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PRIMO PIANO di futuro SCOMMESSA Nata vent’anni fa, l’associazione New Humanity lavora in Cambogia e Myanmar, insieme alle popolazioni locali TESTO E FOTO DI 6 MeM • dicembre 2012 ANNA POZZI «M ettersi insieme non basta, è solo l’inizio. Stare insieme è un progresso. Lavorare insieme è un successo». U Myo Chit è agronomo e un po’ filosofo. Con le sue conoscenze, la sua esperienza e la sua saggezza cerca di far cooperare i contadini di una zona molto povera e remota del Myanmar, al PRIMO PIANO una vegetazione lussureggiante e maestosa; microcosmi dalla forte connotazione etnica, aggrappati alle proprie culture e tradizioni. Questa è una terra di minoranze etniche: shan, wa, akha, lahu, eng…: popoli spesso abbandonati a loro stessi a causa dell’isolamento e dei conflitti. Ma questo è anche il cuore del cosiddetto Triangolo d’Oro, dove nel secolo scorso (e in alcuni casi e zone ancora oggi) gruppi di ribelli si sono combattuti per il controllo del traffico di oppio e anfetamine al confine tra Myanmar, Cina, Thailandia e Laos. È qui che l’associazione New Humanity sta portando avanti alcuni progetti agricoli con le popo- D dei progetti in quest’area e unica straniera a Kengtung -; si producono in particolare riso e tè, ma anche fragole e diversi ortaggi. Non sempre però è sufficiente al fabbisogno familiare e per la vendita sul mercato di Kengtung, che peraltro è lontano e difficile da raggiungere. Per questo, in collaborazione con il ministero dell’Agricoltura si è deciso di avviare un progetto per migliorare le tecniche di produzione e commercializzazione, su base comunitaria». Per raggiungere questi obiettivi, New Humanity ha appoggiato una fattoria-modello nel villaggio di Loi Mwe, ovvero un luogo dove si realizzano sperimentazioni di attività agricole e corsi di aggior- opo anni di regime, oggi il Myanmar guarda avanti con nuova speranza. Da coltivare e condividere confine con la Thailandia e la Cina, per migliorare la produzione e le loro condizioni di vita. In questa regione montagnosa e impervia, attorno a Kengtung, nello Stato Shan, si incontrano minuscoli villaggi che sembrano appartenere a un tempo indefinito: abitazioni in legno sopraelevate, incastonate nel verde smeraldo di lazioni locali, al fine di renderle maggiormente autonome dal punto di vista della produzione alimentare. U Myo Chit è il loro agronomo. «Da dieci anni lavoriamo in Myanmar e dal 2007 in questa regione. È una sfida difficile ed entusiasmante - dice Annibale Salvi, direttore di New Humanity in visita ai progetti -. Difficile perché le autorità concedono a fatica il permesso agli espatriati di risiedere in questa zona e impediscono loro di muoversi liberamente. Entusiasmante perché si tratta di valorizzare le potenzialità delle comunità locali». Ed è proprio in una logica di Community Based Organizations (Organizzazioni comunitarie di base, Cbo), che sono state messe le fondamenta della collaborazione tra New Humanity e le popolazioni del posto. Cominciando da quello che già fanno e che sanno fare e provando a guardare oltre. Insieme. «Qui l’economia è basata su un’agricoltura di sussistenza spiega Lisa Piccinin, responsabile namento per i contadini dei villaggi. Sulla base di questa esperienza, nel 2011 si è cominciato a migliorare le coltivazioni di tè, a creare serre domestiche, a introdurre la coltivazione sperimentale dell’uva e nuove tecniche per le fragole; soprattutto è stato avviato un vasto progetto per la diffusione dei pomodori. Inoltre, l’associazione supporta quattro centri per i servizi agricoli, due dei quali sono già passati alla gestione diretta delle comunità. S EMPRE NELLA ZONA di Loi Mwe è stato creato un Centro per la trasformazione di prodotti agricoli, dove si producono tè verde e passata di pomodoro, con l’obiettivo di realizzare anche funghi secchi e germogli di soia. «L’intera comunità - spiega la coordinatrice di New Humanity in Myanmar, Julia Tedesco - ha partecipato alla realizzazione del centro in modo straordinario, mettendo a disposizione il lavoro gratuito di circa seicento volontari per la costruzione dell’edificio, al- dicembre 2012 • MeM 7 PRIMO PIANO trettanti per lo scavo dei canali dell’acqua e di oltre cinquecento per la posa dei cavi elettrici che collegano la turbina idroelettrica al Centro». Si tratta di un contributo importante - e di grande valore economico - nell’ottica di quel “lavorare insieme” auspicata da U Myo Chit. Ma anche, come sottolinea Lisa, per far sì che «le comunità sentano davvero propri questi progetti e ne assumano progressivamente la responsabilità». U Shi Mon San è uno di questi contadini. Nel corso dell’ultimo L che gli rende anche piuttosto bene, al punto che anche i figli con le loro famiglie hanno deciso di associarsi al padre. Poco più a monte, un altro contadino ha sperimentato con successo alcune serre. Ne ha costruite sei e ora ne vorrebbe aggiungere altre tre. Mentre in un altro campo sono appena state piantate talee di tè che crescono a velocità doppia rispetto alle piante seminate… Tanti piccoli passi, a misura di contesto, che però stanno già dando buoni frutti. È quanto New Humanity cerca di fare anche a Taunggyi, a pochi avorare insieme è il presupposto per far crescere i progetti dalla base e far sì che le comunità se ne approprino sino in fondo anno, grazie a un prestito di New Humanity e all’assistenza tecnica dell’agronomo, ha ampliato notevolmente i suoi campi e costruito diverse serre, perfettamente irrigate. In questo modo riesce ad avere più raccolti e in maniera alternata, coprendo tutte le stagioni. È molto orgoglioso del suo lavoro chilometri di distanza, percorribili dagli stranieri solo in aereo, perché questa regione fa ancora parte di una delle tante zone off limits del Myanmar. È qui che è cominciata nel 2002 la presenza di New Humanity in questo Paese. Sempre in campo agricolo, sulle colline che circondano questa vi- vace cittadina, con lo stesso stile comunitario con cui lavora a Kengtung. Oggi però le attività si sono diversificate. In particolare, l’associazione sostiene l’orfanotrofio “Brother Felice” di Nyaungshwe e il vicino allevamento di pesci, un’attività generatrice di reddito che permetterà al Centro - che attualmente ospita una quarantina di bambini dai 5 ai 15 anni - di diventare progressivamente autonomo. Inoltre, collabora con il Centro per handicappati gestito dalle suore di Maria Bambina. Entrambe queste strutture Un bambino dell’Eden Centre. Pagina accanto, dall’alto, lo staff di New Humanity a Taunggyi; l’agronomo U Myo Chit; U Shi Mon San nella sua serra; una delle scuole monastiche sostenute dall’associazione 8 MeM • dicembre 2012 PRIMO PIANO ricordano l’epica e laboriosa presenza in questi luoghi di fratel Felice Tantardini, del Pime, proclamato “servo di Dio”: un uomo con il cuore e le mani grandi che ha dato la sua vita per il Myanmar. Rebeka Sultana Lata è la responsabile di New Humanity a Taunggyi. A dispetto del nome, Rebeka è una giovane musulmana del Bangladesh, che ha deciso di lavorare con un’organizzazione di ispirazione cristiana in un Paese a stragrande maggioranza buddhista. «Ho festeggiato le ultime due feste musulmane con il mio staff, gli amici di “Brother Felice” e quelli della scuola monastica buddhista che sosteniamo - racconta -. Questa amicizia e questa apertura reciproca si fondano sui legami creati dal lavoro fatto insieme con New Humanity, ma vanno anche al di là e mostrano la possibilità di un incontro anche tra persone di religioni diverse, fondato sul rispetto reciproco». A NCHE A YANGON, New Humanity lavora con realtà molto diverse - Stato, privati, scuole buddhiste, istituzioni cristiane… - ma sempre con gli ultimi. Come i bambini del Disable Care Centre, che dipende dal Dipartimento degli Affari sociali. Qui una sessantina di handicappati, alcuni molto gravi, accolgono festosi gli ospiti in visita. Il Centro è ben tenuto, ma manca personale qualificato per la fisioterapia e per migliorare le competenze degli operatori. «Quello che possiamo offrire - spiega Annibale Salvi -, oltre a un piccolo aiuto concreto, è soprattutto la formazione. Ovvero far sì che il personale locale acquisisca le conoscenze e le capacità necessarie per prendersi cura di questi bambini con una sempre maggiore professionalità». Con lo stesso principio, opera anche presso la School for Disabled Children frequentata da più di 200 bambini. È l’unica scuola governativa per disabili in Myanmar con una direttrice mol- to dinamica che insieme a New Humanity ha creato, tra le altre cose, una piccola caffetteria aperta al pubblico, dove i disabili imparano a fare piccoli lavoretti, che permetteranno loro di inserirsi con maggiore autonomia nella società. Un’altra donna, anche questa con una grande ispirazione e un forte carisma, è la fondatrice e la direttrice dell’Eden Centre for Disabled Children, struttura privata nata nel 2000 con una quindicina di bambini e che oggi ne ospita quasi 150. Sono invece circa 350 i sordomuti che frequentano la Mary Chapman School for Deaf fondata da un’inglese nel 1919, mentre un centro per ciechi - Mission to the Blind - accoglie 13 famiglie, i cui membri imparano a fare i massaggi e offrono i loro servizi sul posto o nelle abitazioni private. «Il nostro supporto a queste realtà - spiega Julia Tedesco - si concretizza in varie modalità di sostegno e accompagnamento, affinché si rendano sempre più autonome. Per questo cerchiamo di promuovere anche la partecipazione delle famiglie e della comunità per una piena integrazione dei disabili nella società». Una ragazzina sordomuta, con una lunga gonna a strascico, tipica del balletto tradizionale birmano, improvvisa alcuni passi di danza. È molto aggraziata e ha un sorriso dolce. Come quello della gente di questo Paese, uscito da pochi mesi da una lunga e soffocante dittatura militare. Oggi il Myanmar guarda avanti con nuova speranza. Una speranza così inedita e sorprendente da essere per certi versi indecifrabile e spiazzante. Ma è una speranza da coltivare e condividere. Per questo New Humanity c’è. Per sostenerla e darle concretezza. Insieme. MM LEGGI LE STORIE E GUARDA LE IMMAGINI SUL SITO DI NEW HUMANITY dicembre 2012 • MeM 9 CAMBOGIA ripartire dall’istruzione All’indomani della caduta dei Khmer rossi, New Humanity si è fatta carico di una sfida difficile: rilanciare l’istruzione universitaria. Per ricreare quella classe di intellettuali annientata dal regime DI 10 FRANCESCA BENIGNO MeM • dicembre 2012 S ono passati vent’anni da quando l’associazione New Humanity, promossa dal Pime, ha iniziato la sua attività. Era il 1992 e la Cambogia si stava aprendo dopo gli ultimi ritiri delle truppe vietnamite e decenni di guerra civile. Il regime dei Khmer rossi era terminato ormai da diversi anni, ma aveva lasciato un’eredità ancora pesante. Con la missione di eliminare ogni elemento di deviazione borghese e occidentale, il regime aveva smantellato i sistemi di educazione a tutti i livelli. Le principali vittime del genocidio furono proprio gli intellettuali: degli 11 mila studenti universitari registrati in Cambogia prima del regime, nel 1975 se ne contavano solo 450. In questo contesto New Humanity ha accolto una sfida difficile: ripartire dall’istruzione universitaria. Una scelta sicuramente in controtendenza, promossa dallo stesso ministero dell’Educazione cambogiano, che chiese a New Humanity un aiuto per rilanciare gli studi universitari delle scienze sociali. È iniziata così una collaborazione con l’Università Reale di Phnom Penh e con diverse università italiane e asiatiche, che ha portato alla nascita della facoltà di Sociologia nell’università di Phnom Penh e all’organizzazione di diverse edizioni di Master in scienze sociali, l’ultima delle quali si è conclusa nel 2011. Nel frattempo l’attività di New Humanity si è allargata all’educazione prescolare, con l’avvio di venti classi di scuola materna per garantire l’accesso dei bambini in età scolare alle scuole dell’obbligo. È ormai tradizione inoltre organizzare ogni anno una campagna di iscrizione scolastica. «In collaborazione con le autorità locali, andiamo nei villaggi a incontrare le famiglie e invitiamo i genitori con figli in età scolare a iscriverli a scuola», racconta Vea- F. DAVIDDE PRIMO PIANO sna, Program manager dell’educazione. «Da qualche anno anche gli studenti scendono in piazza con noi. Quest’anno abbiamo organizzato la campagna a settembre e vi hanno preso parte 22 scuole, per un totale di 4.384 studenti, 185 genitori, 127 insegnanti e 87 rappresentanti delle autorità locali». Parallelamente New Humanity ha cominciato a rivolgere l’attenzione anche al settore della disabilità. In seguito alla caduta del regime dei Khmer rossi e alla lunga storia di guerra e violenza che ha interessato il Paese, la Cambogia registra un alto tasso di disabilità fisica, in particolare causata dalla presenza di mine antiuomo. O ggi la disabilità mentale è diventata una delle priorità Grandi risultati nel campo della bonifica dei terreni dalle mine sono già stati raggiunti grazie al forte impegno del governo e delle organizzazioni internazionali: nel 2006 si sono contate meno di 500 persone vittime di mine antiuomo, contro le oltre 2.000 all’anno degli Anni 90. L A VERA SFIDA oggi per il Paese rimane l’urgente problema della disabilità mentale, che secondo il censimento del 2008 rappresenta il 12,6 per cento dei casi di disabilità. In Cambogia poche organizzazioni lavorano in questo ambito. La maggior parte di queste concentra le proprie attività nelle aree urbane, nonostante l’80,6 per cento della popolazione viva nelle aree rurali. New Humanity ha quindi deciso di impegnarsi in questo settore, concentrando i suoi interventi nell’area di Kandal e di Kompong Chhnang. Il censimento condotto nel 2009 eviden- A MONDOLKIRI, con i popoli Phnong zia che nella provincia di Kompong Chhnang circa il 6,3 per cento della popolazione ha qualche tipo di disabilità (contro l’1,4 per cento della media nazionale). La forte incidenza di casi di disabilità è sicuramente correlata all’alta povertà della regione. La cultura cambogiana, influenzata dalla tradizione buddhista, tende a classificare il disabile come un soggetto da isolare. Una sbagliata interpretazione del concetto del karma infatti vede la condizione di disabilità come una punizione divina per colpe commesse nelle vite precedenti. Il disabile viene quindi isolato, se non addirittura abbandonato o tenuto nascosto dalle famiglie. New Humanity gestisce cinque centri di riabilitazione su base comunitaria. In questi centri i disabili hanno accesso alle cure fisioterapiche, sono seguiti da educatori specializzati e, quando possibile, vengono accompagnati nel loro inserimento scolastico. Parallelamente vengono svolte attività di assistenza domiciliare per sostenere tutti i disabili che non sono nelle condizioni di lasciare casa per raggiungere il centro, o per i quali è stato individuato un diverso programma di sviluppo in collaborazione con le famiglie. Vengono infine sostenute attività di formazione agricola per tutte le famiglie dei ragazzi disabili e dei bambini che frequentano gli asili, per fornire nuove opportunità di generazione di reddito. MM Cosa vuol dire lavorare in “aree remote”? Lo si comincia a capire dopo un’ora di macchina su strade polverose e dissestate in mezzo alla foresta, senza incontrare nessuno lungo il percorso, e diventa chiaro quando si arriva in un villaggio dove il tempo sembra essersi fermato. Questa è Mondolkiri, regione della Cambogia al confine col Vietnam, estremamente povera e isolata. Di fianco alle palafitte in bambù resistono le capanne tipiche dei Phnong, la minoranza etnica che vive nella regione. Non ci sono ospedali, ma solo piccoli centri sanitari spesso chiusi. Non ci sono abbastanza insegnanti, così le classi sono numerose e un solo insegnante segue i ragazzi di diverse età. Sembra un posto dimenticato da tutti. Ma è ben presente nei pensieri delle imprese straniere che stanno sfruttando le foreste e le risorse della regione. I Phnong, che da sempre vivono nelle foreste basandosi sulla caccia e sull’agricoltura nomade, sono così costretti ad abbandonare i territori dove vivono da sempre. «Dobbiamo aiutare la gente ad essere meno dipendente dalle foreste», spiega serio Socheat, Program manager di New Humanity a Mondolkiri, anche lui Phnong. Ci spiega che sono circa venti le imprese straniere presenti nel territorio con mandato di esplorazione. Sono autorizzate a condurre le ricerche per i prossimi due anni e, se troveranno qualcosa, potranno procedere con le espropriazioni. «È fondamentale - continua - sostenere l’educazione: solo così potremo preservare la cultura Phnong. I bambini di oggi non avranno in eredità la foresta, l’accesso all’educazione è indispensabile per dare loro alternative». Ecco cosa vuol dire lavorare qui: aiutare questa gente a trovare gli strumenti per far valere i propri diritti. (F.B.) dicembre 2012 • MeM 11