12-22 - La Gazzetta del Medio Campidano

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12-22 - La Gazzetta del Medio Campidano
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Attualità
15 gennaio 2015
VILLACIDRO
Sla: solidarietà con danza e musica
Danza e musica per sognare, emozionare e aiutare le battaglie contro la Sla. A Villacidro è stata un successo la serata di
beneficienza “Ballando e Cantando per Bruno”, organizzata
dalla scuola di danza sportiva Susy Dance School e dedicata
a Bruno Leanza, malato di Sla da 15 anni. Nella palestra della scuola media Satta si sono esibiti i volontari del gruppo Is
Amigus de Brunu, cantanti, ballerini, gli allievi della scuola
e l’insegnante Susanna Tatti col ballerino Mauro Pisano. Il
pubblico è stato molto generoso e ha permesso di raccogliere
un contributo per l’acquisto dell’ascensore per Michele
Riontino, giovane malato di Sla. Alla serata era presente an-
che Bruno Leanza, assieme alla moglie e alle figlie e al suo
folto gruppo di amici.
Numerosi anche gli ospiti che hanno dato la loro disponibilità e hanno allietato il pubblico presente con le loro
performances:in apertura di serata, presentata da Daniela
Concas, il gruppo folk “Is amigus de Brunu” ha cantato alcuni canti del repertorio, si sono poi esibiti i ballerini
dell’Evolution Dance di Massimiliano Matta ed Elvis Martis
di Cagliari, Piergiorgio Laconi e Ilaria Fadda, Martina Fadda
e Dario Usai, Alessandro Laconi e Rossana Pitzianti; la ballerina di Danza Classica Federica Innocente, la ballerina di
GRUPPO
FOLK
“TRADIZIONI
POPOLARI
Danza del Ventre Claudia Vacca; i ballerini della scuola Crab
Dance di Cagliari di Mauro Pisano, le cantanti Ilaria Frigau e
Lorenza Puddu .
«È stata una bella serata che ci ha scaldato il cuore, ringraziamo tutti coloro che ci hanno sostenuto e hanno partecipato e in particolare tutti gli allievi della scuola, dai bimbi della
propedeutica alle allieve della synchro dance, alle signore
dei balli di gruppo degli adulti che si sono esibite in diverse
coreografie», commenta la presidente della Susy Dance
School Serenella Sanna.
Stefania Pusceddu
GUSPINI”
Roberto Maccioni:
“Valorizziamo
la cultura
del nostro paese”
Avrebbe dovuto sfilare anche il gruppo folk “Tradizioni popolari Guspini” nella
processione del martirio di
Sant’Efisio a Cagliari prevista a gennaio e rinviata per
lavori nelle strade del percorso. L’associazione folklori-
stica, nota per le spiccate doti
nel riprodurre fedelmente le
tradizionali usanze guspinesi e nell’animare eventi religiosi e civili, viene invitata
ogni anno a celebrare il santo più venerato in Sardegna.
Sono cinquanta i componenti
del gruppo, che vanno dai tre
ai settanta anni, perlopiù
donne, sempre pronti a preparare tutti i dettagli necessari per la riuscita degli
eventi ai quali partecipano.
Dai costumi e accessori da
indossare al canto del Rosa-
VILLANOVAFORRU
rio antico in dialetto, cantato
e recitato in occasione dei festeggiamenti in onore dell’Assunta a Guspini.
«Principale scopo dell’associazione - afferma Roberto
Maccioni, presidente del
gruppo - è quello di valoriz-
zare la cultura del nostro paese e animare le manifestazioni pubbliche, dalla celebrazione di Sant’Efisio del primo
maggio a quella della Fiera
natale guspinese al quale abbiamo partecipato anche lo
scorso 14 dicembre. Ed è una
soddisfazione vedere che la
comunità collabora con noi
sia quando raccogliamo elementi della tradizione locale
sia quando spontaneamente e
per beneficenza ci donano indumenti e accessori antichi».
Marisa Putzolu
GONNOSFANADIGA
Rappresentazione teatrale con finale libero Festa di Sant’Antonio in tono minore
Al museo archeologico di Villanovaforru si
è tenuto lo spettacolo “Rosencrantz e
Guildenstern sono sardi” scritto e diretto da
Giacomo Casti e rappresentato dagli attori
Giulio Landis e Stefano Farris.
Il numeroso pubblico ha potuto assistere ad
una rappresentazione “sui generis”. Palcoscenico essenziale: un tavolo, due sedie, un
baule, un separé e due lampade. Il resto lo
han fatto gli attori. La storia narra l’attesa
di due uomini seduti ad un tavolo di un nascondiglio, ambientata in un’ipotetica Sardegna del futuro, diversa da quella attuale,
ma che ha mantenuto ancora forti i connotati e tutte le problematiche sociali e politi-
che. «Non vi è un vero messaggio ma allo
stesso tempo ce ne sono molti. - spiega il
regista Giacomo Casti - Un racconto
drammaturgico con luoghi comuni legati
alla sardità. I personaggi hanno in mente
qualcosa per cambiare la situazione... .
L’intento è quello di riuscire a far interpretare a ciascun spettatore una sensazione diversa attraverso un finale a sorpresa».
L’evento è stato organizzato dalla Consulta giovanile insieme all’amministrazione
comunale e le società cooperative locali
Parco e museo Genna Maria e Turismo in
Marmilla.
Saimen Piroddi
Sabato 17 gennaio alle 17, don Giorgio
Lisci, parroco della chiesa del Sacro
Cuore, celebrerà la Santa Messa nella
parrocchia della B. V. di Lourdes, in
onore di Sant’Antonio Abate, protettore degli animali. Al termine della cerimonia religiosa sarà distribuito il pane
benedetto.
Quest’anno sarà una festa in tono minore, il comitato ha previsto solo i riti religiosi, non si farà il tradizionale falò. Di
certo bisognerà attendere tempi migliori, ormai la crisi tocca anche le feste.
Nessuno a Gonnosfanadiga dimentica i
festeggiamenti del 2000, anno in cui fu
costituito il comitato di San’Antonio Abate, a cui aderirono duecento persone. La
novità fu accolta con grande entusiasmo
popolare sorprendendo sia gli organizzatori sia i sacerdoti. I fedeli riempirono la
chiesa e oltre duemila persone si diedero
appuntamento nel piazzale della fiera,
dove fu acceso un grande falò. Su iniziativa della Pro loco nella chiesa del Sacro
Cuore si tenne anche un concerto di musica classica. Con il passare degli anni
non è stata più rispettata la tradizione del
falò, a cui la popolazione ha sempre partecipato numerosa.
Francesco Zurru
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Attualità
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Col successo del “2° Criterium del Campidano” e del Premio “3° Città di Villacidro”
si è concluso il programma autunnale delle corse all’ippodromo di Villacidro
L’ippica è un comparto
produttivo da valorizzare
Le ultime due giornate hanno messo in evidenza il valore del comparto ippico
della Sardegna Terra di fantini Terra di cavalli. Ora occorre la “convenzione”
Mipaaf per consacrare l’impianto del sud della Sardegna
Difficilmente saranno archiviate le ultime due giornate di
corsa del 19 e 27 dicembre 2014 dell’Ippodromo di Villacidro. Gli organizzatori, gli allevatori, gli allenatori e i fantini
hanno dato prova di grande professionalità valorizzando i
soggetti nati, allevati e addestrati in Sardegna. La direzione
di Roberto Sanna, nonostante le ristrettezze finanziarie a causa
della mancanza della “convenzione nazionale”, è stata ineccepibile. L’ippodromo non è solo spettacolo ma economia
reale. Economia autoctona. Ormai è accertato che per ogni
cavallo ci sono due posti di lavoro. Economia che è mancata
da oltre trent’anni per l’irresponsabilità di chi ha gestito a
suo tempo l’ippodromo del Poetto: hanno fatto mancare alla
Sardegna del centro sud, nel silenzio generale, le dotazioni
finanziarie provenienti dal Ministero dell’Agricoltura. Da quel
momento in poi gli allevatori hanno ridotto drasticamente il
numero delle fattrici selezionate perché i nuovi nati non potevano essere adeguatamente valorizzati.
L’ippodromo per l’ippica è indispensabile come l’aria che si
respira. È il luogo delle regole, di selezione e di crescita dei
fantini e dei cavalli. Le ultime due giornate del 19 dicembre
(2° Criterium del Campidano) e del 27 dicembre (3° Premio
Città di Villacidro) hanno ulteriormente dimostrato che i sardi sanno andare a cavallo ai massimi livelli. Confrontati ai
pittori i fantini sarebbero paragonabili al grande Michelangelo per la loro arte innata. A seguire le orme
dell’immenso Gianfranco Dettori, il fantino che ha fatto
scuola, ormai sono in tanti e tutti bravi. E tra i valenti
ci sono delle grandi eccellenze di livello mondiale che
corrispondono ai nomi dell’astro nascente Andrea Atzeni primo fantino della scuderia dell’emiro del Qatar
al Thani, Cristian Demuro, apprezzatissimo proprio in
Francia e anche in Giappone, e detentore del record italiano
di vittorie in una stagione (264), Dario Vargiu (oltre duemila
vittorie all’attivo), Mirko Demuro (cinque volte campione
dei jockey italiani. «Duemila vittorie conquistate in tredici
anni di carriera), Antonio Fresu (che ha fatto esperienza con
Marco Botti in Inghilterra) e Fabio Branca che sotto la direzione tecnica di Stefano Botti si sta accaparramento le principali corse di gruppo. Tanti altri ancora. Per non parlare del
figlio d’arte Frankie Dettori.
Nel 2015 sarebbe bello poterlo acclamare sulle piste di Villacidro. Per questi giovani atleti è doveroso un encomio perché stanno rappresentando degnamente, nel frattempo che
l’economia nazionale annaspa, l’Italia che vince nelle maggiori piazze del mondo. Sul comparto ippico è arrivato il momento di superare le lamentele per stringerci attorno ad un
La Sardegna Terra di fantini e di cavalli è la cenerentola del calendario nazionale
Ippica: I grandi d’Italia in Europa e nel Mondo sono sardi
Chi governa ha il dovere di reclamare maggiore considerazione da parte del Mipaaf.
I “Michelangelo” dell’ippica non mancano e vincono in ogni angolo del pianeta Terra. A
loro va il nostro riconoscimento
Sullo scenario ippico nazionale la situazione attuale dice che
la Sardegna ha una grande opportunità per fortificare il
comparto. Il momento favorevole deriva dalle importanti affermazioni dei fantini a cognome sardo in Italia, in Europa e
nel Mondo. Non c’è settimana che su questi scenari appaiano
i seguenti cognomi: Dettori, Vargiu, Atzeni, Demuro, Fresu,
Branca, Migheli, Oppes, Sanna, Manueddu, Fadda, Fiori,
Gessa, Fenu, Biagiotti, Fele, Manca, Godani, Urru, Falchi,
Basile, ecc. Questi fantini sono gli ambasciatori dell’Italia che sa vincere anche nei periodi più bui dell’economia
nazionale. Non possiamo farci sfuggire questo momento di grazia per chiedere maggiore attenzione da parte del
Mipaaf nei confronti della Sardegna
ippica. Per non incorrere negli errori
del passato, lo sviluppo dell’ippica non
può riguardare solo gli addetti ma tutta
l’economia isolana. Chi ha responsabilità politiche non può disconoscere
questo dato. Chi governa ha il preciso
dovere, visti i risultati, di reclamare
maggiore considerazione dal governo di Roma. Nello stesso
tempo, ha il dovere di creare le condizioni perché la formazione (l’alta scuola) professionale dei fantini, allenatori e
artieri avvenga in Sardegna e non altrove. Il comparto sprigiona una forza talmente importante che tradotta in produzione di ricchezza e lavoro può dare una buona mano per
attenuare il fenomeno della disoccupazione giovanile valorizzando ciò che i nostri ragazzi san fare bene per attitudine
ancestrale. Dell’ippica ce ne dobbiamo occupare tutti. Non si
faccia l’errore storico che è avvenuto per l’agricoltura relegandola a questione settoriale, ignorando persino che quel
che si mangia deriva da un atto agricolo. La stessa sorte per
anni, probabilmente anche per responsabilità degli addetti, è
capitata all’ippica dimenticando che si tratta di un comparto
che per ogni cavallo in attività sportiva genera due posti di
lavoro. Ora che “su fogu est arribau a peisi” si è capito che
l’agricoltura è la matrice di mille altre attività; la stessa comprensione deve avvenire per il cavallo sportivo in tutte le sue
espressioni. Per non aver saputo leggere le potenzialità territoriali la Sardegna è finita in coda al calendario nazionale
delle corse al galoppo. Quella miopia della classe dirigente
ha fatto sì che alla Sardegna, nel Calendario nazionale delle
corse, fossero attribuite un totale di 25 giornate così distribuite: 11 a Chilivani, 8 a Sassari, 6 a Villacidro. 25 giornate su
2000 assegnate. Il predetto dato parla da solo sulla misera considerazione che ha avuto l’ex UNIRE (Ministero dell’Agricoltura) per la Sardegna Terra di Cavalli e Terra di
Fantini. Dopo la mobilitazione degli
ippici, culminata con due importanti
manifestazioni a Villacidro, si è ottenuto anche l’intervento AGRIS con
altre 9 giornate (3 a Chilivani, 3 a
Sassari, 3 a Villacidro); 34 giornate
totali. Il Montepremi complessivo assegnato alla Sardegna per il 2014 è
di 650 mila euro. Il coinvolgimento
di AGRIS è stato determinate per evitare il de profundis dell’ippica nostrana. Considerando che i fantini sardi stanno facendo fare bella figura all’Italia, ottenendo successi in Europa e nel Mondo, in uno dei periodi più bui dell’economia
nazionale, come questo, sarà il caso di rivendicare il sacrosanto diritto di almeno una corsa a settimana? Questa questione discriminatoria non può passare inosservata nel contesto nazionale. Alla Sardegna va garantito un calendario di
corse pari alla media di quelle che vengono assegnate agli
ippodromi più importanti d’Italia. La faccenda dell’assegnazione delle giornate non riguarda il comparto ippico ma l’intero sistema economico. Quante più “giornate” saranno assegnate alla Sardegna quanti più giorni di lavoro saranno garantiti. Ecco perché la questione dei fantini sardi che rappresentano l’Italia che vince non può essere ignorata da chi ha
responsabilità politiche. (f. t.)
programma che deve vedere il presidente Francesco Pigliaru
e l’assessora Elisabetta Falchi alla testa della richieste nei
confronti del Ministero delle politiche agricole alimentari e
forestali per far entrare nella lista di quelli in “convenzione”
- ora che la sala accoglienza, nuova di zecca, con i collegamenti in diretta con gli altri ippodromi d’Europa - anche l’ippodromo di Villacidro. La “convenzione” è indispensabile
per assicurare la programmazione dell’attività annuale a garanzia degli appassionati, degli ippici e della società di gestione che a causa della crisi ha fatto salti mortali per garantire le giornate di corsa sostenute dal Mipaaf e da Agris. L’ippica è una delle risorse della Sardegna su cui puntare per
creare ricchezza aggiuntiva e lavoro duraturo per cui va tutelata e sostenuta con la dovuta attenzione.
Fulvio Tocco
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CRISI:
CANTIERI EDILI PER BATTERLA
Le proposte della Filca per rilanciare
il settore delle costruzioni
«Occorre una forte azione unitaria tra sindacato, imprese, istituzioni, università e ordini professionali per pervenire a una
iniziativa concreta in grado di rilanciare l’intera filiera delle
costruzioni. Solo così - a parere del presidente Giovanni Matta
della Filca Cisl regionale - sarà possibile promuovere il lavoro in edilizia come anche nei settori propri della filiera. Negli
ultimi cinque anni quello delle costruzioni è il settore che ha
pagato il tributo più alto alla crisi che morde tenacemente dal
2008 il sistema produttivo sardo.
Circa 28.000 buste paga cancellate, oltre 2000 imprese ferme o uscite
dal sistema, impianti di laterizi e
manufatti chiusi o in procinto di
chiudere. Se il denaro pubblico fosse investito nelle costruzioni spenderemmo meno in ammortizzatori
sociali, e il futuro porterebbe occupazione in tutti i settori». Con questa considerazione l’Associazione
dei lavoratori edili e costruzioni è
intervenuta al convegno inaugurale della Filca Sarda, dell’edilizia e
dell’architettura, proprio per porre questa e tante altre domande urgenti per la sua sopravvivenza.
«Se i fondi destinati agli ammortizzatori sociali fossero investiti per il risanamento dell’edilizia scolastica – ha proseguito Matta – si potrebbe dare lavoro a circa 1500 imprese sarde. Interventi programmati con coperture finanziarie certe,
dall’edilizia scolastica a quella sanitaria, da quella viaria a
quella idrica che, se cantierate, possono dare ristoro al mondo del lavoro sardo sfibrato da troppe ed estenuanti promesse che puntualmente non si realizzano. Appare però ovvio
che l’edilizia che verrà dovrà essere fondata su una strategia
di rilancio che metta al centro quattro questioni fondamentali. Più qualità, più legalità, più ecosostenibilità, più organizzazione. Occorre allora una rivisitazione delle strategie generali e di un piano organico dove tutela del territorio e uso
dei materiali locali e rilancio e qualità del lavoro diventino
un tutt’uno».
Nel corso della riunione una frecciata viene riservata alle istituzioni e alla politica. Già dal 2013 il coordinamento tra le
associazioni della filiera sarda delle costruzioni denunciava
la grave situazione del settore illustrando numeri da brivido:
dal 2008 al giugno del 2013 si sono persi 20.000 posti di
lavoro diretti che contando gli indiretti arriverebbero a
34.000.Quindi in totale sono circa 50.000 i posti di lavoro da
salvare tra costruttori edili ed impiantisti (industriali ed artigiani), produttori e rivenditori di materiali da costruzione. Si è chiesto
alle istituzioni ed alle banche un deciso cambio di passo e di prospettiva. Si diceva basta ai soffocanti vincoli del patto di stabilità, ai ritardi nell’esecuzione e nei pagamenti delle
opere pubbliche, alle restrizioni nel
credito che innescano catene di fallimenti. Le imprese edili hanno supplicato la fine di un fisco punitivo sulla casa e incentivi fiscali moderni e
strutturali che spingano a rinnovare
gli immobili esistenti. Qualcosa è stato fatto, ma poco e lentamente, di fronte al progredire di una
crisi che è, invece, travolgente. Quindi, da poco più di un
anno, tutti i settori della filiera hanno perso dal 12% al 18%
degli occupati, perché altre 7.500 persone sono rimaste senza lavoro. Inoltre centinaia di imprese hanno chiuso per sempre.
Certo, è la crisi, ma questo non è solo un dato esterno ed
inevitabile. Perché la crisi delle costruzioni si nutre di politiche fiscali, di bilancio e finanziarie distruttive. Un esempio
lampante di politiche miopi sarebbe questo: quante persone
sono oggi a carico dello Stato, persone che hanno perso un
lavoro o stanno per perderlo e sopravvivono con ammortizzatori sociali? Non sarebbe questo un costo scellerato, che la
collettività si assume, e che invece si farebbe meglio ad impiegare per far lavorare e restituire dignità a quelle persone e
per ridare una prospettiva alle imprese che hanno resistito
finora? È indispensabile quanto mai ora destinare tutte le ri-
SERRENTI. DUE ANNI FA HA APERTO UN’ATTIVITÀ COMMERCIALE
Contro la crisi l’arte di inventarsi un lavoro
Non arrendersi mai ed inventarsi un lavoro. Succede a
Serrenti dove tanti piccoli
imprenditori lottano contro la
crisi economica con voglia di
fare, grinta e determinazione.
È il caso del giovane
Gerolamo Mameli che il 23
luglio 2012 in via Garibaldi
100 ha deciso di mettersi in
gioco, aprendo l’attività
commerciale “GM non solo
gas”.
«Durante questi anni rimarca il giovane di Serrenti
- ho dovuto affrontare tante
battaglie burocratiche, ma
nonostante tutto sono ancora qui, pronto a combattere».
Insomma una dura battaglia
in un periodo in cui la Sardegna è attraversata da una
forte crisi economica: «Tutti
dobbiamo dare il meglio di
noi stessi per uscire da questa stagnazione economica,
agendo in sinergia. A livello
locale dovremmo incrociare
la domanda e l’offerta tra le
diverse strade del paese andando a scovare porta a por-
Gerolamo Mameli nel suo locale
ta tutto il capitale umano dei
serrentesi e metterlo al servizio del nostro paese. Il fine
è quello di creare reddito ed
una più equa distribuzione
della ricchezza. Il risultato
sarebbe una maggiore occupazione e benessere nel nostro paese».
Secondo Gerolamo Mameli
bisogna lottare contro la media e grande distribuzione:
«È di importanza fondamentale tenere aperte le piccole
botteghe, le attività artigiana-
li e dare una mano a tutti coloro che vogliono intraprendere una nuova attività. Gli
operatori di queste piccole
realtà economiche sanno
dare i giusti consigli. Su scala regionale l’ideale sarebbe
poter acquistare prodotti sardi alimentari e non. Io ammiro tutto ciò che è sardo e non
per caso tifo Cagliari e ammiro Gigi Riva, che ha scelto di non lasciare mai la Sardegna».
Gian Luigi Pittau
sorse disponibili e anche non disponibili per rianimare il settore delle costruzioni. Risulterebbe - fa osservare il coordinamento - che ogni euro investito in un nuovo cantiere genera tre euro in più di PIL, oltre a creare immediata occupazione riducendo la necessità di spesa per gli ammortizzatori sociali in tutti i settori, e genera più di un euro di maggior gettito
fiscale. Dove va cercata la crescita, parola abusata, se non
nel settore che l’ha sempre innescata? Dove sono i cantieri
che in Sardegna dovrebbero partire e non partono mai? Dove
sono le infrastrutture che da anni riempiono i giornali? Dormono tra le alchimie dei bilanci degli enti pubblici e l’indolenza delle burocrazie, e nel frattempo le imprese muoiono.
Sui lavori iniziati all’isola della Maddalena, tutti a dibattere
e polemizzare sui costi, peraltro senza conoscere la materia,
e nessuno che invece dica semplicemente: si decida senza
indugio sul termine delle opere prima che vada tutto in rovina! Il che non vuol dire sminuire l’importanza del controllo
sull’utilizzo delle finanze pubbliche, che va rimarcato e perciò affidato a soggetti competenti, senza che diventi alibi per
perdere la più grossa occasione per il futuro d’Isola, secondo
il coordinamento della filiera. E una frecciata viene riservata
alle istituzioni e alla politica.
Mauro Serra
GUSPINI. CHIUSI
GIÀ VENTIDUE NEGOZI
Il commercio è in caduta libera
Negli ultimi tre anni, a
Guspini, ventidue commercianti hanno cessato l’attività e solo tre sono state le nuove aperture. Ormai il settore
del commercio è in caduta
libera, nessuno riesce a mettere un freno. Non ci sono
prospettive. La crisi dell’industria e dell’agricoltura, settori portanti dell’economia
del paese, ha colpito in particolare il commercio in tutti
i suoi settori. Non c’è lavoro, non c’è moneta che circola, e i primi a risentirne
sono i commercianti. Ormai
il volume d’affari si è dimezzato e chi acquista chiede
anche il pagamento dilazionato.
Simbolo della crisi la via
Santa Maria, la strada dello
shopping guspinese, che oggi
registra il più alto numero
delle serrande abbassate,
l’ultima il bar Novecento,
che al 31 dicembre ha chiuso i battenti. E quando cominciano a chiudere i bar
vuol dire che la crisi sta toc-
cando il fondo. I conti non
tornano più. Gli incassi sono
minimi, neanche più sufficienti a pagare le tasse e le
spese vive come gli affitti dei
locali.
Anche la crisi del commercio si traduce in posti di lavoro perduti. Non solo non
si assume più, ma diversi ne-
gozi a conduzione familiare
hanno dovuto chiudere i battenti senza alcuna prospettiva per i più giovani della famiglia. Ci dovrebbe essere
più attenzione da parte delle
istituzioni, ma ormai, in periodo di risparmio per tutti,
vige il detto: «Si arrangi chi
può». (r.m.c.)
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Attualità
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COLLINAS
Presepe vivente: quattromila visitatori
È
stato come sempre un successo il presepe vivente organizzato il giorno dell’Epifania dal Comune, dalla Pro
loco e dalle associazioni locali. Quest’anno arricchito
da due novità: il suono degli zampognari del Molise e l’Annunciazione da piazza Giardini trasferita all’interno della casa
dove è stato appena girato il film Accabadora. Ormai un locale idoneo per un set cinematografico. Le altre scene sono
state rappresentate in diversi angoli del paese.
L’atmosfera raccontata dalla Chiesa e tramandata dalla tradizione è stata la cornice ideale per gli ottanta personaggi, che
hanno ripercorso il cammino della Natività, mescolati fra il
pubblico: circa 4 mila visitatori, provenienti da diverse parti
dell’isola. Rappresentati gli antichi mestieri, dall’intrecciare
di vimini al maniscalco, ai falegnami, ai ciabattini, alle lavandaie. E poi l’apertura dei portali campidanesi e l’esposizione di prodotti tipici.
Ovunque un assembramento di persone, in uno scambio continuo di attori e spettatori. Apprezzato l’arrivo degli
zampognari direttamente dal Molise che hanno accompagnato
Maria e Giuseppe sino alla capanna, dove è stata celebrata la
Santa Messa. Una sorpresa che il Comune ha voluto organizzare in occasione dell’appuntamento più atteso dall’anno, con
l’emozione della nascita di Gesù rigorosamente in lingua sarda. Soddisfatti gli amministratori. “Ogni anno - dice il sin-
PABILLONIS
Natale
Ricreativo
Festeggiare il Natale con creatività e originalità. “Natale Ricreativo”. È stata questa l’iniziativa organizzata dal comune nell’ambito
delle manifestazioni natalizie che
si sono svolte nel mese di dicembre. Grazie alla collaborazione di
alcune associazioni del paese
(Prociv, Croce Verde, Officine Sonore) la vigilia del Natale è stata
caratterizzata da un progetto che ha visto protagonisti i bambini e i
ragazzi del paese. Tutti gli alberi del centro di aggregazione sono stati
infatti addobbati con materiale di riciclo portati dai piccoli artisti. Dopo
tanto impegno e divertimento ecco come per incanto il parco della struttura di via Su Rieddu è diventato un meraviglioso paesaggio natalizio:
festoni argentati e colorati, palline, disegni, pacchetti hanno abbellito
le piante del giardino. Tra di essi sorridenti e gioiosi i bambini hanno
fatto a gara per addobbare il loro albero preferito.«È stato un momento
di socializzazione particolare e intensamente creativo che ha permesso
ai piccoli di iniziare il Natale in modo diverso e coinvolgente», ha fatto
notare Antonella Ardu, una socia della Prociv che ha partecipato all’iniziativa insieme a tanti giovani volontari.
Dario Frau
daco, Francesco
Cannas - assistiamo
ad un crescendo di
presenze. Segno
che l’evento piace e
che coinvolge persone vicine e lontane, pronte a macinare chilometri per arrivare a Collinas.
Un’occasione per promuovere il paese e le sue peculiarità”.
L’impegno e fare meglio e di più per una manifestazione entrata nel cuore di tutti.
Santina Ravì
SAN GAVINO
L’albero di Natale realizzato
con le pagine della Gazzetta
Si è svolta nel giorno dell’Epifania, mercoledì 6 gennaio presso i locali del CIVIS, la
premiazione delle vetrine e del miglior albero di Natale, iniziativa svoltasi nell’ambito del Natale Sangavinese che è stata l’ultimo atto di una grande manifestazione che ha visto la
partecipazione di tante realtà del paese. «Vogliamo ringraziare tutti - afferma Carlo Sanna, presidente dell’associazione commercianti CCN - a partire da tutti i
componenti delle 37 associazioni che hanno lavorato
alla realizzazione della manifestazione. Personalmente ho avuto modo di conoscere tante persone e realizzare un qualcosa di impegnativo per il mio paese». A
seguire un video con le immagini più significative del
2014 a San Gavino Monreale realizzato da Luca Fois
e Stefano Altea. Dagli effetti causati da Cleopatra agli
eventi che hanno colorato il paese passando per l’elezione del nuovo sindaco, Carlo Tomasi. Ed è proprio
Tomasi che ha preso parola richiamando tutti i
sangavinesi: «Questo è un altro esempio di come la
popolazione voglia partecipare, è un qualcosa in cui io
credo fortemente. Da parte nostra tutto l’impegno nel
lenire la pressione fiscale anche per dare respiro a quelle
attività commerciali che animano il paese. Dobbiamo
ritrovare la forza dentro di noi». Gli fa eco l’assessore
al commercio Maria Teresa Paccagnin: «Anche questa
bella iniziativa sulle vetrine è un messaggio di
positività. Personalmente mi sta a cuore la categoria
ed è sempre un piacere vedere come all’interno dei
negozi dietro l’angolo non manca mai un sorriso e i
commessi ti chiamano per nome. Quando dobbiamo
fare i nostri acquisti pensiamo al nostro paese». Per la
cronaca il concorso vetrine ha visto piazzarsi al terzo
posto la vetrina del Fotostudio Altea, al secondo il
Bazar di Atzori e al primo il negozio il Bouquet. L’albero migliore, invece, è stato un ex aequo con L’angolo del Caffè e il salone di bellezza Me.
Ma per noi della Gazzetta merita un’attenzione particolare la vetrina e l’albero dell’Ufficio Postale di
Mauro Vacca. Mauro è, infatti, un nostro affezionato
lettore e ha realizzato il suo albero con le pagine delle
vecchie Gazzette. In questo periodo il riciclo va tanto
di moda, e la sua è stata un’idea originale e carina per
dare colore alla sua vetrina. Non sarà fra i primi classificati, ma gli farà sicuramente piacere leggere che
qualcuno ha apprezzato il suo lavoro.
Lorenzo Argiolas
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Attualità
15 gennaio 2015
GONNOSFANADIGA. INIZIATIVA
DELLA
L’offerta del grano cotto
in segno di prosperità e fertilità
Si è concluso con allegria un altro calendario di appuntamenti sotto le feste organizzato dalla Pro loco di Gonnosfanadiga. Dopo
le luminarie, la castagnata, l’incontro con i
Babbi Natale, i gonnesi hanno dato il benvenuto al nuovo anno con l’offerta de “su
trigu cottu”, in segno di prosperità e fertilità.
Da tempo la Pro Loco ha rispolverato l’usanza di mangiare il grano con la sapa e ha condiviso questo rituale con la popolazione. Nei
giorni che precedono la fine dell’anno il cereale viene ripulito dalle impurità, lavato
PABILLONIS. NEI
meticolosamente e lasciato riposare nell’acqua un giorno intero e alla fine viene cotto per
oltre cinque ore. Successivamente, la pentola
viene ricoperta per mantenere il calore tutta la
notte. La vigilia del Capodanno, dopo avere
insaporito il cereale con la sapa, i volontari
della Pro loco lo distribuiscono alla popolazione, mentre i bambini vanno di casa in casa
per riproporre “Su candeberi”: chiedono alle
famiglie un piccolo dono in dolci o frutta in
cambio di prosperità.
Stefania Pusceddu
LOCALI DEL
CENTRO
SOCIALE
Grande Gospel per le feste di Natale
Era strapiena la sala convegni del centro di aggregazione sociale, sabato 27 dicembre scorso, per ascoltare il
gruppo Gospel The Friendly
Travelers. E non poteva essere altrimenti, d’altronde, vista la fama che precedeva i
musicisti. Un avvenimento
importante per Pabillonis che
ha avuto un occasione indimenticabile per sentire dal
vivo uno dei più famosi gruppi di gospel americano. Dopo
diversi spettacoli in teatri e
chiese tenuti nell’Isola e in
alcune città italiane, anche a
pagamento,il famoso gruppo
americano è approdato dunque nel nostro paese. L’evento musicale è stato organizzato dall’amministrazione
comunale nell’ambito della
rassegna itinerante “Incontro
fra territori” con la collaborazione della Scuola Civica di
Musica. Il gruppo The Friendly Travelers, di grande successo internazionale, proveniente dalla Louisiana
(USA), viene fondato nel
1959 e si esibisce con grande capacità ed enfasi sia nello stile “a cappella” che accompagnato da una potente e
dinamica sezione ritmica
strumentale. Ad oltre quarant’anni dalla loro fondazione mantengono ancora lo spirito, la visione e la creatività
delle origini. Nel ‘78 sono il
PABILLONIS
PRO LOCO
Riproposto dalla Prociv l’antico
rito propiziatorio de Su Trigu Cottu
È stato proposto anche quest’anno l’antico rito propiziatorio de su Trigu cottu. È un
buon auspicio, infatti, nell’ultimo giorno dell’anno, di
buon mattino, possibilmente
a digiuno, assaggiare il grano bollito, simbolo di prosperità e di fertilità. Pabillonis è
uno dei pochi paesi che ancora hanno mantenuto questa antica tradizione contadina dell’ultimo giorno dell’anno, che consiste nell’offrire una ciotola di grano bollito condito con la sapa (mosto cotto).
Una tradizione che le donne
di una certa età, ma non solo,
seguono scrupolosamente
secondo le antiche consuetudini. Quest’anno sono stati i
volontari della Protezione
Civile a rinnovare per la comunità questa antica usanza.
«I preparativi incominciano
già alcuni giorni prima con
la ricerca del grano, che dopo
essere cernito con i crivelli
in ferro o in giunco, viene
messo in ammollo in acqua
fredda.
Nel tardo pomeriggio della
vigilia, il cereale viene messo a bollire in una grossa pentola, meglio se in terracotta
come is pingiadas di un tempo, su un fuoco a legna e,
dopo alcune ore di cottura,
il recipiente viene ricoperto
di paglia per trattenere il calore fino alla mattina seguente», spiega un’anziana che
ha preparato anche quest’anno su trigu cottu.
L’ultimo giorno dell’anno, di
buon mattino, nella piazza
San Giovanni, il grano, condito con la sapa, è stato offerto dai volontari della Prociv a tutti i passanti, molti
provenienti anche dai paesi
vicini, in tradizionali “tianus” (tegamini in terracotta)
realizzati dai ceramisti del
paese.
Dario Frau
PABILLONIS
Dalle befane tanti doni e dolci
primo gruppo Gospel ad incidire per la prestigiosa Malaco Records, ingaggio che
gli permette di esibirsi al fianco di grandi stars come Gladys Night e Mighty Clouds
Of Joy. Il notevole successo
raggiunto negli States li ha
spinti in seguito a cercare ulteriore successo e notorietà in
Europa. In questo ambito
vantano applauditi tour in
Germania, Svizzera, Francia
e Italia dove hanno entusiasmato il pubblico con la carica ed il calore della loro musica, raccogliendo anche significativi consensi da parte
della stampa specializzata. Il
loro spettacolo, di matrice
profondamente gospel, incorpora anche venature soul. Si
delinea così un sound elettrizzante, che genera e sprigiona
una fortissima carica emoti-
va, che coinvolge e trascina
anche gli spettatori meno abituati ad ascoltare questo genere musicale.
È quello che è successo anche a Pabillonis dove il pubblico ha partecipato con vivo
interesse, battendo le mani a
tempo e scatenandosi sulle
note di celebri pezzi. Una serata dunque indimenticabile
con una performance live
esaltata dalle straordinarie
doti interpretative e da un indiscusso impatto visivo sulle
note che fanno leva su sentimenti trasmettendo un messaggio di gioia e di felicità. Un
grande messaggio di spiritualità, messo in evidenza dal
forte carisma scenico e dalla
bravura dei musicisti che
hanno regalato un Natale diverso ai cittadini di Pabillonis. (d. f.)
Come capita, ormai, da vari
anni, alcune “vecchine” travestite da befane con la gobba e il naso bitorzoluto, ma
con un cuore tanto grande,
hanno voluto per l’Epifania
donare splendidi regali ai
bambini e dolci per tutti. La
manifestazione, conosciuta
come la “Befana in Piazza”,
è stata riproposta anche
quest’anno da Paola e Manuela, due volontarie che
hanno procurato tanti regali
per i bambini del paese, senza chiedere niente in cambio.
Alle “Befane” basta infatti
il sorriso, la gioia e l’entusiasmo dei piccoli, quando
dalla cesta pescano il regalo
a sorpresa. Alle 11.30 dopo
la messa, nello spazio antistante la piazza di San Giovanni, le Befane alla guida
di un “motocarro” della BZ
commerciale, hanno distribuito tanti regali ai bambini
che numerosi si sono avvicinati incuriositi, e qualcuno anche impaurito da quelle “nonne” un po’ particolari. La diffidenza è però subito scomparsa alla vista dei giocattoli e dei dolci offerti dalle simpatiche vecchiette che hanno, inoltre, coinvolto i
piccoli in vari girotondi e balli festosi. (d. f.)
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Attualità
15 gennaio 2015
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SANLURI. LA BEFANA
La vecchina porta il dono
più grande: la pace
S
arà pur vero che tutte le feste si porta via, come recita
un malinconico proverbio, ma quest’anno l’Epifania è
stata un successo da record. La vecchina dei doni è arrivata nel piazzale della parrocchia di Nostra Signora delle
Grazie, mettendo d’accordo tutti quanti: amministrazione
comunale, scuola, Pro loco, banda musicale, giovani ed adulti.
Una calza differente, quindi, quella che è stata consegnata
nel 2015, perché oltre ai dolcetti è riuscita a far riflettere sul
GUSPINI.
valore della comprensione, della solidarietà, del dialogo e
della diversità, come risorsa, come occasione di arricchimento e di crescita per tutti. Per una volta tutti buoni: senza
carbone. Il “nero regalo” non gradito ai bambini che, tra urla,
salti e palloncini in volo si sono fatti in quattro per riuscire ad
avere il sacchetto di caramelle della simpatica nonnina.
Una mattinata all’insegna dell’allegria e dello stare bene insieme, per salutare le festività natalizie. Il tutto nella splendida cornice di un entusiasmo generale, accompagnato dalle
note della banda musicale che, messe da parte le polemiche
del Natale, questa volta ha trovato posto per regalare le tradizionali melodie.
Soddisfatta l’assessore alla pubblica Istruzione, Vincenzangela Fenu. «Tante presenze - dice - in attesa della befana non
c’erano mai state. Abbiamo preparato 400 doni e sono stati
ORGANIZZATA DAL
tutti consegnati. In diversi casi abbiamo rimediato con dolcetti». È con orgoglio che racconta i preparativi dell’evento.
«L’ultimo giorno di scuola - ricorda - ho visitato personalmente tutte le classi dell’Istituto comprensivo, consegnando
a ciascuno una lettera d’invito per la famiglia». E nessuno è
voluto mancare all’appuntamento, nonostante la giornata
fredda».
Santina Ravì
GRUPPO FOLK MONTEGRANATICO
La rievocazione storica de “Sa Paschixedda Sarda”
Chiunque abbia messo piede nel suggestivo cortile antistante
le Case a corte di via Caprera, oltre il grande portone di
legno massiccio, avrà conosciuto la straordinaria esperienza di sentirsi, percorsi pochi passi sull’acciottolato che porta alle dimore, parte di un mondo indefinito, ma certamente
lontano da questo: divisi tra il grigiore della realtà moderna, segnalata dall’asfalto oltre la soglia, e il silenzio di un
passato mai passato, rotto soltanto dal vivace gorgoglio dell’acqua de Sa Mitza. Percepito l’enorme potenziale di questo luogo, il Gruppo Folk Montegranatico di Guspini ha
ripercorso il Natale sardo attraverso una rievocazione storica, nota come “Sa Paschixedda Sarda”, giunta ormai alla
sua seconda edizione, ma comunque assai sentita e partecipata.
“Brocche, stoffe, utensili, vestiti: dai pregiati ricami sulle
camicie ai piatti in peltro, tutto è rigorosamente originale e ci
è stato dato in prestito dai cittadini di Guspini, a cui siamo
molto grati” affermano con entusiasmo Tiziana Leo e Angela Pusceddu, entrambe dotate di grande esperienza e autorità, che nelle giornate del 6,7,8, 20 e 21 dicembre hanno guidato i visitatori alla scoperta dei segreti e degli espedienti
escogitati dai nonni per risolvere i piccoli problemi quotidiani, laddove mancava la tecnologia. “Ognuno di questi oggetti ha una storia ed è un piccolo capolavoro di ingegno: osserva la delicatezza di questi ricami - puntualizza sorridendo
Angela Pusceddu, appassionata di intaglio, estraendo dalla
cassettiera cuffiette, fazzoletti e asciugamani immacolati - e
la maestrìa impiegata nella realizzazione della fibbia in filigrana di questo abito da sposa rosa cipria. È in crespo di lana
- aggiunge - e la lavorazione delle maniche è a nido d’ape.
Alcuni capi sono in seta, un materiale estremamente pregiato: è il caso di questa bella veste da battesimo di fine ’800,
foto Andrea Scanu
che del resto è la datazione di tutto ciò che vediamo all’interno di questa stanza. Non è stato facile reperire gli oggetti, e
per completare la pulizia e l’arredamento della casa sono stati necessari tre giorni, ma portare avanti le antiche tradizioni
e impedire che cadano nel dimenticatoio è sempre stato il
fondamento dello spirito del nostro gruppo, sin da quando fu
costituito nel lontano 1972, e dunque ogni sacrificio ci è stato ampiamente ripagato”. La cosa sorprendente - prosegue
Tiziana Leo - è che i visitatori più anziani hanno manifestato
un interesse a dir poco singolare. In molti sembravano perdersi tra i ricordi nel prendere in mano gli oggetti, nel toccarli, nel sentirne la consistenza: alcuni ci hanno raccontato diversi aneddoti interessanti, altri si sono limitati a percorrere
lo spazio o, come i bambini, a riempirci di domande. Tutto
ciò è fatto in onore di valori che ormai si stanno perdendo. Io
dico sempre che chi non ha radici non ha futuro, e se da una
parte è compito dei giovani perpetrare la tradizione, è pur
PABILLONIS. SETTIMA
È diventato un evento sociale ormai la tombolata di Natale
organizzata dalla Protezione Civile di Pabillonis. Puntuali,
come succede da sette anni, i volontari dell’associazione preparano con impegno e dovizia l’iniziativa che nel periodo
delle feste, tra il Natale e l’Epifania, caratterizza le giornate
della nostra comunità. Non è facile organizzare, pianificare,
progettare una “semplice” (secondo alcuni) tombolata. Per
garantire una buona riuscita della manifestazione occorre tanto
impegno e tanto tempo. Un sacrificio ulteriore a quello profuso durante il corso dell’anno poiché soprattutto durante le
festività tutti preferiscono stare con i propri cari uniti in famiglia. Per i volontari della Prociv tutto questo è relativo.
L’obiettivo di mandare avanti in modo ottimale l’attività dell’associazione è lo scopo di questa iniziativa. Raccogliere
fondi per garantire un “servizio” alla comunità è il fine infatti della tombolata.
Anche quest’anno il successo e la partecipazione dei
pabillonesi (e non solo) è stato positivo. Adulti, bambini, famiglie intere hanno partecipato alla tombolata che si è svolta
in varie sedute nel centro di aggregazione sociale di via Su
Rieddu. Momenti socializzanti dove lo scopo benefico ha
fornito anche l’occasione di trascorrere in serenità diverse
ore insieme ad amici e conoscenti. Alla fine, come sempre,
tutto è andato per il verso giusto e i volontari hanno voluto
ringraziare tutti coloro che hanno dato una mano per mandare avanti le attività della Prociv anche per il 2015.
vero che da parte nostra sussiste il dovere di tramandargliela nel migliore dei modi”.
Durante le visite, gli ospiti hanno potuto degustare diverse specialità tipiche, tra le quali frittelle,
ravioli e formagelle fatti in casa e assistere alla
lavorazione di formaggio e ricotta. Sparsi tra i diversi ambienti della casa, i giovani del Folk, rigorosamente in costume sardo, intenti alle mansioni
più varie, raccontano: “ Mi sono avvicinato al
gruppo grazie alla mia famiglia, che sin da quando ero bambino mi invitava a prendere parte alla
attività; e sebbene per diverso tempo pensassi che
quella del ballo sardo non fosse una disciplina
adatta a me - Andrea,18 anni - tutto ad un tratto
me ne sono innamorato.” Poi è la volta di
Gianpiero, 28, di origini sarde e milanese d’adozione: “Mio
padre è sardo e ogni estate venivo qui in vacanza. Ero solo
un bambino, ma rimasi affascinato dalla Sardegna e questo
amore non mi ha mai mai abbandonato, così lo scorso maggio mi sono trasferito definitivamente e ciò non avrebbe potuto rendermi più felice.” Le fa eco Alice: “Terminato il corso di latinoamericano, ho pensato che mi sarebbe piaciuto
provare il ballo sardo: a prima vista non potrebbero trovarsi
discipline più diverse, ma in realtà ho trovato più similitudini
di quanto si creda e sono soddisfatta.” “Emigrare per me sarebbe estremamente difficile - riprende Andrea. - Percepisco
questa terra con ogni fibra del mio essere, e solo il pensiero
di dover rinunciare a Santa Maria il 15 agosto, al pranzo della domenica, a camminare nelle vie in cui sono cresciuto, mi
fa star male. Partire sì, ma solo con la promessa di poter tornare un giorno.”
Francesca Virdis
EDIZIONE
La Tombolata della Prociv
«E semplicemente grazie.Grazie per aver partecipato alla
7° Edizione della Tombolata di Natale.Grazie agli esercizi
commerciali che da sempre ci sostengono con generosi premi. Grazie agli agricoltori, agli allevatori che non ci fanno
mai mancare i tanti attesi agnelli!! Grazie a voi che avete
partecipato e non solo compaesani, ma anche dai paesi limitrofi. Grazie per aver sfidato pioggia, grandine e freddo, per
sostenere la
nostra associazione. E un
grazie speciale ai nostri volontari, che con il loro impegno e
spirito di squadra hanno permesso questa settima edizione!
Al prossimo anno!!»
Dario Frau
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15 gennaio 2015
Attualità
SARDARA
Concerti natalizi e gemellaggi musicali
D
ue concerti natalizi a Sardara hanno fatto emergere con
successo le associazioni musicali del territorio e il patrimonio culturale del paese. Lo scorso 28 dicembre la parrocchia Beata Vergine Assunta ha ospitato il coro polifonico di
Siurgus Donigala, La Corale di sole voci femminili, il coro
maschile Santo Rosario e il coro parrocchiale Santa Maria,
invitati dall’associazione organizzatrice dell’evento la Banda
Città di Sardara. Presentati da Franca Sanna e guidati nelle
esibizioni musicali dal maestro Felice Cassinelli, i quattro gruppi hanno interpretato brani a tema e canti in lingua sarda, alcuni dei quali composti dallo stesso direttore Cassinelli, come
“Magnifica” e “Gloria”. Il gruppo femminile in stile gospel, e
a cappella le altre due corali di Siurgus Donigala, lasciando
poi il posto alla Banda sardarese che si è esibita con strumenti
e coro, allettando la numerosa platea affascinata dalle
spettacolari interpretazioni, l’ultima delle quali “Happy Day”,
cantata all’unisono dalla Banda e La Corale, accompagnate
dal battito delle mani degli spettatori e da un caloroso applauso conclusivo. Il presidente dell’associazione ospitante, Michele Campo, ha commentato così la manifestazione: «Sono
soddisfatto della notevole partecipazione attiva del pubblico.
Anche questa è stata un’occasione per dimostrare i risultati
raggiunti dagli allievi della nostra scuola. Ma soprattutto un
punto di confronto con eccellenti cori come quelli di Siurgus
Donigala, che ci consentono di maturare e crescere dal punto
di vista culturale e artistico-musicale».
L’evento è stato occasione anche per conoscere gruppi come
La Corale, la cui notorietà è incrementata a seguito del concerto al Teatro Massimo di Cagliari, La Variante di Luneburg,
con una prima e quattro repliche, l’ultima delle quali come
coriste di Milva. E per presentare ai sardaresi la nuova insegnante di canto moderno della scuola di musica locale, Pamela
Lorico, cantante delle Balentes. Il concerto di Natale è stato
inoltre seguito in diretta anche da chi, non potendosi recare
in chiesa, si è sintonizzato sul canale radiofonico attivato di
recente dal parroco del paese, don Vincenzo Salis.
Un altro concerto a Sardara ha dato il via al nuovo anno con
la premessa che si creino momenti di scambio e contemporaneamente di valorizzazione del patrimonio culturale. Per questa ragione “La Sorgente 2000” di Sardara e la “Banda musicale Città di Pabillonis” si son esibite insieme alla corale strumentale “San Pietro Pascasio” di Quartucciu, nel concerto
“Noel 2014” del 4 gennaio nella storica chiesa di
Sant’Anastasia, aperta per l’occasione dal parroco don Vincenzo Salis e la cooperativa Villa Abbas che gestisce i beni
culturali di Sardara.
Alternandosi sul palco e accompagnati dal pianoforte di
Simone Fois e Francesco Massenti, ognuno dei tre gruppi ha
intonato davanti ad una gremita platea melodie di brani a tema,
perlopiù sacri, in lingua latina e sarda. E in inglese, col brano
“Prayer” di Bocelli e Celine Dion nell’interpretazione di Vi-
ola Maria Pisano ed Alessio Perra, soprano e baritono della
corale di Quartucciu, diretti dal maestro Leonardo Pisano. A
dirigere invece le due associazioni del Medio Campidano, la
loro stessa insegnante Paola Usai, che le ha guidate anche
nell’ultimo brano della serata, “Il cantico delle creature del
Serafico Padre San Francesco”, cantato all’unisono dal coro
di Sardara e da quello istituito circa un anno fa dalla Banda
di Pabillonis. Con l’intento di far gemellaggio, i tre gruppi si
erano già esibiti il giorno prima con grande successo a
Pabillonis ed è previsto un prossimo appuntamento a
Quartucciu. Il vicepresidente dell’associazione di Pabillonis,
Maria Antonietta Locci, ha spiegato: «Uno degli obiettivi di
queste manifestazioni è quello di ricordare alla comunità che
siamo presenti nel territorio e che tutti possono farne parte,
di qualsiasi età e ceto sociale. È rigenerante. E dedicare il
proprio tempo libero alla musica e alle attività creative fa
bene soprattutto a se stessi». Condivide il presidente dell’associazione culturale di Sardara, Fabio Loi che, esprimendo
una citazione di Adolfo Pérez Esquivel, ha aggiunto: «La grande ricchezza dell’umanità sta nella solidarietà. Per questo,
abbiamo dedicato il concerto in ricordo di due concittadine,
esempio di valori umani e solidarietà, Maria Quattrocchi e
Nina Mascia».
All’evento hanno collaborato anche Federico Floris come
tecnico audio e Mattia Pisano nella gestione delle luci.
Marisa Putzolu
PABILLONIS
Un inizio d’anno all’insegna della buona musica
È
iniziato con la buona musica il nuovo anno in paese. Ha
avuto un notevole successo infatti la manifestazione che
si è tenuta sabato 3 gennaio nel centro di aggregazione sociale. Strapiena fino all’inverosimile la sala congressi della struttura di via Su Rieddu. dove si è tenuta la serata musicale. Un
evento eccezionale e da incorniciare per il paese dove gli
eventi culturali raramente riescono a catturare l’interesse e
la voglia di partecipazione. Stavolta però non è stato così.
L’organizzazione perfetta, scandita dai tempi delle varie esecuzioni ben distribuite dalla presentatrice Antonietta Locci,
ha garantito uno spettacolo che ha strappato calorosi applausi e non erano certo di circostanza. In effetti la preparazione
dei bravi cantanti e musicisti non ha lasciato alcun dubbio
sulla loro manifesta professionalità. Volevano far bella figura davanti ad un pubblico esigente e numeroso e così è stato.
Ad esibirsi sono stati diversi gruppi. L’apertura è spettata alla
banda musicale di San Gavino (nata nel 1991, ha compiuto
nel 2014 venticinque anni dalla fondazione), magistralmente
diretta dalla maestra Alessandra Cadeddu. Grinta, determinazione e sicurezza hanno caratterizzato l’esibizione della
musicista che con il semplice sguardo, il gesto secco e imperante è riuscita ad amalgamare e uniformare l’eterogenea
varietà degli strumentisti. Il merito dell’ottima prova va anche alla bravura di alcuni componenti della banda musicale
Città di Pabillonis che hanno suonato insieme a quelli di San
Gavino. Una miscellanea di pezzi ha caratterizzato il repertorio: da quelli natalizi a quelli più classici, fino alla travolgente Marcia di Radetzky che ha suggellato il finale.
Dopo è spettato al coro polifonico “La Sorgente” di Sardara
( nato nel 2000 e già affermato in zona), e a quello di Pabillonis
(da un anno fa parte dell’Associazione Banda Musicale “Città di Pabillonis”) proseguire e confermare la qualità della
serata musicale. Notte de chelu, In quel primo natal, Istella
mia i pezzi cantati dai bravi artisti di Sardara. Falade.
anghelos. Falade, Glory alleluia Amen, Fermarono i cieli
invece i brani, che hanno riscosso tanti applausi, cantati dal
coro di Pabillonis che pur essendosi costituito di recente ha
già raggiunto lusinghieri risultati grazie anche alla professionalità della maestra Paola Usai.
Una piacevole sorpresa, per la bravura, l’ intensità e melodia
del canto è stata l’esibizione della solista Lilli che ha suscitato tra il pubblico significativi apprezzamenti. La serata si è
conclusa con il brano Il Cantico delle Creature cantato insieme dai due cori.
Dario Frau
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Cultura
15 gennaio 2015
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LA VERA STORIA DI GONNOS
Revisione di un racconto surreale
di Giovanna Tomasi
Fa piacere scoprire che a Gonnos è sbocciato un nuovo scrittore. Fa meno piacere leggere gli scritti surreali sul passato
del paese. Il suo racconto, che si svolge “tra il molto fantastico e il poco reale”, offende e ferisce i gonnesi che, seppur
con i loro molti difetti, non meritano di essere tanto denigrati
e trasformati in zombi e delinquenti.
Volendo raccontare una storia fantastica e surreale, utilizzando situazioni e personaggi ,che costituiscono nel paese un’eccezione non la regola, bisognerebbe ambientare i fatti in un
paese immaginario; così si eviterebbe di confondere le idee
di molti giovani che non conoscono molto bene i fatti.
L’esimio scrittore non rende certo giustizia al proprio paese,
che ancora nel periodo 1939/45, era chiamato “sa bidda de is
arricus” (come da almeno 300 anni); infatti, oltre alle poche
eccezioni citate nel racconto, il paese era popolato da molte
altre persone: le famiglie dei latifondisti (Porru, Marongiu,
Zurru, Peddis), conosciuti anche nei paesi vicini perché, anche lì, avevano grandi proprietà e davano lavoro a tanti operai; i più grandi industriali del sughero della Sardegna, la famiglia Pinna; a seguire, in ordine di censo, tutti i proprietari
e i piccoli proprietari, vale a dire coloro che erano in grado di
dare lavoro a terzi e coloro che con il loro piccolo podere
sfamavano onestamente e dignitosamente la famiglia; c’erano poi i braccianti e gli artigiani e anche loro avevano il loro
piccolo podere. C’è poi da dire che il carattere del paese non
era molto cambiato dal 1840, quando Vittorio Angius annotava nel suo “Dizionario storico, statistico,.....” “che a Gonnos
c’erano 1626 donne e 800 telai (cioè un telaio ogni due donne), che “lavorando più del bisogno della famiglia fanno qualche guadagno”. Nel 1939/45 il paese era ancora famoso per
la produzione di “saccus nieddus” (il sacco a pelo dei pastori
sardi) e quelle donne che avevano mandato in pensione i telai non stavano in un cantuccio a piangere disperate, ma già
da decenni avevano adottato la “macchina per fare le calze”,
che producevano in grandi quantità e vendevano in tutti i paesi
vicini e negli spacci delle varie miniere.
Quando da ragazzina mi capitava di andare in altri paesi, o
anche a Cagliari, non mi vergognavo di rispondere alla domanda “Da dove vieni?”, perché il mio interlocutore, alla
mia risposta, replicava dicendo “Ah! Il paese dell’acqua buona, delle angurie e degli ortaggi buoni.”
Questa fama i gonnesi non l’avevano guadagnata, come scritto
nel racconto, ubriacandosi nelle bettole e rendendo il paese
un “corpo inerte”, ma lavorando il terreno sabbioso e ghiaioso
“con industria e costante fatica”, come scriveva l’Angius, che
aggiungeva: “Lavorasi negli orti, nei quali si semina meliga,
zucche, cipolle, meloni, cavoli, rape, lattuga, pomidoro,
fagiuoli e altre specie e mandasene fuori gran parte”: i gonnesi
erano quindi anche grandi esportatori di prodotti ortofrutticoli.
Cosa dire poi dei frantoi? Pur essendo laboratori artigianali
erano importanti per il paese come una grande industria: in
essi, forse più che in altri campi, i gonnesi si erano dimostrati
aperti all’innovazione e all’imprenditorialità. Da ottobre fino
a marzo i frantoi Cecchini, Bardi, Tomasi, Sogus, Frau, Foddi
(e mi perdoni chi è stato dimenticato) lavoravano 24 ore su
24, macinando le olive dei gonnesi e quelle dei paesi vicini e
meno vicini.
Per quanto riguarda la gloriosa “Stazione Postale” di “s’Impresa” (dove avveniva il cambio dei cavalli delle diligenze e
i viaggiatori potevano sostare e ristorarsi), era già chiusa dal
1930 e nel periodo ’39/45 i nipoti di “tzia Sera Fadiori” (la
padrona della Stazione) abitavano i diversi appartamenti che
avevano ricavato negli stabili (uno di loro era mio suocero).
Naturalmente, come ovunque, anche a Gonnos la vita era
molto diversa da com’è oggi e molto più difficile: non mancavano i disonesti, i ragazzi abbandonavano presto la scuola
per andare a lavorare, giravano un po’ di soldi falsi, mancavano le fogne e il fiume faceva da depuratore e in ogni cortile
c’era il letamaio, che però non impediva di tenere le case
dignitosamente pulite. Nonostante questi piccoli guai e le
tragedie della guerra i gonnesi non si sono mai abbattuti e
rassegnati.
C’è da fare un’altra considerazione: nel racconto surreale della
storia di Gonnos, dove i reduci della guerra del ’15/18 non
sapevano di aver sconfitto gli Austro-Ungarici, i fascisti
dell’ultimora facevano da badanti ai gerarchi strafatti e i comunisti hanno come capo una prostituta, l’autore (gonnese)
si chiama fuori da questa Genia di ubriaconi, inerti, disonesti, dai pidocchi, dalle latrine e dalla merda fresca del Rio
Piras: “Io ero un estraneo e di fronte a me i gonnesi si vergognavano”.
Complimenti per essersi ritagliato la parte migliore.
Le funzioni
dei Nuraghi
Una delle questioni più dibattute dell’archeologia nuragica è
sicuramente quella relativa alle funzioni che tali architetture,
caratteristiche della Sardegna, ebbero nella vita dei popoli
che le edificarono e le utilizzarono. Una controversia destinata a durare ancora a lungo e, verosimilmente, a non trovare
una risposta definitiva, e questo per due ordini di motivi: la
mancanza di indizi certi che siano in grado di orientare verso
un’ipotesi piuttosto che un’altra; l’evoluzione che i nuraghi ebbero nei tempi della
loro costruzione e diffusione, dagli albori
al periodo finale del II millennio a.C., che
li vide passare dalle rudimentali forme irregolari dei proto e pseudo-nuraghi, alla
perfezione formale del classico tronco di
cono con falsa cupola (tholos), fino alle stupefacenti soluzioni delle Regge nuragiche,
straordinari archetipi in muratura a secco
di molti castelli tardomedievali e
rinascimentali.
La Civiltà Nuragica, ben lungi dall’essere
stata immutabile nel tempo, in quasi un millennio di esistenza autonoma è stata attraversata da una costante dinamica
progressiva che ha sicuramente condizionato anche la funzionalità del suo monumento più rappresentativo. È evidente, di conseguenza, che l’unica certezza riguardo alla questione dell’utilizzo effettivo dei nuraghi è che non si può parlare di funzione, ma di funzioni.
Il primo a fare un’ipotesi sulla questione fu il canonico Spano,
che li considerò delle prigioni. Taramelli si orientò verso la
spiegazione più logica, almeno in apparenza: data la loro conformazione e ubicazione, non potevano che essere stati edificati a scopo di controllo e difesa del territorio. Giovanni Lilliu,
in un primo periodo, confermò e rafforzò questa ipotesi, ma
con lo sviluppo della ricerca sul campo, si aprì all’ipotesi
polifunzionale. A favore dell’utilizzo per controllo e difesa
depone, innanzitutto, la fisionomia possente dei nuraghi e la
presenza di feritoie che potevano essere utilizzate dagli arcieri; in secondo luogo, l’ubicazione in luoghi panoramici e i
collegamenti visivi tra loro, disposti in maniera gerarchica
dal centro (la reggia) verso la periferia, evidenziano il loro
utilizzo a guardia del territorio e come strumento di comunicazione. Ma questa è un’evidenza che riguarda la civiltà
nuragica nel periodo apogeico, tra il 1500 e il 1000 a.C. e
non è detto che le forme più arcaiche rispondessero alle stesse esigenze. D’altronde, i dati degli scavi che si sono succeduti
dal dopoguerra a oggi hanno mostrato risultati che testimonierebbero un utilizzo dei nuraghi, quantomeno parziale,
come luoghi di raccolta delle provviste,
abitazione e, almeno nel periodo finale, di
culto. L’ipotesi dell’utilizzo per la conservazione delle scorte di cibo è suffragata
anche dal microclima che si forma all’interno del nuraghe, fresco d’estate e temperato d’inverno.
L’ipotesi che tanto affascina gli appassionati di archeomisteri, vale a dire la funzione sacrale legata a un culto astronomico, si basa su coincidenze, mai approfondite sistematicamente, di un orientamento
dei nuraghi tale da segnalare, attraverso il
flusso della luce, il ciclico ripetersi di solstizi ed equinozi;
coincidenze che potrebbero non essere tali, ma comunque
dettate, più che da una mistica cosmica, da un interesse pratico: la necessità, per una società a vocazione agropastorale e
marinara, di avere una precisa coscienza dello scorrere del
tempo. La scarsità di luoghi di culto non è una ragione sufficientemente valida per affermare che fossero gli stessi nuraghi
le sedi di quelle funzioni. D’altronde, lo studio dei pozzi sacri e della loro genesi, in un primo tempo circoscritti alla
prima parte del I millennio a.C., ha orientato gli studiosi a
considerarli, almeno nelle forme più arcaiche, contemporanei del periodo apogeico nuragico. La religiosità naturalistica
delle genti nuragiche, ad ogni buon conto, poteva espletarsi
in buona parte direttamente nei santuari naturali, come fonti,
fiumi, boschi e grotte.
Secondo quanto dice Pittau nel libro “La Sardegna Nuragica”,
il fatto che vicino a ogni nuraghe si trovi una chiesa dimostrerebbe che i nuraghi erano luoghi di culto, con le capanne
intorno a fare la funzione di muristenes (come accade tuttora
nei pressi di moltissime chiesette, specialmente nei giorni delle
feste).
La polifunzionalità dei nuraghi è suggerita anche dall’utilizzo che di tali monumenti è stato fatto in tempi successivi,
dalla romanizzazione fino a tempi relativamente recenti. Nei
condaghes giudicali sono presenti numerose testimonianze
del loro utilizzo diversificato come luoghi di stoccaggio delle eccedenze alimentari, di riunioni assembleari e perfino di
celebrazione del culto cristiano. Anche una forma artistica
tipicamente sarda come il canto a tenores fa pensare a una
sua genesi cultuale all’interno dei nuraghi, sia per la disposizione dei cantanti in circolo, sia per le particolari risonanze
delle voci che paiono modellate sull’acustica dei giganti di
pietra.
In definitiva, solo un utilizzo polifunzionale può giustificare
la fortuna della tipologia nuragica e la sua assoluta
predominanza su ogni altra testimonianza architettonica del
periodo.
Mauro Serra
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20
Cultura
15 gennaio 2015
Su sadru chi seus pedrendu
Aiaia sa Turronàia
Scracàlius
di Gigi Tatti
Seconda parte
I
n cussus tempus sa poborèsa fiat mèda e is femias, mancai fessant coiadas e cun tanti
fillus, po nci tirài su mesi aciungìant, a su guadangiu misenìu de su pobiddu, cussus pagus
francus coberàus traballendu po genti sennora. Po una fiuda fut peus puru, su guadangiu
ddu depìat fai totu de sei. Cument’e totus deu puru tenìa duas aiaias, dd’as stimà tot’a is duas
in sa propria manèda, ma sa chi arrennescìat a tirài de prus is nebodis a sa pàti sua fiat aiaia
Tou. Aiaia Lampis stadìat prus béi de sienda e aiaiu dd’agiudàt in domu puru. Is fillus, totus
coiaus, e cun traballus bastantis po is abisongius de sa familiedda insòru. Aiaia Tou fut stetia
prus disfortunàda in vida sua. Abarrada fiuda a giovuna, nesci de ua arrutura chi aiaiu iat fàtu
de ua mat’e obìa, iat tentu in sienda cuaturu fillus de cresci e si fut depia inginniài a fai is
traballus prus drivessus chi ddi capitant. Giài de candu fut allatendu is fillus donàt su làti suu
a pipius chi ddi potant, poita ca sa mama tenìat su petus aridu. Babai miu, su fradi e is sorris,
tenìant totus u fradi o ua sorri de làti. Custu traballu dd’iat depiu fai acou puru, fias a candu
sa natura si dd’iat
premitiu. Andàt a fai
lissìa a s’arriu, caddaxus mannus de arroba
de sciacuài a peis in
s’acua, is dabòris de
ossus e de costau
arribaus a cou’ i ecèsa,
no fiant po debadas. Su
fasc’e linna po coscinài
e si callentai in tempus
fridu no ddu scarescìat
mai.
Ma su traballu prus
notoriu po sa genti, fut
a fai is turrõis, e po
cussu ddi tzerriànt
Rosaria sa turronàia, e
po cussu no ddi mancat mai sa costedd’e is turrõis. Dda cumandànt poita fut bratzus fòtis.
Custu traballu dd’iat sighìu a fai candu fut abarrada soba puru e cun is fillus coiaus. Sa spera
de totus is nebodeddus fiat di essi sceberaus po dd’acumpangiài a fai is turrõis, su chitzi chi
andat, is atras femias puru fiant acumpangiàdas de fillus o nebodis, e giogant impàri. Custumàt
a ddoi andai a de dì puru, po segài sa mendua, ma issa, ca fut abista si fadìat potai su sàcu de
mendua a domu sua e dda segàt innias, ca dd’abarràt su croxu po ghetai a su fogu. Su speddiu
nostu po si fai arregolli fiat, a pàti su spassiu cun is atrus piciocheddus, ca si ‘onànt drucixeddus
e arrennesciaiaus a scrocai cuncua mendua, stichendu sa mãu a sa crobi prena, ma de candu
a Giuannicu, su turronàiu, dd’iat cancaràu sa mãu cun d’u crop’e atzitzaiu, po ndi scabulli ua
farrancàda si tocàt a potai is ogus apetus e ddu fai a sorvidada e a iscusi. Finzas a candu issu
no si fut fàtu prus abistu e ndi ‘ogàt sa mendua a su momentu de dd’etai a su caddaxu. Tziu
Bissenti, uantru turronàiu, invecias no ndi passàt contu, poita ca su chi si papànt is piciocheddus
nde ddu scontàt de sa paga, misenìa, de is femias.
Ua dì aiaia m’iat nau: «Béis notesta a crocai a dom’e aiaia? A chitzi t’arregollu cun mimi a fai
is turrõis.» No mi fut patu mancu berus. «Sissi aiaia, gei andu!» Dd’ia nau a mamai e apenas
prandiu fia pesàu a dom’e issa, po no pedri tempus. Cumenti nci fut cabau su sobi, deu e
aiaia, iaus cenàu: u bellu pratu de minestr’e patata cun s’aciunta de ua fit’e pãi e pois a lètu,
sa tellavisiõi no nci fut e si ndi depaiaus pesai a chitzi. Mi fut pàtu de m’essi apenas crocau
candu aiaia mi nd’iat sciumbullau: «Pesa, su pipiu, ca est or’e andai.» M’iat trogau u sciallu
bèciu e fiaus andaus, tziu Antiogu bivìat
acanta e fiaus arribaus luegus, is atras femias
ddoi fiant giài cun is piciocheddus. Si fiant
postas luegus a traballai: a chini aperriat is
ous, a chi scroxat sa mendua, su caddaxu
fut giài prontu a arricì su mebi, is ous e sa
mendua. «Tocai pipieddus - s’iat nau tziu
Antiogu - a chi intrat sa linna ddi ‘onu ua
farrancada de mendua.» Luegus fiaus cutus
a pratza, iaus intrau sa linna prexaus
abetendu sa farrancad’e mendua, issu potat
mãus mannas… Ma sa mãu po pigài sa
mendua fut sa nosta, tropu pitica po si ndi
prandi. Is atrus iant pigau sa farrancadedd’e
sa mendua e iant inghitzau a papai, deu,
sen’e mi ndi fai acatai, mi ndia ghetau duas
farrancadas a síu, e acou a bell’a bellu ia
inghitzau a papai. In d’u furrungõi, aillargu
de is murus, ddoi fut sa forredda ingiriàda de pedras chi fromànt su forreddu, in àtu, de u
muru a s’aturu, ddoi fut u truncu cun d’u stampu su baddadori a nca nci stichiant sa maiga
longa de s’arremu chi ferrìat giustu giustu a mes’e su caddaxu.Tziu Antiogu iat allutu su fogu
e, prim’e nci põi su caddaxu, apitzus de is pedras iat sterriu unas cantu follas de figu morisca,
po chi no dd’essat arribau fogu tropu fòti. Luegus iat ghetau a su caddaxu su mebi bastanti po
cussa pesàd’e turrõis, pois is srabius de is ous, is ollãus srebiant po fai atrus drucis. Duas
femias, una a ua pàti e una s’atra, iant pigàu s’arremu e inghitzau a girài, chen’e si frimai
nudda, cambiadas de is atras duas apustis pagu, po no s’atacai a su fundu. Custu traballu
sighìat aici po assumancu tres oras e mesu. A nosu piciocheddus, bintus de su sonnu, siant
fatu crocai in d’u letu chi ddoi fut a ua pàti. Si ndi fiaus sciumbullaus candu fiant cabendindi
su turrõi fàtu, a tempus giustu po pullì sa pallita chi potant po ndi stacai su druci de su
caddaxu. Is femias fiant pasìendu pagu pagu, totu sciustas de sudori e fadiadas po su traballu
fatu, ma aprontendusì po ndi fai uantra pesàda. A nosu tziu Antiogu s’iat fatu cuncodrai is
cascitas de turrõi callenti ponendiddi sa mendua apitzus, una avat’e s’atra, ma cuncuna, avat’e
s’atra dd’acabat in buca!
A si ‘ntendi mellus. tziu Arremundicu.
Ci funt momentus chi unu contixeddu allirgu fai beni gana bella e fai praxeri. Po cussu,
custus “scracàlius” serbint po ci fai passai calincunu minutu chene pensai a is tempus lègius
chi seus passendi in custus annus tristus e prenus de crisi. Aici, apu pensau de si fai scaresci
calincunu pensamentu, ligendi e arriendi cun custus contixeddus sardus chi funt innoi. Sciu
puru, ca cussus chi faint arrì de prus, funt cussus “grassus” e unu pagu scòncius, ma apu
circau de poni scèti cussus prus pagu malandrinus, sciaquendiddus cun dd’unu pagheddu de
aqua lìmpia. Bonu spassiu. Est bellu puru, poita calincunu, circhendu de ddus ligi imparat
prus a lestru a ligi in sa lingua nostra. E custa, est sa cosa chi m’interessat de prus.
Zaccaria est torrau de Continenti e in su bar incontrat su gopai Vissenti.
Vissenti: E insaras ita novas in Continenti? E sorri tua comenti stait?
Zaccaria: Ge stait beni.
Vissenti: E ita est fadendi?
Zaccaria: Est fadendi sa batona.
Vissenti: Veramenti t’apu domandau ita novas!
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Stevini est andau aundi de su specialista po si fai visitai a su gùturu.
Su specialista: Nerimì. De candu si d’est acatau de ai pèrdiu sa boxi?
Stevini: De s’incrasi chi mi fia coiau!
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Sirigu est andau in vìsita po si fai donai sa pensioni de invalididadi.
Su dotori: De candu fostei est bessiu mudu e no podit fai prus su telefonista?
Sirigu: Scusimidda, ma si seu mudu, comenti fatzu a dd’arrespondi? Seu mudu, miga stùpidu!
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Sistu e Serapiu funt in s’osteria imbriaghendusì e funt fueddendi.
Serapiu: Céssu! Ge si ndi chìnchiat pobidda mia, candu pinnicu e càstiat s’orològiu!
Sistu: Biadu tui ca càstiat s’orològiu. Po mei inveci depit fortzis castiai su calendàriu!
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Sidoru est passillendi cun sa pobidda Ursula.
Sidoru: Ddu bis a cussu tipu chi est passendi totu prexau?
Ursula: Ge ddu conosci.
Sidoru: Bis, cussu sì ca est unu fortunau cun is fèminas.
Ursula: Ma si est bagadiu!
Sidoru: Est apuntu po cussu chi est fortunau cun is fèminas!
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Apoloniu in gita at fatu conoscenza cun dd’unu polìticu.
Su polìticu: Fostei ita mestieri fait?
Apoloniu: Deu fatzu unu mestieri chi sa genti abarat a buca aberta de su chi fatzu.
Su polìticu: Insaras fait su polìticu coment’e mei?
Apoloniu: Nossi. Fatzu su dentista.
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Marieddu est pinnicau a domu de scola e fueddat cun sa mamma.
Sa mamma: E insaras Marieddu, oi a scola as fatu a bravu?
Marieddu: Sissi mamma. Oi Apu fatu puru una bona atzioni.
Sa mamma: Bellu. Contamì insaras ita as fatu.
Marieddu: Oi unu cumpangeddu maladitu de classi, at postu unu agu in sa cadira aundi si
depiàt séi sa maista.
Sa mamma: E tui ita bona atzioni as fatu? As avisau sa maisat de no si séi?
Marieddu: Nossi mamma. Comenti apu biu ca sa maista fiat setzendusì, apu spostau sa cadira.
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Su professori de scienze est interroghendi a Marieddu.
Su professori: Marieddu, mi depis nai, ita iat a sucedit si ci perdis un origa.
Marieddu: Ca c’iat a intendi mali.
Su professori: Bravu. E si ddas perdis tot’i a duas?
Marieddu: No nc’ia a bit prus.
Su professori: Comenti no nc’iast a bit prus. Ita c’intrant is origas cun is ogus?
Marieddu: C’intrant. Poita chene origas, no m’ia podi prus poni is ochialis de vista!
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In su parcu de Monti Urpinu de Casteddu unu operàiu de su Comùnu est vernicendi una
panchina. Arribat unu barboni.
Su barboni: Narit. Meda ci ponit a verniciai custa panchina?
S’operàiu: Poita mi ddu domandat? Po cali curiosidadi?
Su Barboni: Poita bolia sciri, si sa tinta ce dda fait a asciugai prima de scurigai.
S’operàiu: Ma ita de ndi frigat a fostei de custa cosa?
Su barboni: Est, ca bolia sciri, a it’ora mi ddoi potzu crocai!
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Checu est fueddendi cun dd’unu butegheri.
Checu: Est pròpiu berus ca in bidda c’est una crisi manna.
Su butegheri: Ci podis contai. No si bendit prus nudda. Nanca at falliu po fintzas sa butega de
sa biancheria intima.
Checu: Certu, sa genti no si podit comporai mancu prus is mudandas.
Su butegheri: Cussu puru. Ma deu si dd’ia puru consillau, de no aberri cussa butega, acanta
de su campu de is nudistas!
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Unu Casteddàiu incontrat unu amigu chi no biriàt de medas annus.
Su Casteddaiu: M’at fatu meda praxeri a t’ai torrau a incontrai a pustis medas annus.
S’amigu: A mei puru.
Su casteddàiu: Seu aici prexau, ca m’iat a praxi a cenai cun tui.
S’Amigu: A mei puru, ma meda, meda.
Su casteddàiu: Bellu. Insaras, avisa a pobidda tua de aciungi uu pratu in sa mesa po mei!
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Cultura
LA SARDEGNA NEL CUORE
15 gennaio 2015
21
di Sergio Portas
Bravi Camboni: le vicende epiche
della squadra del Cagliari,
dai brocchi ai campioni
S
e, come asseriva Hegel, il giornale è la preghiera del
mattino dell’uomo moderno, mi sento di poter dire,
dando uno sguardo ai milanesi che prendono la metropolitana, tutti immersi nello scrutare i loro telefonini con maniacale attenzione, che di uomini moderni si va perdendo la
traccia o che più semplicemente nessuno ha più molta voglia
di pregare, al mattino. Io pervicacemente rimango convinto
che un popolo che non legge i giornali è destinato a pagarne
le conseguenze culturali (di declino) e politiche: che so, votare per vent’anni un populista destinato a finire in galera,
prima o poi, e, a disastro avvenuto, rimediare buttandosi sul
primo comico televisivo che urla contumelie o sul delfino
padano di un altro trombone finito sotto processo per aver
distratto fondi del suo partito ad uso famigliare e privato. Tutto
questo per confessarvi che ogni mattino che Dio mi manda
vado in edicola per “Repubblica”, quotidiano di tendenze non
esattamente rivoluzionarie ma che, a parer mio, ha avuto il
merito, negli ultimi vent’anni di cui dicevo, di accorgersi per
tempo che quel politico che li ha cavalcati alla grande aveva
frequentazioni pericolose e vicinali con mafiosi conclamati
(Mangano) e con altri che per mafia avrebbero dovuto scontare anni di galera (Dell’Utri).
Inevitabile quindi che sia particolarmente affezionato alle “firme di Repubblica” e tra queste a Gianni Mura che dovrebbe
scrivervi di sport. In realtà Mura si è conquistato, in cinquant’anni di giornalismo (era praticante alla “Gazzetta dello sport”, la rosa, nel’64) il diritto di scrivere di quello che gli
salta in mente: il 28 dicembre apre la sua rubrica quotidiana
“Sette giorni di cattivi pensieri” con: “Il 17 dicembre i talebani fanno una strage in una scuola di Peshawar: 152 morti,
di cui 132 minorenni”. Il giorno dopo recensendo e dando
pagelle ai cento nomi dell’anno ci mette anche: “Francesco
(papa) Dal 9 al 9,5”. Per la cronaca di 10 non ne ha dato a
nessuno. I suoi articoli sono pezzi di giornalismo che rimarranno, in ispecie quelli scritti al seguito del Tour de France.
Non a caso sul tema ha scritto due dei suoi numerosi libri
(scrive anche di narrativa gialla). Mura è cognome sardo, il
babbo di Gianni nasce a Ghilarza, lui a Milano nel’45. Scrive
nella prefazione al libro di Paolo Piras: “Bravi e Camboni,
l’epica minore del Cagliari: piedi storti, teste matte e colpi di
genio” (egg edizioni 2014): «E quel colpo di testa, in tuffo, di
Gigi alla Germania Est, quando Brera scrisse che la rete si
gonfiò come investita da uno squalo, a che velocità andava?
E infine con tutto il rispetto, chi se ne strafotte? I numeri non
dicono tutto, a parte quell’11. I numeri dicono poco. I numeri
non spiegano per quali strade calcistiche o umane alchimie si
arrivi a realizzare l’utopia di uno scudetto a Cagliari» (pag.XI).
A parlare del libro di Piras in libreria a Milano, presente l’autore, oltre che Gianni Mura è un altro giornalista di vaglia:
Massimo De Luca, che deve la sua celebrità alla conduzione
della “Domenica sportiva” televisiva, come dire che lo cono-
scono proprio tutti, e fu proprio lui che lo fece assumere
in RAI quando ancora dirigeva Raisport, da lì al Tg3 dove
Paolo si distingue per scelta di reportage e per una dizione limpida ed esaustiva, l’accento cagliaritano quasi dimenticato. Anche qui parlo con la cognizione di causa di
uno che alle ore 19, immancabilmente, si sintonizza sulle
frequenze del TG3 (tranquilli, ascolto anche i tigì di radio Popolare mezz’ora dopo).
Sia Mura che De Luca concordano nel definire “sorprendentemente ben scritto da un giornalista della Rai” il libro di Paolo Piras. «È un libro che si lascia leggere», apprezzabile per leggerezza di scrittura, dove i tackle (contrasto in termine calcistico) sono dolci, come si conviene
a una storia calcistica che è diventata vera epopea, del
calcio di quel Riva Luigi detto Gigi che non può che avere a motivo conduttore la nostalgia. Una specie di Macondo in salsa sarda, cagliaritana, come nel celeberrimo
romanzo di Marquez vi si intrecciano storie, calcistiche
ma non solo, dove tutto è abbastanza indeciso. Vago il
principio di identità: quel Vittorino uruguagio, centravanti
della sua nazionale che vinse fin un Mundialito, era davvero un bidone, uno scarpone, unu camboni? E che dire
di quel Katergiannakis, portiere greco che approdò al
Cagliari nel 2004 che lascia incustodita la sua porta per
salvare un povero piccione che si era preso una pallonata
da Manfredini in un Lazio-Cagliari di Coppa Italia: «...
Sprezzante del gioco che intorno prosegue, grondante
empatia animalista, incurante del fatto che a tutto il resto
del mondo intorno, arbitro incluso, potesse sbattere meno
di niente delle sorti del pennuto...» (Pag.34). Dice Paolo
Piras che la TV ha finito con l’uccidere un certo tipo di
epica. Oggi dei campioni dello sport, e del calcio in particolare, si conosce proprio tutto. Il gossip si è impadronito delle loro vite, delle loro relazioni sentimentali. Lo
spogliatoio è presentato sempre in un silenzio da obitorio. Non resta quindi che celebrare l’epica dei brocchi.
Anzi se esiste anche un’epica delle tifoserie, e lui quella
del Cagliari la conosce molto bene, avendola frequentata
col padre fin dal ’75, aveva cinque anni e si ricorda ancora di quel Cagliari - Cesena che finì 1 a 2, per i rosso-blu:
gol al volo di Gigi Riva, quella cagliaritana ha vaghe somiglianze con quelle non necessariamente vincenti: interisti sfigati, granata, genovesi, romanisti. Ma come è indelebile quel ricordo di Minguzzi, anche lui portiere non
proprio eccelso, che non aveva proprio l’idea di come si
piazzasse una barriera sui calci di punizione avversari che
finivano sempre più di assomigliare a un rigore, così è
l’incedere di un Francescoli, vero principe del pallone, e
come scordare quel gol di Zola all’ultimo minuto di un
Cagliari - Juventus, stanno vincendo loro per 2 a 1; da
uno di quei cross che si fanno più per disperazione che
per convinzione Zola, quasi un nano lo dice Mura, 1,67 contro Zebina che è 1,85, schiaccia in rete di testa! Il libro è pieno di queste pennellate. E naturalmente zeppo di quel Cagliari - miracolo che vinse lo scudetto nel 1970. Un Cagliari che
oggi sarebbe fuorilegge, sempre Mura. Fumavano tutti e undici titolari, quattro anche nello spogliatoio. E i digestivi erano tutti più forti del mirto tradizionale. Tutta la Sardegna, finalmente unificata, tifava Cagliari. Impossibile non citare quel
Nanni Loy televisivo che va a chiedere a un pastore: “Ma a
lei cosa ne viene se vince il Cagliari?” ricevendone la secca
risposta: “E a me cosa me ne viene se perde?”.
Nel ’70 io avevo quattordici anni, seconda superiore a Rho,
paesone di quarantamila abitanti a mezz’ora da Milano. Inaspettatamente la Sardegna era emersa sulle prime pagine dei
giornali nazionali, Gianni Brera scriveva di quel “rombo di
tuono” proveniente da Leggiuno, Varese, e del “meraviglioso Cagliari”, il lunedì mattina all’ennesima partita vittoriosa
dei rosso-blu mi pareva di essere più alto di una buona spanna. Anche se in quegli undici non c’erano giocatori sardi. Ma
più della metà di loro sono poi rimasti a vivere in Sardegna.
Con i sardi sempre più orgogliosi per ogni NO che Riva rifilava alla Juve degli Agnelli che l’avrebbero voluto alla loro
corte, coprendolo d’oro. L’allenatore Scopigno (detto il filosofo) che entra nella camera d’albergo di Bassano del Grappa, dove la squadra è in ritiro, sono le 24,30 e l’ora è da testimone presente sul posto, sempre Gianni Mura, il fumo delle
sigarette da camera a gas, c’è un tavolo di ramino pokerato,
carte e grappa ovviamente, siamo a Bassano. “Quando finite
aprite le finestre”, il suo lapidario “filosofico” commento.
Un libro che diverte e commuove anche (quel campioncino
di ‘O Neill che annega in un mare di alcool) capace di parlare di campioni e di brocchi con lo stesso metro di una prosa
brillante e melodiosa, a tratti. Opera prima di una casa editrice di San Gavino, la egg di Carla Piras (mi dice che non è
parente), sangavinese purosangue, passata da Radio Press alla
“Nuova Sardegna” e all’ufficio stampa di Soru quando scalò
la presidenza della regione. Vinta una borsa di studio europea fa un “master” a Roma, uno stage alla casa editrice “Minimum Fax”, dove impara l’arte di amministrare. E poi si
mette in proprio. Questo primo libro lo definisce “canarino
da miniera”, se riesce a sopravvivere con i costi e le vendite
ne ha in serbo altri due, assolutamente diversi. Uno di un
francese che scrive su “Le Monde Diplomatique” su gli errori della UE (deve essere ponderoso). L’altro di tale Castan,
uno spagnolo che, mi dice Carla, scrive con una prosa sontuosa. Babbo ragioniere e mamma casalinga, lei laureata in
lingue, due fratelli, uno laureato in filosofia. Fortunatamente per lei i suoi in casa parlano in sardo, così che anche lei se
la cava e tutto lo capisce, mi pare m’abbia detto di avere
trentasei anni ma non ne sono certo, che me la ricordo come
ne avesse ventisei.
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22
15 gennaio 2015
Il ricordo di Padre Giuseppe Pittau,
il gesuita apostolo del Giappone
Il sorriso, l’umiltà e la facilità di comunicare con tutti. Sono queste alcune
delle caratteristiche della figura di Padre Giuseppe Pittau,
il gesuita villacidrese scomparso in Giappone a Tokyo il 26 dicembre 2014
U
na vita dedicata alla missione e alla predicazione del Vangelo come ha ricordato Padre Pittau anche nella prefazione del libro “Al Visitatore” di Vittorio Volpi : “Prima di
predicare il Vangelo in diverse Nazioni, ai Missionari è chiesto di inculturarsi, conoscere bene la lingua, la cultura, o le
varie culture del luogo; in altre parole, con riferimento al
Giappone, non si chiedeva solamente che i Giapponesi si facessero Cristiani, ma allo stesso tempo che i Missionari, nel
loro modo di parlare, e di vivere si facessero Giapponesi,
parlando e leggendo bene il Giapponese, e usando i costumi
e il modo di vivere dei Giapponesi”.
Grande cordoglio per la scomparsa del gesuita è stato espresso dallo stesso Papa Francesco che lo ha definito “esemplare
ministro di Dio vissuto per la causa del Vangelo”, ricordando
“il suo generoso apostolato missionario in Giappone” e il suo
impegno come rettore dell’Università Sophia di Tokyo e dell’Università Gregoriana a Roma e come segretario della Congregazione per l’Educazione cattolica dal 1998 al 2003.
Ha ricordato la figura di padre Pittau anche il direttore della
Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi.
GRANDE MISSIONARIO
Padre Pittau è stato un grande missionario, un grande gesuita
e un grande servitore della Chiesa. Era nato in Sardegna a
Villacidro il 20 ottobre del 1928; è entrato giovanissimo nella Compagnia di Gesù alimentando, fin dall’inizio, un grande desiderio missionario. Egli chiese di andare in Giappone
come missionario quando era ancora molto giovane; a 24 anni
fu effettivamente inviato in Giappone. E lì, dimostrò una capacità di inserirsi, di imparare la lingua, di entrare nella cultura e nella società giapponese assolutamente eccezionale;
direi che è stato un grande erede, nel nostro tempo, della tradizione dei gesuiti che si inculturavano nelle culture orienta-
li e ottenevano la capacità di un rapporto estremamente positivo con la società circostante. Padre Pittau ha insegnato scienze politiche nell’Università Sophia - una grande università
gestita dai gesuiti a Tokyo - e ne è stato rettore poi per molti
anni, anche in tempi di agitazioni studentesche nelle università giapponesi. Quindi guadagnò una grande autorevolezza
proprio per il modo in cui seppe gestire questa sua responsabilità di rettore dell’università.
L’INCONTRO CON GIOVANNI PAOLO II
Fu anche nominato provinciale dei gesuiti giapponesi e quando era al vertice della sua esperienza in Giappone, molto apprezzato nella società di quel Paese, ci fu il viaggio di Giovanni Paolo II in Giappone. Pittau fu, in qualche modo, l’interprete e la guida del Pontefice durante questo viaggio. Questo permise al Papa di stabilire con lui un rapporto profondo
e di fiducia, così che quando Giovanni Paolo II, dopo la malattia di padre Arrupe, nominò padre Dezza come suo delegato per il governo della Compagnia di Gesù, volle che padre Pittau fosse il suo braccio destro e perciò lo chiamò dal
Giappone per questo incarico. Quindi nella storia recente della
Compagnia di Gesù, padre Pittau oltre ad essere stato un grande missionario è stato anche, insieme a padre Dezza, una persona a cui noi dobbiamo grande gratitudine, perché aiutò in
questo passaggio dopo la malattia di padre Arrupe all’elezione del nuovo padre generale, padre Kolvenbach, quindi rientrando nella piena normalità della conduzione della Compagnia di Gesù. Padre Kolvenbach lo volle anche come uno dei
suoi consiglieri generali ed assistenti - era quindi assistente
per l’Italia -, ed io ebbi un rapporto piuttosto profondo con
Pittau perché a quel tempo ero provinciale dell’Italia, quindi
lui era il mio interlocutore sul versante del governo della
Compagnia di Gesù. Fu anche nominato rettore della
Gregoriana, perché aveva una grande esperienza accademica
che portava con sé dal Giappone, e poi fu voluto da Giovanni
Paolo II come segretario della Congregazione per l’Educazione Cattolica che è competente un po’ per tutte le università cattoliche nel mondo, e fu fatto arcivescovo. Rimase in
questa funzione fino ai 75 anni.
LA PERSONALITÀ DI PADRE PITTAU
Quando nel 2003 compì 75 anni, egli volle assolutamente
ritornare in Giappone. Era così ritornato nella sua patria di
elezione a cui era rimasto sempre estremamente legato e lì
fece dei ministeri sacerdotali semplici e visse così gli ultimi
anni della sua vita diventando poi infermo fino alla morte.
Pittau era una persona dotata di grandissime capacità di governo, ma era sempre un apostolo e un missionario. Io ricordo quante volte, anche qui a Roma, amministrava dei battesimi a persone giapponesi che si convertivano alla fede cristiana; ha conservato un rapporto molto vivo con il popolo giapponese. Ha ricevuto la più alta onorificenza dell’Impero giapponese con l’Ordine del Crisantemo per i suoi meriti nel campo della cultura. La sua è stata nei decenni recenti certamente
una delle personalità della Chiesa cattolica più apprezzate,
anche pubblicamente, nella società giapponese. Abbiamo un
grande dovere di gratitudine verso di lui per quello che ha
fatto, non solo qui a Roma negli anni in cui è stato qui, ma in
particolare nella missione in Giappone. Padre Pittau era una
persona di una spontaneità e di una facilità di rapporti con gli
altri, affascinante, sempre sorridente, sempre cordiale. Questa fu anche una delle chiavi del suo successo - così possiamo dire - nel rapporto con il mondo giapponese ma anche
con tutte le persone che ha incontrato. Ne abbiamo tutti un
ricordo estremamente piacevole e affettuoso da un punto di
vista spirituale e umano.
SAN GAVINO
Ci ha lasciato Bruno Scano
Brunone, il Partigiano Moretto
Il Comitato Provinciale ANPI Medio Campidano, con profonda commozione, ha appreso dai figli Vito, Daniela e Luisa, che il 28 dicembre ci ha lasciato Bruno Scano. Nome di
battaglia del Partigiano “Moretto”, è stato protagonista della
Resistenza e ha partecipato alla lotta di Liberazione in Piemonte. L’ANPI del Medio Campidano tutta esprime il suo
profondo cordoglio e amarezza per questa triste perdita.
Ricordiamo Brunone, come veniva chiamato confidenzialmente, quando, emozionato, accolse il 19 giugno 2013 la
delegazione ANPI, composta da rappresentanti del Medio
Campidano (provincia dove era nato il 13/02/1921), di Asti
(provincia dove il Partigiano Moretto ha combattuto tra le
fila della 45° Brigata Garibaldi, operante nell’Astigiano: la
sua zona operativa era l’area del Comune di Scurzolengo) e
Lucca (provincia dove risiedeva e ha servito lo Stato tra i
corpi di Polizia sino alla pensione), per la consegna della tessera ad Honorem conferitagli il 25 Aprile 2013, anno delle
celebrazioni per il 70° anniversario dell’inizio della Resistenza, in occasione dell’inaugurazione di Piazza della Resistenza a San Gavino Monreale, Comune che gli ha dato i natali.
Anche se non ci siamo più visti, sentivamo spessissimo Bru-
none amava parlare di difesa della memoria storica, con la
storia della Resistenza e con l’attualità. Così si parlava delle preoccupazioni, legate alla crisi economica e di valori, di
certi fatti che accadono e inducono a pensare che sono sempre in agguato gli attacchi alla Democrazia conquistata con
tanto sacrificio.
È storia della Resistenza lasciarci, proprio, il 28 dicembre,
data che ricorda il sacrificio dei fratelli Cervi, quasi a voler
mantenere questo stretto legame con l’Antifascismo, la Resistenza e la lotta di Liberazione, che hanno caratterizzato la
vita di Bruno Scano, l’ultimo Partigiano Sangavinese. Così,
Lui, ci ha lasciato. Ci mancherà il Partigiano Moretto, ma
siamo consapevoli che quando un Partigiano muore, come
antifascisti, dobbiamo dare il nostro massimo impegno per
mantenere vivi e trasmettere, alle nuove generazioni, i Valori
della Resistenza che sono alla base della nostra Costituzione.
Il funerale si è celebrato il 30 dicembre, nella chiesa parrocchiale di Guamo, frazione di Capannori, zona periferica di
Lucca. Con i figli Vito, Daniela e Luisa e i familiari, si sono
stretti tanti amici. Sulla bara anche il berretto da poliziotto.
La Santa Messa, hanno raccontato i presenti, è stata officiata
con sobria semplicità, nello stile che Brunone avrebbe preferito.
Dopo la cremazione, le ceneri verranno trasferite al cimitero
di Massa Macinaia (altra frazione di Capannori), accanto alla
sua amata moglie Lidia.Un auspicio per il 2015, il 25 Aprile,
per il 70° anniversario della Liberazione, vedere il suo nome
nella targa posta in piazza della Resistenza, insieme a quello
degli altri Partigiani sangavinesi, che così si ritroverebbero
uniti, come lo erano nei Valori in cui credevano e che hanno
contraddistinto le loro vite, quelli della Resistenza.
Il Presidente Comitato Provinciale A.N.P.I.
del Medio Campidano Carlo Marras