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Sistema Frizzera
Licenziamento disciplinare (giusta causa e giustificato motivo soggettivo - dopo riforma del mercato del lavoro)
DATORI DI LAVORO INTERESSATI: con decorrenza 18.7.2012 sono interessati al nuovo regime in materia di licenziamento disciplinare
tutti e solamente quei datori di lavoro che, in ragione della consistenza del loro organico, ricadono nel regime regolato dall'art. 18 della legge
20.5.1970, n. 300, così come modificato dalla Riforma del mercato del lavoro (L. 28.6.2012, n. 92). Per i datori di lavoro che invece non rientrano nei predetti limiti occupazionali nulla muta quanto alle conseguenze di un'eventuale illegittimità del provvedimento di recesso per motivi disciplinari.
DEFINIZIONE: ha natura disciplinare il recesso comminato a seguito di gravi (giustificato motivo soggettivo) ovvero gravissime e
irreparabili mancanze commesse dal lavoratore (giusta causa). La Corte Costituzionale e le Sezioni Unite della Cassazione hanno
definitivamente riconosciuto la natura ontologicamente disciplinare del licenziamento per giusta causa (Corte Cost. 30.11.1982, n.
204; Cass. SU 26.4.1994, n. 3965).
PROCEDURA: sia nel caso di licenziamento per giusta causa che in quello di giustificato motivo soggettivo (con preavviso), trattandosi della
massima sanzione disciplinare, occorre che vengano rispettati i principi relativi all'irrogazione delle sanzioni disciplinari, e quindi: specifica
contestazione degli addebiti, concessione del termine a difesa, audizione del lavoratore se questi lo chiede (Cass. 9.8.2012, n. 14326; Cass. 16.7.2012, n. 12127). Se il lavoratore che ha chiesto di essere ascoltato non si presenta adducendo non comprovate ragioni ostative, il
datore di lavoro può procedere (Cass. 27.11.2012, n. 21026). Nel caso in cui il lavoratore chieda il rinvio dell'incontro adducendo motivi di
salute, il datore è tenuto a concederlo salvo che risulti prima facie il carattere pretestuoso e meramente dilatorio della richiesta di differimento
(Cass. 26.9.2012, n. 16374). La contestazione disciplinare volta al licenziamento disciplinare deve essere specifica, ossia deve contenere tutte
le indicazioni utili a individuare il fatto nella sua materialità , così da consentire al lavoratore di difendersi al meglio (Cass. 19.8.2011, n. 17407, Cass. 30.3.2011, n. 7277). Salvo il caso di ipotesi di licenziamento per mancanze previste dai contratti o dal datore di lavoro, non vi è obbligo di pubblicizzare il codice disciplinare (Cass. 26.5.2009, n. 12121; Cass. SU 5.2.1988, n. 1209). Le norme di cui all'art. 7 L. 20.5.1970, n. 300, si
applicano anche nei confronti del personale inquadrato con qualifica di dirigente (Cass. 6.4.2012, n. 5598); esse si applicano anche al
licenziamento per motivi disciplinari irrogato da imprenditore che abbia meno di 16 dipendenti (Corte Cost. 25.7.1989, n. 427). Nelle
imprese non soggette alla tutela reale, l'omessa osservanza della procedura comporta, a scelta del datore, la riassunzione o, in
alternativa, il pagamento di un'indennità economica compresa tra 2,5 e 6 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto (Trib. Roma 9.3.2012). Con decorrenza 18.7.2012, la violazione del procedimento disciplinare -se il licenziamento è legittimo - comporta che il datore di
lavoro è comunque condannato a pagare un'indennità di importo compreso tra un minimo di 6 e un massimo di 12 mensilità , in relazione
alla gravità della violazione formale o procedurale ma non spettano né la reintegra né la riassunzione (art. 18, co. 4, L. 20.5.1970, n. 300). Il rifiuto del lavoratore di ricevere l'atto di licenziamento sul posto di lavoro non esclude che la comunicazione debba ritenersi come
regolarmente avvenuta (Cass. 27.11.2012, n. 21017).
NOZIONE DI GIUSTIFICATO MOTIVO SOGGETTIVO: il licenziamento per giustificato motivo soggettivo con preavviso è determinato da un notevole inadempimento (Cass. 10.12.2007, n. 25743) degli obblighi contrattuali del lavoratore (art. 3, L. 15.7.1966, n. 604). Costituisce
caso tipico di giustificato motivo soggettivo (che è meno grave della giusta causa) lo scarso rendimento, ossia un'evidente violazione della
diligente collaborazione dovuta dal dipendente a lui solo imputabile che comporti una notevole sproporzione tra gli obiettivi fissati dai
programmi di produzione quanto effettivamente realizzato nel periodo di riferimento da parte del lavoratore, con riferimento ai risultati dati
globali di una media dell'attività dei vari dipendenti (Cass. 1.12.2010, n. 24361; Cass. 26.3.2010, n. 7398).
NOZIONE DI GIUSTA CAUSA: ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione,
anche provvisoria, del rapporto. se il contratto è a tempo indeterminato, al prestatore di lavoro che recede per giusta causa compete l'indennità di preavviso. Non costituisce giusta causa di risoluzione del contratto il fallimento dell'imprenditore o la liquidazione coatta amministrativa dell'azienda (art. 2119 cc). Ne consegue che:
1) la giusta causa sussiste in presenza di condotte gravissime del lavoratore che minano in maniera definitiva il rapporto fiduciario con
il datore di lavoro;
2) ogni licenziamento per giusta causa ha natura ontologicamente disciplinare;
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3) la sanzione deve essere proporzionata alla gravità del fatto commesso.
ONERE DELLA PROVA: l'onere della prova circa l'esistenza della giusta causa ricade sul datore di lavoro, il quale deve dimostrare
l'esistenza di un comportamento integrante grave negazione degli elementi essenziali del rapporto e, in particolare, di quello fiduciario (Cass.
30.3.2012, n. 5115), con riferimento agli aspetti concreti della condotta addebitata (Cass. 25.7.2011, n. 16198; Cass. 3.1.2011, n. 35).
CONTESTAZIONE DELL'ADDEBITO: il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore
senza avergli preventivamente contestato l'addebito a averlo sentito a sua difesa (art. 7, c. 2, L. 20.5.1970, n. 300). La contestazione deve
rispondere a due requisiti: l' immediatezza e la specificità . La necessità che la contestazione sia specifica, onde consentire al lavoratore di esplicare pienamente la propria difesa, non comporta l'obbligo del datore di lavoro di mettere a disposizione dell'incolpato la documentazione
aziendale relativa ai fatti contestati, documentazione che può essere acquisita nel corso del giudizio ordinario di impugnazione (Cass. 18.11.2010, n. 23304). Nel licenziamento per giusta causa, il principio dell'immediatezza della contestazione dell'addebito rispetto alla
commissione del fatto o al momento della sua conoscenza va valutata in senso relativo, tenendo conto delle ragioni oggettive che possono far
ritardare il momento del definitivo accertamento dei fatti contestati (Cass. 4.10.2012, n. 16860; Cass. 20.7.2012, n. 12702 come avviene nel caso di indagini bancarie particolarmente complesse Cass. 27.9.2012, n. 16454). Il fatto che sia pendente un giudizio penale, non comporta
necessariamente il differimento del licenziamento sino alla conclusione del processo nel caso in cui il datore sia già in possesso di elementi
sufficienti ad adottare il licenziamento (Trib. Napoli ord. 11.9.2012).
DOCUMENTI AZIENDALI: pur se, in generale, non vi è l'obbligo di mettere a disposizione del lavoratore incolpato i documenti su cui si basa l'accusa, viceversa tale obbligo sussiste nel caso in cui la consultazione di tali documenti sia essenziale ai fini del pieno esercizio del diritto di difesa
(Cass. 11.9.2012, n. 15169). La produzione in giudizio di copie di documenti aziendali non giustifica il recesso per giusta causa ove il
contenuto di tali documenti sia idoneo a far accertare la responsabilità penale del datore e di colleghi del dipendente (Cass. 16.11.2012, n.
20163).
CASISTICA GIURISPRUDENZIALE (SI G.C.): in base alla più recente giurisprudenza, costituisce giusta causa di licenziamento:
1) la condotta della lavoratrice che presenti una denuncia penale, poi rivelatasi del tutto infondata e calunniosa, nei confronti del datore di
lavoro (Cass. 13.7.2009, n. 16342);
2) a prescindere dall'esistenza di un danno per il datore di lavoro, il comportamento del dipendente che, dopo aver ricevuto un telefono
cellulare, espressamente utilizzabile “solo per ragioni di servizio”, invii oltre 50.000 sms nell'arco di un biennio per ragioni esclusivamente
personali (Cass. 8.3.2010, n. 5546); ovvero che utilizzi il telefono di servizio per telefonate abusive di carattere personale (Cass. 14.6.2012, n.
9701);
3) la condotta di un lavoratore con mansioni di custode che abbia indebitamente svolto una duplice attività lavorativa e abbia utilizzato, per
la seconda attività locali, attrezzature e strumenti del datore di lavoro, avvalendosi del numero di telefono dell'alloggio di servizio e
indicandolo sulla fiancata degli automezzi aziendali della ditta intestata alla figlia (Cass. 13.2.2012, n. 2014);
4) l'assenza per il godimento di un periodo di ferie non autorizzate dal datore di lavoro (App. Bologna 16.2.2010; Cass.20461/2010);
5) il comportamento del dipendente che timbra il cartellino marcatempo di un collega che si trova ancora nell'area di parcheggio dello
stabilimento: tale condotta evidenzia il deliberato e volontario tentativo di trarre in inganno la datrice di lavoro (Cass. 7.12.2010, n. 24796);
6) il comportamento del lavoratore che, assente grazie alla fruizione dei permessi per l'assistenza a disabili ex lege n. 104/1992, nei giorni di
fruizione del permesso venga sorpreso a 30 km di distanza dall'assistito mentre è intento a coltivare un proprio podere in ben 5 occasioni
su un totale di 6 controlli disposti dal datore di lavoro tramite gli addetti di un'agenzia investigativa privata (Trib. Rieti 3.3.2011);
7) lavoratore si rechi ripetutamente e per lunghi periodi di ferie in paesi dalle sfavorevoli condizioni ambientali, e a seguito di ciò subisca ripetuti attacchi di malaria, comportanti assenze dal lavoro per malattia di lungo periodo (Cass. 25.1.2011, n. 1699);
8) l'aggressione a un superiore gerarchico posto in condizione di non potersi difendere dai colpi inferti (Cass. 12.4.2011, n. 8351);
9) in base all'apprezzamento di fatto del giudice del merito, adeguatamente e correttamente motivato, la commissione di precedenti disciplinari,
contestata come recidiva, seguita da insulti gratuiti rivolti a colleghi e superiori (Cass. 12.9.2011, n. 18655);
10) l'arresto in flagranza di reato di un dipendente assente dal lavoro a seguito della richiesta di fruizione di un congedo per motivi familiari
legittima, a prescindere dalla natura extra lavorativa della condotta addebitata, il recesso per giusta causa (Trib. Roma 3.11.2011);
11) la condotta del lavoratore che pretenda, da parte di un fornitore che debba incassare un importo regolarmente fatturato, il pagamento di
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una somma di denaro per “sbloccare la pratica” (Cass. 17.1.2012, n. 567);
12) dipendente che metta in atto un ingiustificato abbandono del posto di lavoro, simulando un malore e venendo poi invece sorpreso in
un bar (Cass. 24.2.2012, n. 2870);
13) recesso intimato nei confronti di una guardia giurata che abbandoni il proprio posto di lavoro per recarsi in altra località e offenda il
datore di lavoro nel corso di un colloquio con un altro dipendente (Corte Appello L'Aquila 26.1.2012);
14) dipendente che, in seguito a un'operazione condotta dalle forze dell'ordine, venga trovato in possesso di una rilevante quantità di droghe
leggere (Cass. 26.4.2012, n. 6498);
15) comportamento del lavoratore, direttore di agenzia di un istituto di credito, che chieda e in parte riesca a ottenere il pagamento di rimborsi
spese per trasferte mai effettuate (Cass. 9.5.2012, n. 7096);
16) la revoca (non il semplice ritiro o la sospensione) della patente di guida, disposta nei confronti dei conducenti che esercitano l'attività di trasporto di persone o cose o che guidano veicoli di massa complessiva superiore a 3,5 tonnellate, autobus con 8 passeggeri, autoarticolati e
autosnodati, a causa della guida in stato di ubriachezza o dopo aver assunto droghe costituisce giusta causa di licenziamento (art. 43 L.
29.7.2010, n. 120; art. 219 cod. strada).
17) l'illecita sottrazione di beni aziendali concretizzatasi nell'occultamento, nell'autovettura di un collega di lavoro, di alcune confezioni di
bottiglie illecitamente sottratte al datore di lavoro (Cass. 16.5.2012, n. 7651).
18) l'aprioristico rifiuto di eseguire mansioni ritenute non pertinenti al proprio inquadramento, messo in atto senza l'avallo del giudice (Cass.
17.7.2012, n. 12250).
19) la falsificazione dei rimborsi spese collegati a una serie di trasferte, volta a ottenere rimborsi maggiori delle spese effettivamente
sostenute (Cass. 11.7.2012, n. 11663).
20) l'assenza ingiustificata che, in quanto comportamento contrario a correttezza e buona fede, è sanzionabile con il licenziamento per giusta causa anche in assenza della preventiva affissione del codice disciplinare (Trib. Roma 8.6.2012).
21) il comportamento gravemente e sistematicamente scorretto del lavoratore che metta a repentaglio l'immagine della società e che sia poco collaborativo e offensivo nei confronti dei colleghi e, pertanto, deteriori il clima aziendale (Cass. 20.8.2012, n. 14575).
22) la chiamata in correità di un dipendente da parte di soggetti terzi che hanno confessato la commissione di un furto, corredata da un
quadro di riscontri probatori (Trib. Napoli ord. 11.9.2012).
23) l'assenza ingiustificata della lavoratrice madre che, al termine del periodo di congedo per maternità, non si presenti sul luogo di lavoro
(Cass. 5.9.2012, n. 14905).
24) il rifiuto di adeguarsi, pur dopo reiterati richiami da parte del datore di lavoro, a procedure e modalità standard di lavorazione,
sostituite con metodi di lavoro e moduli di propria elaborazione (Trib. Bolzano 2.3.2012).
25) lo svolgimento di altra attività durante la malattia senza che il dipendente dimostri che questa sia compatibile con lo stato di malattia e non impedisce o ritarda il pieno recupero delle energie psicofisiche (Cass. 6.12.2012, n. 21938; Cass. 29.11.2012, n. 21253; Cass. 14.11.2012, n. 15476;
Cass. 26.9.2012, n. 16375).
26) il furto di esigue somme di denaro per l'importo pari ad alcuni pacchetti di sigarette venduti senza emissione del regolare scontrino
da parte di una cassiera (Cass. 22.11.2012, n. 20613);
CASISTICA GIURISPRUDENZIALE (NO G.C.): in base alla più recente giurisprudenza, non costituisce invece giusta causa di
licenziamento:
1) il fatto (sottrazione di materiale) che, pur integrando un illecito penale, sia stato commesso su espressa indicazione di un proprio
superiore gerarchico, responsabile dell'unità cui il lavoratore è addetto (Trib. Nocera Inferiore 28.4.2011);
2) qualora il contratto preveda quale sanzione in caso di rissa sul luogo di lavoro il licenziamento per giusta causa, la condotta del lavoratore che
abbia un pesante diverbio con la moglie (sua collega) e proferisca parole ingiuriose nei confronti del proprio superiore va qualificata quale
diverbio litigioso, tale da escludere quindi la configurabilità della giusta causa (Cass. 28.7.2011, n. 16616);
3) il furto di una somma modesta (5 euro) da parte di un cassiere, in virtù del principio di proporzionalità , non ne giustifica il
licenziamento per giusta causa (Cass. 29.8.2011, n. 17739).
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4) l'impossessamento, da parte del dipendente, di copia dei documenti aziendali che lo riguardino al fine del loro utilizzo in giudizio (Cass.
21.5.2012, n. 7993).
5) nel caso in cui il CCNL sanzioni con il licenziamento per giusta causa l'assenza ingiustificata protrattasi per 3 giorni, il recesso è illegittimo nel caso in cui l'assenza abbia avuto durata pari solamente a due giorni (Cass. 23.7.2012, n. 12774).
6) la condotta del lavoratore che rivesta la figura di rappresentante sindacale il quale, nell'ambito di una procedura di mobilità, rifiuti di
ricevere una comunicazione dell'azienda e dia dello “sbruffone” all'amministratore delegato: in tal caso il contrasto, pur se aspro, rientra
nel contesto dell'esercizio delle prerogative sindacali e non configura insubordinazione in quanto non è collegabile a doveri inerenti la prestazione lavorativa (Cass. 11.9.2012, n. 15165).
7) ai sensi del nuovo testo dell'articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, in vigore dal 18.7.2012, la giusta causa non sussiste e il lavoratore
ha diritto alla reintegrazione qualora sia ravvisata solo una lieve insubordinazione, esplicitamente punita da parte del contratto
collettivo solamente con una sanzione conservativa (Trib. Bologna 15.10.2012).
EFFETTI DEL LICENZIAMENTO DISCIPLINARE: il licenziamento intimato all'esito del procedimento disciplinare ex articolo 7 legge 20
maggio 1970, n. 300, produce effetto dal giorno della comunicazione con cui il procedimento medesimo è stato avviato, salvo
l'eventuale diritto del lavoratore al preavviso o alla relativa indennità sostitutiva. Il periodo di eventuale lavoro svolto in costanza della
procedura si considera come preavviso lavorato (art. 18, co. 41, L. 20.5.1970, n. 300).
COMUNICAZIONE AL CPI: il Ministero ha precisato che i 5 giorni previsti per effettuare la comunicazione della cessazione del rapporto di
lavoro al Centro per l'Impiego, decorrono solamente a partire dalla effettiva risoluzione del rapporto stesso, perché solo allora si ha la certezza dell'esito delle procedure previste per legge (Min. Lav., Lettera circ. 12.10.2012, prot. n. 18273).
RECIDIVA: con riguardo alla recidiva, ossia al compimento di una pluralità di violazioni al codice disciplinare e alle regole relative a un ordinato e proficuo svolgimento del rapporto di lavoro, vigono i seguenti principi:
1) non può tenersi conto ad alcun effetto delle sanzioni disciplinari decorsi 2 anni dalla loro applicazione (art. 7, c. 8, L.
20.5.1970, n. 300);
2) la nozione di "applicazione" va riferita non al momento dell'esecuzione della sanzione ma a quello della sua irrogazione, cioè al momento in cui la sanzione viene formalmente comunicata ( Cass. 9.11.2000, n. 14555);
3) ai fini della recidiva non si computano le sanzioni comunicate al dipendente nel biennio ma poi annullate dal giudice o dal collegio arbitrale;
4) la preventiva contestazione dell'addebito deve riguardare, pena la nullità della sanzione, anche la recidiva (o comunque i precedenti che la
integrano) solo ove questa rappresenti elemento costitutivo della mancanza addebitata (Cass. 10.1.2011, n. 313) e non già quando essa costituisca mero criterio di determinazione della sanzione proporzionata a tale mancanza (Cass. 20.2.2012, n. 2433; Cass. 23.8.1996, n. 7768);
5) la contestazione della recidiva può concretizzarsi nel semplice riferimento ai precedenti disciplinari, senza necessità dell'uso delle specifica espressione tecnica "recidiva" (Cass. 15.9.1997, n. 9173).
MANCANZA DEL GIUSTIFICATO MOTIVO SOGGETTIVO O DELLA GIUSTA CAUSA (NO REINTEGRA): nel caso in cui il giudice
annulla il licenziamento perché accerta l'inesistenza del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa:
1) dichiara risolto rapporto dalla data del licenziamento;
2) condanna datore a pagare indennità risarcitoria da 12 a 24 mensilità onnicomprensiva (art. 18, co. 4, L. 20.5.1970, n. 300).
Nel determinare la misura dell'indennità risarcitoria, il giudice tiene conto dei seguenti parametri:
a) anzianità del lavoratore;
b) numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro;
c) dimensioni dell'attività economica esercitata;
d) comportamento e condizioni delle parti.
In relazione ai punti sopra riportati, il giudice ha l'onere di fornire specifica motivazione (art. 18, co. 4, L. 20.5.1970, n. 300). Ne consegue
quindi che, nella generalità dei casi, anche in assenza della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo, al lavoratore che risulti vittorioso in
giudizio, comunque non spetta la reintegra nel posto di lavoro ma unicamente il risarcimento del danno mediante l'erogazione di un
importo compreso tra 12 e 24 mensilità.
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INESISTENZA DEL FATTO CONTESTATO O DIVERSA PREVISIONE DEL CONTRATTO COLLETTIVO (SI REINTEGRA): in
alternativa, se il giudice accerta inesistenza della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo per una delle seguenti ragioni:
1) il fatto contestato non esiste, ovvero
2) il contratto collettivo o il codice disciplinare applicabile puniscono quel fatto con una sanzione conservativa,
egli annulla il licenziamento e condanna il datore alla reintegrazione nel posto di lavoro e a pagare un'indennità dal giorno del
licenziamento sino alla reintegrazione (art. 18, co. 3, L. 20.5.1970, n. 300).ù
La valutazione del giudice deve considerare il fatto giuridico e non solamente quello cd. materiale; nel caso di specie, a fronte di una frase
critica rivolta al proprio superiore che sollecitava la consegna in tempi brevi di alcuni elaborati tecnici, il lavoratore si era reso responsabile di
una "lieve insubordinazione nei confronti dei superiori", punita dal contratto collettivo (a seconda dei casi), solamente con sanzioni
conservative (ammonizione scritta, multa o sospensione dal servizio e dalla retribuzione): il giudice ha quindi dichiarato illegittimo il recesso e
– in applicazione della nuova disciplina contenuta nell'articolo 18 della legge n. 300/1970, così come modificato dalla L. 28.6.2012, n. 92, in vigore dal 18.7.2012 - ha ordinato la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e il risarcimento delle retribuzioni perse dal giorno
del licenziamento fino a quello della reintegra nonché il pagamento delle spese processuali a carico del datore di lavoro (Trib. Bologna
15.10.2012).
L'indennità - che si aggiunge alla reintegrazione nel posto di lavoro - è pari a un importo massimo di 12 mesi dell'ultima retribuzione globale di
fatto, dedotto l'aliunde perceptum e l'aliunde percipiendum, ossia dedotto quanto il lavoratore ha percepito, nel periodo di estromissione, per lo
svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza a ricerca di nuova occupazione.
REINTEGRA E CONTRIBUZIONE: nel caso di reintegra perché: 1) il fatto contestato non esiste, ovvero 2) il contratto collettivo o il codice disciplinare applicabile puniscono quel fatto con una sanzione conservativa, oltre a pagare l'indennità, il datore di lavoro è condannato a:
1) versare i contributi dal giorno licenziamento fino a quello dell'effettiva reintegrazione;
2) maggiorati degli interessi nella misura legale senza applicazione di sanzioni per omessa o ritardata contribuzione;
3) per un importo pari al differenziale tra la contribuzione che sarebbe maturata nel rapporto di lavoro risolto dall'illegittimo licenziamento e
quella accreditata in conseguenza svolgimento di altre attività lavorative.
In caso di altra attività, i contributi che afferiscono ad altra gestione previdenziale sono imputati d'ufficio alla gestione corrispondente
all'attività del dipendente licenziato, con addebito dei relativi costi al datore (art. 18, co. 3, L. 20.5.1970, n. 300).
ALIUNDE PERCIPIENDUM: l'art. 1227, co. 2, cod. civ. non si limita a prescrivere al danneggiato un comportamento meramente negativo,
consistente nel non aggravare con la propria attività il danno già prodottosi, ma richiede un intervento attivo e positivo, volto non solo a
limitare, ma anche ad evitare le conseguenze dannose che si sono effettivamente verificate. Il limite alla esigibilità del comportamento attivo del lavoratore è costituito dalla ordinaria e non straordinaria diligenza. L'onere della ordinaria diligenza nella ricerca di una nuova occupazione
deve ritenersi assolto dal lavoratore con l'iscrizione nelle liste di collocamento, mentre spetta al debitore provare ulteriori elementi
significativi della mancanza dell'ordinaria diligenza (Cass. 21.9.2012, n. 16076).
INDENNITA' SOSTITUTIVA DELLA REINTEGRAZIONE: fermo il diritto al risarcimento del danno dal giorno del licenziamento
fino a quello dell'effettiva reintegrazione (nei casi in cui essa compete), al lavoratore è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro, in
sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un'indennità pari a 15 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto,
la cui richiesta determina la risoluzione del rapporto di lavoro. Tale indennità non è assoggettata a contribuzione previdenziale. La richiesta dell'indennità deve essere effettuata entro 30 giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza, o dall'invito del datore di lavoro a
riprendere servizio, se anteriore alla predetta comunicazione (art. 18, co. 4, L. 20.5.1970, n. 300). Nel caso di mancato pagamento
dell'indennità sostitutiva che sia stata regolarmente e tempestivamente richiesta da parte del lavoratore, le conseguenze (fermo il diritto alle 15 mensilità) consistono nel risarcimento del danno secondo i principi codicistici e non già in base alle retribuzioni che sarebbero state ulteriormente maturate (Cass. 26.9.2012, n. 16228); in senso contrario, altra parte della giurisprudenza secondo la quale, pur essendo cessato il
rapporto a seguito della richiesta dell'indennità sostitutiva della reintegrazione, a partire dal giorno in cui è stato esercitato il diritto di opzione, il ritardato pagamento dell'indennità sostitutiva deve essere compensato con la retribuzione teoricamente spettante per il
periodo interessato fino all'effettivo pagamento (Cass. 27.11.2012, n. 21010).
RISOLUZIONE ESPRESSA: infine, a seguito dell'ordine di reintegrazione, il rapporto di lavoro si intende risolto quando il lavoratore non
abbia ripreso servizio entro trenta giorni dall'invito del datore di lavoro, salvo il caso in cui abbia richiesto l'indennità, pari a quindici mensilità, sostitutiva della reintegrazione entro 30 giorni (art. 18, co. 3, L. 20.5.1970, n. 300).
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REVOCA DEL LICENZIAMENTO: se il lavoratore impugna il recesso, il datore di lavoro può, entro 15 giorni da quando ha ricevuto la
comunicazione di impugnazione da parte del suo ex dipendente, revocare il licenziamento. In questo caso, il rapporto di lavoro si intende
ripristinato senza soluzione di continuità, con diritto del lavoratore alla retribuzione maturata per tutto il periodo precedente alla revoca.
Non si applicano invece le altre sanzioni previste (in particolare le mensilità di risarcimento) art. 18, co. 6, L. 20.5.1970, n. 300.
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