Continua... - Mauro Calise

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L’Occidente spiazzato dalla polveriera africana
In questa ridda di quasi-informazioni e susseguirsi spasmodico di eventi che facciamo fatica a decifrare, le
notizie destinate a durare sono due: la crisi è appena gli inizi, ed è sempre più vicina all'Italia. Per qualche
giorno la propaganda mediatica in cui siamo, malgrado noi, impigliati ci aveva ripetuto il messaggio
rassicurante e gratificante. Il Nord-africa stava prendendo il volo sulle ali della libertà. Grandi manifestazioni di
piazza, giovani festanti e marcianti, tiranni che rapidamente cadevano dai loro piedistalli. Una enorme
primavera di Praga, col lieto fine assicurato. Poi è arrivato Gheddafi, il guastafeste. Il sanguinario che non vuole
mollare. E le cose si sono complicate. Sono cominciate le stragi, e d'improvviso abbiamo capito che non
avevamo capito. Non avevamo le coordinate, una road-map per vagliare la consistenza delle forze in campo. Più
la morsa del rais si sbriciolava, più l'unica certezza diventava la carneficina che sarebbe stato in grado di
comandare prima di riuscire a fuggire o - come dice lui - farsi ammazzare. Ma oltre questa cortina di sangue,
non siamo in grado di vedere. Chi sono i suoi avversari, quale mappa di poteri e pressioni si agiti dietro
l'etichetta di «ribelli» che accomuna, per convenzione e per comodo, l'ampio fronte degli oppositori. Cosa,
insomma, ci riservi il futuro una volta che anche Tripoli cadrà, è una domanda cieca. Fatevi un giro per tutti i
siti giornalistici e televisivi mondiali: continuiamo a brancolare nel buio. Le rade corrispondenze sul campo sono
sporadiche, contraddittorie, addirittura autoreferenziali: appena è sbarcato in Libia un manipolo di giornalisti
nostrani, la principale notizia - per due giorni - è stata il tentativo di pestarli. E quando arriva qualche
informazione dettagliata, non fa che aumentare l'impressione di una crescente confusione. I vari ufficiali
dell'esercito ammutinatisi negli ultimi giorni ignorano gli spostamenti reciproci, non sono coordinati e, molto più
che da una causa comune, sembrano essere animati soprattutto da vecchi rancori. Nel frattempo, anche il
quadro idilliaco confezionato per Tunisia ed Egitto si sta rapidamente sgretolando. Passati i primi giorni di
entusiasmo, ci si è accorti che il cambiamento di regime si è limitato a cambiare la facciata. Anzi, la faccia dei
tiranni. L'esercito egiziano che ha promesso elezioni tra qualche mese, continua a tenere in sella la gran parte
dei fedelissimi di Mubarak. E in Tunisia, centinaia di giornalisti e tecnici della televisione di stato sono entrati in
sciopero denunciando la censura cui sono sottoposti. Mentre filtrano le agenzie che, in piazza, la polizia ha usato
i gas per disperdere i dimostranti che chiedevano le dimissioni di Ghannouchi, e dei suoi ministri che facevano
parte del vecchio governo molto poco defenestrato. Se si aggiungono le escalation di proteste in Yemen e
Bahrein, è più onesto prendere atto che ormai il Nord-africa è una polveriera fuori controllo. Nonchè
terribilmente vicina. Come ci ricordava Ilvo Diamanti, nella sua Bussola su repubblica.it, «la globalizzazione e
l'allargarsi della rete e della comunicazione, in ogni luogo e in ogni momento della vita quotidiana, hanno
permesso a tutti di sapere tutto in tempo reale. Con il paradossale esito che abbiamo perduto il senso delle
distanze. Perché se tutto è qui, allora nulla è qui». Invece, la polveriera del Nord-africa è proprio qui, di fronte a
noi. Nel mare nostrum. E' l'altra sponda del mediterraneo. Che abbiamo continuato a guardare, per decenni,
come un fenomeno politicamente irrilevante. Era molto più vicina la Russia, per i legami ideologici diretti con la
nostra politica interna. Poi è diventato vicino l'Iraq, e l'Afghanistan, dove il mondo si giocava il suo show-down
col terrorismo. Nella mappa senza spazio della comunicazione globale, le uniche distanze che contavano erano
quelle tracciate, di volta in volta, dai notiziari televisivi. Da oggi, le distanze torniamo a misurarle in chilometri e
miglia marine. Rotto l'incantesimo della politica virtuale, si torna alla geo-politica. Per quanto importante sia il
Nord-africa per Obama e per l'Unione europea, al fronte, in prima linea, c'è l'Italia. E' innanzitutto sulle nostre
coste che sbarcheranno i profughi, innescando reazioni a catena imprevedibili. Sarà la nostra Marina ad essere
impegnata a pattugliare, fronteggiare, soccorrere i barconi della disperazione. E sarà la diplomazia italiana che
avrà l'incombenza e l'occasione per tracciare rotte politiche fino ad oggi inesplorate. Sempre che alle sue spalle
ci sia un governo capace di guardare al di là del proprio specchio.
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