12-22 - La Gazzetta del Medio Campidano
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PDF Compressor Pro 12 Attualità 15 gennaio 2015 VILLACIDRO Sla: solidarietà con danza e musica Danza e musica per sognare, emozionare e aiutare le battaglie contro la Sla. A Villacidro è stata un successo la serata di beneficienza “Ballando e Cantando per Bruno”, organizzata dalla scuola di danza sportiva Susy Dance School e dedicata a Bruno Leanza, malato di Sla da 15 anni. Nella palestra della scuola media Satta si sono esibiti i volontari del gruppo Is Amigus de Brunu, cantanti, ballerini, gli allievi della scuola e l’insegnante Susanna Tatti col ballerino Mauro Pisano. Il pubblico è stato molto generoso e ha permesso di raccogliere un contributo per l’acquisto dell’ascensore per Michele Riontino, giovane malato di Sla. Alla serata era presente an- che Bruno Leanza, assieme alla moglie e alle figlie e al suo folto gruppo di amici. Numerosi anche gli ospiti che hanno dato la loro disponibilità e hanno allietato il pubblico presente con le loro performances:in apertura di serata, presentata da Daniela Concas, il gruppo folk “Is amigus de Brunu” ha cantato alcuni canti del repertorio, si sono poi esibiti i ballerini dell’Evolution Dance di Massimiliano Matta ed Elvis Martis di Cagliari, Piergiorgio Laconi e Ilaria Fadda, Martina Fadda e Dario Usai, Alessandro Laconi e Rossana Pitzianti; la ballerina di Danza Classica Federica Innocente, la ballerina di GRUPPO FOLK “TRADIZIONI POPOLARI Danza del Ventre Claudia Vacca; i ballerini della scuola Crab Dance di Cagliari di Mauro Pisano, le cantanti Ilaria Frigau e Lorenza Puddu . «È stata una bella serata che ci ha scaldato il cuore, ringraziamo tutti coloro che ci hanno sostenuto e hanno partecipato e in particolare tutti gli allievi della scuola, dai bimbi della propedeutica alle allieve della synchro dance, alle signore dei balli di gruppo degli adulti che si sono esibite in diverse coreografie», commenta la presidente della Susy Dance School Serenella Sanna. Stefania Pusceddu GUSPINI” Roberto Maccioni: “Valorizziamo la cultura del nostro paese” Avrebbe dovuto sfilare anche il gruppo folk “Tradizioni popolari Guspini” nella processione del martirio di Sant’Efisio a Cagliari prevista a gennaio e rinviata per lavori nelle strade del percorso. L’associazione folklori- stica, nota per le spiccate doti nel riprodurre fedelmente le tradizionali usanze guspinesi e nell’animare eventi religiosi e civili, viene invitata ogni anno a celebrare il santo più venerato in Sardegna. Sono cinquanta i componenti del gruppo, che vanno dai tre ai settanta anni, perlopiù donne, sempre pronti a preparare tutti i dettagli necessari per la riuscita degli eventi ai quali partecipano. Dai costumi e accessori da indossare al canto del Rosa- VILLANOVAFORRU rio antico in dialetto, cantato e recitato in occasione dei festeggiamenti in onore dell’Assunta a Guspini. «Principale scopo dell’associazione - afferma Roberto Maccioni, presidente del gruppo - è quello di valoriz- zare la cultura del nostro paese e animare le manifestazioni pubbliche, dalla celebrazione di Sant’Efisio del primo maggio a quella della Fiera natale guspinese al quale abbiamo partecipato anche lo scorso 14 dicembre. Ed è una soddisfazione vedere che la comunità collabora con noi sia quando raccogliamo elementi della tradizione locale sia quando spontaneamente e per beneficenza ci donano indumenti e accessori antichi». Marisa Putzolu GONNOSFANADIGA Rappresentazione teatrale con finale libero Festa di Sant’Antonio in tono minore Al museo archeologico di Villanovaforru si è tenuto lo spettacolo “Rosencrantz e Guildenstern sono sardi” scritto e diretto da Giacomo Casti e rappresentato dagli attori Giulio Landis e Stefano Farris. Il numeroso pubblico ha potuto assistere ad una rappresentazione “sui generis”. Palcoscenico essenziale: un tavolo, due sedie, un baule, un separé e due lampade. Il resto lo han fatto gli attori. La storia narra l’attesa di due uomini seduti ad un tavolo di un nascondiglio, ambientata in un’ipotetica Sardegna del futuro, diversa da quella attuale, ma che ha mantenuto ancora forti i connotati e tutte le problematiche sociali e politi- che. «Non vi è un vero messaggio ma allo stesso tempo ce ne sono molti. - spiega il regista Giacomo Casti - Un racconto drammaturgico con luoghi comuni legati alla sardità. I personaggi hanno in mente qualcosa per cambiare la situazione... . L’intento è quello di riuscire a far interpretare a ciascun spettatore una sensazione diversa attraverso un finale a sorpresa». L’evento è stato organizzato dalla Consulta giovanile insieme all’amministrazione comunale e le società cooperative locali Parco e museo Genna Maria e Turismo in Marmilla. Saimen Piroddi Sabato 17 gennaio alle 17, don Giorgio Lisci, parroco della chiesa del Sacro Cuore, celebrerà la Santa Messa nella parrocchia della B. V. di Lourdes, in onore di Sant’Antonio Abate, protettore degli animali. Al termine della cerimonia religiosa sarà distribuito il pane benedetto. Quest’anno sarà una festa in tono minore, il comitato ha previsto solo i riti religiosi, non si farà il tradizionale falò. Di certo bisognerà attendere tempi migliori, ormai la crisi tocca anche le feste. Nessuno a Gonnosfanadiga dimentica i festeggiamenti del 2000, anno in cui fu costituito il comitato di San’Antonio Abate, a cui aderirono duecento persone. La novità fu accolta con grande entusiasmo popolare sorprendendo sia gli organizzatori sia i sacerdoti. I fedeli riempirono la chiesa e oltre duemila persone si diedero appuntamento nel piazzale della fiera, dove fu acceso un grande falò. Su iniziativa della Pro loco nella chiesa del Sacro Cuore si tenne anche un concerto di musica classica. Con il passare degli anni non è stata più rispettata la tradizione del falò, a cui la popolazione ha sempre partecipato numerosa. Francesco Zurru PDF Compressor Pro Attualità 15 gennaio 2015 13 Col successo del “2° Criterium del Campidano” e del Premio “3° Città di Villacidro” si è concluso il programma autunnale delle corse all’ippodromo di Villacidro L’ippica è un comparto produttivo da valorizzare Le ultime due giornate hanno messo in evidenza il valore del comparto ippico della Sardegna Terra di fantini Terra di cavalli. Ora occorre la “convenzione” Mipaaf per consacrare l’impianto del sud della Sardegna Difficilmente saranno archiviate le ultime due giornate di corsa del 19 e 27 dicembre 2014 dell’Ippodromo di Villacidro. Gli organizzatori, gli allevatori, gli allenatori e i fantini hanno dato prova di grande professionalità valorizzando i soggetti nati, allevati e addestrati in Sardegna. La direzione di Roberto Sanna, nonostante le ristrettezze finanziarie a causa della mancanza della “convenzione nazionale”, è stata ineccepibile. L’ippodromo non è solo spettacolo ma economia reale. Economia autoctona. Ormai è accertato che per ogni cavallo ci sono due posti di lavoro. Economia che è mancata da oltre trent’anni per l’irresponsabilità di chi ha gestito a suo tempo l’ippodromo del Poetto: hanno fatto mancare alla Sardegna del centro sud, nel silenzio generale, le dotazioni finanziarie provenienti dal Ministero dell’Agricoltura. Da quel momento in poi gli allevatori hanno ridotto drasticamente il numero delle fattrici selezionate perché i nuovi nati non potevano essere adeguatamente valorizzati. L’ippodromo per l’ippica è indispensabile come l’aria che si respira. È il luogo delle regole, di selezione e di crescita dei fantini e dei cavalli. Le ultime due giornate del 19 dicembre (2° Criterium del Campidano) e del 27 dicembre (3° Premio Città di Villacidro) hanno ulteriormente dimostrato che i sardi sanno andare a cavallo ai massimi livelli. Confrontati ai pittori i fantini sarebbero paragonabili al grande Michelangelo per la loro arte innata. A seguire le orme dell’immenso Gianfranco Dettori, il fantino che ha fatto scuola, ormai sono in tanti e tutti bravi. E tra i valenti ci sono delle grandi eccellenze di livello mondiale che corrispondono ai nomi dell’astro nascente Andrea Atzeni primo fantino della scuderia dell’emiro del Qatar al Thani, Cristian Demuro, apprezzatissimo proprio in Francia e anche in Giappone, e detentore del record italiano di vittorie in una stagione (264), Dario Vargiu (oltre duemila vittorie all’attivo), Mirko Demuro (cinque volte campione dei jockey italiani. «Duemila vittorie conquistate in tredici anni di carriera), Antonio Fresu (che ha fatto esperienza con Marco Botti in Inghilterra) e Fabio Branca che sotto la direzione tecnica di Stefano Botti si sta accaparramento le principali corse di gruppo. Tanti altri ancora. Per non parlare del figlio d’arte Frankie Dettori. Nel 2015 sarebbe bello poterlo acclamare sulle piste di Villacidro. Per questi giovani atleti è doveroso un encomio perché stanno rappresentando degnamente, nel frattempo che l’economia nazionale annaspa, l’Italia che vince nelle maggiori piazze del mondo. Sul comparto ippico è arrivato il momento di superare le lamentele per stringerci attorno ad un La Sardegna Terra di fantini e di cavalli è la cenerentola del calendario nazionale Ippica: I grandi d’Italia in Europa e nel Mondo sono sardi Chi governa ha il dovere di reclamare maggiore considerazione da parte del Mipaaf. I “Michelangelo” dell’ippica non mancano e vincono in ogni angolo del pianeta Terra. A loro va il nostro riconoscimento Sullo scenario ippico nazionale la situazione attuale dice che la Sardegna ha una grande opportunità per fortificare il comparto. Il momento favorevole deriva dalle importanti affermazioni dei fantini a cognome sardo in Italia, in Europa e nel Mondo. Non c’è settimana che su questi scenari appaiano i seguenti cognomi: Dettori, Vargiu, Atzeni, Demuro, Fresu, Branca, Migheli, Oppes, Sanna, Manueddu, Fadda, Fiori, Gessa, Fenu, Biagiotti, Fele, Manca, Godani, Urru, Falchi, Basile, ecc. Questi fantini sono gli ambasciatori dell’Italia che sa vincere anche nei periodi più bui dell’economia nazionale. Non possiamo farci sfuggire questo momento di grazia per chiedere maggiore attenzione da parte del Mipaaf nei confronti della Sardegna ippica. Per non incorrere negli errori del passato, lo sviluppo dell’ippica non può riguardare solo gli addetti ma tutta l’economia isolana. Chi ha responsabilità politiche non può disconoscere questo dato. Chi governa ha il preciso dovere, visti i risultati, di reclamare maggiore considerazione dal governo di Roma. Nello stesso tempo, ha il dovere di creare le condizioni perché la formazione (l’alta scuola) professionale dei fantini, allenatori e artieri avvenga in Sardegna e non altrove. Il comparto sprigiona una forza talmente importante che tradotta in produzione di ricchezza e lavoro può dare una buona mano per attenuare il fenomeno della disoccupazione giovanile valorizzando ciò che i nostri ragazzi san fare bene per attitudine ancestrale. Dell’ippica ce ne dobbiamo occupare tutti. Non si faccia l’errore storico che è avvenuto per l’agricoltura relegandola a questione settoriale, ignorando persino che quel che si mangia deriva da un atto agricolo. La stessa sorte per anni, probabilmente anche per responsabilità degli addetti, è capitata all’ippica dimenticando che si tratta di un comparto che per ogni cavallo in attività sportiva genera due posti di lavoro. Ora che “su fogu est arribau a peisi” si è capito che l’agricoltura è la matrice di mille altre attività; la stessa comprensione deve avvenire per il cavallo sportivo in tutte le sue espressioni. Per non aver saputo leggere le potenzialità territoriali la Sardegna è finita in coda al calendario nazionale delle corse al galoppo. Quella miopia della classe dirigente ha fatto sì che alla Sardegna, nel Calendario nazionale delle corse, fossero attribuite un totale di 25 giornate così distribuite: 11 a Chilivani, 8 a Sassari, 6 a Villacidro. 25 giornate su 2000 assegnate. Il predetto dato parla da solo sulla misera considerazione che ha avuto l’ex UNIRE (Ministero dell’Agricoltura) per la Sardegna Terra di Cavalli e Terra di Fantini. Dopo la mobilitazione degli ippici, culminata con due importanti manifestazioni a Villacidro, si è ottenuto anche l’intervento AGRIS con altre 9 giornate (3 a Chilivani, 3 a Sassari, 3 a Villacidro); 34 giornate totali. Il Montepremi complessivo assegnato alla Sardegna per il 2014 è di 650 mila euro. Il coinvolgimento di AGRIS è stato determinate per evitare il de profundis dell’ippica nostrana. Considerando che i fantini sardi stanno facendo fare bella figura all’Italia, ottenendo successi in Europa e nel Mondo, in uno dei periodi più bui dell’economia nazionale, come questo, sarà il caso di rivendicare il sacrosanto diritto di almeno una corsa a settimana? Questa questione discriminatoria non può passare inosservata nel contesto nazionale. Alla Sardegna va garantito un calendario di corse pari alla media di quelle che vengono assegnate agli ippodromi più importanti d’Italia. La faccenda dell’assegnazione delle giornate non riguarda il comparto ippico ma l’intero sistema economico. Quante più “giornate” saranno assegnate alla Sardegna quanti più giorni di lavoro saranno garantiti. Ecco perché la questione dei fantini sardi che rappresentano l’Italia che vince non può essere ignorata da chi ha responsabilità politiche. (f. t.) programma che deve vedere il presidente Francesco Pigliaru e l’assessora Elisabetta Falchi alla testa della richieste nei confronti del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali per far entrare nella lista di quelli in “convenzione” - ora che la sala accoglienza, nuova di zecca, con i collegamenti in diretta con gli altri ippodromi d’Europa - anche l’ippodromo di Villacidro. La “convenzione” è indispensabile per assicurare la programmazione dell’attività annuale a garanzia degli appassionati, degli ippici e della società di gestione che a causa della crisi ha fatto salti mortali per garantire le giornate di corsa sostenute dal Mipaaf e da Agris. L’ippica è una delle risorse della Sardegna su cui puntare per creare ricchezza aggiuntiva e lavoro duraturo per cui va tutelata e sostenuta con la dovuta attenzione. Fulvio Tocco PDF Compressor Pro 14 15 gennaio 2015 CRISI: CANTIERI EDILI PER BATTERLA Le proposte della Filca per rilanciare il settore delle costruzioni «Occorre una forte azione unitaria tra sindacato, imprese, istituzioni, università e ordini professionali per pervenire a una iniziativa concreta in grado di rilanciare l’intera filiera delle costruzioni. Solo così - a parere del presidente Giovanni Matta della Filca Cisl regionale - sarà possibile promuovere il lavoro in edilizia come anche nei settori propri della filiera. Negli ultimi cinque anni quello delle costruzioni è il settore che ha pagato il tributo più alto alla crisi che morde tenacemente dal 2008 il sistema produttivo sardo. Circa 28.000 buste paga cancellate, oltre 2000 imprese ferme o uscite dal sistema, impianti di laterizi e manufatti chiusi o in procinto di chiudere. Se il denaro pubblico fosse investito nelle costruzioni spenderemmo meno in ammortizzatori sociali, e il futuro porterebbe occupazione in tutti i settori». Con questa considerazione l’Associazione dei lavoratori edili e costruzioni è intervenuta al convegno inaugurale della Filca Sarda, dell’edilizia e dell’architettura, proprio per porre questa e tante altre domande urgenti per la sua sopravvivenza. «Se i fondi destinati agli ammortizzatori sociali fossero investiti per il risanamento dell’edilizia scolastica – ha proseguito Matta – si potrebbe dare lavoro a circa 1500 imprese sarde. Interventi programmati con coperture finanziarie certe, dall’edilizia scolastica a quella sanitaria, da quella viaria a quella idrica che, se cantierate, possono dare ristoro al mondo del lavoro sardo sfibrato da troppe ed estenuanti promesse che puntualmente non si realizzano. Appare però ovvio che l’edilizia che verrà dovrà essere fondata su una strategia di rilancio che metta al centro quattro questioni fondamentali. Più qualità, più legalità, più ecosostenibilità, più organizzazione. Occorre allora una rivisitazione delle strategie generali e di un piano organico dove tutela del territorio e uso dei materiali locali e rilancio e qualità del lavoro diventino un tutt’uno». Nel corso della riunione una frecciata viene riservata alle istituzioni e alla politica. Già dal 2013 il coordinamento tra le associazioni della filiera sarda delle costruzioni denunciava la grave situazione del settore illustrando numeri da brivido: dal 2008 al giugno del 2013 si sono persi 20.000 posti di lavoro diretti che contando gli indiretti arriverebbero a 34.000.Quindi in totale sono circa 50.000 i posti di lavoro da salvare tra costruttori edili ed impiantisti (industriali ed artigiani), produttori e rivenditori di materiali da costruzione. Si è chiesto alle istituzioni ed alle banche un deciso cambio di passo e di prospettiva. Si diceva basta ai soffocanti vincoli del patto di stabilità, ai ritardi nell’esecuzione e nei pagamenti delle opere pubbliche, alle restrizioni nel credito che innescano catene di fallimenti. Le imprese edili hanno supplicato la fine di un fisco punitivo sulla casa e incentivi fiscali moderni e strutturali che spingano a rinnovare gli immobili esistenti. Qualcosa è stato fatto, ma poco e lentamente, di fronte al progredire di una crisi che è, invece, travolgente. Quindi, da poco più di un anno, tutti i settori della filiera hanno perso dal 12% al 18% degli occupati, perché altre 7.500 persone sono rimaste senza lavoro. Inoltre centinaia di imprese hanno chiuso per sempre. Certo, è la crisi, ma questo non è solo un dato esterno ed inevitabile. Perché la crisi delle costruzioni si nutre di politiche fiscali, di bilancio e finanziarie distruttive. Un esempio lampante di politiche miopi sarebbe questo: quante persone sono oggi a carico dello Stato, persone che hanno perso un lavoro o stanno per perderlo e sopravvivono con ammortizzatori sociali? Non sarebbe questo un costo scellerato, che la collettività si assume, e che invece si farebbe meglio ad impiegare per far lavorare e restituire dignità a quelle persone e per ridare una prospettiva alle imprese che hanno resistito finora? È indispensabile quanto mai ora destinare tutte le ri- SERRENTI. DUE ANNI FA HA APERTO UN’ATTIVITÀ COMMERCIALE Contro la crisi l’arte di inventarsi un lavoro Non arrendersi mai ed inventarsi un lavoro. Succede a Serrenti dove tanti piccoli imprenditori lottano contro la crisi economica con voglia di fare, grinta e determinazione. È il caso del giovane Gerolamo Mameli che il 23 luglio 2012 in via Garibaldi 100 ha deciso di mettersi in gioco, aprendo l’attività commerciale “GM non solo gas”. «Durante questi anni rimarca il giovane di Serrenti - ho dovuto affrontare tante battaglie burocratiche, ma nonostante tutto sono ancora qui, pronto a combattere». Insomma una dura battaglia in un periodo in cui la Sardegna è attraversata da una forte crisi economica: «Tutti dobbiamo dare il meglio di noi stessi per uscire da questa stagnazione economica, agendo in sinergia. A livello locale dovremmo incrociare la domanda e l’offerta tra le diverse strade del paese andando a scovare porta a por- Gerolamo Mameli nel suo locale ta tutto il capitale umano dei serrentesi e metterlo al servizio del nostro paese. Il fine è quello di creare reddito ed una più equa distribuzione della ricchezza. Il risultato sarebbe una maggiore occupazione e benessere nel nostro paese». Secondo Gerolamo Mameli bisogna lottare contro la media e grande distribuzione: «È di importanza fondamentale tenere aperte le piccole botteghe, le attività artigiana- li e dare una mano a tutti coloro che vogliono intraprendere una nuova attività. Gli operatori di queste piccole realtà economiche sanno dare i giusti consigli. Su scala regionale l’ideale sarebbe poter acquistare prodotti sardi alimentari e non. Io ammiro tutto ciò che è sardo e non per caso tifo Cagliari e ammiro Gigi Riva, che ha scelto di non lasciare mai la Sardegna». Gian Luigi Pittau sorse disponibili e anche non disponibili per rianimare il settore delle costruzioni. Risulterebbe - fa osservare il coordinamento - che ogni euro investito in un nuovo cantiere genera tre euro in più di PIL, oltre a creare immediata occupazione riducendo la necessità di spesa per gli ammortizzatori sociali in tutti i settori, e genera più di un euro di maggior gettito fiscale. Dove va cercata la crescita, parola abusata, se non nel settore che l’ha sempre innescata? Dove sono i cantieri che in Sardegna dovrebbero partire e non partono mai? Dove sono le infrastrutture che da anni riempiono i giornali? Dormono tra le alchimie dei bilanci degli enti pubblici e l’indolenza delle burocrazie, e nel frattempo le imprese muoiono. Sui lavori iniziati all’isola della Maddalena, tutti a dibattere e polemizzare sui costi, peraltro senza conoscere la materia, e nessuno che invece dica semplicemente: si decida senza indugio sul termine delle opere prima che vada tutto in rovina! Il che non vuol dire sminuire l’importanza del controllo sull’utilizzo delle finanze pubbliche, che va rimarcato e perciò affidato a soggetti competenti, senza che diventi alibi per perdere la più grossa occasione per il futuro d’Isola, secondo il coordinamento della filiera. E una frecciata viene riservata alle istituzioni e alla politica. Mauro Serra GUSPINI. CHIUSI GIÀ VENTIDUE NEGOZI Il commercio è in caduta libera Negli ultimi tre anni, a Guspini, ventidue commercianti hanno cessato l’attività e solo tre sono state le nuove aperture. Ormai il settore del commercio è in caduta libera, nessuno riesce a mettere un freno. Non ci sono prospettive. La crisi dell’industria e dell’agricoltura, settori portanti dell’economia del paese, ha colpito in particolare il commercio in tutti i suoi settori. Non c’è lavoro, non c’è moneta che circola, e i primi a risentirne sono i commercianti. Ormai il volume d’affari si è dimezzato e chi acquista chiede anche il pagamento dilazionato. Simbolo della crisi la via Santa Maria, la strada dello shopping guspinese, che oggi registra il più alto numero delle serrande abbassate, l’ultima il bar Novecento, che al 31 dicembre ha chiuso i battenti. E quando cominciano a chiudere i bar vuol dire che la crisi sta toc- cando il fondo. I conti non tornano più. Gli incassi sono minimi, neanche più sufficienti a pagare le tasse e le spese vive come gli affitti dei locali. Anche la crisi del commercio si traduce in posti di lavoro perduti. Non solo non si assume più, ma diversi ne- gozi a conduzione familiare hanno dovuto chiudere i battenti senza alcuna prospettiva per i più giovani della famiglia. Ci dovrebbe essere più attenzione da parte delle istituzioni, ma ormai, in periodo di risparmio per tutti, vige il detto: «Si arrangi chi può». (r.m.c.) PDF Compressor Pro Attualità 15 gennaio 2015 15 COLLINAS Presepe vivente: quattromila visitatori È stato come sempre un successo il presepe vivente organizzato il giorno dell’Epifania dal Comune, dalla Pro loco e dalle associazioni locali. Quest’anno arricchito da due novità: il suono degli zampognari del Molise e l’Annunciazione da piazza Giardini trasferita all’interno della casa dove è stato appena girato il film Accabadora. Ormai un locale idoneo per un set cinematografico. Le altre scene sono state rappresentate in diversi angoli del paese. L’atmosfera raccontata dalla Chiesa e tramandata dalla tradizione è stata la cornice ideale per gli ottanta personaggi, che hanno ripercorso il cammino della Natività, mescolati fra il pubblico: circa 4 mila visitatori, provenienti da diverse parti dell’isola. Rappresentati gli antichi mestieri, dall’intrecciare di vimini al maniscalco, ai falegnami, ai ciabattini, alle lavandaie. E poi l’apertura dei portali campidanesi e l’esposizione di prodotti tipici. Ovunque un assembramento di persone, in uno scambio continuo di attori e spettatori. Apprezzato l’arrivo degli zampognari direttamente dal Molise che hanno accompagnato Maria e Giuseppe sino alla capanna, dove è stata celebrata la Santa Messa. Una sorpresa che il Comune ha voluto organizzare in occasione dell’appuntamento più atteso dall’anno, con l’emozione della nascita di Gesù rigorosamente in lingua sarda. Soddisfatti gli amministratori. “Ogni anno - dice il sin- PABILLONIS Natale Ricreativo Festeggiare il Natale con creatività e originalità. “Natale Ricreativo”. È stata questa l’iniziativa organizzata dal comune nell’ambito delle manifestazioni natalizie che si sono svolte nel mese di dicembre. Grazie alla collaborazione di alcune associazioni del paese (Prociv, Croce Verde, Officine Sonore) la vigilia del Natale è stata caratterizzata da un progetto che ha visto protagonisti i bambini e i ragazzi del paese. Tutti gli alberi del centro di aggregazione sono stati infatti addobbati con materiale di riciclo portati dai piccoli artisti. Dopo tanto impegno e divertimento ecco come per incanto il parco della struttura di via Su Rieddu è diventato un meraviglioso paesaggio natalizio: festoni argentati e colorati, palline, disegni, pacchetti hanno abbellito le piante del giardino. Tra di essi sorridenti e gioiosi i bambini hanno fatto a gara per addobbare il loro albero preferito.«È stato un momento di socializzazione particolare e intensamente creativo che ha permesso ai piccoli di iniziare il Natale in modo diverso e coinvolgente», ha fatto notare Antonella Ardu, una socia della Prociv che ha partecipato all’iniziativa insieme a tanti giovani volontari. Dario Frau daco, Francesco Cannas - assistiamo ad un crescendo di presenze. Segno che l’evento piace e che coinvolge persone vicine e lontane, pronte a macinare chilometri per arrivare a Collinas. Un’occasione per promuovere il paese e le sue peculiarità”. L’impegno e fare meglio e di più per una manifestazione entrata nel cuore di tutti. Santina Ravì SAN GAVINO L’albero di Natale realizzato con le pagine della Gazzetta Si è svolta nel giorno dell’Epifania, mercoledì 6 gennaio presso i locali del CIVIS, la premiazione delle vetrine e del miglior albero di Natale, iniziativa svoltasi nell’ambito del Natale Sangavinese che è stata l’ultimo atto di una grande manifestazione che ha visto la partecipazione di tante realtà del paese. «Vogliamo ringraziare tutti - afferma Carlo Sanna, presidente dell’associazione commercianti CCN - a partire da tutti i componenti delle 37 associazioni che hanno lavorato alla realizzazione della manifestazione. Personalmente ho avuto modo di conoscere tante persone e realizzare un qualcosa di impegnativo per il mio paese». A seguire un video con le immagini più significative del 2014 a San Gavino Monreale realizzato da Luca Fois e Stefano Altea. Dagli effetti causati da Cleopatra agli eventi che hanno colorato il paese passando per l’elezione del nuovo sindaco, Carlo Tomasi. Ed è proprio Tomasi che ha preso parola richiamando tutti i sangavinesi: «Questo è un altro esempio di come la popolazione voglia partecipare, è un qualcosa in cui io credo fortemente. Da parte nostra tutto l’impegno nel lenire la pressione fiscale anche per dare respiro a quelle attività commerciali che animano il paese. Dobbiamo ritrovare la forza dentro di noi». Gli fa eco l’assessore al commercio Maria Teresa Paccagnin: «Anche questa bella iniziativa sulle vetrine è un messaggio di positività. Personalmente mi sta a cuore la categoria ed è sempre un piacere vedere come all’interno dei negozi dietro l’angolo non manca mai un sorriso e i commessi ti chiamano per nome. Quando dobbiamo fare i nostri acquisti pensiamo al nostro paese». Per la cronaca il concorso vetrine ha visto piazzarsi al terzo posto la vetrina del Fotostudio Altea, al secondo il Bazar di Atzori e al primo il negozio il Bouquet. L’albero migliore, invece, è stato un ex aequo con L’angolo del Caffè e il salone di bellezza Me. Ma per noi della Gazzetta merita un’attenzione particolare la vetrina e l’albero dell’Ufficio Postale di Mauro Vacca. Mauro è, infatti, un nostro affezionato lettore e ha realizzato il suo albero con le pagine delle vecchie Gazzette. In questo periodo il riciclo va tanto di moda, e la sua è stata un’idea originale e carina per dare colore alla sua vetrina. Non sarà fra i primi classificati, ma gli farà sicuramente piacere leggere che qualcuno ha apprezzato il suo lavoro. Lorenzo Argiolas PDF Compressor Pro 16 Attualità 15 gennaio 2015 GONNOSFANADIGA. INIZIATIVA DELLA L’offerta del grano cotto in segno di prosperità e fertilità Si è concluso con allegria un altro calendario di appuntamenti sotto le feste organizzato dalla Pro loco di Gonnosfanadiga. Dopo le luminarie, la castagnata, l’incontro con i Babbi Natale, i gonnesi hanno dato il benvenuto al nuovo anno con l’offerta de “su trigu cottu”, in segno di prosperità e fertilità. Da tempo la Pro Loco ha rispolverato l’usanza di mangiare il grano con la sapa e ha condiviso questo rituale con la popolazione. Nei giorni che precedono la fine dell’anno il cereale viene ripulito dalle impurità, lavato PABILLONIS. NEI meticolosamente e lasciato riposare nell’acqua un giorno intero e alla fine viene cotto per oltre cinque ore. Successivamente, la pentola viene ricoperta per mantenere il calore tutta la notte. La vigilia del Capodanno, dopo avere insaporito il cereale con la sapa, i volontari della Pro loco lo distribuiscono alla popolazione, mentre i bambini vanno di casa in casa per riproporre “Su candeberi”: chiedono alle famiglie un piccolo dono in dolci o frutta in cambio di prosperità. Stefania Pusceddu LOCALI DEL CENTRO SOCIALE Grande Gospel per le feste di Natale Era strapiena la sala convegni del centro di aggregazione sociale, sabato 27 dicembre scorso, per ascoltare il gruppo Gospel The Friendly Travelers. E non poteva essere altrimenti, d’altronde, vista la fama che precedeva i musicisti. Un avvenimento importante per Pabillonis che ha avuto un occasione indimenticabile per sentire dal vivo uno dei più famosi gruppi di gospel americano. Dopo diversi spettacoli in teatri e chiese tenuti nell’Isola e in alcune città italiane, anche a pagamento,il famoso gruppo americano è approdato dunque nel nostro paese. L’evento musicale è stato organizzato dall’amministrazione comunale nell’ambito della rassegna itinerante “Incontro fra territori” con la collaborazione della Scuola Civica di Musica. Il gruppo The Friendly Travelers, di grande successo internazionale, proveniente dalla Louisiana (USA), viene fondato nel 1959 e si esibisce con grande capacità ed enfasi sia nello stile “a cappella” che accompagnato da una potente e dinamica sezione ritmica strumentale. Ad oltre quarant’anni dalla loro fondazione mantengono ancora lo spirito, la visione e la creatività delle origini. Nel ‘78 sono il PABILLONIS PRO LOCO Riproposto dalla Prociv l’antico rito propiziatorio de Su Trigu Cottu È stato proposto anche quest’anno l’antico rito propiziatorio de su Trigu cottu. È un buon auspicio, infatti, nell’ultimo giorno dell’anno, di buon mattino, possibilmente a digiuno, assaggiare il grano bollito, simbolo di prosperità e di fertilità. Pabillonis è uno dei pochi paesi che ancora hanno mantenuto questa antica tradizione contadina dell’ultimo giorno dell’anno, che consiste nell’offrire una ciotola di grano bollito condito con la sapa (mosto cotto). Una tradizione che le donne di una certa età, ma non solo, seguono scrupolosamente secondo le antiche consuetudini. Quest’anno sono stati i volontari della Protezione Civile a rinnovare per la comunità questa antica usanza. «I preparativi incominciano già alcuni giorni prima con la ricerca del grano, che dopo essere cernito con i crivelli in ferro o in giunco, viene messo in ammollo in acqua fredda. Nel tardo pomeriggio della vigilia, il cereale viene messo a bollire in una grossa pentola, meglio se in terracotta come is pingiadas di un tempo, su un fuoco a legna e, dopo alcune ore di cottura, il recipiente viene ricoperto di paglia per trattenere il calore fino alla mattina seguente», spiega un’anziana che ha preparato anche quest’anno su trigu cottu. L’ultimo giorno dell’anno, di buon mattino, nella piazza San Giovanni, il grano, condito con la sapa, è stato offerto dai volontari della Prociv a tutti i passanti, molti provenienti anche dai paesi vicini, in tradizionali “tianus” (tegamini in terracotta) realizzati dai ceramisti del paese. Dario Frau PABILLONIS Dalle befane tanti doni e dolci primo gruppo Gospel ad incidire per la prestigiosa Malaco Records, ingaggio che gli permette di esibirsi al fianco di grandi stars come Gladys Night e Mighty Clouds Of Joy. Il notevole successo raggiunto negli States li ha spinti in seguito a cercare ulteriore successo e notorietà in Europa. In questo ambito vantano applauditi tour in Germania, Svizzera, Francia e Italia dove hanno entusiasmato il pubblico con la carica ed il calore della loro musica, raccogliendo anche significativi consensi da parte della stampa specializzata. Il loro spettacolo, di matrice profondamente gospel, incorpora anche venature soul. Si delinea così un sound elettrizzante, che genera e sprigiona una fortissima carica emoti- va, che coinvolge e trascina anche gli spettatori meno abituati ad ascoltare questo genere musicale. È quello che è successo anche a Pabillonis dove il pubblico ha partecipato con vivo interesse, battendo le mani a tempo e scatenandosi sulle note di celebri pezzi. Una serata dunque indimenticabile con una performance live esaltata dalle straordinarie doti interpretative e da un indiscusso impatto visivo sulle note che fanno leva su sentimenti trasmettendo un messaggio di gioia e di felicità. Un grande messaggio di spiritualità, messo in evidenza dal forte carisma scenico e dalla bravura dei musicisti che hanno regalato un Natale diverso ai cittadini di Pabillonis. (d. f.) Come capita, ormai, da vari anni, alcune “vecchine” travestite da befane con la gobba e il naso bitorzoluto, ma con un cuore tanto grande, hanno voluto per l’Epifania donare splendidi regali ai bambini e dolci per tutti. La manifestazione, conosciuta come la “Befana in Piazza”, è stata riproposta anche quest’anno da Paola e Manuela, due volontarie che hanno procurato tanti regali per i bambini del paese, senza chiedere niente in cambio. Alle “Befane” basta infatti il sorriso, la gioia e l’entusiasmo dei piccoli, quando dalla cesta pescano il regalo a sorpresa. Alle 11.30 dopo la messa, nello spazio antistante la piazza di San Giovanni, le Befane alla guida di un “motocarro” della BZ commerciale, hanno distribuito tanti regali ai bambini che numerosi si sono avvicinati incuriositi, e qualcuno anche impaurito da quelle “nonne” un po’ particolari. La diffidenza è però subito scomparsa alla vista dei giocattoli e dei dolci offerti dalle simpatiche vecchiette che hanno, inoltre, coinvolto i piccoli in vari girotondi e balli festosi. (d. f.) PDF Compressor Pro Attualità 15 gennaio 2015 17 SANLURI. LA BEFANA La vecchina porta il dono più grande: la pace S arà pur vero che tutte le feste si porta via, come recita un malinconico proverbio, ma quest’anno l’Epifania è stata un successo da record. La vecchina dei doni è arrivata nel piazzale della parrocchia di Nostra Signora delle Grazie, mettendo d’accordo tutti quanti: amministrazione comunale, scuola, Pro loco, banda musicale, giovani ed adulti. Una calza differente, quindi, quella che è stata consegnata nel 2015, perché oltre ai dolcetti è riuscita a far riflettere sul GUSPINI. valore della comprensione, della solidarietà, del dialogo e della diversità, come risorsa, come occasione di arricchimento e di crescita per tutti. Per una volta tutti buoni: senza carbone. Il “nero regalo” non gradito ai bambini che, tra urla, salti e palloncini in volo si sono fatti in quattro per riuscire ad avere il sacchetto di caramelle della simpatica nonnina. Una mattinata all’insegna dell’allegria e dello stare bene insieme, per salutare le festività natalizie. Il tutto nella splendida cornice di un entusiasmo generale, accompagnato dalle note della banda musicale che, messe da parte le polemiche del Natale, questa volta ha trovato posto per regalare le tradizionali melodie. Soddisfatta l’assessore alla pubblica Istruzione, Vincenzangela Fenu. «Tante presenze - dice - in attesa della befana non c’erano mai state. Abbiamo preparato 400 doni e sono stati ORGANIZZATA DAL tutti consegnati. In diversi casi abbiamo rimediato con dolcetti». È con orgoglio che racconta i preparativi dell’evento. «L’ultimo giorno di scuola - ricorda - ho visitato personalmente tutte le classi dell’Istituto comprensivo, consegnando a ciascuno una lettera d’invito per la famiglia». E nessuno è voluto mancare all’appuntamento, nonostante la giornata fredda». Santina Ravì GRUPPO FOLK MONTEGRANATICO La rievocazione storica de “Sa Paschixedda Sarda” Chiunque abbia messo piede nel suggestivo cortile antistante le Case a corte di via Caprera, oltre il grande portone di legno massiccio, avrà conosciuto la straordinaria esperienza di sentirsi, percorsi pochi passi sull’acciottolato che porta alle dimore, parte di un mondo indefinito, ma certamente lontano da questo: divisi tra il grigiore della realtà moderna, segnalata dall’asfalto oltre la soglia, e il silenzio di un passato mai passato, rotto soltanto dal vivace gorgoglio dell’acqua de Sa Mitza. Percepito l’enorme potenziale di questo luogo, il Gruppo Folk Montegranatico di Guspini ha ripercorso il Natale sardo attraverso una rievocazione storica, nota come “Sa Paschixedda Sarda”, giunta ormai alla sua seconda edizione, ma comunque assai sentita e partecipata. “Brocche, stoffe, utensili, vestiti: dai pregiati ricami sulle camicie ai piatti in peltro, tutto è rigorosamente originale e ci è stato dato in prestito dai cittadini di Guspini, a cui siamo molto grati” affermano con entusiasmo Tiziana Leo e Angela Pusceddu, entrambe dotate di grande esperienza e autorità, che nelle giornate del 6,7,8, 20 e 21 dicembre hanno guidato i visitatori alla scoperta dei segreti e degli espedienti escogitati dai nonni per risolvere i piccoli problemi quotidiani, laddove mancava la tecnologia. “Ognuno di questi oggetti ha una storia ed è un piccolo capolavoro di ingegno: osserva la delicatezza di questi ricami - puntualizza sorridendo Angela Pusceddu, appassionata di intaglio, estraendo dalla cassettiera cuffiette, fazzoletti e asciugamani immacolati - e la maestrìa impiegata nella realizzazione della fibbia in filigrana di questo abito da sposa rosa cipria. È in crespo di lana - aggiunge - e la lavorazione delle maniche è a nido d’ape. Alcuni capi sono in seta, un materiale estremamente pregiato: è il caso di questa bella veste da battesimo di fine ’800, foto Andrea Scanu che del resto è la datazione di tutto ciò che vediamo all’interno di questa stanza. Non è stato facile reperire gli oggetti, e per completare la pulizia e l’arredamento della casa sono stati necessari tre giorni, ma portare avanti le antiche tradizioni e impedire che cadano nel dimenticatoio è sempre stato il fondamento dello spirito del nostro gruppo, sin da quando fu costituito nel lontano 1972, e dunque ogni sacrificio ci è stato ampiamente ripagato”. La cosa sorprendente - prosegue Tiziana Leo - è che i visitatori più anziani hanno manifestato un interesse a dir poco singolare. In molti sembravano perdersi tra i ricordi nel prendere in mano gli oggetti, nel toccarli, nel sentirne la consistenza: alcuni ci hanno raccontato diversi aneddoti interessanti, altri si sono limitati a percorrere lo spazio o, come i bambini, a riempirci di domande. Tutto ciò è fatto in onore di valori che ormai si stanno perdendo. Io dico sempre che chi non ha radici non ha futuro, e se da una parte è compito dei giovani perpetrare la tradizione, è pur PABILLONIS. SETTIMA È diventato un evento sociale ormai la tombolata di Natale organizzata dalla Protezione Civile di Pabillonis. Puntuali, come succede da sette anni, i volontari dell’associazione preparano con impegno e dovizia l’iniziativa che nel periodo delle feste, tra il Natale e l’Epifania, caratterizza le giornate della nostra comunità. Non è facile organizzare, pianificare, progettare una “semplice” (secondo alcuni) tombolata. Per garantire una buona riuscita della manifestazione occorre tanto impegno e tanto tempo. Un sacrificio ulteriore a quello profuso durante il corso dell’anno poiché soprattutto durante le festività tutti preferiscono stare con i propri cari uniti in famiglia. Per i volontari della Prociv tutto questo è relativo. L’obiettivo di mandare avanti in modo ottimale l’attività dell’associazione è lo scopo di questa iniziativa. Raccogliere fondi per garantire un “servizio” alla comunità è il fine infatti della tombolata. Anche quest’anno il successo e la partecipazione dei pabillonesi (e non solo) è stato positivo. Adulti, bambini, famiglie intere hanno partecipato alla tombolata che si è svolta in varie sedute nel centro di aggregazione sociale di via Su Rieddu. Momenti socializzanti dove lo scopo benefico ha fornito anche l’occasione di trascorrere in serenità diverse ore insieme ad amici e conoscenti. Alla fine, come sempre, tutto è andato per il verso giusto e i volontari hanno voluto ringraziare tutti coloro che hanno dato una mano per mandare avanti le attività della Prociv anche per il 2015. vero che da parte nostra sussiste il dovere di tramandargliela nel migliore dei modi”. Durante le visite, gli ospiti hanno potuto degustare diverse specialità tipiche, tra le quali frittelle, ravioli e formagelle fatti in casa e assistere alla lavorazione di formaggio e ricotta. Sparsi tra i diversi ambienti della casa, i giovani del Folk, rigorosamente in costume sardo, intenti alle mansioni più varie, raccontano: “ Mi sono avvicinato al gruppo grazie alla mia famiglia, che sin da quando ero bambino mi invitava a prendere parte alla attività; e sebbene per diverso tempo pensassi che quella del ballo sardo non fosse una disciplina adatta a me - Andrea,18 anni - tutto ad un tratto me ne sono innamorato.” Poi è la volta di Gianpiero, 28, di origini sarde e milanese d’adozione: “Mio padre è sardo e ogni estate venivo qui in vacanza. Ero solo un bambino, ma rimasi affascinato dalla Sardegna e questo amore non mi ha mai mai abbandonato, così lo scorso maggio mi sono trasferito definitivamente e ciò non avrebbe potuto rendermi più felice.” Le fa eco Alice: “Terminato il corso di latinoamericano, ho pensato che mi sarebbe piaciuto provare il ballo sardo: a prima vista non potrebbero trovarsi discipline più diverse, ma in realtà ho trovato più similitudini di quanto si creda e sono soddisfatta.” “Emigrare per me sarebbe estremamente difficile - riprende Andrea. - Percepisco questa terra con ogni fibra del mio essere, e solo il pensiero di dover rinunciare a Santa Maria il 15 agosto, al pranzo della domenica, a camminare nelle vie in cui sono cresciuto, mi fa star male. Partire sì, ma solo con la promessa di poter tornare un giorno.” Francesca Virdis EDIZIONE La Tombolata della Prociv «E semplicemente grazie.Grazie per aver partecipato alla 7° Edizione della Tombolata di Natale.Grazie agli esercizi commerciali che da sempre ci sostengono con generosi premi. Grazie agli agricoltori, agli allevatori che non ci fanno mai mancare i tanti attesi agnelli!! Grazie a voi che avete partecipato e non solo compaesani, ma anche dai paesi limitrofi. Grazie per aver sfidato pioggia, grandine e freddo, per sostenere la nostra associazione. E un grazie speciale ai nostri volontari, che con il loro impegno e spirito di squadra hanno permesso questa settima edizione! Al prossimo anno!!» Dario Frau PDF Compressor Pro 18 15 gennaio 2015 Attualità SARDARA Concerti natalizi e gemellaggi musicali D ue concerti natalizi a Sardara hanno fatto emergere con successo le associazioni musicali del territorio e il patrimonio culturale del paese. Lo scorso 28 dicembre la parrocchia Beata Vergine Assunta ha ospitato il coro polifonico di Siurgus Donigala, La Corale di sole voci femminili, il coro maschile Santo Rosario e il coro parrocchiale Santa Maria, invitati dall’associazione organizzatrice dell’evento la Banda Città di Sardara. Presentati da Franca Sanna e guidati nelle esibizioni musicali dal maestro Felice Cassinelli, i quattro gruppi hanno interpretato brani a tema e canti in lingua sarda, alcuni dei quali composti dallo stesso direttore Cassinelli, come “Magnifica” e “Gloria”. Il gruppo femminile in stile gospel, e a cappella le altre due corali di Siurgus Donigala, lasciando poi il posto alla Banda sardarese che si è esibita con strumenti e coro, allettando la numerosa platea affascinata dalle spettacolari interpretazioni, l’ultima delle quali “Happy Day”, cantata all’unisono dalla Banda e La Corale, accompagnate dal battito delle mani degli spettatori e da un caloroso applauso conclusivo. Il presidente dell’associazione ospitante, Michele Campo, ha commentato così la manifestazione: «Sono soddisfatto della notevole partecipazione attiva del pubblico. Anche questa è stata un’occasione per dimostrare i risultati raggiunti dagli allievi della nostra scuola. Ma soprattutto un punto di confronto con eccellenti cori come quelli di Siurgus Donigala, che ci consentono di maturare e crescere dal punto di vista culturale e artistico-musicale». L’evento è stato occasione anche per conoscere gruppi come La Corale, la cui notorietà è incrementata a seguito del concerto al Teatro Massimo di Cagliari, La Variante di Luneburg, con una prima e quattro repliche, l’ultima delle quali come coriste di Milva. E per presentare ai sardaresi la nuova insegnante di canto moderno della scuola di musica locale, Pamela Lorico, cantante delle Balentes. Il concerto di Natale è stato inoltre seguito in diretta anche da chi, non potendosi recare in chiesa, si è sintonizzato sul canale radiofonico attivato di recente dal parroco del paese, don Vincenzo Salis. Un altro concerto a Sardara ha dato il via al nuovo anno con la premessa che si creino momenti di scambio e contemporaneamente di valorizzazione del patrimonio culturale. Per questa ragione “La Sorgente 2000” di Sardara e la “Banda musicale Città di Pabillonis” si son esibite insieme alla corale strumentale “San Pietro Pascasio” di Quartucciu, nel concerto “Noel 2014” del 4 gennaio nella storica chiesa di Sant’Anastasia, aperta per l’occasione dal parroco don Vincenzo Salis e la cooperativa Villa Abbas che gestisce i beni culturali di Sardara. Alternandosi sul palco e accompagnati dal pianoforte di Simone Fois e Francesco Massenti, ognuno dei tre gruppi ha intonato davanti ad una gremita platea melodie di brani a tema, perlopiù sacri, in lingua latina e sarda. E in inglese, col brano “Prayer” di Bocelli e Celine Dion nell’interpretazione di Vi- ola Maria Pisano ed Alessio Perra, soprano e baritono della corale di Quartucciu, diretti dal maestro Leonardo Pisano. A dirigere invece le due associazioni del Medio Campidano, la loro stessa insegnante Paola Usai, che le ha guidate anche nell’ultimo brano della serata, “Il cantico delle creature del Serafico Padre San Francesco”, cantato all’unisono dal coro di Sardara e da quello istituito circa un anno fa dalla Banda di Pabillonis. Con l’intento di far gemellaggio, i tre gruppi si erano già esibiti il giorno prima con grande successo a Pabillonis ed è previsto un prossimo appuntamento a Quartucciu. Il vicepresidente dell’associazione di Pabillonis, Maria Antonietta Locci, ha spiegato: «Uno degli obiettivi di queste manifestazioni è quello di ricordare alla comunità che siamo presenti nel territorio e che tutti possono farne parte, di qualsiasi età e ceto sociale. È rigenerante. E dedicare il proprio tempo libero alla musica e alle attività creative fa bene soprattutto a se stessi». Condivide il presidente dell’associazione culturale di Sardara, Fabio Loi che, esprimendo una citazione di Adolfo Pérez Esquivel, ha aggiunto: «La grande ricchezza dell’umanità sta nella solidarietà. Per questo, abbiamo dedicato il concerto in ricordo di due concittadine, esempio di valori umani e solidarietà, Maria Quattrocchi e Nina Mascia». All’evento hanno collaborato anche Federico Floris come tecnico audio e Mattia Pisano nella gestione delle luci. Marisa Putzolu PABILLONIS Un inizio d’anno all’insegna della buona musica È iniziato con la buona musica il nuovo anno in paese. Ha avuto un notevole successo infatti la manifestazione che si è tenuta sabato 3 gennaio nel centro di aggregazione sociale. Strapiena fino all’inverosimile la sala congressi della struttura di via Su Rieddu. dove si è tenuta la serata musicale. Un evento eccezionale e da incorniciare per il paese dove gli eventi culturali raramente riescono a catturare l’interesse e la voglia di partecipazione. Stavolta però non è stato così. L’organizzazione perfetta, scandita dai tempi delle varie esecuzioni ben distribuite dalla presentatrice Antonietta Locci, ha garantito uno spettacolo che ha strappato calorosi applausi e non erano certo di circostanza. In effetti la preparazione dei bravi cantanti e musicisti non ha lasciato alcun dubbio sulla loro manifesta professionalità. Volevano far bella figura davanti ad un pubblico esigente e numeroso e così è stato. Ad esibirsi sono stati diversi gruppi. L’apertura è spettata alla banda musicale di San Gavino (nata nel 1991, ha compiuto nel 2014 venticinque anni dalla fondazione), magistralmente diretta dalla maestra Alessandra Cadeddu. Grinta, determinazione e sicurezza hanno caratterizzato l’esibizione della musicista che con il semplice sguardo, il gesto secco e imperante è riuscita ad amalgamare e uniformare l’eterogenea varietà degli strumentisti. Il merito dell’ottima prova va anche alla bravura di alcuni componenti della banda musicale Città di Pabillonis che hanno suonato insieme a quelli di San Gavino. Una miscellanea di pezzi ha caratterizzato il repertorio: da quelli natalizi a quelli più classici, fino alla travolgente Marcia di Radetzky che ha suggellato il finale. Dopo è spettato al coro polifonico “La Sorgente” di Sardara ( nato nel 2000 e già affermato in zona), e a quello di Pabillonis (da un anno fa parte dell’Associazione Banda Musicale “Città di Pabillonis”) proseguire e confermare la qualità della serata musicale. Notte de chelu, In quel primo natal, Istella mia i pezzi cantati dai bravi artisti di Sardara. Falade. anghelos. Falade, Glory alleluia Amen, Fermarono i cieli invece i brani, che hanno riscosso tanti applausi, cantati dal coro di Pabillonis che pur essendosi costituito di recente ha già raggiunto lusinghieri risultati grazie anche alla professionalità della maestra Paola Usai. Una piacevole sorpresa, per la bravura, l’ intensità e melodia del canto è stata l’esibizione della solista Lilli che ha suscitato tra il pubblico significativi apprezzamenti. La serata si è conclusa con il brano Il Cantico delle Creature cantato insieme dai due cori. Dario Frau PDF Compressor Pro Cultura 15 gennaio 2015 19 LA VERA STORIA DI GONNOS Revisione di un racconto surreale di Giovanna Tomasi Fa piacere scoprire che a Gonnos è sbocciato un nuovo scrittore. Fa meno piacere leggere gli scritti surreali sul passato del paese. Il suo racconto, che si svolge “tra il molto fantastico e il poco reale”, offende e ferisce i gonnesi che, seppur con i loro molti difetti, non meritano di essere tanto denigrati e trasformati in zombi e delinquenti. Volendo raccontare una storia fantastica e surreale, utilizzando situazioni e personaggi ,che costituiscono nel paese un’eccezione non la regola, bisognerebbe ambientare i fatti in un paese immaginario; così si eviterebbe di confondere le idee di molti giovani che non conoscono molto bene i fatti. L’esimio scrittore non rende certo giustizia al proprio paese, che ancora nel periodo 1939/45, era chiamato “sa bidda de is arricus” (come da almeno 300 anni); infatti, oltre alle poche eccezioni citate nel racconto, il paese era popolato da molte altre persone: le famiglie dei latifondisti (Porru, Marongiu, Zurru, Peddis), conosciuti anche nei paesi vicini perché, anche lì, avevano grandi proprietà e davano lavoro a tanti operai; i più grandi industriali del sughero della Sardegna, la famiglia Pinna; a seguire, in ordine di censo, tutti i proprietari e i piccoli proprietari, vale a dire coloro che erano in grado di dare lavoro a terzi e coloro che con il loro piccolo podere sfamavano onestamente e dignitosamente la famiglia; c’erano poi i braccianti e gli artigiani e anche loro avevano il loro piccolo podere. C’è poi da dire che il carattere del paese non era molto cambiato dal 1840, quando Vittorio Angius annotava nel suo “Dizionario storico, statistico,.....” “che a Gonnos c’erano 1626 donne e 800 telai (cioè un telaio ogni due donne), che “lavorando più del bisogno della famiglia fanno qualche guadagno”. Nel 1939/45 il paese era ancora famoso per la produzione di “saccus nieddus” (il sacco a pelo dei pastori sardi) e quelle donne che avevano mandato in pensione i telai non stavano in un cantuccio a piangere disperate, ma già da decenni avevano adottato la “macchina per fare le calze”, che producevano in grandi quantità e vendevano in tutti i paesi vicini e negli spacci delle varie miniere. Quando da ragazzina mi capitava di andare in altri paesi, o anche a Cagliari, non mi vergognavo di rispondere alla domanda “Da dove vieni?”, perché il mio interlocutore, alla mia risposta, replicava dicendo “Ah! Il paese dell’acqua buona, delle angurie e degli ortaggi buoni.” Questa fama i gonnesi non l’avevano guadagnata, come scritto nel racconto, ubriacandosi nelle bettole e rendendo il paese un “corpo inerte”, ma lavorando il terreno sabbioso e ghiaioso “con industria e costante fatica”, come scriveva l’Angius, che aggiungeva: “Lavorasi negli orti, nei quali si semina meliga, zucche, cipolle, meloni, cavoli, rape, lattuga, pomidoro, fagiuoli e altre specie e mandasene fuori gran parte”: i gonnesi erano quindi anche grandi esportatori di prodotti ortofrutticoli. Cosa dire poi dei frantoi? Pur essendo laboratori artigianali erano importanti per il paese come una grande industria: in essi, forse più che in altri campi, i gonnesi si erano dimostrati aperti all’innovazione e all’imprenditorialità. Da ottobre fino a marzo i frantoi Cecchini, Bardi, Tomasi, Sogus, Frau, Foddi (e mi perdoni chi è stato dimenticato) lavoravano 24 ore su 24, macinando le olive dei gonnesi e quelle dei paesi vicini e meno vicini. Per quanto riguarda la gloriosa “Stazione Postale” di “s’Impresa” (dove avveniva il cambio dei cavalli delle diligenze e i viaggiatori potevano sostare e ristorarsi), era già chiusa dal 1930 e nel periodo ’39/45 i nipoti di “tzia Sera Fadiori” (la padrona della Stazione) abitavano i diversi appartamenti che avevano ricavato negli stabili (uno di loro era mio suocero). Naturalmente, come ovunque, anche a Gonnos la vita era molto diversa da com’è oggi e molto più difficile: non mancavano i disonesti, i ragazzi abbandonavano presto la scuola per andare a lavorare, giravano un po’ di soldi falsi, mancavano le fogne e il fiume faceva da depuratore e in ogni cortile c’era il letamaio, che però non impediva di tenere le case dignitosamente pulite. Nonostante questi piccoli guai e le tragedie della guerra i gonnesi non si sono mai abbattuti e rassegnati. C’è da fare un’altra considerazione: nel racconto surreale della storia di Gonnos, dove i reduci della guerra del ’15/18 non sapevano di aver sconfitto gli Austro-Ungarici, i fascisti dell’ultimora facevano da badanti ai gerarchi strafatti e i comunisti hanno come capo una prostituta, l’autore (gonnese) si chiama fuori da questa Genia di ubriaconi, inerti, disonesti, dai pidocchi, dalle latrine e dalla merda fresca del Rio Piras: “Io ero un estraneo e di fronte a me i gonnesi si vergognavano”. Complimenti per essersi ritagliato la parte migliore. Le funzioni dei Nuraghi Una delle questioni più dibattute dell’archeologia nuragica è sicuramente quella relativa alle funzioni che tali architetture, caratteristiche della Sardegna, ebbero nella vita dei popoli che le edificarono e le utilizzarono. Una controversia destinata a durare ancora a lungo e, verosimilmente, a non trovare una risposta definitiva, e questo per due ordini di motivi: la mancanza di indizi certi che siano in grado di orientare verso un’ipotesi piuttosto che un’altra; l’evoluzione che i nuraghi ebbero nei tempi della loro costruzione e diffusione, dagli albori al periodo finale del II millennio a.C., che li vide passare dalle rudimentali forme irregolari dei proto e pseudo-nuraghi, alla perfezione formale del classico tronco di cono con falsa cupola (tholos), fino alle stupefacenti soluzioni delle Regge nuragiche, straordinari archetipi in muratura a secco di molti castelli tardomedievali e rinascimentali. La Civiltà Nuragica, ben lungi dall’essere stata immutabile nel tempo, in quasi un millennio di esistenza autonoma è stata attraversata da una costante dinamica progressiva che ha sicuramente condizionato anche la funzionalità del suo monumento più rappresentativo. È evidente, di conseguenza, che l’unica certezza riguardo alla questione dell’utilizzo effettivo dei nuraghi è che non si può parlare di funzione, ma di funzioni. Il primo a fare un’ipotesi sulla questione fu il canonico Spano, che li considerò delle prigioni. Taramelli si orientò verso la spiegazione più logica, almeno in apparenza: data la loro conformazione e ubicazione, non potevano che essere stati edificati a scopo di controllo e difesa del territorio. Giovanni Lilliu, in un primo periodo, confermò e rafforzò questa ipotesi, ma con lo sviluppo della ricerca sul campo, si aprì all’ipotesi polifunzionale. A favore dell’utilizzo per controllo e difesa depone, innanzitutto, la fisionomia possente dei nuraghi e la presenza di feritoie che potevano essere utilizzate dagli arcieri; in secondo luogo, l’ubicazione in luoghi panoramici e i collegamenti visivi tra loro, disposti in maniera gerarchica dal centro (la reggia) verso la periferia, evidenziano il loro utilizzo a guardia del territorio e come strumento di comunicazione. Ma questa è un’evidenza che riguarda la civiltà nuragica nel periodo apogeico, tra il 1500 e il 1000 a.C. e non è detto che le forme più arcaiche rispondessero alle stesse esigenze. D’altronde, i dati degli scavi che si sono succeduti dal dopoguerra a oggi hanno mostrato risultati che testimonierebbero un utilizzo dei nuraghi, quantomeno parziale, come luoghi di raccolta delle provviste, abitazione e, almeno nel periodo finale, di culto. L’ipotesi dell’utilizzo per la conservazione delle scorte di cibo è suffragata anche dal microclima che si forma all’interno del nuraghe, fresco d’estate e temperato d’inverno. L’ipotesi che tanto affascina gli appassionati di archeomisteri, vale a dire la funzione sacrale legata a un culto astronomico, si basa su coincidenze, mai approfondite sistematicamente, di un orientamento dei nuraghi tale da segnalare, attraverso il flusso della luce, il ciclico ripetersi di solstizi ed equinozi; coincidenze che potrebbero non essere tali, ma comunque dettate, più che da una mistica cosmica, da un interesse pratico: la necessità, per una società a vocazione agropastorale e marinara, di avere una precisa coscienza dello scorrere del tempo. La scarsità di luoghi di culto non è una ragione sufficientemente valida per affermare che fossero gli stessi nuraghi le sedi di quelle funzioni. D’altronde, lo studio dei pozzi sacri e della loro genesi, in un primo tempo circoscritti alla prima parte del I millennio a.C., ha orientato gli studiosi a considerarli, almeno nelle forme più arcaiche, contemporanei del periodo apogeico nuragico. La religiosità naturalistica delle genti nuragiche, ad ogni buon conto, poteva espletarsi in buona parte direttamente nei santuari naturali, come fonti, fiumi, boschi e grotte. Secondo quanto dice Pittau nel libro “La Sardegna Nuragica”, il fatto che vicino a ogni nuraghe si trovi una chiesa dimostrerebbe che i nuraghi erano luoghi di culto, con le capanne intorno a fare la funzione di muristenes (come accade tuttora nei pressi di moltissime chiesette, specialmente nei giorni delle feste). La polifunzionalità dei nuraghi è suggerita anche dall’utilizzo che di tali monumenti è stato fatto in tempi successivi, dalla romanizzazione fino a tempi relativamente recenti. Nei condaghes giudicali sono presenti numerose testimonianze del loro utilizzo diversificato come luoghi di stoccaggio delle eccedenze alimentari, di riunioni assembleari e perfino di celebrazione del culto cristiano. Anche una forma artistica tipicamente sarda come il canto a tenores fa pensare a una sua genesi cultuale all’interno dei nuraghi, sia per la disposizione dei cantanti in circolo, sia per le particolari risonanze delle voci che paiono modellate sull’acustica dei giganti di pietra. In definitiva, solo un utilizzo polifunzionale può giustificare la fortuna della tipologia nuragica e la sua assoluta predominanza su ogni altra testimonianza architettonica del periodo. Mauro Serra PDF Compressor Pro 20 Cultura 15 gennaio 2015 Su sadru chi seus pedrendu Aiaia sa Turronàia Scracàlius di Gigi Tatti Seconda parte I n cussus tempus sa poborèsa fiat mèda e is femias, mancai fessant coiadas e cun tanti fillus, po nci tirài su mesi aciungìant, a su guadangiu misenìu de su pobiddu, cussus pagus francus coberàus traballendu po genti sennora. Po una fiuda fut peus puru, su guadangiu ddu depìat fai totu de sei. Cument’e totus deu puru tenìa duas aiaias, dd’as stimà tot’a is duas in sa propria manèda, ma sa chi arrennescìat a tirài de prus is nebodis a sa pàti sua fiat aiaia Tou. Aiaia Lampis stadìat prus béi de sienda e aiaiu dd’agiudàt in domu puru. Is fillus, totus coiaus, e cun traballus bastantis po is abisongius de sa familiedda insòru. Aiaia Tou fut stetia prus disfortunàda in vida sua. Abarrada fiuda a giovuna, nesci de ua arrutura chi aiaiu iat fàtu de ua mat’e obìa, iat tentu in sienda cuaturu fillus de cresci e si fut depia inginniài a fai is traballus prus drivessus chi ddi capitant. Giài de candu fut allatendu is fillus donàt su làti suu a pipius chi ddi potant, poita ca sa mama tenìat su petus aridu. Babai miu, su fradi e is sorris, tenìant totus u fradi o ua sorri de làti. Custu traballu dd’iat depiu fai acou puru, fias a candu sa natura si dd’iat premitiu. Andàt a fai lissìa a s’arriu, caddaxus mannus de arroba de sciacuài a peis in s’acua, is dabòris de ossus e de costau arribaus a cou’ i ecèsa, no fiant po debadas. Su fasc’e linna po coscinài e si callentai in tempus fridu no ddu scarescìat mai. Ma su traballu prus notoriu po sa genti, fut a fai is turrõis, e po cussu ddi tzerriànt Rosaria sa turronàia, e po cussu no ddi mancat mai sa costedd’e is turrõis. Dda cumandànt poita fut bratzus fòtis. Custu traballu dd’iat sighìu a fai candu fut abarrada soba puru e cun is fillus coiaus. Sa spera de totus is nebodeddus fiat di essi sceberaus po dd’acumpangiài a fai is turrõis, su chitzi chi andat, is atras femias puru fiant acumpangiàdas de fillus o nebodis, e giogant impàri. Custumàt a ddoi andai a de dì puru, po segài sa mendua, ma issa, ca fut abista si fadìat potai su sàcu de mendua a domu sua e dda segàt innias, ca dd’abarràt su croxu po ghetai a su fogu. Su speddiu nostu po si fai arregolli fiat, a pàti su spassiu cun is atrus piciocheddus, ca si ‘onànt drucixeddus e arrennesciaiaus a scrocai cuncua mendua, stichendu sa mãu a sa crobi prena, ma de candu a Giuannicu, su turronàiu, dd’iat cancaràu sa mãu cun d’u crop’e atzitzaiu, po ndi scabulli ua farrancàda si tocàt a potai is ogus apetus e ddu fai a sorvidada e a iscusi. Finzas a candu issu no si fut fàtu prus abistu e ndi ‘ogàt sa mendua a su momentu de dd’etai a su caddaxu. Tziu Bissenti, uantru turronàiu, invecias no ndi passàt contu, poita ca su chi si papànt is piciocheddus nde ddu scontàt de sa paga, misenìa, de is femias. Ua dì aiaia m’iat nau: «Béis notesta a crocai a dom’e aiaia? A chitzi t’arregollu cun mimi a fai is turrõis.» No mi fut patu mancu berus. «Sissi aiaia, gei andu!» Dd’ia nau a mamai e apenas prandiu fia pesàu a dom’e issa, po no pedri tempus. Cumenti nci fut cabau su sobi, deu e aiaia, iaus cenàu: u bellu pratu de minestr’e patata cun s’aciunta de ua fit’e pãi e pois a lètu, sa tellavisiõi no nci fut e si ndi depaiaus pesai a chitzi. Mi fut pàtu de m’essi apenas crocau candu aiaia mi nd’iat sciumbullau: «Pesa, su pipiu, ca est or’e andai.» M’iat trogau u sciallu bèciu e fiaus andaus, tziu Antiogu bivìat acanta e fiaus arribaus luegus, is atras femias ddoi fiant giài cun is piciocheddus. Si fiant postas luegus a traballai: a chini aperriat is ous, a chi scroxat sa mendua, su caddaxu fut giài prontu a arricì su mebi, is ous e sa mendua. «Tocai pipieddus - s’iat nau tziu Antiogu - a chi intrat sa linna ddi ‘onu ua farrancada de mendua.» Luegus fiaus cutus a pratza, iaus intrau sa linna prexaus abetendu sa farrancad’e mendua, issu potat mãus mannas… Ma sa mãu po pigài sa mendua fut sa nosta, tropu pitica po si ndi prandi. Is atrus iant pigau sa farrancadedd’e sa mendua e iant inghitzau a papai, deu, sen’e mi ndi fai acatai, mi ndia ghetau duas farrancadas a síu, e acou a bell’a bellu ia inghitzau a papai. In d’u furrungõi, aillargu de is murus, ddoi fut sa forredda ingiriàda de pedras chi fromànt su forreddu, in àtu, de u muru a s’aturu, ddoi fut u truncu cun d’u stampu su baddadori a nca nci stichiant sa maiga longa de s’arremu chi ferrìat giustu giustu a mes’e su caddaxu.Tziu Antiogu iat allutu su fogu e, prim’e nci põi su caddaxu, apitzus de is pedras iat sterriu unas cantu follas de figu morisca, po chi no dd’essat arribau fogu tropu fòti. Luegus iat ghetau a su caddaxu su mebi bastanti po cussa pesàd’e turrõis, pois is srabius de is ous, is ollãus srebiant po fai atrus drucis. Duas femias, una a ua pàti e una s’atra, iant pigàu s’arremu e inghitzau a girài, chen’e si frimai nudda, cambiadas de is atras duas apustis pagu, po no s’atacai a su fundu. Custu traballu sighìat aici po assumancu tres oras e mesu. A nosu piciocheddus, bintus de su sonnu, siant fatu crocai in d’u letu chi ddoi fut a ua pàti. Si ndi fiaus sciumbullaus candu fiant cabendindi su turrõi fàtu, a tempus giustu po pullì sa pallita chi potant po ndi stacai su druci de su caddaxu. Is femias fiant pasìendu pagu pagu, totu sciustas de sudori e fadiadas po su traballu fatu, ma aprontendusì po ndi fai uantra pesàda. A nosu tziu Antiogu s’iat fatu cuncodrai is cascitas de turrõi callenti ponendiddi sa mendua apitzus, una avat’e s’atra, ma cuncuna, avat’e s’atra dd’acabat in buca! A si ‘ntendi mellus. tziu Arremundicu. Ci funt momentus chi unu contixeddu allirgu fai beni gana bella e fai praxeri. Po cussu, custus “scracàlius” serbint po ci fai passai calincunu minutu chene pensai a is tempus lègius chi seus passendi in custus annus tristus e prenus de crisi. Aici, apu pensau de si fai scaresci calincunu pensamentu, ligendi e arriendi cun custus contixeddus sardus chi funt innoi. Sciu puru, ca cussus chi faint arrì de prus, funt cussus “grassus” e unu pagu scòncius, ma apu circau de poni scèti cussus prus pagu malandrinus, sciaquendiddus cun dd’unu pagheddu de aqua lìmpia. Bonu spassiu. Est bellu puru, poita calincunu, circhendu de ddus ligi imparat prus a lestru a ligi in sa lingua nostra. E custa, est sa cosa chi m’interessat de prus. Zaccaria est torrau de Continenti e in su bar incontrat su gopai Vissenti. Vissenti: E insaras ita novas in Continenti? E sorri tua comenti stait? Zaccaria: Ge stait beni. Vissenti: E ita est fadendi? Zaccaria: Est fadendi sa batona. Vissenti: Veramenti t’apu domandau ita novas! ................................................................................................................................................. Stevini est andau aundi de su specialista po si fai visitai a su gùturu. Su specialista: Nerimì. De candu si d’est acatau de ai pèrdiu sa boxi? Stevini: De s’incrasi chi mi fia coiau! ................................................................................................................................................. Sirigu est andau in vìsita po si fai donai sa pensioni de invalididadi. Su dotori: De candu fostei est bessiu mudu e no podit fai prus su telefonista? Sirigu: Scusimidda, ma si seu mudu, comenti fatzu a dd’arrespondi? Seu mudu, miga stùpidu! ................................................................................................................................................................ Sistu e Serapiu funt in s’osteria imbriaghendusì e funt fueddendi. Serapiu: Céssu! Ge si ndi chìnchiat pobidda mia, candu pinnicu e càstiat s’orològiu! Sistu: Biadu tui ca càstiat s’orològiu. Po mei inveci depit fortzis castiai su calendàriu! ................................................................................................................................................. Sidoru est passillendi cun sa pobidda Ursula. Sidoru: Ddu bis a cussu tipu chi est passendi totu prexau? Ursula: Ge ddu conosci. Sidoru: Bis, cussu sì ca est unu fortunau cun is fèminas. Ursula: Ma si est bagadiu! Sidoru: Est apuntu po cussu chi est fortunau cun is fèminas! ................................................................................................................................................. Apoloniu in gita at fatu conoscenza cun dd’unu polìticu. Su polìticu: Fostei ita mestieri fait? Apoloniu: Deu fatzu unu mestieri chi sa genti abarat a buca aberta de su chi fatzu. Su polìticu: Insaras fait su polìticu coment’e mei? Apoloniu: Nossi. Fatzu su dentista. ................................................................................................................................................. Marieddu est pinnicau a domu de scola e fueddat cun sa mamma. Sa mamma: E insaras Marieddu, oi a scola as fatu a bravu? Marieddu: Sissi mamma. Oi Apu fatu puru una bona atzioni. Sa mamma: Bellu. Contamì insaras ita as fatu. Marieddu: Oi unu cumpangeddu maladitu de classi, at postu unu agu in sa cadira aundi si depiàt séi sa maista. Sa mamma: E tui ita bona atzioni as fatu? As avisau sa maisat de no si séi? Marieddu: Nossi mamma. Comenti apu biu ca sa maista fiat setzendusì, apu spostau sa cadira. ................................................................................................................................................................ Su professori de scienze est interroghendi a Marieddu. Su professori: Marieddu, mi depis nai, ita iat a sucedit si ci perdis un origa. Marieddu: Ca c’iat a intendi mali. Su professori: Bravu. E si ddas perdis tot’i a duas? Marieddu: No nc’ia a bit prus. Su professori: Comenti no nc’iast a bit prus. Ita c’intrant is origas cun is ogus? Marieddu: C’intrant. Poita chene origas, no m’ia podi prus poni is ochialis de vista! .................................................................................................................................................. In su parcu de Monti Urpinu de Casteddu unu operàiu de su Comùnu est vernicendi una panchina. Arribat unu barboni. Su barboni: Narit. Meda ci ponit a verniciai custa panchina? S’operàiu: Poita mi ddu domandat? Po cali curiosidadi? Su Barboni: Poita bolia sciri, si sa tinta ce dda fait a asciugai prima de scurigai. S’operàiu: Ma ita de ndi frigat a fostei de custa cosa? Su barboni: Est, ca bolia sciri, a it’ora mi ddoi potzu crocai! .................................................................................................................................................. Checu est fueddendi cun dd’unu butegheri. Checu: Est pròpiu berus ca in bidda c’est una crisi manna. Su butegheri: Ci podis contai. No si bendit prus nudda. Nanca at falliu po fintzas sa butega de sa biancheria intima. Checu: Certu, sa genti no si podit comporai mancu prus is mudandas. Su butegheri: Cussu puru. Ma deu si dd’ia puru consillau, de no aberri cussa butega, acanta de su campu de is nudistas! ................................................................................................................................................. Unu Casteddàiu incontrat unu amigu chi no biriàt de medas annus. Su Casteddaiu: M’at fatu meda praxeri a t’ai torrau a incontrai a pustis medas annus. S’amigu: A mei puru. Su casteddàiu: Seu aici prexau, ca m’iat a praxi a cenai cun tui. S’Amigu: A mei puru, ma meda, meda. Su casteddàiu: Bellu. Insaras, avisa a pobidda tua de aciungi uu pratu in sa mesa po mei! PDF Compressor Pro Cultura LA SARDEGNA NEL CUORE 15 gennaio 2015 21 di Sergio Portas Bravi Camboni: le vicende epiche della squadra del Cagliari, dai brocchi ai campioni S e, come asseriva Hegel, il giornale è la preghiera del mattino dell’uomo moderno, mi sento di poter dire, dando uno sguardo ai milanesi che prendono la metropolitana, tutti immersi nello scrutare i loro telefonini con maniacale attenzione, che di uomini moderni si va perdendo la traccia o che più semplicemente nessuno ha più molta voglia di pregare, al mattino. Io pervicacemente rimango convinto che un popolo che non legge i giornali è destinato a pagarne le conseguenze culturali (di declino) e politiche: che so, votare per vent’anni un populista destinato a finire in galera, prima o poi, e, a disastro avvenuto, rimediare buttandosi sul primo comico televisivo che urla contumelie o sul delfino padano di un altro trombone finito sotto processo per aver distratto fondi del suo partito ad uso famigliare e privato. Tutto questo per confessarvi che ogni mattino che Dio mi manda vado in edicola per “Repubblica”, quotidiano di tendenze non esattamente rivoluzionarie ma che, a parer mio, ha avuto il merito, negli ultimi vent’anni di cui dicevo, di accorgersi per tempo che quel politico che li ha cavalcati alla grande aveva frequentazioni pericolose e vicinali con mafiosi conclamati (Mangano) e con altri che per mafia avrebbero dovuto scontare anni di galera (Dell’Utri). Inevitabile quindi che sia particolarmente affezionato alle “firme di Repubblica” e tra queste a Gianni Mura che dovrebbe scrivervi di sport. In realtà Mura si è conquistato, in cinquant’anni di giornalismo (era praticante alla “Gazzetta dello sport”, la rosa, nel’64) il diritto di scrivere di quello che gli salta in mente: il 28 dicembre apre la sua rubrica quotidiana “Sette giorni di cattivi pensieri” con: “Il 17 dicembre i talebani fanno una strage in una scuola di Peshawar: 152 morti, di cui 132 minorenni”. Il giorno dopo recensendo e dando pagelle ai cento nomi dell’anno ci mette anche: “Francesco (papa) Dal 9 al 9,5”. Per la cronaca di 10 non ne ha dato a nessuno. I suoi articoli sono pezzi di giornalismo che rimarranno, in ispecie quelli scritti al seguito del Tour de France. Non a caso sul tema ha scritto due dei suoi numerosi libri (scrive anche di narrativa gialla). Mura è cognome sardo, il babbo di Gianni nasce a Ghilarza, lui a Milano nel’45. Scrive nella prefazione al libro di Paolo Piras: “Bravi e Camboni, l’epica minore del Cagliari: piedi storti, teste matte e colpi di genio” (egg edizioni 2014): «E quel colpo di testa, in tuffo, di Gigi alla Germania Est, quando Brera scrisse che la rete si gonfiò come investita da uno squalo, a che velocità andava? E infine con tutto il rispetto, chi se ne strafotte? I numeri non dicono tutto, a parte quell’11. I numeri dicono poco. I numeri non spiegano per quali strade calcistiche o umane alchimie si arrivi a realizzare l’utopia di uno scudetto a Cagliari» (pag.XI). A parlare del libro di Piras in libreria a Milano, presente l’autore, oltre che Gianni Mura è un altro giornalista di vaglia: Massimo De Luca, che deve la sua celebrità alla conduzione della “Domenica sportiva” televisiva, come dire che lo cono- scono proprio tutti, e fu proprio lui che lo fece assumere in RAI quando ancora dirigeva Raisport, da lì al Tg3 dove Paolo si distingue per scelta di reportage e per una dizione limpida ed esaustiva, l’accento cagliaritano quasi dimenticato. Anche qui parlo con la cognizione di causa di uno che alle ore 19, immancabilmente, si sintonizza sulle frequenze del TG3 (tranquilli, ascolto anche i tigì di radio Popolare mezz’ora dopo). Sia Mura che De Luca concordano nel definire “sorprendentemente ben scritto da un giornalista della Rai” il libro di Paolo Piras. «È un libro che si lascia leggere», apprezzabile per leggerezza di scrittura, dove i tackle (contrasto in termine calcistico) sono dolci, come si conviene a una storia calcistica che è diventata vera epopea, del calcio di quel Riva Luigi detto Gigi che non può che avere a motivo conduttore la nostalgia. Una specie di Macondo in salsa sarda, cagliaritana, come nel celeberrimo romanzo di Marquez vi si intrecciano storie, calcistiche ma non solo, dove tutto è abbastanza indeciso. Vago il principio di identità: quel Vittorino uruguagio, centravanti della sua nazionale che vinse fin un Mundialito, era davvero un bidone, uno scarpone, unu camboni? E che dire di quel Katergiannakis, portiere greco che approdò al Cagliari nel 2004 che lascia incustodita la sua porta per salvare un povero piccione che si era preso una pallonata da Manfredini in un Lazio-Cagliari di Coppa Italia: «... Sprezzante del gioco che intorno prosegue, grondante empatia animalista, incurante del fatto che a tutto il resto del mondo intorno, arbitro incluso, potesse sbattere meno di niente delle sorti del pennuto...» (Pag.34). Dice Paolo Piras che la TV ha finito con l’uccidere un certo tipo di epica. Oggi dei campioni dello sport, e del calcio in particolare, si conosce proprio tutto. Il gossip si è impadronito delle loro vite, delle loro relazioni sentimentali. Lo spogliatoio è presentato sempre in un silenzio da obitorio. Non resta quindi che celebrare l’epica dei brocchi. Anzi se esiste anche un’epica delle tifoserie, e lui quella del Cagliari la conosce molto bene, avendola frequentata col padre fin dal ’75, aveva cinque anni e si ricorda ancora di quel Cagliari - Cesena che finì 1 a 2, per i rosso-blu: gol al volo di Gigi Riva, quella cagliaritana ha vaghe somiglianze con quelle non necessariamente vincenti: interisti sfigati, granata, genovesi, romanisti. Ma come è indelebile quel ricordo di Minguzzi, anche lui portiere non proprio eccelso, che non aveva proprio l’idea di come si piazzasse una barriera sui calci di punizione avversari che finivano sempre più di assomigliare a un rigore, così è l’incedere di un Francescoli, vero principe del pallone, e come scordare quel gol di Zola all’ultimo minuto di un Cagliari - Juventus, stanno vincendo loro per 2 a 1; da uno di quei cross che si fanno più per disperazione che per convinzione Zola, quasi un nano lo dice Mura, 1,67 contro Zebina che è 1,85, schiaccia in rete di testa! Il libro è pieno di queste pennellate. E naturalmente zeppo di quel Cagliari - miracolo che vinse lo scudetto nel 1970. Un Cagliari che oggi sarebbe fuorilegge, sempre Mura. Fumavano tutti e undici titolari, quattro anche nello spogliatoio. E i digestivi erano tutti più forti del mirto tradizionale. Tutta la Sardegna, finalmente unificata, tifava Cagliari. Impossibile non citare quel Nanni Loy televisivo che va a chiedere a un pastore: “Ma a lei cosa ne viene se vince il Cagliari?” ricevendone la secca risposta: “E a me cosa me ne viene se perde?”. Nel ’70 io avevo quattordici anni, seconda superiore a Rho, paesone di quarantamila abitanti a mezz’ora da Milano. Inaspettatamente la Sardegna era emersa sulle prime pagine dei giornali nazionali, Gianni Brera scriveva di quel “rombo di tuono” proveniente da Leggiuno, Varese, e del “meraviglioso Cagliari”, il lunedì mattina all’ennesima partita vittoriosa dei rosso-blu mi pareva di essere più alto di una buona spanna. Anche se in quegli undici non c’erano giocatori sardi. Ma più della metà di loro sono poi rimasti a vivere in Sardegna. Con i sardi sempre più orgogliosi per ogni NO che Riva rifilava alla Juve degli Agnelli che l’avrebbero voluto alla loro corte, coprendolo d’oro. L’allenatore Scopigno (detto il filosofo) che entra nella camera d’albergo di Bassano del Grappa, dove la squadra è in ritiro, sono le 24,30 e l’ora è da testimone presente sul posto, sempre Gianni Mura, il fumo delle sigarette da camera a gas, c’è un tavolo di ramino pokerato, carte e grappa ovviamente, siamo a Bassano. “Quando finite aprite le finestre”, il suo lapidario “filosofico” commento. Un libro che diverte e commuove anche (quel campioncino di ‘O Neill che annega in un mare di alcool) capace di parlare di campioni e di brocchi con lo stesso metro di una prosa brillante e melodiosa, a tratti. Opera prima di una casa editrice di San Gavino, la egg di Carla Piras (mi dice che non è parente), sangavinese purosangue, passata da Radio Press alla “Nuova Sardegna” e all’ufficio stampa di Soru quando scalò la presidenza della regione. Vinta una borsa di studio europea fa un “master” a Roma, uno stage alla casa editrice “Minimum Fax”, dove impara l’arte di amministrare. E poi si mette in proprio. Questo primo libro lo definisce “canarino da miniera”, se riesce a sopravvivere con i costi e le vendite ne ha in serbo altri due, assolutamente diversi. Uno di un francese che scrive su “Le Monde Diplomatique” su gli errori della UE (deve essere ponderoso). L’altro di tale Castan, uno spagnolo che, mi dice Carla, scrive con una prosa sontuosa. Babbo ragioniere e mamma casalinga, lei laureata in lingue, due fratelli, uno laureato in filosofia. Fortunatamente per lei i suoi in casa parlano in sardo, così che anche lei se la cava e tutto lo capisce, mi pare m’abbia detto di avere trentasei anni ma non ne sono certo, che me la ricordo come ne avesse ventisei. PDF Compressor Pro 22 15 gennaio 2015 Il ricordo di Padre Giuseppe Pittau, il gesuita apostolo del Giappone Il sorriso, l’umiltà e la facilità di comunicare con tutti. Sono queste alcune delle caratteristiche della figura di Padre Giuseppe Pittau, il gesuita villacidrese scomparso in Giappone a Tokyo il 26 dicembre 2014 U na vita dedicata alla missione e alla predicazione del Vangelo come ha ricordato Padre Pittau anche nella prefazione del libro “Al Visitatore” di Vittorio Volpi : “Prima di predicare il Vangelo in diverse Nazioni, ai Missionari è chiesto di inculturarsi, conoscere bene la lingua, la cultura, o le varie culture del luogo; in altre parole, con riferimento al Giappone, non si chiedeva solamente che i Giapponesi si facessero Cristiani, ma allo stesso tempo che i Missionari, nel loro modo di parlare, e di vivere si facessero Giapponesi, parlando e leggendo bene il Giapponese, e usando i costumi e il modo di vivere dei Giapponesi”. Grande cordoglio per la scomparsa del gesuita è stato espresso dallo stesso Papa Francesco che lo ha definito “esemplare ministro di Dio vissuto per la causa del Vangelo”, ricordando “il suo generoso apostolato missionario in Giappone” e il suo impegno come rettore dell’Università Sophia di Tokyo e dell’Università Gregoriana a Roma e come segretario della Congregazione per l’Educazione cattolica dal 1998 al 2003. Ha ricordato la figura di padre Pittau anche il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi. GRANDE MISSIONARIO Padre Pittau è stato un grande missionario, un grande gesuita e un grande servitore della Chiesa. Era nato in Sardegna a Villacidro il 20 ottobre del 1928; è entrato giovanissimo nella Compagnia di Gesù alimentando, fin dall’inizio, un grande desiderio missionario. Egli chiese di andare in Giappone come missionario quando era ancora molto giovane; a 24 anni fu effettivamente inviato in Giappone. E lì, dimostrò una capacità di inserirsi, di imparare la lingua, di entrare nella cultura e nella società giapponese assolutamente eccezionale; direi che è stato un grande erede, nel nostro tempo, della tradizione dei gesuiti che si inculturavano nelle culture orienta- li e ottenevano la capacità di un rapporto estremamente positivo con la società circostante. Padre Pittau ha insegnato scienze politiche nell’Università Sophia - una grande università gestita dai gesuiti a Tokyo - e ne è stato rettore poi per molti anni, anche in tempi di agitazioni studentesche nelle università giapponesi. Quindi guadagnò una grande autorevolezza proprio per il modo in cui seppe gestire questa sua responsabilità di rettore dell’università. L’INCONTRO CON GIOVANNI PAOLO II Fu anche nominato provinciale dei gesuiti giapponesi e quando era al vertice della sua esperienza in Giappone, molto apprezzato nella società di quel Paese, ci fu il viaggio di Giovanni Paolo II in Giappone. Pittau fu, in qualche modo, l’interprete e la guida del Pontefice durante questo viaggio. Questo permise al Papa di stabilire con lui un rapporto profondo e di fiducia, così che quando Giovanni Paolo II, dopo la malattia di padre Arrupe, nominò padre Dezza come suo delegato per il governo della Compagnia di Gesù, volle che padre Pittau fosse il suo braccio destro e perciò lo chiamò dal Giappone per questo incarico. Quindi nella storia recente della Compagnia di Gesù, padre Pittau oltre ad essere stato un grande missionario è stato anche, insieme a padre Dezza, una persona a cui noi dobbiamo grande gratitudine, perché aiutò in questo passaggio dopo la malattia di padre Arrupe all’elezione del nuovo padre generale, padre Kolvenbach, quindi rientrando nella piena normalità della conduzione della Compagnia di Gesù. Padre Kolvenbach lo volle anche come uno dei suoi consiglieri generali ed assistenti - era quindi assistente per l’Italia -, ed io ebbi un rapporto piuttosto profondo con Pittau perché a quel tempo ero provinciale dell’Italia, quindi lui era il mio interlocutore sul versante del governo della Compagnia di Gesù. Fu anche nominato rettore della Gregoriana, perché aveva una grande esperienza accademica che portava con sé dal Giappone, e poi fu voluto da Giovanni Paolo II come segretario della Congregazione per l’Educazione Cattolica che è competente un po’ per tutte le università cattoliche nel mondo, e fu fatto arcivescovo. Rimase in questa funzione fino ai 75 anni. LA PERSONALITÀ DI PADRE PITTAU Quando nel 2003 compì 75 anni, egli volle assolutamente ritornare in Giappone. Era così ritornato nella sua patria di elezione a cui era rimasto sempre estremamente legato e lì fece dei ministeri sacerdotali semplici e visse così gli ultimi anni della sua vita diventando poi infermo fino alla morte. Pittau era una persona dotata di grandissime capacità di governo, ma era sempre un apostolo e un missionario. Io ricordo quante volte, anche qui a Roma, amministrava dei battesimi a persone giapponesi che si convertivano alla fede cristiana; ha conservato un rapporto molto vivo con il popolo giapponese. Ha ricevuto la più alta onorificenza dell’Impero giapponese con l’Ordine del Crisantemo per i suoi meriti nel campo della cultura. La sua è stata nei decenni recenti certamente una delle personalità della Chiesa cattolica più apprezzate, anche pubblicamente, nella società giapponese. Abbiamo un grande dovere di gratitudine verso di lui per quello che ha fatto, non solo qui a Roma negli anni in cui è stato qui, ma in particolare nella missione in Giappone. Padre Pittau era una persona di una spontaneità e di una facilità di rapporti con gli altri, affascinante, sempre sorridente, sempre cordiale. Questa fu anche una delle chiavi del suo successo - così possiamo dire - nel rapporto con il mondo giapponese ma anche con tutte le persone che ha incontrato. Ne abbiamo tutti un ricordo estremamente piacevole e affettuoso da un punto di vista spirituale e umano. SAN GAVINO Ci ha lasciato Bruno Scano Brunone, il Partigiano Moretto Il Comitato Provinciale ANPI Medio Campidano, con profonda commozione, ha appreso dai figli Vito, Daniela e Luisa, che il 28 dicembre ci ha lasciato Bruno Scano. Nome di battaglia del Partigiano “Moretto”, è stato protagonista della Resistenza e ha partecipato alla lotta di Liberazione in Piemonte. L’ANPI del Medio Campidano tutta esprime il suo profondo cordoglio e amarezza per questa triste perdita. Ricordiamo Brunone, come veniva chiamato confidenzialmente, quando, emozionato, accolse il 19 giugno 2013 la delegazione ANPI, composta da rappresentanti del Medio Campidano (provincia dove era nato il 13/02/1921), di Asti (provincia dove il Partigiano Moretto ha combattuto tra le fila della 45° Brigata Garibaldi, operante nell’Astigiano: la sua zona operativa era l’area del Comune di Scurzolengo) e Lucca (provincia dove risiedeva e ha servito lo Stato tra i corpi di Polizia sino alla pensione), per la consegna della tessera ad Honorem conferitagli il 25 Aprile 2013, anno delle celebrazioni per il 70° anniversario dell’inizio della Resistenza, in occasione dell’inaugurazione di Piazza della Resistenza a San Gavino Monreale, Comune che gli ha dato i natali. Anche se non ci siamo più visti, sentivamo spessissimo Bru- none amava parlare di difesa della memoria storica, con la storia della Resistenza e con l’attualità. Così si parlava delle preoccupazioni, legate alla crisi economica e di valori, di certi fatti che accadono e inducono a pensare che sono sempre in agguato gli attacchi alla Democrazia conquistata con tanto sacrificio. È storia della Resistenza lasciarci, proprio, il 28 dicembre, data che ricorda il sacrificio dei fratelli Cervi, quasi a voler mantenere questo stretto legame con l’Antifascismo, la Resistenza e la lotta di Liberazione, che hanno caratterizzato la vita di Bruno Scano, l’ultimo Partigiano Sangavinese. Così, Lui, ci ha lasciato. Ci mancherà il Partigiano Moretto, ma siamo consapevoli che quando un Partigiano muore, come antifascisti, dobbiamo dare il nostro massimo impegno per mantenere vivi e trasmettere, alle nuove generazioni, i Valori della Resistenza che sono alla base della nostra Costituzione. Il funerale si è celebrato il 30 dicembre, nella chiesa parrocchiale di Guamo, frazione di Capannori, zona periferica di Lucca. Con i figli Vito, Daniela e Luisa e i familiari, si sono stretti tanti amici. Sulla bara anche il berretto da poliziotto. La Santa Messa, hanno raccontato i presenti, è stata officiata con sobria semplicità, nello stile che Brunone avrebbe preferito. Dopo la cremazione, le ceneri verranno trasferite al cimitero di Massa Macinaia (altra frazione di Capannori), accanto alla sua amata moglie Lidia.Un auspicio per il 2015, il 25 Aprile, per il 70° anniversario della Liberazione, vedere il suo nome nella targa posta in piazza della Resistenza, insieme a quello degli altri Partigiani sangavinesi, che così si ritroverebbero uniti, come lo erano nei Valori in cui credevano e che hanno contraddistinto le loro vite, quelli della Resistenza. Il Presidente Comitato Provinciale A.N.P.I. del Medio Campidano Carlo Marras