reportage congressuale

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reportage congressuale
178
dal 1980
NUMERO
settembre 2016178
DIREZIONE DEL PERSONALE
VI GUIDIAMO SU ROTTE
TRACCIATE DA EFFICIENZA,
PARTNERSHIP E TECNOLOGIA.
IL SENSO DEL LAVORO
È ANCHE QUESTO.
TRIMESTRALE DI INFORMAZIONE E CULTURA DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA PER LA DIREZIONE DEL PERSONALE
LA GRANDE
SCOMMESSA
La sfida del futuro? Una funzione HR in grado di stimolare e motivare
le persone, rimettendo al centro delle organizzazioni il lavoro
{
IL REPORTAGE DEL CONGRESSO AIDP CON I CONTRIBUTI DI GIULIANO POLETTI, GIOVANNI COSTA, STEFANO VENTURI,
PIER LUIGI CELLI, ENZO SPALTRO, GIUSEPPE VARCHETTA, ROBERTO CINGOLANI, MAURIZIO SACCONI, SALVATORE PIRRONE
}
Labour is a hard job
sommario
Reportage del Congresso AIDP 2016
con le fotografie di Saverio Damiani Photographer
02. Scommettiamo su Persone e Lavoro di Isabella Covili Faggioli
14. Intervento del Ministro Giuliano Poletti
16. Nuovo perimetro di gioco per l’HR di Giovanni Costa
18. Intervista a Stefano Venturi La terza rivoluzione digitale di Luca Villani
21. Liliana Gorla a colloquio con Maurizio Sacconi Dialoghi istituzionali
sulle relazioni industriali a cura della Redazione
24. La certificazione delle competenze HR il giorno dopo di Luigi Guarise
27. Disruptive innovation, crescita e lavoro di Umberto Bertelè
30. A colloquio con Roberto Cingolani Istituto Italiano di Tecnologia
di Andrea Del Chicca
34. Il futuro della professione HR di Filippo Abramo
36. Interventi di Enzo Spaltro, Pier Luigi Celli e Giuseppe Varchetta
Dedicato ai Responsabili delle Relazioni Umane a cura della Redazione
41. AIDP Award 2016 a cura di Sonia Rausa
46. Gestire il cambiamento senza lasciare indietro nessuno di Enrico Sassoon
48. Il lavoro contrattato di Massimo Mascini
51. Politiche attive del lavoro: ne parliamo con Salvatore Pirrone a cura della Redazione
56. Il lavoro digitale di Raffaele De Luca Tamajo
59. Flessibilità, employability e generazioni a confronto di Francesco Amendolito
62. Scommettiamo su Persone e Lavoro per il cambiamento della PA di Donato Madaro
Idee
66. Coaching: come trasformare individui e organizzazioni di Giuseppe Varchetta
69. Per le classi dirigenti di Luciano Martinoli
70. Dentro la formazione. Etnografia, pratiche, apprendimento di Valentina Vinotti
72. Sapere cosa si vuole di Marco Lombardi
AIDPnews
73. Un nuovo servizio per i Soci. AIDP ORE 9.30 Rassegna stampa e web
74. I Pomeriggi del Lavoro di David Trotti
78. SAVE THE DATE Convegno “WelFare che fare”
79. Passaggi di testimone dai Gruppi regionali AIDP
Direzione
del
Personale
Direttore Responsabile Maria Emanuela Salati - Direttore Scientifico Paolo Iacci - Coordinamento Redazionale Sonia Rausa
Rubrica Mondo Legale a cura di Paola De Gori - Comitato di Redazione Filippo Abramo • Domenico Butera • Andrea Camera • Lara Carrese • Enrico Cazzulani •
Isabella Covili Faggioli • Paola De Gori • Massimo Ferrario • Julio Gonzalez • Marco Lombardi • Ernesto Longo • Ezio Nardini • Marina Pastorelli • Pietro Santi
• Massimiliano Santoro • Gilda Serafini • Giancarlo Traini • Claudio Tronconi • Giuseppe Varchetta • Luca Villani • Cristina Volpi • Elio Vera • Danilo Villa
Proprietà AIDP Registrazione Tribunale di Milano n. 386 del 17 ottobre 1981 - Periodicità trimestrale
Direzione Redazione Pubblicità Via Cornalia, 26 - 20124 Milano tel. 02 6709558 - 02 67071293 - email [email protected]
Progetto grafico e impaginazione Pub - The Van Group - www.thevan.it - Stampa Rubbettino print - Soveria Mannelli (Cz)
ABBONAMENTI
Rinnovo Italia 70 euro - Estero 90 euro - Nuova sottoscrizione Italia 80 euro - Estero 100 euro
Arretrati (a copia) Italia 20 Euro - Estero 30 Euro - Gratuita per i Soci AIDP
CHIUSO IN REDAZIONE A LUGLIO 2016
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Isabella Covili Faggioli Presidente Nazionale AIDP e Vittorio Bonerba Presidente AIDP Puglia.
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SCOMMETTIAMO SU
PERSONE E LAVORO
Emozioni, immagini, commenti e approfondimenti
dal 45° Congresso nazionale AIDP
I
di Isabella Covili Faggioli
Presidente Nazionale AIDP
l Congresso di quest’anno ha un titolo già
molto impegnativo: scommettere significa
impegnarsi e credere in quello per cui si
scommette.
Un titolo semplice e diretto, che ci è
piaciuto subito perché dà il senso di quello
che intendiamo come unica strada possibile per lo
sviluppo del nostro Paese. Le persone e il lavoro
devono essere rimesse al centro, sostenendo l’economia reale contro lo strapotere della finanza
che negli ultimi anni l’ha fatta da padrone.
E i manager e i professionisti HR, hanno una
grande sfida davanti a sé perché sono quelli che
possono invertire la rotta e dimostrare, anche
al top management, che fare il bene delle persone non è inconciliabile con la profittabilità delle
aziende e con il risanamento dell’economia. Anzi.
Ma occorre coraggio per scommettere su questi
temi. E occorre coraggio tutti i giorni per mettere
in pratica questa scommessa, per non dimenticare mai che il benessere delle persone passa
attraverso la loro possibilità e capacità di
esprimersi. E che se lo fanno si sentono parte di
un progetto e danno quel valore aggiunto di cui
tanto hanno bisogno le aziende per sopravvivere
alla competizione mondiale. Occorre coraggio e
responsabilità per uscire dai menù ufficiali dei
saperi e per andare a scoprire come le persone
possono dare il massimo.
Il 5% delle persone sono fenomeni e se la caveranno da soli. Il 5% sono non recuperabili. Ma i
risultati del 90% dipendono da chi ha il compito ➤
Nella pagina a fianco una
suggestiva vista della Villa
Romanazzi Carducci, sede del
45° Congresso nazionale AIDP.
Qui di fianco l’apertura del
Congresso con Isabella Covili
Faggioli Presidente Nazionale
AIDP e Vittorio Bonerba
Presidente AIDP Puglia.
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Vittorio Bonerba
Presidente AIDP Puglia
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Ricordo i tanti dubbi e le preoccupazioni che
mi hanno accompagnato negli ultimi giorni
prima del Congresso che si sono immediatamente dissolti quando sono arrivato venerdì mattina a Villa Romanazzi ed ho visto per
prima cosa il desk della Segreteria nazionale
con le nostre fantastiche “3 S” (Sonia Rausa,
Sabrina Benedetto Mas e Susanna Lucarelli)
che dispensavano informazioni e consigli a
centinaia di convegnisti; poi ho percorso il
tragitto del parco fino alla villa antica tra gli
alberi e gli stand degli sponsor (che tante volte
avevo fatto nei mesi precedenti....) salutando
colleghi ed amici che venivano da ogni parte
d’Italia. Ciò che non scorderò mai però è stata
la profonda emozione ed anche un pizzico di
paura che ho provato salendo sul palco della
sala Europa insieme ad Isabella per aprire, in
qualità di Presidente del gruppo ospitante, il
45° Congresso, a distanza di dieci anni esatti
dall’ultimo svoltosi in terra di Puglia, quando ero
un giovane neo associato alle prime armi! Che
dire poi della location, del buffet di gala e di Sala
Zonno dove abbiamo fatto festa fino a tarda
notte ascoltando l’infrangersi delle onde del
mare sugli scogli e respirando il profumo della
salsedine... Un grazie ancora una volta va
a tutti i partecipanti, al Comitato Organizzativo
e al mio splendido gruppo regionale per
il successo di questo Congresso!
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1. Maria Cristina Origlia Direttore Editoriale L’Impresa
Giornalista Il Sole 24 Ore. 2. Giuliano Poletti Ministro
del Lavoro e delle Politiche Sociali. 3. Giovanni
Costa Università di Padova, Management Board Banca
Intesa Sanpaolo 4. Stefano Venturi AD e Corporate
VP Gruppo Hewlett Packard Enterprise in Italia, e Luca
Villani Giornalista economico The Van 5. Nicola
Costantino Ordinario Ingegneria Economico-gestionale
Politecnico di Bari.
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6. Giancarlo Tanucci Ordinario
Psicologia del Lavoro e delle
Organizzazioni Università di Bari
7. Enrico Cazzulani Segretario
Generale AIDP 8. Even Bolstad
Managing Director HR Norge 9.
Umberto Bertelè Professore Emerito di
Strategia Politecnico di Milano 10.
Liliana Gorla Directrice des Ressources
Humaines France Siemens e Maurizio
Sacconi Presidente Commissione Lavoro
Senato della Repubblica 11. Severino
Salvemini Ordinario Organizzazione
Aziendale Università Bocconi
12. Gruppo AIDP Liguria:
Congresso AIDP 2017.
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di valorizzarli: il 90% darà il massimo se ci sono
le condizioni perché lo dia. Dipende dalla famiglia professionale che Voi tutti rappresentate, con
la consapevolezza che la vitalità di un sistema
deriva molto poco dalle regole e dalle procedure
ma molto dalla motivazione delle persone, dalla
creazione di un ambiente in cui rendere libere
e demanding le loro teste, dove gli stimoli e la
curiosità hanno diritto di cittadinanza.
Chi aiuta gli altri ad avere successo ha successo e chi sta bene produce ricchezza per gli
altri. Dobbiamo avere un orizzonte temporale
ampio e guardare agli effetti “lunghi” di tutte le
nostre azioni.
Per questo porta più risultati il premio della
punizione, il perdono della vendetta, la negoziazione della contrattazione.
Prendersi cura delle persone per prendersi cura
delle aziende. È un mestiere difficile in cui non si
può mai abbassare la guardia perché le persone
osservano come ci si muove, non solo quello che si
dichiara. Il lavoro per le persone è importante, la
soddisfazione e la frustrazione del lavoro si porta
a casa e fa la differenza anche nella vita privata.
Per questo occorre saper ascoltare le persone e
i loro bisogni, ed anche amarle. D’altronde è il
momento giusto per fare queste riflessioni, per
un’inversione di paradigma che ci consenta di
uscire dall’epoca dei guerrieri per entrare nell’epoca delle connessioni. Il contagio positivo ➤
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1. Andrea Del Chicca Direttore Risorse
Umane, Organizzazione, Relazioni Esterne
Ansaldo Energia e Roberto Cingolani
Direttore Scientifico dell’Istituto Italiano
di Tecnologia 2. Pier Luigi Celli Senior
Advisor AD Poste Italiane, Enzo Spaltro
Presidente Fondazione Enzo Spaltro
e Responsabile Scientifico UP
e Giuseppe Varchetta Psicosocioanalista,
Past President Ariele con Paolo Iacci
Presidente AIDP Promotion 3. Gustavo
Bracco Senior Advisor HR Pirelli, Stefano
Franchi DG Federmeccanica, Paolo Pirani
Segretario Generale UILTEC – UIL, Cesare
Stefano Ranieri Direttore Risorse Umane,
Organizzazione e Sistemi ILVA con
Massimo Mascini Direttore della rivista on
line Il diario del Lavoro 4. Salvatore
Pirrone Direttore Generale Ministero
del Lavoro 5. Gruppo AIDP Puglia.
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che sprigionano le testimonianze dei tanti
protagonisti che hanno già intrapreso questa
strada e che abbiamo portato al Congresso ci
può aiutare e incoraggiare.
Ed è facile capire come finalmente il Direttore
del Personale è l’erede naturale del CEO perché
sa gestire il capitale dell’azienda.
Anche questa è una scommessa.
Mi piace pensare che la funzione del personale
prende corpo, si espande e diventa strategica.
Lo so che è una visione alta ma il processo di
alimentazione delle qualità delle persone è inevitabile per la vita dell’azienda. L’alternativa è
che queste qualità vengano espresse all’esterno.
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Ma che spreco!
Non è che non sappia che la vita di tutti i
giorni in azienda è complicata, ma occorre credere e dimostrare che può anche essere diversa.
Il lavoro deve essere un bel lavoro non solo
un buon lavoro.
Per questo scommettiamo.
E lo abbiamo fatto a Bari, in tanti, perché insieme le sfide si vincono meglio.
E se continuiamo ad essere tanti ne vinceremo
ancora.
Anche l’anno prossimo, sul mare, ripartendo
da Genova. n
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IL CONGRESSO
“Scommettiamo su Persone e Lavoro!”: con questo
titolo intendiamo indicare la sola possibile via per la
ripresa dello sviluppo del Paese. Crediamo infatti
che la crisi si sia evidenziata su tre livelli paralleli e
intersecantisi tra loro.
• Sul versante macroeconomico la finanza speculativa ha preso il sopravvento sull’economia reale. Negli ultimi 15 anni il rapporto tra l’ammontare
complessivo dei prodotti finanziari c.d. derivati e il
PIL mondiale si è quasi quadruplicato, passando da
2,6 a 9,6. Contemporaneamente a tutt’oggi il valore
dei derivati è pari a circa 10 volte il PIL mondiale.
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6. Gabriele Gabrielli Presidente Commissione AIDP AWARD e
Mariagrazia Bonzagni Capo Area Personale e Organizzazione Comune
di Bologna 7. Sara Salvarani Consulente formatrice Gruppo LEN
8. Clemente Perrone VP Head of Organization & Transformation
Dept. Sirti, Laura Bruno Direttore HR Italia Malta Sanofi e Alberto
Fusi Chief Human Capital Officer ERG 9. Ilaria Lagona HR
Business Partner 3M Italia, Marta Signore Direttore Risorse Umane
e Organizzazione KOELLIKER, Rachele Monaco HR Manager PURO
10. Bernardo Quaranta Responsabile Personale e Organizzazione
Enel Italia, Laura Bruno Direttore HR Italia Malta Sanofi, Francesca
Pasinelli DG Fondazione Telethon e Mauro Sirani Fornasini AD Philip
Morris Manufacturing & Technology Bologna con Enrico Sassoon
Direttore Responsabile Harvard Business Review 11. Isabella Covili
Faggioli Presidente Nazionale AIDP e Vito Carnimeo Congress Officer.
• Ma la crisi non può essere compresa solo su
questo versante, soprattutto nel nostro Paese. Molte imprese italiane hanno per lo più modalità di
funzionamento inadeguate alle nuove contingenze
di mercato: piccole e poco patrimonializzate, seguono strategie per lo più di breve periodo, con
un mercato di riferimento non internazionale. Non
puntano su competenze distintive e infatti gli investimenti in formazione sono sempre più esigui. Il
sindacato ha perso potere e si consuma su battaglie
di retroguardia e in molti casi i lavoratori non hanno
rappresentanze credibili e in grado di affrontare i
problemi gravi che la crisi impone.
• Vi è infine un terzo livello: quello individuale. Le
persone sembrano oggi smarrite, ripiegate su se
stesse, senza punti di riferimento credibili: non a
caso il Papa ha parlato di un’inedita “crisi antropologica”, ad un tempo causa ed effetto della crisi che
si è manifestata sugli altri due piani che abbiamo
ricordato. Anche nelle imprese si avverte un clima
difficile, di mancanza di fiducia, spesso di preoccupazione generalizzata.
Per invertire questa situazione sempre più complessa e difficile occorre rimettere al centro della
nostra azione il lavoro e le persone. Vi può essere
convergenza tra i bisogni delle persone, gli obiettivi
delle imprese e il risanamento delle economie.
Occorre però sostenere l’economia reale contro
lo strapotere della finanza speculativa e quindi porre
al centro della nostra azione il valore del lavoro e
delle persone, come un tutt’uno inscindibile.
Per questo Scommettiamo su Persone e Lavoro.
Gustavo Bracco e Paolo Iacci
Comitato Scientifico Congresso AIDP 2016
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550
partner, sponsor
e media partner
partecipanti
12
60
protagonisti
di eccezione
200
articoli stampa e passaggi
radio-tv prima, durante
e post evento
11
studenti del Master in
gestione delle risorse
umane dell’Università
LUM Jean Monnet di Bari
attivi nell’organizzazione
(giovani AIDP crescono!)
1
tappe del roadshow
organizzate dai gruppi AIDP
diretta Twitter: in 254 hanno
condiviso il congresso con
5.030 tweet letti da più di
480.000 persone!
Organizzare un Congresso AIDP è un’esperienza unica e straordinaria.
Si inizia di buona lena un anno prima, convincendosi di prevedere e organizzare tutto,
per scoprire, gli ultimi giorni, l’ossessione dietro ogni dettaglio, primo fra tutti, il meteo
(pioverà o ci sarà il sole? E il vento?). Perché tutto sarebbe stato diverso, senza il sole…
e nessun piano B, per quanto ben congeniato, avrebbe regalato tanto.
L’emozione del “contatore dei partecipanti” che a un mese dall’evento ha cominciato a
girare a tutta forza è stata da cardiopalma. La partecipazione così massiccia e il desiderio
di esserci da parte dei colleghi di tutta Italia così forte che per evitare di non accoglierli
abbiamo trasformato la tradizionale cena di gala in un più moderno buffet di gala, con
tanto di musiche e danze. Sperimentazione riuscita!
Porto dentro di me alcune immagini indelebili: centinaia di congressisti, allegri, fra le
aiuole soleggiate, scambiarsi abbracci e saluti, commenti sulle relazioni, ipotesi di lavoro;
scatenati balli notturni, davanti a un luccicante lungomare di Bari; e soprattutto la commovente standing ovation ai tre “grandi maestri” (Celli, Spaltro e Varchetta) dai quali tutti
abbiamo imparato qualcosa e verso cui ci sentiamo in debito di riconoscenza. Oltre al
loro spessore culturale e professionale, la dimensione etica ed emotiva dei loro interventi
ha saputo parlare al cuore!
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Vito Carnimeo
Congress Officer
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Flessibilità, employability
e generazioni a confronto
Andrea Orlandini Presidente AIDP Lombardia, Fiorella Ferri
Responsabile delle Relazioni Industriali Banca MPS, Francesco
Amendolito Founding & Managing Partner Amendolito &
Associati, Simonetta Cavasin AD OD&M Consulting, Francesca
Gaspardo Group HRD Pianoforte Holding e Simona Franzetti
National Sales Director Gi Group.
Smart working, sharing economy
e nuove forme di organizzazione
Giuditta Alessandrini Ordinario Pedagogia Sociale e del Lavoro Università
Roma TRE, Paolo Vasques Global Director for Industrial Relations
Benetton Group, Domenico Favuzzi Chairman and CEO Exprivia, Rossella
Seragnoli HR Manager Crown Aerosols Italia, Roberto Mattio Direttore
Risorse Umane e Organizzazione Pininfarina e Raffaele De Luca Tamajo
Senior Partner Toffoletto De Luca Tamajo e Soci.
Analogico e digitale nella gestione HR
Luca Vignaga HR Director Gruppo Marzotto, Emilio
Orlandini Direttore Generale Allos, Nicola Rossi
Country Manager Monster Italia Pietro Iurato
Human Resources Director SAP Italia e Francesco
Basile Direttore Risorse Umane Bosch Bari.
Innovazione e integrità nella pubblica amministrazione
e nelle aziende a capitale pubblico
Luigi Maria Vignali Dirigente Diplomatico, Coordinatore nazionale AIDPpa,
Francesco Paolo Romanelli Procuratore regionale Corte dei Conti Puglia, Pietro
Scrimieri Direttore Servizi Centrali Risorse Umane, Organizzazione e Lavoro
Acquedotto Pugliese, Antonino Costantino Dirigente Servizio trattamento giuridico
del personale Presidenza del Consiglio dei Ministri, Carlo Mochi Sismondi
Presidente FPA e Gianfranco Grandaliano Vice Presidente Nazionale UTILITALIA
Associazione delle imprese idriche energetiche e ambientali.
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Quest’anno hanno scelto di scommettere su Persone
e Lavoro, insieme a noi, Aziende che rappresentano
l’eccellenza del mercato HR. Ne siamo orgogliosi
PARTNER
SPONSOR
C100/M65/Y10/K45
R0/G56/B102
C0/M0/Y0/K85
R75/G75/B77
MEDIA PARTNER
CON IL PATROCINIO DI
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INTERVENTO
DEL MINISTRO POLETTI
In questo e nei prossimi articoli riprendiamo
e approfondiamo alcuni temi proposti dai protagonisti di
Scommettiamo su Persone e Lavoro. Iniziamo con le parole
con cui il Ministro Poletti ha avviato i lavori congressuali
S
commettere su Persone e Lavoro è di fatto il tema sul quale oggi come
Governo stiamo lavorando in maniera molto intensa.
È del tutto evidente che il lavoro non è soltanto reddito, ma è l’elemento
costitutivo dell’identità di una persona, della sua dignità, è la sede e l’opportunità
per esprimersi pienamente. Dobbiamo quindi lavorare tutti insieme per migliorare
le opportunità e le condizioni nelle quali le persone possano esprimere se stesse attraverso il
lavoro, in un contesto caratterizzato da grande
cambiamento e trasformazione.
Le leggi possono fare molto ma non producono gli effetti auspicati se non sono in grado
di stimolare una riflessione e una capacità di
analisi e valutazione di ciò che sta accadendo, di
muovere sul piano culturale. Dobbiamo mettere in relazione il tema dell’innovazione con
il cambiamento delle dinamiche personali e
sociali e con il sistema di relazione tra lavoro e
impresa. Abbiamo bisogno di riflettere insieme su
come questi cambiamenti impattano sulla realtà
e su come possiamo agire perché diano il meglio
di sé. Se, ad esempio, non si colgono i nuovi posti
di lavoro che l’innovazione produce, si finisce per
pagare solo il dazio delle grandi trasformazioni in
atto, assistendo alla scomparsa di vecchi lavori,
bruciati dall’innovazione stessa.
I cambiamenti tecnologici vanno a una velocità
clamorosamente superiore alla nostra capacità
di gestire i cambiamenti sociali e di cambiare le
regole della nostra vita.
Mentre appare sul nostro tablet un’applicazione che inventa un nuovo mestiere (o un nuovo
servizio)... pensiamo a quanto tempo serve per
cambiare un contratto di lavoro? Se ci mettiamo
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3 anni a scrivere una norma, quando sarà pronta,
quel tipo di mestiere (o servizio) potrebbe già
essere superato.
La nostra scelta come Governo, è di accompagnare questo processo nel migliore dei modi
possibili. Investendo su competenze, sapere,
ricerca, formazione e innovazione. Se vogliamo
evitare il rischio di finire tra le economie che
soffrono di più.
• Tutto il lavoro che abbiamo fatto sul tema alternanza scuola-lavoro e la riforma profonda
dell’apprendistato, corrisponde a questa esigenza. Anche se scontiamo un gravissimo ritardo,
oggi la legge c’è: la possibilità per i nostri studenti
di fare esperienze di alternanza scuola-lavoro è
oggi un obbligo di legge. Ma la legge da sola non
basta, per ottenere i risultati desiderati occorre
che le scuole si organizzino, che le imprese si mettano nelle condizioni di accogliere i giovani con
laboratori dedicati, tutor, progetti e programmi
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Giuliano Poletti
Ministro del Lavoro
e delle Politiche Sociali
Imola, 1958. Perito agrario, in gioventù esercita
l’attività di tecnico agricolo. Nel 1975 è consigliere
comunale a Imola. Poi assessore alle attività produttive
e consigliere provinciale a Bologna.
All’impegno politico-amministrativo affianca quello
professionale, esercitato in qualità di presidente
dell’ESAVE (Studi e promozione della viticoltura e
dell’enologia per l’Emilia Romagna). Eletto presidente
della Legacoop di Imola nel 1989, lascia l’incarico nel
2000 per assumere quello di Presidente Regionale
Legacoop e Vicepresidente Nazionale.
Dal 1992 al 2000 è, inoltre, presidente di EFESO,
l’Ente di Formazione della Legacoop Emilia Romagna.
Prima di assumere l’incarico di Ministro del Lavoro
e delle Politiche Sociali (22 febbraio 2014) è stato
Presidente di Legacoop Nazionale, Presidente di
Coopfond e Presidente dell’Alleanza delle Cooperative,
il coordinamento unitario nazionale costituito dalle
organizzazioni di rappresentanza della cooperazione
AGCI, Confcooperative e Legacoop.
e che le istituzioni pubbliche cerchino di non far
pesare questi costi in maniera eccessiva sull’impresa piuttosto che sull’organizzazione scolastica.
• In questi due anni ci siamo dedicati alle politiche del lavoro. E penso che si possa dare un
giudizio positivo della riforma del mercato del
lavoro soprattutto in vista del cambiamento culturale necessario sopra descritto. Vogliamo che il
lavoro stabile diventi e torni ad essere la forma
normale di assunzione. È chiaro che per ottenere
questo dobbiamo garantire un costo del lavoro
a tempo indeterminato significativamente più
basso del costo delle altre tipologie contrattuali,
insieme a buone regole e flessibilità. Dovremo
quindi lavorare a una riduzione del costo del
lavoro, che riguarda il cuneo fiscale e il cuneo
previdenziale.
Ogni tanto sono criticato come Ministro perché
mi occupo “un po’ troppo delle imprese”, ma penso
che l’unica fonte da cui possano arrivare posti di
lavoro siano le imprese appunto, quindi mi pare
di fare esattamente il mio mestiere.
Lavoro perché cresca una cultura positiva
dell’impresa nel nostro Paese. Voglio bene alle
imprese che rispettano le leggi. Abbiamo bisogno
che il lavoro, oltre che legale, abbia tutta la sua
dignità e lavoriamo perché questo accada.
Abbiamo molti stimoli davanti.
• Stiamo lavorando sui Centri per l’impiego.
Siamo in una fase molto difficile perché prevede
un passaggio costituzionale, da gestire in collaborazione con le Regione e con le istituzioni
competenti in materia.
• In Parlamento abbiamo in discussione una proposta di legge sul lavoro agile, mentre la legge di
stabilità affronta problematiche per promuovere
i contratti aziendali e le politiche di welfare.
Gli stimoli non mancano, le occasioni per un confronto su questi temi coi Direttori del Personale,
altrettanto. n
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reportagedelcongresso
GIOVANNI COSTA
NUOVO PERIMETRO
DI GIOCO PER L’HR
Il contributo dell’HR Manager al vantaggio competitivo
richiede che il ruolo di business partner di Ulrich superi la fase
dell’enunciazione retorica e sia riempito di contenuti in grado
di saldare la business idea con una sostenibile people idea.
Nella sua relazione introduttiva al Congresso Giovanni Costa
propone alcuni temi di frontiera da ripensare radicalmente
Demografia aziendale
Siamo abituati a considerare la demografia aziendale
chiusa entro i confini organizzativi in termini di
equilibrio tra generi, integrazione delle minoranze, conflitti generazionali, famiglie professionali.
Mentre è necessario un confronto con la demografia
più generale con le sue stratificazioni reddituali,
comportamentali, identitarie, etniche e così via.
Per gestire questo confronto il professionista
HR deve allargare il perimetro della demografia
aziendale fino a ricomprendere i vertici aziendali e l’esterno. Finora l’imprenditore si è considerato
al di sopra delle attenzioni dell’HR manager, salvo
invocarne l’intervento in sede di passaggio generazionale. Lo stesso discorso vale per i CdA considerati,
soprattutto nelle medie aziende familiari, organi
di rappresentanza piuttosto che organi di governo.
Solo di recente è stata dedicata attenzione alla demografia del CdA, considerata fonte di stimoli che
si propagano su tutta l’organizzazione. Essere HR
manager come business partner significa occuparsi
di queste dinamiche demografiche.
Performance management
Grande attenzione è stata dedicata alle misure
istituzionali e organizzative volte ad aumentare
la produttività del lavoro attraverso una maggiore flessibilità. I miglioramenti di efficienza che ne
sono derivati sono dovuti a un aumento dell’intensità di lavoro il cui impatto sulla produttività
resta comunque limitato e non idoneo a competere
con i Paesi a minor costo del lavoro. Un vantaggio
competitivo sostenibile passa per un aumento
della forza produttiva del lavoro che è funzione
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della qualità del capitale umano e del contesto
tecnologico e organizzativo.
Affidare la ripresa dell’occupazione e della produttività alle sole riforme del mercato del lavoro o
alle pratiche aziendali di performance management
è del tutto insufficiente se non si accompagna il processo con investimenti volti a creare competitività
strutturale. I tradizionali strumenti di performance
management (valutazione, retribuzione variabile
e così via) possono, quando funzionano, influire
sull’intensità del lavoro ma non sulla sua forza
produttiva. Si apre un orizzonte sterminato per
chi voglia innovare il performance management
agendo sulle variabili strutturali.
Tecnologia
La tecnologia appartiene senz’altro alla categoria
delle variabili strutturali. Per capire il contributo
della tecnologia è utile distinguere tra le attività
di trasformazione e di interazione transazionale
e le attività di interazione tacita (Polanyi, Nonaka,
Takeuchi). Le prime sono facilmente automatizzabili
e standardizzabili attraverso dispositivi sui quali
le persone non presentano alcun vantaggio competitivo. Le seconde, più complesse, producono più
valore e richiedono persone in grado di affrontare
situazioni ambigue nelle quali non possono essere
usate procedure o algoritmi, ma occorre esercitare
discrezionalità e disporre di capacità di giudizio. Il
massimo dell’interazione tacita si ha nei servizi ad
alto impatto esperienziale. È qui che le persone presentano un vantaggio competitivo sulle macchine.
Nella struttura occupazionale delle nostre
aziende si nota ancora una prevalenza delle
Giovanni Costa
Professore emerito di Strategia
d’impresa e Organizzazione
aziendale Università di Padova,
membro del Management Board
Intesa Sanpaolo
Ha insegnato a Ca’Foscari, alla SDA Bocconi,
al Cuoa, all’Essec di Parigi. Ha svolto attività
di consulenza direzionale partecipando
a vari programmi di sviluppo delle risorse
umane. Autore di numerosi volumi e saggi
di management, è membro del Comitato
scientifico di Enter - Centro di Ricerca
Imprenditorialità e Imprenditori dell’Università
Bocconi e di varie riviste manageriali tra cui
The Journal of Management and Governance.
È socio dell’Accademia Italiana di Economia
aziendale, dell’Accademia Galileiana
e dell’Accademia Olimpica.
“La business idea vince se
c’è una people idea alla base”
attività di trasformazione. Non conviene però
aspettare passivamente che la manifattura 4.0
lasci spazio a quelle di interazione tacita per
cambiare fin d’ora radicalmente i percorsi formativi di inserimento, di sviluppo e di mobilità
interna. Vivere il ruolo di HR manager come business partner significa diventare soggetti attivi
di questo cambiamento.
Reshoring
La manifattura torna al centro ma per valorizzarla bisogna superare i concetti di delocalizzazione,
offshoring, reshoring, modi vecchi di chiamare le
dinamiche produttive internazionali. Oggi la competizione si vince gestendo filiere globali e occupandone le fasi più ricche. È difficile che una
filiera importante in termini economici sia contenuta
in un territorio ristretto. Stare su filiere lunghe,
magari transnazionali, significa attivare processi di
“multilocalizzazione produttiva” dove il vero problema è la capacità dell’impresa di muoversi con
grande rapidità e flessibilità lungo tutta la filiera,
controllandone soprattutto gli snodi strategici che
sono i brand e la distribuzione. L’HR manager come
business partner deve orientare queste scelte.
Welfare aziendale
Con questa espressione si ricomprendono sia pratiche aziendali e organizzative che tengono effettivamente conto del benessere delle persone, in
senso ampio, sia pratiche aziendali che sembrano
forme di elusione contributiva e fiscale, escogitate
con la finalità apparente di allontanare un ineluttabile processo di disintermediazione. Finalità che
sono spiegate, ma non per questo giustificate, dal
peso insopportabile assunto dai prelievi pubblici.
Poiché urge alleggerire, in generale, questi prelievi
e semplificare l’amministrazione della retribuzione
e delle relazioni industriali, i professionisti delle
risorse umane non dovrebbero avallare operazioni
ambigue e poco trasparenti. Sarebbe bello sapere
che fine faranno le migliaia di contratti depositati
per accedere ai benefici fiscali e contributivi del
welfare aziendale. n
17
reportagedelcongresso
INTERVISTA A STEFANO VENTURI
LA TERZA
RIVOLUZIONE DIGITALE
«Internet of Things, Big Data, Cloud: segnatevi queste tre
cose». Stefano Venturi, Corporate VP e Amministratore
Delegato Gruppo Hewlett Packard Enterprise in Italia, spinge
lo sguardo su un futuro che è già cominciato. «Miliardi di dati,
come una telemetria del pianeta: vince chi li sa usare».
E l’Italia? Non è esclusa dalla partita, anzi
di Luca Villani
I
«
Luca Villani
Partner e Managing
Director The Van
{
[email protected]
l cambiamento tecnologico che abbiamo vissuto negli ultimi quindici anni,
da quando Internet è entrato nelle nostre vite, è inferiore a quello che ci
aspetta ora. Preparatevi, prepariamoci». Stefano Venturi, Corporate VP e
Amministratore Delegato del gruppo Hewlett Packard Enterprise Italia, non è uno
che si tira indietro. Per questo, credo, la conversazione che ho avuto il piacere di
intrattenere con lui sul palco del 45° Congresso
nazionale AIDP ha suscitato grande apprezzamento. Abbiamo diviso il nostro intervento, in
apertura della prima giornata, in due parti: la
prima dedicata allo scenario del cambiamento
tecnologico e al suo impatto sulle nostre vite, la
seconda dedicata a quello che intendiamo per
cultura aziendale e a come un corpus di valori e
di idee possa aiutare chi deve prendere decisioni
in azienda.
Stefano, vorrei sfruttare la tua esperienza nel campo della tecnologia
per provare a interpretare il contesto globale in cui ci troviamo a
vivere e lavorare. Segnalo inoltre,
per aggiungere un po’ di pepe alla
questione, che proprio stamattina
Foxconn, la più grande azienda del
mondo, ha annunciato che sostituirà 60 mila addetti con altrettanti
18
robot, automi. Allora, in che mondo
ci accingiamo a vivere?
«Hai ragione, è un tema importantissimo per le
nostre vite: stiamo parlando della terza grande
rivoluzione tecnologica del nostro tempo. La prima, a metà degli anni Novanta, è stata l’avvento
del World Wide Web – chiamato erroneamente
Internet – che posso definire il primo grande
fenomeno di disintermediazione. A essere stato disintermediato è stato il nostro accesso alle
informazioni. Sono nati tanti business e tante
nuove modalità di raggiungere i clienti, abbiamo
avuto accesso a una mole di informazioni mai
vista prima, imparato a usare i motori di ricer-
XCXCXCXCXC
Sguardo in avanti Stefano Venturi, a colloquio con Luca Villani, delinea il mondo del lavoro del prossimo futuro nel corso del Congresso AIDP di Bari.
ca. Abbiamo fatto appena in tempo ad abituarci
quando, a metà del decennio scorso, è arrivata la
seconda rivoluzione digitale: il cosiddetto web 2.0.
In questo caso la disintermediazione ha riguardato
i rapporti tra le persone: abbiamo cominciato a
produrre e scambiarci informazioni, e le aziende
sono state spinte a parlare con i propri dipendenti
in maniera partecipativa, abbattendo lo steccato
tra comunicazione interna ed esterna».
E con l’avvento di quella che tu
chiami terza rivoluzione, cosa ci
aspetta?
«Un cambio di paradigma incredibilmente più potente dei precedenti. Assisteremo alla convergenza
di tre elementi. Segnatevi queste tre espressioni:
Internet of Things, Big Data e Cloud. Il primo,
l’Internet of Things, è già in atto: tutti i sensori
oggi sono collegati in rete, e anche le persone
sono dei sensori. Quando giriamo con i nostri
smartphone c’è chi studia – in modo aggregato
– i nostri flussi, in una specie di telemetria del
pianeta fatta di miliardi di dati collegati. Il punto
è: come li usiamo? Per questo qualcuno ha inventato la seconda forza, i software di analisi di Big
Data, algoritmi che leggono in tempo reale questi
eventi e ne traggono dei significati. Chi sa padroneggiare questi algoritmi non è l’informatico, ma
il data scientist, una figura ancora relativamente
rara ma dalle potenzialità immense: è colui che
conosce bene quel settore di business e sa come
interpretare quella miriade di informazioni, combinandola con il suo know-how. La terza forza che
fa detonare il tutto si chiama Cloud: parliamo della
disponibilità di capacità elaborativa idealmente
illimitata e a costi accessibili per tutti, grazie alle
modalità di utilizzo as a service».
In questa fase, insomma, a essere
disintermediato è l’accesso a informazioni che prima non potevamo
avere: la vera sfida è saperle usare.
«Queste tre forze domineranno la disruption che
stiamo vivendo, e tra poco cominceranno a vedersi
i risultati di business. Per fare solo un esempio, la
ricerca farmaceutica è un settore che potrà essere
molto disintermediato; si potrà realizzare una
ricerca che parte da milioni di cartelle cliniche
studiando e correlando i dati reali, superando
la ricerca tradizionale di laboratorio che si basa
ovviamente su un modello teorico. È insomma
un’enorme opportunità per chi ha voglia di ➤
19
reportagedelcongresso
STEFANO VENTURI
Amministratore Delegato e Corporate Vice President
del Gruppo Hewlett Packard Enterprise in Italia
In questa posizione, che
ricopre da dicembre 2011,
ha la responsabilità di guidare
le attività del gruppo e di
indirizzarne la crescita nel
mercato italiano. Formatosi in
Olivetti dal 1979 al 1984, è
rientrato in Hewlett-Packard
come Amministratore Delegato dopo essere cresciuto
all’interno dell’azienda dal 1984 al 1991. In seguito,
ha ricoperto il ruolo di Country Manager di Wyse
Technology Italy, Managing Director EMEA South in Sun
Microsystems, Amministratore Delegato di Cisco in Italia
per 13 anni e, sempre in Cisco, di Vice President Europe
per il Public Sector.
Venturi è Presidente della American Chamber of
Commerce in Italy e membro del Consiglio di Presidenza
di Assolombarda Confindustria Milano Monza e
Brianza, con delega “Agenda Digitale e Start up”,
nonché membro dell’Advisory Board Investitori Esteri di
Confindustria. Ricopre, inoltre, il ruolo di Vice Presidente
di Assinform con delega all’Education ed è Consigliere
Incaricato e membro del Consiglio di Presidenza di
Confindustria Digitale con l’incarico di Presidente dello
Steering Committee “Competenze Digitali”.
studiare e possiede questa capacità di combinare l’analisi dei dati con le conoscenze specifiche
della materia».
A questo punto viene naturale domandarsi quanto l’Italia sia pronta
a cogliere questa opportunità. Ti
chiederei di provare a guardare al
futuro del nostro Paese sfuggendo
alle due retoriche uguali e opposte:
quella del “va tutto male” e quella
dello stellone, della creatività italiana che alla fine vince sempre.
In sostanza, un Paese come il nostro, fatto da tante imprese piccole
e medie e che quindi non può fare
enormi investimenti, in questo scenario che prospettive ha?
«La buona notizia è che gli investimenti per cogliere queste sfide non sono enormi. E gli imprenditori italiani hanno dimostrato che quando
hanno dovuto fare cose innovative hanno trovato
i fondi. E poi dobbiamo anche sfatare alcuni luo-
20
ghi comuni: oggi le nostre fabbriche del settore
manifatturiero sono tra le più automatizzate
al mondo, per quanto sembri incredibile. Se le
aziende hanno la cultura per capire dove andare, la sfida si può vincere. Certo, negli anni
Sessanta la cultura aziendale era più semplice:
si fabbricava, si costruiva, spesso gli imprenditori erano operai che uscivano dalla fabbrica con
una nuova idea sulla manifattura, era insomma
un Paese che viveva ancora sulla scia della sua
lunga tradizione artigianale. Adesso il quadro è
più complesso, e quello che mi fa essere un po’
meno ottimista è il terreno perduto dall’Italia
negli ultimi anni nel legame tra cultura digitale
e business. È questa la parola chiave: cultura
digitale. Se investiamo nel modo giusto, anche
un Paese con limitate possibilità economiche può
giocarsi questa partita».
Hai posto l’accento sull’importanza della cultura aziendale, che in
un’altra occasione hai definito “il
libretto delle istruzioni del manager”. Del resto vivi in un’azienda,
Hewlett Packard, con una cultura
solidissima che parte da lontano.
Puoi spiegarci che cos’è, in concreto, la cultura aziendale?
«È il fondamento di ogni azienda. È, come dicevi
tu, quel libretto di istruzioni che ci aiuta quando
una scelta manageriale non è certa, cioè nell’80%
delle volte: con la cultura aziendale si possono
prendere decisioni che un computer non potrebbe
prendere. L’azienda che abbandona la sua cultura viene spazzata via alla prima variazione di
mercato. L’importante è che questa cultura sia
portata avanti da tutti, dal top management, a chi
gestisce le risorse umane. E il veicolo migliore per
promuoverla è l’esempio. Hewlett Packard Enterprise, ad esempio, si fonda sul lavoro di squadra,
sulla promozione della diversity in azienda, sulla
fiducia nelle persone, sull’accesso informale ai
vari livelli di management: tutte cose che oggi
possono essere condivise, quasi scontate, ma
che al momento della sua fondazione, nel 1939,
erano visionarie. Sono convinto che il lavoro di
gruppo sia fondamentale non solo per un buon
clima aziendale, ma anche per la competitività
sul mercato. La responsabilità dei manager e dei
direttori HR è proprio quella di tirare fuori il
meglio dalle persone, le cose positive che ognuno
ha e che può mettere al servizio dell’azienda». n
LILIANA GORLA A COLLOQUIO CON MAURIZIO SACCONI
DIALOGHI ISTITUZIONALI
SULLE RELAZIONI INDUSTRIALI
Dalla piattaforma di Federmeccanica al ruolo dell’HR per relazioni
industriali più vicine ai bisogni del lavoro e dell’impresa.
Novità, stimoli e confronti
a cura della Redazione – [email protected]
Liliana Gorla
Directrice des
Ressources Humaines
France Siemens
Dopo 4 anni in qualità
di Head of HR di Siemens
Italia, dal 2015 è
Directrice des Ressources
Humaines Siemens France.
Inizia nel 2001 come
responsabile Development
& Compensation, per poi
assumere nel 2003 fino
al 2007 la carica di HR
Director per una società
del Gruppo Siemens. Dopo
3 anni in Casa Madre a
Monaco, dal 2010 al 2012
ha ricoperto in Italia la
carica di Head of Talent
Acquisition and Employer
Branding. Precedentemente
ha sviluppato competenze
e ricoperto diverse posizioni
nella funzione risorse
umane, tra cui il ruolo
di Manager all’interno di
Ernst & Young e una prima
responsabilità in 3M Italia.
«La Federmeccanica ha confermato la propria disponibilità a proseguire il confronto per giungere
ad un rinnovamento del Contratto nazionale che abbia come pilastri la formazione professionale,
il welfare e che chiarisca i compiti dei due livelli di contrattazione in materia salariale: da un lato
il C.C.N.L. che svolgerà un ruolo di garanzia mentre sarà la contrattazione aziendale a distribuire
la ricchezza dopo che essa sia stata prodotta. Le Organizzazioni Sindacali hanno dichiarato la
propria indisponibilità a raggiungere un’intesa su tali basi e hanno riaffermato che il Contratto
nazionale deve continuare a difendere il potere d’acquisto dei salari e deve essere fonte di riconoscimenti economici per tutti i lavoratori della categoria».
Con questo comunicato Federmeccanica sostiene che le relazioni industriali sono costituite sia
dalle relazioni sindacali che dalle
relazioni con la persona, e che la
persona, il lavoratore, deve tornare
al centro. Credo che il modo con
cui Federmeccanica stia portando
avanti la discussione sul tema dei
rinnovi con le parti sindacali sia uno
degli elementi più interessanti del
panorama della contrattazione degli
ultimi anni. Cosa ne pensa?
«La piattaforma di Federmeccanica è l’unico
elemento di novità in un quadro di relazioni
industriali opache e spesso collusive e soprattutto
lontane dai bisogni del lavoro e dell’impresa in
un tempo di grande cambiamento, in una sorta
di tornante della storia che enfaticamente chiamiamo della “4° rivoluzione industriale” o della
“2° rivoluzione delle macchine”.
Spesso nelle relazioni industriali ha prevalso molto opportunismo da parte di coloro che
gestiscono la rappresentanza collettiva, più
preoccupati a difendere gli altri dall’impresa
piuttosto che l’impresa dagli altri, perché si fa
prima, non perché ci sia un’ideologia alla base
di questi comportamenti nella rappresentanza
collettiva...
Il sindacato ha inoltre il limite dell’effettiva
base sociale: è fortemente minoritario, è attestato
su alcuni segmenti del mercato del lavoro e non
riesce ad avere un progetto di allargamento della
sua capacità di rappresentanza ai più giovani, ➤
21
reportagedelcongresso
Maurizio Sacconi
Presidente
Commissione
Lavoro, Senato della
Repubblica
Laureato in Giurisprudenza
è stato docente di Economia
del Lavoro all’Università
degli studi di Roma. Entra
in politica nel ‘79 con il
PSI e 5 anni più tardi è
Vicepresidente del gruppo
alla Camera. Sottosegretario
al Tesoro è Consigliere
economico della Presidenza
del Consiglio del Berlusconi
I. Dal ‘95 al 2001 è Branch
Office Director presso
l’OIL di Ginevra. Nel 2001
aderisce a FI e torna al
governo da Sottosegretario
al Ministero del Lavoro e
delle Politiche Sociali. Eletto
per FI al Senato. Dal 2008
al 2011 è Ministro
del Lavoro e delle
Politiche Sociali. Dal
2013 è Presidente della
Commissione Lavoro
del Senato.
alle imprese di minore dimensione e al tessuto
più innovativo.
Questo ha determinato relazioni industriali
tendenzialmente opache e rinnovi contrattuali
che non si apprezzano neanche dal punto di vista
macroeconomico.
Se Federmeccanica riuscisse a realizzare il suo
progetto, la massa salariale crescerebbe molto di
più di quanto non sia cresciuta quella di settori
che hanno, pigramente, rinnovato il contratto
secondo il modulo vecchio, ovvero secondo modesti aumenti uguali per tutti, che hanno sottratto
spazio alla dimensione aziendale.
Sono convinto che Federmeccanica possa farcela, per il lavoro egregio che è stato condotto,
perché ci sono stati attori della rappresentanza
che si sono posti il problema di difendere le imprese e il lavoro da coloro che non hanno questa
capacità. Condivido la piattaforma di Federmeccanica dalla prima all’ultima riga, anzi vorrei
si osasse di più. Penso all’idea di un Contratto
nazionale come ombrello per ciò che riguarda
tutti i lavoratori come persone e alla speranza
di costruire un welfare della persona. Auspico
un’integrazione dei pilastri con sanità, previdenza, assistenza e che il secondo pilastro diventi
22
universale, che accompagni fino alla pensione
e oltre, che sia modulabile nel seno di quello
complementare...
Tornando ad oggi, le nuove tecnologie che
sconvolgono pervasivamente, in modo veloce e
imponderabile, il tradizionale modo di produrre
e di lavorare mettono in discussione tutto un impianto di regolazione del rapporto di lavoro che è
stato costruito sulla difesa passiva del contraente
debole e che voleva una rigida separazione fra
lavoro dipendente e lavoro indipendente.
Si sta realizzando, in fondo, la visione di Biagi che immaginava una confusione progressiva
tra lavoro dipendente e lavoro indipendente:
il lavoro dipendente si caratterizza sempre più
per ampi spazi di autonomia e responsabilità e
“meriterà” di essere remunerato in base ai risultati; il lavoro indipendente ci chiederà sempre
di più anche l’accesso a tutele che avevamo fino
a ieri attribuito soltanto al lavoro dipendente.
Da un lato si fanno largo concetti legati a una
nuova agilità e a una nuova responsabilità nel
lavoro, dall’altro la consapevolezza che le leggi
non possono più tipizzare e fissare una realtà che
muta così velocemente e che conviene rinviare
quanto più la regolazione del rapporto di lavoro
“L’articolo 8 è vivo
e lotta insieme a noi!”
alla sede in cui le persone si guardano negli occhi,
si capiscono e condividono un destino comune.
La regolazione pubblica deve essere quindi quanto
più contenuta e quanto più cedevole nei confronti
dell’accordo più prossimo tra persone e non
più tra entità astratte.
Dovremo sempre più immaginare questa cedevolezza in modo che le parti, a partire dall’accordo individuale:
• si adattino reciprocamente in funzione dell’impiego migliore di tecnologie che, giorno dopo
giorno, danno nuove opportunità;
• si regolino per rendere effettivi e sostanziali
i nuovi diritti del lavoro - che io considero in
primis la salute e la sicurezza ma con un approccio
sostanzialista, non formalista, non fondato cioè
sugli adempimenti formali, ad esempio un diritto
alla salute sul luogo di lavoro anche in senso lato,
come prevenzione non solo di specifici rischi, ma
anche di patologie che riguardano più in generale la
persona. Perché l’impresa è sempre più comunità, e
deve soddisfare anche il diritto all’apprendimento
continuo, alla certificazione delle competenze...
Io credo che da lavoratore, oggi, vorrei non essere inchiodato dentro un inquadramento del 1973
(accordo metalmeccanici), ma piuttosto avere l’accesso continuo alle abilità, alle conoscenze e alle
competenze utili, essere periodicamente certificato
nel progresso realizzato ed essere remunerato tenendo conto di questo mio progresso. E… vorrei
contribuire a regolare anche il modo di essere tutelato rispetto alle nuove tecnologie (ad esempio
il diritto alla disconnessione).
Insomma l’articolo 8 del decreto legge 138 convertito in legge 148 “è vivo e lotta insieme a noi”.
La legge Macron francese, secondo cui l’accordo
più prossimo, ovvero quello aziendale, prevale
su quello territoriale e soprattutto su quello nazionale, è l’articolo 8»!
In questo panorama, come vede
l’evoluzione del nostro ruolo?
«Io credo che l’HR non possa più considerare i
collaboratori dell’azienda come una massa indeterminata ma che occorra quella adattabilità
reciproca che - in uno spirito di coesione ovviamente - colga tutte le specificità di ciascuna
persona, le attitudini e i problemi che vive. È
questa la sfida ma anche il passaggio a una dimensione molto più gratificante di questo lavoro
che per molto tempo, in passato, è stato un mestiere di resistenza e di opposizione. In questo
momento siete chiamati a un lavoro fortemente
intrecciato con la conduzione più complessiva
dell’azienda, della gestione della produzione e a
un ruolo propulsivo. Federmeccanica ha svolto
un lavoro molto interessante quando ha analizzato direttamente i bisogni dei lavoratori e ha
invitato a fare altrettanto in ciascuna azienda.
Non è un modo di scavalcare il sindacato ma è
un modo di sviluppare appartenenza, condivisione, comunità, sollecitando anche l’evoluzione
stessa del sindacato affinché avverta il dovere
di rappresentare tutti e insieme ciascuno per
aspirazione e problemi». n
23
reportagedelcongresso
LA CERTIFICAZIONE
DELLE COMPETENZE
HR IL GIORNO DOPO
L
’11 Maggio, a Genova presso la sede di Rina Services SpA, si è tenuta la
prima sessione di Certificazione. Quattro candidati. Quattro Certificati.
Quattro Commissari: due attivi, due osservatori. Due esperti Rina.
La metodologia è stata scelta focalizzando in modo pragmatico un approccio sulle
Luigi Guarise
Consulente
di Management,
membro del
gruppo di lavoro
sul Progetto di
Certificazione
competenze HR,
Vice Presidente
Gruppo AIDP
Piemonte
e Valle d’Aosta
24
capacità operative di utilizzare saperi ed esperienze su casi vissuti in relazione ai
diversi livelli di responsabilità: da attività tecnica/di supporto ad attività decisionale/strategica.
Al Congresso di Bari, al Consiglio Direttivo
nazionale e in Assemblea dei Soci, sono stati illustrati i primi risultati.
Il titolo del Congresso, Scommettiamo su Persone e Lavoro, è stato anche il contenitore del
nostro Progetto.
La voce dei primi
candidati-certificati
Il vissuto dei candidati è di segno positivo. Sul
metodo. Sull’efficacia dell’esperienza.
Il processo certificativo visto come percorso
che pone l’enfasi sulla capacità di saper gestire
processi complessi e diversi per la loro natura:
normativo-contrattuale, governo e sviluppo delle
persone, comunicazione e relazioni interpersonali.
In sintesi, “conoscersi, farsi conoscere, farsi
valutare, farsi scegliere”.
Si intravede, come altro obiettivo, la valoriz-
Enrico Cazzulani, Segretario Generale AIDP, ha presentato al
Congresso il progetto della Certificazione delle Competenze HR
giunto, dopo un lungo processo di analisi, definizione dei contenuti
e la costruzione del disciplinare, alla fase operativa. Qui si propone
un sintetico resoconto della prima sessione di esame
zazione e la visibilità della funzione, del ruolo
HR verso gli stakeholder interni alle aziende/
organizzazioni, verso quelli esterni alla comunità HR, cioè la Società, il Mercato, le Istituzioni.
Da un punto di vista operativo, la metodologia è
stata percepita come strumento utile per definire
e darsi regole di miglioramento attraverso il confronto. Cioè mettersi in discussione costruttiva.
L’esperienza, il vissuto
dei Commissari-valutatori
La giornata si può esprimere in tre dimensioni:
Emozioni
Giornata intensa, piena di responsabilità.
Si passa dal progetto all’attuazione: funzionerà
tutto bene?
Atteggiamento
Rapporto tra professionisti e riconoscimento di
comune pratica ed esperienza.
Risultato - Efficacia
Il percorso funziona. È un confronto , un “dialogo”
tra professionisti.
Far capire alla comunità HR e alla Società-Mercato
il significato profondo di quello che si sta facendo.
OGGI UNA REALTÀ
La certificazione delle
competenze HR è uno
strumento di terza parte,
sviluppato da AIDP e
Rina Services volto a
garantire al mercato le
competenze professionali
in un’area vastissima e non
ragolamentata in ordini
o collegi. Un elemento
distintivo di competitività.
Rilevante per la nostra
Professione e la nostra
reputazione professionale.
Maggiori informazioni
(regolamento, requisiti
di certificazione,
questionario
informativo e link utili)
sono disponibili sul
sito dell’Associazione
www.aidp.it
Anche Bob Morton,
Presidente EAPM, ci supporta
circa la dimensione
strategica del Progetto
“I am therefore delighted that AIDP is launching
its HR Certification scheme. This will support
the advancement of the profession in Italy. The
future of HR certification looks bright, as long
as the nature of Certification evolves to reflect
the changing HR function. Most positively of all,
certification will become more and more relevant
in the increasingly competitive workplace of
today, particularly in international companies
that want to be able to compare staff across borders and will demand a more internationalised
certification”.
A conclusione
Il Progetto ha un doppio obiettivo strategico, in
ottica di medio-lungo termine:
• il rafforzamento della Cittadinanza AIDP, come
Cittadinanza attiva, titolare di doveri e diritti.
• lo sviluppo dell’appartenenza ad AIDP, come
la Casa delle Risorse Umane. n
25
pubbliredazionale
TAX EQUALIZATION
POLITICHE DI NEUTRALITÀ FISCALE
PER IL PERSONALE ESPATRIATO
Un’attenta pianificazione fiscale è uno dei fattori critici
di successo di un’azienda che deve inviare all’estero
un proprio manager: già in fase di definizione del pacchetto
retributivo da offrire bisogna tener conto della fiscalità
del Paese di assegnazione, così da ottimizzare il rapporto
fra i costi sostenuti dall’azienda e il netto al dipendente
I
Andrea Benigni
AD di ECA Italia
ECA Italia, dal 1994, è
un gruppo leader nella
consulenza e servizi per
la gestione del personale
espatriato.
Ha un partner di
riferimento in ECA
International, società di
diritto inglese che opera
dal 1971 sul mercato
dell’International HR
con un database di
informazioni Paese
disponibile on line.
Dal 2005 ha costituito
Expatriates Key Solutions,
società di servizi al 100%
controllata che si occupa
di gestire in outsourcing
i processi di mobilità
internazionale delle
risorse umane.
l dipendente assegnato all’estero sarà
quasi certamente tenuto al pagamento
di imposte personali sui redditi ivi prodotti, con il rischio di incorrere in una
doppia imposizione sul proprio reddito da
lavoro dipendente in caso di mantenimento
della residenza fiscale nel Paese di origine.
Come attenuare questo duplice impatto
fiscale? La ratio delle politiche di neutralità
fiscale è appunto evitare che il dipendente con
incarico stabile all’estero, per la modifica dei
rapporti tributari connessi all’assegnazione,
debba sopportare un aggravio patrimoniale.
La policy fiscale più diffusa - al netto delle numerose “variazioni sul tema” - è la tax
equalization basata su un principio di no loss
no gain: il dipendente non dovrà sopportare
alcun danno, ovvero trarre alcun beneficio
economico dall’assegnazione all’estero. Sosterrà infatti un onere fiscale pari a quello
che avrebbe sostenuto se avesse continuato
a lavorare nel Paese di origine: il datore di
lavoro opererà in tal senso una trattenuta
fittizia-figurativa (hypothetical withholding
tax), per un ammontare pari all’ordinario debito fiscale nel Paese di partenza. Al momento
della liquidazione delle imposte nello Stato
estero, l’azienda utilizzerà tale ammontare
trattenuto; eventuali differenze tra gli importi effettivamente versati e quelli trattenuti
rimarranno a carico/beneficio della stessa. È
possibile applicare sistemi estremamente complessi di full equalization (che include tutti i
redditi del lavoratore, anche quelli personali)
o, come prassi più frequente, adottare politiche
di partial equalization (“equalizzando” i soli
redditi di lavoro dipendente, escludendo le
componenti strettamente legate all’assegnazione internazionale e applicando le detrazioni
standard per lavoro dipendente e familiari
a carico).
Pros… L’assegnazione all’estero è assolutamente indifferente ai fini fiscali per il lavoratore. L’azienda potrà finanziare il carico
tributario dovuto in Paesi a elevata fiscalità
attingendo alle trattenute ipotetiche effettuate
nei confronti dei dipendenti inviati in Paesi
a fiscalità inferiore.
…and con’s: elevato investimento iniziale/
costi di implementazione: nuova policy, nuovo
contratto di distacco, review accordi infragruppo, procedure amministrative e contabili
più complesse, ricorso a una rete internazionale di consulenti fiscali esterni.
La fotografia fornita rende pienamente
l’idea di quanto complesso risulti essere il
tema della pianificazione fiscale transnazionale: saperla preventivare è una “issue” che
non può sfuggire all’agenda di un HR Manager che ha nello sviluppo internazionale uno
degli asset di riferimento del business dove
è inserito. Dotarsi delle tecnologie adeguate
diventa uno dei fattori critici di successo a
supporto della Direzione Risorse Umane e non
potrà che essere l’HR il Key Player di questo
challenge. n
reportagedelcongresso
DISRUPTIVE INNOVATION
CRESCITA E LAVORO
Esempi ed effetti dei processi di digitalizzazione
sull’economia e sulle organizzazioni
di Umberto Bertelè
C
ome nei campionati di Formula Uno, dove ogni anno vengono
modificate le regole che le scuderie in gara devono rispettare, così
– anche se con una cadenza più irregolare – accade nell’economia.
Ove le nuove regole del gioco possono essere il frutto di scelte prevalentemente
politiche oppure possono provenire da innovazioni organizzativo-gestionali, da
modalità innovative di lettura del mercato o da
innovazioni tecnologiche: quando queste ultime
permettono lo sviluppo di prodotti in grado di
soddisfare nuovi bisogni o l’introduzione di business model in grado di spiazzare quelli esistenti.
È quanto sta accadendo, in questa fase storica,
con i processi di digitalizzazione (digitization) in
atto in tutta l’economia a livello mondiale. Non
c’è impresa o istituzione, in nessun settore, che
non si stia chiedendo (o che dovrebbe chiedersi)
quali ricadute potrà avere la digitalizzazione per
il suo futuro e quali azioni - difensive e/o offensive - intraprendere: per non essere (in gergo)
disrupted o per essere essa stessa disruptive o
per offrire funzionalità completamente nuove.
Esempi di disruptive innovation
Pochi esempi tra i tantissimi che potrei citare.
• Con il passaggio al formato digitale sfumano i
confini fra operatori televisivi, operatori telecom
e operatori OTT-Over The Top (quali Netflix o ➤
PIXEL
Umberto Bertelè
Professore emerito di
Strategia e Chairman
degli Osservatori
Digital Innovation
della School of
Management del
Politecnico di Milano
{
Umberto Bertelè
STRATE
GIA
SECONDA EDIZIONE
Il testo è tratto dall’Introduzione alla
seconda edizione del mio libro Strategia,
edito da Egea, che uscirà entro fine anno,
un’anticipazione per i lettori di Direzione del
Personale.
27
reportagedelcongresso
Umberto Bertelè
Chairman degli
Osservatori Digital
Innovation al
Politecnico di Milano
Tra i fondatori dell’Ingegneria
Gestionale, ha ricoperto
le cariche di Prorettore
delegato, Presidente della
School of Management
e Presidente del MIP. Ha
fatto parte del Collegio
per il controllo interno del
Ministero del Tesoro e di
delegazioni ufficiali in sede
GATT, OCSE e G-7. È stato
consulente del Servizio Studi
di Bankitalia. Ha presieduto
per nove anni TAV-Treno Alta
Velocità. Già editorialista de
Il Sole 24 Ore, è opinionista
in diversi programmi
radiotelevisivi.
28
Amazon) nella distribuzione dei film e dei programmi televisivi, ed è guerra tutti contro tutti.
• Con la crescita dell’offerta gratuita online di
news, calano drasticamente sia le vendite del
cartaceo sia la pubblicità, costringendo molti dei
principali giornali a ristrutturazioni talora violente e abbattendo il numero di edicole: “mai così
tanti lettori come ora, ma mai così pochi soldi”.
• L’e-commerce, con la sua espansione continua
(sempre più via mobile), mette in crisi le grandi
catene distributive tradizionali: costringendole
negli USA a ridurre i punti vendita, limitandone
fortemente in Cina l’apertura di nuovi rispetto
alla dinamica della domanda.
• La sharing economy, seppur oggetto di forti
contrasti, sta modificando profondamente – con
società come Uber e Airbnb e con i loro cloni – le
regole del gioco della mobilità e dell’ospitalità.
• Il sistema bancario-finanziario, storicamente
fra i primi a informatizzarsi, è oggetto di una
nuova pressione innovativa: con l’entrata degli
OTT (quali Apple, Google, Facebook, Alibaba e
Tencent) nei pagamenti, nei trasferimenti di danaro e (in Paesi come la Cina) nella gestione del
risparmio e nella creazione di banche esclusivamente online; con l’introduzione (anche da parte
del più grande fondo di asset management del
mondo) di robo-advisor per la piccola consulenza
finanziaria, di software cioè in sostituzione degli
umani; con il lancio di piattaforme (marketplace
lending) per l’erogazione di mutui e finanziamenti
alle imprese minori in tempo reale, mediante il
ricorso ad algoritmi per la valutazione del merito
di credito; con il crowdfunding.
• Nemmeno i grandi costruttori di auto possono
dormire sonni tranquilli, anche se hanno ancora
molte carte da giocare: cambia la scala delle
preferenze degli acquirenti, meno interessati alle
prestazioni dei motori e più alla connettività,
all’infotainment e alle funzioni di supporto alla
guida (con il self-driving car all’orizzonte); cresce
conseguentemente l’incidenza dell’elettronica,
prossima alla metà del costo di produzione, con
un ovvio impatto sui profitti; acquista un rilievo
crescente la shared mobility, soprattutto nelle
grandi aggregazioni urbane, con un impatto sulle vendite; esce dall’irrilevanza l’auto elettrica,
portando alla ribalta nuovi attori (come Tesla) in
un contesto ove l’esperienza accumulata conta
molto meno.
• E con Industry 4.0 si prospetta una nuova
ondata di cambiamenti, questa volta nel manufacturing: con una combinazione di cloud
computing, big data analytics, intelligenza artificiale, IoT-Internet of Things, robotica avanzata
e stampa 3D.
What do you see as the three most significant drivers of change that will affect
your future working life up to the year 2020?
% who ranked the driver in their top three
Mobile internet and cloud technology
34
Artificial intelligence and machine learning
33
The rise of big data
28
The internet of things
27
Advanced robotics and autonomous transport
Advanced manufacturing and 3D printing
Shifts in gender equality
25
21
20
Source: Infosys 2016, based on 8.700 interviews
• Per non parlare di quelli in atto nella PA, nella
sanità e nella formazione.
“Today every business is a digital business:
non esiste comparto dell’economia in cui non
sia presente qualche componente in formato
digitale (o digitalizzabile) su cui costruire business model alternativi, con impatti spesso devastanti per le imprese incumbent”, scrivevano
Downes e Nunes nel loro libro seminale “Big Bang
Disruption. Strategy in the Age of Devastating
Innovation” (2013).
“Digitization, like electricity, is a generalpurpose technology that underpins a huge share
of economic activity”, sosteneva più di recente
il McKinsey Global Institute (Digital America,
2015), “Digitization is changing the dynamics
in many industries. New markets are proliferating, value chains are breaking up, and profits
are shifting. Businesses that rely on playing an
intermediary role in a given market are particularly vulnerable. In some markets, there is a
winner-take-all effect. For companies, this is
an opportunity to reinvent every process with
a fresh focus on the customer”.
Sulla digitalizzazione scommette il mercato
finanziario. Apple, Google e Microsoft occupano le prime tre posizioni per capitalizzazione a
livello mondiale; Amazon e Facebook sono nelle
top-7. Alibaba - leader cinese nell’ecommerce - è
la società che ha raccolto la cifra più alta della
storia in sede di IPO: 25 miliardi di dollari. Mentre
Uber è la società che è riuscita a raccogliere il
capitale di rischio più elevato – 12,9 miliardi –
fra le non (ancora) quotate, seguita dalla rivale
diretta cinese Didi Chuxing con 8,5. Il nervosismo
del mercato, comprensibile per i numeri in gioco,
crea però oscillazioni da “montagne russe”. Apple
ad esempio, che nel febbraio 2015 “valeva” 775
miliardi di dollari (oltre il 40 per cento del PIL
italiano), ne ha persi ben 250 in meno di un anno,
per poi invertire di nuovo la rotta.
Qual è il ruolo e quale il futuro
delle risorse umane in questo
processo?
La risposta non può essere univoca. Le risorse
umane sono allo stesso tempo le maggiori vittime
e le protagoniste del processo di digitalizzazione.
• Sono le principali vittime, perché rischiano
l’espulsione dal sistema non solo quando la digital
disruption colpisce le imprese in cui operano, ma
anche quando un processo di digital transformation – vitale per la sopravvivenza delle imprese
o addirittura per la conquista di una posizione di
leadership – comporta un significativo ricambio
nelle competenze necessarie.
• Sono le principali protagoniste perché è loro
compito – a partire dalle posizioni di vertice –
individuare creativamente i cambiamenti più o
meno radicali da apportare al business model
e/o al portafoglio di business, affinchè la digitalizzazione generi valore. n
29
reportagedelcongresso
IIT - ISTITUTO ITALIANO DI TECNOLOGIA
A COLLOQUIO CON
ROBERTO CINGOLANI
Le sfide gestionali di un importante player mondiale
della ricerca. Dialogo sull’innovazione, sul talento e sul merito
che serve per competere in ambito internazionale
di Andrea Del Chicca
C
«
Andrea Del Chicca
Direttore
Risorse Umane,
Organizzazione,
Relazioni Esterne
Ansaldo Energia
e Presidente AIDP
Liguria
30
{
iò che rende unico l’IIT nel panorama nazionale e fra i pochi in
Europa, è il fatto di essere una comunità fortemente multietnica.
Abbiamo un’età media di 34 anni, ragazze e ragazzi provenienti da
56 nazioni, il 47% del personale viene dall’estero. Abbiamo problemi che vanno
dalla multietnicità alla multi-religiosità, dalla mensa allo spiegare la complessità
del sistema giuslavoristico e della burocrazia
italiana a persone che vengono da Paesi molto
più agili del nostro.
L’istituto svolge un ruolo pionieristico non solo
dal punto di vista scientifico ma anche dal punto di vista dell’organizzazione della ricerca. IIT
recluta ricercatori con un meccanismo che è assolutamente innovativo in Italia, ed è usato negli
USA e in pochi altri posti nel mondo, le cosiddette
call internazionali. Funziona tutto sulla base di
un progetto, di un’idea, che scherzosamente chiamiamo “il viaggio su Marte”. Per andare su Marte
servono tante competenze specifiche, tutte fondamentali, serve un esperto di alimentazione, uno di
motori, uno di gravità, uno di energia... Servono
profili molto diversi, senza barriere disciplinari:
psicologi, etici, fisici, chimici, ingegneri, medici,
tutto quello che ci serve culturalmente per portare
avanti il programma. Il reclutamento viene fatto
attraverso mezzi di informazione digitale da stampa
scientifica internazionale. Individuato il profilo si
attiva la ricerca e si crea il search committee, panel
di esperti (nessuno dei quali lavora in Italia, per
evitare conflitti di interesse), viene fatta una short
list delle candidature, i migliori 4 o 5 vengono convocati a Genova dove fanno una presentazione sia
agli scienziati sia al panel. Dunque si fa l’offerta al
migliore in graduatoria, poi al secondo e al terzo...
un po’ come nello sport: ci si permette il calciatore
migliore in funzione del budget che si ha».
Come si seleziona e come si riconosce il talento in un mondo
globalizzato? Come lo si gestisce
e lo si valorizza e che rapporto
c’è tra il turnover e la retention dei
talenti?
«Qui il turnover è un elemento essenziale.
Gli istituti come il nostro sono a permanenza
quinquennale, dopo 5-6 anni il 70% delle persone
deve andare via. L’età media della struttura deve
rimanere di 34-35 anni. Abbiamo addirittura un
vincolo: non superare i 38 anni di età media, tra
15 anni. I permanenti sono quelli che chiamiamo
principal investigator: non possono superare il 15%
dello staff totale, sono le menti più prestigiose e
ricoprono anche incarichi direttivi.
Quanto al talento, lo individuiamo e riconosciamo
attraverso il meccanismo di reclutamento che ho
Andrea Del Chicca e Roberto Cingolani
già descritto e attraverso l’azione dei search committee. Poi, bisogna dar modo a questi talenti, per
gli anni di permanenza, di esplodere. Come? Gli si
dà un budget di cui sono 100% responsabili, totale
autonomia, nessun capo e, triennalmente, sono valutati da panel esterni, valutiamo perfino ogni anno
la corrispondenza tra previsione e consuntivo del
budget (e normalmente i nostri scienziati sbagliano
del 2%). Chi performa va avanti. Il nostro salario
ha una parte variabile che dipende dalla performance, pratica che è normale in azienda, ma non
negli istituti di ricerca. Insomma ai migliori viene
consentito di emergere, e prima lo fanno, meglio è,
e di usare la loro permanenza come un trampolino.
I ricercatori lo sanno. Per questo siamo attrattivi».
Lei è professore e manager di
organizzazioni. Quali capacità
saranno necessarie sempre più
in futuro a chi gestirà persone e
talenti?
«Il nostro comparto è un po’ particolare, la strategia
risorse umane delle grandi aziende qui è difficile da
applicare secondo canoni standard. C’è un misto
di competizione sportiva e di arte in questo mestiere, non c‘è un HR manager che ci può aiutare
in questo tipo di reclutamento. Il meccanismo che
funziona in ambito scientifico è il peer review,
ovvero la valutazione tra pari, con tutti i limiti che
Roberto Cingolani
Direttore Scientifico
dell’Istituto Italiano
di Tecnologia
È professore di
Fisica con diploma di
perfezionamento presso la
Scuola Normale Superiore
di Pisa. Fondatore del
Laboratorio Nazionale di
Nanotecnologia a Lecce,
è Direttore Scientifico
dell’Istituto Italiano di
Tecnologia di Genova. È
stato membro dello staff
del Max Planck Institut
di Stoccarda e Visiting
Scientist all’Università
di Tokyo. È autore di oltre
46 famiglie di brevetti e
750 articoli scientifici per
le più prestigiose riviste e
conferenze internazionali.
È stato insignito dei titoli di
Alfiere del Lavoro (1981)
e Commendatore della
Repubblica Italiana (2006).
ciò comporta: sono gli altri scienziati che devono
riconoscere il talento e farlo maturare. Da un altro
punto di vista però ci sono dei criteri aziendali che
devono essere portati nella ricerca. Lo scienziato
non deve pensare di essere un soggetto che vive
in un mondo scevro dalle regole del reale. La gestione delle risorse umane poi non è solo talento
ma è anche integrazione, soprattutto nei progetti
interdisciplinari come quelli che noi sviluppiamo.
La vera difficoltà è mettere insieme - in un tavolo
di lavoro - un fisico, un chimico, un ingegnere, un
medico, un filosofo, un matematico, un computer
scientist: quello che succede normalmente, in un
mondo competitivo e individualista come quello
della ricerca, è che ciascuno ritiene che gli altri
siano sostanzialmente un gradino sotto. L’abilità
è convincerli e aiutarli a raggiungere quella condizione di serenità per… andare su Marte. Deve
funzionare tutto altrimenti su Marte non ci si arriva.
Quindi la team building capability, che dipende
dalle competenze e dalla pura forza intellettuale.
Qui è rispettato, comanda e ha carisma, chi merita,
quello che vede prima il futuro, che ha le risposte
più sostenibili e che sa gestire i rapporti tra le “prime
donne” della scienza».
Qual è il rapporto tra le nuove tecnologie e la vita nelle organizzazioni? Come lo vede in futuro?
➤
31
reportagedelcongresso
Quali minacce e opportunità per
chi lavora in azienda?
«La tecnologia come sempre non è una minaccia
ma è un’opportunità. È sempre la stupidità dell’essere umano che rende una tecnologia pericolosa.
Il rischio che avverto in questo momento è che, in
questo fiorire di digitale e digitalizzazione, si perda
un po’ il fuoco. Io ricevo circa 600 mail al giorno,
a cui devo dedicare statisticamente 5-6 secondi
ciascuna. Se l’informazione fosse luce, oggi ne
saremmo completamente abbagliati. E non si
può portare gli occhiali da sole tutto il giorno né
vivere, dal punto di vista dell’informazione, in un
sistema ridondante. Credo che questo sia un problema molto serio in istituti complessi come il nostro.
Non mi riferisco alla limitazione dell’utilizzo della
posta elettronica, ma alla capacità di selezionare
la rilevanza delle informazioni. È diventato così
semplice e poco costoso mandare messaggi che
ormai anche cose irrilevanti occupano spazio di
memoria e tempo dell’utente.
A volte mi trovo a rimpiangere quando, dovendo
scrivere a mano, ci si doveva un po’ applicare e si
tendeva a dare delle priorità, alle cose da dire. Oggi
in un istituto come questo è pazzesca la quantità
di informazione inutile che circola».
Quali le innovazioni più disruptive
nell’ambito della nostra vita quotidiana e nelle organizzazioni. E
come potranno le nuove tecnologie migliorare la vita che viviamo e
la vita dell’azienda?
«Quello che credo potrà generare grossi cambiamenti
è l’intelligenza artificiale, il machine learning, applicato alla soluzione di problemi e ai benchmark, alle
analisi di mercato e di opinione. Il fatto di disporre
di sistemi in grado di navigare in immense masse
di dati e di tracciare correlazioni apparentemente
introvabili, che un essere umano non troverebbe
mai o impiegherebbe migliaia di anni di studio,
questo è qualcosa che rivoluzionerà il nostro modo
di lavorare. Dovremo abituarci all’idea che tutto
quello che ci circonda (comportamenti, malattie,
ecc.) sarà predittivo. Quando i sistemi predittivi
inizieranno a lavorare bene, effettivamente il lavoro e le nostre vite cambieranno radicalmente».
Stop the clock for maternity. Come
funziona e perché è considerata
una best practice a livello internazionale?
«IIT ha fatto una politica di genere molto forte.
32
Abbiamo il 41% di donne, un record internazionale.
È ovvio che, trattandosi di ricercatrici molto giovani, la permanenza spesso coincide con il periodo
di fertilità. Ci siamo posti il problema di come non
discriminare la carriera della donna. Ci sono infatti
ragioni di sicurezza chimica e strumentale per cui
una donna incinta non può stare in laboratorio e
questo è un danno enorme per una ricercatrice. Lo
stop the clock for maternity prevede che per ogni
figlio si sconti un anno dal curriculum: la persona
torna più giovane di 1 anno. Statisticamente abbiamo visto che, in un meccanismo di reclutamento
come il nostro, ciò rende i curricula tra ricercatrici
e ricercatori effettivamente comparabili, relativamente all’età. Lo stop the clock for maternity unitamente al lavoro da casa che concediamo è stato
una grande risorsa per attrarre le ricercatrici.
Altra cosa che aiuterebbe molto è l’asilo. Stiamo
cercando una soluzione logistica per un asilo interno che in un istituto di ricerca è una cosa molto
innovativa. Essendo struttura statale, però, la burocrazia complica molto».
A suo avviso quale dovrebbe essere il giusto rapporto tra ricercatempi-investimenti e le ricadute
sull’azienda e sull’industria?
«La risposta va modulata in funzione dell’azienda.
Nell’high tech non si può assolutamente prescindere da corposi investimenti in R&D e anche da
corposi investimenti pubblici perché bisogna creare
ecosistema, l’azienda non può e non deve fare tutto
da sola. Per le aziende che hanno un contenuto di
tecnologia più basso, l’impatto dell’investimento
è più mitigato. Purtroppo sulle alte tecnologie con
i numeri piccoli non si va lontano. E in Italia,
con più del 70% di PMI, dobbiamo fare i conti
con investimenti minori, rispetto a grandi paesi
strutturati come Germania, USA e Giappone che
hanno grandissime aziende che, oltre a essere disponibili ad investire, sanno generare un indotto
molto forte».
Un’ultima domanda. Dalla frontiera tecnologica al campo operativo delle organizzazioni: qual è il
suo messaggio ai partecipanti del
Congresso AIDP?
«C’è bisogno di grande intelligenza e di meno burocrazia. Sono 10 anni che lavoro in questo istituto
e le norme giuslavoristiche sono cambiate 4 o 5
volte. È stato difficile e costoso da spiegare anche
ai nostri ricercatori. Nel comparto ricerche forse è
necessaria una contrattualistica di stampo generale,
europea, fuori dalla contrattazione pubblica che
renda il mestiere del ricercatore e dell’innovatore più
attrattivo, anche perché un paese che non investe
sui suoi talenti è un paese condannato ad arretrare.
Questa cosa la capiamo nel calcio, in cui parliamo
di vivaio, ma non la capiamo quando parliamo del
futuro della nostra società. Se continueremo a perdere posizioni in tutte le classifiche (investimento,
apporto tecnologico, brevetti) sprofonderemo nel-
la serie B internazionale nell’arco di due decenni.
Quindi, forse, il messaggio potrebbe essere quello
di far sentire una voce unita: che pubblico e privato
vadano d’accordo nei rispettivi ruoli e richiedere
che l’innovatore e il ricercatore siano trattati a livello sociale in maniera riguardosa della propria
specificità. Questo mestiere è di pura competizione:
il contratto deve essere strutturabile per consentire
la migliore competizione se non vogliamo perdere
tutte le gare». n
L’ISTITUTO ITALIANO
DI TECNOLOGIA (IIT)
È una fondazione, istituita con D.L. 269/03, convertito con Legge
n. 326/2003, finanziata dallo Stato per lo svolgimento di attività di
ricerca scientifica di interesse generale, per fini di sviluppo tecnologico.
Promuove l’eccellenza nella ricerca di base e in quella applicata e di
favorire lo sviluppo del sistema economico nazionale.
Lo staff complessivo: 1470 persone. L’area scientifica è rappresentata
da circa l’85% del personale. Il 47% dei ricercatori proviene dall’estero,
da oltre 50 Paesi. Il personale scientifico è composto da 60 principal
investigators, 140 ricercatori e tecnologi di staff, 500 post doc, 400
studenti di dottorato e borsisti, 160 tecnici. Oltre 300 posti creati su
fondi esterni. Età media 34 anni. 41% donne / 59 % uomini (dati al
31/12/2015).
La produzione di IIT (a giugno 2016) vanta oltre 6990 pubblicazioni,
130 progetti Europei e 11 ERC, 350 domande di brevetto attive, 13
start up costituite e altrettante in fase di lancio. Dal 2009 l’attività
scientifica è stata ulteriormente rafforzata con la creazione di undici
centri di ricerca IIT nel territorio nazionale (a Torino, due a Milano,
Trento, Parma, Roma, due a Pisa, Napoli, Lecce, Ferrara) e due
outstation all’estero (MIT ed Harvard negli USA).
33
reportagedelcongresso
IL FUTURO DELLA
PROFESSIONE HR
La ricerca HRCS guidata da Dave Ulrich, a cui AIDP
ha partecipato e che è stata presentata al Congresso
da Even Bolstad, Managing Director HR Norge, fornisce
valide indicazioni per un modello di riferimento che aiuti
i professionisti HR a tradurre in azioni concrete la loro, ormai
antica, aspirazione a ricoprire un ruolo strategico all’interno
dell’impresa. Eccone una sintesi per i nostri lettori
di Filippo Abramo
Filippo Abramo
Past President
AIDP e EAPM
Una carriera in grandi
aziende italiane e
multinazionali, dal
commercio al dettaglio,
all’elettronica ai settori
alimentare, chimico,
farmaceutico e bancario
(Banco di Sardegna,
Recordati, WRGrace,
Boston, Telettra,
Rinascente), ricoprendo
tutte le posizioni
nell’area risorse umane e
organizzazione dall’ufficio
di selezione a HR Director
Centrale. Presidente
EAPM (2011 – 2013),
Presidente Nazionale
AIDP (2011 -2014), dal
2014 è Presidente di
Federmanagement.
34
L
{
a ricerca HRCS - Human Resource Competency Study - è stata condotta nel 2015 da Dave Ulrich dell’Università del Michigan e da EAPM
(European Association for People Management) ed è parte di uno stu-
dio mondiale a cui hanno contribuito più di 4.000 professionals HR appartenenti
ad oltre 1.500 aziende. Tale ricerca viene realizzata periodicamente da circa 25
anni e rappresenta un barometro interessante
per misurare lo stato della professione a livello
internazionale. AIDP vi ha partecipato per l’Italia,
e i risultati sono stati presentati al Congresso Nazionale di Bari. Riteniamo possa essere di grande
utilità, per tutti coloro che non hanno potuto
partecipare al Congresso, conoscere alcuni dei
principali risultati rinviando, per la presentazione
completa, agli atti congressuali disponibili sul
sito dell’Associazione - www.aidp.it.
Cosa influenza la performance
percepita dei singoli
professionisti HR?
La ricerca ha evidenziato che circa il 50% della
performance percepita dei professionisti HR viene dalle loro competenze percepite. Vale a dire
che il successo nel business arriva quando si è
capaci di trasmettere la strategia aziendale in
azioni concrete. A questo scopo i professionisti
HR devono essere STRATEGIC POSITIONER, cioè
devono conoscere il contesto del proprio business,
la relativa strategia aziendale ed essere, quindi,
sicuri di muovere le persone nella giusta direzione.
Per potere muovere le persone, devono essere
CREDIBLE ACTIVIST, cioè devono avere rapporti
di fiducia e di influenza con le persone chiave
della propria organizzazione.
Entrambe queste competenze sono chiave per
elevare le performance di tutta l’azienda.
Ad esse va aggiunta una terza competenza che
Ulrich chiama PARADOX NAVIGATOR, cioè l’abilità di navigare in situazioni complesse e piene
di tensione (es. lungo termine vs breve termine,
centralizzazione vs decentramento, interno vs
esterno). I professionisti HR si trovano spesso
ad operare in reali situazioni contraddittorie che
devono comunque essere risolte: navigare con
sagacia in mezzo a queste turbolenze è la terza
competenza chiave per l’HR.
La ricerca identifica altre tre competenze ag-
2016 HR
COMPETENCY
MODEL
Il grafico e la presentazione completa
sono disponibili negli atti congressuali
sul sito AIDP.
HUMAN
CAPITAL
CURATOR
CULTURE
AND CHANGE
CHAMPION
STRATEGIC
POSITIONER
TOTAL
REWARDS
STEWARD
CREDIBLE
ACTIVIST
PARADOX
NAVIGATOR
TECHNOLOGY
AND MEDIA
INTEGRATOR
COMPLIANCE
MANAGER
ANALYTICS
DESIGNER AND
INTERPRETER
giuntive che possiamo definire “facilitatrici”, vale
a dire che aiutano a trasformare la strategia in
azioni concrete. Esse sono:
• Culture and Change Champion: abilità ad
attivare dei processi di cambiamento, anche rispetto alla cultura aziendale;
• Human Capital Curator: abilità a gestire il
capitale umano dell’impresa sviluppando il talento, la leadership e le competenze tecniche a
tutti i livelli;
• Total Rewards Steward: abilità a gestire e
sviluppare il benessere aziendale tramite ricompense monetarie e, soprattutto, non monetarie.
Un set finale di altre tre competenze ha caratteristiche più di natura tattica:
• Technology and Media Integrator: abilità a
utilizzare al meglio la tecnologia e i social media;
• Analytics Designer and Interpreter: abilità
a usare i dati per la presa delle decisioni;
• Compliance Manager: abilità a conformarsi
a direttive e linee guida.
Cosa influenza la performance
percepita dei reparti/team HR?
Un dato importante emerso dalla ricerca è che per
i vari stakeholders interni, le attività rivolte ai
gruppi e team HR sono molto più importanti delle
competenze espresse dai singoli professionisti HR.
Questo sottolinea che il team HR è molto più
importante dei singoli: gli stakeholders apprezzano i risultati forniti dalla squadra HR più che
dei singoli operatori e le attività maggiormente
apprezzate sono:
• Employer performance HR practices: le attività HR che aiutano le persone a sviluppare le loro
abilità e competenza (formazione, engagement,
performance appraisal);
• Integrated HR practices: attività HR che offrono soluzioni integrate e innovative ai problemi
aziendali complessi (sviluppo di una strategia HR,
coerente con la strategia organizzativa, fornire
un modello di cambio o di crescita, ecc.);
• HR Analytics practices: trarre valore aggiunto
dalla gestione dei dati e delle informazioni, sia
interne che esterne. n
35
reportagedelcongresso
DEDICATO AI
RESPONSABILI DELLE
RELAZIONI UMANE
Nella partitura congressuale un momento indimenticabile
ed emozionante: l’intervento di Pier Luigi Celli, Enzo Spaltro
e Giuseppe Varchetta sui temi caldi della professione,
moderato da Paolo Iacci, Presidente AIDP Promotion,
e il riconoscimento, sul palco di Villa Romanazzi Carducci,
del titolo di Socio Onorario AIDP
a cura della Redazione – [email protected]
“Il benessere
dipende dalla
possibilità di
esprimersi”
E. Spaltro
ENZO SPALTRO
La funzione personale nasce dagli ex militari
in pensione che facevano paghe e contributi e
svolgevano un’attività di vigilanza e controllo
sul personale. Una lunga storia dunque, eppure
possiamo dire che la professione non è ancora nata.
La professione si crea quando c’è un’origine
esterna e una interna del sapere e del vantaggio
che questa professione genera. Per ora i direttori
del personale hanno tratto la loro legittimità soprattutto da origini esterne. Si sono spesso identificati con la normativa, con una direzione del
personale sindacale, conflittuale e meno con gli
aspetti più soggettivi, interni, che ancora vengono considerati come utopistici, sottovalutando
l’aspetto relazionale e sopravvalutando l’aspetto
giuridico e formale del lavoro, nonostante alcuni
grandi sforzi e pregevoli tentativi.
Questo orientamento non ha tenuto conto anche
36
del radicale cambiamento in corso nel lavoro: il
passaggio dalla millenaria società bellico-quantitativa-economica alla nuova società connettivaqualitativa-soggettiva. Le speranze risiedono
nella possibilità che il raggio d‘azione della
funzione personale si espanda, e che il lavoro
sia la futura moneta per la produzione di bellessere per la promozione di una società benestante. Sono convinto che occorre ri-centrarci
sul Benessere che il lavoro può e deve produrre,
diffondendo l’idea per cui chi sta bene produce
ricchezza per tutti i protagonisti del lavoro.
I cardini per lo sviluppo di benessere nel mondo
del lavoro sono: l’idea di cittadinanza d‘impresa;
la gestione in termini non bellici del negoziato;
l’utilizzo del premio piuttosto che del castigo, del
perdono (che ci consente di affrontare conflitti
tradizionalmente insolubili, come quello tra uomo
e donna) piuttosto che della vendetta; l’attenzione alle attitudini e ai sentimenti piuttosto che
all’omologazione; l’ampliamento dell’orizzonte ➤
POLITICA E DIRITTO
Pier Luigi Celli
Senior Advisor AD
Poste Italiane
Laureatosi in Sociologia all’Università di Trento,
matura significative esperienze come responsabile
della gestione, organizzazione e formazione delle
risorse umane in grandi gruppi. Nel 1998 è
Direttore Generale della RAI. Dopo aver ricoperto
ruoli fondamentali nello start up di nuove attività
per la telefonia mobile (Wind e Omnitel) è stato,
per un breve periodo, alla guida di Ipse 2000,
società di telefonia per l’UMTS. Dal 2002 al
2005 è in Unicredito Italiano come Responsabile
della Direzione Corporate Identity. Dal 2005 al
2013 è Direttore Generale dell’Università LUISS
Guido Carli e dal 2013 a 2014 è in Unipol come
Senior Advisor Corporate Identity, Comunicazione
e Relazioni Istituzionali. È Presidente dell’Enit
dal 2012 al 2014. Dal 2014 è in Poste Italiane
in qualità di Senior Advisor dell’Amministratore
Delegato.
Enzo Spaltro
Presidente Fondazione Enzo Spaltro e
Responsabile Scientifico UP - Università
delle Persone
Medico, laureato in clinica medica e specializzato in
medicina del lavoro. È considerato il pioniere della
Psicologia del lavoro in Italia. È stato per due volte
Presidente della SIPS (Società Italiana Psicologia).
È lo studioso italiano più conosciuto al mondo nel
campo della psicologia del lavoro e delle relazioni
industriali. Ha insegnato in molte università straniere,
dagli Stati Uniti al Sud America, all’Europa. È stato
Professore ordinario per trenta anni presso l’Università
di Bologna. Dirige l’Università delle Persone a
Bologna. Ha scritto più di 80 libri e moltissime
pubblicazioni scientifiche. Ha fondato nel 1968 con
Alberto Mondatori e Caio Primo Odescalchi la Rivista
“Psicologia e Lavoro” di cui è Direttore. Ha collaborato
con più di duecento prestigiose imprese italiane, fra le
quali Eni, Barilla, Ferrero, Italsider, Alitalia. È consulente
di prestigiose Istituzioni ed Associazioni.
Giuseppe Varchetta
Psicosocioanalista,
Past President Ariele,
consulente di formazione
e sviluppo organizzativo
Psicologo dell’organizzazione di formazione
psico-socioanalitica, socio fondatore e past
president di Ariele, dopo una lunga esperienza
nell’area della formazione, dello sviluppo
organizzativo e della gestione del Personale,
è stato Professore a contratto presso l’Università
Statale Bicocca di Milano, dove ora collabora
come cultore della materia. Consulente
di formazione e sviluppo organizzativo, membro
della redazione della rivista Educazione
sentimentale, ha al suo attivo molte pubblicazioni
in tematiche di formazione e sviluppo
organizzativo.
37
reportagedelcongresso
temporale e infine il passaggio dal lavoro buono al lavoro bello. Così potremo decretare la
fine dell’era delle Risorse Umane e centrare
la funzione personale sul benessere e sulla
connessione continua tra PERSONE, IDEE e
INNOVAZIONI.
Il passaggio dalla cultura della guerra alla cultura
delle connessioni è uno dei criteri fondamentali
a cui la professione dei direttore del personale – o meglio dei Responsabili del benessere
lavorativo – si dovrebbe ispirare per il proprio
sviluppo. Consentendo alla dimensione umana
di puntare chiaramente all’equazione bellessere
= benessere + sicurezza.
Il mio invito quindi è a non perdere l’occasione
del rilancio di una professione (strategica, imprenditoriale, manageriale o consulenziale) che sta
oggi nel vortice, ansiogeno ma affascinante, del
passaggio dalla cultura bellica alla cultura connettiva. Una professione dedicata alla creazione
di benessere nel e dal lavoro potrebbe diventare
il centro del vivere benestante e il segreto per
passare da un lavoro etico e buono a un lavoro
estetico e bello. n
“Non possiamo
avere persone
flessibili in
organizzazioni
rigide”
P. L. Celli
PIER LUIGI CELLI
Ho iniziato ad occuparmi di personale quando
sono arrivato all’ENI. Venivo dal Pubblico, dalla
direzione degli studi economici della Provincia
di Bolzano. Ho avuto un maestro straordinario
che mi ha dato alcune dritte che mi sono poi
molto servite nei 20 anni successivi in cui mi
sono occupato di personale.
Mi aveva dato quattro consigli. I primi 3 li
38
ho capiti subito perché me li faceva praticare
nel durante:
1) Le riunioni non devono durare mai più di
un’ora. Nella seconda ora, in genere, si distrugge
quanto combinato nella prima.
2) Un libro e un viaggio non si negano mai a
nessuno. Ricordati che è la curiosità che salverà
il mondo.
3) Quando avrai la possibilità di trovarti dei
collaboratori scegli quelli che parlano poco e
che non hanno bisogno di dover dimostrare
sempre qualcosa.
Il quarto consiglio l’ho capito dopo.
4) Scegli gli esperti per fargli fare il mestiere
che sanno fare, ma mettiti attorno gli uomini
che hanno dei saperi perché questi ti danno il
senso delle cose che stanno capitando.
Quando sento insistere sulle competenze, ho
qualche prurito. Ho sempre pensato che è il sapere
quello che aiuta in azienda, più che la competenza esplicita. Se la competenza non trasloca
nell’area del sapere e quindi, in qualche modo,
si connòta, si “sporca” nel saper fare, nel dare il
senso, il suono e il sapore di quello che uno fa,
in realtà il mestiere lo si fa male.
Tornare a valorizzare i saperi, allargati, anche
spuri, non riconducibili a semplici competenze
ed expertise, credo sia qualcosa che meriti di
essere riconsiderato.
I principali paradossi della funzione HR oggi.
Un AD di un grande gruppo, interrogato in una
nota università su come si fa il cambiamento,
sostanzialmente ha detto “mettendo al muro le
persone che non ci stanno”.
Ho sempre creduto che un capo del personale,
per fare bene il suo mestiere, deve volere bene
alle persone con cui lavora. Mi sembra invece
che si è diventati più esperti nel soddisfare quelli che ci stanno sopra piuttosto che nel capire
quelli che ci stanno sotto. Io credo che un capo
del personale – una volta capito quello che vogliono quelli che stanno sopra – per fare bene il
suo mestiere, debba appunto preoccuparsi più
di quelli che stanno sotto.
Questo aiuta a risolvere un sacco di problemi,
al di là delle competenze che uno ha. Fare questo
comporta un sacrificio in termini di tempo dedicato. E il tempo manca a tutti, o almeno così
sembra. L’innovazione sembra che bruci il tempo,
POLITICA E DIRITTO
DI ISABELLA COVILI FAGGIOLI / PRESIDENTE NAZIONALE AIDP
SOCIO ONORARIO AIDP
Il momento altissimo del riconoscimento a Socio Onorario AIDP di Pier Luigi Celli,
Enzo Spaltro e Giuseppe Varchetta ci ha regalato pensieri e sollecitazioni che
da sole valgono il Congresso. Sono molto orgogliosa. La standing ovation e i 10
minuti di applausi hanno commosso di affetto più di un partecipante, per questi
maestri che ci onorano, ma soprattutto di gratitudine per quello che ci hanno dato
e che ci continuano a dare. È merito del loro pensiero se continuiamo a crescere
individualmente e come categoria. E, grazie alla loro vicinanza e all’entusiasmo
con cui hanno accolto il nostro riconoscimento, AIDP è un punto di riferimento
indiscusso.
quando invece dovrebbe consentirci di disporne
di più. La mattina, siamo già in ritardo! È una
sensazione che ci accompagna sempre e che non
ci consente di recuperare uno spazio fondamentale: l’attesa. Ovvero la capacità di riflettere, di
perdere quel tempo necessario per guadagnarlo
nel medio-lungo termine.
Questo è un altro dei paradossi che ha di fronte il capo del personale, perché le aziende ormai
sono organizzate per gestire solo le aspettative
delle persone. L’attesa è diventata una perdita di
tempo. Campiamo tutti di aspettative. Ma se non
c’è la capacità di attendere, di educare all’attesa...
avere solo delle aspettative è un fatto enormemente
egoistico, individualistico, personale che non porta
quasi mai bene alle aziende nel loro complesso.
La seconda considerazione credo sia ancora più
difficile da maneggiare. C’è all’interno delle nostre
organizzazioni un eccesso di sofferenza delle persone (che porta anche ad ammalarsi) che deriva
dal fatto fondamentale che si chiede flessibilità e
adattamento, mentre le organizzazioni tendono
ad essere rigide e gerarchiche. Come facciamo
a conciliare la flessibilità delle persone e la
gerarchia delle procedure che le ingabbiano?
Capisco che l’organizzazione rigida salva e tutela la gerarchia ma credo che i nuovi mestieri,
le nuove tecnologie e i nuovi tipi di sfide che
abbiamo davanti se richiedono flessibilità non
possono richiederla solo alle persone ma anche
alle strutture, alle organizzazioni e quindi anche
a quelli che comandano che in qualche modo
hanno, nella linea gerarchica, tutelata o ipertutelata la possibilità di mettersi al riparo da
quanto succede, più di quanto non mettano al
riparo quelli che lavorano con loro. n
“Le HR non
hanno confini,
scrivanie o uffici.
Hanno i pattini,
per poter essere
dappertutto”
G. Varchetta
GIUSEPPE VARCHETTA
Il paradosso che riguarda l’HR è come conciliare
l’uno, la specificità, la differenza, la soggettività, la
peculiarità in una unità. Queste differenze hanno
diritto a una casa comune, e spetta al direttore HR
costruirla. È una conquista della post-modernità.
Propongo una piccola idea che ci può aiutare:
la differenza tra sostanza e intensità. Le sostanze
hanno confini, cartografie, topologie molto precise.
Il marketing, le vendite, la produzione, la logistica
ottimizzata, la finanza, sono sostanze. La direzione
del personale è un’intensità: non ha un ufficio,
non ha una scrivania, ha i pattini, va in giro per
l’azienda e regala a tutti tensione, intensità, amore
e cura. Non c’è nulla di paradossale e non c’è nulla
di retorico. È estremamente operativo non avere
un ufficio, non avere una scrivania e avere i pattini,
non avere dei confini, non aver un punto sulla carta
geografica ma essere ovunque.
Vi faccio un augurio dunque: smettetela di essere
quelli delle risorse umane e, come ha detto Spaltro,
tornate ad essere quelli delle relazioni umane! n
39
reportagedelcongresso
AIDP AWARD 2016
PREMIATE 7 AZIENDE
CHE SCOMMETTONO
SU PERSONE E LAVORO!
H
A cura di Sonia Rausa
Responsabile Comunicazione AIDP
R AGILITY è la parola chiave che AIDP
ha proposto quest’anno alle Direzioni del
Personale come esercizio di sfida. Il round
finale e la premiazione si sono svolti nella
seconda giornata congressuale, il 28 maggio scorso. Obiettivo e spirito del concorso: condividere,
raccontare e promuovere la professione (anche al di fuori
dell’ambito HR), attraverso i suoi esempi più belli e suggestivi. Le schede progetto, le interviste ai vincitori, e tutto
su AIDP AWARD sono disponibili sul sito dell’Associazione,
nella sezione degli Atti Congressuali. Di seguito la sintesi dei
progetti premiati e i commenti dei protagonisti.
“In quest’epoca contrassegnata dalla digital transformation
le donne e gli uomini del Personale hanno una nuova sfida
da affrontare: comprendere, immaginare e governare
le implicazioni di un cambiamento della società, del
business e delle persone a cui viene chiesta agilità
organizzativa. E la responsabilità di prendersi cura e
accompagnare le persone allenandole a tutto questo, a
modelli di business inusuali, alle possibilità offerte dalla
tecnologia” – Gabriele Gabrielli, Presidente Commissione
AIDP Award – “Pensiamo a un’agilità sapiente, che si ottiene
facendo lavorare molti muscoli, alcuni più intensamente
che nel passato per sfruttarne elasticità e resilienza”.
Premio speciale della Giuria per la PA
Innovazione e sviluppo dell’Organizzazione
Comune di Bologna
1° classificato
FlexAbility 3M Italia
2° classificato
One week in your shoes Koelliker
3° classificato
APP Però Puro
4° classificati (ex aequo)
• HCC Human Capital Coverage ERG
• Workday Sanofi
• “Organized” Business Transformation Sirti
COMMISSIONE
DI VALUTAZIONE
Gabriele Gabrielli
Docente Università
LUISS Guido Carli
e Presidente Fondazione
Lavoroperlapersona
Gustavo Bracco
Coordinatore Comitato
Scientifico Nazionale AIDP
e Senior Advisor Risorse
Umane Pirelli
Enrico Cazzulani
Segretario Generale AIDP
e Partner Arethusa
Roberto Ferrari
Senior Partner ISMO
Alessio Tanganelli
Regional Director Spain, Italy,
Brazil, Top Employers Institute
41
reportagedelcongresso
39
grandi aziende
in gioco
7
5 2
commissari
gradi di giudizio la Giuria
di esperti e la comunità HR
convenuta al Congresso
progetti premiati
1
1
premio speciale della Giuria
per il miglior progetto in ambito
PA al Comune di Bologna
parola chiave:
HR Agility
PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA PER LA PA
INNOVAZIONE E SVILUPPO DELL’ORGANIZZAZIONE
COMUNE DI BOLOGNA
In un contesto in cui occorre “fare di più con meno” (spending review, norme sulla semplificazione e dematerializzazione di procedure…) si è favorita la crescita dell’efficienza
ed efficacia dell’amministrazione applicando la metodologia
della partecipazione, con un modello di leadership basato
sulla centralità della ‘relazione’ e del ‘co-sviluppo’, inco-
raggiando in modo innovativo le persone a partecipare alle
attività di miglioramento (social intranet, cantieri dell’innovazione, carta dei valori, sistema di misurazione e valutazione della performance…). Investendo in un percorso
partecipato di sviluppo del benessere organizzativo
in cui i protagonisti sono tutte le Persone dell’Ente.
“Nel 2011 sono stati bloccati i contratti dei dipendenti pubblici, le progressioni di carriera e posto un limite al tetto della premialità. Avevamo meno risorse, meno persone, sempre più anziane, e cittadini con
bisogni crescenti. Dovevamo scegliere se giocare in difesa o se andare in direzione ostinata e contraria. La
decisione è stata facile. Le parole chiave erano chiare dall’inizio: coinvolgere - ascoltare - partecipare. Volevamo migliorare i processi organizzativi e quindi i servizi ai cittadini utilizzando
le idee delle persone. Abbiamo scommesso sulle persone:
• mettendo le loro competenze a servizio dell’organizzazione con i Laboratori di Miglioramento;
• rendendole i primi attori del cambiamento con la creazione della rete degli Agenti del Cambiamento;
• costruendo la Carta dei Valori con un cantiere di discussione e confronto;
• rilevando il Benessere Organizzativo con la definizione partecipata del questionario e delle azioni
di miglioramento;
• pianificando una comunicazione interna che facilita la creazione, lo scambio, la
condivisione di informazioni, conoscenze, valori;
• sostenendo le persone più fragili e in difficoltà con l’ascolto e l’attività di mediazione della rete dei Consiglieri di Fiducia”.
Mariagrazia Bonzagni
Capo Area Personale e Organizzazione Comune di Bologna
42
1° PREMIO
FLEXABILITY 3M ITALIA
È un modello di gestione dell’organizzazione che inserisce nuove forme di flessibilità e nuove tipologie di lavoro
(es. remote working, aspettativa non retribuita di lunga
durata). Le persone possono gestire il proprio tempo nella
maniera più produttiva, con strumenti semplici e accessibili, bilanciando vita privata e lavorativa.
“Il modello FlexAbility reputa importante tutto ciò che va a toccare il piano personale, emotivo e
sociale. Richiede inoltre la responsabilizzazione di tutti i supervisori e i dipendenti. Tutto ciò si sviluppa in un contesto che lavora sempre più in una matrice internazionale, fluida e in trasformazione,
comunque molto attenta alle persone.
Ci siamo concentrati, tra gli altri, sugli aspetti di gestione dell’orario di lavoro e di modalità della
prestazione lavorativa, introducendo alcune importanti innovazioni, tra cui:
FlexTime: no timbratura per i Quadri. Massima flessibilità giornaliera per i non Quadri (con
presenza minima di 3 ore). RemoteWorking: possibilità di lavorare in maniera personalizzata
da qualunque luogo senza restrizioni! Holiday Purchase: possibilità di “acquistare” fino a due
settimane aggiuntive di ferie. Career break: aspettativa non retribuita di lunga durata. Questi
strumenti si aggiungono al telelavoro già in uso in azienda per alcune fasce della popolazione
aziendale.
Nel riconoscere flessibilità, l’azienda pone inoltre particolare attenzione alle persone con problemi personali e alle neomamme (es. progetto
Moms & Maternity). Ulteriore elemento di innovazione è che FlexAbility è diventata per tutti argomento di cui parlare nell’ambito della
valutazione della performance del dipendente”.
Gianluca Liotta
Country Head HR and Legal Affairs 3M Italia
2° PREMIO
ONE WEEK IN YOUR SHOES KOELLIKER
Le persone sono state chiamate (per una settimana) a vestire
i panni degli altri, scambiandosi di ruolo. Ampi i risultati
a cascata: aumento del rispetto e della comprensione del
lavoro altrui, della fiducia reciproca, del problem solving,
della collaborazione e del lavoro di squadra.
“L’intuizione è innovativa quanto banale: solo mettendosi nei panni degli altri si può capire, entrare
in sintonia, smontare i preconcetti. Tanto banale che non si fa. E allora ci pensano quei matti dell’HR
che … con gentile ma ferma imposizione lo mettono in pratica.
E ciò che accade, alla fine, ha del sorprendente. Canali di comunicazione che si spalancano, amicizie
che nascono, la voglia di aiutarsi che sorge spontanea. Si comprende il motivo di alcune risposte o
non risposte del collega, i picchi e le difficoltà, che il lavoro degli altri è non meno complicato del
proprio, il front office inoltra le proprie richieste sapendo cosa comportano per chi “sta dentro”.
I capi apprezzano di più i collaboratori, e questi si rendono conto che le giornate dei capi sono
da mal di testa”.
Marta Signore
Direttore Risorse Umane e Organizzazione
Gruppo Koelliker
43
reportagedelcongresso
3° PREMIO
APP PERÒ PURO
La Direzione Risorse Umane offre una serie di risposte
concrete “smart” ai dipendenti relative allo sviluppo di
carriera e ai servizi di welfare premiando i comportamenti
virtuosi e attenti alle tematiche ambientali e alla mobilità
sostenibile (pool-car/APP wecity), coerenti con la mission
e la tipologia dei prodotti aziendali. I dipendenti fruiscono dei servizi con APP e smartphone, con leggerezza,
agilità e simpatia.
“Mi chiamo Rachele, sono pugliese ed ho 36 anni. Dal 7 gennaio 2016 sono HR Manager di PURO
SPA. Il progetto APP Però è una delle più importanti scommesse della mia vita. Al momento
dell’assunzione, Aurelio Goldoni, titolare e fondatore dell’Azienda, mostrandomi un foglio bianco,
mi disse: «Lo vede questo foglio? Questa e la situazione delle Risorse Umane da noi. Questo foglio
lo deve riempire Lei». Mi sono chiesta allora, cosa posso fare nei primi 60 giorni per dare subito un
senso al mio ruolo in questa Azienda? Il primo obiettivo è stato quello di far capire alle persone
quanto erano importanti e che l’Azienda contava su di loro. È venuto facile, così, pensare cosa loro
avrebbero gradito oltre all’attenzione dell’Azienda nei loro confronti. Sono partita dai prodotti
che fa la PURO e dal mondo degli Iphone e delle APP, ovviamente a tutti familiari, insieme a uno
studio sui dipendenti (che avevano le “batterie scariche”). Da qui è nato il
progetto APP Però e la costruzione di una serie di APP e servizi per
loro che potete vedere sparando il QR Code qui sotto”.
Rachele Monaco
HR Manager PURO
4° PREMIO EX AEQUO
HCC HUMAN CAPITAL COVERAGE ERG
Il progetto sviluppa uno strumento in grado di fornire una
misurazione del rendimento del capitale umano, legittimando l’azione HR nella logica dell’investimento e non
del costo. HCC genera un algoritmo di calcolo utile per la
44
misurazione degli intangibili: una chiave di volta nella
gestione finanziaria di ogni azienda e uno strumento per
introdurre nei bilanci aziendali il valore del capitale umano.
“Diciamo la verità: quante volte, nei consigli di amministrazione o nei comitati di direzione, ci siamo
sentiti in condizione di inferiorità davanti agli approcci (pseudo) quantitativi delle altre direzioni
aziendali? Combattere ad armi pari. Per portare la Direzione del Personale sempre nel cuore
dei meccanismi decisionali dell’Azienda. È questa l’istanza fondamentale alla base del progetto
HCC del Gruppo ERG.
Il progetto è partito con la fotografia dei 147 ruoli organizzativi e delle 362 Skills necessarie per
la loro copertura. Si è quindi passati a definire i profili di competenza target poi, con l’assessment
a definire il livello di copertura di ogni posizione e il gap esistente tra profilo atteso e agito. Si è
quindi definito un algoritmo di calcolo che ha generato come risultato il livello di copertura individuale e per ogni unità organizzativa in termini di punteggio assoluto
e percentuale da rapportare al Costo del Lavoro. Il progetto ha
avuto una rilevanza strategica nell’ambito del processo di
business turnaround del Gruppo ERG che si è trasformato da
azienda OIL a primario operatore della CleanTech industry.
Il logo HCC è stato registrato presso l’Ufficio Italiano Marchi
e Brevetti”.
Alberto Fusi
Chief Human Capital Officer ERG
4° PREMIO EX AEQUO
WORKDAY SANOFI
La digital & social transformation è il volano per promuovere il cambiamento culturale ed organizzativo. Agisce sui
processi, sulle competenze e sulla passione dei singoli per
costruire team efficaci e allenare o reclutare abilità professionali specialmente in area digital, proponendo pratiche più
aperte e trasparenti fondate su condivisione, reputazione
e forte collaborazione. Molteplici gli interventi: webinar,
open session, training, social academy, assessment... che
hanno coinvolto circa 110.000 dipendenti Sanofi nel mondo.
“L’obiettivo è quello di migliorare gli standard e la qualità di vita dei pazienti, ma anche diventare un polo di attrazione per talenti, dove le persone possano mettere a frutto il proprio
talento e sviluppare le proprie competenze. Questa trasformazione culturale dell’organizzazione
richiede, da parte dei dipendenti, un rafforzamento dei team e una maggior collaborazione trasversale. Servono le persone giuste al posto giusto e un sistema di gestione che possa aiutare l’azienda
a valorizzare al meglio le proprie risorse, per condividere e mettere a fattor comune competenze e
aspettative in modo più efficiente. Workday rappresenta la risposta delle Risorse Umane a questa
necessità di innovazione: una piattaforma web dedicata ai dipendenti, con una connotazione
attuale e intuitiva, in grado di coinvolgere e ingaggiare le persone nella sfida quotidiana al
miglioramento di qualità ed efficienza“.
Laura Bruno
Direttore HR Italia Malta Sanofi
4° PREMIO EX AEQUO
“ORGANIZED” BUSINESS TRANSFORMATION SIRTI
Il programma di Sirti, azienda leader nel mercato delle infrastrutture TLC, lavora sull’identità organizzativa
aziendale, in linea con il Piano Strategico. Da un lato, un
“incubatore” di progetti innovativi fa evolvere i modelli di
funzionamento interni (organizzazione, processi e sistemi)
in logica agile e lean. Dall’altro lato, percorsi di empowerment e di rafforzamento delle competenze massimizzano
il contributo delle risorse alla realizzazione della trasformazione aziendale in termini di efficacia.
“Organized Business Transformation è una piattaforma che lavora sull’identità organizzativa
aziendale, agendo sulla trasformazione del modello di funzionamento interno e sullo sviluppo
continuo delle competenze distintive. Il programma opera su due direttrici:
• Transformation Management System: guidato da HR, un team multifunzionale che implementa
soluzioni evolutive e misurabili attraverso l’analisi delle organizzazioni e dei relativi processi di
lavoro. I risultati ottenuti in termini di semplificazione dei processi di supporto (approccio lean) e
di incremento di efficacia e produttività dei processi core, portano benefici tangibili all’azienda.
Queste success story sono fonte di ispirazione e alimentano il ciclo stesso della trasformazione
perché infondono nelle risorse consapevolezza ed engagement.
• Performance Journey: un percorso di empowerment delle risorse e di rafforzamento delle
competenze. Un solido sistema professionale abilita percorsi formativi
integrati, con benefici diretti in termini di rapido e
mirato sviluppo di competenze, nonché di contributo
attivo alle iniziative di trasformazione”.
Clemente Perrone
Vice President, Head of Organization
& Transformation Dept Sirti
45
reportagedelcongresso
GESTIRE IL CAMBIAMENTO
SENZA LASCIARE
INDIETRO NESSUNO
CEO E HR A CONFRONTO
La centralità delle persone è il leitmotiv della retorica
manageriale e un mantra buono per ogni occasione.
Intorno a questo tema abbiamo chiesto a CEO ed HRM
di confrontarsi in modo molto concreto, tra il dire e il fare.
Molte le convergenze e tre le principali criticità emerse
di Enrico Sassoon
Enrico Sassoon
Direttore
Responsabile,
Harvard Business
Review Italia
N
{
on lasciare indietro nessuno. Se si vuole sintetizzare in una frase,
in un concetto, quanto è emerso nel dibattito tra Ceo e direttori
HR al recente Congresso AIDP di Bari, possiamo scegliere proprio
questa idea centrale, espressa in modi diversi e a fronte di problematiche differenti. Il tema del dibattito è stato La centralità della persona. Tra il dire e il fare...
E una realtà è risultata evidente: in un periodo
che assomma una crisi economica strisciante e un
cambiamento tecnologico in continua accelerazione, le persone fanno sempre più la differenza.
Non solo i talenti, le rising star, gli alti potenziali,
ma ogni persona perché ciascuno, a suo modo,
ha dentro un talento e compito del management,
specie dei direttori HR, è quello di creare lo spazio
affinché emerga e si possa esprimere.
Certo, come dice il titolo della tavola rotonda,
tra affermare questo obiettivo e realizzarlo c’è un
mare di cose da fare e di politiche da inventare e
realizzare. Che non dipendono solo dalla capacità
dei responsabili delle risorse umane, ma anche
dalle persone stesse, singolarmente prese, dal
sistema educativo e di formazione e, in definitiva,
da tutto il sistema-Paese che ci circonda.
1) Nel corso del Congresso di Bari un aspetto è
risultato evidente: il cambiamento è la regola, il
new normal, ed è sempre più rapido. Le compe-
46
tenze richieste cambiano e difficilmente quelle
acquisite nel periodo canonico dell’istruzione e
della formazione reggono per tempi lunghi. Anzi,
occorre abituarsi a un nuovo ritmo che preveda
fin dall’inizio l’alternanza di periodi di formazione e periodi di lavoro. Organizzare questa
alternanza è una sfida, ma può essere vinta a
patto che ogni persona sfidi se stessa, investa
sulla propria formazione e sull’evoluzione delle
proprie competenze. In questo aiutata dall’azienda ma anche dal sistema-Paese. E a questo
proposito va rilevata una criticità: le norme
per far funzionare le politiche attive del lavoro, previste dal Jobs Act, non sono ancora
disponibili e tutto il meccanismo permane
bloccato, rendendo arduo portare avanti l’idea dell’alternanza, dell’aggiornamento delle
competenze e la stessa permanenza in azienda
di persone che si avvicinano al termine della
loro vita professionale.
2) La seconda criticità è proprio quest’ultima.
I direttori HR, anche se collaborano nel modo
migliore con il vertice aziendale, devono gestire
una situazione nella quale le risorse disponibili di norma si contraggono, il numero di
dipendenti va ridimensionato, mentre occorre
fare spazio ai giovani e nel contempo curare
la prolungata presenza e attività di senior
la cui età pensionabile tende ad allungarsi.
Un’equazione che ha molte variabili, talvolta
troppe, e che si può risolvere solo se esiste un
contesto interno ed esterno che lo favorisca. Una
formula unica – è emerso con evidenza dalla discussione fra i direttori HR e i Ceo – non esiste.
Ogni azienda fa storia a sé, perché diversi sono il
modello di business, la fase attraversata, il tipo
di concorrenza, il settore e la dimensione. Le
costanti però esistono e riconoscerle può aiutare.
In primo luogo occorre riuscire a “dare un senso”
alle persone, ingaggiarle, motivarle, consentire loro di riconoscere e condividere la visione
e l’obiettivo dell’azienda e di coniugarli con il
proprio “sogno” personale. Imperativo, come si
diceva prima, non isolare il gruppo di testa, ma
portare avanti tutti, o il numero più alto possibile. Il gap generazionale esiste e non ci si può
girare attorno. Oggi, quasi ovunque, convivono
quattro generazioni e il tema della trasmissione
delle conoscenze è reale e attuale. Ma se occorre
che i senior restino focalizzati e motivati, e assumano un orientamento da mentore nei confronti
dei giovani, va oggi concepito e praticato anche
un reverse mentoring, dove i giovani portino la
flessibilità di una visione del mondo non ancora
Alla tavola rotonda
su La centralità
della persona:
tra il dire e il fare...
coordinata da Enrico
Sassoon (nella foto in piedi)
hanno partecipato:
Bernardo Quaranta
Responsabile Personale
e Organizzazione Enel Italia,
Laura Bruno Direttore HR
Italia Malta Sanofi,
Francesca Pasinelli
Direttore Generale
Fondazione Telethon
e Mauro Sirani Fornasini
Amministratore Delegato
Philip Morris Manufacturing
& Technology Bologna.
ingessata dall’esperienza e trasmettano le loro
capacità digitali avanzate a generazioni che, oggettivamente, fanno più fatica a impadronirsene.
L’azienda, i direttori HR, possono predisporre il
contesto in cui questo si verifichi, ma una volta
di più occorre un orientamento coerente delle
persone e della società nel suo complesso verso
l’obiettivo.
3) Una terza criticità va tenuta sempre presente,
ed è legata all’evoluzione della tecnologia. Il
mondo sta cambiando sempre più velocemente
e il primo motore è la tecnologia e, tra le tecnologie, a condurre la danza è la digitalizzazione
sempre più spinta che, a passi da gigante, ci sta
portando verso un mondo nuovo in cui le macchine saranno sempre più capaci e autonome e in
cui l’intelligenza artificiale si avvicinerà sempre
più a quella umana. Le implicazioni di tutto ciò
per le aziende e le persone sono formidabili, in
parte positive e in parte, probabilmente, molto
problematiche. Soffermandoci sulle seconde, non
possiamo nasconderci che già dalle prime fasi
la rivoluzione informatica ha fatto pagare un
alto prezzo in termini di posti di lavoro. I benefici della tecnologia sono immensi e ci hanno
cambiato il modo di vivere e di lavorare. Ma
non possiamo ignorare che, anche più che in
passato, molte tecnologie sono labour saving, e
che il progredire della digitalizzazione porterà
le macchine ad affiancare in misura crescente il
lavoro intellettuale, in molti casi rimpiazzandolo.
È quanto già succede in diversi ambiti (fiscale,
amministrativo, legale, medico) ed è destinato a
estendersi. Anche in questo caso i responsabili
delle risorse umane si troveranno in prima fila
ad affrontare in modo creativo problematiche
formidabili nel più generale ambito di cambiamento che ci riguarderà tutti. n
47
reportagedelcongresso
IL LAVORO
CONTRATTATO
Da dicembre i metalmeccanici non hanno un contratto,
che riguarda 1,6 milioni di lavoratori. Mentre chiudiamo
il numero, continuano le mobilitazioni sindacali. E un accordo
sembra sempre più lontano. Un buon contratto è possibile?
di Massimo Mascini
Massimo Mascini
Direttore della
rivista on line
Il diario
del Lavoro
I
{
l contratto dei metalmeccanici si può, anzi si deve rinnovare. Un accordo
è difficile, ma si deve raggiungere non un accordo qualsiasi, ma un buon
accordo, che vada incontro alle esigenze delle imprese e dei lavoratori. E
se poi non ci si dovesse riuscire, beh, non sarebbe un danno irrisolvibile, si vive
anche senza il contratto nazionale.
È questo il succo della tavola rotonda Il lavoro
contrattato emerso al Congresso di AIDP a Bari
il 28 maggio. Un confronto difficile, per i temi
che venivano trattati e per il momento in cui si
svolgeva, otto mesi dopo l’avvio delle trattative
per il contratto dei metalmeccanici senza che si
intraveda la possibilità di un’intesa. Ma Stefano
Franchi, il Direttore Generale di Federmeccanica,
è stato chiaro, incisivo.
“Noi” - ha detto - “vogliamo rinnovare il contratto nazionale, perché riteniamo che sia uno
strumento importante di gestione delle aziende, ma abbiamo un obiettivo alto, questo nuovo rinnovo contrattuale, anzi questo contratto
rinnovato deve fissare dei minimi salariali al di
sotto dei quali non deve scendere la retribuzione,
ma ogni crescita del salario reale deve essere
demandata alle trattative in azienda, perché
si distribuisca ricchezza solo dopo che la si
è prodotta”.
Hanno le loro ragioni gli industriali metalmec-
48
canici a ragionare così. In questi anni la crisi si
è mangiata 300mila posti di lavoro e il 25% della
capacità produttiva. “Siamo alle macerie” - ha detto Franchi – “e non possiamo non tenerne conto.
Dare soldi in più ai lavoratori, sì, ma solo dove
si produce e se si produce ricchezza”.
Un cambiamento importante, ma profondo,
delle relazioni industriali, di fronte al quale Paolo
Pirani, Segretario Generale UILTEC - UIL, non si
è tirato indietro. “È possibile – ha detto – puntare
molto di più sulla contrattazione aziendale. Noi
crediamo molto nella contrattazione aziendale e in
quella territoriale per raggiungere le aziende più
piccole. Ma non si può abbandonare il livello di
contrattazione nazionale, è lì che si deve stabilire
l’equa remunerazione. I lavoratori sono pronti a
collaborare con le imprese per una crescita della
produttività, lo hanno sempre fatto, ma non dipende da loro la crescita della produttività o non
dipende solo da loro”. E allora va bene riscoprire
la dimensione aziendale e farla crescere, ma senza dimenticare il ruolo del contratto nazionale.
Il punto è che non bisogna innamorarsi delle
formule. Gustavo Bracco, Senior Advisor Human
Resources in Pirelli, ha giustamente sottolineato
che “si vive anche senza il contratto nazionale,
ma allo stesso modo non è indispensabile contrattare in azienda. Se si fa, e se è utile, va bene,
altrimenti si va avanti senza. Molto dipende dal
livello di partecipazione: dove è alto trattare diventa importante e utile, dove non c’è può essere
dannoso trattare per forza in azienda”.
Lo stesso consiglio che ha lanciato Cesare
Stefano Ranieri, Direttore Risorse Umane, Organizzazione e Sistemi di Ilva. “Non so” – ha detto
– “se il sindacato sia utile o no all’azienda, ma
cerchiamo di usarlo. Io gestisco un’azienda in
amministrazione controllata e non è facile, ma
dal sindacato ho avuto un aiuto molto importante.
Come avremmo mai potuto gestire la sicurezza
in questi mesi senza la collaborazione dei sindacati? Se si riesce a realizzare una loro vera
corresponsabilizzazione sui problemi dell’azienda
il risultato non può che essere positivo per tutti,
per l’azienda e per i lavoratori”.
Ma cosa accadrebbe davvero se non si dovesse rinnovare il contratto dei metalmeccanici?
Alla tavola rotonda su
Il lavoro contrattato
condotta da Massimo
Mascini (in piedi)
hanno partecipato:
Gustavo Bracco
Senior Advisor Human
Resources Pirelli
Stefano Franchi
Direttore Generale
Federmeccanica
Paolo Pirani
Segretario Generale
UILTEC - UIL
Cesare Stefano Ranieri
Direttore Risorse Umane,
Organizzazione
e Sistemi ILVA.
Le aziende sembrano avere una carta di riserva. Se cedono le relazioni industriali, infatti, si
può sempre dare più spazio alle relazioni dirette,
quelle tra l’impresa e i lavoratori, senza il tramite
dei sindacati.
È una strada percorribile? O si rischia di cadere
negli stessi errori compiuti dalla politica: i partiti
politici infatti sono caduti, ma il rapporto diretto
tra il leader e gli elettori non sembra aver dato
buoni frutti se la partecipazione al voto è drammaticamente calata ovunque ed è salito il numero
di chi, anche alla vigilia di elezioni importanti,
non sa chi votare, sintomo di scarsa sensibilità
e attaccamento al sentire politico. Ma Franchi
assicura che non esiste un pericolo del genere.
“Le relazioni dirette sono sempre esistite” – ha
detto – “non rappresentano qualcosa che si contrapponga alle relazioni sindacali. Sono due gambe
dello stesso tavolo. E proprio perché sono davanti
a un momento difficile, soprattutto con in vista
l’appuntamento, che può essere determinante,
con Industry 4.0, le imprese devono rafforzare
il loro rapporto con i lavoratori”.
Gustavo Bracco ne è certo. “Non saprei se
si tratti di vasi comunicanti, per cui, se cadono
quelle sindacali, crescono le relazioni dirette. Ma
so che avere un rapporto forte con i lavoratori,
comunicare con loro in maniera ampia e anche
diversa dal passato non è mai una cosa che si
fa contro il sindacato, sono due strumenti per
gestire al meglio le aziende”. n
49
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reportagedelcongresso
POLITICHE ATTIVE
DEL LAVORO
Il Jobs Act sposta il focus dalle tutele del posto di lavoro
alle tutele del mercato. In questa prospettiva l’assenza o
l’inefficienza di politiche attive pesa fortemente. Facciamo
il punto partendo dalla scommessa dell’ANPAL riprendendo
l’intervista di Maria Cristina Origlia, Direttore Editoriale
L’Impresa a Salvatore Pirrone, DG Ministero del Lavoro
a cura della Redazione – [email protected]
Il Jobs Act segna una svolta nel diritto del lavoro:
si passa dal concetto dell’occupazione all’employability. Il che significa che le persone si devono attivare e responsabilizzare nella ricerca dell’impiego
e soprattutto del re-impiego, ma significa anche
assicurare un percorso fattibile, accettabile, che
non si trasformi in una procedura burocratica senza
fine e senza successo. L’ANPAL, in questo, gioca
un ruolo centrale: è il perno di tutte le politiche
attive della riforma. Sorvoliamo sui ritardi, quando saremo pronti? E a cosa state lavorando oggi?
«La creazione dell’Agenzia sta prendendo più tempo del previsto. Questo perché è un processo che
ha un impatto rilevante sulle istituzioni e anche
sulle vite delle persone, nel senso che persone che
oggi lavorano presso alcune istituzioni (come il
Ministero del Lavoro o l’ISFOL), saranno trasferite
all’Agenzia. È chiaro che processi di questo tipo
richiedano un po‘ di tempo.
È anche vero che le procedure amministrative non sono sempre le più rapide, per esempio si
tende a far partire le istituzioni con l’apertura di
un nuovo anno, così non si sconvolgono i bilanci.
Provate a pensare se, per un processo di fusione o
di scorporo di un’azienda, si dovesse procedere in
questo modo, attendendo l’inizio anno...
Attualmente siamo solo in due nell’ANPAL,
il Presidente e il sottoscritto, che fa il Direttore
Generale. Verosimilmente, entro la pausa estiva,
potremmo definire i decreti di trasferimento del
personale, poi, per le ragioni spiegate prima, il
personale passerà a gennaio 2017, ma potremo
già iniziare ad operare avvalendoci di strutture
del Ministero e della collaborazione dell’ISFOL.
La riforma sulle politiche attive – il decreto legislativo 150 – che tra l’altro è stata segnalata dalla
Commissione Europea più e più volte come una
riforma necessaria per il nostro Paese, è complessa
e probabilmente, tra tutte quelle che compongono
il Jobs Act, è quella che ha più bisogno di implementazione.
Stiamo ora lavorando in varie direzioni:
1. stiamo cercando di potenziare la rete dei
servizi sul territorio. Stiamo discutendo con le
Regioni – un dialogo complesso anche politicamente
– un piano di rafforzamento delle politiche attive
per cercare di mettere a supporto di questa riforma
quanto meno le risorse della programmazione dei
fondi strutturali.
2. Credo poi che si debba ragionare su servizi
innovativi e online che consentano ai lavoratori
più pronti e abili di operare con nuove strumentazioni, aumentando un po’ il passo, deflazionando
anche l’afflusso ai centri per l’impiego.
3. In Germania l’agenzia federale per il lavoro ha
100.000 dipendenti, è vero che svolge un pezzo ➤
51
reportagedelcongresso
L’ANPAL
L’Agenzia Nazionale per le Politiche Attive
del Lavoro nasce ufficialmente sulla
Gazzetta Ufficiale con la pubblicazione
del decreto n. 108 del Presidente della
Repubblica del 26 maggio 2016 che
ne regola attività e funzionamento.
L’ANPAL, istituita dal Ministero del Lavoro
con un decreto nel settembre 2015, è una
delle riforme previste nell’ambito del Jobs
Act, e dal 6 luglio 2016 ha cominciato la
sua attività autonoma ponendosi l’obiettivo
di dare un senso nuovo e attuale alla parola
‘collocamento’, grazie a politiche mirate
anzitutto alla riduzione dei tempi
di reimpiego dei lavoratori rimasti
disoccupati, con la Naspi.
L’ANPAL coordina la nuova Rete Nazionale
dei Servizi per le Politiche Attive del Territorio
e coinvolge i principali enti impegnati
nell’erogazione degli ammortizzatori sociali,
come INPS, INAIL, le Camere
di Commercio, ma anche soggetti operanti
come intermediatori nel mondo del lavoro,
quali scuole e università. Fra i suoi compiti
quello di stabilire i programmi delle politiche
attive, finanziati dall’FSE, supervisionare
la Rete Nazionale, archiviare tutti i fascicoli
personali dei lavoratori e tenere un albo
delle agenzie private del lavoro.
di lavoro che da noi fa l’INPS, cioè l’erogazione delle
indennità di disoccupazione, però, se la confrontiamo con gli 8.700 dipendenti dei nostri centri per
l’impiego, emerge immediatamente una carenza.
Quindi dobbiamo sicuramente mobilitare i soggetti
privati, le agenzie per il lavoro, e in quest’ottica
l’assegno di ricollocazione è la chiave».
I centri per l’impiego, fino ad oggi, hanno dimostrato una larga inefficienza (collocando meno del
5%, secondo i dati ufficiali). Lei crede che possano
diventare delle strutture efficienti nel giro di 6 mesi?
«Abbiamo due questioni: un problema e un’opportunità. Il problema è che sono effettivamente
abbastanza malmessi e, soprattutto, sono molto
disomogenei sul territorio. Siamo probabilmente il
Paese più in ritardo da questo punto di vista. L’opportunità: abbiamo grandissimi margini di miglioramento e moltissimi esempi virtuosi in Europa e
nel mondo a cui ispirarci. Mi conforta che possiamo
52
attingere dal patrimonio di altri paesi che potranno
farci da guida. A livello europeo, ad esempio, esiste
un network dei capi dei servizi per l’impiego - di
cui facciamo parte - che è un circolo prezioso di
scambio di informazioni e buone pratiche e che
ha coniato un neologismo, il benchlearning, un
incrocio tra benchmarketing e mutual learning.
Abbiamo già creato dei gruppi di lavoro a livello
nazionale, uno di questi, per esempio, finalizzato a
standardizzare le procedure dei centri per l’impiego
e quelle della profilazione dell’utenza. In questo
caso ci avvarremo della collaborazione dei colleghi
tedeschi che ci affiancheranno nello sviluppo».
Dal confronto con le altre esperienze europee, emerge che un punto in particolare ha giocato contro il
buon funzionamento dei nostri centri per l’impiego:
la mancanza di valutazioni di performance. Altro
elemento che funziona molto bene, soprattutto
nei Paesi del nord Europa, sono le sanzioni nei
confronti di uffici e persone inadempienti. Pensa
che potrebbero essere introdotte anche da noi, in
futuro?
«Quello che è mancato fino ad oggi, dal mio punto
di vista, è stata soprattutto una strategia nazionale
per le politiche attive. Le amministrazioni centrali
quando nel ‘97-‘99 hanno decentrato la materia,
che poi con la riforma costituzionale del 2001 è
diventata di competenza concorrente, si sono in
qualche modo spogliate dell’onere di identificare
una strategia. Nell’assenza di una strategia di standardizzazione di processi è evidente che mancano
le basi per mettere insieme i dati e confrontare le
performance.
Credo che il primo passo sarà quello di unificare
le banche dati e i sistemi informativi. Soltanto
così potremo mettere in comparazione e, in qualche modo, anche in competizione virtuosa i vari
territori. Assegnando a ciascuno degli obiettivi
che siano raggiungibili e insieme differenziati da
territorio a territorio. Tutto questo ha delle premesse nel decreto legislativo 150 ed è quello che
effettivamente dobbiamo fare.
C’è un altro aspetto molto rilevante della riforma relativo alle sanzioni – che merita la massima
attenzione –, la cosiddetta condizionalità, cioè la
verifica dell’attivazione da parte dei lavoratori che
ricevono prestazioni a sostegno del reddito (sussidio
di disoccupazione)».
Ripercorriamo il percorso che dovrebbe fare un
lavoratore. I primi 4 mesi di NASPI presso i centri
per l’impiego, sono mesi fondamentali per ritrovare
lavoro, non rischiano di diventare 4 mesi persi?
«La scelta dei 4 mesi ricalca ciò che fanno alcuni
Paesi europei e poggia sull’idea per cui, nei primi
mesi di disoccupazione, i lavoratori più forti trovano da soli un’altra occupazione. E quindi andare
a servire tutti nei primi mesi di disoccupazione, in
presenza di risorse scarse, è una perdita di tempo
e risorse, meglio concentrare gli sforzi su chi ha
già superato questa fase. È evidente che dobbiamo fare in modo che quei 4 mesi non siano persi,
offrendo strumenti ai lavoratori per essere più efficienti nella loro capacità di ricerca. D’altra parte
dobbiamo impiegare questo tempo per mapparli,
capire chi sono e fornire loro dei servizi “leggeri”,
un piccolo plusvalore che li aiuti nel processo di
ricollocazione».
E nel campo delle competenze cosa pensate di fare
per rendere efficienti i centri?
«La parte di rafforzamento delle competenze e quindi di formazione degli operatori è essenziale. Ma
prima di formare gli operatori dobbiamo pensare
ai contenuti da trasferire. Prioritario è definire le
metodologie e i processi di approccio nei confronti
dell’utenza, dunque definire degli strumenti informatici che incorporino queste procedure e, al
Salvatore Pirrone
Direttore Generale per le politiche attive, i servizi per il lavoro e la formazione
presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali
È responsabile, tra l’altro, per il coordinamento delle politiche attive del lavoro, dei servizi per l’impiego,
dell’autorizzazione delle agenzie per il lavoro, per la promozione e il coordinamento delle politiche formative,
nonché del coordinamento dei programmi cofinanziati con il Fondo Sociale Europeo. La direzione è inoltre
autorità di gestione di due programmi operativi nel ciclo di programmazione 2014-2020, tra cui l’Iniziativa
Occupazione Giovani, per l’attuazione della Garanzia Giovani.
Ha lavorato per l’INPS dal 2008 al 2012, occupandosi di Mobilità e Cassa integrazione, di entrate contributive
dei lavoratori autonomi e dei dipendenti; nella segreteria tecnica del sottosegretario di Stato alla Presidenza
del Consiglio; presso il Ministero del Lavoro è stato responsabile dell’ufficio studi e statistiche dal 2000 al 2006.
È autore di numerose pubblicazioni in materia di politiche del lavoro.
contempo, partire con processi formativi molto
specifici e mirati.
Perché di formazione nei confronti degli operatori dei centri per l’impiego ne è stata fatta molta
in questi anni, ma tutta formazione di base, poco
focalizzata».
Parliamo dell’assegno di ricollocazione. Come funziona? Quali sono i criteri?
«Ci stiamo lavorando, è troppo presto per dire
quali sono i criteri, però stiamo definendone i ➤
53
reportagedelcongresso
contorni. Il primo passo è la definizione dei costi
standard. Sfruttando l’esperienza della Garanzia
Giovani abbiamo sostanzialmente definito con la
Commissione Europea l’identificazione dei costi
standard anche per l’attività di intermediazione
e di affiancamento dei lavoratori nella ricerca di
manodopera. Il corrispettivo da dare alle Agenzie
per il Lavoro deve essere appetibile ma non eccessivamente generoso, questo è evidente, e d’altra parte
tutta la procedura deve tenere in considerazione
la necessità di evitare comportamenti opportunistici (non dobbiamo pagare per attività che si
sarebbero verificate lo stesso) e dobbiamo far sì
che sia una procedura non burocratica ma il più
flessibile, rapida ed efficiente possibile».
mese. La norma è costruita in modo da limitare
il flusso di quelli che chiederanno l’assegno di ricollocazione. La norma infatti prevede assegni di
ricollocazione solo per le persone che ne facciano
richiesta e prevede sanzioni draconiane (la perdita
totale dell’assegno di ricollocazione) nei confronti
degli aventi diritto che poi non si presentano ai
centri per l’impiego. Questo sarà un forte deterrente. Come abbiamo riscontrato nelle operazioni
fatte, ad esempio, in Alitalia nel Lazio. Pensiamo
di iniziare la sperimentazione con 100 milioni di
euro e il primo anno è evidente che, se l’importo
medio dell’assegno di collocazione dovesse aggirarsi
intorno ai 2.500 euro, risulterebbero 50.000 assegni.
Se tutti li richiedessero li finiremmo nel 1° mese».
Veniamo alla nozione di offerta congrua che poi è
quella che farà scattare la condizionalità. Anche
qui state cercando dei livelli minimi che possano
essere omogenei in tutta Italia, pur sapendo che
ci sono differenze molto grandi tra i vari territori.
Come vi state muovendo?
«Abbiamo iniziato a condividere con le Regioni,
in uno spirito di leale collaborazione, i contenuti
di questo provvedimento, anche se la modalità di
attuazione e di definizione di quella che è un’offerta
congrua è competenza del Ministro del Lavoro e
sarà fatta per decreto. Quello su cui è necessario
prestare attenzione non è tanto la differenziazione
territoriale, quanto la durata della disoccupazione. È chiaro che quella che è un’offerta congrua
all’inizio del periodo di disoccupazione sarà sicuramente un po’ più vicina a quelle che sono le
caratteristiche professionali e le competenze del
lavoratore. Le indennità di disoccupazione servono
proprio a evitare che le persone abbiano urgenza
di trovare un altro lavoro. Però, man mano che la
disoccupazione va avanti, è evidente che l’urgenza
è più sentita, e il tempo fa perdere competenze.
Quindi possiamo immaginare il concetto di offerta
congrua con cerchi concentrici, di raggio e ambito
più ampio man mano che passa il tempo.
Insomma, tornando al titolo di questo Congresso, è
una grossa scommessa! Molto si gioca sulla vostra
bravura nel collaborare con tutti i soggetti coinvolti,
a partire dalle Regioni. Come siamo messi da questo
punto di vista? E poi le Agenzie per il Lavoro, che
molto hanno da insegnare sull’argomento.
«Con le Regioni il rapporto è contrastato, non si
può negarlo. C’è sempre stata una diffidenza reciproca su questo campo. Comprensibile. Le Regioni
effettivamente hanno lavorato molto in questi 15
anni e noi non ci siamo stati. Questa diffidenza,
in qualche maniera, si è un po’ attenuata in questi due anni di lavoro comune sul programma di
Garanzia Giovani. Un programma a cui abbiamo
lavorato in tanti: il Ministero come autorità di
gestione, tutte le Regioni e la Provincia autonoma
di Trento come organismi intermedi (a cui abbiamo
delegato delle risorse), l’INPS, il Dipartimento per
le politiche giovanili della Presidenza del Consiglio
e il MIUR. Questi due anni ci hanno insegnato un
po’ a lavorare insieme. Però credo che sia essenziale sfruttare l’occasione per costruire un sistema
unitario, non è possibile che una persona debba
passare per più siti o attuare modalità diverse di
attivazione da regione a regione. Bisogna superare
le gelosie territoriali e andare verso un sistema
più efficiente.
Con le APL sicuramente ci sarà una collaborazione, nel rispetto di ruoli differenti. Io credo che
gli operatori privati abbiano il dovere di ricercare
il profitto e, d’altra parte, che le amministrazioni
pubbliche, lo stato, le Regioni abbiano il dovere di
cercare la massimizzazione dei servizi. A noi l’onere
di trovare il punto d’incontro tra queste opposte
esigenze, entrambe assolutamente legittime». n
Un’ultima considerazione di carattere finanziario.
State facendo delle simulazioni per capire quante richieste potrebbero effettivamente arrivare e
di conseguenza quale sarà l’impatto sul bilancio
dello Stato?
Le nostre stime dicono che i lavoratori che entrano
nel 5° mese di NASPI sono circa 900.000 nel corso
di un anno, che significa circa 75.000 persone al
54
55
reportagedelcongresso
IL LAVORO
DIGITALE
di Raffaele De Luca Tamajo
Raffaele De Luca
Tamajo
Senior Partner
di Toffoletto De
Luca Tamajo e
Soci e Ordinario di
Diritto del Lavoro
all’Università di
Napoli Federico II
Già professore invité di
Diritto comparato europeo
all’Università di ParigiNanterre, membro del
Comitato scientifico di AGI,
ha fatto parte di numerose
Commissioni ministeriali
per la consulenza e
progettazione legislativa.
È stato Presidente
dell’AIDLASS,
di Forma.Temp, di Bagnoli
Spa e dell’Ass. Forense
del lavoro di Napoli.
56
I
{
[email protected]
nterrogare il futuro è sempre esercizio affascinante, ma scoprire che è già
arrivato e che il giurista del lavoro se ne è accorto solo parzialmente è un
po’ frustrante. Alludo in particolare alle nuove forme di lavoro prestato
al di fuori delle tradizionali coordinate spaziali e temporali (il c.d. Smart Work:
lavoro agile, nel lessico del legislatore italiano) o mediato da una piattaforma
informatica che pone in contatto committente
con potenziali fornitori di opere o servizi (c.d.
crowdsourcing o on demand economy). In ordine
alle quali si pone un primo dubbio: se davvero si
tratta di “inediti” assoluti rispetto ai quali non è
dato rintracciare alcun riferimento nell’arsenale
normativo e sistematico preesistente o se, in fondo, il telelavoro, per un verso, e i c.d. Pony express,
per altro verso, non rappresentino una efficace
anticipazione dei nuovi modelli, la cui carica di
novità, legata prevalentemente alla disponibilità
di strumenti informatici evoluti, sarebbe stata,
quindi, fin troppo enfatizzata.
La prima ipotesi sembra invero più realistica
perché mentre il telelavoro veniva considerato
una semplice trasposizione presso l’abitazione
del lavoratore del modo di lavorare in azienda,
il nuovo lavoro agile presuppone un radicale ripensamento delle modalità della prestazione in
termini di orari, controllo datoriale, sicurezza,
misurazione del risultato; quanto al lavoro tramite piattaforma digitale, l’evoluzione tecnologica consente di porre in relazione i committenti
con una folla di internauti onde individuare le
competenze più appropriate, gestire i pagamenti,
elaborare i dati relativi alla qualità del risultato,
in un orizzonte concettuale e operativo ben più
evoluto rispetto a quello dei pony express.
Lo sviluppo dello Smart Work, superiore nelle
dimensioni a quanto comunemente si pensa, comporta una evidente rottura della unità aristotelica
di spazio e di tempo propria dell’impresa fordista, al cui interno si consumava l’intero processo
produttivo: da una parte entravano i materiali
e dall’altra usciva il prodotto finito, il tutto con
una cadenza temporale fissa e predeterminata.
Il modello è stato dapprima scompaginato dai
processi di delocalizzazione e di esternalizzazione
che hanno comportato la fuoriuscita di segmenti
di produzione, con localizzazioni anche molto
lontane o talora, viceversa, con attribuzione di
diversa titolarità soggettiva ma permanenza entro il perimetro aziendale (c.d. esternalizzazioni intra moenia o fabbriche multisocietarie). Lo
sviluppo della somministrazione di lavoro e dei
distacchi ha ulteriormente inciso sulla coincidenza del luogo di lavoro con la sede del datore
di lavoro; fino a giungere allo Smart Work che si
caratterizza per lo svolgimento del lavoro parzialmente o totalmente fuori dalla sede (fabbrica
o ufficio) datoriale, mediante l’utilizzo dei canali
comunicativi messi a disposizione dall’evoluzione
informatica. Il perimetro aziendale perde così
il suo significato originario di delimitazione
del potere del datore di lavoro e l’orario di
La tavola rotonda
I temi del presente articolo sono stati oggetto del dibattito della tavola rotonda congressuale dedicata a Smart
Working, sharing economy e nuove forme di organizzazione, coordinata da Rossella Seragnoli HR Manager Crown
Aerosols Italia, Presidente AIDP Emilia Romagna (al centro), a cui hanno preso parte:
Giuditta Alessandrini Ordinario di Pedagogia sociale e del Lavoro Università degli Studi Roma TRE,
Paolo Vasques Global Director for Industrial Relations Benetton Group,
Domenico Favuzzi Chairman and Chief Executive Officer Exprivia,
Roberto Mattio Direttore Risorse Umane e Organizzazione Pininfarina, Presidente AIDP Piemonte e Valle d’Aosta,
Raffaele De Luca Tamajo Senior Partner Toffoletto De Luca Tamajo e Soci, Ordinario Diritto del Lavoro Università
di Napoli Federico II.
lavoro appanna la sua funzione di misurazione
quantitativa della prestazione, che diviene
apprezzabile prevalentemente in relazione
ai risultati.
Tutto ciò ha un impatto modificativo sulla struttura gerarchica dell’impresa, sulle categorie e
qualifiche (con riduzione dei quadri intermedi e
aumento dei progettisti, dei ricercatori indu- ➤
57
reportagedelcongresso
“Al cospetto delle variegate
forme di lavoro digitale le competenze
e le funzioni della Direzione
del Personale si dilatano”
striali e degli innovatori), sulle modalità retributive, sul ruolo più creativo e meno esecutivo
della forza lavoro, sui modelli di sicurezza, ma
soprattutto sui tradizionali criteri distintivi tra
lavoro autonomo e subordinato, per effetto del
minor rilievo delle coordinate spazio-temporali
della prestazione lavorativa, che sposta il baricentro qualificatorio sulla essenza del “potere”
datoriale. Questo potere, nelle sue articolazioni
di direzione, controllo, potestà disciplinare, resta
il fulcro della distinzione e ribadisce la ratio più
profonda della disciplina di tutela di un soggetto non soltanto sfavorito tendenzialmente dallo
squilibrio del mercato, ma anche esposto all’esercizio di un potere unilaterale legittimato dallo
stesso ordinamento giuridico. Che poi il potere
datoriale si eserciti non de visu ma attraverso
la mediazione dello strumento informatico poco
rileva e poco toglie alla sua incisività.
Pur al cospetto dello Smart Work e del lavoro
tramite piattaforme, autonomia e subordinazione restano, dunque, insostituibile criterio
selettivo per l’attribuzione delle garanzie del
diritto del lavoro, ma perdono alcune caratteristiche storiche e delineano un processo
di graduale accostamento.
E infatti il contratto di lavoro subordinato non
si caratterizza più per la mera e passiva messa a
disposizione delle energie lavorative, ma sempre
più postula una prestazione più responsabile o
addirittura creativa, la retribuzione è sempre più
variabile e legata alle performances individuali, di gruppo o aziendali, fino a recepire al suo
interno lo Smart Work non ancorato allo spazio
fisico dell’azienda e ai classici poteri di controllo
58
orario della prestazione.
Dal canto loro le collaborazioni autonome
sempre più sono integrate con l’organizzazione
dell’impresa, non potendo il collaboratore operare
su un mercato ampio ed essendo sempre più costretto a farsi carico di esigenze di coordinamento
funzionale con la singola impresa, secondo un
modello che evoca, sia pure in modo attenuato,
l’inserimento nell’organizzazione di impresa,
tipico indice di subordinazione.
Se, dunque, il lavoro agile presenta almeno
tendenzialmente i connotati della subordinazione, il lavoro tramite piattaforme digitali resta
nell’ambito dell’autonomia, purché naturalmente
il gestore della piattaforma non gli imponga particolari e stringenti modalità della prestazione,
una divisa, un preciso obbligo di reperibilità ecc...
Tuttavia, anche quando il lavoro in questione si
svolge nello schema dell’autonomia, esso resta
bisognoso di una rete di garanzie da forgiare sulla
specificità della collaborazione richiesta e prestata
e nella consapevolezza di una duplice debolezza
contrattuale nei confronti del committente e del
gestore della piattaforma, che evoca inevitabilmente forme di responsabilità congiunta.
In definitiva al cospetto delle variegate forme
di lavoro digitale le competenze e le funzioni della Direzione del Personale si dilatano: oltre alla
gestione del classico lavoro subordinato nelle sue
varie formulazioni tipologiche, c’è da governare
i lavoratori agili, gli autonomi integrati nell’impresa, gli autonomi eterodiretti quanto a tempo
e a luogo, i lavoratori reperiti e operanti tramite
piattaforme, ciascuno dei quali richiede strategie
e modalità gestionali differenziate e articolate. n
FLESSIBILITÀ
EMPLOYABILITY
E GENERAZIONI
A CONFRONTO
di Francesco Amendolito
Francesco Amendolito
Founding & Managing
Partner Amendolito
& Associati, docente
Diritto del Lavoro
Facoltà di Economia
Università LUM Jean
Monnet
Avvocato patrocinante in
Cassazione e dinanzi alle
Magistrature Superiori.
Consulente legale delle
aziende del Gruppo FCA e
di diverse aziende industriali.
Nel 2015 ha conseguito
il Labour Awards 2015
come miglior avvocato
dell’anno per l’innovazione
nel Diritto del Lavoro.
Direttore Scientifico del
Master in Human Resources
Management della School of
Management dell’Università
LUM Jean Monnet.
I
{
[email protected]
l sostegno all’occupazione giovanile, da un lato, e le tematiche connesse all’invecchiamento attivo, dall’altro, non sono aspetti dicotomici e contrapposti
del mercato del lavoro; la lettura spesso antinomica di siffatte problematiche
ha condotto alla distorta affermazione di un aprioristico dualismo del mercato
del lavoro, che in realtà, non solo non sussiste, ma non è nemmeno auspicabile.
Se, da un lato, occorre agevolare l’ingresso
nel mercato del lavoro dei giovani, non meno
importante è l’esigenza di favorire la permanenza
dei lavoratori adulti e il rientro dei disoccupati
adulti, in un’ottica di garanzia di una più ampia
base contributiva ma, soprattutto, di generale
benessere socio-economico, con positive ricadute
sullo sviluppo imprenditoriale.
In tale ottica, il Progetto Europeo rivela tutta
la sua ambizione finanche nella cosiddetta soft
law in materia di occupazione, nel corpo della
quale si rinvengono principi peraltro ancorati
a norme di rango primario e secondario della
medesima Unione Europea: a) Sviluppo delle transizioni lavorative virtuose tramite le politiche
attive del lavoro (Comunicazione Commissione
Europea 359 del 27.6.2007); b) Modernizzazione
del mercato del lavoro attraverso lo sviluppo di
servizi che consentano il c.d. lifelong learning;
c) Sviluppo di sistemi informativi transnazionali
che pongano in contatto efficacemente domanda
e offerta (c.d. matching); d) Sostegno all’occupazione giovanile soprattutto tramite costante
collegamento tra la scuola e il mondo del lavoro,
al fine di garantire l’alternanza, prima, e l’agevole
transizione, poi.
I predetti principi e le corrispondenti aree di
intervento sono strettamente connessi e ogni
approccio atomistico sarebbe ontologicamente
perdente.
La sostenibilità di tutto il sistema lavoro
passa attraverso la necessaria valorizzazione
delle competenze nonché attraverso l’accrescimento delle professionalità degli individui, tanto nella fase preventiva all’ingresso nel
mercato del lavoro, con conseguente necessità
di garantire una costante osmosi tra scuola e ➤
59
reportagedelcongresso
“Per proiettare gli interventi normativi
in un’ottica di efficace attuazione,
occorre una visuale prospettica
più ampia e una ancora più marcata
facoltà di delega, anche in deroga,
alla contrattazione collettiva
aziendale”
lavoro, quanto in costanza di rapporto lavorativo e nelle transizioni (che potrebbero divenire
fisiologiche) tra un lavoro e l’altro. Certamente
lo start point non può non essere un cambio
epocale di mentalità in tutti gli attori, ancor prima che l’offerta di strumenti normativi ad hoc,
che rischiano di restare involucri vuoti se non
opportunamente valorizzati, nella dinamica dei
rapporti individuali e collettivi.
Il Jobs Act, come noto, sin dai suoi esordi si è
prefissato come obiettivo quello di incrementare
l’occupazione e questo scopo è stato perseguito
attraverso un incremento della flessibilità nei
rapporti di lavoro (flessibilità in entrata, flessibilità in uscita e flessibilità in costanza di rapporto di lavoro mediante la riscrittura dell’art.
2103 del c.c.).
Gli interventi normativi plurimi che si sono
susseguiti nell’arco degli ultimi anni, a ben vedere, potrebbero essere opportunamente valorizzati
per ridurre il dualismo del mercato del lavoro, in
un’ottica di accrescimento economico, sociale e
formativo; tuttavia, per proiettare tali interventi normativi in un’ottica di efficace attuazione,
occorre una visuale prospettica più ampia e una
ancora più marcata facoltà di delega, anche in
deroga, alla contrattazione collettiva aziendale.
Si pensi alla previsione normativa che prevede la graduale riduzione della durata della
prestazione lavorativa dei dipendenti più anziani,
coniugando la flessibilità in uscita e quella in
entrata. Siffatta previsione dovrebbe avere quale
conseguenza il tanto auspicato ricambio generazionale, dico dovrebbe, perché questa naturale
(?) conseguenza di ricambio non sempre trova
60
terreno fertile per poter attecchire.
Va precisato che il tentativo di realizzare la
c.d. staffetta generazionale passa – come noto
– prima dall’art. 41 del d.lgs. 148 del 2015 e,
da ultimo, dalla Legge di Stabilità 2016 (Legge
n. 208/2015) e dal decreto interministeriale di
recente emanazione (13 aprile 2016). Nel primo
caso il riferimento è ai c.d. contratti di solidarietà
espansivi, riesumati da un oblio ultratrentennale, nel tentativo di agganciarli, attraverso la
riduzione dell’orario di lavoro del personale a cui
manchino non più di 24 mesi al pensionamento,
a nuove assunzioni in pianta stabile, destinate
a “coprire” la riduzione di orario degli altri lavoratori. In particolare, l’art. 41, prima parte,
stabilisce che, ove accordi aziendali prevedano
una riduzione stabile dell’orario di lavoro con
riduzione della retribuzione e contestuale assunzione a tempo indeterminato di nuovo personale, ai datori di lavoro è concesso, per ogni
lavoratore assunto, un contributo a carico della
gestione eventi assistenziali INPS, pari al 15%
della retribuzione lorda nel 1° anno e del 10% e
5% per ciascuno dei due anni successivi.
Con la differenza che mentre in tale ipotesi,
il contratto collettivo che si stipula prevede in
corrispondenza della maggiore riduzione di orario
un incremento dell’occupazione, l’accordo sindacale deve cioè prevedere a fronte della riduzione
oraria che interessa i lavoratori prossimi alla
pensione, la contestuale assunzione di giovani
sino a 29 anni (un’assunzione ogni part-time),
così non è nella seconda ipotesi.
La seconda fattispecie, infatti, prescinde
dall’accordo collettivo e prevede che, su base
volontaria, il lavoratore con contratto di lavoro a tempo indeterminato che abbia raggiunto
entro il 31.12.2018 i requisiti anagrafici e contributivi previsti dalla Legge possa stipulare un
contratto part-time (con riduzione dell’orario
della prestazione lavorativa dal 40% al 60%), con
corresponsione mensile, da parte del datore di
lavoro, di una somma pari alla contribuzione per
la prestazione lavorativa non effettuata e con
riconoscimento della corrispettiva contribuzione figurativa in ragione del contratto part-time
agevolato.
Rispetto a tale ultimo atteso intervento, appare
doveroso evidenziare alcune criticità.
Innanzitutto, prescindendo dalla portata del
budget messo a disposizione dal Governo (sino al
2018), bisognerà verificare sul campo la diffusione
che avrà tale istituto: perché la convenienza ad
accedere a tale opportunità è prioritariamente e soprattutto dei lavoratori, il ritorno per le
aziende è tendenzialmente inferiore. Per cui non
è da escludersi l’ipotesi in cui i lavoratori manifestino al proprio datore di lavoro la propria
disponibilità/volontà di accedere a tale istituto,
rectius di fruire del part time agevolato, e che
l’imprenditore dal canto suo, risponda con un
diniego, perché non ha un concreto interesse
in tal senso, infatti, per l’azienda il beneficio è
inferiore rispetto al costo.
Inoltre, ammesso che tale istituto decolli, che
si sposino i contrapposti interessi delle parti, e,
dunque, che datore di lavoro e lavoratore formulino un accordo, resta, comunque, da verificare
se il ricorso al part-time da parte dei pensionandi sia in grado di innescare un trend virtuoso
che promuova nuova occupazione, in assenza
di vincoli in capo all’imprenditore di assumere
nuovo personale.
Non di rado, accade, infatti, che le professionalità proprie dei lavoratori più anziani, caratterizzate magari dalle c.d. competenze routinarie,
possono essere sostituite da macchinari per i
quali l’investimento è velocemente coperto dal
risparmio sul costo del personale. Inoltre, non
è affatto scontato, così, che i posti di lavoro a
lungo salvaguardati da tutele difficilmente scavalcabili andranno domani a vantaggio di nuove
assunzioni di giovani (si pensi al fenomeno della
disoccupazione tecnologica).
È in ogni caso difficile che una politica
di pre-pensionamento possa dare lavoro ai
giovani e da sola possa arginare in modo importante il problema della disoccupazione
giovanile nel nostro paese, se non coniugata
con politiche attive di più ampio respiro, che
dovrebbero essere calibrate sulla singola realtà imprenditoriale.
Personalmente da sempre sostengo la necessaria valorizzazione, all’interno del sistema lavoro, dell’auto-regolamentazione (all’interno della
contrattazione individuale e collettiva) che, nel
rispetto di principi fondamentali inderogabili,
possa adattare l’organizzazione del lavoro alla
mutevole, flessibile e volatile realtà imprenditoriale. In ciò credendo che il mondo del lavoro
si muove sempre con largo anticipo rispetto alle
aperture legislative.
Si pensi sul versante formativo, ai numerosi esempi di proficui investimenti aziendali in
iniziative formative che prevedano l’alternanza
scuola-lavoro; un esempio non lontano dal nostro contesto territoriale è dato dalla Fondazione
BOSCH che con la propria scuola di formazione
in Italia con sede a Bari e Milano (TEC BOSCH)
ha avviato una serie di convenzioni con Istituti
Scolastici e con Università locali, secondo gli
schemi che ispirano i percorsi duali attuati in
Germania.
Si pensi ai numerosi patti generazionali che
ancora prima del recente intervento normativo, hanno interessato numerose aziende italiane
e multinazionali, soprattutto con la finalità di
garantire la permeabilità delle conoscenze e la
creazione di team di lavoro intergenerazionali.
In tale ottica, l’attribuzione di un ruolo sempre più marcato alla contrattazione collettiva
aziendale nella scrittura delle regole aziendali in merito all’organizzazione dell’orario di
lavoro, classificazione del personale, mobilità
inter-aziendale ed infra-aziendale, incentivi di
produzione, welfare aziendale e formazione non
deve – e non può – essere letta (come di consueto
finora) con ostilità e diffidenza, in un’ottica di
mera deregolamentazione di un sistema di ataviche tutele che peraltro, oramai, sono fonte di
un pesante e non più sostenibile irrigidimento
del sistema lavoro e che, in un’ottica prospettica
rischiano di restare riservate a pochi privilegiati a
discapito della comunità di potenziali lavoratori.
È piuttosto necessaria la costruzione di un
welfare legato alla persona – giovane o anziana
che sia – che privilegi, in luogo del sostegno monetario, interventi che promuovano l’employability
e la crescita e che, magari, proprio attraverso
l’inclusione e l’active ageing, finiscano con il
provocare un incremento dell’occupazione. n
61
reportagedelcongresso
SCOMMETTIAMO SU
PERSONE E LAVORO
PER IL CAMBIAMENTO
DELLA PA
di Donato Madaro
Donato Madaro
Direttore Area
Risorse Umane
I.R.C.C.S. “Giovanni
Paolo II” di Bari
I
{
l 45° Congresso nazionale AIDP di Bari ha dedicato una particolare attenzione al lavoro pubblico con le novità del premio AIDP AWARD per la
Pubblica Amministrazione e di una tavola rotonda dal tema “Innovazione
e Integrità nella Pubblica Amministrazione e nelle aziende a capitale pubblico.
Tendenze evolutive del ruolo del manager pubblico” organizzata dal gruppo di
lavoro AIDPpa.
I temi principali affrontati nella tavola rotonda della PA – nuova reputazione dei dipendenti
pubblici, ringiovanimento del personale, forte
investimento in formazione e tecnologia – e,
nell’ambito della sessione “Disruptive Innovation, Crescita e Lavoro” (pagina 27), i contenuti
della significativa intervista di Andrea Del Chicca
al Prof. Roberto Cingolani, Direttore Scientifico
dell’Istituto Italiano di Tecnologia (pagina 30),
stimolano alcune riflessioni.
Le riforme amministrative dal 1990 ad oggi
e la contrattualizzazione del rapporto di lavoro
pubblico, introdotta dal D.Lgs. 29/93 (attuale D.Lgs.
165/2001), non sempre hanno prodotto i risultati
attesi per un cambiamento strutturale della PA.
Il dibattito congressuale ha sottolineato come i
decreti e le facili ricette non bastino a modificare
le modalità di funzionamento della PA, se non accompagnati da interventi mirati e sperimentazioni
pratiche di nuove soluzioni in grado di migliorare
62
la qualità dei servizi ai cittadini.
Tenendo conto del contesto economico e sociale,
si possono individuare alcuni importanti fattori
per il cambiamento della PA:
1. sviluppo delle tecnologie digitali necessarie per la gestione innovativa dei principali
servizi pubblici;
2. sistemi di reclutamento con criteri aziendali, superando le classiche forme di concorso
pubblico con prove rivolte prevalentemente a
LA PA PROTAGONISTA
Il Congresso AIDP ha rappresentato un importante momento di confronto tra management pubblico e privato. Un’occasione per riflettere sulle tendenze evolutive e le competenze
di gestione dei manager pubblici e anche una
grande opportunità per promuoverne il ruolo.
valutare le conoscenze dei candidati sulle materie d’esame;
3. professionalità specializzate per i diversi
settori di intervento, con il contenimento delle
tradizionali figure amministrative;
4. nuovi standard di prestazione e di qualità che le amministrazioni pubbliche devono
rispettare con adeguate soluzioni organizzative
e protocolli operativi;
5. sistemi di controllo e di valutazione più efficaci, soprattutto in materia di incentivazione alla
produttività e di premi legati alla performance.
Per evitare che il cambiamento della PA continui lentamente come “la danza degli elefanti” c’è
bisogno di meno decreti, di meno burocrazia, e di
liberare gli uffici pubblici dalle montagne di carta.
Servono contestualmente investimenti mirati
in formazione, innovazione e ricerca; la capacità
di “fare squadra” dipende soprattutto dalle
competenze e dal livello di responsabilità e
di autonomia dei funzionari pubblici.
La critica sociale che censura i comportamenti
negativi delle PA deve esortare il management
pubblico a vincere la sfida contro le resistenze
al cambiamento e l’inerzia di taluni dipendenti,
ad adottare le misure necessarie per premiare il
merito, favorire la semplificazione e migliorare
la trasparenza.
La funzione HR nelle pubbliche amministrazioni, come nel privato, è chiamata ad agire affinché
l’organizzazione nella quale opera sia sempre più
flessibile, efficiente, in grado di adattarsi ai cambiamenti della società e alle esigenze degli utenti.
È necessaria quindi una particolare attenzione al
benessere dei dipendenti pubblici, con la consapevolezza che la centralità e lo sviluppo continuo
delle persone nelle aziende sono fondamentali
per far scoprire nuove motivazioni e aumentare
la produttività del lavoro pubblico. n
Alla tavola organizzata da AIDPpa e coordinata
da Pietro Scrimieri Direttore Servizi Centrali
Risorse Umane, Organizzazione e Lavoro Acquedotto Pugliese hanno partecipato: Antonio
Nunziante Assessore Personale ed Organizzazione Regione Puglia, Luigi Maria Vignali
Dirigente Diplomatico Ministero Affari Esteri,
Coordinatore nazionale AIDPpa, Francesco Paolo Romanelli Procuratore regionale Corte dei
Conti Puglia, Carlo Mochi Sismondi Presidente
FPA, Antonino Costantino Dirigente Servizio
trattamento giuridico del personale Presidenza
del Consiglio dei Ministri e componente della
Commissione per i procedimenti disciplinari,
Gianfranco Grandaliano Vice Presidente Nazionale UTILITALIA Associazione delle imprese
idriche energetiche e ambientali.
La missione di AIDP Pubblica Amministrazione è di promuovere il ruolo dei manager
pubblici, sviluppando in particolare le competenze di gestione delle persone, agendo sia
dal punto di vista soggettivo, della crescita, sia
dal punto di vista del riconoscimento, sociale
e nelle organizzazioni. AIDPpa è una sede in
cui dirigenti e responsabili di servizio impegnati
nelle incombenze interne alla propria organizzazione possono trovare una finestra sul mondo
esterno. Maggiori informazioni sul gruppo di
lavoro e sulle iniziative, sul sito dell’Associazione: www.aidp.it
63
idee
{66. Coaching: come trasformare individui e organizzazioni
di Giuseppe Varchetta
{69. Per le classi dirigenti di Luciano Martinoli
{70. Dentro la formazione. Etnografia, pratiche, apprendimento
di Valentina Vinotti
{72. Sapere cosa si vuole di Marco Lombardi}
AIDPnews
{73. Un nuovo servizio per i Soci.
AIDP ORE 9.30 Rassegna stampa e web}
{74. I Pomeriggi del Lavoro di David Trotti}
{78. SAVE THE DATE Convegno “WelFare che fare”}
{79. Passaggi di testimone dai Gruppi regionali AIDP}
«Modernità. Crescita. Giovani. Innovazione.
Riforme. Europa. Cambiamento. Rigore.
Mettiamo nel frullatore e serviamo. Beviamo
(quasi) tutti»
di Massimo Ferrario
65
idee RECENSIONI
COACHING
COME
TRASFORMARE
INDIVIDUI
E ORGANIZZAZIONI
U
no dei problemi più
gravosi dell’esperienza
socio-politica e organizzativa contemporanea è
relativo alla difficoltà di conciliare la
pluralità nell’uno.
Da una parte si assiste all’esplodere
crescente di una soggettualità diffusa,
capace in sé di far arretrare ogni tensione ad un uno comunitario, dall’altra
il pensiero e la ricerca sociale contemporanei registrano l’esigenza di una
integrazione in un terreno comune, in
una “casa di tutti”.
La sfida – ricorrente sia per le istituzioni politiche (rimando all’idea di
Europa come realtà politica integrata
nella condivisione di Nazioni diverse,
corrosa oggi da populismi ed estremismi diversi) sia per le organizzazioni
aziendali – è quella di una ossimorica
unitas multiplex “la complessità prima e fondamentale del sistema è di
associare in essa da una parte l’idea
di unità, dall’altra quella di diversità
o molteplicità, che in linea di principio
si respingono e si escludono. Una delle
caratteristiche fondamentali delle organizzazioni dovrebbe essere quella di
trasformare la diversità in unità senza
66
LA SCHEDA
Titolo Coaching: come trasformare
individui e organizzazioni
A cura di Paolo Bruttini
e Barbara Senerchia
Anno 2015
Casa editrice Wolters Kluwer, Milano
Prezzo Euro 29
Giuseppe Varchetta
[email protected]
Psicosocioanalista,
Past President Ariele,
consulente di formazione
e sviluppo organizzativo
annullare la diversità e di creare anche
diversità nell’unità e tramite essa” E.
Morin (1977), Il metodo, Feltrinelli.
L’esperienza organizzativa contemporanea è chiamata allo sviluppo e alla cura di competenze
individuali iper-specializzate e
contemporaneamente all’organizzazione intesa come spazio condiviso
dell’interazione. L’organizzazione
oggi non può non garantire e curare
un agire solidale, di esseri unici,
spontanei e liberi, su uno spazio
condiviso.
Una traccia per affrontare oggi tale
sfida è considerare la differenza tra
sostanza e intensità (tale distinzione è
tratta dall’intervista di Antonio Gnoli
al filosofo Giorgio Agamben apparsa
su La Repubblica, 15 maggio 2016): le
sostanze hanno confini chiari, oggetti
specifici e sono caratterizzate da una
cartografia e una topologia direttamente attribuibili. Sono sostanze nell’esperienza aziendale le Funzioni quali la
Produzione, il Marketing, le Vendite,
l’Amministrazione, la Logistica. L’intensità è un non luogo; è un’energia
che attraversa le sostanze, mette in
tensione e anima ogni ambito. L’organizzazione oggi ha un forte bisogno di
intensità. Il libro che abbiamo in mano
offre a questo proposito una duplice testimonianza: realizza in sé, attraverso
lo sforzo dei due curatori, una unitas
multiplex e, contemporaneamente, è
ontologicamente in sé una intensità.
Autori diversi, con formazione e
storie professionali articolate in sé e
molto differenziate l’una dall’altra,
concorrono e contribuiscono a rinforzare una “casa comune”. Manager,
psicosocioanalisti, operatori di marketing, operatori finanziari, consulenti
sistemici, psicometristi, comunicatori,
formatori PNL, psicologi del lavoro,
psicosociologi dell’organizzazione, informatici, hanno contribuito alla scrittura di questo libro, testimoniando la
peculiarità di ogni singolo approccio, e
costruendo contemporaneamente uno
spazio condiviso. La “casa comune”
è il tentativo di generare una controstoria nei confronti della deriva
attuale dell’esperienza organizzativa. Tale assunto ha tre riferimenti:
l’idea dell’organizzazione “open”, aperta cioè al cambiamento, alla gestione
della complessità data dalle molteplici
variabili contemporaneamente in gioco; assumere il coaching in una logica
allargata, di partnership con i clienti/
collaboratori, “un processo capace di
sviluppare un nuovo tipo di relazione
all’interno delle organizzazioni, in cui
gli individui sono chiamati ad autoresponsabilizzarsi nell’apprendimento
e nel miglioramento di se stessi” (ivi
pag 10); la proposta di una “trasmigrazione” della funzione e dei processi
di leadership da vertici pre-definiti a
una pluralità di protagonisti capaci di
ascoltare la propria auto-organizzazione, di curarne gli echi e di collegarsi
in network virtuosamente autonomi.
Il volume è articolato su una introduzione di uno dei due curatori che
presenta le istanze dell’open leadership
e delle attività di coaching orientate
all’openess.
La prima parte del volume, presenta
cinque prospettive teoriche tutte orientate dall’obiettivo di approfondire le
prospettive del coaching, accostate
a quelle del counseling, ancorandole
entrambe alle ultime ricerche della relazione tra lo sviluppo contemporaneo
delle neuroscienze e l’apprendimento
adulto. Tale prima parte di prospettive
teoriche presenta analiticamente contributi sul coaching come strumento per
la openess, il coaching nel dilemma tra
cambiamento e transizione, la relazione
nella prospettiva operativa del coaching
e in quella del counseling, la narrazione
come una via di sviluppo del coaching
e, come già accennato, l’apprendimento
contemporaneo correlato allo sviluppo
delle neuroscienze.
La seconda parte del volume presenta
undici casi/esperienze organizzative
capaci, nel loro insieme, di articolare
uno scenario in grado di offrire un panorama dell’operatività del coaching
in fattispecie organizzative diverse ma
tutte confluenti nel costruire un sense
making se non definitivo in ogni caso
autorevole di tale metodica che, nelle pratiche di formazione e sviluppo
contemporaneo trova oggi un indubbio
sviluppo.
La terza parte, che ha come autore uno
dei due curatori del volume, conclude
l’itinerario di ricerca offerto alle lettrici e ai lettori, “ritornando” sul tema
dell’openess e indicando una concezione dello sviluppo organizzativo di una
organizzazione open.
La conclusione del volume ha il passo
e la trasparenza di un manifesto valoriale e insieme operativo sul concetto
di openess “e sulle opportune traiettorie
da considerare nei programmi di consulenza organizzativa, che intendono
intraprendere questa prospettiva” (ivi
pag. 261).
Il “manifesto” dell’organizzazione
open presenta cinque dimensioni che
accomunano, nell’ipotesi dell’autore, le
esperienze di open leadership raccolte: l’autenticità e la trasparenza come
valori, la passione assistita dalla vitalità e dalla cura, il circuito del cambiamento dalla concezione all’execution e
ritorno e l’orizzontalità come superamento dei confini e della gerarchia con
la prevalenza “del codice dei fratelli,
codice affettivo orizzontale, nel quale
il valore fondante è l’apprendimento
dall’esperienza e lo scambio tra pari”
(ivi pag. 269).
Il “manifesto” continua proponendo
le coordinate per uno sviluppo organizzativo open, ripercorre i passi classici
dello sviluppo organizzativo per offrire
nelle pagine conclusive una rianalisi
critica del ruolo del consulente “rivisitato” alla luce delle prospettive indicate
dell’organizzazione open.
Il volume curato da Paolo Bruttini e Barbara Senerchia concretizza
metaforicamente da una parte l’obiettivo della unitas multiplex offrendo,
da prospettive diverse, una confluenza
verso una casa comune, e dall’altra è
una occasione per un tornare a riflettere su due problematiche fondamentali
dell’esperienza organizzativa contemporanea: l’esigenza non evitabile del
cambiamento attraverso il superamento del pregiudizio e della fiducia
nelle regole esistenti e l’ascolto di un
bisogno profondo – anche se talvolta espresso flebilmente e all’interno
di rumori discordanti – testimoniato
dalle donne e dagli uomini dell’organizzazione contemporanea di un vivere
più comunitario, più solidaristico pur
nel salvaguardare l’espressione della
propria peculiare identità personale.
Non vi è identità, in altre parole, al di
fuori di pratiche di riconoscimento e
spontanee e proposte e sostenute dalla
politica aziendale. Questo è con alta
probabilità il monito più alto e insieme
est-etico che le pagine curate da Bruttini
e Senerchia porgono, pur con umiltà,
alle lettrici e ai lettori. n
67
idee RECENSIONI
PER LE CLASSI
DIRIGENTI
UNA “BOMBA” (ANCORA
INESPLOSA) NELLE FONDAMENTA
Luciano Martinoli
[email protected]
Per la prima volta un libro in italiano divulgativo, ma rigoroso, sul pensiero del grande sociologo
Niklas Luhmann. Osteggiata o ignorata, principalmente perché incompresa, la sua Teoria dei sistemi
sociali mina dalle fondamenta il pensiero mainstream
A
ll’alba del III millennio la
complessità del mondo
appare alle classi dirigenti
sempre più come una ecologia di tante crisi che colpiscono contemporaneamente tutti i sistemi sociali: dai
macrosistemi (l’economia e la finanza) ai
sistemi “intermedi” come, ad esempio,
le imprese, i partiti politici e gli attori
sociali. Di questa ecologia di crisi non
riusciamo a scorgere l’origine e le dinamiche di sviluppo.
Una crisi di comprensione genera una
crisi di azione: le tradizionali strategie
di governo dell’economia, della finanza,
della politica, delle imprese e delle organizzazioni interne alle imprese non
funzionano più. Il risultato è lo sconcerto, la frustrazione e l’impotenza delle
classi dirigenti: l’imprenditore o il CEO,
il responsabile HR, il manager pubblico,
il politico, eccetera.
Niklas Luhmann (1927-1998), sociologo tedesco, utilizzando risorse cognitive
prima non considerate, ha rivoluzionato la sociologia proponendo una “teoria
della società” (Teoria dei sistemi sociali) che riesce pienamente a fornire una
spiegazione convincente e sofisticata
dell’attuale e problematica complessità
della società.
Egli sostiene che tutti i sistemi sociali
sono sistemi autopoietici (che si costruiscono da soli) che sembrano diventare
col tempo completamente autoreferenziali e perdere di senso e funzione. Se
questo è vero, allora diventa evidente
perché le attuali strategie di governo a
tutti i livelli (dalla strategia delle riforme
LA SCHEDA
Titolo Per Comprendere Luhmann
Autore Hans Georg Moeller - Professore
Ordinario di Filosofia e Studi Religiosi
all’Università di Macao e Professore
aggiunto alla Qufu Normal University di
Qufu, Cina
Appendice Francesco Zanotti
Traduzione Luciano Martinoli
Anno 2016
Casa Editrice IPOC, Milano
Pagine 200
Prezzo 18 euro (ebook 12 euro
su www.ipocpress.it)
a quelle della competitività a quella del
cambiamento organizzativo), non sono
efficaci: accelerano il processo di chiusura autoreferenziale e, quindi, di perdita
di senso dei sistemi sociali. Questa nuova piattaforma di pensiero costituisce
il punto di partenza indispensabile per
immaginare nuove strategie di governo
capaci di riattivare processi di sviluppo
nei diversi sistemi sociali.
La teoria di Luhmann si pone, quindi,
come strumento indispensabile perché
le classi dirigenti attuali riescano ad
assolvere la loro responsabilità storica.
La traduzione del libro di Moeller (titolo originale The Radical Luhmann) è
arricchita da un’appendice che contiene
una prima proposta “di efficacia” (frutto di un lavoro pluriennale di ricerca)
per le strategie di governo di qualsiasi
sistema sociale, sia esso un attore economico (azienda con le relazioni con tutti
i suoi stakeholder), un’organizzazione
aziendale, una pubblica amministrazione. Attenzione però, questa parte non
va scambiata per una banale proposta
consulenziale. Essa è infatti una ridefinizione del concetto di “governo” di
un sistema umano e una metodologia,
della quale bisognerebbe ulteriormente
dibattere, che propone la possibilità di
intervento, o meglio di “indirizzo verso
una migliore autopoiesi” coerentemente
al pensiero di Luhmann.
n
69
idee RECENSIONI
DENTRO LA FORMAZIONE
ETNOGRAFIA
PRATICHE
APPRENDIMENTO
I
l volume di Domenico Lipari
Dentro la formazione potrebbe
apparire come un testo ad uso e
consumo esclusivo degli addetti
ai lavori. In realtà, senza negare che i
lettori privilegiati siano sia gli esperti, gli studiosi e i professionisti della
formazione in quanto avvantaggiati
da conoscenze culturalmente affini
nonché affinate dall’esperienza, sia gli
studenti universitari e gli esordienti
nel settore, in quanto stimolati dalla volontà di irrobustire i saperi di
una professione alla quale si stanno
affacciando, credo che un libro ben
strutturato e ben scritto che rivela,
al di là delle staccionate disciplinari,
come l’uomo si racconta, possa suscitare l’interesse anche di chi non saprebbe
descrivere, a parole, cos’è e di cosa
si occupa l’etnografia. Un libro il cui
proposito è schiettamente dichiarato
dall’autore nelle ultime righe dell’introduzione “Il volume dunque, vuole
essere un invito all’etnografia rivolto a chiunque sia interessato ad una
comprensione profonda delle pratiche
che si addensano attorno ai processi
di apprendimento degli adulti, nella
speranza che le loro attività trovino
70
LA SCHEDA
Titolo Dentro la formazione.
Etnografia, pratiche, apprendimento
Autore Domenico Lipari
Anno 2016
Casa editrice Guerini Next, Milano
Pagine 246
Prezzo 22 euro
nella mia proposta non tanto la soluzione a problemi che l’azione umana
porta con sé, quanto piuttosto stimoli
a riflettere sulla propria azione professionale e sollecitazioni a porsi sempre
nuove domande, a non smettere mai
di cercare il senso di ciò che si fa”.
Il libro è suddiviso in tre ambiti
tematici: la storia dell’etnografia, la
ricerca sul campo e le pratiche formative. Il capitolo d’apertura I fondamenti di un sapere empirico: ambiti
di studio, teorie e approcci nel lavoro
etnografico scorre veloce lungo i canali
teorici e metodologici dell’etnografia.
La ricerca qualitativa che acquisisce,
con fatica e lentezza, voce in capitolo
nel coro egemone delle scienze esatte.
Il ruolo del ricercatore – personaggio
che mi piace immaginare un po’ a metà
tra l’investigatore e il romanziere – e
il suo modo di osservare, ascoltare,
partecipare, comprendere, interpretare, scrivere e restituire gli affreschi
verosimili dei suoi incontri con l’Altro.
I ricercatori della Scuola di Chicago,
che lasciano i bimotori, i caicchi e le
canoe per raggiungere quartieri e sobborghi in metropolitana trasformando,
così, l’etnografia classica in etnografia
Valentina Vinotti
Formatrice e consulente free-lance. Svolge attività progettuali
e didattiche relative alla valorizzazione delle persone,
alla comunicazione interna, alla gestione dei gruppi e alle
competenze relazionali con particolare interesse all’approccio
della comunità di pratica. Collabora con società di formazione,
associazioni di categoria e PMI.
sociale. La grounded theory. La svolta interpretativa di C. Geertz e quella
letteraria di Scrivere le culture di J.
Clifford e G. E. Marcus, giusto per citare almeno qualche autore tra tutti
quelli presentati ai lettori.
La seconda sezione del volume si
concentra sui metodi e sulle tecniche
della ricerca etnografica. Risponde in
maniera chiara ed esaustiva a tre semplici domande: qual è il lavoro dell’etnografo? Qual è il suo campo d’azione?
In che modo raccoglie, studia e consegna ai lettori i fatti e i comportamenti
che osserva? Un lavoro artigianale e
un metodo malleabile, che si adatta
agli obiettivi conoscitivi, alle caratteristiche degli oggetti e dei soggetti
che incontra e alla natura del campo
di indagine. Un lavoro che si basa sulla
capacità di chiedere con pertinenza, di
intervistare dialogando, di riflettere
con costanza e di comprendere che
il proprio registro stilistico è valido
proprio in quanto unico. Un capitolo
consistente, arricchito anche dalle proprietà esplicative e di approfondimento
e dalle suggestioni letterarie delle note
a piè pagina.
Il terzo e ultimo capitolo Osservare,
«
«Immergersi dentro
la formazione comporta l’andare a vedere
come avviene il concreto configurarsi dell’azione formativa in quanto
contesto che fornisce
pretesti per la nascita
di eventi, racconti, storie che trasformano l’esperienza lavorativa e le
traiettorie professionali
dei soggetti»
Dalla postfazione al volume
di Giuseppe Scaratti
descrivere, comprendere le pratiche di
formazione descrive e spiega in che
modo l’approccio etnografico entra nei
processi formativi e qual è il valore
concreto di questo incontro. Lo schema
sequenziale della formazione classica
analisi dei bisogni – progettazione –
realizzazione – valutazione, forse ancora valido o forse obsoleto in quello
che l’autore chiama arcipelago delle
pratiche professionali, può acquistare,
attraverso l’etnografia, nuovi significati, nuovi orizzonti di senso, soprattutto
se pensiamo a quanto la profondità
e scrupolosità dell’etnografo nell’osservare, individuare e narrare i movimentati intrecci di relazioni presenti
nelle realtà organizzate possa essere
cruciale, in particolare, nei momenti
in cui si scovano e analizzano i bisogni
e in quelli in cui si ha la responsabilità
di valutare esiti o propositi. Il capitolo
è supportato, considerate le ricadute
pratiche e operative derivanti dalla sua
lettura, da casi tratti da reali esperienze professionali e dalla presentazione
di ampi frammenti di testi e resoconti
di ricerche. n
71
idee L’AZIENDA È TUTTA UN FILM
SAPERE
COSA SI VUOLE
M
olte volte, nel corso
delle lezioni di “Cinema ed enogastronomia” che tengo in varie
università (Suor Orsola Benincasa di
Napoli, IULM e Sapienza), quando i
ragazzi iniziano a parlarmi del lavoro
che non c’è io chiedo loro “Ma se tutto ti fosse possibile, tu cosa vorresti
fare?”. La risposta molto spesso è un
imbarazzato silenzio: un po’ perché le
passioni richiedono tempo per essere
bene riconosciute, un po’ perché è più
facile comportarsi della serie “lasciala
andare come va” (la vita). Due film recenti, presentati entrambi al Festival
di Cannes 2016, sembrano confermare
questa riflessione. Nel primo – Personal shopper, non riuscito, ma corag-
gioso – la giovane protagonista, l’ex
Twilight alias Kristen Stewart, lavora
per una donna ricca scegliendo per lei
vestiti, gioielli e viaggi. È un po’ come
se vivesse una vita non sua, regalando
a un’altra persona la propria sensibilità
e il proprio gusto, invece di metterli
a servizio di un progetto che veda al
centro se stessa, tant’è che il regista (e
sceneggiatore) Olivier Assayas non a
caso la fa poi smarrire (e con lei il film)
in una storia paranormale di fantasmi
che rappresenta simbolicamente il suo
personalissimo smarrimento e la sua
non realizzata identità. Nel secondo
(bel) film – Pericle il nero – il protagonista Riccardo Scamarcio è un due
di briscola della Camorra in Belgio, nel
senso che per sopravvivere ha accet-
Titolo Personal Shopper
Nazione Belgio
Anno 2016
Genere Drammatico/thriller
Durata 110 minuti
Regia Olivier Assayas
Cast Kristen Stewart, Lars Eidinger,
Anders Danielsen Lie, Nora von
Waldstätten, Sigrid Bouaziz
72
Marco Lombardi
[email protected]
Scrittore, sceneggiatore, critico
tato di fare un lavoro agghiacciante:
sodomizzare le persone che gli vengono
“commissionate” al fine di umiliarle. Il
suo padrino è un personaggio ambiguo
da cui a un certo punto cercherà di
affrancarsi, così che il film perde di
vista la sua trama malavitosa – fatta
di sgarri, omicidi, tradimenti, vendette,
verità nascoste – per diventare la (più
semplice) storia di un’emancipazione
dagli altri verso di sé. Perché questa
dovrebbe essere la più importante
“competenza”, professionalmente parlando: sapere che il lavoro che si fa è
giusto per noi. Che ci rappresenta, che
ci valorizza in quanto persone. Solo
così daremo il meglio, le altre “competenze” (quelle tecniche) si possono
imparare strada facendo.
n
Titolo Pericle il nero
Nazione Italia, Belgio e Francia
Anno 2016
Genere Drammatico
Durata 105 minuti
Regia Stefano Mordini
Cast Riccardo Scamarcio, Marina
Foïs, Valentina Acca, Gigio Morra,
Maria Luisa Santella
AIDPnews
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UN
NUOVO SERVIZIO PER I SOCI
AIDP
ORE
9.30
RASSEGNA STAMPA E WEB
Un importante nuovo servizio di aggiornamento
per i Soci. Una panoramica quotidiana sullo
scenario del mercato del lavoro arricchita
dagli articoli che parlano di noi
L
a nuova Rassegna Stampa e
DELIVERY La rassegna è realizzata dal
Web AIDP offre una selezione
lunedì al venerdì alle ore 9.30. Eventuali
degli articoli più significativi Credenziali di accesso articoli apparsi il sabato e la domenica, verinerenti il settore delle risorse
Area Riservata Soci ranno ripresi il lunedì successivo.
umane, della formazione e ri- Niente paura, se non le hai
collocazione professionale, notizie inerenti il
mai usate... recuperarle MODALITÀ DI FRUIZIONE
mercato del lavoro e le principali novità norè facile: basta richiederle La piattaforma web (CercaNotizie 4 AIDP) è
mative (escluse notizie riguardanti annunci
al momento del login accessibile dall’Area Riservata Soci (dall’hodi impiego o richieste di lavoro), oltre a tutti
e ti verranno inviate me page del sito www.aidp.it) inserendo le
gli articoli che parlano dell’Associazione. Le automaticamente. E per ogni proprie credenziali. La rassegna è consultabile
fonti stampa riguardano i principali quotidiani
problema... puoi contare 24 ore su 24 e da qualsiasi dispositivo. La
nazionali comprensivi di inserti di interesse,
sempre sulla Segreteria piattaforma infine consente alcune operazioni
pubblicazioni economico finanziarie, testate
Nazionale AIDP: utili per ricerche personalizzate (data, testata,
specializzate. Le fonti web, notizie da blog,
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siti e social.
tel. 02 6709558 dei file.
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AIDPnews
XCXCXCXCXCXC
ROAD
SHOW ISTITUZIONALE
I POMERIGGI
DEL LAVORO
Un’esperienza concreta
sull’alternanza scuola-lavoro
di David Trotti
David Trotti
Coordinatore
nazionale Centro
Studi AIDP
e Presidente
AIDP Lazio
I
{
Pomeriggi del Lavoro sono una delle attività più concrete messe in campo
da AIDP quest’anno; frutto di quello che sono stati i road show dello scorso
anno. Vogliono portare l’esperienza concreta degli operatori delle risorse
umane su di un argomento con la tecnica del benchmarking ovvero del confronto tra coloro che hanno studiato, ragionato e lavorato intorno a una esperienza.
I Pomeriggi del Lavoro si svolgono in partnership
con l’università, vedono la presenza di politici ed
istituzioni e la partecipazione di tanti professionisti
delle risorse umane. Sono un momento di forte
crescita e formazione, indipendentemente se chi
ascolta vive da anni le problematiche toccate o è
appena entrato in una direzione HR. Parlamento,
Governo e Società Civile: tre visioni a confronto
è il sottotitolo del percorso che riassume quanto
finora ho detto. Generalmente prima della discussione del tema viene anche lanciato un opinionario
tra i soci AIDP e tra gli appartenenti al gruppo
su Linkedin (coinvolgendo quindi più di 17.000
persone) che cerca di focalizzare il tema dando
voce alla popolazione HR. Quindi, ogni volta, un
evento da non perdere. Dopo l’appuntamento si
cerca di approfondire il tema attraverso discussioni
con tutti gli intervenuti e incontri bilaterali che
offrano la nostra vision.
L’ultimo tema toccato è stato quello dell’alternanza scuola-lavoro. Lo abbiamo affrontato
74
[email protected]
ad aprile ma la discussione e l’evento sono sfociati
(nello spirito di quanto scritto) in un confronto
al MIUR, tentando di dare il nostro contributo
in quell’ottica di costante miglioramento che ci
contraddistingue e che la Presidente nazionale
Isabella Covili Faggioli ha richiamato a Roma a
viale Trastevere (sede del Ministero). Ma torniamo al 18 aprile 2016 all’Università di Modena
e Reggio Emilia nel corso di uno dei Pomeriggi
I POMERIGGI DEL LAVORO
Parlamento, Governo e Società Civile: tre visioni a confronto
L’evento
del 18 aprile
All’incontro de I Pomeriggi del
Lavoro – che si è svolto all’Università degli Studi di Modena e
Reggio Emilia, il 18 aprile – sul
tema Alternanza Scuola-Lavoro
hanno partecipato, tra gli altri:
Angelo Oreste Andrisano
Rettore UNIMORE, Cesare
Damiano Presidente Commissione Lavoro Camera dei Deputati, Presidente Lavoro&Welfare,
Isabella Covili Faggioli Presidente Nazionale AIDP, Michele Tiraboschi UNIMORE
e ADAPT. Per AIDP Taskforce:
Alessandro Chiesa Ferrari,
Filippo Di Gregorio Dallara,
Luigi Torlai Ducati.
Ha coordinato i lavori Gustavo
Bracco Coordinatore Comitato
Scientifico AIDP.
Il ciclo I Pomeriggi del Lavoro
continua. Prossima tappa il 12
settembre all’Università degli
Studi di Torino con Il lavoro
nella stabilità: contratto a
tutele crescenti versus voucher.
AIDP che ha visto un acceso dibattito e confronto
sul tema dell’alternanza suola lavoro. Per parlarne utilizzerò la tecnica che sta rendendo questa
esperienza ricca e da non perdere, farò parlare i
soggetti coinvolti.
Iniziamo cercando di capire cosa è l’alternanza
scuola-lavoro.
Il Ministero del Lavoro (cliclavoro.gov.it) lo
spiega così:
Realizzare corsi di formazione all’interno del
ciclo di studi, sia nel sistema dei licei sia nell’istruzione professionale, è un modello didattico che
si sta radicando sempre di più anche in Italia. Si
chiama alternanza scuola-lavoro e intende fornire
ai giovani, oltre alle conoscenze di base, quelle
competenze necessarie a inserirsi nel mercato del
lavoro, alternando le ore di studio a ore di formazione in aula e ore trascorse all’interno delle
aziende, per garantire loro esperienza “sul campo”
e superare il gap “formativo” tra mondo del lavoro
e mondo accademico in termini di competenze e
preparazione: uno scollamento che spesso caratterizza il sistema italiano e rende difficile l’inserimento lavorativo una volta terminato il ciclo
di studi. L’alternanza intende integrare i sistemi
dell’istruzione, della formazione e del lavoro attraverso una collaborazione produttiva tra i diversi
ambiti, con la finalità di creare un luogo dedicato
all’apprendimento in cui i ragazzi siano in grado
di imparare concretamente gli strumenti del “mestiere” in modo responsabile e autonomo. Se per ➤
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AIDPnews
XCXCXCXCXCXC
ROAD
SHOW ISTITUZIONALE
“Una delle cose più concrete
che possiamo fare come HR
è quella di aiutare i ragazzi e le
ragazze a capire il mondo del lavoro”
i giovani rappresenta un’opportunità di crescita e
di inserimento futuro nel mercato del lavoro, per
le aziende si tratta di investire strategicamente in
capitale umano ma anche di accreditarsi come enti
formativi. Con la Legge 107/2015 questo nuovo
approccio alla didattica, rivolto a tutti gli studenti
del secondo biennio e dell’ultimo anno, prevede
obbligatoriamente un percorso di orientamento
utile ai ragazzi nella scelta che dovranno fare una
volta terminato il percorso di studio. Il periodo di
alternanza scuola-lavoro si articola in 400 ore per
gli istituti tecnici e 200 ore per i licei. I percorsi
formativi di alternanza scuola-lavoro sono resi
possibili dalle istituzioni scolastiche, sulla base di
apposite convezioni stipulate con imprese, camere
di commercio, industria, artigianato, commercio,
agricoltura, terzo settore che sono disposti a ospitare lo studente per il periodo dell’apprendimento.
Affinché si realizzi una convenzione, l’istituzione
scolastica si impegna a fare un’attenta e accurata
valutazione del territorio in cui va ad inserirsi.
Dopo questa fase di studio, le scuole individuano le realtà produttive con le quali poter avviare
collaborazioni concrete: queste assumeranno sia
la forma di accordi ad ampio raggio, a valenza
pluriennale, sia di convenzioni operative per la
concreta realizzazione dei percorsi.
Il Ministero richiama più volte uno dei soggetti
coinvolti: la singola scuola, il preside e il corpo
insegnante che sono in un luogo e in un territorio
su cui opera una singola azienda e che rappresenta
dal punto di vista educativo la carta di identità
di un territorio. Pensiamo alla differenza culturale tra una scuola sarda e una del Friuli Venezia
Giulia, infatti le scuole racchiudono e raccolgono
tutto il potenziale di un territorio (dove non ci
sono scuole probabilmente non c’è futuro). Questo
aspetto particolare dal punto di vista delle aziende
76
viene percepito in maniera molto forte, anche se
tutte le esperienze di scuola-lavoro con cui siamo
entrati in contatto ne riconoscono e promuovono
il valore intrinseco e assoluto, indipendentemente
dal territorio.
L’alternanza scuola-lavoro è un’esperienza
non nuova (anzi!) per le Direzioni HR come Dallara, Ducati e Ferrari - come hanno ampiamente
dimostrato il 18 aprile - e fa parte in maniera
consolidata e permanente della cultura aziendale
che, del confronto con il proprio territorio di appartenenza, fa un punto di forza. Questo concetto
è rappresentato in maniera splendida nelle parole
di Filippo Di Gregorio HR Director di Dallara Spa:
Da alcuni anni Dallara sta lavorando in una logica
di rete, guidata da uno dei principi ispiratori che
può essere sintetizzato da una frase dell’AD, l’Ing.
Andrea Pontremoli: “quello che stiamo facendo,
lo stiamo facendo anche per la nostra valle, la Val
Ceno, perché crediamo nel Territorio...la diffusione
della cultura tecnico-scientifica e l’integrazione
tra istruzione, educazione, formazione innovativa
e tessuto economico produttivo rappresentano un
fattore strategico per accrescere la competitività
sui mercati internazionali”.
Eccoci al punto. Una delle cose più concrete che
possiamo fare come HR è quella di aiutare i ragazzi
e le ragazze a capire il mondo del lavoro che sarà
per gran parte un elemento essenziale della loro
vita. Da anni i soci AIDP (che ricordiamolo sono
anche genitori e molto spesso sono nelle istituzioni
scolastiche) entrano nelle scuole per raccontare
come si fa un colloquio di lavoro e come si scrive
un curriculum. L’alternanza scuola-lavoro offre
la possibilità di poter vivere, guidati e all’interno
di un progetto, il mondo del lavoro. Alle aziende
permette di valutare il potenziale e il talento di
coloro che saranno probabilmente un giorno il loro
capitale umano, come ci racconta Luca Battistini
nel box qui sotto.
Si tratta di cogliere il valore della sinergia tra
istruzione e azienda che oggi coinvolge non solo
gli istituti tecnici, ma anche i licei.
Qui la lungimiranza e il progetto a lungo termine
sono essenziali, il domani si costruisce nel presente
e oggi, investendo qualche risorsa anche economica, sicuramente diminuiremo i costi di domani,
ma soprattutto avremo modo di evitare quei sei
mesi “terribilis” che viviamo quando inseriamo
una risorsa in azienda che, prima di tutto, deve
capire cosa significa lavorare. Poi permettetemi
un’annotazione, siamo stati, siamo o saremo tutti
padri e madri e con l’alternanza scuola-lavoro
aiuteremo i nostri figli, perché se aiutiamo i ragazzi
a fare esperienza qualche nostro collega aiuterà i
nostri figli a fare la loro. n
L’ESPERIENZA DEL GRUPPO ECV
Luca Battistini
HR Business Partner
Gruppo ECV
Il Gruppo ECV – Elite Club Vacanze – ha aderito con convinzione al progetto alternanza
scuola-lavoro finalizzando l’inserimento di tre giovani attraverso percorsi formativi mirati.
Mediante questa esperienza
abbiamo avuto l’opportunità di trasmettere
agli studenti nozioni riguardanti l’organizzazione dell’impresa (funzioni, regole, struttura, ruoli, ecc.), dando loro la possibilità di
approfondire la conoscenza di un settore
professionale, nel nostro caso quello del
turismo, così che potessero, alla fine del
percorso scolastico, effettuare un’analisi
più consapevole delle proprie capacità
avendo un’immagine chiara del mondo
del lavoro e delle organizzazioni presenti
da confrontare con le proprie aspettative.
Proprio in virtù dello specifico progetto
alternanza scuola-lavoro abbiamo inserito
un giovane che adesso riveste in azienda il ruolo di Sviluppatore Web inoltre,
grazie a percorsi formativi strutturati ad
hoc in collaborazione con l’Università e
altri Enti formativi, abbiamo inserito due
nuove risorse adesso assunte a tempo
indeterminato.
Per fare questo è stata fondamentale
un’analisi preliminare del fabbisogno aziendale e la sinergia
virtuosa con enti partner che
hanno strutturato con noi un
percorso che, partito dall’analisi del contesto aziendale, si è
focalizzato sull’identificazione
dei profili chiave e delle loro competenze
distintive.
La promozione di una transizione agevole dalla scuola al mondo del lavoro e la
finalità di garantire ai giovani l’opportunità
di evolvere tanto sotto il profilo professionale quanto personale, sono da sempre
due questioni fondamentali sia per la nostra economia che per la nostra società.
Oggi queste sfide si rendono ancora più
impellenti, in un periodo in cui l’economia
globale inizia a riemergere dalla peggiore
crisi degli ultimi 50 anni, dove i giovani
hanno portato sulle spalle buona parte del
peso della recente crisi occupazionale.
Giova osservare, infine, come spesso
la prima esperienza lavorativa influisca
molto sul futuro della vita professionale,
tant’è che un primo lavoro in condizioni favorevoli facilita l’integrazione dei
giovani nel mondo lavorativo e getta
le basi per una buona carriera.
77
AIDPnews
SAVE THE DATE
Quali sono le ultime novità
nel settore del welfare aziendale?
Quali le nuove opportunità
per aziende e lavoratori?
S
e ne parla al convegno
WelFare che fare –
Che cosa cambia per
aziende e dipendenti.
Le potenzialità di un
nuovo mercato, organizzato dal Corriere
Economia, che si terrà a Milano, presso
la sede del Corriere della Sera in Sala
Buzzati, il 20 settembre alle ore 18.00
(registrazioni dalle ore 17.30).
Nel corso dell’incontro saranno presentati in anteprima i risultati della ricerca
condotta sul campione di 1800 HR Manager e Professional del network AIDP
Nuove opportunità di welfare aziendale, condotta dal professor Luca Pesenti,
Università Cattolica del Sacro Cuore di
Milano.
Tavola rotonda, moderata da Massimo
Fracaro, alla presenza del Sottosegretario MEF Pier Paolo Baretta (tbc) e della
Presidente nazionale AIDP Isabella Covili
Faggioli, con testimonianze delle aziende
che hanno più puntato sul welfare.
Programma aggiornato e informazioni sul sito dell’Associazione – www.aidp.it
78
AIDPnews
DAI GRUPPI REGIONALI
PASSAGGI
DI TESTIMONE
Nei mesi scorsi si sono
rinnovate le cariche in quattro
Gruppi regionali. Ecco i nuovi
Presidenti di AIDP Abruzzo
e Molise e di AIDP Lazio,
di recente nomina, introdotti
dalle parole dei Presidenti
uscenti e di AIDP Basilicata
e Sicilia. A tutti loro, un grosso
benvenuto dalla Redazione
di Direzione del Personale
24 giugno 2016
ABRUZZO E MOLISE
“Carissimi,
essere Presidente del Gruppo Abruzzo e Molise è stata
una palestra di vita oltre che un’esperienza associativa.
Sperimentare cose diverse da quelle che possiamo vivere
in azienda è un’opportunità che richiede sì molto tempo,
impegno, passione, ma ampiamente ripagata dalle relazioni che si costruiscono e dalle emozioni che si provano.
È questo dunque un invito a trovare la motivazione e il
tempo per dedicarsi alla nostra bellissima associazione.
Sono molto orgoglioso di quello che ho fatto insieme a tutta
la squadra di AIDP Abruzzo e Molise in questi 6 anni di
presidenza e so bene che con Alfonso garantiremo continuità e miglioreremo ulteriormente. Ho trovato amici veri
che mi hanno aiutato, supportato e a volte sopportato.
Amici che rimangono, indipendentemente da tutto.
Ho chiuso il mio intervento della sera in cui c’è stato l’avvicendamento tra me e Alfonso parafrasando la famosissima
frase di Steve Jobs Stay hungry, stay foolish in Stay angry,
stay astonish che descrive bene come abbiamo vissuto gli
ultimi anni e come dovremo vivere i prossimi. Dobbiamo
credere di poter cambiare il futuro tanto da arrabbiarci
quando vediamo che le cose non funzionano, dobbiamo
meravigliarci e sognare con gli occhi dei bambini e quindi
pensare che ogni cosa sia possibile. Per chi non l’avesse
visto, un video per tutti: l’originale dei Coldplay Up&up
(su YouTube e... meravigliatevi!)
Buona visione! A presto”.
Raffaele Credidio
EMEA HR Operations Director Micron Technology
Alfonso Orfanelli
HR Group Director Arti Group Bavaria e Presidente AIDP Abruzzo
e Molise
Laureato in Economia & Management, master in Crisis Management e Relazioni Industriali, ha
iniziato la sua carriera nel settore bancario (Banco di Napoli) per
proseguire in Galbani, Coca-Cola,
Merker Yshima, Margaritelli SpA,
con esperienze che vanno dal settore dei servizi, a quello Commerciale, ICT e HR. Dall’ottobre 2015 ricopre la carica di HR Group Director della
Arti Group Bavaria, Gruppo internazionale di riferimento
nel settore della stampa industriale di libri, rotocalchi,
riviste, con oltre 900 dipendenti, la cui Direzione Generale
ha base a Bergamo e con filiali in Europa e Sud America.
È componente del CdA ricoprendo l’incarico di Datore
di Lavoro; fa parte della Giunta Nazionale Assografici e
della Commissione Sindacale Nazionale del settore Cartai
e Cartografici. Socio AIDP dal 2007, è ora Presidente del
Gruppo Abruzzo e Molise.
➤
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AIDPnews
XCXCXCXCXCXC
DAI
GRUPPI REGIONALI
23 giugno 2016
LAZIO
“Cari tutti, con molta soddisfazione e un pizzico di commozione, vi informo che l’assemblea soci di AIDP Lazio,
pronunciatasi sul rinnovo cariche, al termine del mio
secondo mandato triennale, ha eletto David Trotti quale
nuovo Presidente. David, che non ha bisogno di presentazioni, si è positivamente contraddistinto in associazione
in questi anni, sia in ambito regionale che nazionale, e ha
mostrato infinita passione oltre che elevatissimo impegno
e competenza. Era quindi, senza indugio, la figura più
adatta, per know how e per meriti, a prendere in mano le
redini del gruppo regionale. Dal canto mio, continuerò a
dare il mio fattivo contributo all’interno del nuovo direttivo
regionale concepito, come da migliore tradizione AIDP,
nell’ottica del “rinnovamento in continuità”. A David e a
tutta la squadra auguro, essendone totalmente confidente,
i migliori successi per AIDP Lazio”.
Michele Tripaldi
HR Manager Interconsulting
David Trotti
Partner delle Direzioni HR
e Presidente AIDP Lazio
Appassionato delle risorse umane,
affianca le direzioni del personale
delle aziende attraverso la condivisione delle attività dell’amministrazione del personale e della
gestione del capitale umano. Per
molti anni Direttore Corporate
delle Risorse Umane del Gruppo
Mondoconvenienza è anche Consulente del Lavoro. Responsabile del Centro studi AIDP.
Giornalista Pubblicista: ha al suo attivo ebook, articoli e
video. È Coordinatore scientifico per l’area lavoro della rivista Consulenza di Buffetti editore. Professore a contratto
presso l’Università Niccolò Cusano di Roma e Commissario
Certificatore per le competenze HR di Rina e AIDP.
80
15 aprile 2016
BASILICATA
Andrea Frascati
HR Manager Smart P@per Spa
e Presidente AIDP Basilicata
Smart P@per è una società per
azioni con sede nell’area industriale
di Sant’Angelo le Fratte (PZ), specializzata nella progettazione, realizzazione e gestione di soluzioni
per l’archiviazione ed elaborazione
elettronica di documenti. Prima
della Direzione Risorse Umane
(2009) in Smart P@aper, ricopre
il ruolo di General Manager (2008-2009) presso il Gruppo Di
Mario Dimatour e in Nicoletti Spa di HR Manager (dal 2006).
1° febbraio 2016
SICILIA
Carlo Bruschi
Consulente Risorse Umane
e Organizzazione SDI
Soluzioni d’Impresa
e Presidente AIDP Sicilia
Oltre quindici anni di esperienza all’interno della Direzione Risorse Umane e Organizzazione
in primarie società quali Fiat e
Finmeccanica, in ruoli di sempre
maggiore responsabilità fino a ricoprire posizioni apicali. Significative esperienze nello Sviluppo Organizzativo prima e nelle
Relazioni Industriali e processi di ristrutturazione poi.
Arriva in Sicilia nel 2006 come Direttore Risorse Umane
Area Sicilia per Almaviva Contact coordinando tutti i siti
produttivi presenti nell’isola. Innamoratosi della terra
decide di fermarsi trasformandosi nel 2011 in consulente. Da allora opera come Consulente di Direzione nelle
tematiche Risorse Umane e Organizzazione affiancando
primarie aziende siciliane in processi di efficientamento
delle strutture organizzative e dei processi di lavoro. È
partner di Soluzioni d’impresa e collabora con Fondirigenti
nel progetto “Visite in Itinere”. n
Labour is a hard job
178
dal 1980
NUMERO
settembre 2016178
DIREZIONE DEL PERSONALE
VI GUIDIAMO SU ROTTE
TRACCIATE DA EFFICIENZA,
PARTNERSHIP E TECNOLOGIA.
IL SENSO DEL LAVORO
È ANCHE QUESTO.
TRIMESTRALE DI INFORMAZIONE E CULTURA DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA PER LA DIREZIONE DEL PERSONALE
LA GRANDE
SCOMMESSA
La sfida del futuro? Una funzione HR in grado di stimolare e motivare
le persone, rimettendo al centro delle organizzazioni il lavoro
{
IL REPORTAGE DEL CONGRESSO AIDP CON I CONTRIBUTI DI GIULIANO POLETTI, GIOVANNI COSTA, STEFANO VENTURI,
PIER LUIGI CELLI, ENZO SPALTRO, GIUSEPPE VARCHETTA, ROBERTO CINGOLANI, MAURIZIO SACCONI, SALVATORE PIRRONE
}