Il Cortese: Anno I - N° 0
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Il Cortese: Anno I - N° 0
IL CORTESE ………di cavalli e non La pagina dei “CAVALIERI DEL TURCHESE” Marzo – Aprile 2010 RIMA E FILOSOFIA Cortese fa rima con Turchese. E Turchese è la realtà di tutti i giorni dove vivono i nostri fratelli con la criniera. “Cortese” è il comportamento che si tiene quando si esce in passeggiata e si saluta con il migliore dei sorrisi chi si incontra sui sentieri di campagna e lungo il fiume. Cortese è – dovrebbe essere sempre così - il cuore di chi monta in sella perché la calma, la serenità di spirito, la gentilezza rappresentano il linguaggio adatto per parlare coi cavalli. E infine, “Cortese” è il nome di questo foglio di scrittura che vede ora la sua prima luce. Uno spazio di lettere e idee, di sentimenti, di innesco al pensiero, di consigli e notizie. Dedicato ai “Cavalieri del Turchese”, a coloro che vogliono fregiarsi di questo titolo con tutte le responsabilità che comporta. Sarà un foglio dinamico, multiforme, che cambierà spesso proprio perché non soggetto alle leggi del mercato o dell’editoria ma solo a quelle dell’ispirazione e dell’umore. Per questo, completamente libero come un cavallo selvaggio in corsa nella vastità della pampa argentina. Ne “Il Cortese” metteremo articoli, rubriche, racconti, segnalazioni, poesie, disegni, proposte, classifiche, prese in giro, spunti per cambiare idea su qualcosa o per farsene una. Sempre se si vuole farlo, in completa anarchia del cervello. Perché chi cavalca insegue le peste degli antichi guerrieri, degli indiani e dei celti, dei cacciatori e dei fuorilegge, degli eroi che hanno edificato in sella la loro gloria. Usando sempre la cortesia e la buona educazione come bandiera da alzare e tenere alta. Mai dimenticare infatti, l’antico codice dei cavalieri: UN CAVALIERE E’ VOTATO AL VALORE IL SUO CUORE CONOSCE SOLO LA VIRTU’ LA SUA SPADA DIFENDE GLI INERMI IL SUO POTERE SOSTIENE I DEBOLI LA SUA PAROLA DICE SOLO LA VERITA’ LA SUA IRA ABBATTE I MALVAGI. Roberto Allegri CAMBI DI STAGIONE Ti svegli e scopri che la primavera è in arrivo. Lo senti. E’ come una voce debole, lontana, ma determinata. E’ la fiammella di una candela accesa nel buio dell’inverno: non si spegne nonostante lo spallate del vento, arde danzando, si piega ma non muore. E diventa sempre più grande e più calda. A quella fiamma ti avvicini, allunghi le mani nella sua direzione, ne assorbi il tepore. La speranza ti si infila nel sangue, ti esplode nel cuore. Ti fa scoprire i denti in un sorriso. Raggi di energia verde e gialla irradiano dai tuoi occhi e sono lame affilate che tagliano la nebbia e le nubi color del sasso, sciolgono la schiena della neve e asciugano l’erba fradicia. Poi, vedi il mondo attraverso il delicato chiarore di una gemma sbocciata su un ramo. Ti senti forte, infinito. E’ l’ora di mettere il grasso sulle cinghie e sulla sella, di ungere testiera e redini, di togliere gli stivali dall’armadio. Di fronte, hai un’intera stagione da attraversare al galoppo più selvaggio. PENSIERI DA GROOM L’alito luminoso di una primavera precoce risveglia il colore della vecchia siepe. E le dona tenere foglie pallide, neonate alla vita del giardino. E il tronco nero e consunto diventa un’autostrada per le formiche e gli altri insetti. Per tutta la stagione del camino, la siepe è stata una gobba intabarrata, curva sotto la nebbia e la sferza del vento, con le foglie gialle e secche, e le spine dure e aspre, quasi risentite col mondo. La siepe era muro di legno e verde spento, e quando le passavi accanto, grondava pioggia sulle maniche del vestito. Era un groviglio di rami neri e nudi, 1 protesi ad uncinare la lana del maglione. Nelle notti più fredde, la sentivo mormorare. Se aprivo la finestra e prestavo orecchio al silenzio del buio, ecco che mi giungeva il suo lamento. Era una voce roca e sospirosa, fiato di vento appena accennato, fruscio di cellulosa, grattare d’aghi, cigolare di tronchi e corteccia. Se avessi potuto, l’avrei fatta entrare in casa, fatta sedere accanto al fuoco, le avrei offerto una tazza di latte caldo col rinforzo dell’acquavite. Ma la vecchia siepe non è una strega che ringhia sotto la finestra. Non è un mendicante in cerca di riparo. Nel suo lamento invernale, essa è pura natura che accetta, pur senza rassegnazione, il proprio destino e sa attendere il nuovo ciclo del sole. Così i mesi sono trascorsi e adesso il sole versa oro liquido sui prati e sulla testa degli alberi. E anche la vecchia siepe ha cambiato vestito. Conto cinque toni di verde tra il suo fogliame. Colori di lago e pisello, di abete e lattuga e quello più scuro delle divise degli alpini. E’ popolata da insetti e uccelli. E un gatto che non bada alle spine ha fatto il rifugio tra i suoi piedi e trascorre le giornate disteso su di un letto di terra smossa e profumata. PAROLE IN SELLA VUK Vieni. Lascia l’ombra, metti il piede sul fieno, alla mano della luna. Vicino, che ti veda. Lo so, hai le mani di sangue ma io non ho giudizio. Sono Vuk, ho il cuore del lupo. Metti le dita sotto la mia criniera, senti il battere del temporale e del fiume, del vento che agita neve e riempie froge di resina. Qui, è caldo. Siedi e poggia la pietra che porti e ti segna le braccia. Non ho lama per tagliare il legaccio ma ti offro schiena da sella. Puoi usare i miei zoccoli, veloci ma non fuggono fantasmi che hanno artigli affilati. Però finchè sei con me, loro stanno lontani. Ti proteggo. Ora hai lacrime, le vedo d’argento. E’ che il senso di tutto giunge alla fine del galoppo. Sono Vuk, ho il cuore del lupo. Non ho giudizio, non rivango la colpa. Bevi la mia forza, il profumo dell’immenso, col silenzio delle notti e il volo del corvo di luna. Col respiro ti copro di polvere antica, la carezza di montagne e lo spirito del muschio ad indicare la strada di casa. Te ne vai. Il collo basso a fare i conti col mondo. Il tuo. Io ti aspetto nel mio, al termine della pista. Paga i debiti ma tieni la testa alzata, il morso non fa dolore. Verrà buon respiro anche per te. Io sono Vuk. Sono cavallo e vivo da lupo. Non ho giudizio. E ora tengo strette lacrime di uomo. PERSONE & PERSONAGGI di Grazia Vittadini Secondo me il Turchese è una specie di calamita: molte persone hanno ruotato intorno a questo posto, ma alcune restano “appiccicate”, come avendo trovato un posto comodo che si addice loro. . . Lasciate che vi racconti qualche storia: I GIOCONDI. Un bel giorno mi telefona la mia amica Gigliola dalla Valsecca ( Valle Imagna, una scuderia e agriturismo meravigliosi in una locazione spettacolare: una gita che vi consiglio caldamente. Link ) dicendomi che una coppia di signori le ha chiesto un Haflinger da comperare. La rete di solidarietà è vasta, fra maneggi: lei fa il mio nome, e 2 puntualmente dopo pochi giorni eccoli che appaiono. Franca e Paolo, “milanesi” che più non si può, reduci da esperienze terribili e traumatizzanti nel mondo dei cavalli ma non disposti a rassegnarsi. Una coppia di sessantenni davvero “sui generis”. Lui, Paolo il Rosso (c’è un’inflazione di Paoli al Turchese, bisognerà pur distinguerli), alto, magro, rosso di pelo, sbrigativo ed efficientissimo: è arrivato con la paura dei cani, oramai si è rassegnato ai nostri cinque che ovviamente con tutto lo spazio che c’è giocano sempre alla lotta sui suoi piedi. Lei, Franca, allegra, spiritosa, innamorata di tutte le bestie, quando viene qui non sa più da che parte girarsi e non le bastano le mani per coccolarli tutti, cani, gatti, cavalli, diventa matta. I cani fanno apposta ad imbastire i teatrini più buffi e lei si butta via dal ridere e passa il week end a giocare con la pallina. Quando sono arrivati li ho presentati ai miei cavalli, ed è stato subito evidente che stavano simpatici alla Gioconda: la cavalla li guardava interessatissima attraverso al suo ciuffo monumentale, e loro si sono istantaneamente sciolti davanti a lei come neve al sole. E’ stato amore subito, e Franca ha accettato di buon grado la nuova amante di suo marito. . . quando arrivano il sabato mattina, carichi di mele, carote, pane e quant’altro, lei saluta, chiacchiera, magari prende un caffè; lui passa sparato, la sella già in mano, non ti dice neanche ciao. Va dalla cavalla – che appena sente la macchina lo chiama – “Gioconda, Gioconda, arrivo!”, sella, monta, esce, non torna più. La Franca se la ride: “L’abbiamo perso, non c’è niente da fare”, ma la più contenta è lei. Quando lui torna, un paio d’ore dopo, è un altro uomo: rilassato, sorridente, sereno. Il pomeriggio monta di nuovo, sembra un ragazzino, esplora la sua cavalla nuova e non gli basta mai. La Franca dice che gli fa meglio che un mese di vacanza. Sono uno spasso, Paolo e Franca, e il titolo di “Giocondi” gli sta a pennello: la cavalla a sua volta dimostra un buonsenso incredibile e moltissima buona volontà. Arrivata un bel po’ selvatica e molto forte di carattere, ha piegato inaspettatamente verso una dolcezza e docilità che non le avrei sospettato: questa estate l’ho portata in un trekking di due giorni e cento km con in groppa una bimba dodicenne, e si è comportata in modo ammirevole. Così, quando sono comparsi Franca e Paolo ho pensato che il buonsenso della cavalla potesse compensare l’inesperienza del cavaliere: ho avuto ragione, e questo è quello che più mi riempie di soddisfazione. Trovare il cavallo giusto per una persona vuol dire saper fare un po’ di psicologia sia della persona che del cavallo: vuol dire riuscire a creare un binomio in cui ambedue le parti si arricchiscono, si completano e si soddisfano a vicenda. Non è facile, ci vuole mestiere: ma quando vedo Paolo che passa in sella alla Gioconda mi viene da sorridere e cono contenta di aver fatto bene il mio lavoro. In più, ho guadagnato due nuovi amici: due persone simpatiche, intelligenti e buone di cuore che sono felicissima di avere al Turchese. Grazie Giocondi ! TI RACCONTO…… Perché esiste un unico cuore. La voce dell’anziano è un sussurro. Le sue parole si muovono deboli e si confondono con il crepitare del fuoco nella stufa e il sibilo dei pezzi di legna a consumarsi adagio. Parla il vecchio indiano. E tiene gli occhi chiusi ma, lo stesso, vede ogni cosa perché conserva l’intero mondo scolpito dentro di sè. Così, sorride lieve quando ricorda i monti e le nevi loro spose, quando riporta in vita le battute di caccia, e il galoppo nella foresta con lo stesso battito del cuore del cavallo. Parla. E la sua voce aleggia a mezz’aria come nebbia di primo mattino. E come fosse una bruma fitta, la voce penetra ogni oggetto della baracca. Circonda il vecchio e poi accarezza i monili impolverati, appesi alle pareti, le sacche di cuoio da cui spuntano ciuffi di erba secca, dall’odore intenso. La voce si posa sul tavolo inciso da unghie e coltelli, e macchiato di caffè, sulle coperte colorate e sui tappeti e sulla sedia a dondolo coi manici lavorati. E mentre racconta, il vecchio indiano non apre mai lo sguardo. Ha gli occhi stretti, sepolti sotto le slavine candide delle sopracciglia incolte, celati dalle mille rughe che disegnano sul suo volto la mappa di una vita lunga e piena. Ad ogni emozione ritrovata, la mani, scarne e dure di calli, battono lievi sul tavolo il ritmo del dire. Come se ciò che il vecchio sta raccontando fosse una sinfonia da dirigere col tocco delle dita. <<Gli uomini sono come le foglie dell’albero>>, dice. <<Non hanno significato quando stanno da soli. Quando stanno separati dal resto, cadono e seccano. Il vento poi se li prende e li porta lontano. E alla fine si sbriciolano e diventano polvere. Gli uomini, come le foglie, devono restare nell’armonia del tutto. Come le foglie, sono 3 una parte importante. Insieme agli altri animali, insieme al popolo dei cavalli nostri fratelli, alle piante e all’erba, ai sassi e alle nuvole che piangono per dare vita ai fiumi, e alla neve che disseta le montagne. Tutti insieme essi formano l’esistenza. Una sola grande esistenza. Perché esiste un unico cuore. E per questo, non vi è alcun impedimento all’uomo di essere pietra o pesce o acqua. Così come il vento può diventare lupo o cavallo. Ogni cosa è collegata. Ogni cosa è parte del Grande Albero.>> Il vecchio indiano sorride di nuovo. E torna al tempo della caccia, al tempo del galoppo. Quando a correre era lui, quando era lui stesso a portare il guerriero alla battaglia. Lui stesso a nitrire e lanciarsi lungo il fiume. Quando lui stesso era cavallo. UN PORCELLO CAVALLO VESTITO DA Nessuno riesce a sbalzare dalla testa della classifica del “box più lurido” i due fuoriclasse della “defecatio furens”: Parsival e Sirio. A pari merito, si beccano l’encomio di “porcello” del mese. A detta di chi al mattino pulisce i suddetti box: “è un esperienza unica, come scendere in un girone dantesco dove albergano i peggiori bagni dei peggiori autogrill della Salerno-Reggio Calabria!” Ma Bistecca e Tony-Boris incalzano. Un po’ per la vecchiaia, per la pigrizia e per i denti che vanno limati, i due argentini mischiano al quotidiano carico di “cacca” anche il fieno avanzato. Il risultato è un’amalgama fetida che pare uscita da un film di Tobe Hooper degli anni Sessanta. Seguono subito dopo nella classifica il buon Messy, il vetusto William, Farlap l’irrequieto e Gioconda del Trenta. Ho imparato che fidarsi è grande. E ricevere la fiducia del tuo cavallo è immenso. Che non c’è calore più forte del suo petto dopo la corsa, né suono più dolce del suo sbuffare. Ho imparato che gli esseri umani mentono e giocano ad essere chi non sono. Ma che un cavallo è semplicemente sé stesso. Ho imparato che all’alba le sfumature del cielo sono infinite e quelle del tramonto ti rendono un veggente. E che se vedi alba e tramonto in groppa a tuo fratello, le mani allacciate alla sua criniera, hai l’impressione di sedere accanto a Dio. Ho imparato che la solitudine è un’incudine, il dolore un maglio, l’ipocrisia della gente un mantice. E che tutte insieme forgiano uomini d’acciaio. Ho imparato l’equilibrio, la calma, la comunione con l’infinito sentendo tra le gambe i muscoli del mio cavallo. (Grumo) NEWS Il 21 marzo si celebra la Primavera…….magnando! Al ristorante Santa Lucia di Presezzo ci sarà il “Pranzo Sociale di Primavera”, che suona un po’ come “qualcosa” dal sapore comunista ma invece i bambini non sono sul menù. “Sociale” sta per “tutti insieme”!!! Il 28 marzo esordirà il “Primo Concorso Sociale” de IL TURCHESE. HO IMPARATO Ho imparato che la perfezione non è di questo mondo fino a che cammini con due gambe. Ma che puoi accarezzarla stando in groppa ad un cavallo. Ho imparato che puoi vedere attraverso i suoi occhi e quello che scopri è l’armonia delle cose. Ho imparato che puoi ascoltare con le sue orecchie e percepire il respiro di chi non c’è più. Ho imparato che puoi vivere usando il suo cuore e galoppare così per tutta la vita. Ho imparato che la rabbia non serve ma la selvaggia determinazione sì. E che la dignità sta nell’ammettere, non nel nascondere. La Nursery è allertata. Sono attesi due puledrini. La Gertie dovrebbe partorire il 7 di marzo e il 19 aprile toccherà alla Diana. Nel mese di marzo verranno eseguiti i coggintest. Il 18 di marzo esce il nuovo libro di Roberto Allegri dal titolo “Cani super eroi” (Armenia Editore). IL TURCHESE Villa Paradiso di Cornate d’Adda Milano www.ilturchese-horses.it il [email protected] 348.2258991 4