tiziano broggiato citta` alla fine del mondo

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tiziano broggiato citta` alla fine del mondo
TIZIANO BROGGIATO CITTA’ ALLA FINE DEL MONDO
Sempre diverse sono le acque dei fiumi in cui ci bagniamo. (Eraclito)
I
La casa del poeta Si scendeva per una scala ripida verso la cucina e da lì (in pieno centro, tra i grattacieli) al suo orgoglio: un giardinetto interno con la tavola già apparecchiata per la cena. Ma il sancta sanctorum (i libri, le carte dei lavori in corso, la collezione di radioline…) era di sopra, al primo piano: giravano leggende di ingresso riservato a davvero pochi sodali, di filtri efficacissimi (segreterie telefoniche, dinieghi con voci artefatte…).
Al balletto Si alza con un guizzo il corpo da terra. Riprecipita. Poi si allunga, bianco e improvviso, sulle assi del palco. Alza la testa Si riporta, lentissimamente, eretto. Una rincorsa breve, un balzo: la spaccata perfetta che fa trattenere il fiato. Che fa mormorare: “Nemmeno dopo anni di esercizio… “Nemmeno nell’età migliore…
Fiori per un matrimonio Spuntavano da sopra le teste i similori dei candelabri e la schiera dei vasi di garofani bianchi. ­ Così nobili – si sarebbe commentato poi nell’intervallo del Ronzani. ­ Così algidi ­.
Alberghi A qualsiasi latitudine, nel silenzio ininterrotto delle camere, si sgranano preziose ore di concentrazione. Nessuno sa quanti interamente le possiedano.
II
I primi ritorni Nell’incipiente oscurità della sera è così rassicurante, oltrepassata la vetrina d’angolo della boulangerie, trovarsi in rue Vasco De Gama dove c’è la nostra casa. Ci scopriamo all’improvviso più distesi e rallentiamo perfino il passo, animando la discussione con rinnovato vigore. Nel frattempo si butta l’occhio sui numeri sopra i portoni cercando l’11, ma certi, ormai, appagati, dello scontato esito finale.
* E’ notte e fa caldo nel piccolo appartamento al quarto piano. Affacciandomi alla finestra in cerca di refrigerio, osservo l’infinita pazienza con cui un ebour scova le sue reliquie tra le auto in sosta. In lontananza, il profilo del Sacre Coeur sembra un busto di donna con un nastro intrecciato tra i capelli.
Sosta sul ponte Mirabeau E’ la stessa Senna silenziosa che accolse l’urgenza delle tue ombre nel suo pietoso grembo quella che adesso scorre sotto di me, sotto questa campata legata indissolubilmente al tuo nome, Paul Celan. Trentaquattro anni dopo, un equipaggio di vogatori dalla canotta bianca, sfila veloce senza nemmeno alzare lo sguardo. “Sans paix” è il nome impresso sulla prua della barca.
Louvre E’ qui, ne sono certo, sulla sommità della gradinata che introduce al pavillon Denon, che Eurinome, assunta la forma di colomba, depose l’uovo universale della bellezza.
Parigi al crepuscolo Mentre il taxi mi trasporta veloce verso il centro della città, non è solo una voce telefonica quella che viene a informarsi se il volo è stato puntuale e se a Orly ho avuto subito il bagaglio. E’ quel “mi manchi” sussurrato appena che interrompe il mio stato di estasi osservatoria, che la fa all’improvviso diventare una voce importante, una di quelle voci che non chiedono mai niente, ma che finiscono per farti fare tutto quanto credi che vogliano.
6, Place des Vosges – Maison de Victor Hugo Si è oscurato in pochi istanti il pomeriggio sulla piazza dei gerani parigini. Un quadrilatero perfetto, una bella storia da smarrirci, noi lì, ancora con mezzo panino in mano, a seguirne l’origine sulla piantina. ­ C’è una parete bianca, anonima, che depista gli inopportuni ­ mi informasti quasi con circospezione. Ci siamo alzati dalla panchina che ormai pioveva fitto: sotto i portici, con noi, per il vento confluiva tutta la polvere della vicina Bastille. Qualcuno si aggirava ancora in cerca di un riferimento: ­ Number six, please? – L’hai scorto tu per prima l’ingresso semicelato dagli alti oleandri. Chissà se è stata gelosia, la nostra, nel guardarci attorno prima di entrare. Forse desideravamo essere gli unici ad aver individuato la targa decisiva. Gli unici ad aver intuito la reale provenienza del suono.
III
Messalina Cercava un testimone, qualcuno da implicare, con lei, nella congiura. Chiedeva, in fondo, solo una voce, uno che mandasse a memoria ordito e abiura.
* Mentre le stelle crescono alla finestra e un’interminabile luna rischiara la direzione, lei, di fuori, scruta attentamente le orme fresche impresse nella neve. Inquietanti, così prossime alla casa. Nel pieno novero della zona morta. “Chi è passato che noi non sappiamo?”
Dalla confessione dell’omicida … lei non può capire il senso di onnipotenza che ho provato mentre le tenevo la testa sott’acqua. Mentre percepivo distintamente la sua vita che la lasciava.
* E’ una boccata d’etere la speranza: ti fa sentire più leggero e ilare per un niente. Ti fa sentire già a domani. Ti anestetizza la mente.
* Armeggiava con biglie e bicchieri sul fondotavolo lanciando, di tanto in tanto, occhiate di fuoco alle etichette riservate, quello che alla fine sbottò: ­ Avete un bel dire, voi, che c’è un canone comune e che a volersi bene è facile. Ma è da chi sta peggio, sapete, che si impara a campare ­.
* Al nostro entusiasmo per il fuoriprogramma dell’ospite lì, nella terrazza ancora plaudente, oppose tutto il suo veleno la vicina: ­ Lo conosco, io. Suona bene il piano, ma è semianalfabeta ­ .
Nell’ora intermedia all’Hotel Du Lac Chissà che cosa sarà stato a turbarlo così, quello che ci svegliò nel cuore della notte (si capì solo, nelle varie fasi “regole disattese” “titolo imposto” e poi, con maggiore veemenza “le ricevute… le ricevute…”) imprecando ad alta voce lungo il corridoio.
* Eh si che contano gli incoraggiamenti, la versione addolcita delle cose nello scarto decisivo, quando si giunge al punto in cui si è costretti a scegliere tra sublimazione e abbandono (rinvenivo sul terzo assoluto, ne rilevavo, a quel punto distintamente, il balzo rallentato dei muscoli della schiena, ma anche per me, ormai, si trattava di una questione di istanti: lo schianto, la deflagrazione definitiva. Eppure c’era quella voce a incitarmi, lì, a dirmi – Puoi farcela. Vedi c’è ancora un’ora di luce… Puoi farcela…)
La visita a M. C. Mi accoglie con il suo sorriso da ragazzo e il noto sguardo luciferino. Dalle vetrate dell’appartamento spiove una bella luce colorata sulle librerie ordinate e sullo scorrere calmo della sua voce. Mi godo le sue dissertazioni e i precisi consigli che annoto mentalmente come in un travaso d’armi tra consanguinei. Spunta anche la Gigia dalla cucina: scruta incuriosita l’ospite per poi tornare soddisfatta alle sue cose. ­ E’ malata – confida l’amico ­ ma molto dignitosa. Cerco di non interferire, di assecondarne, al massimo, qualche sfizio… Ma è per il momento del commiato il dono, la confessione da fratello: ­ Piango ancora, sai, qualche volta. Per le mie cose. Gioie o avversità non ha importanza. Piango un poco, da solo, e mi fa stare bene ­. Non sa quanto, anche di questo, io me ne vada grato.
Versi per la buona terra Eppure ti ho amata come una nutrice e in ogni mio viaggio ho raccolto lembi dalle tue fratture. Si dice che stai per soffocare e ti ribelli ai soprusi subiti con invereconda ira. Io non credo che l’umana pochezza arrechi tanto danno al tuo immenso vorticare. Sorniona, tu invece sai che è il ciclo femminile ad alterarti i battiti con estreme polluzioni. Così, in fondo, si tratterà di attenderne la fine per ritrovare le tue arcuate stagioni, per riconoscerci nella crudeltà delle loro veloci migrazioni.
IV
* Mi vengono incontro come ombre, come figure di un ordine sospeso tra la nebbia spessa di questa vigilia di Natale, passanti solo a me visibili, sagome che sembrano uscite dai cancelli del breve interregno. E’ sera di commiati questa, e l’odore dei fuochi invernali ravviva l’intimo rammarico per un’altra stagione dissipata e spergiura. Viale Eretenio, forse (ma non ha importanza): qui aspettiamo che ci liberi il coro degli uccelli a mezzanotte.
* E’ un uomo sconfitto quello che a capo scoperto, nonostante la pioggia battente, si è fermato sul ponte a fissare invaghito la piena del fiume. Gli rimugina da giorni quell’idea: che il diluvio può accadere così rapido da perderci la testa. Così si ritrova a contare i secondi che scandiscono il buio, a chiedersi se esiste (se è mai esistita) una tregua tra ciò che è passato e la vita, se è vita il futuro.
Il tradimento Fermo sul ciglio della strada col motore dell’auto acceso e attorno i resti di un pasto, l’uomo sta pensando a se stesso come all’ombra di un uomo. Adesso ne è certo: aveva una luce maligna il crepuscolo mentre lui rientrava in anticipo. Con troppo anticipo, forse, già presago della sconfitta.
* Non avevo mai pensato di possedere la sua forza, né il timbro della sua voce che da sola riempiva una stanza. Glielo chiesi un giorno se per me ci sarebbe mai stata almeno una speranza. ­ C’è ancora troppa acqua nei tuoi occhi ­ fu la sua risposta – Devi smetterla con tutti quei sorrisi accondiscendenti ­ .
* Avrei dovuto interpretarlo subito il monito di quelle allusioni: tutte le cose riposte nel loro ordine preciso. Nulla lasciato al caso. Si percepiva, chiaro, un senso di minacciosa compiutezza (mi ritrovai a pensare a un profilo di città immobile, senza gru e senza il fervore di sbarramenti e deviazioni per lavori in corso). Solo in un tardivo scoppio di luce mi si è rivelato ciò che era così semplice da capire: tutto in quelle stanze era stato lasciato come fosse per sempre.
A “Casa del vento” ­ Quello dei colloqui più lunghi, quello, sai, che nel sempiterno esercizio del male sembrava un predestinato, dicono che la notte scorsa gridasse, come un ebete “mi lascio… mi lascio…”. Poi, stamattina, ha finalmente potuto godere del beneficio della morte.
Altopiano Dall’orrido sale una bruma coriacea, inarrestabile. Tutt’intorno un tappeto di fiori dal nome bellissimo: godezie.
Persona cara Tutta la tua vita si annida nell’umido accorgersi degli occhi che l’esercizio del male dilaga. Qualunque sia il proposito, fa che abbia termine l’inutile fuga.
A mio figlio che se ne va a vivere in Austria Si è chiuso la porta alle spalle per entrare nel sonno. Residui commenti, poco prima, e un saluto breve: domani all’alba sarà già partito. In poche righe gli lascio il mio adempimento alla commozione sottratta agli uomini: “Ci rivediamo il giorno del tuo compleanno. A metà strada, come hai deciso. Ma fammi sapere, per tempo, se sarà a Chiusa, oppure a Bolzano.”
* a P. L. Sono rimasto per ore a fissare il moto perpetuo di questa galassia in cui non si sa più se esiste una luce superstite, di fiaccole, tra tutte quelle che ne accendono i vetri degli argini altissimi e dove il sibilo dei lemuri rende intrasportabile perfino la voce. Ma davvero si può sentire propria, anche per un solo momento, una città straniera che riesce a rendere indistinguibili crepuscoli e aurore? (“E fu sera e fu mattina ma ovunque pareva giorno”). Così riflettevo, insonne, dietro le vetrate del Chiba Hotel di Tokyo in una notte piena di vento.
* L’ho raggiunta, col pensiero, mentre schermava la luce. Ho così solo intravisto il suo sorriso ostile, l’aria, nemmeno dissimulata, da persecutrice. Nulla da aggiungere, in ogni caso, da parte mia: in quella preistoria di accadimenti anche lei mi è sembrata più distante, risucchiata forse in una sua scia propizia.
* La stradina s’inerpicava tra la boscaglia in direzione dei Gorghi scuri. “ Per il ritorno – consigliava il cartello – prevedere l’ultima luce ”.
Dicembre Mugola, dentro la nebbia, l’arcangelo che mi accompagna. Si va verso il freddo, insieme, con una grande stanchezza. Ma un suono di monete, in tasca, ci ricorda di camminare in fretta.
* La ragazza sfortunata che nell’autobus tenta di parlare all’autista emettendo solo acuti stridii, mi fa pensare a un grosso uccello migratore che accavalla le parole per la gioia del ritorno. Ma lo sguardo indispettito, e poi pietoso del suo interlocutore, non le provocheranno nostalgia per il paese straniero appena lasciato? Così che in nessuno dei due luoghi riconoscerà più la sua casa.
V
Raccontava I Ritornati dalla disastrosa campagna, ci rendemmo conto di avere bisogno di tutto: di un riparo caldo, vestiti… E di giovani donne senza memoria. II Nessuno era caduto sulla strada del ritorno. Non c’erano prove a suffragare tutte quelle maldicenze. L’ansa del fiume era stata ripulita: vi crescevano ora, a migliaia, gli iris gialli. E anche il dolore si era fatto più maturo.
III
Dopo il commiato, venne la luce frettolosa di Dicembre. E noi lì, ancora con le mani incrociate sulla schiena, come a celare prove indelebili. Prove lunghe secoli.
Dopo aver letto “De Aquae Sextiae proelio” Di notte, nella camera d’hotel, un chiarore di luna filtra dalla persiana. Immagino sia una luce di fuochi, accesi all’esterno, per vegliare il mio sonno. Così mi addormento sereno: ut dux Caius Marius ad vigilis suis defensus ante bellum.
* Quasi non se ne rende conto, non ci dà peso subito e anzi, a malincuore, ma perfino approva. E’ dopo, quando è solo e ci riflette, che il senso della frase lo frastorna, gli insinua il dubbio che anche quella storia non sia più così sicura. Eppure, era stata proprio lei quel pomeriggio, sul prato a chiedergli: ­ Perché continuiamo a restare abbracciati con questo caldo atroce? ­
Sala d’aspetto In tutti gli occhi vedo nostalgia o speranza. La vera forca, a questo punto, è l’inconsistenza del presente. Così il tempo, in apnea, si riappropria di se stesso.
* Dovevo assolutamente oltrepassare quella donna appena scesa dal tram. Dovevo distanziare subito quel suo sguardo scuro, il malessere che mi aveva provocato. Ne avevo avuto la certezza fulminea: lei era la Morte.
* Lo capirebbero gli altri, gli amici convenuti che chiedono con insistenza: “Raccontaci, dai, del tuo viaggio, della rivisitazione” se dicessi loro che il diario di quei giorni è fermo nella struggente aria che mi fece entrare nel minuscolo bistrot, in quel tempietto di ance e sfere in cui un vecchio fisarmonicista, dondolando la testa e a occhi chiusi, dava voce al suo strumento con dita abilissime, con movenze da sciamano? Lo capirebbero che là dentro c’ero solo io con le pulsazioni e i graffi che quel mantice inarcato stava evocando? No, non potrebbero capire che il nome che stringevo nella mano e che sillabavo nel trasporto della musica, mi stava dicendo che per tanto tempo ancora avrebbe continuato a tormentarmi: Jean­ni­ne… Jean­ni­ne… Che solo al ritorno, guardando dall’oblò, ho avuto un sussulto di remota amarezza: “Au revoir Musèe d’Orsay… Au revoir Touileries…
In vetta al Picco di Vallandro / Durrenstein (mt. 2839) Val Pusteria – Alto Adige Sibilano i gracchi in picchiata come pallottole di cecchini, mentre mi metto in posa, ai piedi della croce, per il grinzoso escursionista austriaco che senza entusiasmo ha accettato il mio invito. Non sarà che il suo ghigno gli è dettato dall’ immaginarmi inquadrato, anziché nel mirino della Konika, in quello di un nostalgico Sharpnel del tempo suo?
VI All’amore di tutto il mio tempo per le sue troppo esposte ferite.
Museo egizio Si consideravano le varie opportunità. Perduta di vista la guida, si trattava di scegliere tra l’intrico dei corridoi e l’esposizione della nostra assenza. Nella stanza, in cui ristagnava un forte odore di legno, cedro forse, e di urina, tutto si svolgeva come in un gioco dove si cercava di attribuire a ognuno somiglianze con le statue funerarie. Solo verso l’imbrunire, il timore di alcuni divenne reale: “ Torichte anleitung” Ma si rimaneva lì, sprofondati nel pavimento, come smarrite pedine del grande occhio sovrastante.
Conversando con Sylvia, in una fresca notte di fine Agosto. ­ Confido in un cambio del respiro, in una decisa svolta degli accadimenti. In un nuovo e propizio sottovento che inverta la regola e mi conceda di scalare le pareti di un buio durato troppi anni. – ­ Lo ritenevi, sapevo, uno stato ineluttabile. ­ ­ Stavo lì, come una condannata, senza trovare parole. Ma superata l’età dell’urgenza e il distacco provocato da un marito fedifrago, ho individuato lo spazio per virare, per desiderare di rimettermi in gioco verificando se ero davvero andata così lontano da non potere più tornare indietro. – ­ C’è un filo che pende dalla tua mano. ­ ­ Con la solitudine, sai, ho imparato che la nebbia apre porte miracolose: così ho attraversato città remote o rimaste nella memoria soltanto perché ne fosse consentita la rivisitazione. ./.
Piazze e strade assumono altri nomi, sembianze gloriose che riscaldano le pietre del cammino, e che permettono finalmente di ascoltare il suono del tempo che passa. – ­ Quel filo, dicevo… ­ ­ Ho atteso a lungo che qualcosa di più grande dei miei sogni accadesse. Sto cercando un nuovo assetto, è vero, ma da guardiana dei miei sogni non posso in un istante annullare la zona d’ombra della porta che mi accingo a oltrepassare. Mi riservo una via di fuga sicura, una matassa da poter riannodare... – ­ … e che ti riconsegnerebbe all’ascia affilata che hai tenuto finora dietro le spalle. – ­ Nella mia vita ho tanto atteso, senza fare domande. Sono giunta anche a credere che si può morire come un premio. Ma ora qui, col favore del buio ti dico che nessun’altra veste bianca segnerà più me, né la mia discendenza. Che non sarà il veleno di un altro ago luccicante a determinare ./.
la mia seconda morte.­ ­ Non ti biasimo. Credo possa diventare insopportabile, a un certo punto, il dolore.­ ­ O farsi invocazione, come un nutrimento. Si dice che chi trattiene troppo a lungo la luce, ne rimane lui stesso accecato. O che chi avverte l’afflato che incrina il ghiaccio, ha il destino segnato. Io invece desidero lo strappo deciso, il gesto rapido della cometa che fa mancare il fiato. E lo cerco soprattutto nei giorni di festa, quando le alte temperature del buio raggiungono l’acme. Anche adesso, in questa notte insidiosa in cui sono finalmente riuscita a parlare, ne avverto il bisogno.­ ­ Ti alzi. E’ tardi. Ma dimmi, prima di accomiatarci, la tua pena ha mai trovato tregua nella preghiera ?­ ­ “Portate i tamburi e suonate. Suonate e suonate” incita l’arcangelo nell’Apocalisse. E io che li ho uditi a lungo quei tamburi ./.
nell’insonnia di notti trascorse a respingere la discesa della tenebra sul riposo dei miei figli, ti confesso che ho visto accendersi le stelle più fredde dei cieli, prima di avvertirne il bisogno. Ma ho avuto momenti di bene attraverso la sua frequentazione. Ne ho avuto serenità come se un vento lieve mi passasse vicino. Si, ne ho avuto benefici, è vero, e (sottovoce) molte miglia in più da percorrere prima di poter dormire.­ Note: La Sylvia del titolo è, idealmente, la Plath. Gli ultimi due versi del testo sono tratti da Robert Frost.
* Parlava della sua vita come se fosse sempre stata collocata tra due candele. E quel suo motto, ostentato fino alla noia: “ I vecchi soldati non muoiono mai “. Chissà se ora è davvero andato così lontano da non potere più tornare indietro.
* E’ quando riesce a vedere un sole bianco anche attraverso basse nubi e avvertire che aumentano le acque mentre la luce riposa che uno capisce che il suo luogo è quello. Per sempre.
Quadri milanesi I Sa di imboscata, di intima convocazione inaspettata, la faccia mesta che Milano mi presenta all’uscita metro Lanza. C’è sentore di spettri nell’aria, di voti inadempiuti ai suoi tanti santi e di memorie dolenti per tutto quello che non è accaduto e che avrei voluto ( viverci, si, dai trent’anni ). II Via Manin: in una delle sue tante mattine senza luce, è qui, dove gli androni adesso sembrano trappole, che ho conosciuto la sposa bambina, la mia iniziatrice. ­ C’è una distanza da colmare – mi incitava ­ E il pedaggio da pagare è un’ intera vita ­ Ma in verità sapevamo bene entrambi che nessuna sponda ci avrebbe mai potuto contenere tutti.
III
Piazza Lima: scivola, nella pioggia, la luce di un tram con tutte le sue facce stipate dietro il vapore dei vetri. Sembrano i prigionieri di una città caduta. Chissà quante volte anche loro, come una nave rimasta senza vele, né rematori, si saranno trovati a invocare una gran tempesta che li liberi dalla bonaccia e li spinga in una corrente, verso riva o contro gli scogli e il desiderio di prendere ancora il mare. IV
Resti di pasti, ossa, lungo i portici di via Vittor Pisani. Nel ciclo degli eventi, tra poco qualcuno pulirà preparando il piano per nuovi banchettanti. Tutto tornerà normale. Ne sono certo: tutto sembrerà, come se io ci fossi sempre stato, nell’identica posizione.
VII
* Le Havre in un silenzio immobile alle prime luci dell’alba, con la macchia grigia e calma delle nuvole in avvicinamento dal mare. Una sirena lancia il suo lamento solitario nel porto: segnerà il risveglio o il propagarsi si altri allarmi? ­ E’ ancora presto. Perché non torni a letto ?­ mi sorprende il suo sussurro. Ma indugio, non mi muovo dallo spiraglio di tenda: al di là ora posso ammirare il re delle tempeste che ha preso a lavorare forte di ocra e biacca nel tumulto del cielo, intanto che un lampo schiara la linea simmetrica dei condomini giù, fino alle cupole nere del Musée Malraux. ­ Tra poco pioverà – le confido. E mi pare una scusa, mentre la vista s’increspa nel semibuio, per non rivelarle il segreto. “Il re delle tempeste”, così Corot definì Eugène Boudin ( Honfleur, 1824 – Deauville 1898 ), per la sua abilità nel dipingere il movimento delle nuvole, sviluppata soprattutto durante i suoi lunghi soggiorni a Le Havre.
* Volendo, potrei non ricordarmi quale periferia sto attraversando. Potrei fare lo smemorato, immedesimarmi a piacere nel primo nome che mi passa per la mente, rincorrere una piantina di città assoluta o riscoperta in un lembo di memoria. Mi verrebbe bene anche fare il mentecatto, come quello che all’uscita del bar mi apostrofa “ Tu, si tu che sembri saperne molto. Mi spieghi come fa il dolore a entrare nel corpo? “ Poi i vetri rotti, quell’aria da resa dei conti. A me hanno sempre provocato ansia, e malessere, le periferie.
Parola mancante Si rigenera nel silenzio, nella metamorfosi delle sue regole, l’appuntamento. Perché perseguita, la parola mancante, irrita l’incapacità di circoscriverla. Diventa un pensiero fisso, di pena e sgomento, non riuscire a carpirla. Lei è lì, prona nel suo nascondiglio e si fa beffe dell’appostamento. A volte sembra di intuirne il muso, di poterla sorprendere attirandola all’aperto, ma al momento buono non se ne riconosce più il fiato. Andrà avanti così, come di consueto, finché non sarà lei a decidere di mostrarsi, preziosa e compiuta, pronta per l’innesto.
* Si avverte l’urto della montagna quando le voci si allungano e la cadenza del respiro regola la velocità del sangue. C’è una dignità da preservare (… il fruscio della giacca tecnica che provoca la sensazione di camminare sulle assi di una chiglia di nave rovesciata).
Disorientamento La tempesta che si annuncia ha oscurato il fisso sole d’Ottobre. Dalle stanze calde escono lacerti di voci e risa. Abbiamo deposto pietre su ogni tumulo che abbiamo incontrato. Deponiamo pietre ovunque, lungo il cammino. Tra poco la pioggia ne laverà le impronte: chiunque potrà proclamarsi tamburino.
* Preclusa ogni via di fuga e la possibilità di aiuto da improvvisi alleati. Tutte le sue forze, a quel punto, erano in campo.
* Niente più di quanto le ho già fatto osservare potrebbe distoglierlo dalle sue fissazioni. Ci sono giocolieri di parole che s’incrinano alla distanza, ma anche sul breve, a volte, mancano la presa.
Madre di Sparta ­ Hai venduto narcisi all’angolo della strada e mi hai prontamente consegnato l’oro riscosso. E’ stata una buona prova di umiltà, figlio, dopo quella altrettanto dura dei tre corpo a corpo consecutivi. Mi rasserena il tuo sguardo consapevole, la determinazione con cui ti appresti a compiere l’atto sublime per cui sei nato: va, la battaglia ti attende. Ti rivedrò, è stabilito. Io ti rivedrò, al ritorno, con lo scudo o sopra di esso ­.
Patagonia Avrei voluto raggiungere la terra eletta dei predoni coprendo distanze assolute, forare a gran colpi d’ala quel cielo eburneo che prometteva di calare di colpo sulla città alla fine del mondo, lambirne il ghiaccio incurante di non avere nemmeno la certezza di poter fare ritorno. Ma in quella luce schierata di Ottobre ci separammo nella discesa imboccando vie opposte, percorrendo margini imprevisti. Poi, foriero di risvegliate angosce, anche il mugolio del vento dilagò nelle camere mantenendoci a una distanza costante, nell’identica oscurità di ovunque: come là fuori, noi inizio e termine di una pianura senza riferimento.
* E’ ritornato il copiatore di foglie: ­ Ho esaurito i miei sogni. Sono stato in tutte le città alla fine del mondo. ­
* Rivelatore fu il cencio usato per lavare la ferita, la sua ostentazione affinché se ne potesse poi parlare come di un’immolazione. Avrebbe potuto continuare a lungo in quel galleggiamento astuto alternando confidenze a intimidazioni. Né era sfuggito, al suo compiacimento, l’esito dei nomi combinati ( nei vari aneddoti: Intermaier, Labrador, Guado ) ormai diventati di uso comune. “ Un manipolatore di storie minime, un pavido, in fondo, la cui rendita era sostenuta da una feroce determinazione”.
VIII
Figurandosi l’arrivo nella terra dei morti (da un “avvicinamento” Hopi) Il sentiero attraversa la foresta. Sui cespugli sono sparsi gli indumenti di chi ci ha preceduto. Voci, in lontananza, si chiamano e ridono in un’armonia che prosegue. Non avranno avvertito la nostra stessa nostalgia? Noi camminiamo da tre giorni e ci sentiamo perduti.
* Dopo lo scoppio del tuono ritorna con lentezza alla sua doppia vita, ai difficili sonni.
* Hai detto “ seguilo, prendigli le misure ora, mentre si muove a tentoni in questa luce che non aspetta ”. Nella luce delle sei del mattino, a Dicembre, quando solo il battito della pioggia ha una cadenza di passi. E poi “ non rimandare, non permettere che le sue dita acerbe spostino i doni. Prevarrà una ragione, infine, per spiegare la sua assenza “. Ma a un folle che pesca tutta la notte senza prendere nulla, chi potrà mai chieder conto della sua pazienza?
* La domenica mattina sto lì, sospeso alla finestra, con l’aria imbambolata e gli occhi ancora colmi d’acqua ad aspettare che la città si scopra, che il movimento degli alberi sortisca la puntuale cantilena. Sto lì, inoffensivo e sottile, a rinominare le cose disponendone il giorno e la giusta ora.
* Il cuore, concentrato in pochi chilometri quadrati, non ha deluso le aspettative ( ma in Belgrave sq., all’inizio, ho stentato a riconoscere la prospettiva della casa latina ). E’ stato uno dei giorni più lunghi dell’anno, il 27 di un piovoso Aprile, il “ tornerò presto “ deciso dopo aver attraversato svelto il Mall per sbirciare da sopra le teste uno spicchio di regale controluce. Avrebbe potuto durare un secolo, a quel punto, il tragitto in pullman nell’anticipo prescritto, nel polvericcio denso del crepuscolo, incontro alle prime stelle e al loro incurante balbettio.
Jacopo Da Ponte Devoto, smemorato, fermamente convinto che il suo girar per chiese, nella calura estiva, lo avesse più volte salvato, anticipò di secoli il ciclo delle nuvole e perfino “ le malinconiche ” di Hayez. Si poneva assorto sul fondale, sempre a destra, col capo piegato per conformare la luce al suo particolare cristallino. Poi, come da una sorta di estasi, veniva fuori il dannato, o il custode di quella miracolosa semina d’Agosto.
Breve diario dalla terra riemersa Un vento di troppe foglie infiltra all’interno dell’auto un odore acuto di cenere e neve. E’ strana Brooklyn alle sei del mattino con tutto questo mulinare di manine tronche che permette di intuire appena i suoi bastioni, l’acuminato dorso di animale acquattato nel semibuio e aizzato dai lucori dei precoci risvegli. Dall’ultimo viale di alberi neri, ormai al sicuro verso Long Island, non avverto più i suoi gorgoglii, l’aspro alito delle sue viscere e gli sterminati vapori che ne preludono il necessario inabissamento. Qui, dove i bassi palmeti sono flessi dal rinforzo del vento ./.
e il fragore delle onde ritma il respiro, mi rinviene chiaro il monito dell’arcangelo sull’estrema cresta di Atlantide: “ Questa terra che nasconde ciò che si prese nel castigo del buio perenne, riemergerà un’unica volta per conoscere luci di albe così luminose che solo gli occhi dei più forti potranno sopportare ”. Poi rallento, a Tulash bay, per seguire sulla banchina i riti del tuffatore che si appresta a entrare nell’oceano, nudo, eppure indifferente al gelo, rappreso nella sua ipnotica incolumità di angelo: mi colpisce il suo sorriso estatico, a occhi chiusi, mentre si tende in volo. Un sorriso da folle. _ It will snow !_ mi saluta il doganiere dal pontile indicando l’arrivo della tempesta: un sospeso grigio in cui appaiono e scompaiono sagome di navi e fendenti di gabbiani ./.
che, come mesti e vecchi dèi abdicanti, ripiegano sul molo trasalendo appena per la presenza di altri compagni di naufragio. Da quaggiù, nel riverbero di inchiostri e cere, la città irraggia lampi delle sue chiuse rovine. Nell’andarmene, il mattino seguente, ho visto scendervi la più bella neve della mia vita, ma sento che là, dove sono stato felice, dove ho molto immaginato, non dovrò mai tornare.
IX
* Sedimentano per giorni, settimane, deviano dall’origine i confini, i tuoi cieli di rapidi uccelli e le porte segnate col gesso. Per questo ho deciso di non leggerti più, monsieur Antschel: c’è troppa morte intorno ai tuoi doni.
* La tarda ballerina, dietro lo sfondo nero, prova con movenze devote i suoi passi nello Sheherazade. Moltiplicata dagli specchi infervora lo sguardo mentre si protende in un arrischiato frullo quasi a compiacere il plauso irretito e complice del custode. Se davvero solo gli occhi sanno spravvivere, adesso lì sono tutti per lei.
* Nelle intenzioni la traiettoria del volo doveva descrivere un arco perfetto. Verso la fine, invece, si è abbassata di colpo: è venuta giù come un autunno improvviso.
* Correvo lungo l’argine del fiume scrutandone intensamente la corrente ( come se a cercare nella memoria la frase, il volto, fosse soltanto una questione di fiato ). Eppure mi ero attenuto alle regole, avevo considerato gli avvenimenti in perfetto ordine temporale. La ragione, a quel punto, dettava l’attesa: l’ostaggio si sarebbe risvegliato.
* Lo stridore di scarpe ferrate su per le scale qualcuno che mi chiama da un corridoio lontano e poi, alla radio, una bella voce che annuncia l’inizio della stagione. Scivolerebbe tutto nell’indifferenza, nell’esito scontato delle cose se ad arrestare il momento non intervenisse il senso della tua disarmante certezza; ­ C’è una promessa in tutto questo ­
* Sto qui, fermo al crocevia, con il pensiero fisso che l’approssimarsi della primavera m’intristisce. Sto qui cercando d’intuire da quale punto cardinale si annunceranno gli spifferi di quest’altro mondo ( e se non siano già quei due puntini rossi che calano veloci verso la città, in un frastuono di ferraglia, ad avermi mancato per primi ). Indugio ancora, un poco, per convincermi definitivamente che sarà lei a trovarmi, energica e pura, precisa e dura come la gente che sale veloce dal tunnel, dietro di me, senza più stagioni e con lo sguardo altrove.
Precarietà La mano tesa come un ponte levatoio.
Finestra di grattacielo I Nei preparativi per il sonno qui, nella città straniera, si chiamano a raccolta i riti: uno spiraglio ampio fra le tende, la serie collaudata delle giaculatorie, l’En e, infine, la discesa alla posizione propizia. II Così rannicchiato, protetto in una sorta di bozzolo, attendo l’arrivo del torpore, il suo dilagare con la cadenza rallentata del respiro, il sussulto per l’ultimo, immaginario, precipitare…
III
Ma succede a volte che irrompa una crepa improvvisa, che in uno spazio lungo solo pochi secondi si apra un varco nel muro che stavi pazientemente erigendo: di là c’è la lista dei nomi, il loro suono, quando li pronunci, che genera insonnia. IV
Si è ritirata la luce del giorno. Si è ritirata la sua rete protettiva. Basso sull’acqua del fiume come un guizzante blu d’iride, il faro dell’elicottero insegue due puntini azzurri che presto spariranno nella palude.
V Intanto, nella camera contigua, piagnucola la coppia di sposini appena arrivata. S’interroga senza sosta, ad alta voce, protraendo il suo e il mio dormiveglia. VI
C’è un’urgenza di voci, di urla strozzate come in un sottofondo di foresta in questa città eccessiva, perennemente sospesa tra i suoi inestinti furori e la nostra seconda vita. VII In questa città enorme dove nemmeno nella notte di nozze ci si sa confidare il segreto dolore.
Note La poesia Non ho mai pensato di possedere è stata pubblicata in un’edizione limitata da Pulcinoelefante, con una fotografia di Eric Toccaceli, nel Luglio 2006. Le poesie Parigi al crepuscolo, I primi ritorni, E’ notte e fa caldo, Louvre e Sosta sul Pont Mirabeau sono uscite nella rivista Serta nell’inverno 2007. Le poesie Eh si che contano gli incoraggiamenti, Hotel Du Lac, E’ una boccata d’etere, Mentre le stelle crescono alla finestra, Mi vengono incontro come ombre, Al nostro entusiasmo, Alberghi, Fiori per un matrimonio, Messalina, Dalla confessione dell’omicida sono apparse nell’Almanacco dello Specchio n°3 ( Mondadori, Dicembre 2007 ) La poesia Mentre le stelle crescono alla finestra , con il titolo Zona, è stata inclusa in Poeti – Volti e luoghi ( Marietti, 2007) curata da Eric Toccaceli. Le poesie Armeggiava con biglie e bicchieri, Sosta sul Pont Mirabeau, Parigi al crepuscolo, Alla buona terra, Aquae sextiae proemio, Quasi non se ne rende conto, Raccontava e Dovevo assolutamente oltrepassarla sono state pubblicate anche nella rivista Poeti e Poesia, diretta da Elio Pecora, nel Gennaio 2008. Breve diario dalla terra riemersa, presente nella raccolta Parca lux ( Marsilio, Venezia, 2001) viene qui proposta in una versione rivisitata e, a questo punto, definitiva..
Notizia Tiziano Broggiato è nato a Vicenza, dove tuttora risiede, nel 1953. Le sue più recenti raccolte di poesia sono: Parca lux (Marsilio, Venezia, 2001) Premio Montale 2002 e Premio dell’Unione Lettori Italiani per: Un libro di poesia per la scuola 2002, Anticipo della notte (Marietti, Milano, 2006) e Dieci poesie (Almanacco dello Specchio n°3, Mondadori, Milano, 2007). Ha curato le antologie: Canti dall’universo – Dodici poeti italiani degli anni ottanta (Marcos y Marcos, Milano, 1988) e Lune gemelle (Palomar, Bari, 1998).