Sezioni della mostra - I VOLI DELL`ARIOSTO

Transcript

Sezioni della mostra - I VOLI DELL`ARIOSTO
LE SEZIONI TEMATICHE
Sala 1. I volti e il mito dell'Ariosto
Nella sala sono esposte le prime tre storiche edizioni dell’Orlando furioso (1516, 1521, 1532), attraverso le
quali l’Ariosto arrivò alla stesura definitiva.
Alcuni ritratti cinquecenteschi del poeta intrecciano un dialogo con rievocazioni ottocentesche di
episodi, reali, ideali o fantastici, della sua vita. Da un lato le immagini più note e documentate del volto
del poeta. La celebre xilografia, basata su un disegno di Tiziano, che arricchisce la terza definitiva
edizione del poema, con il profilo dell’Ariosto, severo ed assorto, conscio della fama ormai
definitivamente conseguita, si confronta con il ritratto “gioviano” degli Uffizi di Cristofano
dell’Altissimo, desunto anch’esso, a quanto pare, da un prototipo tizianesco.
Sulle altre pareti sono esposte tre rievocazioni storiche di una biografia esemplare: il suggestivo
omaggio rivolto dai briganti della Garfagnana ai versi del poeta cortigiano estense, nella composizione
di Jean-Baptiste Mauzaisse (1817); la lettura da parte dell’Ariosto delle proprie composizioni poetiche
nell’ambiente della corte ferrarese, nella tela di Massimilano Lodi (1860); infine l’evocazione, ad opera
di Anselm Feuerbach, dell’arcadico “giardino di Ariosto” (1862), luogo mitico dove proiettare il sogno
dell’artista rinascimentale.
Sala 2. Il Cinquecento: nascita e diffusione dell’iconografia ariostesca
La sala è dominata da tre arazzi provenienti dal Musée des Arts décoratifs di Parigi: quanto sopravvive
di un monumentale paramento tessile in sette pezzi realizzato nel 1558-59 per la camera da letto di
Ercole II nel palazzo ducale di Ferrara. La presenza di questi prestigiosi arazzi intende evocare
visivamente l’ambiente della corte estense: il contesto culturale che ha ispirato l’Orlando furioso.
La nascita di una nuova iconografia ariostesca, in contemporanea con la pubblicazione della prima
edizione del poema (1516), è emblematicamente rappresentata dal dipinto di Dosso Dossi che ha dato
vita, come suggerito da recenti indagini diagnostiche, a una precocissima parafrasi visiva del tema della
follia di Orlando, soggetto che ha dato il titolo al poema.
Un’antologia di stampe e ceramiche documenta le diverse interpretazioni – fra celebrazione,
idealizzazione e parodia − a cui è stato piegato il contenuto del Furioso durante il Cinquecento, mentre il
dipinto del pittore bergamasco Simone Peterzano, dedicato al tema dell’amore tra Angelica e Medoro e
celebrato in un componimento poetico del Lomazzo, rivela l’ampiezza della diffusione geografica di
questi nuovi soggetti.
Sala 3. Tra Sei e Settecento: storie del Furioso, da Firenze alla Francia
Durante il Seicento gli episodi tratti dall’Orlando furioso, in parallelo e in competizione con quelli della
Gerusalemme liberata del Tasso, vengono riproposti in tele di grandi dimensioni, pensate come elementi di
complessi cicli decorativi per palazzi cittadini e ville suburbane.
Il contesto fiorentino (il più sondato dagli studi) ha fornito tutta una serie di opere ariostesche, per lo
più di committenza medicea. Nelle opere domina un’interpretazione degli episodi letterari in chiave
edificante, fortemente influenzata dai commenti e dalle allegorie che fin dagli anni quaranta del
Cinquecento accompagnarono i versi dell’Ariosto in numerose edizioni a stampa.
L’isola di Alcina, fatta di realtà illusoria quanto lo è la sua regina, diventa luogo dell’evasione, teatro del
gioco di corte e orizzonte effimero di fuochi pirotecnici, come nell’album di acqueforti dedicate da
Israël Silvestre ai festeggiamenti alla corte di Luigi XIV a Versailles.
Il Settecento, secolo che ha visto alcuni degli apici qualitativi di questo genere iconografico, è qui
evocato da tre disegni di Jean-Honoré Fragonard ispirati al Furioso, facenti parte di una serie di circa 180
fogli realizzati intorno al 1780 dall’artista francese in vista di una nuova edizione illustrata del poema,
mai realizzata.
Sala 4. Distrazioni romantiche: i paesaggi istoriati ariosteschi
Nella pittura romantica italiana del primo Ottocento i soggetti ispirati all’Orlando furioso continuano a
godere di grande fortuna, come dimostrano le opere qui presentate di Giuseppe Bisi, Massimo
d’Azeglio e Giuseppe Bezzuoli.
Rispetto al protagonismo goduto dagli eroi e dalle eroine del Furioso nei secoli passati, emergono ora
nuovi interessi incentrati sul paesaggio, che da sfondo diventa protagonista, mentre le figure umane
vengono ridotte a comparse: se nei dipinti di Bisi e D’Azeglio è la tipica natura romantica, suggestiva e
sublime, a risultare ancora dominante, nella tela di Bezzuoli − dipinta dopo la metà del secolo quando
nuove spinte realistiche stavano cominciando a emergere anche nella cultura figurativa italiana − si
coglie un’attenzione inedita verso un tipo di paesaggio colto dal vero, basato su studi realizzati all'aria
aperta.
Sala 5. Visioni del Furioso nell’Ottocento francese
La cultura francese dell’Ottocento ha rivelato un grande interesse per i temi ariosteschi. I due principali
artisti della prima metà del secolo, Jean-Auguste-Dominique Ingres e Eugène Delacroix, hanno offerto
due interpretazioni antitetiche di questi soggetti: serrata entro un impeccabile disegno, primitivo e allo
stesso tempo coltissimo, quella di Ingres; aperta ad un travolgente protagonismo del colore quella di
Delacroix.
L’Ariosto ispira anche scultori come Antoine-Louis Barye, che modella (replicandolo poi più volte) il
gruppo in bronzo con Angélique et Roger montés sur l’hippogrife, caratterizzato da uno straordinario senso
del movimento, con l’animale uscito dalla fantasia dell’Ariosto che sorvola l’orca tramortita, mentre le
due figure, l’una nuda e l’altra chiusa nella sua corazza, sembrano stare in bilico sul destriero.
Francese è anche il massimo interprete ottocentesco del Furioso: Gustave Doré, le cui illustrazioni
hanno conquistato il primato, nella fantasia dei lettori e degli artisti contemporanei, diventando per
molti l’Orlando furioso visualizzato per eccellenza. Tra le mirabolanti interpretazioni di Doré, memorabile
risulta il bronzo esposto, dove uno spettacolare Ruggiero, sospeso alla sua lancia, trafigge l’orca volando
leggerissimo sulle ali dell’ippogrifo.
Sala 6. “Il più bell’Orlando furioso del Novecento”: un omaggio a Luca Ronconi
La messa in scena, con la regia di Luca Ronconi, dell’Orlando furioso al Festival di Spoleto (4 luglio 1969),
costituisce non solo un momento memorabile nella storia del teatro italiano del Novecento, ma anche
la più originale ed efficace trasposizione visiva del poema realizzata nel secolo scorso. Le foto in bianco
e nero scattate da Ugo Mulas, in occasione della ripresa messa in scena pochi giorni dopo in piazza del
duomo a Milano, costituiscono una testimonianza fondamentale di quel memorabile spettacolo, ad
opera di un fotografo da sempre abituato a confrontarsi con le opere dei massimi artisti novecenteschi.
La riproposta televisiva dell’Orlando furioso di Ronconi, tra il febbraio e il marzo del 1975, con la
sceneggiatura e i costumi di Pier Luigi Pizzi, rappresenta il riuscito tentativo di trasporre in un diverso
medium quella storica messa in scena, in una traduzione del poema certo meno sperimentale e
provocatoria, ma di altissimo fascino visivo. I disegni preparatori approntati da Pizzi per le scene e i
costumi consentono di entrare nel laboratorio mentale di un geniale scenografo: le fonti visive più
disparate (dall’arte rinascimentale e barocca alle suggestioni del cinema delle origini) contibuiscono ad
immaginare un nuovo Furioso, modernissimo e al tempo stesso radicato nella tradizione.
Nelle sale affrescate al piano inferiore, è allestito un suggestivo omaggio allo straordinario Orlando furioso
televisivo del febbraio-marzo 1975, ideato da Luca Ronconi e messo in scena da Pier Luigi Pizzi. Una
delle idee decisive di quella spettacolare interpretazione del poema ariostesco – e cioè di ambientare la
trama mobilissima, labirintica e aperta al mondo intero del Furioso in un immaginario palazzo
rinascimentale con i suoi interni dominati dall'arte e dalla cultura (utilizzando il palazzo Farnese di
Caprarola, il teatro Farnese di Parma, Santa Maria in Cosmedin o le Terme di Caracalla) – viene qui
riproposta a Tivoli, facendo interagire i cavalli e gli alberi ideati da Pizzi con le esuberanti decorazioni
delle sale di Villa d’Este: per ribadire così l’attualità del poema ariostesco e la sua infinita duttilità, fonte
di ispirazione ancora viva anche per il mondo contemporaneo.