madre e bambino nel contesto carcerario italiano
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madre e bambino nel contesto carcerario italiano
Gabriella Costanzo MADRE E BAMBINO NEL CONTESTO CARCERARIO ITALIANO ARMANDO EDITORE Sommario Introduzione Capitolo primo Il legame tra madre e bambino nel contesto carcerario 1. La normativa in merito alle detenute madri in Italia 1.1. La legislazione sulle detenute madri in Italia: dalla legge n. 354/1975 alla legge n. 40/2001 1.2. Le modifiche del disegno di legge n. 2568/2011 sulle madri detenute 2. L’importanza del legame di attaccamento tra madre e bambino 2.1. Il concetto di attaccamento in John Bowlby 2.2. I tre tipi di attaccamento individuati nella Strange Situation da Mary Ainsworth 2.3. La quarta categoria di comportamento infantile alla Strange Situation: il modello di tipo disorganizzato 3. Il legame tra madre e bambino nel contesto carcerario 3.1. Il legame di eccessiva dipendenza nella diade madre-bambino in carcere 3.2. Una ricerca sulla relazione tra madre e bambino effettuata nel 2007 nell’asilo nido del carcere di Rebibbia 9 13 15 15 25 27 27 35 37 40 40 43 4. Il vissuto conflittuale della madre in carcere 4.1. La difficile scelta di tenere accanto a sé il proprio figlio 4.2. Il vissuto della madre legato al timore della perdita del figlio al momento della separazione Capitolo secondo Alcune modalità di intervento a sostegno dei legami tra madre e bambino nell’ambiente del carcere 1. I rischi nello sviluppo dei bambini che vivono con la madre detenuta 1.1. Il rischio della deprivazione paterna 1.2. I rischi nello sviluppo del bambino conseguenti all’influenza dell’ambiente carcerario 1.3. Gli effetti delle condizioni di detenzione sullo sviluppo fisico e cognitivo dei bambini: i risultati di alcune ricerche effettuate in Spagna e in Gran Bretagna 2. Gli interventi a tutela e sostegno del legame genitore-figlio durante la detenzione 2.1. Alcune associazioni ed enti che operano nel territorio nazionale a sostegno della genitorialità 2.2. Il mantenimento della relazione genitore-figlio e la promozione della responsabilità genitoriale 2.3. Gli interventi psicoeducativi di sostegno e aiuto alle madri che vivono l’esperienza della detenzione 2.4. Alcuni progetti per accompagnare i bambini delle detenute fuori dal carcere 3. Alcuni progetti a sostegno della genitorialità quando la madre esce dal carcere 47 47 50 55 56 56 60 65 70 70 76 81 83 87 3.1. Un’alternativa alla detenzione per le madri in carcere: gli appartamenti in cui le madri possono vivere insieme 87 ai propri figli 3.2. Le case di accoglienza per le madri uscite 91 dall’esperienza carceraria Conclusione Bibliografia Libri e riviste Normative Siti internet 95 101 101 105 107 Introduzione Il presente lavoro nasce come tentativo di esplorare e, per quanto possibile, approfondire un tema oggi molto dibattuto dal punto di vista sociale e legislativo, quello del problema della presenza in carcere dei bambini che vivono con la madre detenuta. Attualmente i bambini al di sotto dei tre anni che vivono nelle carceri italiane con le loro mamme detenute sono cinquantaquattro. Le loro madri per la maggioranza sono straniere appartenenti ad etnie Rom ed Africane e i reati in prevalenza sono connessi al traffico di stupefacenti o a reati contro il patrimonio1. Questo lavoro vuole, in particolare, porre l’accento sulla problematicità del legame madre-bambino in carcere sottolineando la possibile influenza dell’ambiente coercitivo carcerario su entrambi i soggetti. Preoccupanti sono infatti i dati emersi da alcune ricerche svolte in Italia e all’estero che hanno indagato lo sviluppo psico-affettivo e relazionale del bambino che vive in carcere. La scelta dell’argomento è dovuta a un forte interesse personale verso una problematica così delicata che vede protagonisti bambini innocenti condannati a vivere i loro primi anni di vita in carcere, in un ambiente non consono alle loro esigenze di crescita. 1 Cfr. Ministero della Giustizia, Detenute madri e asili nido. Situazione al 30 giugno 2011, in http://www.giustizia.it (05/09/2011), p. 1. 9 Nella prima parte cerco di mettere in evidenza il particolare legame di attaccamento che può crearsi tra la madre e il suo bambino in carcere. Il carcere, per le caratteristiche strutturali e regolamentari che gli sono proprie, non è adeguato a rispondere alle esigenze relazionali e di vita della diade e può incidere sul loro legame. Alcune ricerche che sono state effettuate in carcere sottolineano come le condizioni ambientali del carcere possono influire sulla possibilità dell’instaurarsi di un legame di attaccamento insicuro caratterizzato da forte simbiosi e dipendenza nonché sullo sviluppo cognitivo del bambino e sul vissuto di entrambi. Lo stabilirsi di un legame adeguato tra la madre e il bambino è di fondamentale importanza in quanto tale legame diventa il prototipo delle successive relazioni sociali. È importante che questo legame affettivo con la madre sia duraturo e non transitorio, che sia emotivamente significativo per poter svolgere la sua funzione di rassicurazione e di protezione per il bambino. La struttura del carcere però può interferire a vari livelli sulla diade compromettendone il rapporto. Per quanto riguarda la madre detenuta, il carcere comporta una limitazione alla possibilità di esprimere pienamente la propria maternità ed una limitazione allo svolgimento del proprio ruolo genitoriale. Le madri che invece decidono di vivere la maternità a distanza, non tenendo accanto a sé il piccolo, devono subire una dolorosa separazione dal figlio ed accettare di vederlo e sentirlo con tempi e modalità ristretti. Nella seconda parte cerco di mettere in evidenza le possibili ripercussioni dell’ambiente carcerario sullo sviluppo del bambino in base ai dati di alcune ricerche. I bambini in carcere si trovano infatti a vivere nella loro prima fase evolutiva una situazione che può provocare dei deficit nel loro generale sviluppo. 10 I bambini reclusi soffrono un doppio trauma: quello della vita reclusa fino a tre anni e quello della separazione traumatica dalla madre al compimento del limite di età. Vivono in un ambiente, il carcere, molto difficile e non adatto alla loro crescita perché fatto di sbarre alle finestre e di cancelli che regolano la loro entrata e la loro uscita dallo spazio minimo delle celle in cui vivono insieme alle loro madri. Soffrono di disturbi legati al sovraffollamento e alla mancanza di spazio e soffrono la mancanza della figura paterna, figura di attaccamento importante per il bambino. L’infanzia di questi bambini si sviluppa in un contesto in cui la vita scorre in modo anomalo, scadenzata da rigide norme che regolano l’ora del pasto, del sonno, dell’uscita nell’ora d’aria della madre e della passeggiata con i volontari. Presento poi alcuni interventi realizzati da alcune associazioni che operano in Italia con i loro progetti per sostenere il legame madre-bambino in carcere e anche fuori dal carcere attraverso percorsi educativi di sostegno e di assistenza alla diade per favorire un relativo benessere. In ambito carcerario tali associazioni intervengono attraverso programmi di rieducazione alla genitorialità per offrire un sostegno alle madri nel rapporto con il figlio. In ambito extracarcerario intervengono attraverso un’azione di collegamento con le risorse territoriali esterne deputate alla cura, all’assistenza e al sostegno della diade. 11 Capitolo primo Il legame tra madre e bambino nel contesto carcerario In Italia la normativa prevede la possibilità per le donne detenute, che hanno figli minori di tre anni, di tenerli con sé in cella. I bambini residenti negli istituti penali, oltre a vivere in un ambiente non adeguato alla necessità di un regolare sviluppo psicofisico, al compimento del terzo anno di età non possono però più vivere in carcere e quindi vengono allontanati dalla madre, a meno che essa non abbia i requisiti di legge per usufruire della detenzione domiciliare prevista dalla legge Finocchiaro. In questo primo capitolo intendo porre l’accento sul rapporto di attaccamento che può crearsi tra la madre e il suo bambino nel contesto carcerario. La condizione di detenzione incide sulla possibilità dell’instaurarsi di un legame di attaccamento sano nella diade nonché sullo sviluppo cognitivo del bambino e sul vissuto di entrambi. Bowlby ha sottolineato l’importanza della relazione madre-figlio e le conseguenze della deprivazione materna nell’insorgere della psicopatologia, mettendo in evidenza come uno sviluppo positivo sia strettamente legato al ricevere cure e risposte adeguate al bisogno primario di attaccamento. Da alcune ricerche emerge che le condizioni strutturali e ambientali del carcere favoriscono l’insorgere e la creazione di un legame anomalo all’interno della diade, caratterizzato da un’ec13 cessiva dipendenza. In carcere c’è il rischio di un prolungamento della relazione simbiotica all’interno della quale il bambino è iperaccudito. In tale contesto, inoltre, la preoccupazione delle ripercussioni dell’ambiente carcerario sul proprio bambino può amplificare il vissuto ansiogeno della madre. A ciò si somma il senso di colpa per la scelta di tenere accanto a sé il bambino durante il periodo di reclusione. La donna si trova a vivere da un lato il senso di colpa per tenere con sé il bambino costringendolo ad una condizione di reclusione, dall’altro sperimenta l’ansia per l’inevitabile allontanamento in seguito alla separazione che avverrà al compimento del terzo anno di età. La madre è così continuamente impegnata a fare in modo che il proprio bambino avverta il meno possibile le difficoltà e gli ostacoli dovuti alle ristrettezze dell’ambiente carcerario che si frappongono alle sue esigenze di sviluppo, di scoperta e di crescita. Il carico di ansia e frustrazione che può scaturire da questa condizione agisce su entrambi costituendo un notevole fattore di squilibrio potenziale per l’insorgere di effetti patologici. L’istituzione carceraria rinforza la condizione di scarsa autonomia della detenuta nel suo ruolo genitoriale intervenendo rispetto a una serie di questioni quotidiane come l’abbigliamento, il cibo, il pediatra. Interviene inoltre per le attività esterne previste per il bambino, come le passeggiate, gli accompagnamenti al nido, le vaccinazioni, dalle quali la madre resta inevitabilmente esclusa. La reclusione quindi determina per la madre strette limitazioni: alla possibilità di instaurare un sano legame col bambino, alla possibilità di esprimere la propria maternità e il proprio ruolo genitoriale, che comportano pesanti ripercussioni sul suo vissuto psicologico ed emotivo. Un momento particolarmente drammatico è quello dell’al14 lontanamento del bambino dalla madre, al compimento del terzo anno di età, seguito spesso dall’istituzionalizzazione del minore che può comportare ulteriori danni. A questo si aggiunge il timore della madre detenuta, specialmente se deve scontare una pena di lunga durata, di non poter avere più con sé il figlio al momento della dimissione, per gli eventuali provvedimenti di adozione da parte del Tribunale dei Minori. La maggior parte di queste donne e dei loro bambini resta segnata per sempre da questo distacco, così come anche la loro vita è stata già segnata dai molti giorni trascorsi in prigione. 1. La normativa in merito alle detenute madri in Italia Presento ora le disposizioni legislative riguardanti le detenute con prole e le donne incinte. A partire dalla riforma penitenziaria che ha avuto avvio con la legge n. 354 del 1975, verranno esposte le successive modifiche fino ai giorni nostri con l’introduzione del nuovo disegno di legge, n. 2568 del 2011, sulle madri detenute. È in particolare da rilevare che dal 2001 con la Legge n. 40, conosciuta come legge Finocchiaro, sono state previste forme alternative alla detenzione in cella, attraverso l’introduzione della “detenzione domiciliare speciale” per condannate con figli piccoli, oppure il rinvio obbligatorio della pena per donne incinte. 1.1. La legislazione sulle detenute madri in Italia: dalla legge n. 354/1975 alla legge n. 40/2001 Dal punto di vista legislativo la questione carceraria femminile è stata affrontata nel 1975 con la legge n. 354, conosciuta 15 come legge Gozzini, che poneva attenzione alla condizione della gestante e della madre di prole convivente. La legge, all’articolo 21-bis, decretava infatti che “alle madri è consentito tenere presso di sé i figli fino all’età di tre anni. Per la cura e l’assistenza dei bambini sono organizzati appositi asili nido”2. A supporto di tale provvedimento, con l’introduzione dell’art. 18 del DPR 431/76, vengono poi introdotti nel carcere specialisti: ginecologi, ostetriche, pediatri, puericultrici e assistenti all’infanzia per tutelare la salute psicofisica della madre e del bambino. Il 26 luglio 1975 venne quindi alla luce la legge introduttiva del Nuovo Ordinamento Penitenziario, la prima grande riforma carceraria che, nell’articolo 11, ha modificato la precedente normativa del decreto Regio del 1931. L’articolo 43 di tale decreto dava infatti la possibilità alle madri detenute di tenere i propri bambini in carcere fino al compimento del secondo compleanno3. La riforma penitenziaria del 1975 ha due aspetti: da una parte si occupa del “trattamento penitenziario” e, dall’altra, dell’“organizzazione penitenziaria”. Tale legge contiene molte iniziative di miglioramento della vita dei detenuti, la maggioranza delle quali, però, non è stata tradotta in provvedimenti concreti4. Successivamente, nel 1986 con la legge n. 663, la riforma penitenziaria, avviata nel 1975, diventava effettivamente conforme ai dettami della Costituzione5. Infatti con la legge del 10 ottobre 2 Legge 26 luglio 1975, n. 354, Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà, art. 21-bis, in “Gazzetta Ufficiale” del 9-8-1975, n. 212 – Supplemento Ordinario. 3 Cfr. Di Gennaro G., Bonomo M., Breda R., Ordinamento penitenziario e misure alternative alla detenzione, Milano, Giuffrè 1991, pp. 81-82. 4 Cfr. Margara A., La modifica della legge penitenziaria: una scommessa per il carcere, una scommessa contro il carcere, in «Questioni di giustizia», 5 (1986) 3, pp. 48-49. 5 Cfr. Gozzini M., La giustizia in galera? Una storia vera, Roma, Editori Riuniti 1997, p. 91. 16 1986, viene introdotto l’articolo 47-ter6, inerente alla detenzione domiciliare, che modifica e integra la precedente legge 354/757. Tale legge si caratterizza per la differenziazione delle pene. Indipendentemente dal reato commesso, l’istituzione si comporta in modo diverso in base al comportamento avuto dai detenuti nel periodo precedente alla condanna o, comunque, in regime di libertà. Inoltre, si valorizza la collaborazione che questi offrono alla giustizia. I detenuti possono chiedere infatti misure alternative alla detenzione, revocate nel caso in cui la collaborazione cessi volontariamente da parte del soggetto. È l’istituzione carceraria che, con questa legge, si apre verso l’esterno8. La legge Gozzini del 1975, però, non pone delle esplicite direttive per il comportamento di coloro che usufruiscono di queste misure alternative alla detenzione. Si tratta di fatto di una vera e propria detenzione, non in carcere ma nella propria abitazione in quanto la legge vieta ai condannati di lasciare la propria dimora. Non considera però che alcuni di essi potrebbero non avere terzi 6 Nell’articolo 47-ter che riguarda la detenzione domiciliare si afferma che: “La pena della reclusione non superiore a quattro anni, anche se costituente pena residua di maggior pena, nonché la pena dell’arresto, possono essere espiate nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in luogo pubblico di cura, assistenza o accoglienza, quando trattasi di: a) donna incinta o madre di prole di età inferiore ad anni dieci, con lei convivente; b) padre, esercente la potestà, di prole di età inferiore ad anni dieci con lui convivente, quando la madre sia deceduta o altrimenti assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole; c) persona in condizioni di salute particolarmente gravi, che richiedano costanti contatti con i presidi sanitari territoriali; d) persona di età superiore ad anni sessanta, se inabile anche parzialmente; e) persona minore di anni ventuno per comprovate esigenze di salute, di studio, di lavoro e di famiglia”. (Legge 10 ottobre 1986, n. 663, Modifiche alla legge sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà, art. 47-ter, in “Gazzetta Ufficiale” del 16-10-1986, n. 241 – Supplemento Ordinario). 7 Cfr. Di Gennaro G., Bonomo M., Breda R., op. cit., pp. 274-275. 8 Cfr. Campelli E., Faccioli F., Giordano V., Pitch T., Donne in carcere. Ricerca sulla detenzione femminile in Italia, Milano, Feltrinelli 1992, pp. 18-19. 17 a cui rivolgersi per un aiuto e non prevede forme di rieducazione. Se, dunque, la legge da un lato ha introdotto un’importantissima novità quale la possibilità di scontare la pena nella propria abitazione, dall’altro non ha offerto ai detenuti gli strumenti necessari per l’effettiva realizzazione del progetto di decarcerizzazione9. Nel 1998 la legge n. 165, conosciuta come legge Simeone-Saraceni, modifica l’articolo 47 della legge n. 354/1975 e le successive modifiche della legge Gozzini, dando la possibilità di espiare la pena nella propria abitazione o in un altro luogo di privata dimora, ovvero in luogo pubblico di cura, assistenza o accoglienza, alle donne incinte o madri di prole di età inferiore ai dieci anni, prolungando così il tempo che la madre può dedicare alla crescita dei propri figli10. Questa legge è stata considerata come un importante traguardo raggiunto per la tutela del bambino e per il rispetto dell’importanza del rapporto madre-figlio. Innalzando l’età fino alla quale la madre può accudire i figli fuori dal carcere, da tre a dieci anni, è stata data alle madri la possibilità di stare vicino ai figli in un periodo non più limitato solo alla primissima infanzia. Più tardi, la legge Finocchiaro n. 40/2001 introduce la detenzione domiciliare speciale, all’articolo 47-quinquies, in particolare, quando non ricorrono le condizioni di cui all’articolo 47-ter, per le madri condannate, con prole di età non superiore ad anni dieci, se non sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti e se vi è la possibilità di ripristinare la convivenza con i figli. Queste donne possono essere quindi ammesse ad espiare la pena nella propria abitazione, o in altro luogo di privata dimora, ovvero in luogo di cura, assistenza o accoglienza, al fine di provvedere alla cura e all’assistenza dei figli, dopo l’espiazione di 9 Cfr. Di Gennaro G., Bonomo M., Breda R., op. cit., pp. 276-277. Cfr. Bastianello S., Detenute madri, in http://www.giustizia.it (10/09/11), p. 1. 10 18 almeno un terzo della pena, ovvero dopo l’espiazione di almeno quindici anni nel caso di condanna all’ergastolo. Quando è disposta la detenzione domiciliare speciale, nessun onere grava sull’amministrazione penitenziaria per il mantenimento, la cura e l’assistenza medica della condannata che si trovi in tale condizione. Il Tribunale di Sorveglianza nel disporre la detenzione domiciliare speciale fissa le modalità di attuazione secondo quanto stabilito dall’articolo 284, comma 4, del Codice di Procedura Penale. Inoltre precisa il periodo di tempo che la persona può trascorrere all’esterno del proprio domicilio e detta le prescrizioni relative agli interventi del servizio sociale. Tali prescrizioni e disposizioni possono essere modificate dal magistrato di sorveglianza competente per il luogo in cui si svolge la misura11. All’atto della scarcerazione è redatto un verbale in cui sono dettate le prescrizioni che il soggetto deve seguire nei rapporti con il servizio sociale. Il servizio sociale controlla la condotta del soggetto e lo aiuta a superare le difficoltà di adattamento alla vita sociale, anche mettendosi in relazione con la sua famiglia e con gli altri suoi ambienti di vita e riferisce periodicamente al magistrato di sorveglianza sul comportamento del soggetto. La detenzione domiciliare speciale è revocata se il comportamento del soggetto, contrario alla legge e alle prescrizioni dettate, appare incompatibile con la prosecuzione della misura. La 11 L’art. 284 del Codice di Procedura Penale tratta delle disposizioni in materia di arresti domiciliari; i commi cui fa riferimento l’art. 47-quinquies O.P. sulla detenzione domiciliare speciale riguardano la facoltà del giudice di imporre limiti e divieti di comunicare con persone diverse da quelle che coabitano o assistono la persona sottoposta ad arresti domiciliari e la possibilità, da parte della polizia giudiziaria, di controllare in ogni momento l’osservanza delle prescrizioni ordinate dal giudice (Cfr. Codice di Procedura Penale, Libro IV Misure Cautelari, Titolo I Misure cautelari personali, Capo II Misure coercitive, art. 284, in Altalex Ebook, Codici in Borsa 2011, in http://www.altalex.com (10-09-2011), p. 59. 19 detenzione domiciliare speciale può essere concessa, alle stesse condizioni previste per la madre, anche al padre detenuto, se la madre è deceduta o impossibilitata e non vi è modo di affidare la prole ad altri che al padre. Al compimento del decimo anno di età del figlio, su domanda del soggetto già ammesso alla detenzione domiciliare speciale, il Tribunale di Sorveglianza può disporre la proroga del beneficio, se ricorrono i requisiti per l’applicazione della semilibertà di cui all’articolo 50, commi 2, 3 e 5. Può anche disporre l’ammissione all’assistenza all’esterno dei figli minori di cui all’articolo 21-bis, tenuto conto del comportamento dell’interessato nel corso della misura, desunto dalle relazioni redatte dal servizio sociale, ai sensi del comma 512, nonché della durata della misura e dell’entità della pena residua. È importante notare però che le misure alternative alla detenzione, previste dalla legge 40/2001, non sono applicabili alle donne rom, in quanto queste non hanno residenza, alle donne drogate, perché si pensa possano facilmente ricadere nella droga, e alle donne ancora in attesa di giudizio. In pratica la legge non è applicabile alla maggioranza delle detenute nel nostro Paese13. 12 Fuori dai casi previsti dal comma 1, il condannato può essere ammesso al regime di semilibertà soltanto dopo l’espiazione di almeno metà della pena ovvero, se si tratta di condannato per taluno dei delitti indicati dal comma 1 dell’art. 4-bis, di almeno due terzi di essa. L’internato può esservi ammesso in ogni tempo. Tuttavia, nei casi previsti dall’art. 47, se mancano i presupposti per l’affidamento in prova al servizio sociale, il condannato per un reato diverso da quelli indicati nel comma 1 dell’art. 4-bis può essere ammesso al regime di semilibertà anche prima dell’espiazione di metà della pena. Il comma 5 afferma che: “Il condannato all’ergastolo può essere ammesso al regime di semilibertà dopo avere espiato almeno venti anni di pena”. (Legge 26 luglio 1975, n. 354, Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà, art. 21 bis, in Gazzetta Ufficiale del 9-8-1975, n. 212 – Supplemento Ordinario). 13 Cfr. Mosconi G., Dentro il carcere, oltre la pena, Padova, CEDAM 1998, p. 164. 20 Infine, è opportuno fare un riferimento alle cosiddette misure cautelari che possono essere adottate in determinate situazioni per il trattamento del soggetto che ha commesso un reato. Generalmente si adottano queste misure per tre motivi: pericolo d’inquinamento delle prove, pericolo di fuga e pericolosità sociale dell’imputato. All’interno delle disposizioni in materia di misure cautelari, il legislatore, all’articolo 275, comma 4, del Codice di Procedura Penale, ha stabilito che: “Non può essere disposta la custodia cautelare in carcere, salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, quando imputati siano donna incinta o madre di prole di età inferiore a tre anni con lei convivente, o padre, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole, o persona che ha superato l’età di settanta anni o che si trovi in condizioni di salute particolarmente gravi”14. Le misure cautelari, pertanto, non vengono auspicate nei confronti di donne incinte o con figli molto piccoli, salvo i casi in cui le esigenze cautelari sono di eccezionale rilevanza; nel caso delle misure cautelari, dunque, è tutelata la maternità. Per coloro che invece devono scontare una pena detentiva in seguito ad una condanna il legislatore ha previsto due possibilità di rinvio, esplicitate negli articoli 146 e 147 del Codice Penale, successivamente modificati dalla legge n. 40/2001. Tale legge, conosciuta come legge Finocchiaro, aggiunge un altro tassello al processo di decarcerazione delle detenute madri al fine di assicurare una più adeguata tutela del rapporto con la prole ed impedire, nel preminente interesse del minore, le conseguenze negative che 14 Cfr. Codice di Procedura Penale, Libro IV Misure Cautelari, Titolo I Misure cautelari personali, Capo I Disposizioni generali, art. 275, in Altalex Ebook, Codici, p. 55. 21 la vita in carcere inevitabilmente porta con sé. L’articolo 14615 tratta del rinvio obbligatorio della pena che viene concesso alle donne incinte o madri di bambini di età inferiore ad un anno. L’articolo 14716 invece esplicita i casi in cui può essere concesso il rinvio in maniera facoltativa, ossia a discrezione del giudice, una volta che questi abbia esaminato gli atti. Le nuove disposizioni della legge Finocchiaro si riferiscono a condannate che devono scontare pene lunghe. La detenzione do15 L’art. 146 del Codice Penale tratta del rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena che viene differita nei seguenti tre casi: 1) nei confronti di donna incinta; 2) nei confronti di madre di infante di età inferiore ad anni uno; 3) nei confronti di persona affetta da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria, ovvero da altra malattia particolarmente grave per effetto della quale le sue condizioni di salute risultano incompatibili con lo stato di detenzione. Nei primi due casi previsti il differimento è revocato se la gravidanza si interrompe o il figlio muore, se la madre è dichiarata decaduta dalla potestà sul figlio ai sensi dell’articolo 330 del Codice Civile, se il figlio viene abbandonato o affidato ad altri. Tale articolo è stato sostituito dall’art. 1, comma 1, della legge 8 marzo 2001, n. 40 (Cfr. Codice Penale, Libro I Dei reati in generale, Titolo V Della modificazione, applicazione ed esecuzione della pena, Capo II Della esecuzione della pena, art. 146, in Altalex Ebook, Codici, p. 42). 16 L’art. 147 del Codice Penale recante disposizioni in materia di rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena afferma che l’esecuzione di una pena può essere differita nei seguenti tre casi: 1) se è presentata domanda di grazia; 2) se una pena restrittiva della libertà personale deve essere eseguita contro chi si trova in condizioni di grave infermità fisica; 3) se una pena restrittiva della libertà personale deve essere eseguita nei confronti di madre di prole di età inferiore a tre anni. Nel caso indicato nel n. 1, l’esecuzione della pena non può essere differita per un periodo superiore complessivamente a sei mesi, a decorrere dal giorno in cui la sentenza è divenuta irrevocabile, anche se la domanda di grazia è successivamente rinnovata. Nel caso indicato nel n. 3 il provvedimento è revocato, qualora la madre sia dichiarata decaduta dalla potestà sul figlio ai sensi dell’articolo 330 del Codice Civile, il figlio muoia, venga abbandonato o affidato ad altri (Cfr. Codice Penale, Libro I Dei reati in generale, Titolo V Della modificazione, applicazione ed esecuzione della pena, Capo II Della esecuzione della pena, art. 147, in Altalex Ebook, Codici, p. 42). 22 miciliare speciale, infatti, può essere applicata quando non ricorrono le condizioni dell’articolo 47-ter, il quale prende in considerazione solo pene che non superano i quattro anni di detenzione. L’obiettivo della legge è la diminuzione della presenza di bambini in carcere. La detenzione domiciliare “generica”, unita a quella speciale, prende in considerazione una fascia molto ampia di detenute madri. Inoltre, la legge 40/2001 ha introdotto nell’ordinamento penitenziario anche l’articolo 21-bis che riguarda l’assistenza all’esterno dei figli minori, ovvero la possibilità che le condannate possano essere ammesse “alla cura e all’assistenza all’esterno dei figli di età non superiore agli anni dieci, alle condizioni previste dall’articolo 21”17, che riguarda l’opportunità di lavorare all’esterno del carcere. In tal modo i figli minori hanno la possibilità di avere la madre accanto quasi tutti i giorni e non di vederla solo nei pochi colloqui mensili18. Fin dall’inizio però, la legge ha avuto difficoltà di applicazione in quanto per poter accedere alle misure stesse è necessaria una pronuncia del giudice sull’assenza del pericolo di commissione di altri reati. Come è stato evidenziato in precedenza, molte detenute hanno problemi di tossicodipendenza e molte altre fanno parte di etnie nomadi. Entrambe queste categorie di detenute sono spesso recidive al reato e, di conseguenza, è per loro difficile accedere alle misure alternative alla detenzione. La legge dunque, anche a causa di queste particolari tipologie di donne, non ha dato i risultati auspicati in quanto, pur avendo come criterio ispiratore la 17 Legge 26 luglio 1975, n. 354, Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà, art. 21-bis, in “Gazzetta Ufficiale” del 9-8-1975, n. 212 – Supplemento Ordinario. 18 Cfr. Farano D., La maternità in carcere. Aspetti problematici e prospettive alternative, in «La Rivista di Servizio Sociale», 40 (2000) 3, p. 20. 23 “decarcerizzazione”, non ha dato luogo a una diminuzione del numero di bambini che vivono in carcere. Oltre alle importanti novità introdotte dalle leggi, anche l’Ordinamento Penitenziario adotta delle misure speciali per il trattamento delle donne con prole, in particolare nell’articolo 1919 del DPR 230/2000 in cui stabilisce le forme di assistenza alle gestanti e alle madri con bambini20. 19 L’articolo 19 del DPR del 30 giugno 2000 n. 230 afferma che: «1. Le gestanti e le madri con bambini sono assistite da specialisti in ostetricia e ginecologia, incaricati o professionisti esterni. Il parto deve essere preferibilmente effettuato in luogo esterno di cura. 2. È prestata, altresì, l’assistenza da parte di personale paramedico ostetrico; 3. L’assistenza sanitaria ai bambini che le madri detenute o internate tengono presso di sé è curata da professionisti specialisti in pediatria. 4. Gli specialisti in ostetricia e ginecologia e i pediatri, il personale paramedico, nonché gli operatori in puericultura degli asili nido, sono compensati con onorari proporzionati alle singole prestazioni effettuate. 5. Presso gli istituti o sezioni dove sono ospitati gestanti e madri con bambini sono organizzati, di norma, appositi reparti ostetrici e asili nido. Le camere dove sono ospitati le gestanti e madri con i bambini non devono essere chiuse, affinché gli stessi possano spostarsi all’interno del reparto o della sezione, con il limite di non turbare l’ordinato svolgimento della vita nei medesimi. 6. Sono assicurati ai bambini all’interno degli istituti attività ricreative e formative proprie della loro età. I bambini, inoltre, con l’intervento dei servizi pubblici territoriali o del volontariato, sono accompagnati all’esterno con il consenso della madre, per lo svolgimento delle attività predette, anche presso gli asili nido esistenti sul territorio. 7. Quando i bambini debbono essere separati dalle madri detenute o internate, per avere superato il limite di età stabilito dalla legge o per altre ragioni, sentita in questo ultimo caso la madre, e non esistono persone a cui la madre possa affidare il figlio, la direzione dell’istituto, in tempo utile per le necessarie iniziative, segnala il caso agli enti per l’assistenza all’infanzia e al centro di servizio sociale, che assicura comunque il mantenimento di costanti rapporti tra la madre e il bambino» (Decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230, Regolamento recante norme sull’ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà, art. 19, in “Gazzetta Ufficiale” del 22-8-2000, n. 195 – Supplemento Ordinario n. 131). 20 Cfr. Astarita L., Femminile detenzione, in Anastasia S., Gonnella P. [a cura di], Inchiesta sulle carceri italiane, Roma, Carocci 2002, p. 74. 24 1.2. Le modifiche del disegno di legge n. 2568/2011 sulle madri detenute Il nuovo disegno di legge n. 2568, Disposizioni a tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori, approvato dal Senato il 16 febbraio 2011, prevede l’innalzamento del limite di età dei bambini che possono vivere in carcere con le loro madri da tre a sei anni. Il decreto legge entrerà in vigore dal gennaio 2014 nel caso in cui non venga prima attuato il Piano straordinario penitenziario21. Tale legge prevede la custodia cautelare fuori dal carcere in istituti Icam, istituti a “custodia attenuata”, per le madri con figli fino a sei anni, con lo scopo di evitare a questi bambini un’infanzia dietro alle sbarre. Gli istituti sono strutturati per accogliere le madri e i bambini in un ambiente familiare, scevro da qualsivoglia elemento che possa ricordare il carcere: il personale di sorveglianza lavora senza divisa e la presenza costante di alcuni educatori specializzati assicura agli ospiti, oltre che un supporto umano, anche un’opportunità di formazione alle madri e un sostegno nel rapporto affettivo con i figli. La legge prevede inoltre che tali istituti accolgano oltre alle detenute madri anche donne incinte e padri, nel caso di decesso della madre o di impossibilità di questa di occuparsi dei figli. Un’altra novità prevista dalla legge è la possibilità, concessa alla mamma dal magistrato di sorveglianza, di poter assistere il proprio figlio se ospedalizzato e di poterlo andare a trovare fuori dal carcere in caso di gravi condizioni di salute del piccolo e/o di imminente pericolo di vita. 21 Legislatura 16°, Disegno di legge n. 2568, legge 21 aprile 2011, n. 62, Modifiche al codice di procedura penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, e altre disposizioni a tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori, art. 1, in “Gazzetta Ufficiale” del 5-5-2011, n. 103 (11G0105). 25