Applicata 10

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Applicata 10
Linguistica applicata
a.a. 2015-2016
Federica Da Milano
Tra discorso diretto e indiretto: esempi
dalla narrativa giapponese moderna
I manoscritti del giapponese classico non usavano
punteggiatura né segni di citazione, creando un flusso
ininterrotto Quando gli specialisti di giapponese classico esaminano un
manoscritto senza punteggiatura e devono identificare una
citazione, una conversazione, o un monologo interno, cercano
la particella di citazione to, che funziona come una marca
conclusiva di citazione
Tra discorso diretto e indiretto: esempi
dalla narrativa giapponese moderna
Questo accade anche nei romanzi moderni:
Es. Higan sugi made Natsume Sōseki
... kono okāsan no jitsu no otōto ni ataru otoko da sō de, isshu no
zeitakuya no yō ni Keitarō wa Sunaga kara kiite ita. Gaitō no
urla wa shusu de nakute wa mittomo nakute kirarenai to iri mo
shinai no ni [...] "Nani mo shinaide zeitaku ni asonde irareru
gurai ii koto wa nain dakara, kekkō na go-mibun desu ne" to
Keitarō ga iu no wo hikitoru yō ni...
Tra discorso diretto e indiretto: esempi
dalla narrativa giapponese moderna
Keitaro had heard from Sunaga that this uncle was his
mother's younger brother and, unlike the uncle at
Uchisaiwaicho, was a man of aesthetic tastes. Keitaro still
remembered anecdotes about this uncle's insisting it was a
disgrace to wear an overcoat whose lining was not satin
[...]."His life", Keitaro said, "is really enviable. What's
better than to be able to live in luxury doing nothing?"
Tra discorso diretto e indiretto: esempi
dalla narrativa giapponese moderna
To ittari: riporta qualcosa che Keitaro sente di seconda
mano da un suo amico, che cita parole dello zio
To Keitarō ga iu: citazione diretta parola per parola di
qualcosa che Keitaro dice in una particolare occasione.
Tradurre il Genji
Monogatari
Le difficoltà del tradurre il Genji vanno dall'uso infrequente
dei soggetti, alla vaghezza del lessico, alla lunghezza dei
periodi, alla densità delle allusioni, all'uso degli onorifici Per renderlo più facilmente intellegibile al lettore moderno,
il traduttore è spesso costretto ad aggiungere soggetti dove
non ce ne sono, a sminuzzare i periodi in frasi più brevi, ad
aggiungere note per spiegare le allusioni, alterando
inevitabilmente il testo di partenza e l'esperienza che di
esso ha il lettore
Tradurre il Genji
Monogatari
Inoltre, il Genji contiene anche 795 waka (le poesie
classiche in 31 sillabe nel metro 5-7-5-7-7) e quasi 700
'allusioni' (hikiuta) a poesie del passato
795 waka originali di Murasaki Shikibu
Il giudizio critico su queste poesie non è unanime
Tradurre il Genji
Monogatari
La poesia svolge una funzione estremamente importante
nell'edificio stilistico-narrativo del Genji - rivelare il carattere e l'evoluzione dei personaggi
- contribuire allo sviluppo narrativo
- accentuare alcuni momenti topici della narrazione
Tradurre il Genji
Monogatari
Nel caso degli hikiuta, la poesia da una parte consente ai
personaggi di comunicare in modo indiretto e di fare
sfoggio della propria erudizione; dall'altra essa serve a
Murasaki per collegare le vicende dei suoi personaggi al
repertorio di temi e immagini della tradizione poetica
Tradurre il Genji
Monogatari
Le difficoltà del tradurre la poesia del Genji sono in larga
parte quelle del tradurre il waka in genere. Tutta la poesia
è notoriamente difficile da tradurre (per alcuni addirittura
impossibile) e la poesia giapponese classica non è
un'eccezione. Waley, uno dei pionieri della traduzione dal
giapponese all'inglese, così scrive: "Japanese poetry can
only be rightly enjoyed in the original"
Tradurre il Genji
Monogatari
Waka :5-7-5-7-7 sillabe
Le parole italiane sono in media molto più lunghe di quelle
giapponesi ('albero' e ki, 'ciliegio' e hana, 'autunno' e aki)
Artifici retorici: makurakotoba (parole cuscino): abbellimenti convenzionali
in cinque sillabe, simili all'epiteto omerico (es. ashihiki no
[dove si avanza a fatica] yama )
Tradurre il Genji
Monogatari
Kakekotoba (parole perno): la lingua giapponese è molto
ricca di omofoni
Tradurre il Genji
Monogatari
La lingua di corte è discreta e indiretta
Es. nonostante frequenti questioni legate al tema del
matrimonio, l'opera non ha una singola entrata lessicale
per 'sposare' o 'matrimonio'
Varietà lessicale relativamente bassa
Tradurre il Genji
Monogatari
Il Genji Monogatari ha mostrato una vocazione
multimediale o metaletteraria: fin dall'inizio con ogni
probabilità ha avuto uno stretto rapporto con
l'illustrazione; la pratica di leggere un testo guardando
contemporaneamente i relativi dipinti era
abbondantemente diffusa tra le dame di Corte e la
tendenza ad affiancare ai testi l'illustrazione, da parte di
alcuni fra i primi lettori, iniziò probabilmente quasi
contemporaneamente alla circolazione e alla copiatura del
manoscritto originale
Tradurre il Genji
Monogatari
"Se il debito che la cultura giapponese ha contratto con il
Genji monogatari non si limita al campo letterario ma si estende
vistosamente alle infinite forme di riscrittura in codici
differenti, non fa troppa meraviglia che uno stesso tipo di
libera interpretazione, non solo testuale, ma anche
iconografica emerga quando ci si avvicina a quell'inesauribile e
affascinante mondo che è la sabukaruchā (subcultura), colonna
portante del cool Japan, e uno dei suoi prodotti più
caratterizzanti, il manga" (Orsi) Traduzione intersemiotica e interlinguistica
Tradurre il Genji
Monogatari
Yamato Waki, già famosa come autrice di manga
espressamente rivolti a un pubblico femminile e
adolescente e concentrati su romantiche storie d'amore,
decide di proporre una sua versione dell'opera, a cui darà
come titolo Asaki yume mishi (Non farò sogni effimeri,
1979-1993)
Tradurre il Genji
Monogatari
Offrendo una visione idealizzata della vita di Corte
dell'anno Mille, documentata da un disegno di grande
eleganza che sottolinea la magnificenza dell'abbigliamento
e la raffinatezza degli ambienti e delle suppellettili,
aprendosi in ampie vedute dove il paesaggio si fonde con
le architetture delle dimore aristocratiche, Asaki yume
mishi ha contribuito in modo decisivo all'inserimento del
Genji Monogatari nella cultura di massa
Tradurre il Genji
Monogatari
Le versioni in manga utilizzano come linguaggio il
giapponese moderno, facendo ricorso al corrente
linguaggio relazionale e a quello correlato con il genere,
laddove la differenza tra il linguaggio maschile e quello
femminile viene rispettata; soltanto i messaggi poetici
sono per lo più riprodotti nella lingua classica del testo di
partenza, con l'aggiunta di una versione in lingua moderna
inserita in nota
Tradurre il Genji
Monogatari
Per saperne di più:
La storia di Genji. Tradurre il Genji Monogatari, a cura di
Andrea Maurizi, numero speciale di 'Testo a fronte',
numero 51, II semestre 2014
Shinkyoku, il canto divino
Leggere Dante in Oriente
Studiosi in Giappone che si occupano di Dante:
- Tomotada Iwakura studia il De vulgari eloquentia (Kyoto)
- Kazuaki Ura si occupa delle Rime e della Vita Nova
(Tokyo)
- Michio Fujitani studia la Divina Commedia (Tokyo)
Shinkyoku, il canto divino
Leggere Dante in Oriente
Shinkyoku
Shin è il kanji che sta per kami ('dio', 'divinità')
Kyoku 'musica, melodia', 'canzone'
Dante è noto in Giappone da poco più di un secolo
1914: prima traduzione dell'Inferno (su di essa si basa la prima,
parziale traduzione cinese della prima cantica)
1976: traduzione dell'intera Commedia ad opera di Jugaku Bunsho
Shinkyoku, il canto divino
Leggere Dante in Oriente
Notevole difficoltà, per un giapponese (ma il discorso vale per
ogni orientale), ad 'entrare' entro il sistema dei riferimenti
culturali che sostanziano l'esperienza poetica di Dante: rinvii
alla tradizione biblica, al mondo classico, all'ambiente
medievale, questioni di ordine teologico e scientifico Nella lingua giapponese 'mancano' lessemi che precisamente
corrispondano a termini del tutto consueti nella cultura
occidentale: parole come società, individuo, cittadino, libertà,
natura non hanno riscontri immediati in giapponese
Shinkyoku, il canto divino
Leggere Dante in Oriente
Per non parlare di parole più propriamente connotate dal
punto di vista poetico:
Es. ombra nel valore di 'anima' non può essere reso
immediatamente con il termine giapponese per 'ombra',
cui sono connessi inscindibilmente due valori contrapposti
('ombra' e 'luce')
Es. luci nel valore traslato di 'occhi' è intraducibile
direttamente in giapponese
Shinkyoku, il canto divino
Leggere Dante in Oriente
Il 'senso' della poesia dantesca, scisso nella diade tra interpretazione
letterale (storica) e allegorica (mistica) distingue in quest'ultima due
ulteriori articolazioni: il senso morale e quello anagogico La difficoltà che un orientale ha nel sintonizzarsi su questo sistema di
valori è enorme Manca inoltre a quel lettore la sensibilità per 'leggere' immediatamente
figure retoriche fondate su nozioni fisiche, astronomiche, scientifiche Nella cultura giapponese è impensabile un'esperienza poetica che si
alimenti del pensiero filosofico-scientifico
Shinkyoku, il canto divino
Leggere Dante in Oriente
Diverso è anche ciò che Fujitani chiama lo 'sfondo letterario':
- la maggior parte dell'esperienza letteraria classica giapponese è dedicata
all'amore (romantico) tra un uomo e una donna e i mezzi retorici usati
per rappresentare passioni e sentimenti si basano su un sottile gioco di
rimandi indiretti ove sentimenti ed emozioni sono 'filtrati' attraverso
l'osservazione del paesaggio naturale (es. Genji monogatari)
- il mondo ideologico dantesco è notoriamente permeato, in ogni sua
piega, dal messaggio cristiano: i principi del Cristianesimo rappresentano
le grandi coordinate entro le quali è filtrata, in Dante, la geometrica
visione delle cose di questo e dell'altro mondo
La rana di Bashō
Matsuo Munefusa (Bashō), nato a Ueno nel 1644, muore nel 1694
Bashō 'banano', albero piantato accanto alla capanna in cui
viveva
furu ike ya
kawazu tobikomu
mizu no oto
La rana di Bashō
La rana di Bashō
La rana di Bashō
Furu
'antico'
Ike
'stagno'
Ya
'oh'
Kawazu 'rana'
Tobi
'volare'
Komu
'entrare'
Mizu
'acqua'
No
'di'
Oto
'suono'
'Vecchio stagno - una rana si tuffa un suono d'acqua'
La rana di Bashō
Furuike ya (5 sillabe)
Furu (vecchio e antico) e ike (stagno)
Ya è un kireji, un elemento necessario per ogni haiku:
manciata di sillabe che ha la sola funzione di creare una
pausa, una vaga attesa (da kiru 'tagliare' e ji 'carattere,
lettera')
La rana di Bashō
Kawazu tobikomu (7 sillabe)
Kawazu è il termine arcaico con cui si chiamava la rana (oggi
kaeru), qualsiasi rana, ma in questo caso specifico ci si riferisce
alla raganella
Si tratta della parola stagionale, kigo (primavera)
Tobikomu (tobu 'saltare, volare') e komu (verbo ausiliare con il
significato di 'entrare')
La rana di Bashō
Mizu no oto (5 sillabe)
Mizu acqua
No di
Oto suono
Parole ordinarie
Lo haiku termina con un sostantivo: taigen-dome 'finire con un
sostantivo'
La rana di Bashō
La prima versione italiana risale al 1904 ed è dovuta a
Mario Chini
Il costume di 'riscrivere' i testi poetici oppure volgerli in
prosa, pur ingiustificato da ogni punto di vista, fu
frequente nei primi contatti italiani con la letteratura del
Giappone
La rana di Bashō
Mario Chini, 1904
Campagne basse e nude,
una morta palude
il rumore dell'onda
che -plumf - s'apre, si chiude a ogni rana che affonda
La rana di Bashō
La versione successiva è di Harukichi Shimoi (1921), un
giapponese venuto in Italia come docente all'Istituto
Orientale di Napoli Oh, laghetto antico!...
Ecco!
Un tonfo di rana...
La rana di Bashō
Roland Barthes, L'impero dei segni, 1984
Il vecchio acquitrino
Una rana vi salta dentro
Oh! Il rumore dell'acqua
"Nello haiku la parsimonia di linguaggio è oggetto di una cura che a noi pare
inconcepibile, perché non si tratta tanto di essere concisi (cioè di restringere il significante
senza diminuire l'intensità del significato), quanto, al contrario, di agire sulle radici stesse
del senso, per ottenere che questo senso non si diffonda, non si interiorizzi, non si faccia
implicito, non si liberi, non vaghi nell'infinito della metafora, nella sfera del simbolo. La
brevità dello haiku non è formale: lo haiku non è un pensiero ricco ridotto ad una forma
breve, ma un evento breve che trova tutto a un tratto la sua forma esatta. La parsimonia di
linguaggio è ciò in cui l'occidente si rivela meno abile"
La rana di Bashō
Giangiorgio Pasqualotto, Estetica del vuoto, 1992
"Innanzitutto appare evidente il vuoto come assenza del soggetto: il poeta
qui non c'è; non descrive né, tantomeno, commenta un evento: lo registra
come se la sua mente fosse uno specchio pulito, una pellicola vergine, una
superficie vuota. Forse il fatto che Bashō coltivasse lo zen e studiasse i testi
taoisti non è estraneo alla capacità di fare e usare il vuoto che è all'origine di
questi versi. Tuttavia la presenza e l'efficacia del vuoto non si manifestano
soltanto a livello del soggetto: in realtà l'evento stesso non ha un 'soggetto'
unico, definito, limitato; [...] in realtà si tratta di tre eventi equivalenti e
contemporanei: la presenza del vecchio stagno, il tonfo della rana, il rumore
dell'acqua. Quale dei tre 'agisce' di più? Qual è, tra di essi, il soggetto 'forte',
il centro dell'azione? Nessuno: ciascuno non ha senso senza l'altro"
La rana di Bashō
Giangiorgio Pasqualotto, Yohaku. Forme di ascesi ne''esperienza estetica
orientale, 2001
"Nello haiku i nessi spazio-temporali vengono determinati a livello
strutturale da alcuni espedienti specifici: ma, shoryaku, yohaku [...].
L'effetto ma [intervallo, sia temporale che spaziale] viene prodotto
dalla particella ya collocata alla fine del primo verso: essa non può
venire tradotta con un termine preciso, ma solo indicata con segni
di sospensione, in quanto indica un 'vuoto di tempo', una pausa tra il
primo e il secondo verso, la quale corrisponde, a livello semantico,
allo 'stacco' tra la realtà statica del vecchio stagno e l'evento
improvviso del tonfo della rana"
La rana di Bashō
"Il fattore shoryaku [salto] è intimamente connesso
all'effetto ma, in quanto è costituito dall'omissione, sia
logica che grammaticale, di un nesso esplicito tra 'vecchio
stagno' e 'tonfo di rana'. Infine l'aspetto yohaku
[essenzialità] è costituito dalla riduzione al minimo delle
parole impiegate per rappresentare la realtà 'vecchio
stagno' assieme agli eventi 'tonfo di rana' e 'suono
d'acqua'"
Lo haiku
La natura della lingua giapponese non consente l'accento
tonico o la quantità, cioè due aspetti essenziali della poesia
nelle lingue dell' Occidente, e la rima ugualmente è troppo
frequente in giapponese per essere significativa. Ciò che
ha assunto importanza è il numero delle sillabe. Il metro
della poesia cinese era basato su versi di 4 o 8 sillabe, che
si ripetono, ed è adottato all'inizio dalle composizioni
giapponesi. Poi, per marcare la differenza e assumendo un
ritmo che era decisamente autoctono, emerse l'alternanza
di versi di 5 e7 sillabe
Il kigo
Il kigo è l'indicazione, la connotazione di stagione che
compare sempre negli haiku. Una particolarità atmosferica, un
tipo di seme, un fiore, un astro, un evento naturale oppure una
cerimonia o una festa, richiamano una delle quattro stagioni,
cui si aggiunge in Giappone, come quinto periodo, quello dei
giorni intorno al nuovo anno. Il codice risulta per noi
invisibile, oltre che indecifrabile, ma è immediato in quel tipo
di rapporto con la natura e la durata. Ma lo haiku non è nel
tempo. Di fatto è a temporale; il kigo, riferimento esplicito ad
un elemento temporale, coinvolge un tempo reso discreto e
ciclico

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