle disposizioni in materia di distribuzione del Decreto Bersani, in particolare del rilascio di un’unica concessione per ambito comunale, ha favorito un assetto molto frammentato del segmento della distribuzione e della vendita al mercato vincolato, piuttosto che favorire un processo di aggregazione (ad es. a livello regionale come accade nel Regno Unito) tale da consentire ai singoli operatori di raggiungere
un livello di dimensione efficiente sfruttando le economie di scala presenti nell’attività di distribuzione e di poter competere de facto con l’operatore dominante.
Dal lato della domanda, nel corso del 2003 si è registrata un’ulteriore apertura del mercato,
a seguito dell’abbassamento della soglia di idoneità a 0,1 Gwh a decorrere dal 29 aprile del 2003
(novantesimo giorno dall’avvenuta cessione della terza Gen.Co - l. n. 57/01)85. In un solo anno,
dall’aprile 2002 all’aprile del 2003, il numero di clienti idonei (clienti finali, consorzi e società
consortili, grossisti e distributori, produttori e clienti esteri secondo la delibera n. 20/03
dell’Autorità) è aumentato del 20,3%, raggiungendo le 13.475 unità. Per favorire l’accesso al
82
Il decreto del Ministero delle Attività Produttive del 19 dicembre 2003 stabilisce i principi cardine per l’operatività dell’Acquirente Unico (Au). Dal primo febbraio del 2004, l’Au — pur avvalendosi transitoriamente dell’Enel per l’acquisto dell’energia per il mercato vincolato — sarà l’unico soggetto responsabile dell’acquisto di energia elettrica per il
mercato captive. All’Au spetterà dunque stipulare contratti bilaterali (anche pluriennali) di acquisto dell’energia con cui
coprire, al massimo, il 25% del suo fabbisogno; partecipare alle assegnazioni di energia Cip6 e importata, nonché alle
contrattazioni di borsa (transitoriamente comunica al Grtn le quantità da acquistare). Con l’approvazione del Testo integrato per il periodo di regolazione tariffaria 2004-2007 (delibera dell’Autorità n. 5/04) si sono definiti i prezzi di cessione dall’Au alle imprese distributrici e da queste agli utenti finali. Cfr. Ref, «I nuovi prezzi dell’energia per il vincolato», in Newsletter Osservatorio Energia, febbraio 2004, n. 64.
83 Cfr. Autorità per l’energia elettrica e il gas, Relazione annuale, 2003.
84 Cfr. Ref,Energia 2003. Rapporto Ref sul mercato e la regolamentazione, 2003.
85 Gli utenti liberi di scegliere — definiti clienti idonei — includono ogni cliente finale il cui consumo sia risultato nell’anno precedente superiore a una determinata soglia, definita soglia di idoneità. Sono definiti «vincolati» gli utenti non liberi di scegliere un proprio fornitore. Per questi ultimi, l’acquisto di energia elettrica avviene tramite Acquirente Unico.
94
IL QUADRO GENERALE
mercato libero, l’Autorità ha inoltre semplificato le procedure per i nuovi clienti finali.
L’abbassamento della soglia e la semplificazione delle procedure hanno consentito un rapido e
rilevante aumento del numero di clienti idonei passati, secondo gli ultimi dati dell’Autorità, già
nel maggio del 2003 a 143.816 per arrivare nell’aprile 2004 a 147.681 (+2,7%). L’ulteriore apertura del mercato è stata segnata dalle scadenze stabilite dalla nuova direttiva sul mercato unico
dell’energia (2003/54/Ce): la libertà di scelta del fornitore sarà estesa agli utenti non civili dal luglio del 2004 come stabilito dal Consiglio europeo di Barcellona, a tutti i clienti a partire dal primo luglio del 2007.
L’evoluzione in atto del processo di liberalizzazione, dal lato sia dell’offerta sia della domanda, non ha tuttavia ancora apportato benefici rilevanti in termini di prezzo per gli utenti industriali
in Italia. Dal confronto internazionale dei prezzi dell’energia elettrica (al lordo delle imposte) per
categorie di consumo industriale e di potenza impegnata emerge che nel 2003 i livelli italiani sono in genere significativamente superiori rispetto agli altri Stati membri (tab. 1.46). Solo per le piccole imprese con consumi annui compresi tra 30 e 160 Mwh i prezzi italiani sono inferiori rispetto a Belgio, Germania e Irlanda, mentre per tutte le altre classi di consumo l’Italia registra i prezzi
più alti di tutti gli altri competitor.
Sui prezzi italiani dell’energia elettrica incide non solo l’incompiuto processo di liberalizzazione, bensì diversi altri fattori, tra cui una maggiore dipendenza dalle fonti petrolifere (che comporta un costo più alto dei combustibili) e gli oneri fiscali, costituiti da imposte specifiche sugli
input energetici (le accise sugli oli minerali e sul carbone), da imposte sul consumo sull’energia
elettrica86 e dall’Iva87 (tab. 1.47). Un ulteriore fattore di distorsione è rappresentato dalla presen-
Tab. 1.46 - Prezzi dell’elettricità per usi industriali, 2003 (a)
(al lordo delle imposte)
Consumi annui (Mwh)
Potenza impegnata (kW)
Italia
Belgio
Danimarca
Germania (b)
Grecia
Spagna
Francia (b)
Irlanda
Lussemburgo
Olanda
Austria
Portogallo
Finlandia
Svezia
Regno Unito
30
30
50
50
160
100
1.250
500
2.000
500
10.000
2.500
24.000
4.000
50.000
10.000
70.000
10.000
100
105
78
114
66
66
71
100
96
n.d.
91
80
54
49
58
100
110
82
115
69
69
71
104
100
n.d.
96
75
61
52
69
100
105
89
109
70
70
72
101
86
n.d.
95
68
63
54
69
100
86
94
93
59
59
62
84
75
n.d.
74
63
64
59
56
100
78
98
83
56
56
55
75
66
n.d.
72
60
62
57
53
100
75
n.d.
84
59
59
58
75
46
n.d.
65
63
64
58
49
100
71
n.d.
85
57
57
58
75
45
n.d.
69
60
69
63
53
100
69
n.d.
94
57
57
n.d.
77
52
n.d.
76
60
63
68
51
100
63
n.d.
92
53
53
n.d.
75
49
n.d.
74
58
66
71
50
(a) Eurostat rileva i prezzi dell’elettricità a gennaio e luglio di ogni anno. I dati in tabella sono ottenuti calcolando la media delle rilevazioni semestrali.
(b) Per Germania e Francia Eurostat rileva i prezzi dell’elettricità in diverse località. I dati riportati in tabella sono ottenuti calcolando
la media aritmetica dei prezzi delle varie località di rilevazione.
Fonte: Elaborazioni su dati Eurostat.
86 Le imposte sul consumo comprendono un’imposta erariale, unificata sul territorio nazionale e differenziata solo in relazione al tipo di fornitura e due tipi di prelievi sotto forma di addizionali di competenza locale (comunale e provinciale).
87 L’Iva si applica all’intero importo della fattura (imposte incluse) con un’aliquota del 10% per le attività del settore manifatturiero (e per l’uso domestico) e del 20% per gli altri usi. L’incidenza delle imposte non deducibili sui prezzi industriali del 2003 varia dal 20-22% per le classi di consumo minore al 14% per le classi di consumo maggiore. È evidente dunque una regressività dell’incidenza fiscale che diminuisce in funzione dei consumo.
95
IL QUADRO GENERALE
Tab. 1.47 - Incidenza delle imposte non deducibili sui prezzi dell’elettricità per usi industriali (a) , 2003
(Valori %)
Consumi annui (Mwh)
Potenza impegnata (kW)
Belgio
Danimarca
Germania
Grecia
Spagna
Francia
Irlanda
Italia
Lussemburgo
Olanda
Austria
Portogallo
Finlandia
Svezia
Regno Unito
30
30
50
50
160
100
1.250
500
2.000
500
10.000
2.500
24.000
4.000
50.000
10.000
70.000
10.000
1,7
8,8
8,4
–
4,9
11,3
0,9
20,0
5,0
n.d.
13,8
13,6
7,0
–
8,7
1,7
8,9
8,8
4,0
4,9
6,2
0,5
19,2
5,1
n.d.
17,6
7,7
6,3
–
7,6
2,0
8,9
10,1
–
4,9
6,4
3,0
20,5
6,4
n.d.
19,4
1,5
6,8
–
4,5
1,0
8,9
12,5
–
5,0
5,0
2,4
21,4
7,0
n.d.
26,2
23,8
7,0
–
5,4
1,1
8,9
14,6
–
4,9
5,9
1,8
22,3
8,2
n.d.
28,2
25,2
7,6
–
4,5
1,2
n.d.
n.d.
–
4,8
5,9
2,0
16,4
3,5
n.d.
32,9
39,9
7,7
–
4,7
1,5
n.d.
17,2
–
4,8
6,8
1,5
13,9
4,0
n.d.
35,0
34,9
8,3
–
4,1
1,6
n.d.
16,7
–
4,9
n.d.
1,9
13,6
3,8
n.d.
34,5
27,5
9,5
–
3,2
1,9
n.d.
18,0
–
4,8
n.d.
1,6
14,3
4,2
n.d.
36,8
29,8
9,8
–
3,5
(a) Al netto di Iva.
Fonte: Elaborazioni su dati Eurostat.
za di «oneri generali di sistema» (inclusi da Eurostat tra le componenti di natura fiscale del prezzo lordo)88.
Un aumento del grado di concorrenza, sia a livello nazionale sia a livello europeo, potrebbe
comportare un abbassamento del livello dei prezzi, come rilevato dalla Commissione europea nella sua analisi sullo stato di attuazione delle direttive per la creazione del mercato unico dell’energia89. Nel confronto con altri paesi europei, il processo di liberalizzazione del mercato in Italia appare relativamente più avanzato nella ristrutturazione del settore — in particolare nella riduzione
di quote di mercato dell’ex monopolista e nell’accesso regolato alle reti — e nell’apertura della domanda . L’Italia si trova a uno stadio avanzato anche dal punto di vista normativo, tanto che la
maggior parte delle disposizioni contenute nel testo della nuova direttiva europea (come l’istituzione di un’autorità di regolamentazione, l’accesso regolato alla rete e la separazione societaria per
i gestori delle reti di trasmissione e di distribuzione) sono già state anticipate dalla normativa italiana. Altri elementi importanti di carattere sia normativo (quali una chiara assegnazione delle
competenze tra livelli di governo), sia sistemico (relativi alla scarsa capacità di generazione del sistema elettrico italiano rispetto ai crescenti consumi, al potenziamento delle infrastrutture di rete,
all’unificazione della gestione con la proprietà della rete in capo a un unico soggetto) sono ancora in via di definizione.
88 Gli oneri in questione comprendono il finanziamento degli incentivi alle fonti rinnovabili e assimilate (sulla base del provvedimento Cip 6/92) e dei costi non-recuperabili (stranded costs) da rimborsare all’Enel (e alla società cui sono state cedute le Gen.Co) a seguito dell’apertura del mercato elettrico alla concorrenza e in ragione di obblighi contrattuali e investimenti in impianti effettuati in regime di monopolio, non ancora del tutto ammortizzati. Il D.L. n. 25/03
(convertito in legge n. 83/03) in materia di oneri generali di sistema modifica il meccanismo di calcolo degli stranded costs
previsto dal decreto del 17 aprile del 2001 e fissa al primo gennaio 2004 la data di scadenza del recupero di questi costi
al fine di consentire l’avvio del sistema delle offerte senza la presenza di elementi distorcenti il meccanismo concorrenziale. Il decreto stabilisce, invece, al primo gennaio 2002 il termine per l’estrazione della rendita idroelettrica, contributo che lo Stato impone alle società elettriche che ricorrono all’acqua, una fonte priva di costi primari e considerata un
bene pubblico, per la produzione di energia elettrica. Il meccanismo di calcolo degli stranded è stato oggetto di interpretazioni contrastanti (per es. inclusione o meno della produzione da impianti idroelettrici o degli acquisti di energia
Cip6 nel calcolo della produzione totale), determinando ricorsi ed emendamenti e minando la certezza del quadro regolatorio. Il decreto non include nel computo dei costi non recuperati eventuali oneri negativi dovuti dalle imprese.
89 Per un’analisi sul tema cfr. CSC, «Gli ostacoli alla formazione di un mercato unico dell’energia elettrica in
Europa», in Rapporto di Previsioni Macroeconomiche, dicembre 2003.
96
IL QUADRO GENERALE
1.6.2.3 (Gas). L’anno termico 2002-2003 ha segnato un significativo progresso nel processo di
liberalizzazione del mercato del gas, in tutti i segmenti di attività (dall’importazione alla fornitura
dei clienti finali). Nel 2002, la produzione nazionale copriva il 20,4% del fabbisogno annuo, risultando in diminuzione sia in termini assoluti sia in termini relativi rispetto a esso, mentre le importazioni corrispondevano all’83% del totale. In entrambi i segmenti di attività si osserva il mantenimento di una posizione dominante da parte dell’ex monopolista pubblico, con l’87,4% nel caso della produzione (seguito sostanzialmente solo da Edison con una quota dell’8,4%) e con circa il 71% nell’attività di importazione. In quest’ultimo caso l’offerta — seppure molo concentrata
nelle prime quattro società (tab. 1.48) — si caratterizza per la presenza di una pluralità di operatori che importano il 4,6% circa del totale (assicurando il rispetto dei tetti fissati dal c.d. Decreto
Letta90, nonché un certo grado di contendibilità del mercato). Nel mercato delle vendite finali l’operatore dominante ha ridotto in modo significativo la sua quota di mercato, coprendo circa il 41%
delle vendite finali (esclusa la distribuzione locale), seguito principalmente da Enel e da Edison
(con una quota rispettivamente del 20% e del 7,6%).
In un mercato come quello italiano, in cui il fabbisogno di gas è ricoperto essenzialmente dalle
importazioni, la fissazione di tetti anti-trust e il contenimento del potere di mercato da parte dell’operatore dominante è condizione solo necessaria affinché si realizzi una completa liberalizzazione
del settore. Altre misure sono state realizzate per favorire lo sviluppo di un mercato concorrenziale:
i) con riferimento alle importazioni, oltre ai contratti pluriennali con clausola di tipo take or pay
(con durata tipica dai 15 ai 20 anni)91 si sono rese disponibili altre forme contrattuali più flessibili
per favorire l’ingresso di nuovi operatori. Si tratta dei contratti spot, di durata annuale o comunque non superiore ai cinque anni, in grado di rendere disponibili partite di gas nel breve periodo.
Ancora nel 2003 essi rappresentano solo il 5% circa dei contratti attivi totali e necessitano dunque
di una maggiore promozione;
Tab. 1.48 - Operatori della produzione e delle importazioni di gas naturale, 2002
Società
Produzione nazionale
(mld di m3)
Quote %
Eni
Edison
Altre
12,5
1,2
0,6
87,4
8,4
4,2
Totale
14,3
100,0
Società
Importazioni
(mld di m3)
Quote %
Eni Gas&Power
Enel Trade
Edison Gas
Plurigas
Energia
Dalmine Energia
Eni-Agip
Energas
Eos Energia
Gaz de France
Energetic Source
E Noi
Blugas
Altre
41.269
7.913
4.345
2.012
800
575
354
231
198
178
90
84
72
72
70,9
13,6
3,5
3,5
1,4
1,0
0,6
0,4
0,3
0,3
0,2
0,1
0,1
0,1
Totale
58.193
100,0
Fonte: Elaborazioni su dati Autorità.
90
Un limite del 75% per la quota di produzione e di importazione di ciascun operatore. Tale quota dovrebbe diminuire di due punti percentuali l’anno per il periodo 2002-2010.
91 La clausola del take or pay copre l’importatore dal rischio del rifiuto di accesso al mercato stabilito, assicurandosi la capacità di trasporto in entrata per la durata del contratto.
97
IL QUADRO GENERALE
ii) per incrementare l’attuale capacità di trasporto di gas naturale, l’Autorità ha deliberato in
favore del potenziamento delle infrastrutture di importazione (gasdotti e terminale Gnl) e della
realizzazione di nuove strutture (delibere n. 91/02 e n. 137/02). Come nel caso dell’energia elettrica, al fine di incentivare l’investimento di capitali privati si garantisce un ritorno mediante il
riconoscimento del diritto di accesso prioritario per l’80% della nuova capacità realizzata (sia di
importazione sia di rigassificazione). Il restante 20% è disponibile senza limite agli altri operatori secondo regole di accesso trasparenti e non discriminatorie e alle tariffe stabilite
dall’Autorità. Per evitare la formazione di un monopolio nella costruzione di nuovi terminali
l’Autorità ha inoltre fissato un tetto alla capacità massima realizzabile da un singolo operatore,
pari a 8,3 miliardi di m3 (pari a un terzo della capacità complessiva da raggiungere annualmente). Nel caso della realizzazione di nuovi gasdotti, la durata dell’accesso prioritario è circoscritta al ventennio;
iii) per garantire libertà di accesso al servizio di trasporto a tutti gli utenti a parità di condizioni, l’Autorità ha stabilito i criteri per individuare e attribuire la quantità massima di gas naturale
che ciascun utente può immettere o prelevare giornalmente dalla rete, l’ordine di priorità di conferimento della capacità di trasporto sulla base della data di stipulazione del contratto e della sua
durata, nonché le modalità di ripartizione della capacità disponibile in caso di congestioni (delibera n. 137/02)92. Il conferimento avviene annualmente (con un anticipo di due anni per il conferimento della capacità presso i punti di entrata della rete nazionale interconnessi con l’estero), al
fine di assicurare maggiore certezza sui ricavi all’impresa di trasporto e una priorità di accesso ai
titolari di contratti di approvvigionamento pluriennali. L’Autorità ha inoltre imposto alle imprese
di trasporto di redigere un Codice di rete dove inserire gli obblighi cui attenersi in materia di informazione, accesso, erogazione e qualità del servizio, programmazione dell’attività e gestione delle emergenze. Si tratta di un’iniziativa molto importante se si tiene presente che l’attività di trasporto è svolta quasi integralmente da una società del gruppo Eni (Snam Rete Gas) in regime di
monopolio;
iv) l’attività di stoccaggio di gas naturale — anch’essa svolta in regime di monopolio da una
società del gruppo Eni (Stogit) — riveste un ruolo strategico per la liberalizzazione del settore,
consentendo di fare fronte alla variabilità della domanda e alle interruzioni delle importazioni
di gas. Risultano dunque rilevanti le nuove regole dell’Autorità che disciplinano l’accesso alla
capacità di stoccaggio e le tariffe (delibera n. 26/02), in particolare la libertà tariffaria a favore
degli operatori residuali del mercato e delle imprese che investono in nuovi campi di stoccaggio;
v) il servizio di distribuzione di gas, seppure svolto da più di settecento operatori tra imprese
pubbliche, private e Comuni che lo gestiscono in economia, si caratterizza per essere un monopolio naturale locale. Nel corso del 2002, la struttura di questo segmento della filiera ha subìto importanti trasformazioni in conseguenza dell’applicazione delle previsioni normative contenute negli art. 15, 17 e 21 del Decreto Letta93. Al termine del 2002, si distinguono tre categorie di operatori, ovvero 449 società di sola distribuzione, 149 di sola vendita e 244 con attività di distribuzione
e di vendita ancora integrate.
A decorrere dal primo gennaio del 2003 si è completata la liberalizzazione del mercato dal lato della domanda. Tutti i clienti finali (anche quelli con consumo annuo inferiore ai 200.000 m3)
sono considerati liberi di «stipulare contratti di fornitura, acquisto e vendita con qualsiasi produttore, importatore, distributore e grossista sia in Italia sia all’estero» (articoli 2 e 22 del D.Lgs. n.
164/00).
In teoria, una maggiore apertura della domanda finale mediante il cambio di fornitore finale
(switching) o la rinegoziazione del contratto con il fornitore tradizionale dovrebbero stimolare una
maggiore concorrenza tra le società di vendita, anche se esse conservano un certo potere di mercato. Fino a dicembre 2002, il diritto di cambiare fornitore o di rinegoziare le condizioni contrat92
Alcune società importatrici e venditrici di gas naturale hanno adito il tribunale amministrativo della Lombardia
per sospendere l’applicazione della delibera.
93 Il D.Lgs 164/00 stabilisce l’obbligo per gli enti locali di indire gare per l’affidamento del servizio o di trasformare la gestione diretta in società di capitali o in cooperative a responsabilità limitata (art. 15); l’autorizzazione da parte del
Ministero delle attività produttive per le società che intendono svolgere attività di vendita (art. 17); la separazione societaria dell’attività di distribuzione da quella di vendita (art. 21).
98
IL QUADRO GENERALE
tuali è stato esercitato dai grandi consumatori industriali (secondo gli ultimi dati dell’Autorità,
1.700 imprese, di cui 300 di distribuzione). Con l’inizio del 2003, il diritto è stato esteso a 17 milioni di utenti, soprattutto nuclei familiari che tuttavia non hanno, in ragione del basso livello di
consumi, lo stesso potere contrattuale esercitato nel mercato libero dagli utenti industriali. Se a ciò
si aggiungono le deboli condizioni di concorrenzialità dal lato dell’offerta, si comprende la necessità di intervento da parte dell’Autorità al fine di evitare ingiustificati aumenti di prezzo e garantire a tutti gli utenti un’informazione « trasparente e non discriminatoria» sulle diverse condizioni di offerta contrattuali disponibili sul mercato (delibera n. 207/02)94.
Se confrontato con altri Stati membri, ed escludendo l’Irlanda dove gli utenti industriali considerati sono le centrali di generazione elettrica (tab. 1.49), il mercato del gas italiano presenta un
tasso di switching e di rinegoziazione da parte dei grandi utenti industriali medio-alto. È tuttavia
evidente che in Europa le reali possibilità di scelta di un fornitore estero sono ancora limitate dall’elevato grado di concentrazione della produzione/importazione di gas e dal diverso grado di
apertura dell’offerta finale nei diversi Stati membri.
Le asimmetrie riscontrate nel recepimento delle direttive europee, e il diverso grado di concorrenza presente nei mercati e di dipendenza dall’estero continuano a riflettersi nella disparità di
prezzo che gli utenti industriali pagano in ciascuno Stato membro (tab. 1.50). I prezzi italiani al
lordo delle imposte per le utenze industriali differenziate per sei tipologie di consumo sono anche
nel 2003 tra i più elevati in Europa95. Questo vale soprattutto per i piccoli esercizi industriali e commerciali, ossia quelli con livelli di consumo più bassi (da 418,6 a 4.186 Gj), mentre gli utenti industriali con un livello medio di consumo (41.860 Gj e un fattore di carico di 200-250 gg.) sono quelli che invece corrispondono il prezzo più basso rispetto a gran parte dei competitor europei: il prez-
Tab. 1.49 - Stato di attuazione della liberalizzazione del mercato del gas negli Stati membri, 2002
Domanda
Paesi
Austria
Belgio
Danimarca
Francia
Germania
Irlanda
Italia
Lussemburgo
Olanda
Spagna
Svezia
Regno Unito
Offerta
Grado di
apertura
(valori %)
Data di
apertura
totale
Soglia di
idoneità
Switching
grandi utenti
industriali (a)
(valori %)
Quota di gas controllata
dalla maggiore
società di produzione
e importazione
(valori %)
Numero di
fornitori
attivi
autorizzati
Quota di
mercato
del
principale
supplier (b)
(valori %)
100
83
100
37
100
85
100
72
60
100
51
100
2003
2003/6
2004
2007
2000
2005
2003
2007
2003
2003
2006
1998
–
5 mcm
25 mcm
25 mcm
–
2 mcm
–
15 mcm
1 mcm
–
35 mcm
–
6
n.d.
17
20
5
100
10
–
15
38
–
16
>90
100
90
64
50
40
80
100
n.d.
85
100
23
29
n.d.
8
8
770
8
530
6
24
36
7
125
75
39
73
n.d.
6
47
93
n.d.
n.d.
78
55
20
(a) Con consumo annuo superiore a 0,1 mln di m3.
(b) Considera il mercato libero e vincolato.
Fonte: Commissione europea, 2003 e 2004.
94
A tutela degli utenti, la delibera stabilisce che siano praticate da parte dei fornitori le condizioni contrattuali valide al 31 dicembre 2002 non solo ai nuovi clienti idonei ma anche a coloro che pur riconosciuti idonei prima del gennaio 2003, non hanno esercitato il diritto di switching.
95 Per un confronto dei livelli di prezzo nel 2002, si veda CSC, Tendenze dell’Industria italiana, giugno 2003, par. 1.6.2.
99
IL QUADRO GENERALE
Tab. 1.50 - Prezzi del gas per usi industriali, 2003 (a)
(Al lordo delle imposte)
Consumi annui (GJ)
Belgio
Danimarca
Germania
Spagna (f)
Francia (f)
Irlanda
Lussemburgo
Olanda
Austria
Portogallo
Finlandia
Svezia
Regno Unito
418,6
4.186 (b)
41.860 (c)
41.860 (d)
418.600 (d)
418.600 (e)
100
88
98
96
87
85
77
65
n.d.
98
100
n.d.
100
61
100
81
110
106
63
87
73
72
n.d.
89
90
113
106
63
100
102
109
146
86
102
93
102
n.d.
123
99
130
146
84
100
88
112
138
84
102
95
98
n.d.
124
101
102
149
78
100
97
113
140
90
87
94
80
n.d.
n.d.
71
108
131
68
100
93
115
140
89
85
95
79
n.d.
n.d.
70
99
133
87
(a) Eurostat rileva i prezzi del gas a gennaio e luglio di ogni anno. I dati in tabella sono ottenuti calcolando la media delle rilevazioni
semestrali.
(b) 200 gg
(c) 200 gg 1.600 h;
(d) 250 gg 4.000 h;
(e) 250 gg 4.000 h;
(f) 330 gg 8.000 h;
(g) Per Italia e Francia Eurostat rileva i prezzi del gas in diverse località. I dati riportati in tabella sono ottenuti calcolando la media aritmetica dei prezzi delle varie località di rilevazione.
Fonte: Elaborazioni su dati Eurostat.
zo italiano è inferiore del 46-49% rispetto a quello svedese, di oltre il 40% rispetto a quello tedesco e del 23-24% rispetto a quello corrisposto in Austria. I prezzi italiani per le tipologie di consumo superiori sono, come nel 2002, i più elevati con le sole eccezioni di Danimarca, Germania e
Svezia. Dal confronto internazionale emerge inoltre che è il Regno Unito a caratterizzarsi per il livello più basso dei prezzi per tutte le classi di consumo, grazie non solo a un compiuto processo
di liberalizzazione, ma anche alla disponibilità di ampie riserve nazionali di gas e dunque a un bassissimo grado di dipendenza dall’estero. I paesi che in genere mostrano il livello più elevato di
prezzi, in particolare Danimarca, Germania, Finlandia, Svezia e Austria, sono quelli con un’incidenza fiscale maggiore (tab. 1.51). Sono questi, infatti, i paesi che si caratterizzano per un’elevata
fiscalità ambientale. In Italia, al contrario del caso dell’energia elettrica, l’incidenza dell’imposizione fiscale sul prezzo del gas non risulta particolarmente onerosa, essendo in media pari al 6,5%.
La differenza del diverso peso del carico fiscale tra energia elettrica e gas è riconducibile al fatto
che sul gas gravano solo imposte di consumo (1,25 centesimi di euro/m3 per usi industriali)96, l’addizionale regionale (con aliquota molto variabile, da 0 a 0,62 centesimi di euro/m3)97 e l’Iva (la cui
base imponibile comunque comprende le altre due imposte). Nel calcolo dell’incidenza fiscale sui
prezzi del gas non sono contemperati né oneri di sistema né altre addizionali locali (comunali o
provinciali).
Nonostante l’apertura totale del mercato del gas dal lato della domanda, la concorrenza effettiva tra operatori dal lato dell’offerta è ancora molto debole e non si traduce in una riduzione
dei prezzi per gli utenti finali. Come rilevato dall’Autorità, alcuni vincoli strutturali, quali i limiti di
96
Le accise sul gas fissate dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 15 gennaio 1999, ridotte con decreto del Ministero dell’Economia del 25 marzo 2002 sono state riconfermate dal Decreto ministeriale del 13 gennaio
2003.
97 Nelle Regioni a statuto speciale e in Lombardia dal 2002, l’addizionale sul gas non è più dovuta.
100
IL QUADRO GENERALE
Tab. 1.51 - Incidenza delle imposte non deducibili sui prezzi del gas per usi industriali (a), 2003
(Valori %)
Consumi annui (GJ)
Belgio
Danimarca
Germania
Spagna
Francia
Irlanda
Italia
Lussemburgo
Olanda
Austria
Portogallo
Finlandia
Svezia
Regno Unito
418,6
4.186 (b)
41.860 (c)
41.860 (d)
418.600 (d)
418.600 (e)
4,4
7,2
7,2
–
2,7
–
4,6
–
n.d.
11,9
–
n.d.
31,6
6,7
–
7,7
7,8
–
–
–
5,8
–
n.d.
13,5
–
12,7
33,8
6,7
–
11,4
8,3
–
3,8
–
7,4
–
n.d.
16,2
–
16,1
35,8
7,1
–
11,4
8,9
–
3,8
–
7,7
–
n.d.
17,4
–
21,6
43,4
3,4
–
13,1
9,9
–
6,1
–
6,5
–
n.d.
18,5
–
22,7
35,7
2,6
–
13,1
10,3
–
9,1
–
6,8
–
n.d.
19,7
–
25,7
35,7
n.d.
(a) Al netto di Iva.
(b) 200 gg;
(c) 200 gg 1.600 h;
(d) 250 gg 4.000 h;
(e) 330 gg 8.000 h;
Fonte: Elaborazioni su dati Eurostat.
capacità sui metanodotti internazionali e la struttura a lungo termine dei contratti di importazione, costituiscono ostacoli rilevanti allo sviluppo della concorrenza.
1.6.2.3 (Telecomunicazioni). Il settore delle telecomunicazioni è stato caratterizzato da un’intensa concorrenza nella prima fase della liberalizzazione. Dopo i primi anni di forte sviluppo, sia
dal lato della domanda che da quello dell’offerta, il processo di liberalizzazione98 è proseguito in
quest’ultimo anno a ritmi meno sostenuti, ma sempre in linea con i principali paesi europei.
Sul versante dell’offerta, nel 2003 il numero di operatori nel mercato della telefonia fissa si è
mantenuto stabile. Secondo l’ultima Relazione della Commissione europea sull’attuazione del
quadro normativo per le comunicazioni elettroniche99, il numero di operatori autorizzati a offrire
servizi pubblici di telecomunicazione è di 28 a livello nazionale e 49 a livello locale. Si è mantenuto stabile anche il numero di operatori del mercato della telefonia vocale (75 operatori nazionali e
32 operatori locali autorizzati). Tuttavia, gli operatori titolari di un’autorizzazione rappresentano
solo i potenziali concorrenti dell’operatore dominante. I concorrenti effettivi della telefonia vocale sono molto più ridotti: gli operatori attivi sono complessivamente 11 locali e 42 nazionali, quattro dei quali detengono il 90% di quota del mercato. Anche nel settore delle telecomunicazioni, la
quota dell’operatore storico continua a essere rilevante in tutti i segmenti della telefonia vocale fissa100: nel segmento delle chiamate urbane, la quota dell’incumbent — calcolata sulla base dei ricavi ottenuti dalle vendite — è del 77% circa, supera il 69% per le chiamate interurbane e il 64% per
98
Nel segmento della telefonia fissa il processo di apertura al mercato è iniziato dal gennaio 1998 in seguito all’emanazione del Dpr n. 318/97 di recepimento della normativa comunitaria, quello di telefonia mobile. Nella telefonia mobile il monopolio è venuto meno nel 1994 con l’autorizzazione di un gestore privato (Omnitel).
99 Commissione europea, Relazione sull’attuazione del quadro normativo per le comunicazioni elettroniche nell’Ue,
Com(2003) 715, Novembre 2003.
100 La normativa vigente prevede che gli operatori aventi significativo potere di mercato siano notificati in quanto
tali presso l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (Delibera n.197/99 e successive modificazioni). Gli operatori
notificati sono soggetti non solo a obblighi di trasparenza e non discriminazione nelle condizioni di offerta al pubblico,
ma anche a orientare i prezzi praticati ai costi sostenuti, in genere attraverso il sistema di price cap definito dalla delibera n. 171/99.
101
IL QUADRO GENERALE
chiamate internazionali, ed è pari al 69% per le chiamate verso i cellulari. Il ricorso alla selezione/preselezione del vettore (carrier selection/preselection)101 ha contribuito alla riduzione di potere
di mercato dell’operatore dominante consentendo agli utenti di utilizzare un operatore alternativo per tutti i tipi di chiamate. I nuovi entranti possono accedere al mercato anche mediante disaggregazione della rete locale (unbundling of local loop)102 divenuta operativa in Italia dal settembre 2001. Dagli ultimi dati della Commissione europea (luglio 2003) risulta che in Italia il 42% degli operatori autorizzati ha preferito la carrier selection come modalità di accesso, il 37% è ricorso
alla carrier preselection, la restante parte all’unbundling. Per la disaggregazione dell’ultimo miglio, le
linee staccate dall’operatore dominante sono aumentate rapidamente, passando da 82.100 nell’ottobre 2002 a 309.000 nel luglio 2003, ben al di sotto di quelle richieste (437.000). I nuovi entranti sostengono un costo di attivazione della linea in unbundling pari 32 euro contro i 68,2 della
media europea, più un affitto mensile di 8,3 euro contro una media di 11,5 euro pagati negli altri
Stati membri.
Il mercato della telefonia mobile si presenta in Italia anche più competitivo della telefonia fissa: non vi sono barriere all’entrata e vi è una forte diversificazione dei prodotti offerti dagli operatori di seconda e di terza generazione (rispettivamente 2G e 3G). Il numero di operatori mobili
(tre) con licenza per frequenze Gsm 900 e Dcs 1800 è in linea con i principali mercati europei, mentre per il numero di operatori con licenze Umts e/o Gsm/Dcs (complessivamente cinque) l’Italia è
leggermente al di sopra degli altri paesi europei, eccetto Austria e Germania che ne contano sei.
Tuttavia, rimane superiore alla media europea l’indice di concentrazione dei due maggiori operatori mobili per frequenze Gsm 900 e Dcs 1800 (83% contro 78,8%).
I mercati della telefonia fissa e mobile presentano risultati positivi anche per il grado di apertura dal lato della domanda. La percentuale degli utenti che hanno scelto un operatore alternativo a quello storico è pari al 40% per le chiamate locali e al 50% per quelle long distance e internazionali, contro una media europea rispettivamente del 21,6% e del 31,3%. Il tasso di penetrazione del mercato mobile — pari al 96% — è tra i più elevati in Europa (solo il Lussemburgo
registra un numero totale di teTab. 1.52 - Prezzi delle chiamate di telefonia fissa (a), 1997-2003
lefoni cellulari, con carta prepa(Variazioni % medie annue)
gata e con abbonamento, superiore al numero di abitanti
Paesi
Chiamate
Chiamate
Chiamate
–115%). Rimane invece ancora
locali
nazionali
internazionali
molto bassa — pari all’1,8% —
(verso gli Usa)
la percentuale di utenti che ricorre all’accesso diretto.
Unione europea
–
–13,3
–17,2
Dal processo di liberalizzaBelgio
3,7
–20,7
–20,2
zione del mercato italiano delle
Danimarca
– 3,2
–15,0
–15,8
Germania
– 0,4
–13,3
–25,9
telecomunicazioni emergono,
Grecia
11,7
–23,2
–13,4
infine, effetti positivi in termini
Spagna
5,8
–19,5
–20,7
di riduzione dei prezzi alla clienFrancia
– 2,4
–12,6
–16,2
tela della telefonia fissa e mobiIrlanda
– 2,1
–18,4
–13,7
le. Dal 1997 al 2003 i prezzi nelItalia
1,4
–10,3
–18,5
Olanda
– 0,5
–10,4
–31,8
la telefonia fissa per le chiamate
Austria
2,3
–25,3
–13,8
a lunga distanza sono diminuite
Portogallo
2,3
–18,3
–15,8
in media del 10,3%, per le chiaFinlandia
1,5
0,8
– 8,6
mate internazionali del 18,5%,
Svezia
1,2
–15,4
–23,1
mentre i prezzi delle chiamate
Regno Unito
– 2,5
– 4,2
– 2,5
locali sono lievemente aumen(a) Eurostat rileva i prezzi per le chiamate di durata di 10 minuti.
tati dell’1,4% (tab. 1.52). Gli asFonte: Elaborazioni su dati Eurostat.
setti competitivi nel mercato dei
servizi di telefonia mobile hanno
101
La preselezione dell’operatore consente all’utente di indirizzare le chiamate verso il gestore scelto, senza dover
digitare ogni volta il codice d’accesso (carrier preselection). La preselezione dell’operatore con codice di accesso è definita carrier selection.
102 L’unbundling consente all’utente finale un accesso diretto alla rete dei nuovi entranti.
102
IL QUADRO GENERALE
contribuito dal 1997 al 2001 a una diminuzione dei prezzi del 33%103. La riduzione dei prezzi è riconducibile sia agli effetti della competizione, che ha visto l’incumbent ridurre la propria quota di
mercato dal 2001 al 2002 di più di sei punti percentuali, sia alla notevole differenziazione dei servizi offerti (i molteplici piani tariffari nella telefonia fissa e mobile), nonché all’applicazione del price cap104.
Altre forme di concorrenza rimangono tuttavia da potenziare. La Commissione europea, come rilevato nella IX Relazione sull’attuazione del quadro normativo, ha evidenziato l’importanza
di potenziare lo sviluppo dell’accesso a banda larga per stimolare la concorrenza anche nel mercato dell’accesso ad alta velocità e favorire l’ingresso di nuovi operatori105. In Italia il tasso di penetrazione della banda larga, misurato come numero totale di linee ogni 100 abitanti, è ancora tra
i più bassi in Europa (2,8% contro una media europea di circa il 5%).
103
Ultimi dati disponibili.
In generale, si ricorre al price-cap per favorire continui incrementi di efficienza e limitare a un fattore costante la
crescita in termini reali del livello dei prezzi.
105 Nuovi operatori possono fornire l’accesso a banda larga tramite cavo (laddove tale tecnologia è sviluppata) o
tecnologia Dsl. La diffusione del Dsl dipende dall’utilizzo delle reti e delle infrastrutture dell’operatore dominante. Il regolamento dell’Unione europea sull’accesso a banda larga (Regolamento (Ce) n. 2887/2000) ha disciplinato l’accesso
disaggregato alla rete locale e altre forme di accesso (accesso bitstream e rivendita). Gli operatori con notevole potere di
mercato hanno l’obbligo di pubblicare un’offerta di riferimento di accesso disaggregato alle reti locali e i prezzi di accesso devono essere orientati ai costi.
104
103