Introduzione - egea editore
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Introduzione - egea editore
Presentazione dell’edizione italiana di Sara Monaci* Il volume di David Hesmondhalgh rappresenta un’opera indispensabile per studiare il tema della produzione culturale poiché consente a studenti, ricercatori e professionisti del settore di acquisire un insieme ampio di prospettive critiche, strumenti analitici e problemi a livello internazionale. Lo sviluppo delle economie dell’immateriale e dei fenomeni relativi a produzione e consumo di simboli pongono infatti le industrie culturali al centro delle dinamiche di sviluppo e innovazione del processi sociali e culturali del Ventunesimo secolo. In questo senso il lavoro di Hesmondhalgh delinea in modo eccellente le caratteristiche fondanti delle strutture del campo culturale riflettendo sul loro ruolo all’interno delle economie capitalistiche del Ventesimo secolo in una complessa condizione di trasformazione e resistenza rispetto ad esempio ai processi di concentrazione, conglomerazione e globalizzazione dei mercati. Le industrie culturali sono infatti, più di altri settori produttivi, costantemente soggette ad una complessa condizione di rischio legato da un lato alla volatilità e alla variabilità dei prodotti culturali e al loro effetto sui mercati e, dall’altro lato, al problematico rapporto fra mercificazione e valore culturale che condiziona le strategie creative e di distribuzione dei testi: un duplice e indissolubile problema che ne rappresenta anche l’aspetto peculiare e ne determina le opportunità di espansione e innovazione nell’epoca della globalizzazione dei mercati. Il volume di Hesmondhalgh pone l’accento sullo sviluppo storico delle industrie culturali secondo una descrizione diacronica che prende le mosse dal fenomeno della deregulation degli anni Ottanta a livello internazionale, per poi attraversare il processo di progressiva concentrazione dei mercati degli anni Novanta con il definirsi delle grandi corporation dei media; infine il testo apre una prospettiva critica sullo scenario della convergenza e sugli effetti del digitale. Lo sviluppo delle industrie culturali nell’epoca professionale complessa, a partire dalle major del cinema americano degli anni Venti fino ai nuovi giganti dell’intrattenimento mondiale sono descritte nel testo con grande ricchezza di fonti e strumenti critici e con un’interessante visione anche sugli scenari asiatici (India, Cina, Giappo* Professore associato in Sociologia dei processi culturali e comunicativi al Politecnico di Torino, insegna Media e Progetto e Future Storytelling nel corso di laurea in Ingegneria del Cinema e dei Mezzi di Comunicazione. XII Le industrie cuLturaLi ne, Hong Kong), africani (Nigeria) e sudamericani (Messico, Argentina, Brasile) oltre che sul cuore della produzione mediatica in Nord America ed Europa. Il tema della globalizzazione culturale è infatti da considerarsi anche come effetto di una rete di produzione e di distribuzione dei prodotti culturali in grado di moltiplicare simboli e significati a livello mondiale attraverso il cinema e il suo potente repertorio di immagini e miti, la musica pop nelle sue diverse declinazioni locali, la televisione e la stampa periodica. Altro fattore fondamentale legato alla globalizzazione è il ruolo di Internet e delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione quali vettori di trasformazione, per certi versi «distruttiva», delle strutture della produzione culturale. Nella doppia prospettiva di continuità e cambiamento che delinea Hesmondhalgh, le tecnologie rivestono tuttavia un ruolo del tutto secondario rispetto alle dimensioni produttive, economiche e geopolitiche delle industrie culturali. Decisamente riduttivo sembra a chi scrive risolvere i contributi teorici di Manuel Castells, Yochai Benkler e Henry Jenkins come prodotti di un ottimismo digitale un po’ ingenuo in alcuni casi, e opportunistico in tutti gli altri. Interessante è invece la prospettiva sull’industria dei videogiochi che Hesmondhalgh delinea e nella quale individua alcuni modelli di produzione e distribuzione del prodotto in modo molto interessante e innovativo. A coloro che affrontano per la prima volta il tema delle industrie culturali, il volume può offrire diversi percorsi di lettura che comprendono il quadro aggiornato delle prospettive critiche e di analisi sui temi (cap. 1, 2); l’analisi delle politiche di organizzazione e riconfigurazione delle strutture produttive nell’epoca professionale complessa (cap. 3, 4, 6, 9) nella prospettiva di individuare gli elementi di continuità e cambiamento delle industrie culturali nel corso del Ventesimo secolo. Infine il volume mette in luce alcuni nodi tematici quali ad esempio le questioni relative al copyright, il concetto di creatività e il fenomeno dell’internazionalizzazione quali aspetti originali e specifici delle industrie culturali del Ventunesimo secolo. Prefazione alla terza edizione Tra il 2005 e il 2010, le affermazioni sulla trasformazione della produzione culturale raggiunsero il massimo grado di diffusione. Eravamo nell’era del «web 2.0». Gli accademici scrivevano dell’urgente necessità di sviluppare «Scienze della comunicazione 2.0» o addirittura «3.0» dal momento che le vecchie versioni erano ormai irrimediabilmente superate. (Per qualche motivo le versioni 1.1, 1.2 e così via non erano mai state menzionate). La storia era tutta una sciocchezza. Le reti digitali avevano democratizzato la produzione culturale e avevano reso il mondo un posto migliore, o si apprestavano a farlo: non sempre era chiaro se gli ottimisti digitali stessero facendo predizioni o descrivendo ciò che per loro era effettivamente la realtà. Quelle affermazioni sembravano basate su una critica democraticamente motivata delle concentrazioni di potere nei «vecchi media». I loro sostenitori erano giustamente interessati al potenziale emancipatorio e di democratizzazione di YouTube, del blogging e di Wikipedia. Ma erano curiosamente poco critici in merito al nuovo contesto della produzione culturale che si stava delineando, nella supposta utopia che si era appena realizzata o che stava per realizzarsi. Anche nelle più sofisticate versioni di ottimismo digitale c’era poca consapevolezza delle profonde contraddizioni economiche e sociali che innescarono la recessione globale nel 2008 e un’ondata internazionale di proteste nel 2010-11. Non sono un pessimista, e questo libro non mira a dimostrare che qualsiasi cosa da sempre ritenuta positiva sia in realtà negativa. Intende semplicemente fornire un resoconto storico equilibrato delle modifiche intervenute nella produzione culturale e delle relative cause. Fa riferimento alla costante presenza di artefatti culturali stimolanti, illuminanti, coinvolgenti, e ai modi in cui Internet potrebbe avere arricchito le nostre vite culturali. Ma mette anche in chiaro che le concentrazioni di potere nella produzione culturale non sono scomparse. Semplicemente, stanno assumendo nuove sembianze. Ciò che sembra una sfida all’ordine costituito potrebbe essere basato su nuove ortodossie. Come nella seconda edizione, ho sensibilmente rivisto, ampliato e aggiornato il libro per questa terza edizione, soprattutto i Capitoli da 6 a 11 (Terza Parte). Tra i vari cambiamenti, due capitoli sono dedicati alla nascita delle reti digitali e un altro tratta dell’impatto di tali reti sulle industrie culturali esistenti. Sono presenti centinaia di riferimenti a opere pubblicate dopo l’ultima edizione e a lavori che al momento della sua stesura non avevo ancora scoperto. Sono comunque coscien- XIV Le industrie cuLturaLi te dei numerosi contributi preziosi che ho dovuto tralasciare o che non avevo trovato il tempo di leggere. Ringrazio Mila Steele di Sage, Ralitsa (Ali) Padelska e Christiaan De Beukalaer per avermi assistito nel lavoro di ricerca. Ho così tanti bravissimi colleghi all’Institute of Communications Studies della University of Leeds che non posso nominarli tutti in questa sede. Sono riconoscente a Judith Stamper per aver ricoperto la funzione di Direttore pro tempore dell’Institute mentre io ho chiesto un congedo di ricerca per preparare questa edizione. Spero che le persone cui sono andati i miei ringraziamenti nelle due precedenti edizioni del libro mi perdoneranno se non ripeto i loro nomi, mentre devo menzionare di nuovo Jason Toynbee per essere stato (come al solito) così prodigo di aiuti e consigli in entrambe le occasioni. Helen Steward, Rosa Hesmondhalgh e Joe Hesmondhalgh sono persone incantevoli con cui vivere (mentre io ho il sospetto di non esserlo), influenzano i miei scritti più di quanto credano. La diaspora di Accrington e i suoi membri onorari, a Beeston, St Albans, Brighton, in Bulgaria e altrove, continuano a farmi ridere e pensare. E così anche coloro che sono noti come i Northerners, anche se nessuno di loro proviene davvero dall’Inghilterra del nord a parte il sottoscritto. Mi mancano gli amici di Oxford di Helen così come i miei, e piango ancora Gary Conway. Sono orgoglioso di mia sorella Julie e del suo amorevole marito Ian Kershaw. Venti edizioni di questo libro non sarebbero sufficienti per ringraziare mia mamma e mio papà, e per esprimere la mia riconoscenza per il loro amore e la loro forza.