freud e la psichiatria - Centro di Relazioni Umane

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freud e la psichiatria - Centro di Relazioni Umane
FREUD E LA PSICHIATRIA - Giorgio Antonucci
Atlantica - Grande Enciclopedia universale - Annuario Enciclopedico 1990 European Book Milano
Poiché in questi anni, alla fine del millennio, non si può in nessun ambiente
parlare di psicologia senza pensare a Freud, questo lavoro si propone di
iniziare una riflessione sulle relazioni che si possono individuare tra le
ricerche di Freud e i primi nuclei di pensiero critico nei confronti delle
dottrine psichiatriche.
Certamente le contraddizioni teoriche della psichiatria vengono notate spesso
anche prima di Freud, ma con lui, più che con ogni altro, nasce un nuovo modo di
ragionare, che può precludere alla critica sistemica di tutte le opinioni
tradizionali.
Il concetto fondamentale freudiano che tutto quello che appare frammentario in
un panorama psicologico rimanda necessariamente a dei nessi più profondi da
ricercare e scoprire; permette di applicarsi nella riflessione sulle
caratteristiche unitarie della personalità, al di là dei pregiudizi con cui gli
psichiatri liquidano sommariamente le persone.
Il giudizio di schizofrenia, ad esempio, non sembra più avere significato e
sussistenza, se si può dimostrare di vedere una logica al di là delle apparenze
immediate, e lo stesso si può dire di tutti gli altri giudizi di classificazione
psichiatrica.
Con questo criterio la psichiatria può essere metodicamente smantellata, con
vantaggio per la conoscenza degli uomini e anche per la loro incolumità.
Le contraddizioni psicologiche, parlando in termini freudiani, non sono effetto
di una disgregazione della personalità, come ritiene lo psichiatra, ma al
contrario sono la rivelazione e l'espressione di un conflitto strettamente
legato con l'intelligenza.
Già infatti nella prima opera importante per la fondazione della psicanalisi,
"Studi sull'isteria", scritta in collaborazione con l'amico Josef Breuer, Freud
dichiarava a mo' di meditazione autobiografica: " Non sono sempre stato uno
psicoterapeuta. Come gli altri neuropatologi, avevo imparato a impiegare
diagnosi locali e elettroprognosi, e ancora mi sembra strano che i casi da me
descritti sembrano, alla lettura, delle storie immaginarie e che, come qualcuno
potrebbe dire, manchino di una seria importanza scientifica. Debbo consolarmi
con la riflessione che più di qualsiasi mia preferenza è responsabile di ciò la
natura dell'argomento. Il fatto è che le diagnosi locali e le reazioni
elettriche non conducono ad alcun risultato nello studio dell'isterismo, mentre
una descrizione dettagliata dei processi mentali quali siamo abituati a trovare
nelle opere di narrativa, mmi mette in grado, con l'aiuto di alcune formule
psicologiche di ottenere per lo meno un certo tipo di visione entro il corso di
tale disturbo. Casi di questo genere debbono essere giudicati come psichiatrici;
essi hanno, comunque, un vantaggio sugli altri, cioè una connessione intima tra
la storia delle sofferenze del paziente e i sintomi della sua malattia;
connessione che cerchiamo ancora invano nella biografia delle altre psicosi".
("Studien on Hysteria, 1893-1895, Standard Edition, Hogarth Press e Istituto di
Psicanalisi di Londra. Volume secondo. Breuer e Freud, pagine 160-161).
In queste parole di Freud ci sono in fermento molti problemi e molte
contraddizioni.
E' chiaro che Freud ha capito che le situazioni riferite dalla tradizione con il
giudizio dell'isterismo non sono né spiegabili né affrontabili con i concetti e
con i metodi della neurologia, e suppone che anche altri quadri di riferimento
della psichiatria possano trarre vantaggio da ricerche psicologiche e
biografiche, sia a livello di comprensione che a livello di risoluzione di
conflitti.
Però rimane legato al concetto di malattia e alle classificazione psichiatriche,
avviandosi così in un labirinto dalle uscite apparentemente irraggiungibili.
L'ambiguità su questo punto genera il concetto vuoto di malattia funzionale, che
da una parte serve alla medicina per nascondersi le sue lacune e i suoi errori,
dall'altra serve agli psicologi per invalidare qualunque comportamento o
pensiero non conforme alla moralità dei costumi.
E' per noi di particolare interesse seguire per un momento di giovane Freud,
quando nell'allargare le esperienze tradizionali e nel rinnovare il pensiero
scientifico diviene perturbatore della moralità e si conquista tutte le ostilità
relative, evitando certe conseguenze solo per la sua posizione di neurologo
abbastanza affermato.
Singolare è la diffusione del concetto di isterismo maschile, al ritorno da
Parigi, dopo aver studiato con Charcot, il quale certe verità scottanti, per
ragionevole prudenza, da buon scienziato, le comunicava solo agli amici più
fidati o agli specialisti.
Invece Freud, almeno allora, era piuttosto scapestrato e correva i suoi rischi,
tra cui quello di contraddire persone intelligenti, come quel medico che gli
disse: "Mio caro signore, come potete dire una tale assurdità? Hysteria
significa utero; come può un uomo essere isterico?"
In seguito Freud scriverà, con una certa malinconia, nella sua "Storia del
movimento psicoanalitico", che innocentemente aveva preso la parola in un
convegno dell'Associazione Viennese di Psichiatria e Neurologia, con KrafftEbing in cattedra, "aspettandomi che le perdite materiali cui mi ero
volenterosamente sottoposto sarebbero state ricompensate dall'interesse e dal
riconoscimento dei miei colleghi. Trattai le mie scoperte come ordinari
contributi della scienza e sperai che fossero accolte col medesimo spirito. Ma
il silenzio che seguì alle mie comunicazioni, il vuoto che si formò attorno a
me, i commenti, mi fecero realizzare che l'introduzione della sessualità
nell'eziologia della nevrosi non poteva contare su di una accoglienza dello
stesso genere di quella avuta da altre comunicazioni. Compresi che da allora in
avanti sarei stato uno di quelli che avevano "disturbato il sonno del mondo" e
che non potevo contare sull'obbiettività e la tolleranza". (History of the
Psychoanalitical Movement, 1914-1916, Standard Edition. Volume XXV, pagine 2122).
Certamente, la vita degli innovatori, sia pure medici relativamente affermati,
nel vecchio secolo come nel nuovo, sembra giustificare i timori di Charcot,
specialmente se si pensa alla fine di Semmelweis, che per aver scoperto le cause
della febbre puerperale, e i metodi per combatterla, si era guadagnato tante
umiliazioni da indurre gli amici a ricoverarlo in manicomio, luogo della sua
morte (13 agosto 1865).
Meno male che Freud avrebbe avuto maggior fortuna, nonostante la conquista di
Vienna da parte dei nazisti.
La minaccia che molti sentono nel pensiero di Freud non è solo legata alla
scoperta dell'importanza della sessualità, sia negli adulti che nei bambini, ma
anche al fatto che le contraddizioni e i conflitti psicologici non vengono più
attribuiti a un difetto neurologico ma cominciano a essere riferiti alla storia
dell'individuo e alla sua collocazione nelle strutture sociali.
Come si leggeva prima, la ricerca comincia a diventare biografia.
E Freud come si è visto, afferma con precisione e con ammirabile chiarezza:
"Debbo consolarmi con la riflessione che più di qualsiasi mia preferenza è
responsabile di ciò la natura dell'argomento".
Cesare Lombroso, ai giorni nostri ancora così popolare presso sociologi e
giornalisti di fama, era solito affermare, anche a sostegno della necessità dei
manicomi giudiziari, che un eccesso di intelligenza è di per se stessa una
pericolosa forma di pazzia, e se questa affermazione può lasciare
ragionevolmente tranquilla la maggior parte degli psichiatri e degli
psicanalisti, poteva essere micidiale per un uomo come Freud, che veniva da ogni
parte sospettato, come è logico negli ambienti più qualificati.
Si racconta ad esempio che, in un congresso di neurologi e psichiatri tedeschi
nel 1910 ad Amburgo, un certo professor Wilhelm Weygandt abbia detto,
interrompendo una discussione nella quale erano state menzionate le teorie di
Freud: "Questo non è un argomento per un dibattito in un convegno scientifico: è
cosa che riguarda la polizia".
E un altro neurologo, il professor Oppenhaim, allora molto famoso e ascoltato,
chiese che gli scritti di Freud fossero censurati in tutte le istituzioni
psichiatriche rispettabili.
Così, proprio in rapporto all'intolleranza e al fanatismo che accompagna l'odio
per le novità, dobbiamo a Freud alcune osservazioni importanti che rimandano a
molti problemi della nostra epoca, gravi e tutt'altro che risolti: "Era una
situazione analoga a quella del medio evo, allorché un malfattore, o anche
soltanto un avversario politico, veniva messo alla gogna e abbandonato ai
maltrattamenti della plebe. Forse non vi renderete conto fino a quale livello
della nostra società arrivi la volgarità, e di quali eccessi le persone siano
capaci qualora esse si sentano parti di una massa ed esonerate dalla
responsabilità personale. A quei tempi io ero abbastanza solo, e riconobbi ben
presto che il polemizzare non dava alcun risultato, che anche il lagnarsi e
l'invocare spiriti migliori era assurdo, poiché non esistevano istanze cui
presentare lagnanza". (New Introductory Lectures and Other Works. 1932-1936,
Standard Edition. Volume XII, pagine 137-138).
Aveva proprio ragione Hume a dire che la stabilità della conoscenza dipende solo
dall'abitudine, infatti gli animali umani, specialmente quelli delle
istituzioni scientifiche, sono attaccati alle vecchie abitudini con tutta la
profondità delle loro radici.
Così Freud, uomo diverso, non piaceva a nessuno. Tanto meno piaceva ai suoi
colleghi.
Lo storico statunitense Daniel J. Boorstin nella opera "The Discoveres" (1983)
in italiano "L'avventura della scoperta - Una storia della ricerca umana per
conoscere il mondo" (Edizioni Mondadori, 1985), parla della predilezione di
Freud per la cultura classica, per l'archeologia e per la storia, e rivela come
le sue intuizioni e le sue ricerche siano più stimolate dalla filosofia di
Goethe che non da quella di Helmoholtz.
"Quando - scrive Boorstin - passati i quarant'anni, spostò l'attenzione dal
mondo di Helmholtz e dalla neurologia al mondo della cultura e della storia, si
dedicò all'archeologia dell'anima, "la psiche". Il suo terreno di scavo furono
gli strati mai esaminati dell'esperienza, sia della società che dell'individuo"
pagina 533 dell'opera citata).
Però, quando cominciò a raggiungere il successo, ci si affrettò a ridurre la sua
opera nei confini impropri della medicina.
D'altra parte Jung dice che la genesi della teoria di Freud reca il marchio
inconfondibile dell'esperienza ambulatoriale. Eppure, quando i medici degli
Stati Uniti chiesero che la pratica della psicanalisi fosse riservata soltanto
ai laureati in medicina, Freud si manifestò decisamente contrario non volendo
che la psicanalisi si riducesse a una semplice ancella della psichiatria.
Anche Giano, come raccontano le storie, si offriva per allontanare gli incubi
della notte.
In ogni modo, fino agli ultimi anni della sua vita, i conservatori gli furono
contro.
Le sue opere erano state messe al rogo dalla Germania nazista, non erano mai
arrivate nell'Unione Sovietica, e risultavano all'indice per la Congregazione
dei Riti Vaticana.
La cultura esplicitamente autoritaria lo respingeva senza mezzi termini.
Contemporaneamente, come riferisce Carlo Belihar nella sua "Vita di Freud" edita
da Peruzzo nel 1986, alcuni scrittori importanti tra cui Thomas Mann e Romain
Rolland gli scrivono: "Noi sottoscrittori non possiamo immaginare il nostro
mondo mentale senza l'opera ardita e coraggiosa di Sigmund Freud".
Nell'ultimo periodo della sua vita, poco prima della sua partenza per Londra,
era divenuto obbiettivo della gioventù hitleriana, che maturava il proposito di
aggredirlo, sicuramente non solo per antisemitismo.
Secondo noi i nuovi modi di vedere sostanziali dell'opera freudiana son in primo
luogo il collegamento di tutte le tensioni interiori con le possibili
motivazioni, in secondo luogo la possibilità di acquisire metodicamente un
sempre più attento controllo di se stessi, per divenire il più possibile
autonomi.
Il premio Goethe del 1930 è il riconoscimento di uno scrittore chiaro ed
essenziale, diverso da tutti quei sofisti ingarbuglia-idee che si ritengono suoi
seguaci e continuatori.
Non a caso a Vienna, a fine secolo, si discute molto di problemi di linguaggio,
in rapporto ai significati e al non senso.
Si cerca intensamente una nuova chiarezza del linguaggio per rinnovare la
propria comprensione della realtà, e per ritrovare se stessi.
"Solo nella voluttà della creazione linguistica il caos diventa mondo" scrive
Karl Kraus, e in questa stessa ricerca lavorano nei loro campi rispettivi
Wittgenstein e Schoberg, in parallelo naturalmente con Freud.
Infatti anche le scoperte di Freud sono prima di tutto un problema di linguaggio
e di chiarezza di pensiero, e non certo un problema di medicina.
Ora, dopo un secolo, il problema della comunicazione e del linguaggio è divenuto
ancora più urgente.
I mezzi di comunicazione di massa come il cinema, la radio e specialmente la
televisione, hanno la possibilità di aumentare le informazioni e allargare la
conoscenza, così come, per contro, la possibilità di diffondere la confusione e
accrescere la superficialità e la disposizione a sottomettersi.
Gli intellettuali hanno perso ogni rigore di linguaggio e ogni rigore di
ragionamento, diventando scrittori da autogrill.
Reggono solo se sono al servizio di qualcuno.
La dipendenza da una qualche autorità è ritenuta, nonostante tutto, una specie
di legge di sopravvivenza.
Scriveva Freud ad Einstein riflettendo sulle possibilità di costruire un mondo
senza guerra: "Richiamandoci a questa realtà si dovrebbe dedicare maggiori cure,
più di quanto si sia fatto finora, alla educazione di una categoria di persone
dotate di indipendenza di pensiero, inaccessibile alle intimidazioni". (Lettera
ad Einstein su 'Perché la guerra?', settembre 1932, Edizione italiana Bollati
Boringhieri, 1989).
Negli ultimi anni, in riferimento particolare alla pubblicità, ma anche in
rapporto alla politica e alla letteratura, è sempre cresciuta l'usanza di
costruire linguaggi più di tipo suggestivo che di tipo razionale, mentre altri
si sono rifugiati nel vezzo manierato dell'incomprensibilità, quasi fosse una
virtù dello scrittore.
In questo senso poi, i presunti studiosi di psicologia hanno raggiunto vette
veramente eccelse, imitati soltanto da qualche poeta.
Il riuscire incomprensibili persino a se stessi è senza dubbio un segno
aristocratico di profondità di pensiero.
Gli oratori poi farebbero impallidire qualsiasi sofista navigato. La genericità
dei messaggi è un vero capolavoro di non senso, in similitudine con i
ragionamenti e le comunicazioni dei giuristi.
In questo labirinto gli psichiatri, com'è logico, non rinunciano di sicuro a
fare rispettare con la forza il filo sottilissimo della saggezza.
Io credo che sarebbe interessante aprire un'indagine sulla storia del senso
critico per capire come mai su certi argomenti c'è tanta immobilità per tempi
così lunghi.
Com'è accaduto e come accade sulla natura del rapporto tra psichiatria e
moralità dei costumi.
Eppure il rapporto è chiaro come il segno della meridiana alla luce del
pomeriggio.
Così si possono tentare alcune riflessioni su certi passi di Jean-Martin
Charcot, direttore dell'ospizio psichiatrico della Salpetriere, e professore
della prima cattedra parigina di clinica delle malattie nervose,istituita per
lui nel 1882, e frequentata da Freud nel 1885 e 1886.
I brani delle lezioni di Charcot sono tratti dal libro “La donna dell'isteria –
Inversione del senso genitale e altre perversioni sessuali – L'isteria femminile
(Spirali/Vel Edizioni – Prima versione italiana marzo 1989).
Nelle lezioni di Charcot si possono seguire sia i racconti delle pazienti, sia i
giudizi e le riflessioni del professore.
Tale confronto appare istruttivo e interessante. Si vede tra l'altro che una
delle debolezze teoriche del pensiero psichiatrico è l'imprecisione e
indeterminazione del linguaggio e dei concetti, che si possono prestare in tutte
le circostanze ad ogni genere di equivoco.
Il dire e il non dire lascia aperte le possibilità all'arbitrio più completo,
che viene esercitato da chi decide a scapito di chi subisce le decisioni.
Gli psichiatri, con il cambiamento dei costumi e delle regole sociali accettate
dalle autorità, modificano il loro concetto di normale e anormale, sempre
nell'interesse e nel rispetto dell'ordine costituito.
Così ci può essere la vecchia e la nuova normalità, come vedremo nel
proseguimento di questo nostro discorso.
Lombroso sapeva benissimo, e non lo nascondeva, che il concetto di normale è
relativo alle convenzioni sociali che cambiano di continuo.
Però, poiché come positivista riteneva che la società, in tutti i suoi momenti
storici, fosse un riflesso delle leggi di natura, gli individui in dissenso o
non adatti gli apparivano difettosi.
Di conseguenza cercava i segni della degenerazione, nel cranio come in altre
parti del corpo.
Così come ora si continuano a cercare i difetti genetici o biochimici.
Da parte sua Freud trova già nelle lezioni e nelle conversazioni di Charcot una
attenzione particolare ai problemi della vita sessuale.
Tale attenzione era ancora più esplicita quando Charcot parlava ai suoi
prediletti, di cui Freud faceva parte, al di fuori delle aule universitarie e
degli incontri pubblici.
Questo fatto rimanda all'osservazione da non trascurare che quello che gli
scienziati fanno passare come logico e naturale non corrisponde alla società
com'è realmente in tutte le sue variazioni e in tutta la sua complessità, sia
pure soltanto nel periodo in cui essi conducono i loro studi e traggono le loro
deduzioni, ma corrisponde piuttosto ai loro pregiudizi relativi al perbenismo
del tempo.
In questo modo accade che in un ambiente sociale in cui ufficialmente la pratica
sessuale prevalente è l'eterosessualità, l'omosessualità viene catalogata come
patologica.
Lo stesso si può dire per altri comportamenti, pertinenti o non pertinenti alla
vita sessuale.
Sarebbe interessante fare una storia dei costumi sul problema del suicidio nelle
diverse società e nelle diverse epoche, specialmente tenendo conto delle
sanzioni previste.
Ma veniamo per un po' di tempo agli uomini e alle donne di cui si interessava
Charcot.
I contemporanei di Charcot riferiscono che il suo comportamento nei riguardi dei
pazienti non era particolarmente brillante dal punto di vista della sensibilità.
E' probabile che il dirigere un campo di internamento di cinquemila persone come
la “Salpetrière” 'il vecchio carcere e asilo delle donne perdute' come viene
definito nel libro di Luciano Sterpellone 'I protagonisti della medicina'
(Edizione Piccin – Padova 1983) non risultasse alla lunga del tutto favorevole
allo sviluppo della sua sensibilità umana.
Ma era tuttavia un grande osservatore di fenomeni neurologici, come dimostrano i
risultati delle sue ricerche in questo campo.
Riportiamo ora per intero, così come lui l'ha descritto, un caso psicologico di
Charcot, a pagina 24 del libro 'La donna dell'isteria' di cui prima si è detto.
Scrive l'autore: “Osservazione II. - Madre isterica; emicrania nel fratello.
Abitudini di onanismo. A dieci anni, impulsi a lasciare cadere gli oggetti dalle
mani; più tardi, è spinto a guardare i glutei delle donne, delle ragazze e anche
l'ano di un ragazzo vestito; il ragazzo nudo lo lascia indifferente. I quadri
rappresentanti donne nude e le statue lo eccitano. - Tendenze melanconiche. Idee di suicidio.
XY, medico, di trentatré anni, in preda a profonda tristezza, nel mese di
ottobre 1881 viene a chiedere consiglio a uno di noi per i fenomeni strani che
prova. Sua madre, affetta da isteria, presenta attacchi e periodi di viva
eccitazioni intellettuale; suo padre, morto a sessantaquattro anni, era
asmatico; uno dei fratelli è soggetto a emicranie; quanto a lui, dall'età di
dieci anni, è stato oggetto di ossessioni, cui ha fatto molta fatica a
resistere; così, quando teneva in mano un oggetto, per esempio un piatto, si
sentiva spinto a lasciarlo cadere per terra. Per due anni, ha dovuto resistere a
questa disposizione morbosa che, del resto, ha finito per scomparire. Si è
dedicato da sempre all'onanismo; ha fatto gli studi medici con molta fatica, non
perché fosse privo di intelligenza, ma perché il lavoro lo stancava subito.
Sopra tutto, dopo gli otto anni, aveva molta difficoltà a seguire un'idea, a
applicare la mente allo studio; gli sembrava di capire con maggiore difficoltà e
che le sue concezioni fossero più lente. Verso quell'epoca ha incominciato a
provare fenomeni strani: quando vedeva una donna, il suo pensiero correva alla
regione glutea e non poteva impedirsi di guardare i glutei. Questa ossessione
diventava più pressante quando si trattava di fanciulle.
Nella folla si strofinava contro i glutei delle donne, ma quando sopraggiungeva
l'erezione, si affrettava ad allontanarsi e a evitare i gruppi. Fuggiva ed
evitava i quadri e le statue rappresentanti donne nude, perché risvegliavano in
lui idee oscene che gli erano sgradite.
Durante tutto il 1880, non poteva vedere un bambino, senza che i suoi occhi
corressero alla parte inferiore del dorso e senza che l'idea dell'ano gli si
conficcasse nella mente. Era molto infelice, giacché non aveva mai avuto
tendenze alla pederastia e i suoi rapporti sessuali sono sempre stati normali.
E' in grado di notare che il bambino in stato di nudità lo lascia indifferente e
che nell'anfiteatro e nelle sale di dissezione non aveva nessuna idea bizzarra.
Da un anno soffre alternanze di eccitazione e di depressione e talvolta
sopraggiungono idee di suicidio; dice che vorrebbe farsi saltare il cervello.
Il fatto saliente è senz'altro l'ossessione singolare che dirige lo sguardo del
paziente verso la regione glutea delle donne e che lo spinge alla ricerca
dell'ano di un bambino vestito, mentre il bambino nudo non lo impressiona. Anche
qui questa sindrome è solo un episodio di uno stato morboso che trae la sua
fonte nell'ereditarietà e che offre altri impulsi, un'estrema emotività,
tendenze melanconiche, idee di suicidio, disposizione depressiva che persiste al
di fuori delle idee ossessive. Dunque è sempre lo stesso stato psicopatico con
colori differenti nelle manifestazioni.”
La storia riferita da Charcot è alquanto divertente, e divertente è pure il
commento.
Charcot, come uomo normale e tutore della normalità degli altri, le donne le
guardava solo negli occhi, i bambini li considerava angioletti puri come il
sole, al suicidio non ci pensava neppure quando attraversava la Salpetrière di
cui era responsabile.
In ogni modo abbiamo imparato che l'attrazione che il sedere delle donne
esercita sugli uomini ha motivi ereditari.
Confessiamo però che ci sembra un po' vago il rapporto tra l'asma del padre,
morto a sessantaquattro anni, il mal di testa del fratello, e i desideri erotici
del paziente.
Tuttavia è chiaro che non si può pretendere che tutte le cartelle cliniche degli
psichiatri siano un capolavoro, come quest'altra di Charcot, scritta sul caso di
un uomo con preferenze omosessuali.
Vi si trova: “Tendenza neuropatica degli ascendenti; sproporzione tra l'età del
padre e quella della madre. - Inversione del senso genitale: fin dall'infanzia
sensazioni voluttuose e, dalla pubertà, talvolta eiaculazioni alla vista di un
uomo nudo o di una statua di uomo nudo o al ricordo ossessionante di queste
immagini; la donna nuda lascia indifferente. - Da cinque a otto anni,
propensione al furto. - Abitudini di onanismo fino a ventidue anni. - Attacchi
isteriformi dai quindici anni.” (pagina 10 della stessa pubblicazione).
Il filo logico che segue Charcot è il collegamento tra pregiudizi moralistici,
che uniscono insieme la storia del figlio con quella dei genitori: il matrimonio
di persone con differenza di età, onanismo, omosessualità, che rimanderebbero,
secondo l'autore, a un quadro patologico di carattere ereditario.
Ora, alla fine del secolo ventesimo, sono cambiati i costumi, sono cambiati i
principi delle scienze, e le conoscenze sulla struttura e sulle funzioni del
sistema nervoso si muovono su un piano del tutto differente.
Però gli psichiatri, con i loro criteri di selezione sociale, hanno accresciuto
il loro potere ancora di più, e si ripromettono un futuro allettante.
Le società umane attuali, al di là delle apparenze e delle formalità, sembra che
si sviluppano ogni giorno di più con il bisogno di ordinamenti di tipo
autoritario, senza considerazione per i diritti dell'individuo. Non so se fosse
questa la società che si figuravano i progressisti dell'ottocento, con
preparazione scientifica e spirito umanitario: “Dodici voci si alzarono furiose,
e tutte erano simili. Non c'era da chiedersi ora che cosa fosse successo al viso
dei maiali. Le creature di fuori guardavano dal maiale all'uomo, dall'uomo al
maiale e ancora dal maiale all'uomo, ma già era loro impossibile distinguere i
due.” (Conclusione da 'La fattoria degli animali' di George Orwell – traduzione
italiana Mondadori, 1989).
D'altra parte gli psichiatri, che con le loro idee hanno una grande influenza su
tutti i rami della cultura e su tutti i mezzi di comunicazione e di propaganda,
non servono solo a mantenere le usanze in limiti precisi finché questo è
ritenuto utile, ma servono anche a indirizzarle in direzione nuove programmate
dall'alto.
Come, ad esempio, Douglas Labier, docente alla “Washington School of
Psychiatry”, psicologo d'azienda, studioso della trasformazione del lavoro nella
società statunitense dei nostri giorni che, in un libro pubblicato nel 1986
dalla “Addison-Wesley pubblishing” di New York, e tradotto in italiano nel 1988
nelle “Edizioni Olivares” di Milano dal titolo 'Follia moderna – Il costo
psicologico del successo professionale', sostiene la necessità per gli impiegati
e i dirigenti di azienda di una nuova normalità al posto della vecchia, perché
si adattino bene alle nuove strutture sociali emergenti, e ai nuovi tipi di
organizzazioni del lavoro, diventando più efficienti, senza essere del tutto
alienati.
Certo è che bisogna prepararsi fin dalla culla.
Charcot, quando Freud lo andò a trovare a Parigi, era al massimo della sua fama
e della sua influenza, tanto che il giovane medico viennese, per assistere alle
sue serate, non del tutto sicuro di sé, si faceva coraggio con la cocaina.
Ma è anche vero che poi si annoiava, come confessa lui stesso nelle lettere alla
fidanzata.
Sembra che Charcot considerasse Freud con simpatia, nonostante non fosse privo
di pregiudizi razziali antisemiti, come risulta dalle sue lezioni alla
Salpetrière, e nonostante la sproporzione di età tra il padre e la madre di
Freud, di cui forse lui non era a conoscenza, ma che considerava sicuramente un
difetto, come si è visto dalle sue cartelle.
“Charcot lo fa oggetto di particolare attenzione – scrive Peter Gay in 'Freud –
Una vita per i nostri tempi' biografia pubblicata nell'originale da W. W. Norton
& Company, New York – London, e tradotta in italiano da Bompiani nel 1988. - E
basta questa cordialità a fare di Charcot un modello più che mai valido.
La cosa più importante, per Freud, è che questo modello è palesemente pronto a
prendere sul serio il comportamento dei suoi pazienti e altrettanto pronto ad
accogliere le ipotesi più inconsuete. Nel rivolgere al materiale umano la più
accurata e penetrante attenzione, Charcot si dimostra un artista, un visuel, “un
uomo che vede”, come egli stesso si definisce. Fidando in ciò che vede, difende
la pratica a scapito della teoria; un'osservazione da lui fatta un giorno in
presenza di Freud si stampa nella mente di quest'ultimo: “La théorie, c'est bon,
mais a n'empeche pas d'exister”. Freud non dimenticherà mai questo bon mot, e
negli anni successivi, quando sconvolgerà il mondo con fatti incredibili, non si
stancherà mai di ripeterlo: la teoria va bene, ma non impedisce ai fatti di
esistere. E' questa la lezione fondamentale che Charcot impartisce; lo
scienziato che si sottomette docilmente ai fatti, non contrasta la teoria, ma la
alimenta e la aiuta.
Il problema è che, come si è visto, anche lo scienziato i fatti, se così
vogliamo chiamarli in modo piuttosto generico, li vede con i propri occhi, che
non sono certo indipendenti dalla cultura che lui rappresenta.
Freud però, ben al di là delle affermazioni di principio di sapore positivista e
al di là dei detti memorabili, si accinge a cambiare completamente il metodo con
cui si avvicina ai problemi psicologici.
I pazienti diventeranno protagonisti invece che oggetti di studio.
Proprio a proposito dello sviluppo del metodo introdotto da Freud, dirà Jung in
una bella pagina dell'opera 'Die Psychologie der unbewussten Prozesse'
pubblicata nel 1917 – traduzione italiana “La psicologia dell'inconscio” Newton Compton Editori, 1989: “qui il medico deve essere anche psicologo, cioè
conoscitore dell'anima umana. Questa necessità non gli dà pace. E' comprensibile
che si rivolga alla psicologia poiché il suo manuale psichiatrico non dice
niente in proposito. L'attuale psicologia sperimentale, però è ancora lungi dal
consentirgli una qualche comprensione coerente dei processi psichici più
importanti nella pratica, perché il suo scopo è un altro: essa cerca di isolare
processi quanto più possibile semplici ed elementari, ai limiti del fisiologico,
e di studiarli isolatamente. Esso non è affatto incline all'infinitamente
variabile e mobile della vita spirituale, poiché le sue conoscenze e i suoi dati
di fatto sono limitati al dettaglio essenziale e mancano di vasti contesti.
Chi vuole quindi imparare a conoscere l'anima umana, verrà a saperne poco o
niente dalla psicologia sperimentale. Bisognerebbe piuttosto consigliargli di
spogliarsi dalle vesti di dotto, di dire addio alla stanza di studio e di girare
con spirito aperto il mondo, di penetrare negli orrori di carceri, manicomi e
ospedali, per i cupi bar di periferia, i bordelli e le bische, per i saloni
della società elegante, le borse, le assemblee socialiste, le chiese, i
“revivals” e le estasi delle sette, di provare sul proprio corpo amore e odio,
ogni forma di passione. Allora tornerà carico di un sapere più ricco di quello
che i voluminosi libri di testo non gli avrebbe mai dato, e potrà essere un
medico per i suoi pazienti, un vero conoscitore dell'anima umana. Bisognerà
scusarlo se il suo rispetto per le cosiddette “pietre miliari” della psicologia
sperimentale non sarà più molto grande, perché tra ciò che la scienza chiama
psicologia e ciò che la prassi della vita quotidiana si aspetta dalla psicologia
si è 'consolidata una profonda spaccatura'. Questo difetto ha dato origine a una
nuova psicologia. Dobbiamo questa creazione a Sigmund Freud di Vienna...”
(pagina 16).
Questa pagina rimanda particolarmente a quel Freud che si sente più un narratore
e un biografo che non un medico, naturalmente quando si occupa di psicologia e
non di neurologia, e che sostiene che lo psicanalista può anche non essere
medico; ma prima di tutto ricorda il Freud all'autoanalisi, che attinge senza
esitazioni alla propria interiorità, per capire i problemi dell'individuo in
conflitto con la morale sociale e con le convinzioni della civiltà, e apre un
nuovo territorio di esplorazione, a somiglianza di un altro viennese di poco
anteriore a lui, con la scrittura dei suoi ultimi quartetti.
Ma ai tempi del suo incontro con Charcot, Freud era ancora alle prese con la
medicina delle sale anatomiche, delle aule universitarie, dei pazienti oggetto,
e al massimo, degli esperimenti ipnotici, accanto alle sale e ai cortili
dell'asilo della Sampetrière.
La tecnica dell'ipnosi, usata da Charcot sui suoi pazienti, con problemi fisici
e psicologici di carattere nervoso (uso la terminologia del tempo), mantiene le
persone trattate in condizioni di pura passività, e le rende dipendenti dal
terapeuta, senza possibilità di vere iniziative proprie, con dubbie probabilità
di salvaguardia dell'autonomia dell'individuo.
Anche qui Freud, dopo le sue esperienze con Josef Breuer, capovolgerà
completamente il rapporto con i pazienti, affidando loro l'iniziativa, e
inaugurando così la vera e propria tecnica psicoanalitica, che risulterà un
nuovo tipo di ricerca di struttura e natura dialettica.
Il Freud trentenne di Parigi è assillato intensamente dalla natura non chiara
dei problemi dell'isteria, dalla natura non chiara dei problemi dell'ipnosi,del
sonno e della veglia, dall'enigma dei sogni, ed è ancora lontano dai tentativi
di interpretazione e di spiegazione che adotterà in seguito.
Charcot e impeccabile come neurologo, e Freud lo è ugualmente nelle sue prime
ricerche, prima di dedicarsi del tutto alla psicologia e agli studi
antropologici, che comincerà ad affrontare nel senso moderno dell'antropologia
culturale.
Appena cominciano ad apparire, al di là dei segni esteriori i conflitti
psicologici del singolo in tutta la loro profondità, compare anche la necessità
di misurarsi con la storia della cultura.
Così 'L'interpretazione dei sogni' e 'Totem e tabù' sono opere complementari.
Con il lavoro di Freud si comincia a smettere di interpretare l'angoscia
individuale come problema clinico, secondo la logica riduttiva del positivismo
ottocentesco, per vederla in rapporto alle contraddizioni della cultura,
intensa, per usare la definizione ancora sufficiente di E.B. Taylor, come “quel
complesso che comprende conoscenze, credenze, arte, morale, diritto, costumi e
ogni altra capacità e consuetudine acquisite dall'uomo quale membro di una
società”.(Articolo di 'Antropologia? Di Clude Lèvi-Strauss in 'Enciclopedia del
Novecento' I pagina 206.
Si deve dire che l'uomo normale è una curiosa astrazione, che suscita ironia, e
che non ha nessuna corrispondenza reale neppure nella forma del più modesto e
conformista impiegatuccio dei ministeri.
Ogni individuo, per quanto impaurito e ritirato in se stesso, è per l'ordine
costituito un potenziale esplosivo, come sanno benissimo i poliziotti, sempre
preparati a intervenire.
E come sanno, con grande paura, gli psichiatri, che considerano tutti come
possibili clienti.
Scrive acutamente nel racconto 'Il genio della perversione'(in senso etimologico
pervertire significa sconvolgere) Edgar Allan Poe: “ nel considerare le facoltà
e gli impulsi – dei 'primi mobilia' dell'animo umano – i frenologi hanno
trascurato di trovare posto per una propensione che, sebbene ovviamente
esistente, come sentimento primario, primordiale e irrinunciabile, è stata del
pari ignorata dai moralisti che li hanno preceduti”.
E questa propensione è per l'appunto la voglia che ha l'uomo di infrangere le
regole: “noi agiamo per la ragione che non dovremmo”.
“Sarebbe stato più saggio, più sicuro – commenta ancora Poe, dopo aver detto che
la frenologia procede 'a priori' e in modo moralistico – classificare ( se
dobbiamo classificare) sulla base di quello che l'uomo normalmente e
occasionalmente ha fatto, e sempre occasionalmente continua a fare, piuttosto
che sulla base di quanto considerava sottinteso che la divinità intendeva che
facesse”. (Edgar Allan Poe – Tutti i racconti del mistero, dell'incubo e del
terrore – pagine 35-36 dell'Edizione italiana Newton Compton, 1989).
Questo sottrarsi al dovere, di cui parla Poe, è voglia di autodeterminazione,
spirito creativo. E' il mito dell'angelo ribelle.
Così si entra nel centro de 'L'interpretazione dei sogni' di Freud.
Il problema dei desideri di ogni singolo - “quel singolo” come direbbe
Kierkegaard “unico nel suo modo di vedere il mondo” - è da riferirsi soprattutto
al futuro, vale a dire alle prospettive possibili.
Per cui i sogni sono spesso un tentativo di costruir il futuro per quanto è
possibile secondo progetti personali.
La veglia e il sonno sono due terreni in cui ci si proietta verso il futuro, nel
tentativo difficile di vivere secondo i propri desideri.
Ma sono tutt'e due terreni minati.
Anche il sogno, come la realtà, ha i suoi ostacoli.
Freud apre lo scrigno dei sogni sperando di scoprirne il segreto, cerca la
chiave d'ora per accedere al labirinto e trovare il filo per dell'interiorità.
Ad inizio bisognerebbe appunto ricordarsi la storia dei Grimm intitolata 'La
chiave d'oro' che dice: “...Spalò la neve e, mentre sgombrava il terreno, trovò
una piccola chiave d'oro. Pensò che dove c'era la chiave doveva esserci anche la
serratura; scavò in terra e trovò una cassettina di ferro. 'Purché la chiave
vada bene! - pensò – nella cassetta ci sono certo cose preziose'. Cercò, ma non
c'era nessun foro; alla fine ne scoprì uno, ma così piccolo che lo vedeva
appena. Provò: la chiave andava benissimo. La girò; e adesso dobbiamo aspettare
che abbia aperto del tutto e sollevato il coperchio: allora sapremo che
meraviglie c'erano nella cassetta.” (Grimm – Fiabe – scelte e presentate da
Italo Calvino, Einaudi 1970, pagina 434).
Ma le storie che racconterà Freud saranno quasi tutte storie della paura, con
desideri e passioni rimosse e dimenticate, e con repressione e paura, come
burocratiche sentinelle contro la gioia.
Gli uomini non riescono a essere liberi nemmeno in sogno. L'autorità li tiene
schiavi anche nell'intimo.
Anche l'uomo che dorme ha paura di trasgredire.
Chi sa come sognano le formiche, le api e le termiti.
Ci si augura che la loro sorte sia migliore della nostra.
Si scopre comunque che la sofferenza umana in tutte le sue forme dipende in gran
parte dallo scontro delle passioni dell'individuo con i regolamenti autoritari
della società, e della sensibilità offesa dall'intolleranza.
Quello che sogna Freud, quello che sognano i suoi pazienti e le persone che lui
conosce e di cui riporta e analizza le esperienze, quello che sogniamo noi, è
effetto di paura; e Freud scrive che la coscienza è il luogo dell'angoscia.
Chi sa cosa penserebbe un forestiero, magari venuto dallo spazio, che venisse a
conoscenza del fatto che i nostri bambini crescono con il complesso
dell'evirazione.
Sarebbe molto incuriosito, credo, dai metodi della nostra educazione sessuale.
Vorrebbe sapere come li trattiamo i nostri rampolli fino dal giorno della
nascita, e forse anche prima.
“Sognai che era notte e mi trovavo nel mio letto (il letto era orientato con i
piedi verso la finestra e davanti ad essa c'era un filare di vecchi noci; sapevo
che era inverno mentre sognavo, e ch'era notte). Improvvisamente la finestra si
aprì da solo, e io, con grande spavento, vidi che sul grosso noce proprio di
fronte alla finestra stavano seduti alcuni lupi bianchi. Erano sei o sette. I
lupi erano tutti bianchi e sembravano piuttosto volpi o cani da pastori, perché
avevano una lunga coda come le volpi, e le orecchie ritte come quelle dei cani
quando stanno attenti a qualcosa. In preda al terrore – evidentemente di essere
divorato dai lupi – mi misi a urlare e mi svegliai. La bambinaia corse al mio
letto per vedere cosa mi fosse successo. Passò un po' di tempo prima che mi
convincessi che era stato soltanto un sogno, tanto naturale e nitida mi era
parsa l'immagine della finestra che si apre e dei lupi che stanno
sull'albero...””Avevo tre o quattro anni, cinque al massimo”. ('Casi clinici 7 –
L'uomo dei lupi – Sigmund Freud, Edizione italiana Boringhieri, 1988 – pagina
35).
I lupi non hanno occhi eppure guardano, la loro immobilità rimanda al pensiero
della notte.
“Il lavoro onirico – scrive Freud – rappresenta spesso, attraverso la stessa
formazione mista, due idee contrapposte tra loro; così, per esempio, quando una
donna in sogno vede se stessa portare un lungo ramo di fiori, come l'angelo
raffigurato nei dipinti dell'Annunciazione di Maria ( innocenza: Maria è il nome
della sognatrice); il ramo però è coperto di grandi fiori bianchi simili a
camelie (il contrasto dell'innocenza “La signora delle camelie”)”. (Il sogno –
Edizione italiana Saggi Oscar Mondadori, 1988 – pagina 81).
Il fatto, essenziale per la psicologia, che un pensiero, sia nel sonno sia nella
veglia, possa essere nello stesso tempo anche il suo contrario, e un sentimento
anche il suo opposto, nega del tutto il meccanicismo esteriore dei giudizi
psichiatrici, come per esempio il concetto di dissociazione, e apre un modo di
pensare diverso, anche se Freud e i suoi seguaci non ne traggono le necessarie
conseguenze.
Il concetto di schizofrenia di Eugen Bleuer, collaboratore e collega sia di
Freud che di Jung, ricorda le pinzette da lavoro degli orologiai del tempo, che
tolgono e aggiungono rotelline nelle loro attività di riparazione.
Ma il cervello dell'uomo non è per l'appunto un orologio, come anche Freud ci
insegna, insieme a uomini come Nietzsche e Dostoievskij.
E come possiamo vedere, in ogni momento, anche da noi con l'introspezione.
Che poi l'introspezione e l'analisi rivelino un mondo troppo vasto e complesso
per la sicurezza dell'uomo d'ordine è proprio quello che ci pare abbia scoperto
Freud, almeno nell'ambito dello studio metodico della psicologia.
Basti pensare che per Freud la famiglia, che per l'ipocrisia borghese è il luogo
della concordia e della collaborazione, diventa il luogo incandescente dei
conflitti, un vero campo di battaglia.
La psichiatria invece serve esclusivamente per tener tutto nascosto, in modo da
calmare le coscienze degli uomini perbene, che hanno bisogno di molte forme di
repressione.
La critica filosofica e sociologica della famiglia, come ad esempio quella di
Engels, pur essendo utile per una ipotesi di società differente, forse è meno
efficace, perché rimane troppo esteriore; invece Freud entra nell'intimo del
problema, e fa tremare la tradizione, almeno momentaneamente, perché subito dopo
gli uomini d'ordine arrivano come avvoltoi e digeriscono tutto.
E ritorna la quiete.
Ma di sicuro non era alla quieta che pensava Freud quando, come riferiscono Carl
Gustav Jung e Jacques Lacan, arrivando negli Stati Uniti, alla vista del porto
di New York, disse che veniva a portare la peste.
Forse pensava ad uno sconvolgimento culturale senza precedenti, come quando
diceva che aveva turbato il sonno del mondo.
Il futuro stava preparando una società a tecnologia sempre di più
onnicomprensiva, con metodi di controllo ogni volta più efficaci, come poteri
centralizzati e anonimi, occupata sotto ogni aspetto con polizie ed eserciti,
dove le persone parlano timidamente di libertà appunto in sogno, o discutono di
democrazia in stato di sonnambulismo.
Tuttavia le 'Cinque conferenze sulla psicanalisi' del 1909 (Uber Psychoanalyse –
Leipzing – Wien, Deuticke, 1910 – Edizione italiana Newton Compton, 1985) sono
un capolavoro, perché si propongono con successo di esporre in maniera chiara e
sintetica l'essenziale del pensiero psicanalitico a un pubblico nuovo.
Nella seconda conferenza, a proposito della rimozione, Freud, dopo aver parlato
nella prima conferenza a lungo del famoso caso di Anna O. (Bertha Pappenheim),
la paziente che con Breuer aveva scoperto e definito da sé “la cura con le
parole (talking cure)”, porta un pensiero espressivo, molto adatto al nostro
scopo, che è quello di capire i rapporti del singolo con le convinzioni sociali
in un mondo autoritario.
“Ma credo di potervi dare un'idea più concreta del meccanismo della rimozione e
dei suoi inevitabili rapporti con la resistenza del paziente, ricorrendo ad un
esempio più spicciolo, tratto dalla situazione in cui per l'appunto ci troviamo.
Supponiamo che qui, in questa sala e in questo auditorio, per la cui esemplare
attenzione e compostezza la lode non sarà mai adeguata, vi sia un individuo che
arrechi disturbo e, maleducatamente, ridendo, vociando, strisciando i piedi,
distragga l'attenzione dal mio compito. Io vi comunico che, in queste
condizioni, non posso procedere con la conferenza e allora, fra voi, si alzano
parecchie persone robuste e, dopo una breve colluttazione, espellono dalla sala
il perturbatore della quiete.
Costui è ora 'rimosso' e io posso riprendere la conferenza. Ma affinché il
disturbo non si ripeta, nel caso cioè che l'individuo appena espulso cercasse di
rientrare a forza nella sala, i signori che hanno accolto il mio invito, mettono
le loro sedie contro la porta e lì si piazzano come una 'resistenza' che
mantenga la rimozione.
Ora, se trasferite alla psiche i due ambienti, chiamiamo l'interno di questa
stanza 'conscio' e l'esterno 'inconscio', avrete un esempio abbastanza eloquente
del meccanismo della rimozione. Ecco che siamo così in grado di cogliere la
differenza tra la nostra teoria e quella di Janet.
E cioè noi non facciamo derivare la scissione psichica da una mancanza congenita
dell'apparato psichico a operare la sintesi delle esperienze, ma la spieghiamo
dinamicamente con il conflitto di forze psichiche opposte, e vi ravvisiamo il
risultato di una lotta attiva tra ogni complesso psichico.
Dalla nostra teoria scaturiscono immediatamente numerosi e nuovi problemi...”
(pagine 43-44 dell'opera citata).
Così la rimozione, come effetto del rigore sociale, avviene all'interno con i
pensieri, e all'esterno con le persone, con il risultato che i primi finiscono
di malavoglia nell'oblio, le seconde in manicomio.
Comunque il problema centrale è, in tutt'e due i casi, per usare le stesse
parole di Freud, “un individuo che arreca disturbo”.
Nella quinta conferenza Freud aggiunge, secondo noi con precisione, che il
ritirarsi in se stessi che consegue alla paura di esprimere i propri desideri e
le proprie passioni, se non trova una comprensione ad esempio nelle grandi
creazioni dell'arte e della scienza, quella che lui stesso definisce
“sublimazione”, finisce per arrecare danno alla capacità di vivere, e può
compromettere l'integrità dell'organismo.
In questo senso la repressione può determinare infelicità e malattia, secondo i
concetti che svilupperà in seguito Wilhelm Reich, e anche malvagità e violenza.
“La fuga dalla realtà insoddisfacente in ciò che, a causa della sua natura
biologicamente dannosa chiamiamo malattia, ma che non è disgiunta dal
conseguimento di un certo grado di piacere per il paziente, si realizza seguendo
il cammino della regressione...”(pagina 86 delle “Cinque Conferenze” - Edizione
italiana Newton Compton, 1985).
Siamo completamente al di fuori del concetto di malattia di mente, tanto che
Freud afferma anche, per il pubblico americano che lo ascolta stupito, che tra i
profani si possono includere anche gli psichiatri. (pagine 57-58 della stessa
opera).
Quella che noi diciamo “nevrosi è oggi dunque quel che era in altri tempi il
convento, in cui solevano trovare rifugio tutti i delusi della vita” (pagina 87
della stessa opera).
L'uomo nella sua interezza di fronte ad una realtà difficile a volte ha bisogno
di fuggire, o illudersi, o immaginarsi un mondo diverso, o vivere nella
fantasia, senza che per questo si muovano i moralisti o gli psicologi, per
riportare tutto in riga.
Leggevo in questi giorni con malinconia alcune considerazioni psicologiche sul
lutto, come se si trattasse di un problema di psicopatologia, invece che un
problema di separazione, al centro della coscienza dell'uomo, con tutte le sue
implicazioni.
Questa cultura ci richiederà presto di rimuovere la nostra umanità interamente.
Ma non sarà difficile con uomini come noi, incapaci di essere liberi persino in
sogno.
Freud comincia le sue riflessioni sulla separazione e sul lutto in una pagina
del 1915, in tempo di guerra, in occasione di un suo incontro con un amico
silenzioso e con un giovane poeta (“Caducità. Riflessioni a due sulle sorti del
mondo” di Freud e Einstein – Edizione italiana Bollati Boringhieri, pagina 65).
Le considerazioni di Freud sono caute, e i suoi pensieri dubbiosi, come quando
parla della natura dell'arte nonostante il desiderio di trovare una spiegazione.
“Ma perché questo distacco della libido dai suoi oggetti deve essere un processo
così doloroso non lo comprendiamo e per il momento non possiamo farlo derivare
da nessuna ipotesi. Noi vediamo unicamente che la libido si aggrappa ai suoi
oggetti e non vuole rinunciare a quelli perduti, neppure quando il loro
sostituto è già pronto”.
Noi aggiungiamo che ci sono delle esperienze uniche che non hanno in alcun caso
sostituzione, e anche su questo non ci sono ipotesi.
Il fatto è che l'individuo, con la sua esperienza unica, sfugge e travalica ogni
generalizzazione, e tale realtà non va mai dimenticata, se non si vuol perdere
il filo della conoscenza.
Il problema della malinconia e della morte è una misura della nostra
intelligenza, anche a livello psicologico, perché è quello più difficile da
capire.
Così – come descrive Leopardi - “pare che l'essere delle cose abbia per suo
proprio ed unico obiettivo il morire”.
“Non potendo morire quel che non era – continua Leopardi mentre scrive il
'Cantico del gallo silvestre' – perché dal nulla scaturiscono le cose che non
sono”.
Milioni di persone ora nel mondo (in particolare negli Stati Uniti) vengono
sottoposte a trattamenti psicoanalitici o psichiatrici, a lavaggio del cervello,
psicofarmaci e elettrochoc, solo per svalutare e nascondere le loro legittime
malinconie.
Le riviste mediche scrivono spesso che a livello mentale la depressione è la
malattia del secolo, e naturalmente è anche un business per i medici, che, per
loro costume, sono sempre preoccupati del benessere generale.
Se Freud potesse mettere un occhio, vedrebbe che, in nome delle sue teorie, ogni
emozione è divenuta una malattia.
Lo psicoanalista poi è diventato il consigliere universale nel bene e nel male,
sempre però naturalmente in una visione del mondo di assoluta sottomissione alle
autorità.
Si è già visto in questo scritto com'è utile mantenersi al corrente anche sulle
prestazioni che cambiano per non essere travolti dalla concorrenza, in una
società in continuo fermento, in cui il concetto di normalità è un principio
dinamico, in variazione perenne.
Negli ultimi anni, per esempio, la comunità internazionale degli psichiatri
sembra che abbia deciso che l'omosessualità non è più da considerarsi, con buona
pace di Charcot, una malattia del cervello.
Altri e diversi sembrano ormai divenuti i canoni della rispettabilità sociale
nella cultura dei computer e delle comunicazioni di massa. E, come ci insegna
Darwin, l'adattamento all'ambiente dovrebbe essere, per sopravvivere, la qualità
più preziosa.
Comunque nell'incontro di vecchi e di nuovi costumi la non libertà è un fatto
perenne, e la psichiatria è il metodo di controllo più efficace.
La debolezza teorica è di gran lunga compensata dall'utilità pratica,
universalmente riconosciuta e ammirata, nonostante le vittime che comporta.
Negli ambienti intellettuali in particolare è consigliabile astenersi dal
criticare gli psichiatri troppo in profondità per non turbare la quiete del
pensiero creativo, sempre bisognoso di protezione.
La psicologia, anche in Freud, nonostante che in lui tutto straripi sotto i
colpi di una straordinaria intelligenza, è fortemente limitata e condizionata
dalla dittatura della moralità dei costumi, che rende gli uomini, nella loro
maggioranza, ottusi e feroci.
Si pensi alla storia, raccontata da Freud in più occasioni, di quella giovane
donna, che, alla morte della sorella, si tormenta perché aveva avuto desideri
per il cognato.
Ogni piccola cosa diviene motivo di senso di colpa e causa di sottomissione.
Ora, per il senso di colpa, tentano a volte il suicidio anche i ragazzi che non
vanno bene a scuola, e non lo fanno di sicuro per loro difetto.
Si deve essere come vogliono gli altri, o non essere.
Il maggior difetto di Freud sembra essere che le regole sociali, quelle stesse
che rovinano la sensibilità delle persone, pare che le consideri come scontate,
quasi fossero leggi di natura, anche se lui stesso, com'è logico, le trovi
disumane.
Avrei voluto essere comunque, in quella Vienna crepuscolare a cavallo del
secolo, per ascoltare, magari come amico silenzioso, i discorsi di Freud e di
Mahler sul problema dell'angoscia.
Quella stessa che si esprime nei 'Canti della terra' , annuncia tragedie ancora
da venire.
C' è uno strano presentimento negli autori di cultura ebraica che vivono nel
centro dell'Europa.
In ogni modo si tratta di cultura profonda, di cui avremmo bisogno in ogni
epoca.
Nel nuovo secolo gli ospedali, gli ospizi, i campi di concentramento, i campi di
raccolta, i villaggi strategici, diventeranno, come sono tutt'ora, una regola
così diffusa, da essere anche, per fortuna, motivo di scandalo, e occasione per
una revisione completa della cultura, a cominciare da quella psichiatrica e
medica, per continuare in tutte le altre discipline sociali.
Allora ancora i rinchiusi non avevano voci, come dimostrano sia Charcot sia
Freud, per non parlare degli altri.
Chi sa quanti, mentre i dotti discutevano di psicologia, hanno aspettato la loro
liberazione fino alla fine dei loro giorni, tra umiliazioni che non si possono
raccontare.
“... e presto udresti il meraviglioso bussare dei suoi pugni al tuo uscio.
Invece si affatica quasi senza scopo; si dibatte ancora lungo gli appartamenti
del palazzo interno; non li supererà mai; e se anche ci riuscisse nulla sarebbe
ancora raggiunto; bisognerebbe attraversare i cortili, e dopo i cortili il
secondo palazzo che racchiude il primo; altre scale altri cortili; e un altro
palazzo; e così via per millenni; e se riuscisse infine a sbucare fuori dal
portone più esterno – si ritroverebbe ancora la capitale, il centro del mondo,
ricoperta di tutti i suoi difetti. Nessuno può uscirne fuori e tanto meno con il
messaggio di un morto. Tu, però, stai alla tua finestra e lo sogni, quando
scende la sera”. ('Il messaggio dell'Imperatore' di Franz Kafka – Edizione
italiana di 'Tutti i racconti', Newton Compton, 1988).
C'è poi la tortura metodica e pignolesca, che ti consuma il cervello e ti prende
ogni quadratino di pelle, come è descritta nel racconto “Nella colonia penale”
dello stesso Kafka.
Era su quelle persone che “Il Cesare della Salpetrière” faceva i suoi geniali
esperimenti sull'isteria.
Ma nessuno vi trovava da ridire.
Forse ora di queste cose si potrebbe parlare con più tranquillità se fosse solo
un retaggio del passato, invece che una pratica ancora attuale.
Anzi, nel frattempo i metodi di distruggere il pensiero degli altri sono
divenuti molo più sofisticati, e l'intolleranza è particolarmente di moda.
Il consenso delle vittime è ritenuto una particolare finezza sia nella vita
sociale sia nella vita politica.
Il pensiero proprio, individuale, è ormai contrario a ogni buon gusto.
Secondo noi una civiltà non muore né di bombe atomiche né di effetto serra, ma è
già finita quando non ha più individui pensanti.
Freud muore, esule a Londra, il 23 settembre 1939, pochi giorni dopo l'inizio
della seconda guerra mondiale, non in tempo per vedere fino a che punto sarebbe
arrivata l'aggressività degli uomini, e quali traguardi nuovi avrebbe raggiunto
l'intolleranza.
Però aveva scritto nel 1915 nelle 'Considerazioni attuali su la guerra e su la
morte' riferite naturalmente al primo conflitto mondiale ( vedi: Freud e
Einstein, 'Riflessioni a due sulle sorti del mondo'- Edizione italiana Bollati
Boringhieri 1989, pagina 54): “Quando la lotta selvaggia di questa guerra sarà
stata decisa, il combattente vittorioso tornerà felice alla sua casa, alla sua
donna e ai suoi figli, in nulla trattenuto e turbato dal pensiero dei nemici da
lui uccisi in corpo a corpo o con le armi a lunga gittata. E' notevole che i
popoli primitivi tuttora viventi sulla terra, e che certo sono più di noi vicini
all'uomo delle origini, si comportano diversamente sotto questo aspetto, o si
comportino diversamente fino a quando non hanno subito l'influenza della nostra
civiltà. Il selvaggio – sia esso un Australiano, un Boscimano, o un Fuegino –
non è affatto un omicida impenitente; quando rientra vittorioso da una
spedizione di guerra, non può penetrare nel suo villaggio o toccare la sua donna
prima di aver espiato con penitenze, spesso lunghe e fastidiose, le uccisioni
commesse in guerra. Naturalmente ciò si può spiegare facendo ricorso alla
superstizione; il selvaggio teme la vendetta degli spiriti di coloro che ha
ucciso. Ma gli spiriti dei nemici abbattuti altro non sono che l'espressione
della sua cattiva coscienza per il sangue sparso; al fondo di questa
superstizione sta una finezza di sensibilità morale che in noi uomini civili è
andata perduta”.
Ora ritengo utile, per continuare questa riflessione di Freud, riportare alcuni
brani di cronaca del 6 agosto 1945.
I brani sono stati tratti dal libro “6 Agosto - Storia della Bomba Atomica” di
Leandro Castellani e Luciano Gigante, edito da Vallecchi, nel 1964.
“Il 6 agosto 1945 era un giorno come tanti altri, per una città del Giappone. I
bambini si recavano a scuola, dopo la vacanza domenicale, gli uomini
cominciavano ad affluire dalla periferia per andare al lavoro, le donne
cercavano di affrontare il problema del magro pasto quotidiano.
Nove minuti dopo le sette, ora locale, suonò l'allarme aereo. Un unico B.29
volava altissimo nel cielo. Sorvolò la città due volte, poi, alle 7,25, si
allontanò e scomparve.
Alle 7,09 — ora giapponese — l'aereo metereologico "Stright Flush" (Scala
Reale), in volo da più di sei ore, si stava avvicinando alla città, indicata dal
piano di operazioni. Le nubi, che formavano un omogeneo, compatto strato bianco
sotto le ali del B.29, si erano aperte improvvisamente.
Alle 7,25 il maggiore Claude Eatherly, comandante dello "Stright Flush", fece
trasmettere per radio il suo rapporto a Tibbets: "Visibilità 10 miglia. Strato
di nubi, due decimi a 4500 metri".
Il marconista Nelson dell'”Enola Gay", a 50 miglia dalla costa giapponese, captò
l'informazione: sull'obbiettivo principale c'era ottima visibilità.
E Tibbets ricevette il messaggio: erano state le condizioni metereologiche a
decidere la scelta del bersaglio. Gli obbiettivi di riserva erano Kokura e
Nagasaki, quello principale Hiroshima.
Alle 7,31, a Hiroshima, suonò il cessato allarme. La vita riprese in sordina,
come in sordina si era interrotta. Dai rifugi contraerei, volti sparuti, resi
scarni e sofferenti da più di tre anni di guerra, uscirono di nuovo alla luce
del mattino.
Alle 7,47 a bordo dell'”Enola Gay" si verificarono i circuiti elettrici
dell'ordigno.
Alle 7,50 l'”Enola Gay" sorvolò la costa dell'isola di Scikoku.
Alle 8,09, dallo squarcio di nuvole, segnalato dalla "Scala Reale—, apparve
Hiroshima. — Abbassare gli occhiali — ordinò Tibbets.
Alle 8,11, con una virata di circa 90 gradi da nord verso ovest, l'”Enola Gay"
si portò sulla rotta di lancio, a una altezza di 9500 metri, uscendo
improvvisamente dalle nuvole.
Ora sarebbe stata visibile la terra.
Alle 8,14 e 17 secondi, il maggiore Tom Ferebee inquadrò nel proprio obbiettivo
un ponte sul fiume Ota.
...Alle 8,15 e 17 secondi, "Little Boy" scivolò nell'aria. L'esplosione avrebbe
dovuto verificarsi dopo 43 secondi...
...C'erano cinquantuno templi a Hiroshima. Il fuoco li distrusse tutti". (pagina
9,10,11 dell'opera citata).
Il maggiore Claude Eatherly, comandante dello "Stright Flush" (Scala Reale), per
anni non fece che protestare, e fu rinchiuso in cliniche psichiatriche, come
malato di mente.
Eppure lui conservava un pò di quella finezza morale di cui parla Freud a
proposito dei selvaggi, non ancora influenzati dalla nostra cultura.
Invece il generale Groves, un uomo di 49 anni, "a capo della enorme macchina che
creò 'Little Boy'”, dichiarò tranquillamente: «Non ho rimorso, perché penso che
noi, indubbiamente, abbiamo salvato un gran numero di vite americane».
Non solo Groves non ha avuto bisogno di psichiatri, ma nemmeno Adolf Eichmann,
il più diligente e famoso funzionario del Terzo Reich, coordinatore autorizzato
delle deportazioni di ebrei nei campi di sterminio di Hitler, giudicato in
seguito dai periti del tribunale di Israele perfettamente capace di intendere e
di volere.
Pare che eseguire gli ordini dello stato sia un esempio di saggezza, e non sta
certo a noi meravigliarsene.
Con l'antisemitismo Freud aveva avuto i suoi problemi, già molto prima
dell'annessione dell'Austria al Reich.
Non bisogna dimenticare che l'antisemitismo, come ogni altro pregiudizio di
ostilità sociale, può coinvolgere nella sua ideologia le stesse vittime, sia dal
punto di vista del pensiero sia dal punto di vista emotivo, come dimostrano
alcune personaggi illustri.
Inoltre nella nostra cultura è sempre presente, sia in modo sordo sia in modo
esplicito.
Nei nostri giorni si esprime apertamente e in modo esplosivo nelle
manifestazioni di massa del mondo del calcio.
Accompagna poi come un'onda le esplosioni di razzismo riferite agli altri
popoli.
Freud, come ogni altro bambino del suo popolo, ne deve essere stato accompagnato
fin dall'inizio, come da un basso continuo.
Mi sento di dire che, freudianamente, l'esperienza dell'antisemitismo,
direttamente sulla sua pelle, deve essere stata per Freud una esperienza
infantile determinante, che ha influito tutta la vita sul rigore della sua
intelligenza e sulla formazione del suo pensiero e del suo carattere.
AI ricordo dell'umiliazione subita dal padre, quando gli fu gettato via il
berretto, non contrappone solo la decisione con cui respinge decisamente ogni
provocazione razzista che lo riguardi personalmente, ma contrappone la sua
intera ricerca, come metodo per demolire i pregiudizi che ostacolano l'autonomia
degli individui e ne pregiudicano la libertà.
“Il vostro essere ebrei — afferma nel "Discorso ai membri dell'associazione
B'nai B'rith" di cui faceva parte - non poteva che essermi gradito, dal momento
che io stesso sono ebreo e mi è parso non solo indegno ma assolutamente assurdo
negarlo. Ciò che mi legava all'ebraismo era — mi vergogno di ammetterlo — non la
fede, e nemmeno l'orgoglio nazionale. Infatti sono sempre stato un non credente,
sono stato educato senza religione, seppure non senza rispetto verso quelle che
si definiscono le istanze "etiche" della civiltà umana. Ho sempre cercato di
reprimere l'orgoglio nazionale, quando ne sentivo l'inclinazione, come qualcosa
di calamitoso e di ingiusto, spaventato dagli esempi ammonitori dei popoli in
mezzo ai quali, noi ebrei, viviamo. Ma tante altre cose rimanevano che rendevano
irresistibile l'attrazione per l'ebraismo e gli ebrei, molte oscure potenze del
sentimento, tanto più possente quanto meno era possibile tradurle in parole,
così come la chiara consapevolezza della interiore identità, la familiarità che
nasce dalla medesima costruzione psichica. E a ciò si aggiunse ben presto la
certezza che soltanto alla mia natura di ebreo io dovevo due qualità che mi
erano diventate indispensabili nel lungo e difficile cammino della mia
esistenza. Poiché ero ebreo mi ritrovai immune dai molti pregiudizi che
limitavano gli altri nell'uso del loro intelletto e, in quanto ebreo, fui sempre
pronto a passare all'opposizione e a rinunciare all'accordo con "la maggioranza
compatta"». (Opere di Freud - Edizione italiana Bollati Boringhieri - Volume 10,
pagine 341-342).
Infatti questi grandi psicanalisti hanno delineato in realtà la psicologia della
repressione e della paura, da Freud in poi. Fino dall'infanzia in ogni rapporto
affettivo troviamo come unico tema fondamentale il ricatto, reso ancora più
pauroso dall'ipocrisia e dall'ambiguità.
Chi non si comporta come si deve — è uno dei principali motivi delle Avventure
di Pinocchio — da grande finisce in carcere o all'ospedale.
Non è vero che il metodo del terrore è una caratteristica dei rivoluzionari, per
il fatto elementare che è l'unico metodo riconosciuto sia dai conservatori sia
dai progressisti, ed è l'unico praticato con ammirevole continuità.
Il ricatto psicologico trova, com'è naturale, il suo necessario completamento
nell'internamento psichiatrico.
Scrive "La Nazione" del'11 settembre del 1989 (pagina 7) che il settimanale
britannico "Observer" denuncia il confinamento di centinaia di internati
psichiatrici nell'isola greca di Lero, 275 chilometri a
sud-est del porto del Pireo, «in condizioni tali da ricordare i campi di
concentramento nazisti».
Naturalmente al riguardo ogni stato, com'è costume, denuncia i delitti degli
altri, anche se identici ai propri.
Meno male c'è qualche filosofo, come sembra Ernst Junger, che ha sospettato che
forse il nichilismo deriva dall'eccesso di ordine, nelle nostre società
organizzate.
La camicia di forza dell'ordine sociale, confezionata con precisione da un sarto
molto coscienzioso, è limitativa, non solo dei contenuti di pensiero, ma anche
dei metodi di espressione, che risultano rigidamente prescritti.
Anche così si impedisce all'infanzia di sviluppare la sua prorompente
creatività, costruendo, a volte, l'immobilità e il silenzio al posto della
vivacità e del dialogo.
Poi il difetto lo si attribuisce alle vittime, non riconoscendo il carattere
fisiologico della loro risposta difensiva.
Nel fiume eracliteo della vita interiore, per Freud, come sappiamo, tutto si
svolge fin dall'inizio nel conflitto incessante tra la vita passionale e le
regole sociali, come esprimono, ad esempio, in modo esplicito, le opere
beethoveniane.
L'essere più o meno incisivi nella vita sociale dipende di volta in volta dagli
equilibri contingenti raggiunti in questo braccio di ferro.
Però gli inizi in particolare sono difficili e rischiosi per tutti, come
dimostra anche il sogno del nibbio di Leonardo, che nella traduzione usata da
Freud era divenuto un avvoltoio.
La società organizzata in cui viviamo mantiene il controllo delle convenzioni
con due ordini di strutture, quelle interiori di cui parla Freud, formate negli
anni a partire dalle origini attraverso l'educazione, e quelle esteriori, che
sono le strutture repressive istituzionali e poliziesche, di cui quelle
psichiatriche sono le più capillari e, tutto compreso, quelle a cui, una volta
dentro, è più difficile sottrarsi.
In ogni modo dove non arriva la censura esteriore provvede la censura interna,
attiva anche in sogno.
Il valore intimidatorio e deterrente dello psichiatra è incalcolabile: essere
accusato di malattia mentale significa perdere di fronte a tutti l'identità di
essere pensante, con perdita completa di autonomia.
Il fatto di essere o non essere ricoverati finisce per divenire un dettaglio
secondario.
L'uso specificamente politico di questo metodo di svalutazione è solo una parte,
abbastanza circoscritta, del servizio più generale che gli psichiatri offrono
all'intransigenza sociale e all'intolleranza, per il mantenimento degli
interessi e dei pregiudizi più retrivi.
Quello che abbiamo letto nelle cartelle cliniche di Charcot non è nei criteri
per nulla diverso da quello che possiamo leggere nelle cartelle di ora, raccolte
in qualunque clinica psichiatrica, scelta come si vuole.
Studiando il caso famoso di Daniel Paul Schreber viene da chiedersi chi è che ha
diritto di stabilire qual'è il modo di essere religiosi che più corrisponde alla
saggezza e meno alla follia in una materia così opinabile e in un campo così
aperto come quello della verità metafisica.
Così si vedono psichiatri e psicanalisti comicamente applicati al torneo
medioevale delle nuove ricerche scolastiche all'inseguimento del nulla, tra cui
l'unico con la testa a posto sembra proprio lui, il paziente, di cui Freud
diceva, scrivendo a Jung nel 1910: «Sono rimasto commosso e esultante
nell'apprendere quanto Lei apprezzi la Grandezza della mente di Schreber».
Insomma, questo presidente di Corte d'Appello a riposo, lui il matto, aveva più
testa di tutti, tanto che scriveva Elias Canetti nel 1972 di non esitare a
definire la sua opera “Memorie di un malato di nervi” il documento più
importante di tutta la letteratura psichiatrica. (Vedi Daniel Paul Schreber
“Memorie di un malato di nervi” - Edizione italiana, Adelphi 1974).
Emile Zola ne “La conquista di Plassans”, il quarto romanzo del ciclo dei
Rougon-Macquart, fa vedere in modo geniale, specialmente se si tiene conto
dell'epoca, siamo in pieno positivismo, come le circostanze e la congiura
sociale possano costruire l'immagine del pazzo, costringendo la vittima a
comportarsi in conseguenza, fino alla sua completa distruzione.
Freud al contrario, anche se non ha messo gli occhi dentro ai manicomi, come
faremo noi in seguito, cerca l'autonomia degli individui, in una società ostile.
E così guarda al futuro, come quando con Einstein riflette sul superamento della
guerra o, più in generale, sul controllo cosciente dell'aggressività.
Per lui, diversamente che per altri pensatori e scienziati della fine e
dell'inizio del secolo, l'analisi dell'irrazionale è di stimolo per la ricerca
di metodi adeguati alla preparazione del singolo come individuo indipendente,
autonomo e padrone di se stesso. Proprio nell'epoca in cui gli intellettuali
preparano, favoriscono o tollerano le grandi dittature, sia nel capitalismo, sia
nel socialismo reale.
Per esempio, sul problema della guerra è più antiautoritaria la posizione di
Freud che non quella di Einstein.
Lui non dice certamente, come il Nietzsche più superficiale di alcuni passi de
L'Anticristo, che i mal riusciti (ma chi sono poi i mal riusciti?) devono essere
aiutati a sparire, giudizio che potrebbe essere d'oro per gli psichiatri,
nell'esercizio reale della loro professione.
II secolo ventesimo non è solo uno sviluppo frenetico di tecnologie nuove con
tutti gli effetti sconvolgenti che conosciamo, ma è anche un'apertura senza
precedenti sulla molteplicità della conoscenza in una società dinamica e
universale, con le contraddizioni portare all'estremo.
In questa apparente dispersione e superficialità è proprio ora che la nostra
specie potrebbe cominciare il suo viaggio in una più profonda e autentica
conoscenza di sé, al di là dei pregiudizi più consolidati.
Invece l'arbitrio dei potenti da una parte, e il moralismo e l'intolleranza
dall'altra, vanno con il vento in poppa e chiedono aiuto alle terapie mediche.
Anche la condanna a morte è una terapia, di efficacia senza pari per aiutare i
mal riusciti.
Può essere eseguita per iniezione come avviene in alcuni stati progrediti.
Presto probabilmente i consumatori di droghe proibite non troppo ricchi potranno
opportunamente scegliere, sia in America che da noi, tra l'arresto e il ricovero
coatto.
Per il lato psicologico non avranno bisogno di Freud, sospetto consumatore di
cocaina, ma basterà qualche onesto allevatore di cani, specialista in campi di
lavoro.
Io penso proprio che la domanda fondamentale per lo studioso dell'uomo dovrebbe
essere perché ha costruito collettività mortali, ostili alla gioia di vivere e
nemiche del piacere.
Tutto, anche il gioco, viene trasformato in motivo di odio.
Scrive Marcel Proust nel libro “All'ombra delle fanciulle in fiore” del ciclo
'Alla ricerca del tempo perduto' (edizione italiana Einaudi, 1963 - a cura di
Paolo Serini - pagine 17-18): “II medico che mi curava – quello che mi aveva
proibito qualsiasi viaggio – sconsigliò i miei genitori di lasciarmi andare a
teatro; ne sarei tornato ammalato, forse per molto tempo, e in fin dei conti più
che trarne piacere ne avrei sofferto. Questo timore avrebbe potuto trattenermi
se quel che mi aspettavo da una tale rappresentazione fosse stato solo un
piacere che, tutto sommato, una sofferenza ulteriore può annullare, per
compensazione. Ma – come al viaggio a Balbec, come al viaggio a
Venezia, che tanto avevo desiderato – ciò che io chiedevo a quella 'mattinata'
era ben altra cosa che un piacere: erano verità appartenenti ad una mondo più
reale di quello in cui vivevo, e la cui conquista, una volta compiuta, non
avrebbe potuto essermi tolta da incidenti insignificanti, fossero anche dolorosi
per il mio corpo, della mia oziosa esistenza. Tutt'al più, il godimento che
avrei provato durante lo spettacolo, mi appariva come la forma forse necessaria
della percezione di quelle verità; ed era abbastanza perché mi augurassi che i
disturbi pronosticati non cominciassero che a rappresentazione finita, in modo
che il piacere non ne fosse compromesso e falsato. Imploravo i miei genitori
che, dopo la visita del medico, non volevano più lasciarmi andare...» .
Non è mia intenzione in questo scritto discutere il concetto di 'inconscio' dal
punto di vista della critica della conoscenza, anche se trovo che il modo
dogmatico con cui questo concetto è accettato da molti uomini di cultura, è uno
degli esempi della superficialità o della malafede in cui si muovono.
Se ne parla spesso come se fosse una struttura, invece che un problema, o più
precisamente una ipotesi di lavoro.
La parola 'inconsciamente' viene quasi sempre usata al posto della parola
'intuitivamente', che ha tutt'altro significato.
L'uso che viene fatto però del concetto di 'inconscio' è sicuramente una
minaccia per la libertà dell'individuo.
È aperta la possibilità di attribuire alla psicologia altrui tutto quello che si
vuole per fini di potere.
Un po' di abilità giustifica ogni arbitrio. Gli esempi sono così usuali che ogni
lettore li può trovare quando vuole.
Io ricordo una giovane donna fiorentina che si rivolse a me per consiglio. Da un
pezzo viveva nell'angoscia perché il suo psicanalista l'aveva convinta che
odiava sua madre, con cui conviveva da sola, inconsciamente.
Io le consigliai di esaminare in modo critico i conflitti reali, sia di
carattere affettivo sia di carattere pratico, che le rendevano difficile la
convivenza con la madre.
Si liberò dello psicanalista e delle sue terapie profonde, con notevole recupero
di tempo e di soldi, e, spiritosamente, per ricompensarmi, mi regalò un disco di
musica viennese.
Wittgenstein, che, con molta finezza, disse, nelle sue conversazioni con Rheens,
che da Freud si aspettava certo intelligenza, ma non saggezza, afferma
propriamente nelle “Lezioni sull'estetica” che «se la psicoanalisi ti ha indotto
a dire che in realtà hai pensato in un certo modo o che realmente era quello il
tuo motivo, non si tratta di una scoperta, ma di una persuasione. Per una via
diversa, avresti potuto essere persuaso di qualcosa di diverso.» (“Lezioni e
conversazioni sull'etica, l'estetica, la psicologia e la credenza religiosa Quarta edizione italiana” - Adeplhi, 1982 - pagina 92).
Così la psicoanalisi, come metodo di rapporto psicologico, ripropone alcuni
difetti che Freud vedeva nell'ipnosi tra cui il rischio di sottomettere
l'individuo, invece che accrescerne l'autonomia.
Bisogna riconoscere che, da questo punto di vista, la psichiatria è molto più
lineare. vivendo esclusivamente di imposizioni.
Il boia non ha bisogno di sapere che cosa racchiude la testa del condannato;
anzi l'ignoranza, come è logico, lo rende più sicuro di sé.
In fondo anche lui è un funzionario dello stato, al servizio della collettività
per la sicurezza sociale.
«Non tengono alcun conto di me, non mi vedono, non mi ascoltano. Che ho fatto
loro? Non ho nulla io. Non ho la forza, non mi riesce di sopportare tutte le
loro torture: brucia la testa mia, e ogni cosa mi turbina intorno. Salvatemi!
Portatemi via! Datemi una trojka di cavalli veloci come il vento'.
Siediti o mio postiglione; suona campanellino mio; fendete l'aria, cavalli, e
portatemi via da questo mondo! Lontano, lontano, dove non si vede più nulla.»
(Da “Il diario di un pazzo di Nikolaj Gogol).