L`emergere del positivo nelle avversità. Il patto col
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L`emergere del positivo nelle avversità. Il patto col
PRIMO CLASSIFICATO SEZIONE TESINA L’emergere del positivo nelle avversità. Il patto col fantasma di Charles Dickens di Roberto Lorenzini, Anna Rovere, Martina Vidoni della classe I A della Scuola Media Mons. Camillo di Gaspero, Tarcento (UD) Docente Referente: Prof. ssa Rieppi Sara Il tema fondamentale del racconto, profondamente collegato con l’emergere del positivo nelle avversità della vita, è scandito da una frase ripresa più volte nella narrazione: “Signore, conservate viva la mia memoria”, espressione che ne “sigilla” anche la conclusione. La frase stessa e l’intero racconto sono profondamente legati al tema dell’emergere del bene e del buono in situazioni negative e infelici. La figura che forse vive con maggior coscienza e amore la convinzione che da ogni fatto può emergere il bene è Milly: pur vivendo il grande dolore di non poter avere figli (all’inizio del racconto sembra possa esserci come causa un rapporto coniugale sterile, alla fine si scopre una realtà forse ancor più dolorosa, cioè che Milly ha avuto un figlio, nato morto), la donna “riversa” tutto l’amore che non ha potuto esprimere per una creatura “sua” verso gli altri (“Ha un cuore così materno”; “Non contenta di essere una specie di madre per tutti questi signorini”; “Proprio come una madre! E tutti gli studenti la considerano tale”; “La signora William non riuscirebbe a dirvi tutto quello che fa per quel poveretto nemmeno se restasse qui a parlare due anni di fila... Insomma, è come una madre per lui”). Come reazione a una grave perdita, invece della disperazione e della chiusura in se stessi, c’è da parte sua una completa donazione alle altre persone (l’anziano Philip, lo studente malato, il fanciullo senza nome segnato dalla vita). A riguardo pare significativo che l’amore che Milly nutre sempre per queste persone è indipendente da come ella venga ricambiata da esse: anche quando lo studente, “toccato” dal dono di Redlaw, la tratta con indifferenza e superiorità, non si scompone, non manifesta con violenza il suo stupore e la sua meraviglia, ma con lo stesso amore di prima continua a stare accanto al ragazzo, in maniera discreta e infaticabile. Milly è la persona che “guarisce” tutti i personaggi toccati dal perverso dono del fantasma; da parte loro tutti –e in particolare Redlaw nell’ultima parte del raccontola vogliono avere vicino, quasi fosse la Grazia fatta persona, in compagnia della quale ogni cambiamento pare possibile. D’altra parte pare interessante che Milly non sia una donna “colta” né “sapiente” secondo il giudizio mondano -come invece Redlaw, che tuttavia incappa in un errore e in una nebbia dello spirito che lo porteranno sulla via della morte, propria e altrui-; spesso Dickens lo sottolinea nel racconto (“Redlaw [...] si mise a camminarle al fianco appoggiandosi al suo braccio come se lui non fosse quella mente colta e sottile per la quale le meraviglie della natura erano un libro aperto e lei un’umile donnetta senza istruzione, ma piuttosto, scambiando le loro rispettive condizioni, come se lui fosse divenuto ignorante di tutto e lei dottissima”). Anche se “semplice” agli occhi del mondo, è lei la maestra che ha la sapienza della vita, la sapienza di Dio. Non pare un caso che il potere di Milly di contrastare il dono del fantasma -dono di cui è portatrice inconsapevole- si manifesti solo dopo che Redlaw si accorge del carattere negativo del dono stesso e dopo che si è pentito della sua richiesta al fantasma. Ci voleva prima il cambiamento o meglio il riconoscimento di Redlaw perché anche il potere di Milly si manifestasse. Ci voleva dunque il riconoscimento di ciò che è male e di ciò che è bene da parte del protagonista perché la Grazia si dispiegasse con tutti i suoi potenti effetti. Milly è l’unica (insieme al fanciullo senza nome) a non essere colpita dal dono del fantasma, perché Redlaw mostra sempre il desiderio di tenerla lontana da sé, per “preservare” la sua bontà e la sua innocenza (“-Non voglio trovarmi con lei, [...] il pensiero mi fa orrore. In lei c’è tanta soavità che non ho il cuore di turbarla con la mia influenza: rischierei di essere l’assassino di quella dolcezza e di quella bontà indicibili che hanno sede nel suo petto”). È insomma una donna dal grande cuore, strumento d’amore della Grazia. Anche la figura di Philip pare particolarmente positiva, seppur non immune dal dono del fantasma, che colpirà anche l’anziano personaggio verso la fine del racconto. Philip pare vivere fin da subito, fin dalle prime pagine della narrazione, quella serenità cui Redlaw giungerà solo alla fine della storia: per ben 4 volte il protagonista gli chiede insistentemente se i tanti anni vissuti dal vecchio sono stati tutti felici e lieti (“-Io ne ho ottantasette! [di anni]- -E sono stati tutti lieti e felici?chiese il chimico”; “-E sono stati tutti lieti e felici?- tornò a chiedere il chimico. -Lieti e felici, vecchio mio?-” “-Lieti e felici...- [...] –Lieti e felici e pretende di ricordarseli bene?-”; “-Lieti e felici,- mormorò Redlaw”), domanda martellante che perseguita il chimico e che pare sottintendere una sottile incredulità e un malcelato cinismo (“-La sua memoria si è indebolita con l’età [...]- disse Redlaw”; “-Lieti e felici- mormorò l’altro fissando sul vecchio curvo quei suoi occhi neri e sorridendo compassionevole”). Essa sembra attendersi una inevitabile risposta negativa, invece il vecchio risponde più volte che sì, la sua vita è stata felice (“-Sì, signore, tutti, tuttireplicò il vecchio; “-Sì, sì,- continuò il vecchio, [...] –Mi ricordo molto bene di quando andavo a scuola, tutti quegli anni uno dopo l’altro, e l’allegria che li ha accompagnati tutti [...]”), prima di perdesi in alcuni allegri ricordi infantili. Il lettore, per il momento, non sa nulla di Philip e può immaginare che effettivamente la sua vita sia stata piena di momenti gioiosi e, nel complesso, positiva ma procedendo con la lettura, quante sventure si scopre invece aver vissuto il vecchio! Sua madre è morta malata quando era ancora piccolo, proprio durante le feste di Natale (“[...] per quanto non possa ricordare il suo volto benedetto: cadde malata e morì proprio durante quelle feste”), dei figlio che ha avuto alcuni sono già morti prima di lui (“In molti se ne sono già andati, e se n’è andata anche lei (la moglie)”) mentre uno ancora vivo, George, ha vissuto una vita misera e infamante (“Mio figlio George [...] è caduto molto, molto in basso”). Anche la moglie è morta da tempo (“Allora la signorina e la mia povera moglie intavolarono un discorso [...] (com’è strano adesso pensare alle parole che si dissero le poverette, così lontane all’apparenza da quella morte che ben presto doveva venire a reclamarle!) [...]”). Ma questo vecchio non pare disperato né infelice, vive un positivo nelle avversità, ci pare fin da subito una figura solida e serena, che ha trascorso la vita con letizia, anche perché ha vicino il figlio William e Milly, che gli vogliono un gran bene. La stessa misericordia che anima Milly rispetto allo studente colpito dal dono del fantasma sembra toccare il vecchio rispetto al figlio George, che soccorre e da cui va immediatamente, quando scopre che è in punto di morte, dimentico di tutti i dolori causatigli dal figlio stesso. Positiva, almeno fino all’arrivo di Redlaw e quindi del dono del fantasma, è anche la sgangherata famiglia Tetterby. Con grande pace vivono una situazione economica per lo meno difficile: 8 figli -7 più la colossale Sarah “Moloch”- (“C’era un formicaio di bambini”; “Tante bocche che mi aspettavano a casa”, “Noi siamo poveri, e qui ci sono molte bocche”), il cibo che scarseggia (“Su quell’osso di porco ci sarebbe potuta essere una dose maggiore di carne, ed era evidente che altri clienti erano già stati mandati a casa felici con porzioni di quel taglio”; “Anche il pasticcio di piselli, se è vero che non contenevano un briciolo di porco, gli erano però stati vicini”), le difficoltà della vita (“I tempi difficili, la stagione dura, il lavoro pesante”; “Avevo dovuto fare tanti e tali calcoli di poter spendere due soldi per la sciocchezza più volgare, e la mia busta era così ampia ma così poco fornita, e a avevo così poco in tasca...”), la casa piccola (“In una piccola stanza a pianterreno”; “Le tre paia di occhi nei due letti”). In realtà incontriamo la padrona di casa proprio in un momento di riflessione seria sulla sua vita e le sue scelte, piena di rimorsi e tormentata da rimpianti malcelati, che la avvicinano per certi aspetti alla posizione umana di Redlaw, pur fin da subito più “radicale”. La signora aveva avuto la possibilità, da giovane, di sposare uomini ben più illustri, ricchi e famosi del signor Tetterby che, come è evidente, non riesce a garantirle neanche quei piccoli piaceri che lei immagina possano riempirle per un momento la vita. Ma dopo un momento di tristezza e afflizione, che la donna prova ripensando alle “occasioni perdute” della sua giovinezza (“Non ho potuto astenermi, [...] dal mormorare contro la nostra sorte”), ella ritrova le ragioni delle sue scelte e manifesta con affetto maggiore di prima il suo amore per il marito (“La signora Tetterby gli diede un bacio di ringraziamento”; “Mio buono, gentile, paziente compagno! Però sappi che non appena mi sono trovata qui in casa i miei pensieri sono mutati, e come!”; “[...] e mi son detta [...] <Come ho potuto comportarmi così, Adolphus mio? Come ho avuto il cuore di farlo?>”). La sua scelta giovanile di sposare Adolphus non è stata irragionevole e, nonostante le difficoltà e la povertà, Sophie è stata felice: Dickens sottolinea come la felicità non sia legata al denaro, come tra questi due elementi non esista un collegamento univoco, come essi non siano direttamente dipendenti. Tratteggiando questa famiglia povera ma felice Dickens sembra dirci che il denaro non centra con la felicità, come fa anche in altri racconti. Tra i due coniugi il signor Tetterby, che pure vive le stesse difficoltà materiali della moglie, pare più sicuro e certo della bontà della sua vita, indipendente dalle circostanze più o meno positive che si trova ad affrontare. Dickens sembra dirci con questi personaggi che le situazioni non sono cattive in se stesse, ma è il modo di affrontarle che è la chiave della felicità. I due coniugi vivono la medesima situazione, è l’atteggiamento che hanno di fronte ad essa che è diverso e che li rende più (il signor Tetterby) o meno (la signora) felici. Non è dunque la situazione che è diversa ma lo è il modo in cui la vivono. Non sono le difficoltà in sé ad essere negative, dipende dal modo in cui le si affronta. C’è chi le vive con gioia e serenità e chi con fatica e amarezza. L’amore riaffermato di Sophie per il marito è come bloccato nel suo manifestarsi dall’apparizione di Redlaw (“Che cos’è questa cosa che s’invola? [...] Sentirmi male? No, sto benissimo, a perfezione,- e restò immobile con gli occhi al suolo, ma senza guardarlo”; “La moglie di Tetterby era ancora là, fissa nel medesimo posto e tutta presa a girarsi e rigirarsi l’anello sul dito”), che getta nella solitudine spirituale e nello sconforto più totale i due. Solo Milly, a fine racconto, riporterà la pace nell’allegra e vitale famiglia (“-Sta arrivando, la signora William è per strada- [...] La signora Tetterby mise subito giù la sua tazza, e lo stesso fece suo marito [...]. La faccia gli si fece benigna e sfavillante, e così pure quella della moglie”; “Che Dio benedica sempre la nostra casa e tutto ciò che ne fa parte, Adolphus mio!”). Molto sintetica ma significativa è anche la comparsa di George nel racconto; “figliol prodigo” di Philip, lo ritroviamo morente nella squallida stanza dove alloggia. È ammalato, ha fatta una brutta vita, si trova in punto di morte eppure viene perdonato e soccorso dal padre anziano che gli vuole bene nonostante tutto. Anche lui, pur nella avversità della vita, sta morendo bene (“Papà [...] Ma c’è speranza per me dopo questo letto? –Sì, che c’è,- rispose il vecchio, - c’è speranza per tutti quelli che si rivolgono a Dio con amore e pentimento...”; “-Ah,- disse sospirando il malato, -che spreco ho fatto della mia vita dopo di allora, che orribile spreco!”). Come Philip e come suo fratello William, anche George è colto dal cambiamento portato da Redlaw, che lo getta in una indifferente ostinazione e poi dalla provvidenziale interruzione del ‘sortilegio’ attuata da Milly. Anche il personaggio dello studente, fino a che è soccorso amorevolmente da Milly (“[...] e del resto non posso dire di essere stato tutto solo durante questa malattia, perché dimenticherei la mano pietosa che mi è stata intorno instancabile.”), pur vivendo una vita misera e una situazione negativa di malattia, povertà, indigenza (“Però so che è povero, solo e forse troppo abbandonato dai suoi”), è contento, lieto (“-La mia buona infermiera?- disse la voce. -Ma è inutile chiederlo: non c’è nessun altro che si dia pensiero per me... Il suono di questa voce era lieto, per quanto debole”). Il suo modo di stare davanti alla malattia cambia quando arriva Redlaw e la situazione negativa sarà risolta dalla provvidenziale Milly. Infine, emblematico per il cammino che compie, dalla richiesta della dimenticanza (“-Lasciatemela dimenticare!- [...] -Lascia che la cancelli dalla mia memoria”; “Così la memoria è la maledizione della mia vita, e se potessi dimenticare, oh, come lo vorrei!”; “-Se potessi dimenticare quel dolore e quell’offesa, io lo vorrei! [...] Sì, lo vorrei se potessi!”; “Sì, voglio dimenticare il mio dolore, i torti, ogni affanno!”) al riconoscimento dell’esigenza di ricordare tutto (e quindi di tener presente tutti gli aspetti della vita, senza eliminarne nessuno), è il personaggio del chimico. All’inizio della storia vuole perdere i propri ricordi negativi, poi si accorge grazie a Milly che anche questi, insieme alle avversità che ha vissuto nella vita, hanno al loro interno del bene, hanno un positivo. Il suo è un cammino di ‘conversione’ da un atteggiamento negativo iniziale a uno positivo finale. Il chimico capisce ad un certo punto che nelle avversità della storia, propria e di tutti, c’è del bene e che perdere i ricordi dei fatti negativi fa perdere il bene che in essi è presente. Il motivo per ricordare i torti subiti è, “se non altro” -come rivela Milly in uno dei passi più alti del racconto- per poter poi perdonare chi li ha causati e così in qualche modo godere della pace che solo la bontà di Dio provoca nel cuore umano, Dio che per primo è sempre misericordioso verso i suoi figli (“-[...] Vorrei però chiedervi il permesso di dirvi per quale motivo potersi ricordare i torti che ci sono stati fatti mi sembra una cosa molto buona. -Dite Milly. -Per poterli perdonare. -Gran Dio, [...] gran Dio, è vero! Perdonami l’enormità di aver respinto a quel modo il tuo attributo più sublime”). Forse anche Dickens, segnato nella sua infanzia da episodi tanto dolorosi e tristi, ha provato il desiderio di dimenticare i momenti negativi vissuti? Probabilmente sì (non lo proviamo tutti?). Ma, come i suoi personaggi, grazie all’azione della Grazia (impersonata dalla Milly del racconto) ha compreso che il dolore innocente fa capire il senso della vita (“[...] senza qualche disagio e qualche dolore non si scoprirebbe mai la metà del buono che esiste intorno a noi”). Che possa questo succedere anche a noi.