La vocazione sociale della politica di Giorgio La Pira
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La vocazione sociale della politica di Giorgio La Pira
CONTRIBUTI LA VOCAZIONE SOCIALE DELLA POLITICA DI GIORGIO LA PIRA. UNO SGUARDO AL PERIODO FIORENTINO DI GENNARO BALDASSARE 1. INTRODUZIONE Giorgio La Pira fu professore universitario, costituente, parlamentare, sottosegretario al Ministero del Lavoro e Previdenza sociale e per tre mandati sindaco di Firenze. “La persona posta al centro del corpo sociale, fine ultimo dell’azione politica”: è questa la sintesi della concezione sociale e politica che Giorgio La Pira ha avuto durante tutta la sua vita e che ha posto sempre al centro del suo operato. In considerazione di ciò è quindi possibile comprendere perchè la sua azione amministrativa avesse come fine ultimo quello di produrre benefici e generare progresso e sviluppo nel complesso sociale in cui operava, con particolare attenzione agli individui più poveri e più emarginati della società. La Pira era conscio dell’impatto che la politica locale aveva sulla società; per questo motivo cercò di rendere sempre immediate e risolutrici le sue decisioni e azioni nell’amministrazione della cosa pubblica. In pochi uomini politici è possibile trovare un’altissima corrispondenza tra azione politica e azione sociale come la si è riscontrata in La Pira. Considerando la forte fede che lo animava è facile, inoltre, immaginare che il suo agire sia stato dettato dal desiderio di concretizzare il 9 messaggio evangelico e di fare di Firenze la Gerusalemme celeste in terra. La forte vocazione verso l’altro presente in La Pira può essere compresa e spiegata alla luce dei valori universali (contenuti anche nel Vangelo) che lo animavano. Il testo qui riportato è dedicato all’analisi dell’operato di La Pira come sindaco di Firenze e si è cercato di porre l’attenzione sui risvolti sociali che la sua azione da primo cittadino ha avuto sulla società. Oggetto quindi di studio è stato l’impegno del sindaco nel portare avanti un’amministrazione che garantisse equità e giustizia sociale, prendendosi cura soprattutto dei poveri. Si è voluto analizzare l’impegno di La Pira nella risoluzione del caso Pignone, la promozione da parte del sindaco dell’edilizia popolare con riferimento alla costruzione della città satellite dell’Isolotto, il suo impegno per la realizzazione del “Piano latte” finalizzato alla distribuzione gratuita di latte per i bambini, gli anziani e i poveri. Nelle conclusioni si è cercato di descrivere l’eredità lasciataci da La Pira e quali invece gli aspetti che lo rendono ancora attuale. 2. GIORGIO L A PIRA SINDACO DI FIRENZE 2.1 L’elezione e il programma Nel 1950, a causa di incomprensioni in merito alla politica economica del governo De Gasperi dovute a divergenze sulla politica economica del governo che Dossetti e Fanfani avrebbero voluto di maggiore spesa antidisoccupazione, La Pira insieme ai due amici e colleghi appena citati, esce dal governo, rimanendo solo deputato. Quando poi il Parlamento approvò una legge che non consentiva più l’abbinamento della carica di Sindaco di una grande città a quella di deputato, La Pira non ebbe dubbi e scelse Firenze, perla del mondo. Terminato il periodo al governo La Pira avrebbe voluto fortemente condurre quello stile di vita che tanto gli aggradava, fatto di preghiere e meditazioni, lezioni di diritto romano ed impegno per i “suoi” poveri, ma ancora una volta il disegno divino per lui non combaciava con le sue intenzioni. Nel 1951 a La Pira venne proposta da parte dell’intellighenzia cattolica e clericale di Firenze, tra cui l’amico Don Facibeni 10 e Mons. Dalla costa, la candidatura a sindaco della città. Non fu per sua scelta che La Pira divenne sindaco di Firenze, «fu per docilità a una richiesta dell’autorità ecclesiastica, che vide nella sua candidatura l’unica possibilità di sottrarre la città all’amministrazione rossa»1. La Pira, da perfetto cristiano praticante, adempì al suo voto di obbedienza e decise, conscio anche che il suo impegno sociale poteva amplificarlo e renderlo più fecondo dalla sala Clemente VII di Palazzo Vecchio, di accettare la candidatura. «Portare in Palazzo Vecchio un sindaco non comunista sulle spalle dei poveri ecco il capolavoro strategico della coalizione che si improvvisò attorno alla candidatura di La Pira. Il quale accettò più come uomo di Chiesa che come uomo della DC, di cui non volle mai la tessera (“la mia unica tessera è il battesimo diceva”) ed entrò nella competizione elettorale, … con l’intento di farsi portavoce di quelli che nella città non avevano peso»2. Le elezioni si tennero il 10 giugno e la coalizione creatasi attorno alla Democrazia Cristiana (liberali e una lista comune di repubblicani e socialdemocratici) ottenne una risicata vittoria contro le sinistre unite. In virtù però dell’allora vigente legge elettorale i partiti centristi, sebbene avessero vinto di misura, ottennero i due terzi dei posti in Consiglio comunale. In base alla legge 5 aprile 1953, numero 203 (legge poi sostituita dall’elezione diretta da parte dei cittadini del Sindaco), che regolava le elezioni amministrative comunali, all’articolo 5 si prevedeva che il sindaco fosse eletto in seno al consiglio comunale e che per essere eletto dovesse ricevere la maggioranza assoluta dei voti di almeno due terzi dei consiglieri. La Pira, che aveva ricevuto oltre 19.000 preferenze, venne scelto dal Consiglio comunale fiorentino e divenne il nuovo sindaco di Firenze, il primo non comunista dal dopoguerra. Resterà in carica dal 1951 al 1956, sarà rieletto con 34000 preferenze nel ’56 terminando però già nel ’57 il suo secondo mandato e nuovamente verrà rieletto nel 1960 rimanendo primo cittadino del capoluogo toscano sino al 1965. A proposito dell’elezione di La Pira come Sindaco di Firenze, Giorgio Giovannoni, in una intervista che mi fu concessa nel novembre del 2010, ebbe a riferirmi: «La Pira si presentò subito come una grande novità, … , La Pira era sostanzialmente “anomalo” […] portò sicuramente un soffio di totale 1 2 E. Balducci, Giorgio La Pira, Giunti Editore, Firenze – Milano, 2004, pag. 20 Ibidem, cit. pag. 21 11 rinnovamento e praticamente lui che non era fiorentino dette un’identità e un volto alla vocazione della città di Firenze». Il programma di Giorgio La Pira sindaco di Firenze era il frutto del suo pensiero cristiano, della sua weltanschauung, dei valori che lo animavano. Gli obiettivi che si prefisse durante il mandato amministrativo, e che propose alla sua Giunta, erano tre: il primo fu di concretizzare il messaggio evangelico risolvendo i problemi più urgenti degli ultimi, fornendo cioè mezzi adeguati per poter soddisfare gli impellenti bisogni dei più poveri. Il secondo obiettivo aveva lo scopo di rilanciare la vita industriale, agricola, commerciale, finanziaria della città. Il terzo derivava dalla concezione che La Pira aveva della città di Dante: Firenze come perla del mondo, patrimonio dell’umanità, culla del Rinascimento, patria di arte, poesia, architettura, genialità, non poteva vivere solo nel ricordo di un glorioso passato ma aveva il compito di parlare al mondo, di parlare di valori condivisi e condivisibili da tutti al di là delle differenze ideologiche, di cultura, di religione, di usi e di costumi; primo dei quali la pace (si consideri che La Pira sostenne queste posizioni in piena Guerra Fredda). A proposito di queste concezioni Angelo Scivoletto, durante un incontro avuto nel novembre 2010, mi disse: «lui aveva Firenze come idea da lanciare nel mondo». La consapevolezza del ruolo di Firenze nel mondo, della responsabilità che il passato le ha affidato, ha accomunato i primi cittadini che negli anni si sono avvicendati a Palazzo Vecchio. Di ciò è conscio anche Matteo Renzi, attuale Sindaco di Firenze che, in una dichiarazione rilasciatami il 18 gennaio 2011, scrisse: Firenze è una città davvero particolare. Una città infinitamente piccola rispetto alle grandi metropoli del mondo moderno, ma che ha saputo essere un faro per il mondo per il suo straordinario patrimonio artistico ma anche perché qui sono nate e vissute personalità geniali che hanno segnato indelebilmente col loro talento il nostro territorio nei campi più disparati: dalla letteratura alla pittura, passando per l’architettura e la tecnologia. Credo che occorra avere almeno nel nostro cuore il desiderio profondo di vivere questa esperienza con un senso di meraviglia, di stupore e di gratitudine per ciò che siamo chiamati a compiere. Dobbiamo rivendicare spazi di bellezza per Firenze 12 oggi. Questo mondo, il nostro mondo, ha bisogno di più bellezza, da tutti i punti di vista. Ha bisogno di più bellezza rispetto a una folle corsa agli eccessi economici che sta caratterizzando il nostro pianeta. Ha bisogno di più bellezza nel momento in cui la faticosa lotta per la libertà e la democrazia coinvolge tante realtà. Chiede più bellezza il bisogno di una giustizia sociale la cui domanda cresce. Il bisogno di bellezza che oggi porta la politica a riprendersi un ruolo, a riprendersi una rinnovata centralità. Un bisogno di bellezza che investe l’Europa, il nostro continente. E se è vero che questo mondo ha bisogno di più bellezza, è vero che questo mondo ha bisogno di più Firenze. È chiara dunque la responsabilità che ha Firenze, l’onere che incombe sulla città medicea e il compito che, di riflesso, spetta a chi la amministra. La Pira ne era ben conscio – sarà proprio da Firenze che egli deciderà di parlare al mondo promuovendo i “Convegni dei sindaci delle capitali del mondo” e i “Colloqui mediterranei” – e si impegnò sempre affinché Firenze fosse faro per il mondo intero in quanto città di pace. Sarà proprio La Pira a tracciare quel solco che tutti i suoi successori, sino a Matteo Renzi, hanno seguito, nella consapevolezza di quanto il mondo abbia bisogno di “più” Firenze. 2.2 Il caso Pignone I primi anni cinquanta sono anni di forte trambusto a Firenze, dovuto allo spauracchio della disoccupazione che minaccioso aleggiava su gli operai fiorentini impiegati presso le grandi industrie del capoluogo toscano. Si erano già avuti 800 licenziamenti nelle Officine Galileo e un’altra ondata di licenziamenti sembrava profilarsi all’orizzonte. La società denominata “Fonderia del Pignone”, di proprietà in maggioranza della SNIA Viscosa, la quale durante la guerra grazie alla produzione di materiale bellico, godette di un notevole ampliamento, ancora nel 1953 faticava nella riconversione per cui i dirigenti decisero di predisporre una serie di provvedimenti finalizzati anzitutto alla riduzione dei costi. La prima mossa fu il licenziamento di 70 impiegati e la sospensione a tempo indeterminato di 300 operai: lo stabilimento aveva 1750 dipendenti per i quali non si prospettava un futuro roseo. La Pira si mosse subito, passò immediatamente all’azione, cercò di anticipare i tempi, onde evitare l’irreparabile e avviò un’intensa 13 azione di «lobbying politica»3 contattando De Gasperi, Pella Presidente del Consiglio, Rubinacci ministro del Lavoro, Pacciardi ministro della Difesa, Marinotti amministratore delegato della SNIA Viscosa, cercando e ottenendo promesse di aiuto presso l’amico di sempre e ministro dell’Interno Fanfani. Intanto gli operai del Pignone iniziarono a scioperare e in segno di solidarietà scioperarono anche tutti gli operai dell’area industriale di Firenze – Rifredi. In una situazione di caos sociale, apparente impotenza politica e incapacità di La Pira a trovare una soluzione che scongiurasse la chiusura della Pignone, il 22 ottobre a Marinotti, su disposizione del ministro dell’Interno Fanfani e in via temporanea, venne ritirato il passaporto proprio prima di partire per la Francia, con la giustificazione che la sua presenza era fondamentale nelle trattative per la Pignone, visti anche i riflessi che tale vicenda poteva avere sull’ordine pubblico. Se i licenziamenti e la riduzione dell’attività della Pignone erano stati annunciati nell’estate del ’53, ma grazie all’impegno di La Pira e degli uomini di governo le trattative erano andate avanti ritardando sempre più la chiusura, a partire dal mese di novembre la situazione sembrò precipitare. Il 17 novembre venne decisa la defi nitiva chiusura della fabbrica: ciò avrebbe significato la mancanza di salario per 1750 famiglie. Non appena venne chiusa la Pignone gli operai occuparono la fabbrica e, in segno di solidarietà agli operai che avevano perso il posto, come uomo ma soprattutto come Sindaco, il giorno dopo l’occupazione La Pira assistette insieme agli occupanti ad una Messa celebrata da Don Bruno Borghi, proprio all’interno della fabbrica occupata; lo scandalo fu enorme anche perché i liquidatori della Pignone avevano sporto denuncia contro gli occupanti, ma La Pira non poteva lasciare la sua povera gente in un momento simile. Il problema irrisolto della Pignone turbava fortemente La Pira il quale cercava appoggio, aiuto, sostegno e conforto in chiunque glieli potesse offrire. Scrive segretamente anche al pontefice e ai vescovi italiani, e se Montini risponderà lasciando trapelare una cauta comprensione, sicuramente un netto appoggio lo ricevette da Padre Agostino Gemelli, allora rettore dell’Università Cattolica, il quale riferisce che proprio in segno di solidarietà agli operai fiorentini, nel 3 M. De Giuseppe, Giorgio La Pira. Un sindaco e le vie della pace, Centro Ambrosiano, Milano, 2001 pag. 78 14 giorno dell’inaugurazione dell’anno accademico tre furono i telegrammi letti, quello del Papa, quello di Segni e quello di La Pira che fu coronato da un forte applauso segno che i giovani gli erano vicini. Intanto anche nei primi giorni del 1954 l’occupazione non cessava e non si era riusciti a trovare una soluzione. Un ruolo sicuramente decisivo sicuramente nella risoluzione dell’affare Pignone oltre a La Pira lo ebbe Fanfani che da una parte moderò l’amico siciliano, dall’altro spinse per la ripresa delle trattative. La svolta ci fu grazie all’intervento di uno dei più brillanti imprenditori italiani, l’ideatore dell’ENI Enrico Mattei. Dopo un’intensa trattativa si arrivò infatti, il 13 gennaio 1954, ad una soluzione che prevedeva l’assunzione da parte della neonata società energetica nazionale del 60% del capitale della società fiorentina, lasciando il 40% alla SNIA. Nacque così la Nuova Pignone, che avrebbe prodotto bombole e tubazioni per la SNAM. «La Pira aveva salvato una industria e, quel che più gli importava, il lavoro di 1750 persone» 4: egli era riuscito a concretizzare il suo impegno affi nché le speranze che la povera gente riponeva in lui e nella istituzione che egli rappresentava non venissero disattese; era riuscito a difendere i più deboli della società dall’ingiustificato licenziamento che li avrebbe ridotti in miseria; era riuscito a far valere la sua posizione politica mettendola a disposizione dei più poveri e andando contro la logica del “potere a beneficio di pochi” (i ricchi); aveva dimostrato che le logiche industriali non necessariamente erano le più efficaci anche sullo stesso terreno dell’economia. Mattei non solo aveva compiuto un’opera puramente sociale, ma un’imponente impresa economica che sul medio lungo periodo portarono a far aumentare vistosamente gli introiti delle sue aziende. A livello politico è con l’affare Pignone che si crea l’asse La Pira – Fanfani – Mattei, fondamentale per comprendere la vocazione mediterranea dell’Italia degli anni Cinquanta. Secondo quanto mi fu riferito da Giovani Pallanti, in un incontro avuto nel novembre del 2010: «Mattei era uno di quelli che probabilmente sentiva in La Pira quella copertura ideale che a lui, uomo d’azione, mancava. L’ispirazione di La Pira all’unione e alla pace tra le tre grandi religioni monoteistiche, pur nei diversi modi di vivere la fede, aveva un grande significato per Mattei, 4 S. Terranova, La Pira e Mattei nella politica italiana 1945 – 1962, Oasi Editrice, Troina (EN), 2001, pag. 168 15 per la sua politica nei confronti del Maghreb e dei paesi produttori di petrolio.» A proposito dell’amico La Pira e della loro collaborazione, Enrico Mattei qualche tempo dopo disse: «Per me fu questo: un alleato potente con cui ho salvato migliaia di posti di lavoro a Firenze e con il quale ho aiutato l’Algeria (che era stata una tappa fondamentale nella politica mediterranea di La Pira n.d.r.) a diventare una nazione indipendente»5. Non appena si risolse l’affare Pignone, una serie di imprese fiorentine ( Galileo, Manetti & Roberts, Richard Ginori, Officine del Gas) minacciarono altre chiusure e licenziamenti o aprirono vertenze spingendo La Pira a continuare le sue campagne. 2.3 Il problema degli sfratti e l’edilizia popolare Agli inizi degli anni Cinquanta, Firenze dovette affrontare il problema degli alloggi, «l’incremento della popolazione dovuto anche all’urbanizzazione di addetti all’agricoltura trasferiti alla industria o al terziario imponeva una politica della casa. Il suo piano era costruire 3000 alloggi»6. Inoltre esplose in maniera dilagante il problema degli sfratti, passati da 437 nel 1950 a quasi 1500 nel 1952. La Pira si mobilitò immediatamente per porre rimedio ad una situazione che gettava sulla strada migliaia di persone e il suo coinvolgimento nella difesa degli sfrattati lo portò a cercare ogni tipo di soluzione, in primis chiese al pretore Bernardini e al prefetto Gargiulo delle proroghe alle cifre stanziate dal Comune per l’assistenza ai bisognosi; aggiunse le offerte in denaro che riceveva personalmente (soldi che i fiorentini gli donavano sapendo che sarebbero stati usati per le necessità della povera gente), a questi aggiunse anche i soldi dell’indennità di Sindaco che mai ritirò, ma ancora non bastava per poter soccorrere tutti i bisognosi. Chiese allora ai proprietari di immobili sfitti di affittarli al Comune, ma ricevendo poche risposte; con una azione perentoria ricorse alla requisizione da parte del Comune degli immobili sfitti, in base all’articolo 7 («allorché per grave necessità pubblica l’autorità amministrativa debba senza indugio disporre della proprietà privata, … essa provvederà con atto motivato»7) della legge 20 marzo 1865, numero 2248. I proprietari delle abitazioni re5 6 7 G. Pallanti, Bloc notes fiorentino, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, 2007, pag. 172 S. Terranova, La Pira, cit. pag. 163 Legge n° 2248 del 22-3-1865, art. 7 16 quisite ricevevano dall’amministrazione comunale un canone d’affitto ed inoltre il comune si impegnava, al momento della restituzione degli appartamenti, a far riparare eventuali danni. Giorgio Giovannoni in proposito mi riferì che «gli sfratti delle case sfitte non erano una punizione verso coloro che detenevano le case, ma l’affermazione degli articoli economico-sociali della Costituzione per cui la proprietà è riconosciuta ma nello stesso tempo deve avere una funzione sociale». Il professore fu fermamente convinto del suo modo di operare in merito alla questione degli sfratti che lo affermò più volte, anche in consiglio comunale: «Il tetto è una cosa sacra, è un diritto primario inalienabile, è un valore evangelico di cui nessuno deve essere privato. Ed a Firenze, senza tetto, non vi è e non vi sarà nessuno»8. Fu sicuramente un’azione amministrativa di grande audacia, impopolare tra coloro i quali subirono la requisizione degli immobili, ma di questo La Pira non si curò (ecco lo “strano” politico La Pira, indifferente ad eventuali cali di popolarità). Nella concezione cristiana della politica, per La Pira il suo era stato un atto dovuto e doveroso, un atto di carità cristiana dal punto di vista spirituale, un‘azione finalizzata ad un maggior benessere sociale sotto l’ottica politica. Nella mente di La Pira c’era l’intento di fare di Firenze la Gerusalemme celeste che prendeva corpo tra gli uomini in terra: il problema degli alloggi, seppur temporaneamente risolto, necessitava di una soluzione definitiva. Non bisognava più costruire “case minime”, bensì città. Nel progetto di La Pira, esposto anche in campagna elettorale, c’era l’intento di costruire nella periferia della città non solo abitazioni (che avrebbero fatto di quelle zone dei semplici quartieri dormitori), ma vere e proprie città, “città satellite”. Con il costo di 3,5 miliardi di lire (di cui 1 a carico delle casse comunali e i restanti sovvenzionati dallo Stato) il 6 novembre 1954, accompagnato dalle più alte autorità cittadine (tra gli altri vi erano anche Mons. Dalla Costa e l’amico Don Bensi), venne inaugurato il nuovo quartiere dell’Isolotto, progettato secondo una logica urbanistica a “misura d’uomo” a dispetto delle architetture funzionali (perlopiù casermoni) in voga in quel periodo. Mario Primicerio, in una intervista concessami nel novembre del 2010, a conferma di quanto detto riferì: «erano posti in cui, dicendolo a slogan, “si piantavano alberi ancora prima di costruire le case”». Nel 8 P. Palagi, Giorgio La Pira, Politica ed opzione per i poveri, Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna, 1996, cit. pag. 125 17 nuovo quartiere oltre alle abitazioni c’erano infatti negozi, strade alberate, centri d’aggregazione e una chiesa. Come in ogni atto politico e sociale di La Pira (quindi anche riguardo all’Isolotto) il centro e il fine del suo agire erano la persona. Agli assegnatari degli appartamenti, nel discorso inaugurale, sottolineò il compito sociale che li attendeva: «create anche voi, in questa città satellite un focolaio di civiltà: ponete al servizio dei più alti ideali dell’uomo […] i talenti di cui voi siete ricchi: fate che in questa città satellite sia coltivato, per le generazioni future, un seme fecondo di bene e di civiltà»9. Gli interventi di urbanistica voluti da La Pira erano mirati a far espandere la città in maniera armoniosa attorno al centro storico. In proposito scrive Renzi: «Firenze è ancor oggi profondamente segnata dall’azione lungimirante di questo Sindaco: senza le sue scelte, […] la città avrebbe oggi una fisionomia urbanistica […] davvero molto diversa» e ciò mi è stato confermato anche da Mario Primicerio che dice: «è tra le periferie, dal punto di vista del pregio immobiliare, più ambite». 2.4 Il piano latte Nell’immediato dopoguerra, tra i vari problemi che l’amministrazione La Pira si trovò a fronteggiare, vi fu la carenza di edifici scolastici; riferisce Mario Primicerio: «quando ero bambino si facevano i doppi e i tripli turni, perché non c’erano abbastanza edifici scolastici». La Pira non poteva tollerare che, a causa di deficienze strutturali, i bambini, le future generazioni di cittadini, fossero impossibilitati a frequentare con continuità la scuola e grazie anche all’aiuto che ricevette da Nicola Pistelli, assessore ai lavori pubblici, in pochi mesi riuscirono a costruire (è sempre Primicerio che testimonia) «sedici scuole […] in prefabbricato, erano destinate ad essere scuole di emergenza; le ultime due sono state sostituite solo tre o quattro anni fa, hanno funzionato perfettamente per un tempo maggiore del previsto». Tenendo come beneficiari della sua ennesima azione amministrativa a carattere sociale i bambini, La Pira ebbe l’intuizione di proporre un progetto all’apparenza banale, ma di grande importanza: iniziare a distribuire agli alunni delle scuole fiorentine il latte. In una Firenze che faceva ancora i conti con le ferite del post guerra e dove le sacche di povertà e di miseria erano ben nutrite, non era poi così scontato che i bambini, 9 In «La Badia», n° 1, 5 novembre 1978, pag. 64 18 tutti i bambini, potessero avere quotidianamente la razione di latte necessaria a garantire una sana crescita. Se la distribuzione del latte per i bambini era gratuita, qualcuno doveva pur sopportarne i costi. I soldi per finanziare questo progetto furono reperiti grazie all’azione sinergica di La Pira e dell’amico Fanfani, divenuto nel 1951 ministro dell’Agricoltura nel settimo governo De Gasperi. I costi furono così ripartiti: il Ministero dell’Agricoltura, dopo aver dato avvio all’iniziativa, avrebbe dovuto accollarsi i costi dell’impianto per la miscelazione e la pastorizzazione, l’Amministrazione Aiuti Internazionali (AAI) aveva deciso di finanziare con 25 milioni l’avvio del programma e il Comune di Firenze la restante parte delle spese per l’assistenza scolastica. Così «nel novembre del 1951 l’amministrazione pubblica dava formalmente avvio all’iniziativa […] affidando al Centro di Raccolta gestito dalla Coop. F.L.D. […] l’incarico di approntare l’attrezzatura necessaria per la lavorazione della bevanda di latte miscelato con cacao da distribuirsi ai bambini delle scuole elementari di Firenze»10. La fornitura gratuita di latte alle scuole elementari e materne della città fu effettuata per 4200 litri di latte al giorno, di cui due terzi con l’aggiunta di cacao e un terzo con l’aggiunta di solo zucchero. La Pira comunicò il buon esito dell’iniziativa a Giovanni Spagnolli, presidente dell’AAI, scrivendo: «l’esperimento del latte è in pieno, felice sviluppo: ormai tutte le scuole elementari usufruiscono di questa felice iniziativa: i bambini e le famiglie hanno risposto con vero entusiasmo. È un’idea elementare, di vasta ripercussione, feconda pei suoi risultati fisici, spirituali, politici ed anche economici»11. Il Piano latte, grazie all’impegno e all’indefesso lavoro di La Pira nell’operare socialmente a beneficio di quante più persone possibili, subì un’evoluzione e già dopo tre mesi di regolare distribuzione di latte nelle scuole, venne ampliata la distribuzione anche nelle carceri, il cui onere economico fu assunto dal Comune. Ma l’ampliamento non si fermò e così nel 1953 l’erogazione del latte fu estesa ad ampi strati della popolazione: ne beneficiavano infatti le suore di clausura, i fruitori dei dormitori pubblici, gli anziani bisognosi e i circa duemila lavoratori pendolari che passavano 10 11 L. Pagliai, Giorgio La Pira e il “piano latte”. La funzione sociale della Centrale, Edizioni Polistampa, Firenze, 2010, pag. 122 G. La Pira a G. Spagnolli, 19 febbraio 1952, lettera datt., c. int. Camera dei Deputati 19 dalle stazioni ferroviarie di Santa Maria Novella, di Rifredi e di Campo di Marte. Quella del Piano latte fu l’ennesima iniziativa di La Pira finalizzata a favorire il progresso sociale: egli seppe portare avanti una politica in grado di coinvolgere tutti, fornendo benefici alle classi più basse e dimenticate della società; fu l’ennesima concretizzazione del messaggio evangelico, fu l’ennesimo frutto di carità cristiana. 2.5 L’opposizione a La Pira Sebbene l’operato di La Pira si sia sempre indirizzato verso l’altro, finalizzato alla crescita morale, etica, spirituale e sociale del singolo individuo nella società, alla valorizzazione della persona con lo scopo di favorirne il progresso, contro il sindaco non mancarono alcuni attacchi, spesso feroci. L’opposizione si scagliava contro il suo operato, le sue idee e a volte anche contro il suo stile di vita. La disapprovazione nei confronti del suo agire proveniva da più fronti: per motivi ideologici e politici non lo apprezzavano i comunisti, i repubblicani e i liberali; l’aristocrazia fiorentina lo accusava di portare avanti solo una politica di assistenzialismo; gli industriali percepivano nel suo operato costanti imposizioni che andavano contro i loro profitti; acerrime erano le critiche di Enrico Mattei (omonimo del presidente dell’ENI), allora direttore del giornale “La Nazione”, che giornalmente La Pira riceveva dalle pagine del quotidiano. Persino in Consiglio Comunale trovò ostacoli, arrivando nel 1954 ad un punto di quasi rottura: Ebbene, signori Consiglieri, io ve lo dichiaro con fermezza fraterna ma decisa: voi avete nei miei confronti un solo diritto: quello di negarmi la fiducia! Ma non avete il diritto di dirmi: signor Sindaco non si interessi delle creature senza lavoro (licenziati o disoccupati), senza casa (sfrattati), senza assistenza (vecchi, malati, bambini, ecc.). È il mio dovere fondamentale questo: dovere che non ammette discriminazioni e che mi deriva prima che dalla mia posizione di capo della città - e quindi capo della unica e solidale famiglia cittadina - dalla mia coscienza di cristiano: c’è qui in giuoco la sostanza stessa della grazia e dell’Evangelo! Se c’è uno che soffre io ho un dovere preciso: intervenire in tutti i modi con tutti gli accorgimenti che l’amore suggerisce e che la legge 20 fornisce, perché quella sofferenza sia o diminuita o lenita. Altra norma di condotta per un Sindaco in genere e per un Sindaco cristiano in ispecie non c’è!12 . Testimonianze dei contrasti che il professore incontrò mi sono state rese anche da Giorgio Giovannoni, Giovanni Pallanti e Mario Primicerio. Giovannoni ha sottolineato in particolar modo i disaccordi con gli industriali, riferendomi che: «gli industriali temettero realmente che La Pira potesse intaccare i loro interessi, intaccare la loro proprietà. Ma come ripeteva spesso La Pira (agli industriali n.d.r.) “Quello è tuo ma deve essere rivolto alla società, non può esistere una proprietà senza avere fini sociali». Giovanni Pallanti, in una intervista che mi concesse nel novembre 2010, sottolineò particolarmente gli attacchi che La Pira subiva dai comunisti, ma nonostante ciò, a causa del suo operato, ci fu chi arrivò a definirlo “pesce rosso nell’acquasantiera”. «La Pira nel ’51 batté il sindaco (uscente n.d.r.) comunista Mario Fabiani, nel ’56 distrusse il PCI perché ebbe quasi la maggioranza assoluta in consiglio comunale. I comunisti dicevano: “Affidereste voi la città ad un uomo che non vuole andare con le donne?” (era noto che come terziario domenicano e francescano La Pira aveva fatto un voto di castità)… lo facevano per denigrarlo,per attaccarlo. I comunisti a La Pira non gli hanno mai dato un voto». Mario Primicerio invece mi ha riferito di come fosse continuo e pungente l’attacco che proveniva dalle pagine de “La Nazione”: «“Sarà anche un buon uomo, ma non capisce nulla di politica, è astratto, è astruso e poi con questa sua bontà, fa il gioco dei comunisti”. Questa era un po’ la tesi de “La Nazione”. Certamente questi continui attacchi finivano per far presa, però devo dire che La Pira ogni volta che si è presentato alle elezioni amministrative a Firenze, ha avuto un numero di preferenze che è stato crescente, quindi vuol dire che la gente si fidava di lui». Nonostante ci fosse dell’avversione nei confronti di La Pira, proveniente da varie parti sociali, ogni qual volta si presentò alle elezioni le vinse con un numero di consensi sempre crescente. La Pira era amato e ce lo conferma Primicerio: «tutta la povera gente di Firenze,cioè tutti coloro per cui la speranza di migliorare […] la propria qualità di vita era superiore al timore di perdere quello che avevano, lo amavano profondamente»; aggiunge Giovanni Pallanti: «il popolo era tutto schierato con La Pira», e ciò si poteva consta12 Discorso del 24 settembre 1954 tenuto durante un consiglio comunale 21 tare quotidianamente, poichè il professore era ricercato e come un magnete attirava nugoli di gente ogniqualvolta era per strada. Inoltre, come mi testimoniò Giorgio Giovannoni, lui «si fermava a parlare, a scherzare soprattutto con i giovani, la sua sicilianità era anche questa». Giorgio La Pira fu attivissimo nella promozione della pace a livello internazionale e varie furono le iniziative che promosse a Firenze, dai “Convegni dei sindaci delle capitali del mondo” ai “Colloqui mediterranei”. Nell’intento di concretizzare la pace tra le nazioni si recò a Mosca dove incontrò il Soviet Supremo e con l’intento di scongiurare la guerra in Vietnam si recò personalmente ad Hanoi cercando una pacifica intesa con Ho Chi Minh. Morì sabato 5 novembre 1977, in quel sabato che lui aveva già immaginato nel 1942: «Il Signore mi chiamerà a Sé nel “sabato senza vesperi”; in quel giorno unico e benedetto che non conosce tramonti». La nipote Rita Angelino in un’ intervista rilasciatami nell’aprile 2010, mi raccontò come ai suoi funerali si vide tutto «l’amore di Firenze nei confronti di La Pira […]: c’erano migliaia di fiorentini, tutti i più importanti politici italiani dell’epoca […] il feretro venne portato a spalla dagli operai della Pignone, che con il suo impegno aveva salvato dalla disoccupazione», erano presenti tutti gli amici di sempre, gli operai delle fabbriche fiorentine e i poveri di San Procolo. 2.6 L’eredità di Giorgio La Pira e la sua attualità Il cardinale Giovanni Benelli, durante l’omelia per i funerali di La Pira, disse: «nulla può essere capito di Giorgio La Pira se non è collocato sul piano della fede». Per comprendere l’operato di un uomo come La Pira – che ha messo tutte le proprie capacità, e la sua stessa persona, al servizio degli ultimi, conformemente all’insegnamento di Cristo – non ci si può limitare alle sole logiche razionali: il “sindaco santo” era infatti prima di tutto uomo di profonda fede, che avvertiva in sé una marcata vocazione sociale di ispirazione cristiana. Politico atipico, La Pira preferiva le logiche dell’amore e del caritatevole soccorso a quelle del potere personale e del lucro. Nell’attenta osservazione del presente ricavava la forza e la volontà di operare nel contesto della società e nei rapporti con gli uomini, per determinare un futuro che auspicò di pace e di giustizia. La Pira sentiva – forte del ruolo istituzionale ricoperto - il compito di dare alla società e al mondo un contributo che potesse 22 favorire il progresso umano e la pace tra i popoli, nell’ottica di un impegno rivolto ad abbattere i muri e a costruire i ponti. Sentiva l’importanza di essere il primo cittadino di una città che nella Storia aveva avuto - e doveva continuare ad avere - il ruolo di faro per le altre città del mondo. Grazie alla sua visionaria lungimiranza e ad una acuta intelligenza politica, La Pira riuscì a trasmettere e a diffondere i valori in cui credeva: se nel biennio della Costituente contribuì a farli inscrivere tra i principi fondamentali della Costituzione italiana, durante i mandati da sindaco li mise in pratica regalando la speranza di un avvenire migliore a migliaia di persone che in lui avevano riposto fiducia. Giorgio La Pira non governò mai a favore degli interessi di qualcuno (non stigmatizzò mai la ricchezza in sé, bensì colui il quale, pur vivendo in modo agiato, non sosteneva i meno abbienti): la sua azione politica era soprattutto votata al servizio della gente - la sua “povera gente” – e di tutti coloro ai quali la società non riconosceva i più importanti diritti (primi fra tutti - nella sua visione - il diritto ad un tetto ed al lavoro). In Giorgio La Pira la povera gente trovava un appoggio, un porto sicuro in cui trovare riparo, una istituzione che si curasse dei loro interessi. Egli agiva mosso dall’intento di far nascere nel cittadino una coscienza sociale; operava affinché ognuno comprendesse il proprio compito nella società; si sforzava affinché ciascuno esaltasse le proprie capacità nel servizio per lo sviluppo e il progresso comune. Solo con la fattiva collaborazione di ciascuno, secondo La Pira, l’utopia di un mondo migliore poteva divenire realtà. Egli credeva profondamente in ciò che pensava e faceva, sino al punto di essere inviso a molti, soprattutto quelli che nella società occupavano gli strati più alti: essi infatti percepivano l’azione politico-amministrativa di La Pira come un pericolo per i loro interessi. L’intera sua carriera pubblica dimostrò come egli fosse tutt’altro che un sognatore: rappresentava semmai l’innovazione a Palazzo Vecchio. Erano in tanti a saperlo, soprattutto la sua “povera gente”. Non mancarono - negli anni della sua sindacatura - occasioni in cui La Pira si schierò dalla parte degli “ultimi”: quando difese i lavoratori delle officine Pignone, il suo personale impegno riuscì infatti a salvare dal licenziamento migliaia di persone. Fu proprio per cercare di dare un tetto a chi non avrebbe mai potuto permetterselo che - nonostante numerosissimi contrasti - propose un progetto innovativo per l’epoca: la città satellite. L’Isolotto - quartiere residenziale sito nella periferia fiorentina - non fu un quartiere-dormitorio, 23 bensì una città, un focolaio di civiltà e uno strumento efficace di vita associata. La costante preoccupazione di far del bene per il prossimo lo indusse a realizzare idee semplici ma molto utili, come il “piano latte”: fu così che un alimento fondamentale come il latte venne distribuito quotidianamente gratis a tutti coloro i quali facevano parte delle classi sociali disagiate. Non devono passare in secondo luogo tutte quelle azioni amministrative che destarono certo minor clamore, ma si rivelarono allo stesso modo importanti per Firenze: tra le altre, la ricostruzione dei ponti distrutti dalla guerra e lo sviluppo dell’edilizia scolastica. Pur non essendo stata oggetto d’esame in questa sede, è fondamentale altresì sottolineare la funzione che La Pira affidò a Firenze e le responsabilità che su di essa riversò: La Pira voleva fare della città medicea la concretizzazione della Gerusalemme celeste. Il capoluogo toscano doveva assumere la funzione di città dalla quale partivano messaggi di pace, di uguaglianza, di collaborazione tra le nazioni, finalizzati ad unire le diverse città del mondo e con esse le nazioni tutte, nell’utopico sogno di un futuro senza guerre e contrasti. Sebbene La Pira abbia operato più di quarant’anni fa, la lungimiranza del suo pensiero lo rende ancora attuale: egli si batté infatti per realizzare una società in cui la persona fosse al centro, dove l’individuo avesse dei doveri ma soprattutto godesse di diritti, dove il singolo non venisse emarginato e dimenticato, dove anche lo straniero – ai suoi tempi, l’emigrato meridionale trasferitosi a Firenze in cerca di lavoro – potesse trovare un terreno fertile per la propria integrazione per il proprio sviluppo e progresso, per la realizzazione globale della propria persona, per il raggiungimento della piena essenza della dignità umana. Alla luce degli odierni fatti di cronaca, è evidente come lo sforzo di La Pira sia rimasto isolato e non sia stato emulato. In una società in cui la globalizzazione impone l’integrazione, la ghettizzazione di chi parla una lingua diversa o professa un altro credo religioso è purtroppo ancora realtà, seppure in misura inferiore rispetto ai tempi passati. Il difficile percorso integrativo degli stranieri è causa anche di disordini sociali: non pochi sono difatti i contrasti che gli stranieri hanno con la popolazione locale, in un clima di crescente diffidenza nei confronti del “diverso” che rallenta l’integrazione sociale di individui che nel nostro sistema economico sono già integrati (essendo tali soggetti impiegati in settori lavorativi nell’ambito dei quali nessuno vuole più lavorare: agricoltura, allevamento, manovalanza, ecc.). 24 La Pira si batté per la possibilità di dare a tutti un lavoro e di difendere il proprio impiego in accordo con il dettato dell’art. 4 della nostra Costituzione («La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto»). Egli si impegnò contro le decisioni di una classe dirigente che troppo spesso badava ai propri interessi e tornaconti economici, senza dare spazio alle richieste e alle esigenze dei lavoratori; la stessa classe dirigente che spesso non esitava a licenziare, portando avanti solo logiche di profitto che non tenevano in considerazione i drammi sociali che tali logiche avrebbero provocato. Anche in questo campo l’esempio di La Pira sembra non sia stato seguito da molti, sebbene le condizioni dei lavoratori si siano evolute, garantendo loro una maggiore tutela: la condizione lavorativa evidenzia alcune disparità tra datori di lavoro e lavoratori, nell’ambito delle quali, al di là delle giuste differenze tra chi possiede e chi esegue una prestazione, mancano comunque misure atte a garantire una parità economica, sociale e di forza contrattuale. Numerosi sono i lavoratori posti in condizioni di dover accettare le direttive della dirigenza, mancando a tutt’oggi quelle condizioni in grado di garantire serenità e certezza retributiva per il futuro. Alla luce di quanto detto, la società dinamica in cui viviamo si trova di fronte a sfide che necessitano - perché si realizzi il bene comune - di essere affrontate sia dalla collettività, sia dal singolo. Non bisogna temerle - “il vero uomo è colui il quale riesce a trasformare le proprie paure in sfide” - ma occorre trasformare la paura dell’altro in una sfida per raggiungere l’integrazione, la paura dei conflitti lavorativi in una sfida per raggiungere l’equità economica e il riconoscimento dei diritti di tutti gli attori sociali coinvolti. A soluzioni giuste ed eque per tutti si può pervenire solo adottando quei valori universali che sono stati la stella polare dell’agire lapiriano: amore, giustizia e pace. Occorre dunque operare collettivamente per un effettivo cambiamento, per creare una nuova società estranea a discriminazioni e disparità. Di questo impegno è conscio anche l’attuale Sindaco di Firenze Matteo Renzi - che, sempre riferendosi a La Pira, scrisse: «C’è una frase bellissima di Edmond Rostand che era molto cara a La Pira: “Bisogna credere alla luce nonostante la notte. E bisogna forzare l’aurora a nascere, credendoci”. Questo è il compito che ci attende!”. 25 BIBLIOGRAFIA BALDUCCI E., Giorgio La Pira, Giunti Editore, Firenze – Milano, 2004 DE GIUSEPPE M., Giorgio La Pira. Un sindaco e le vie della pace, Centro Ambrosiano, Milano, 2001 PALAGI P., Giorgio La Pira, Politica ed opzione per i poveri, Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna, 1996 PAGLIAI L., Giorgio La Pira e il “piano latte”. 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