La vocazione sociale della politica di Giorgio La Pira

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La vocazione sociale della politica di Giorgio La Pira
CONTRIBUTI
LA VOCAZIONE SOCIALE DELLA POLITICA DI GIORGIO
LA PIRA. UNO SGUARDO AL PERIODO FIORENTINO
DI
GENNARO BALDASSARE
1. INTRODUZIONE
Giorgio La Pira fu professore universitario, costituente, parlamentare,
sottosegretario al Ministero del Lavoro e Previdenza sociale e per tre
mandati sindaco di Firenze. “La persona posta al centro del corpo sociale, fine ultimo dell’azione politica”: è questa la sintesi della concezione sociale e politica
che Giorgio La Pira ha avuto durante tutta la sua vita e che ha posto sempre al centro del suo operato. In considerazione di ciò è quindi possibile
comprendere perchè la sua azione amministrativa avesse come fine ultimo
quello di produrre benefici e generare progresso e sviluppo nel complesso
sociale in cui operava, con particolare attenzione agli individui più poveri
e più emarginati della società. La Pira era conscio dell’impatto che la politica locale aveva sulla società; per questo motivo cercò di rendere sempre
immediate e risolutrici le sue decisioni e azioni nell’amministrazione della
cosa pubblica. In pochi uomini politici è possibile trovare un’altissima
corrispondenza tra azione politica e azione sociale come la si è riscontrata
in La Pira. Considerando la forte fede che lo animava è facile, inoltre, immaginare che il suo agire sia stato dettato dal desiderio di concretizzare il
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messaggio evangelico e di fare di Firenze la Gerusalemme celeste in terra.
La forte vocazione verso l’altro presente in La Pira può essere compresa
e spiegata alla luce dei valori universali (contenuti anche nel Vangelo) che
lo animavano.
Il testo qui riportato è dedicato all’analisi dell’operato di La Pira
come sindaco di Firenze e si è cercato di porre l’attenzione sui risvolti
sociali che la sua azione da primo cittadino ha avuto sulla società. Oggetto quindi di studio è stato l’impegno del sindaco nel portare avanti
un’amministrazione che garantisse equità e giustizia sociale, prendendosi
cura soprattutto dei poveri. Si è voluto analizzare l’impegno di La Pira
nella risoluzione del caso Pignone, la promozione da parte del sindaco
dell’edilizia popolare con riferimento alla costruzione della città satellite
dell’Isolotto, il suo impegno per la realizzazione del “Piano latte” finalizzato alla distribuzione gratuita di latte per i bambini, gli anziani e i poveri.
Nelle conclusioni si è cercato di descrivere l’eredità lasciataci da La Pira e
quali invece gli aspetti che lo rendono ancora attuale.
2. GIORGIO L A PIRA SINDACO DI FIRENZE
2.1 L’elezione e il programma
Nel 1950, a causa di incomprensioni in merito alla politica economica
del governo De Gasperi dovute a divergenze sulla politica economica del
governo che Dossetti e Fanfani avrebbero voluto di maggiore spesa antidisoccupazione, La Pira insieme ai due amici e colleghi appena citati, esce
dal governo, rimanendo solo deputato. Quando poi il Parlamento approvò
una legge che non consentiva più l’abbinamento della carica di Sindaco
di una grande città a quella di deputato, La Pira non ebbe dubbi e scelse
Firenze, perla del mondo.
Terminato il periodo al governo La Pira avrebbe voluto fortemente condurre quello stile di vita che tanto gli aggradava, fatto di preghiere e meditazioni, lezioni di diritto romano ed impegno per i “suoi”
poveri, ma ancora una volta il disegno divino per lui non combaciava
con le sue intenzioni. Nel 1951 a La Pira venne proposta da parte dell’intellighenzia cattolica e clericale di Firenze, tra cui l’amico Don Facibeni
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e Mons. Dalla costa, la candidatura a sindaco della città. Non fu per
sua scelta che La Pira divenne sindaco di Firenze, «fu per docilità a una
richiesta dell’autorità ecclesiastica, che vide nella sua candidatura l’unica possibilità
di sottrarre la città all’amministrazione rossa»1. La Pira, da perfetto cristiano
praticante, adempì al suo voto di obbedienza e decise, conscio anche
che il suo impegno sociale poteva amplificarlo e renderlo più fecondo
dalla sala Clemente VII di Palazzo Vecchio, di accettare la candidatura.
«Portare in Palazzo Vecchio un sindaco non comunista sulle spalle dei poveri ecco il
capolavoro strategico della coalizione che si improvvisò attorno alla candidatura di
La Pira. Il quale accettò più come uomo di Chiesa che come uomo della DC, di cui
non volle mai la tessera (“la mia unica tessera è il battesimo diceva”) ed entrò nella
competizione elettorale, … con l’intento di farsi portavoce di quelli che nella città non
avevano peso»2.
Le elezioni si tennero il 10 giugno e la coalizione creatasi attorno
alla Democrazia Cristiana (liberali e una lista comune di repubblicani e
socialdemocratici) ottenne una risicata vittoria contro le sinistre unite.
In virtù però dell’allora vigente legge elettorale i partiti centristi, sebbene avessero vinto di misura, ottennero i due terzi dei posti in Consiglio
comunale. In base alla legge 5 aprile 1953, numero 203 (legge poi sostituita dall’elezione diretta da parte dei cittadini del Sindaco), che regolava
le elezioni amministrative comunali, all’articolo 5 si prevedeva che il
sindaco fosse eletto in seno al consiglio comunale e che per essere eletto
dovesse ricevere la maggioranza assoluta dei voti di almeno due terzi dei
consiglieri. La Pira, che aveva ricevuto oltre 19.000 preferenze, venne
scelto dal Consiglio comunale fiorentino e divenne il nuovo sindaco
di Firenze, il primo non comunista dal dopoguerra. Resterà in carica
dal 1951 al 1956, sarà rieletto con 34000 preferenze nel ’56 terminando
però già nel ’57 il suo secondo mandato e nuovamente verrà rieletto nel
1960 rimanendo primo cittadino del capoluogo toscano sino al 1965. A
proposito dell’elezione di La Pira come Sindaco di Firenze, Giorgio Giovannoni, in una intervista che mi fu concessa nel novembre del 2010,
ebbe a riferirmi: «La Pira si presentò subito come una grande novità, …
, La Pira era sostanzialmente “anomalo” […] portò sicuramente un soffio di totale
1
2
E. Balducci, Giorgio La Pira, Giunti Editore, Firenze – Milano, 2004, pag. 20
Ibidem, cit. pag. 21
11
rinnovamento e praticamente lui che non era fiorentino dette un’identità e un volto alla
vocazione della città di Firenze».
Il programma di Giorgio La Pira sindaco di Firenze era il frutto
del suo pensiero cristiano, della sua weltanschauung, dei valori che lo animavano. Gli obiettivi che si prefisse durante il mandato amministrativo,
e che propose alla sua Giunta, erano tre: il primo fu di concretizzare
il messaggio evangelico risolvendo i problemi più urgenti degli ultimi,
fornendo cioè mezzi adeguati per poter soddisfare gli impellenti bisogni
dei più poveri. Il secondo obiettivo aveva lo scopo di rilanciare la vita
industriale, agricola, commerciale, finanziaria della città. Il terzo derivava dalla concezione che La Pira aveva della città di Dante: Firenze
come perla del mondo, patrimonio dell’umanità, culla del Rinascimento,
patria di arte, poesia, architettura, genialità, non poteva vivere solo nel
ricordo di un glorioso passato ma aveva il compito di parlare al mondo, di
parlare di valori condivisi e condivisibili da tutti al di là delle differenze
ideologiche, di cultura, di religione, di usi e di costumi; primo dei quali la
pace (si consideri che La Pira sostenne queste posizioni in piena Guerra
Fredda). A proposito di queste concezioni Angelo Scivoletto, durante un
incontro avuto nel novembre 2010, mi disse: «lui aveva Firenze come
idea da lanciare nel mondo».
La consapevolezza del ruolo di Firenze nel mondo, della responsabilità che il passato le ha affidato, ha accomunato i primi cittadini che negli
anni si sono avvicendati a Palazzo Vecchio. Di ciò è conscio anche Matteo
Renzi, attuale Sindaco di Firenze che, in una dichiarazione rilasciatami il
18 gennaio 2011, scrisse:
Firenze è una città davvero particolare. Una città infinitamente piccola rispetto alle grandi metropoli del mondo moderno, ma che ha
saputo essere un faro per il mondo per il suo straordinario patrimonio
artistico ma anche perché qui sono nate e vissute personalità geniali
che hanno segnato indelebilmente col loro talento il nostro territorio nei campi più disparati: dalla letteratura alla pittura, passando per
l’architettura e la tecnologia. Credo che occorra avere almeno nel nostro cuore il desiderio profondo di vivere questa esperienza con un
senso di meraviglia, di stupore e di gratitudine per ciò che siamo chiamati a compiere. Dobbiamo rivendicare spazi di bellezza per Firenze
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oggi. Questo mondo, il nostro mondo, ha bisogno di più bellezza, da
tutti i punti di vista. Ha bisogno di più bellezza rispetto a una folle
corsa agli eccessi economici che sta caratterizzando il nostro pianeta.
Ha bisogno di più bellezza nel momento in cui la faticosa lotta per la
libertà e la democrazia coinvolge tante realtà. Chiede più bellezza il
bisogno di una giustizia sociale la cui domanda cresce. Il bisogno di
bellezza che oggi porta la politica a riprendersi un ruolo, a riprendersi
una rinnovata centralità. Un bisogno di bellezza che investe l’Europa,
il nostro continente. E se è vero che questo mondo ha bisogno di più
bellezza, è vero che questo mondo ha bisogno di più Firenze.
È chiara dunque la responsabilità che ha Firenze, l’onere che
incombe sulla città medicea e il compito che, di riflesso, spetta a chi la
amministra. La Pira ne era ben conscio – sarà proprio da Firenze che egli
deciderà di parlare al mondo promuovendo i “Convegni dei sindaci delle
capitali del mondo” e i “Colloqui mediterranei” – e si impegnò sempre
affinché Firenze fosse faro per il mondo intero in quanto città di pace.
Sarà proprio La Pira a tracciare quel solco che tutti i suoi successori, sino
a Matteo Renzi, hanno seguito, nella consapevolezza di quanto il mondo
abbia bisogno di “più” Firenze.
2.2 Il caso Pignone
I primi anni cinquanta sono anni di forte trambusto a Firenze, dovuto allo
spauracchio della disoccupazione che minaccioso aleggiava su gli operai
fiorentini impiegati presso le grandi industrie del capoluogo toscano. Si
erano già avuti 800 licenziamenti nelle Officine Galileo e un’altra ondata
di licenziamenti sembrava profilarsi all’orizzonte. La società denominata
“Fonderia del Pignone”, di proprietà in maggioranza della SNIA Viscosa,
la quale durante la guerra grazie alla produzione di materiale bellico, godette di un notevole ampliamento, ancora nel 1953 faticava nella riconversione per cui i dirigenti decisero di predisporre una serie di provvedimenti
finalizzati anzitutto alla riduzione dei costi. La prima mossa fu il licenziamento di 70 impiegati e la sospensione a tempo indeterminato di 300 operai: lo stabilimento aveva 1750 dipendenti per i quali non si prospettava un
futuro roseo. La Pira si mosse subito, passò immediatamente all’azione,
cercò di anticipare i tempi, onde evitare l’irreparabile e avviò un’intensa
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azione di «lobbying politica»3 contattando De Gasperi, Pella Presidente del
Consiglio, Rubinacci ministro del Lavoro, Pacciardi ministro della Difesa,
Marinotti amministratore delegato della SNIA Viscosa, cercando e ottenendo promesse di aiuto presso l’amico di sempre e ministro dell’Interno
Fanfani. Intanto gli operai del Pignone iniziarono a scioperare e in segno
di solidarietà scioperarono anche tutti gli operai dell’area industriale di
Firenze – Rifredi. In una situazione di caos sociale, apparente impotenza
politica e incapacità di La Pira a trovare una soluzione che scongiurasse
la chiusura della Pignone, il 22 ottobre a Marinotti, su disposizione del
ministro dell’Interno Fanfani e in via temporanea, venne ritirato il passaporto proprio prima di partire per la Francia, con la giustificazione che la
sua presenza era fondamentale nelle trattative per la Pignone, visti anche i
riflessi che tale vicenda poteva avere sull’ordine pubblico.
Se i licenziamenti e la riduzione dell’attività della Pignone erano stati annunciati nell’estate del ’53, ma grazie all’impegno di La Pira
e degli uomini di governo le trattative erano andate avanti ritardando
sempre più la chiusura, a partire dal mese di novembre la situazione
sembrò precipitare. Il 17 novembre venne decisa la defi nitiva chiusura
della fabbrica: ciò avrebbe significato la mancanza di salario per 1750
famiglie. Non appena venne chiusa la Pignone gli operai occuparono la
fabbrica e, in segno di solidarietà agli operai che avevano perso il posto,
come uomo ma soprattutto come Sindaco, il giorno dopo l’occupazione
La Pira assistette insieme agli occupanti ad una Messa celebrata da Don
Bruno Borghi, proprio all’interno della fabbrica occupata; lo scandalo fu
enorme anche perché i liquidatori della Pignone avevano sporto denuncia contro gli occupanti, ma La Pira non poteva lasciare la sua povera
gente in un momento simile. Il problema irrisolto della Pignone turbava
fortemente La Pira il quale cercava appoggio, aiuto, sostegno e conforto
in chiunque glieli potesse offrire. Scrive segretamente anche al pontefice e ai vescovi italiani, e se Montini risponderà lasciando trapelare
una cauta comprensione, sicuramente un netto appoggio lo ricevette da
Padre Agostino Gemelli, allora rettore dell’Università Cattolica, il quale
riferisce che proprio in segno di solidarietà agli operai fiorentini, nel
3
M. De Giuseppe, Giorgio La Pira. Un sindaco e le vie della pace, Centro Ambrosiano,
Milano, 2001 pag. 78
14
giorno dell’inaugurazione dell’anno accademico tre furono i telegrammi
letti, quello del Papa, quello di Segni e quello di La Pira che fu coronato
da un forte applauso segno che i giovani gli erano vicini. Intanto anche
nei primi giorni del 1954 l’occupazione non cessava e non si era riusciti a
trovare una soluzione. Un ruolo sicuramente decisivo sicuramente nella
risoluzione dell’affare Pignone oltre a La Pira lo ebbe Fanfani che da
una parte moderò l’amico siciliano, dall’altro spinse per la ripresa delle
trattative. La svolta ci fu grazie all’intervento di uno dei più brillanti
imprenditori italiani, l’ideatore dell’ENI Enrico Mattei. Dopo un’intensa trattativa si arrivò infatti, il 13 gennaio 1954, ad una soluzione che
prevedeva l’assunzione da parte della neonata società energetica nazionale del 60% del capitale della società fiorentina, lasciando il 40% alla
SNIA. Nacque così la Nuova Pignone, che avrebbe prodotto bombole e
tubazioni per la SNAM. «La Pira aveva salvato una industria e, quel che più gli
importava, il lavoro di 1750 persone» 4: egli era riuscito a concretizzare il suo
impegno affi nché le speranze che la povera gente riponeva in lui e nella
istituzione che egli rappresentava non venissero disattese; era riuscito a
difendere i più deboli della società dall’ingiustificato licenziamento che
li avrebbe ridotti in miseria; era riuscito a far valere la sua posizione
politica mettendola a disposizione dei più poveri e andando contro la
logica del “potere a beneficio di pochi” (i ricchi); aveva dimostrato che le
logiche industriali non necessariamente erano le più efficaci anche sullo
stesso terreno dell’economia. Mattei non solo aveva compiuto un’opera
puramente sociale, ma un’imponente impresa economica che sul medio
lungo periodo portarono a far aumentare vistosamente gli introiti delle
sue aziende. A livello politico è con l’affare Pignone che si crea l’asse La
Pira – Fanfani – Mattei, fondamentale per comprendere la vocazione
mediterranea dell’Italia degli anni Cinquanta. Secondo quanto mi fu riferito da Giovani Pallanti, in un incontro avuto nel novembre del 2010:
«Mattei era uno di quelli che probabilmente sentiva in La Pira quella
copertura ideale che a lui, uomo d’azione, mancava. L’ispirazione di La
Pira all’unione e alla pace tra le tre grandi religioni monoteistiche, pur
nei diversi modi di vivere la fede, aveva un grande significato per Mattei,
4
S. Terranova, La Pira e Mattei nella politica italiana 1945 – 1962, Oasi Editrice, Troina
(EN), 2001, pag. 168
15
per la sua politica nei confronti del Maghreb e dei paesi produttori di
petrolio.» A proposito dell’amico La Pira e della loro collaborazione,
Enrico Mattei qualche tempo dopo disse: «Per me fu questo: un alleato potente con cui ho salvato migliaia di posti di lavoro a Firenze e con il quale ho aiutato
l’Algeria (che era stata una tappa fondamentale nella politica mediterranea di La Pira n.d.r.) a diventare una nazione indipendente»5.
Non appena si risolse l’affare Pignone, una serie di imprese fiorentine ( Galileo, Manetti & Roberts, Richard Ginori, Officine del Gas) minacciarono altre chiusure e licenziamenti o aprirono vertenze spingendo
La Pira a continuare le sue campagne.
2.3 Il problema degli sfratti e l’edilizia popolare
Agli inizi degli anni Cinquanta, Firenze dovette affrontare il problema degli
alloggi, «l’incremento della popolazione dovuto anche all’urbanizzazione
di addetti all’agricoltura trasferiti alla industria o al terziario imponeva
una politica della casa. Il suo piano era costruire 3000 alloggi»6. Inoltre
esplose in maniera dilagante il problema degli sfratti, passati da 437 nel
1950 a quasi 1500 nel 1952. La Pira si mobilitò immediatamente per porre
rimedio ad una situazione che gettava sulla strada migliaia di persone e il
suo coinvolgimento nella difesa degli sfrattati lo portò a cercare ogni tipo
di soluzione, in primis chiese al pretore Bernardini e al prefetto Gargiulo
delle proroghe alle cifre stanziate dal Comune per l’assistenza ai bisognosi;
aggiunse le offerte in denaro che riceveva personalmente (soldi che i fiorentini gli donavano sapendo che sarebbero stati usati per le necessità della
povera gente), a questi aggiunse anche i soldi dell’indennità di Sindaco che
mai ritirò, ma ancora non bastava per poter soccorrere tutti i bisognosi.
Chiese allora ai proprietari di immobili sfitti di affittarli al Comune, ma ricevendo poche risposte; con una azione perentoria ricorse alla requisizione
da parte del Comune degli immobili sfitti, in base all’articolo 7 («allorché
per grave necessità pubblica l’autorità amministrativa debba senza indugio
disporre della proprietà privata, … essa provvederà con atto motivato»7)
della legge 20 marzo 1865, numero 2248. I proprietari delle abitazioni re5
6
7
G. Pallanti, Bloc notes fiorentino, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, 2007, pag. 172
S. Terranova, La Pira, cit. pag. 163
Legge n° 2248 del 22-3-1865, art. 7
16
quisite ricevevano dall’amministrazione comunale un canone d’affitto ed
inoltre il comune si impegnava, al momento della restituzione degli appartamenti, a far riparare eventuali danni. Giorgio Giovannoni in proposito
mi riferì che «gli sfratti delle case sfitte non erano una punizione verso coloro che
detenevano le case, ma l’affermazione degli articoli economico-sociali della Costituzione
per cui la proprietà è riconosciuta ma nello stesso tempo deve avere una funzione sociale».
Il professore fu fermamente convinto del suo modo di operare in merito
alla questione degli sfratti che lo affermò più volte, anche in consiglio comunale: «Il tetto è una cosa sacra, è un diritto primario inalienabile, è un valore
evangelico di cui nessuno deve essere privato. Ed a Firenze, senza tetto, non vi è e non vi
sarà nessuno»8. Fu sicuramente un’azione amministrativa di grande audacia,
impopolare tra coloro i quali subirono la requisizione degli immobili, ma
di questo La Pira non si curò (ecco lo “strano” politico La Pira, indifferente ad eventuali cali di popolarità). Nella concezione cristiana della politica,
per La Pira il suo era stato un atto dovuto e doveroso, un atto di carità
cristiana dal punto di vista spirituale, un‘azione finalizzata ad un maggior
benessere sociale sotto l’ottica politica.
Nella mente di La Pira c’era l’intento di fare di Firenze la Gerusalemme celeste che prendeva corpo tra gli uomini in terra: il problema degli alloggi, seppur temporaneamente risolto, necessitava di una soluzione
definitiva. Non bisognava più costruire “case minime”, bensì città. Nel
progetto di La Pira, esposto anche in campagna elettorale, c’era l’intento
di costruire nella periferia della città non solo abitazioni (che avrebbero
fatto di quelle zone dei semplici quartieri dormitori), ma vere e proprie
città, “città satellite”. Con il costo di 3,5 miliardi di lire (di cui 1 a carico
delle casse comunali e i restanti sovvenzionati dallo Stato) il 6 novembre
1954, accompagnato dalle più alte autorità cittadine (tra gli altri vi erano
anche Mons. Dalla Costa e l’amico Don Bensi), venne inaugurato il nuovo
quartiere dell’Isolotto, progettato secondo una logica urbanistica a “misura d’uomo” a dispetto delle architetture funzionali (perlopiù casermoni)
in voga in quel periodo. Mario Primicerio, in una intervista concessami
nel novembre del 2010, a conferma di quanto detto riferì: «erano posti in
cui, dicendolo a slogan, “si piantavano alberi ancora prima di costruire le case”». Nel
8
P. Palagi, Giorgio La Pira, Politica ed opzione per i poveri, Edizioni Dehoniane Bologna,
Bologna, 1996, cit. pag. 125
17
nuovo quartiere oltre alle abitazioni c’erano infatti negozi, strade alberate,
centri d’aggregazione e una chiesa. Come in ogni atto politico e sociale
di La Pira (quindi anche riguardo all’Isolotto) il centro e il fine del suo
agire erano la persona. Agli assegnatari degli appartamenti, nel discorso
inaugurale, sottolineò il compito sociale che li attendeva: «create anche voi, in
questa città satellite un focolaio di civiltà: ponete al servizio dei più alti ideali dell’uomo
[…] i talenti di cui voi siete ricchi: fate che in questa città satellite sia coltivato, per le
generazioni future, un seme fecondo di bene e di civiltà»9.
Gli interventi di urbanistica voluti da La Pira erano mirati a far
espandere la città in maniera armoniosa attorno al centro storico. In
proposito scrive Renzi: «Firenze è ancor oggi profondamente segnata
dall’azione lungimirante di questo Sindaco: senza le sue scelte, […] la città
avrebbe oggi una fisionomia urbanistica […] davvero molto diversa» e ciò mi è stato
confermato anche da Mario Primicerio che dice: «è tra le periferie, dal
punto di vista del pregio immobiliare, più ambite».
2.4 Il piano latte
Nell’immediato dopoguerra, tra i vari problemi che l’amministrazione La
Pira si trovò a fronteggiare, vi fu la carenza di edifici scolastici; riferisce
Mario Primicerio: «quando ero bambino si facevano i doppi e i tripli turni,
perché non c’erano abbastanza edifici scolastici». La Pira non poteva tollerare che,
a causa di deficienze strutturali, i bambini, le future generazioni di cittadini, fossero impossibilitati a frequentare con continuità la scuola e grazie
anche all’aiuto che ricevette da Nicola Pistelli, assessore ai lavori pubblici,
in pochi mesi riuscirono a costruire (è sempre Primicerio che testimonia)
«sedici scuole […] in prefabbricato, erano destinate ad essere scuole di emergenza; le
ultime due sono state sostituite solo tre o quattro anni fa, hanno funzionato perfettamente per un tempo maggiore del previsto».
Tenendo come beneficiari della sua ennesima azione amministrativa a carattere sociale i bambini, La Pira ebbe l’intuizione di proporre un
progetto all’apparenza banale, ma di grande importanza: iniziare a distribuire agli alunni delle scuole fiorentine il latte. In una Firenze che faceva
ancora i conti con le ferite del post guerra e dove le sacche di povertà e
di miseria erano ben nutrite, non era poi così scontato che i bambini,
9
In «La Badia», n° 1, 5 novembre 1978, pag. 64
18
tutti i bambini, potessero avere quotidianamente la razione di latte necessaria a garantire una sana crescita. Se la distribuzione del latte per i
bambini era gratuita, qualcuno doveva pur sopportarne i costi. I soldi per
finanziare questo progetto furono reperiti grazie all’azione sinergica di
La Pira e dell’amico Fanfani, divenuto nel 1951 ministro dell’Agricoltura
nel settimo governo De Gasperi. I costi furono così ripartiti: il Ministero dell’Agricoltura, dopo aver dato avvio all’iniziativa, avrebbe dovuto
accollarsi i costi dell’impianto per la miscelazione e la pastorizzazione,
l’Amministrazione Aiuti Internazionali (AAI) aveva deciso di finanziare
con 25 milioni l’avvio del programma e il Comune di Firenze la restante
parte delle spese per l’assistenza scolastica. Così «nel novembre del 1951 l’amministrazione pubblica dava formalmente avvio all’iniziativa […] affidando al Centro
di Raccolta gestito dalla Coop. F.L.D. […] l’incarico di approntare l’attrezzatura
necessaria per la lavorazione della bevanda di latte miscelato con cacao da distribuirsi
ai bambini delle scuole elementari di Firenze»10. La fornitura gratuita di latte alle
scuole elementari e materne della città fu effettuata per 4200 litri di latte
al giorno, di cui due terzi con l’aggiunta di cacao e un terzo con l’aggiunta
di solo zucchero. La Pira comunicò il buon esito dell’iniziativa a Giovanni Spagnolli, presidente dell’AAI, scrivendo: «l’esperimento del latte è in
pieno, felice sviluppo: ormai tutte le scuole elementari usufruiscono di
questa felice iniziativa: i bambini e le famiglie hanno risposto con vero
entusiasmo. È un’idea elementare, di vasta ripercussione, feconda pei suoi
risultati fisici, spirituali, politici ed anche economici»11.
Il Piano latte, grazie all’impegno e all’indefesso lavoro di La Pira
nell’operare socialmente a beneficio di quante più persone possibili, subì
un’evoluzione e già dopo tre mesi di regolare distribuzione di latte nelle
scuole, venne ampliata la distribuzione anche nelle carceri, il cui onere
economico fu assunto dal Comune. Ma l’ampliamento non si fermò e così
nel 1953 l’erogazione del latte fu estesa ad ampi strati della popolazione: ne
beneficiavano infatti le suore di clausura, i fruitori dei dormitori pubblici,
gli anziani bisognosi e i circa duemila lavoratori pendolari che passavano
10
11
L. Pagliai, Giorgio La Pira e il “piano latte”. La funzione sociale della Centrale, Edizioni
Polistampa, Firenze, 2010, pag. 122
G. La Pira a G. Spagnolli, 19 febbraio 1952, lettera datt., c. int. Camera dei
Deputati
19
dalle stazioni ferroviarie di Santa Maria Novella, di Rifredi e di Campo di
Marte. Quella del Piano latte fu l’ennesima iniziativa di La Pira finalizzata
a favorire il progresso sociale: egli seppe portare avanti una politica in grado di coinvolgere tutti, fornendo benefici alle classi più basse e dimenticate della società; fu l’ennesima concretizzazione del messaggio evangelico,
fu l’ennesimo frutto di carità cristiana.
2.5 L’opposizione a La Pira
Sebbene l’operato di La Pira si sia sempre indirizzato verso l’altro, finalizzato alla crescita morale, etica, spirituale e sociale del singolo individuo
nella società, alla valorizzazione della persona con lo scopo di favorirne
il progresso, contro il sindaco non mancarono alcuni attacchi, spesso feroci. L’opposizione si scagliava contro il suo operato, le sue idee e a volte
anche contro il suo stile di vita. La disapprovazione nei confronti del suo
agire proveniva da più fronti: per motivi ideologici e politici non lo apprezzavano i comunisti, i repubblicani e i liberali; l’aristocrazia fiorentina
lo accusava di portare avanti solo una politica di assistenzialismo; gli industriali percepivano nel suo operato costanti imposizioni che andavano
contro i loro profitti; acerrime erano le critiche di Enrico Mattei (omonimo del presidente dell’ENI), allora direttore del giornale “La Nazione”,
che giornalmente La Pira riceveva dalle pagine del quotidiano. Persino
in Consiglio Comunale trovò ostacoli, arrivando nel 1954 ad un punto di
quasi rottura:
Ebbene, signori Consiglieri, io ve lo dichiaro con fermezza fraterna
ma decisa: voi avete nei miei confronti un solo diritto: quello di
negarmi la fiducia! Ma non avete il diritto di dirmi: signor Sindaco
non si interessi delle creature senza lavoro (licenziati o disoccupati),
senza casa (sfrattati), senza assistenza (vecchi, malati, bambini, ecc.).
È il mio dovere fondamentale questo: dovere che non ammette discriminazioni e che mi deriva prima che dalla mia posizione di capo della città - e quindi capo della unica e solidale famiglia cittadina - dalla mia coscienza di cristiano: c’è
qui in giuoco la sostanza stessa della grazia e dell’Evangelo!
Se c’è uno che soffre io ho un dovere preciso: intervenire in tutti i
modi con tutti gli accorgimenti che l’amore suggerisce e che la legge
20
fornisce, perché quella sofferenza sia o diminuita o lenita. Altra norma di condotta per un Sindaco in genere e per un Sindaco cristiano
in ispecie non c’è!12 .
Testimonianze dei contrasti che il professore incontrò mi sono state
rese anche da Giorgio Giovannoni, Giovanni Pallanti e Mario Primicerio.
Giovannoni ha sottolineato in particolar modo i disaccordi con gli industriali, riferendomi che: «gli industriali temettero realmente che La Pira potesse
intaccare i loro interessi, intaccare la loro proprietà. Ma come ripeteva spesso La Pira
(agli industriali n.d.r.) “Quello è tuo ma deve essere rivolto alla società, non può
esistere una proprietà senza avere fini sociali». Giovanni Pallanti, in una intervista che mi concesse nel novembre 2010, sottolineò particolarmente gli
attacchi che La Pira subiva dai comunisti, ma nonostante ciò, a causa del
suo operato, ci fu chi arrivò a definirlo “pesce rosso nell’acquasantiera”.
«La Pira nel ’51 batté il sindaco (uscente n.d.r.) comunista Mario Fabiani, nel ’56
distrusse il PCI perché ebbe quasi la maggioranza assoluta in consiglio comunale. I
comunisti dicevano: “Affidereste voi la città ad un uomo che non vuole andare con le
donne?” (era noto che come terziario domenicano e francescano La Pira aveva fatto un
voto di castità)… lo facevano per denigrarlo,per attaccarlo. I comunisti a La Pira non
gli hanno mai dato un voto». Mario Primicerio invece mi ha riferito di come
fosse continuo e pungente l’attacco che proveniva dalle pagine de “La
Nazione”: «“Sarà anche un buon uomo, ma non capisce nulla di politica,
è astratto, è astruso e poi con questa sua bontà, fa il gioco dei comunisti”.
Questa era un po’ la tesi de “La Nazione”. Certamente questi continui
attacchi finivano per far presa, però devo dire che La Pira ogni volta che
si è presentato alle elezioni amministrative a Firenze, ha avuto un numero
di preferenze che è stato crescente, quindi vuol dire che la gente si fidava
di lui». Nonostante ci fosse dell’avversione nei confronti di La Pira, proveniente da varie parti sociali, ogni qual volta si presentò alle elezioni le
vinse con un numero di consensi sempre crescente. La Pira era amato e ce
lo conferma Primicerio: «tutta la povera gente di Firenze,cioè tutti coloro
per cui la speranza di migliorare […] la propria qualità di vita era superiore al timore di perdere quello che avevano, lo amavano profondamente»; aggiunge Giovanni
Pallanti: «il popolo era tutto schierato con La Pira», e ciò si poteva consta12
Discorso del 24 settembre 1954 tenuto durante un consiglio comunale
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tare quotidianamente, poichè il professore era ricercato e come un magnete attirava nugoli di gente ogniqualvolta era per strada. Inoltre, come
mi testimoniò Giorgio Giovannoni, lui «si fermava a parlare, a scherzare
soprattutto con i giovani, la sua sicilianità era anche questa».
Giorgio La Pira fu attivissimo nella promozione della pace a livello
internazionale e varie furono le iniziative che promosse a Firenze, dai
“Convegni dei sindaci delle capitali del mondo” ai “Colloqui mediterranei”. Nell’intento di concretizzare la pace tra le nazioni si recò a Mosca
dove incontrò il Soviet Supremo e con l’intento di scongiurare la guerra in
Vietnam si recò personalmente ad Hanoi cercando una pacifica intesa con
Ho Chi Minh.
Morì sabato 5 novembre 1977, in quel sabato che lui aveva già immaginato nel 1942: «Il Signore mi chiamerà a Sé nel “sabato senza vesperi”;
in quel giorno unico e benedetto che non conosce tramonti». La nipote
Rita Angelino in un’ intervista rilasciatami nell’aprile 2010, mi raccontò
come ai suoi funerali si vide tutto «l’amore di Firenze nei confronti di La
Pira […]: c’erano migliaia di fiorentini, tutti i più importanti politici italiani dell’epoca
[…] il feretro venne portato a spalla dagli operai della Pignone, che con il suo impegno
aveva salvato dalla disoccupazione», erano presenti tutti gli amici di sempre, gli
operai delle fabbriche fiorentine e i poveri di San Procolo.
2.6 L’eredità di Giorgio La Pira e la sua attualità
Il cardinale Giovanni Benelli, durante l’omelia per i funerali di La Pira,
disse: «nulla può essere capito di Giorgio La Pira se non è collocato sul piano della
fede». Per comprendere l’operato di un uomo come La Pira – che ha messo
tutte le proprie capacità, e la sua stessa persona, al servizio degli ultimi,
conformemente all’insegnamento di Cristo – non ci si può limitare alle
sole logiche razionali: il “sindaco santo” era infatti prima di tutto uomo
di profonda fede, che avvertiva in sé una marcata vocazione sociale di
ispirazione cristiana.
Politico atipico, La Pira preferiva le logiche dell’amore e del caritatevole soccorso a quelle del potere personale e del lucro. Nell’attenta osservazione del presente ricavava la forza e la volontà di operare nel contesto della
società e nei rapporti con gli uomini, per determinare un futuro che auspicò
di pace e di giustizia. La Pira sentiva – forte del ruolo istituzionale ricoperto - il compito di dare alla società e al mondo un contributo che potesse
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favorire il progresso umano e la pace tra i popoli, nell’ottica di un impegno
rivolto ad abbattere i muri e a costruire i ponti. Sentiva l’importanza di
essere il primo cittadino di una città che nella Storia aveva avuto - e doveva
continuare ad avere - il ruolo di faro per le altre città del mondo.
Grazie alla sua visionaria lungimiranza e ad una acuta intelligenza
politica, La Pira riuscì a trasmettere e a diffondere i valori in cui credeva:
se nel biennio della Costituente contribuì a farli inscrivere tra i principi
fondamentali della Costituzione italiana, durante i mandati da sindaco li
mise in pratica regalando la speranza di un avvenire migliore a migliaia di
persone che in lui avevano riposto fiducia. Giorgio La Pira non governò
mai a favore degli interessi di qualcuno (non stigmatizzò mai la ricchezza
in sé, bensì colui il quale, pur vivendo in modo agiato, non sosteneva
i meno abbienti): la sua azione politica era soprattutto votata al servizio
della gente - la sua “povera gente” – e di tutti coloro ai quali la società non
riconosceva i più importanti diritti (primi fra tutti - nella sua visione - il
diritto ad un tetto ed al lavoro). In Giorgio La Pira la povera gente trovava
un appoggio, un porto sicuro in cui trovare riparo, una istituzione che si
curasse dei loro interessi. Egli agiva mosso dall’intento di far nascere nel
cittadino una coscienza sociale; operava affinché ognuno comprendesse
il proprio compito nella società; si sforzava affinché ciascuno esaltasse le
proprie capacità nel servizio per lo sviluppo e il progresso comune. Solo
con la fattiva collaborazione di ciascuno, secondo La Pira, l’utopia di un
mondo migliore poteva divenire realtà. Egli credeva profondamente in ciò
che pensava e faceva, sino al punto di essere inviso a molti, soprattutto
quelli che nella società occupavano gli strati più alti: essi infatti percepivano l’azione politico-amministrativa di La Pira come un pericolo per i loro
interessi. L’intera sua carriera pubblica dimostrò come egli fosse tutt’altro
che un sognatore: rappresentava semmai l’innovazione a Palazzo Vecchio.
Erano in tanti a saperlo, soprattutto la sua “povera gente”. Non mancarono - negli anni della sua sindacatura - occasioni in cui La Pira si schierò
dalla parte degli “ultimi”: quando difese i lavoratori delle officine Pignone,
il suo personale impegno riuscì infatti a salvare dal licenziamento migliaia
di persone. Fu proprio per cercare di dare un tetto a chi non avrebbe mai
potuto permetterselo che - nonostante numerosissimi contrasti - propose
un progetto innovativo per l’epoca: la città satellite. L’Isolotto - quartiere
residenziale sito nella periferia fiorentina - non fu un quartiere-dormitorio,
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bensì una città, un focolaio di civiltà e uno strumento efficace di vita associata. La costante preoccupazione di far del bene per il prossimo lo indusse
a realizzare idee semplici ma molto utili, come il “piano latte”: fu così che
un alimento fondamentale come il latte venne distribuito quotidianamente
gratis a tutti coloro i quali facevano parte delle classi sociali disagiate. Non
devono passare in secondo luogo tutte quelle azioni amministrative che destarono certo minor clamore, ma si rivelarono allo stesso modo importanti
per Firenze: tra le altre, la ricostruzione dei ponti distrutti dalla guerra e
lo sviluppo dell’edilizia scolastica. Pur non essendo stata oggetto d’esame
in questa sede, è fondamentale altresì sottolineare la funzione che La Pira
affidò a Firenze e le responsabilità che su di essa riversò: La Pira voleva
fare della città medicea la concretizzazione della Gerusalemme celeste. Il
capoluogo toscano doveva assumere la funzione di città dalla quale partivano messaggi di pace, di uguaglianza, di collaborazione tra le nazioni,
finalizzati ad unire le diverse città del mondo e con esse le nazioni tutte,
nell’utopico sogno di un futuro senza guerre e contrasti.
Sebbene La Pira abbia operato più di quarant’anni fa, la lungimiranza del suo pensiero lo rende ancora attuale: egli si batté infatti per realizzare
una società in cui la persona fosse al centro, dove l’individuo avesse dei
doveri ma soprattutto godesse di diritti, dove il singolo non venisse emarginato e dimenticato, dove anche lo straniero – ai suoi tempi, l’emigrato
meridionale trasferitosi a Firenze in cerca di lavoro – potesse trovare un
terreno fertile per la propria integrazione per il proprio sviluppo e progresso, per la realizzazione globale della propria persona, per il raggiungimento
della piena essenza della dignità umana.
Alla luce degli odierni fatti di cronaca, è evidente come lo sforzo di
La Pira sia rimasto isolato e non sia stato emulato. In una società in cui la
globalizzazione impone l’integrazione, la ghettizzazione di chi parla una
lingua diversa o professa un altro credo religioso è purtroppo ancora realtà, seppure in misura inferiore rispetto ai tempi passati. Il difficile percorso integrativo degli stranieri è causa anche di disordini sociali: non pochi
sono difatti i contrasti che gli stranieri hanno con la popolazione locale, in
un clima di crescente diffidenza nei confronti del “diverso” che rallenta l’integrazione sociale di individui che nel nostro sistema economico sono già
integrati (essendo tali soggetti impiegati in settori lavorativi nell’ambito dei
quali nessuno vuole più lavorare: agricoltura, allevamento, manovalanza, ecc.).
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La Pira si batté per la possibilità di dare a tutti un lavoro e di difendere il proprio impiego in accordo con il dettato dell’art. 4 della nostra Costituzione («La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e
promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto»). Egli si impegnò contro
le decisioni di una classe dirigente che troppo spesso badava ai propri interessi e tornaconti economici, senza dare spazio alle richieste e alle esigenze
dei lavoratori; la stessa classe dirigente che spesso non esitava a licenziare,
portando avanti solo logiche di profitto che non tenevano in considerazione i drammi sociali che tali logiche avrebbero provocato. Anche in questo
campo l’esempio di La Pira sembra non sia stato seguito da molti, sebbene
le condizioni dei lavoratori si siano evolute, garantendo loro una maggiore
tutela: la condizione lavorativa evidenzia alcune disparità tra datori di lavoro e lavoratori, nell’ambito delle quali, al di là delle giuste differenze tra
chi possiede e chi esegue una prestazione, mancano comunque misure atte
a garantire una parità economica, sociale e di forza contrattuale. Numerosi
sono i lavoratori posti in condizioni di dover accettare le direttive della
dirigenza, mancando a tutt’oggi quelle condizioni in grado di garantire
serenità e certezza retributiva per il futuro.
Alla luce di quanto detto, la società dinamica in cui viviamo si trova
di fronte a sfide che necessitano - perché si realizzi il bene comune - di
essere affrontate sia dalla collettività, sia dal singolo. Non bisogna temerle
- “il vero uomo è colui il quale riesce a trasformare le proprie paure in sfide” - ma occorre trasformare la paura dell’altro in una sfida per raggiungere l’integrazione, la paura dei conflitti lavorativi in una sfida per raggiungere l’equità
economica e il riconoscimento dei diritti di tutti gli attori sociali coinvolti.
A soluzioni giuste ed eque per tutti si può pervenire solo adottando quei
valori universali che sono stati la stella polare dell’agire lapiriano: amore,
giustizia e pace. Occorre dunque operare collettivamente per un effettivo
cambiamento, per creare una nuova società estranea a discriminazioni e
disparità.
Di questo impegno è conscio anche l’attuale Sindaco di Firenze Matteo Renzi - che, sempre riferendosi a La Pira, scrisse: «C’è una frase
bellissima di Edmond Rostand che era molto cara a La Pira: “Bisogna credere alla
luce nonostante la notte. E bisogna forzare l’aurora a nascere, credendoci”. Questo è il
compito che ci attende!”.
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BIBLIOGRAFIA
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Edizioni Polistampa, Firenze, 2010
PALLANTI G., Bloc notes fiorentino, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, 2007
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