Nuvole nere sull`Art Basel d`Oriente
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Nuvole nere sull`Art Basel d`Oriente
n. 85 Il Sole 24 Ore DOMENICA - 27 MARZO 2016 37 Arte Basel illumina tutta Hong Kong Nata nel 2013 come avamposto orientale di Art Basel (la più importante kermesse di arte contemporanea in Europa), Art Basel Hong Kong ha avuto in Pia Capelli un’attenta e dinamica reporter per la Domenica, come documenta l’articolo del 25 maggio 2014, uscito in occasione della seconda edizione. www.archiviodomenica.ilsole24ore.com Arte parigi Capolavori al Salon du Dessin di Marna Mojana Q uando partì la prima edizione a Parigi, nel 1991, il Salon du dessin era una piccola fiera per mercanti specializzati e il primo anno a parteciparvi furono in nove. Da allora il Salon è cresciuto e gli espositori invitati all’edizione 2016, in calendario dal 30 marzo al 4 aprile in Palais de Brongniart (Place de la Bourse; www.salondudessin.com), sono quasi 40, i migliori in Europa per questa nicchia del mercato dagli scambi solidi e dai prezzi stabili. Dall’Italia arrivano Francesca Antonacci e Damiano Lapicirella. Acquistare disegni, sia antichi che moderni o contemporanei, è roba per appassionati, perché il disegno - cioè l’opera grafica che rivela l’idea germinale di un quadro, di una scultura o di un’installazione – è un genere per intenditori, per chi ama la carta, il tratto nervoso, il colpo di biacca che dà volume alla figura. Ogni foglio quota molto meno di un dipinto o di una scultura dello stesso autore e spesso permette di decifrare – attraverso schizzi preparatori - il processo creativo dell’artista e la genesi della sua opera. Quest’anno il Salon compie 25 anni e prepara un’edizione memorabile, con un catalogo edito per l’anniversario. Non solo, durante la settimana del disegno (introdotta 17 anni fa) tutta Parigi è animata da mostre, conferenze e incontri a tema; mentre 21 musei aprono gratuitamente al pubblico le loro raccolte di disegni (dal Rodin, al Bourdelle, al Carnavalet) e si può accedere a molte collezioni private (previa prenotazione). Occasione di incontro tra cultura e mercato, il Salon organizza anche un seminario di storia dell’arte; il tema del 2016 è dedicato al disegno in età neoclassica e ha per titolo De David à Delacroix. Du tableau au dessin, sotto la direzione scientifica di Pierre Rosenberg e di Louis-Antoine Prat. Tra gli eventi speciali si segnala, all’interno del Palais Brongniart, la mostra di 26 disegni di eccezionale qualità provenienti dal Museo Puskin di Mosca - che conserva un fondo di oltre ventimila fogli di grandi maestri - con carte di Parmigianino, Jean-Baptiste Pater, Vassily Kandinsky, Adolph Menzel, Giorgio De Chirico, Alexandre Kouprine e Zinaide Serebriakov. La Fondation Florence et Daniel Guerlain, invece, promuove (fin dal 2007) un premio speciale per il disegno contemporaneo; i finalisti della 25^ edizione sono tre: Jana Gunstheimer, Cameron Jamie et Anne-Marie Schneider, ma soltanto il 31 marzo si saprà il nome di chi vincerà una personale nella sede della Fondazione, a Les Mesnuls. La chiave del successo di questa kermesse sta nella varietà e qualità delle opere in vendita, ma soprattutto nella professionalità degli organizzatori; otto antiquari francesi tra i più forti al mondo: Sylvie Tocci Prouté, François Lorenceau, Chantal Kiener, Bertrand Gautier, Louis de Bayser, Jean François Baroni, Hervé Aaron. vassily kandinsky | Composition(«Voix»),1916 © RIPRODUZIONE RISERVATA hong kong città della cultura Nuvole nere sull’Art Basel d’Oriente Mantova capitale nel 2016 La IV edizione della fiera si è aperta nel timore di un rallentamento del mercato dopo il boom: nel 2011 il picco fu di 19 miliardi di dollari di opere d’arte di Pia Capelli L a quarta edizione di Art Basel Hong Kong si è aperta sotto le nuvole nere. Quelle della primavera umidissima della città, su cui ha piovuto per l’intera settimana dell’arte, ma soprattutto quelle dei timori di un forte rallentamento del mercato. Dopo anni di boom - nel 2011 la Cina ha superato i 19 miliardi di dollari in scambi di opere d’arte, quasi il 30% del mercato globale, giocandosi il primo posto con gli Stati Uniti - da un paio d’anni le cifre hanno cominciato a scendere. Oggi la Cina è il terzo compratore d’arte al mondo, dopo Stati Uniti e Regno Unito, ma a giudicare dai commenti comparsi sui media locali si conta molto, forse troppo, sui risultati della fiera di Hong Kong per un rilancio del settore. Un mercato dell’arte sta- bile infatti non è solo legato ai movimenti delle borse o all’esplosione delle mode, ma anche ad una cultura del collezionismo, che in Cina si sta ancora formando. Gli art dealer lo sanno ed è per questo che da quando Art Basel è sbarcata in Asia l’intero panorama artistico di Hong Kong ha cambiato marcia, arricchendosi di spazi espositivi, collettivi artistici e grandi gallerie internazionali che hanno fatto da calamita per nuove generazioni di compratori da tutta la zona Asia-Pacifico. Da martedì sono arrivati nell’Hong Kong Convention Center 239 espositori da 35 paesi (tra cui parecchi italiani), e la città intera si è animata di mostre, conferenze, fiere collaterali e vernissage. L’apertura più attesa della settimana è stata proprio quella di una galleria italiana, Massimo De Carlo di Milano, che è andata a aggiungersi ai grandi dealer già presenti nel Pedder Building (Gagosian, Ben Brown, Pearl Lam - qui le gallerie sono tutte impilate dentro i grattacieli di Central, la zona del lusso) e ha inaugurato con una personale di pittura di Yan Pei Ming, celebratissimo e compratissimo. La figurazione è stata protagonista anche dentro la fiera, dove galleristi come David Zwirner e Pace hanno messo insieme stand di sole tele: nei primi due giorni riservati ai collezionisti vip si sono venduti lavori di Michael Borremans (da 250mila dollari a oltre un milione e mezzo), Neo Rauch, Luc Tuymans, Marlene Dumas, Yoshitomo Nara, Adrian Ghenie, Chuck Close, Zhang Xiaogang, Fernando Botero, Giorgio Morandi (nonostante la sezione moderna della fiera di Stefano Baia Curioni N installazione | Tatsuo Miyajima,«Time Waterfall» © Art Basel abbia decisamente margini di miglioramento). Tra i non-figurativi sono andati molto bene Su Xiaobai, con le grandi lacche che costano circa 200mila dollari, e John Armleder, con una grandissima installazione lunga otto metri - bilanciata però da una parete tutta per i paesaggi di Hans-Peter Feldmann. «I dipinti sono sempre la prima cosa che vende» dice la direttrice della fiera Adeline Ooi, che però fa notare come il collezionismo asiatico sia una realtà ampia e in rapida evoluzione: «L’Asia è più grande della sola Cina! Quest’anno per esempio abbiamo una forte rappresentanza australiana, molti collezionisti dal Giappone, da Taiwan, Singapore, Indonesia, una grande presenza thailandese ma anche filippina e indiana», dice. Il mercato asiatico ama sempre molto i lavori di e su carta, anche di grandi dimensioni: da STPI di Singapore si sono venduti benissimo i ricami su carta del coreano Do Ho Suh, da Ink Studio di Pechino è stato apprezzatissima la mostra personale del ci- nese Li Huasheng, che dopo il grande successo negli anni Ottanta ha avuto un’illuminazione spirituale e si è ritirato a vivere da eremita nella zona dell’Himalaya, e ricompare ora con una serie di opere “zen” che includono una vera e propria “meditation room” alle spalle dello stand. Dalla milanese Francesca Minini è stato molto ammirato (anche dall’onnipresente Leonardo Di Caprio) il lavoro di Francesco Simeti in collaborazione con Matthias Bitzer, un grande wallpaper che sfuma verso il bianco, accompagnato da una serie di disegni incorniciati. I galleristi che progettano uno stand per Art Basel Hong Kong hanno infatti ben presenti gusti e disgusti dei collezionisti locali, ed è questo il motivo per cui non si sono visti nudi (tranne quelli, autobiografici ma molto poetici, di Tracey Emin, ultrapresente sia in fiera che fuori con due mostre gemelle da Lehmann Maupin e White Cube), e una galleria come Hauser & Wirth ha messo insieme uno stand a tema “Ragno”, considerato un portafortuna da queste parti, con lavori di Louise Bourgeois, Alexander Calder, Philip Guston e David Smith. La (ancora forte) parte british della Art Week si è invece celebrata come ogni anno al Peninsula, lo storico hotel di Kowloon, con un’installazione di Conrad Shawcross, in partnership con la Royal Academy di Londra. Un omaggio a questo incrocio fra collezionismo internazionale e identità asiatica è stato fatto con la proiezione di un documentario dedicato alla vita di Uli Sigg, il collezionista svizzero che dagli anni Ottanta ha messo insieme la più grande collezione di arte della regione, lanciando artisti come Ai Weiwei. L’atteso museo M+ a West Kowloon, a cui è stata in parte donata e che dovrebbe ospitarla, è invece ancora un cantiere fangoso, e i tempi di realizzazione non sono chiari (cosa che risulta vagamente confortante per noi italiani, abituati a pensare che in Cina anche i musei spuntino da un giorno all’altro senza troppe grane). © RIPRODUZIONE RISERVATA roma Arturo Zavattini, fotoviaggiatore di Laura Leonelli T ornava da scuola, camminando tra le colline, la cartella di cartone sottobraccio, le cioce e una cordina per cintura. A intiepidirsi, questo splendore di bambina nella cornice poverissima della Ciociaria sarebbe diventato un bozzetto da concorso Ferrania. Una peste negli anni ’50. Poteva succedere a tutti, ma non ad Arturo Zavattini, che per educazione di famiglia e carattere ha sempre rifuggito dalla facile maniera. E già allora, ventenne, pie- Dieci anni di immagini di viaggio, dalla Lucania arcaica a Cinecittà, da Napoli a Frosinone, fino alle mete lontane di Thailandia e Cuba gato in due su quella strada di sassi tanto era alto, aveva cancellato ogni romanticismo e aveva trasformato la fotografia, gli alberi esili, i rovi, la diagonale di pietre, e tra loro quella creatura bella come Virna Lisi, in un ritratto corale, anche se nella solitudine della sua protagonista, dell’Italia appena uscita dalla guerra. A questa lezione di personalità e compostezza, a questo stile sobrio e acuto, più da lettore di saggi che di romanzi, è dedicata oggi una mostra preziosa, «AZ – Arturo Zavattini fotografo. Viaggi e cinema 1950-1960», a cura di Francesco Faeta e Giacomo Daniele Fragapane, e aperta al Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni popolari di Roma fino al 28 marzo. Preziosa perché riporta alla luce le immagini rare, a lungo tenute nascoste, di un uomo che dai venti a trent’anni ha partecipato alle ricerche più innovative su quanto di più antico e immoto si celava nel nostro Paese e su quanto di più moderno, vuoto e fragile si mimetizzava invece nel suo sviluppo economico. Dieci anni di lavoro straordinario, come fotografo, poi operatore di macchina, e in seguito direttore della fotografia. Dieci anni di sguardi, dalla Lucania arcaica a Cinecittà, passando, come illustrano i cinque capitoli del bel catalogo edito da Contrasto, per le strade di Roma e di Napoli, per i sentieri di Pico, borgo di Frosinone, fino ai viaggi in Thailandia e a Cuba. Dall’autobiografia discretissima e quasi disidratata di Arturo Zavattini, in misura contraria al calore travolgente con cui il figlio ricorda la figura del padre e i suoi compagni di lavoro, emergono pochi, luminosi elementi: il regalo di una macchina fotografica Ferrania Condor, il “praticantato” sul set di Umberto D, VkVSIyMjVm9sb0Vhc3lSZWFkZXJfQWRuIyMjZi5hbnRvbmFjY2kjIyNSaXN1bHRhdGkgUmljZXJjYSMjIzExLTAzLTIwMTYjIyMyMDE2LTAzLTMxVDEwOjM4OjEyWiMjI1ZFUg== piccola ciociara | Arturo Zavattini, «Pico, Frosinone», 1952 presentato da Vittorio de Sica ad Aldo Graziani, direttore della fotografia, e poi l’incontro con gli amici fotografi di Cesare Zavattini, da Paul Strand – insieme a lui Za realizza il volume Un paese, dedicato a Luzzara – a Ernst Haas, fino a Herbert List, tutti ospiti della casa madre del cinema italiano, l’appartamento degli Zavattini in Via Sant’Angela Merici 40, a Roma. Quindi nel giugno del 1952 Arturo si unisce alla spedizione di Ernesto de Martino a Tricarico in Lucania, luogo di riflessione sui temi della magia, della morte e del pianto rituale, e nessun fotografo meglio di AZ ha saputo interpretare l’idea di “presenza”, elaborata dal grande etnologo e antropologo. L’“esserci” di de Martino, “come persona do- tata di senso in un contesto dotato di senso”, come capacità di conservare nella coscienza memoria ed esperienze adeguate per affrontare gli eventi della storia, danno vita a immagini di realismo saturo e rigoroso, in scena, tanto l’inquadratura, ampia senza dispersione, inserisce le “presenze” nel loro contesto e in una costellazione di dettagli che ne tracciano la vita. In questa visione che si nutre di cinema, i bambini sono protagonisti. Lo sono mentre scavalcano una rete, piangono, si nascondono, giocano a carte, suonano, stanno vicino ai vecchi e agli animali, guardano e ci guardano. E solo chi è in grado di sostenere lo sguardo di un bambino, medusa innocente che pietrifica, riesce, ormai bravissimo operatore di macchina accanto a Otello Martelli, a ritrarre Federico Fellini, sdraiato su un prato di Bassano di Sutri durante una pausa di lavorazione de La dolce vita. Pochi mesi dopo, nel marzo 1960, Arturo Zavattini è a Cuba sul set di Historias de la revolución, di Tomás Gutiérrez Alea, allievo del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Durante i sopralluoghi su una strada della Sierra Maestra compare Ernesto “Che” Guevara, anfibi, basco nero, bello come il sole. Arturo si avvicina, scatta, ma anche il “Che” ha una macchina fotografica al collo, e i due iniziano a parlare di obiettivi e profondità di campo. Fuori dal protocollo e dentro la storia, anche questo è esserci. © RIPRODUZIONE RISERVATA AZ – Arturo Zavattini. Viaggi e cinema 1950-1960, Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari, fino al 28 marzo. Catalogo Contrasto el 2014 il ministro Dario Franceschini, riflettendo sulla qualità dei progetti pervenuti per la candidatura italiana alla capitale europea della cultura, ha deciso di promuovere un premio analogo, convocando un concorso per la capitale “italiana” della cultura. Un premio che consentisse ai diversi centri urbani della penisola di avviare progettualità culturali ben connesse ai loro territori, orientate ad incentivare percorsi di rilancio degli immaginari collettivi e delle economie urbane. Per il 2016 il riconoscimento è andato a Mantova che, con il suo progetto, è chiamata ad aprire la strada per un percorso che diventerà con ogni probabilità uno degli strumenti rilevanti per una politica culturale positiva e ancorata alle diversità e ai molteplici luoghi del nostro patrimonio. La sfida è rilevante e non è detto che sia facile vincerla su scala nazionale. Occorre ad esempio che si eviti di trasformare il premio in un mero strumento di marketing urbano, teso solo o prevalentemente ad aumentare nel breve periodo gli afflussi turistici nella città con sequenze di eventi più o meno ben congegnate. Ovviamente questo è quello che accade e che è bene che accada. Il punto fondamentale è sapere con fermezza che questo non è sufficiente. La cultura produce conseguenze economiche positive soprattutto quando per la sua qualità chiama pensieri, idee, visioni, opportunità, calore imprenditoriale, fiducia reciproca. Quando cioè si trasforma in capitale sociale e in nuova impresa, quando include e diffonde capacità e senso della cittadinanza. Gli scontrini di bar, ristoranti e alberghi sono certo importanti e concreti, ma non esauriscono il compito. Questo spiega l’ambizione che regge il progetto di Mantova e di chi oggi la rappresenta politicamente: far sì che la città sia attrattiva, che i tesori straordinari del suo patrimonio siano ricordati e visitati, ma soprattutto che questa antica città d’arte torni ad essere città di progetto e di innovazione. Non è un obiettivo solo di Mantova, tutte le città italiane hanno ben avvistato questa necessità. Per questo è importante venire a Mantova quest’anno, per cogliere, in trasparenza, dentro al festival della Letteratura che compie vent’anni, dietro alle proposte espositive e culturali del Centro di Palazzo Te, in ciò che la città intera con le sue tante associazioni culturali sta progettando, una risposta che possa aprire una strada. Un modo nuovo e caldo di fare cultura e politica culturale, che esponga la cultura alla sete di futuro e al desiderio di risposte che parlano di lavoro, di competenze, di economia, così come di intuizioni, di visioni, di idee. Insomma, Mantova capitale italiana della cultura come un esperimento del paese intero, condiviso, vissuto assieme: ciò che quest’anno si imparerà, speriamo, potrà essere rilanciato e migliorato nelle prossime candidature e diventare una buona pratica, una speranza pratica, per il futuro di una terra, la nostra, che può e forse anche “deve” essere ineguagliabile. – Presidente del Centro Internazionale di Arte e Cultura di Palazzo Te © RIPRODUZIONE RISERVATA