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CAPITOLO 7 STUDI E PERIZIE CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE” CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE” PRESENTIAMO ORA: - ALCUNI VECCHI STUDI DEL DOTT. ALDO ALESSIANI CON LA SUA IPOTESI ALTERNATIVA CIRCA LE MODALITA’ E LA DINAMICA DELLA MORTE DEL DUCE; - UN PARERE SULLA NECROSCOPIA E RILIEVI VARI FATTI SUI CADAVERI DI MUSSOLINI E DELLA PETACCI, DA PARTE DEL PROF. GIOVANNI PIERUCCI, DIRETTORE DELL’ISTITUTO DI MEDICINA LEGALE DI PAVIA; - I RECENTISSIMI RISCONTRI ESEGUITI DA UNA EQUIPE DEL PROF. PIERUCCI A PAVIA CON L’AUSILIO DI MODERNE TECNICHE E PROGRAMMI DI INFORMATICA. La tesi del dott. Aldo Alessiani Come afferma Fabio Andriola nel suo “Appuntamento sul Lago” SugarCo 1990, la tesi del dott. Aldo Alessiani si muove in una direzione assolutamente nuova rispetto alle ipotesi e alle versioni fino ad ora esaminate. Secondo Alessiani, 1 Mussolini e la Petacci non furono portati fuori da casa De Maria per venire uccisi, ma trovarono proprio in quella casa la morte ed oltretutto in un ora e modalità assolutamente diverse da quelle ufficiali. Alessiani è giunto a queste conclusioni in quanto, da medico legale qual’era, ha affrontato la questione da un punto di vista strettamente scientifico, medico-legale, con tutte le conoscenze di carattere balistico, chimico, matematico, fisico e medico che questa disciplina comporta con l’aggiunta delle gore ematiche (macchie di sangue), uno studio basato soprattutto sul materiale fotografico dove si è in presenza di un corpo ruotato di 180 gradi e per di più a testa in giù. In breve, secondo questi lunghi studi, la morte di Mussolini va fissata, sia pure approssimativamente, intorno alle ore 5 – 6 del mattino del 28 aprile, una morte che fu dovuta alla esplosione di nove colpi (da parte di due armi diverse) nel corso di quella che dovette essere una violenta colluttazione. Le conclusioni di Alessiani possono essere sintetizzate in due parole: cronologia e polidirezionalità. Cronologia in relazione al momento della morte e polidirezionalità in relazione ai colpi premortali, colpi facilmente distinguibili per un medico legale, da quelli inferti post mortem. In base all’autopsia, i colpi premortali sono in tutto nove: cinque isolati sul fianco destro e sparati da una pistola probabilmente automatica, mentre altri quattro colpi, sparati da una mitraglietta, sono concentrati alla spalla sinistra. Tutti i colpi risulterebbero sparati a bruciapelo (il fatto è chiaramente visibile nelle foto scattate a piazzale Loreto e all’obitorio prima dell’autopsia). 1 Aldo Alessiani è nato ad Ascoli Piceno nel 1926, medico legale, perito della magistratura, ha iniziato gli studi sulla morte di Mussolini fin dagli anni cinquanta. E’ morto nel 1999. 187 CAPITOLO 7 STUDI E PERIZIE CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE” Di rilievo è anche l’esame delle angolazioni dei colpi premortali. 2 Si passa infatti dai 45 gradi ai 180 ° ai 90°, quasi che la vittima, al momento degli spari, si stesse muovendo in modo forsennato o che gli sparatori si trovassero in posizioni assurde. Il colpo che aveva trapassato il fianco destro risultava sparato dall’alto verso il basso con una angolazione di 45 gradi e, dopo essere penetrato nella zona della spina iliaca anteriore (in pratica sotto la cintura), era fuoriuscito dal gluteo destro. Ora se si considera che il piccolo spiazzo del cancello di Villa Belmonte, dove fu fucilato Mussolini, era in posizione sopraelevata un poco rispetto alla strada, si capisce come questa traiettoria dall’alto verso il basso è assolutamente inspiegabile! Rispetto al colpo attinto al braccio, osservava Alessiani, vero è che questo poteva essere stato trapassato mentre Mussolini, in un istintivo gesto di difesa l’aveva sollevato verso il petto, ma vera anche la possibilità che il Duce avesse riportato le ferite al braccio e al fianco destro nell’estremo tentativo di disarmare chi gli stava di fronte per ucciderlo. Se a questo si aggiunge che lo stesso verbale dell’autopsia parla di “lesioni contusive” la teoria della colluttazione trova una sua validità. 3 Per Alessiani l’unica soluzione dell’enigma (infatti le angolazioni diverse non sono spiegabili in una scena di fucilazione classica, sia pure in presenza di un piano inclinato come è la strada davanti al cancello di Villa Belmonte), è che i colpi furono sparati a bruciapelo, a non più di 3 cm. di distanza: vedi infatti le vistose macchie che circondano, ad esempio, la ferita al braccio destra o quella sotto il mento (questa con traiettoria dal basso verso l’alto), visibili in molte foto e poi scomparse quando il cadavere fu preparato, cioè spugnato e ripulito. Alessiani giustamente non ha risparmiato aspre critiche al modo in cui venne condotta quella autopsia: qualsiasi esame medico-legale inizia necessariamente da un cadavere non manomesso, spogliarlo e ripulirlo vuol dire perdere particolari di estrema importanza! Ma l’autore dell’autopsia, il Prof. Cattabeni, secondo Alessiani, commise anche un altro gravissimo errore omettendo di indicare nel verbale l’ora di inizio dell’esame necroscopico rendendo così problematico, fissare con una certa sicurezza e precisione l’ora del decesso. 4 Se un esperto quale il Prof. Cattabeni, aggiunse Alessiani, si comportò in quel modo non è possibile pensare ad una dimenticanza o al caos del momento, ma alla precisa volontà di rendere nascoste le effettive modalità della morte di Mussolini! Ma Alessiani va anche oltre sostenendo che il cadavere di Mussolini venne rivestito e pertanto, al momento della morte, il Duce si trovava alquanto di deshabillé. 5 2 Per esempio i 4 colpi alla spalla sinistra non distano tra loro che 3 – 4 cm., come i simboli di una carta da gioco (è però possibile, dalle foto, ipotizzare anche un certo allargamento ovale della rosa). Esperienze di armi dimostrano però che ad una distanza di soli 30 – 40 cm. dal bersaglio i colpi già si allargano a ventaglio. 3 Infatti non è possibile causare lesioni ad un cadavere in quanto le ecchimosi sono determinate dalla pressione sanguigna che presuppone un cuore in attività. 4 E’ accertato che l’ora di inizio dell’autopsia dovrebbe risalire alle 7,30 del 30 aprile, giorno di ora legale e quindi alle 6,30 ora solare. L’ora è comunque riportata sul verbale depositato presso l’Istituto di Medicina Legale di Milano. Alcune edizioni pubblicate all’epoca non la riportavano. Alessiani non aveva approfondito la storia della pubblicazione di questo verbale. Successivamente Alessiani ebbe, comunque, anche ad annotare a proposito di altro verbale trovato presso l'Istituto di Medicina Legale di Milano dal Prof. Abelli-Riberi: “Reca l'ora dell'autopsia ed il riscontro di sette fori di proiettile pre-mortali (invece dei nove in altro verbale”). Vedere interessanti notizie e ricerche in proposito nel sito: http://www.larchivio.com/storia.htm 188 CAPITOLO 7 STUDI E PERIZIE CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE” Interessante è notare che questi elementi della vestizione del cadavere, Alessiani li ha ricavati ordinando in modo cronologico le varie foto di piazzale Loreto, grazie al sistema della meridiana. I longaroni del distributore di benzina erano infatti proiettati sull’asfalto e sul muro posteriore alla pensilina dalla luce solare. Attraverso il calcolo matematico degli angoli è stato possibile stabilire i vari orari in cui vennero scattate le foto. Dalla loro sequenza è possibile vedere come Mussolini giunse vestito a piazzale Loreto e come venne man mano spogliato fino al suo arrivo all’obitorio. Si possono quindi trarre queste osservazioni: Mussolini venne portato a piazzale Loreto con lo stivale destro aperto sul fianco interno; inoltre dalle prime foto scattate quella mattina si inquadra perfettamente il braccio destro che in quel momento aveva ancora addosso un cappotto (certamente non suo perché di foggia giovanile con tanto di manica raglan). Ebbene quel cappotto non mostra alcun foro mentre le foto successive del braccio nudo rivelano la presenza di una ferita da arma da fuoco sparata a bruciapelo, colpo questo che dovrebbe lacerare i vestiti! Logico quindi dedurne che il cappotto venne fatto indossare ad un cadavere, ma non solo il cappotto. Anche lo stivale che, guarda caso, era quello più difficoltoso da calzare dato che il piede destro non aveva assunto la caratteristica posizione distesa, in seguito alle cicatrici causate dalle ferite riportate da Mussolini nel corso della prima guerra mondiale, era stato malamente appoggiato in qualche modo su di un cadavere, forse perché nel tentativo di forzarne l’entrata in un piede malandato in preda al rigor mortis si era definitivamente rotto. Non fu dunque la corda della pensilina ad alterarne la chiusura-lampo che, per recepibilità dell'oggetto nel cimitero di Predappio, manifesta una forzatura manuale nel chiuderlo. Il piede del Mussolini fu calzato in fase di rigor avanzato ed in atteggiamento anomalo di iperflessione dorsale o di grande torsione laterale. Lo stivale destro di Mussolini, invece, restituito ai famigliari e depositato nella bacheca del sepolcreto di S. Cassiano evidenzia la forzatura della chiusura-lampo nel suo terzo inferiore dovuta a difficoltà manuale di rivestimento e di calzamento per abnorme posizione del piede in morte e come tale restata durante l'instaurarsi del rigor. Per il piede sinistro postosi in naturale estensione, non si verificarono difficoltà ed esitazioni. Risulta evidente che la chiusura lampo è stata slabbrata nel forzoso tentativo di chiuderla. Ma anche i pantaloni, le cui foto sembravano mostrare, che non avevano segni di un’altra ferita, pur indicata al fianco, premortale erano di estremo interesse. 6 Per il dott. Alessiani, dunque, si poteva concludere che vi era stata una vestizione affrettata e difficoltosa di un corpo evidentemente già rigido e quindi morto da almeno dieci ore. Altro particolare importante, rilevato da Alessiani: se il corpo era già rigido al momento della vestizione, in parte non lo era più a piazzale Loreto e forse per nulla all’obitorio: lo dimostrano alcune foto dell’appendimento (dove le braccia dei cadaveri sono già rilasciate) ed altre all’obitorio dove i cadaveri di Mussolini e della Petacci vennero messi addirittura a sedere prima dell’autopsia (fatto impossibile in presenza di rigor mortis). 5 L’ipotesi è molto concreta visto che la notte in cui i prigionieri giunsero a casa De Maria pioveva a dirotto e si dovette procedere per un tratto accidentato a piedi (Pedro ricorda per quasi un quarto d’ora, forse un tempo eccessivo). Logico presupporre un togliersi alcuni vestiti. 6 Su questo punto, però, come abbiamo visto, una diversa ipotetica, ma possibile considerazione della traiettoria del colpo (più alta) ed un controllo fatto sui resti dei pantaloni depositati nella teca del cimitero di S. Cassino, hanno lasciato un largo margine di dubbio. 189 CAPITOLO 7 STUDI E PERIZIE CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE” E questo fatto sconfessa anche il verbale necroscopico quando parla di “rigidità cadaverica risolta alla mandibola, persistente agli arti”. 7 Resta da capire quindi perché Cattabeni non solo abbia fatto ripulire e spogliare il cadavere prima di esaminarlo, ma abbia anche deliberatamente mentito a proposito dello stato del rigor mortis, facendo intendere che la sua risoluzione fosse solo all’inizio. O meglio (afferma ancora Andriola (Appuntamento sul lago, opr. cit.) su le considerazioni di Alessiani), lo si capisce benissimo: si dovevano occultare, rendere indecifrabili le possibili prove delle effettive modalità della morte di Mussolini. Le deduzioni di Aldo Alessiani, pur con le loro forzature (ne riparleremo più avanti), restano in ogni caso una pietra miliare nel cammino verso la demistificazione della versione ufficiale e verranno, almeno in parte, confermate dallo studio condotto, anni dopo, con i sofisticati sistemi della informatica digitalizzata. Ma Alessiani ci ha lasciato anche un importante documento storico: egli, infatti, rintracciò la pagina di un giornale dell’epoca, Risorgimento Liberale del 2 maggio 1945 che riportava un articolo dell’allora cronista Bruno Romani, giornalista, docente universitario di letteratura francese all'Università di Bari. Quella cronaca è importante per alcuni riferimenti: la presenza degli americani che durante l’autopsia scattarono varie foto e cineriprese; la deduzione che la necroscopia iniziò alle 6,30 ora solare (7,30 legale) e terminò con il sole alto nel cielo (il Romani, rintracciato da Aldo Alessiani nel 1987, indicò le 10,20 circa dell’ora solare), quindi circa 4 ore; una attestata “...risoluzione cadaverica sia per il ciondolamento del capo del cadavere sia per la composizione che un sedicente antropologo opera nel porre lunghi ai fianchi... gli arti superiori del Mussolini...”; “...i nomi degli operatori dei quali solo il Perito Settore è un medico-legale, gli altri due appartengono a discipline mediche completamente estranee alla tanatologia forense. Compare anche il nome del tecnico preparatore che asportò con la spugnatura gli aloni di affumicatura”; infine la certezza che sul cadavere della Petacci non ci fu autopsia e l’interessante nota che, al termine dell’autopsia di Mussolini “...la salma della Petacci sta per essere incassata, ma l'averla un ausiliario estratta per le ascelle tanto che la testa gli poggia sulle ginocchia, manifesta anche qui una avanzata risoluzione del rigor mortis”. Tutti particolari questi che fanno pensare che il Cattabeni si rese perfettamente conto di una diversa tempistica e dinamica di morte del Duce, ma riportò o dovette riportare, un quadro medico non troppo discosto dalla storica versione. Ma assieme ad uno studio su la morte di Claretta Petacci ed altri importanti suoi lavori su la morte del Duce Alessiani, morto purtroppo nel 1999, ci ha lasciato una mirabile relazione, titolata “Il Teorema del verbale N. 7241”. E’ uno studio leggermente lungo, forse con qualche inesattezza e forzatura, ma necessario per intuire quello che veramente accadde a Giulino di Mezzegra. Lo riportiamo qui, riprendendolo dalle fonti d’informazione, ma non possiamo purtroppo accludere foto e disegni che invece erano parti esplicative del testo. Questi documenti sono comunque integralmente visibili nel sito: “Storia-History”: http://www.larchivio.org/xoom/alessiani.htm e vengono riportati anche nel sito “Contro Storia”: http://www.controstoria.it/documenti/autopsia_mussolini.htm 7 La rigidità cadaverica si risolve, cioè si allenta fino a scomparire, a cominciare dal capo. 190 CAPITOLO 7 STUDI E PERIZIE CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE” IL TEOREMA DEL VERBALE N. 7241 l'autopsia Mussolini di Aldo Alessiani Roma 21 ottobre 1990 Nessuno voglia vedere in queste pagine una finalità contestataria con le versioni esposte accettate e non, su un evento di sì grossa portata; in esse è racchiusa una metodica che, intesa nella sintesi di risultanze e apprezzamenti, porta a dei rilievi d'ordine puramente tecnico. Che poi generino contrasti con quanto narrativamente tramandato è frutto di quel conflitto proprio con il riscontro periziale laddove questo, autonomo da ogni influenza umana mnemonica, procede per suo conto, indipendentemente dalla verità testimoniata o dal falso congegnato o dalle confusioni ricordative generate dal tempo e dalle sovrapposizioni involontarie proprie o di altri. ..... La perizia non si serve di rivelazioni, testimonianze anche se giurate; non ascolta la voce dell'uomo né legge i suoi scritti pur se per fondata riverenza provengono da fonti indubitabili per cui il ripudiarli o addirittura porli nel dubbio, appare come blasfema ostinazione; sorge dalla scienza solo quando essa è libera e in una fede convinta di sé medesima, appunto perché coscientemente e doverosamente sola nel suo nascere e progredire. Iniziai la riflessione sulla morte di Benito Mussolini negli anni cinquanta, non certo pretendendo di giungere alle sue modalità chiaritive; in quel tempo, già medico-giudiziario e specializzando in medicina-legale, non disponevo che di una sola traccia, limitata alle successioni tanatologiche (tanatologia: esame del cadavere e delle sue vicende trasformative), emergenti dalla cospicua iconografia fotografica della mattina del 29/04/1945 quando il suo corpo proveniente da una località comasca era stato deposto in piazzale Loreto a Milano, quindi sollevato con una corda per i piedi ed appeso sulla traversa metallica, di una pensilina per carburanti. Data la notorietà del soggetto, il fine non fu altro che quello di una migliore esposizione per la enorme folla assiepatasi. Ciò che colpì la mia attenzione fu l'apparire in alcune positive di gore ematiche sugli indumenti intimi e quindi più facilmente imbibili di sangue, presenti e scomparenti ma costantemente legate per la loro genesi e dinamica alla gravità. L'eccezionalità della posizione, a capo all'ingiù, rarissima anche nella esperienza medicolegale, permetteva di risalire al succedersi delle diverse spazialità fatte assumere al corpo prima e durante la detta esposizione. In alcune fotografie le gore, ad esempio, avevano proceduto in via verticale nella direzione delle estremità inferiori, altre, sempre sullo stesso asse delle prime, al rovescio. Perché avvenisse questo, il determinante era il tempo: con la ventilazione alcune scomparivano per essiccamento ed ossidazione e non erano più percepibili dalla lastra fotografica in bianco-nero, altre si manifestavano, come ho detto, in direzione verso il capo persistendo. Conseguenze, appunto, di diverse posizioni cadaveriche, ma che essendosi configurate sulla medesima direttrice, rivelavano che il corpo, prima d'essere appeso per i piedi, era stato magari per pochi istanti, sostenuto verticalmente, con trazione sotto le ascelle probabilmente o posto a sedere. Le gore infatti appartenevano principalmente al tessuto di una maglietta di salute a mezze maniche evidenziatasi a seguito dello spogliamento operato dalla folla durante l'appendimento, traendo gli indumenti più esterni verso il suolo. 191 CAPITOLO 7 STUDI E PERIZIE CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE” Benito Mussolini restava alla fine indossando la citata maglietta (detta di salute), mutande di flanella a polpaccio divaricate nella loro allacciatura, calzoni alla cavallerizza con banda militare laterale e abbottonati senza contenzione di cinghia o sostegno di bretelle, calze bianche, stivali. In tal maniera, una volta disappeso, raggiunse l'Istituto di medicina legale di Milano. In complesso la sequenza fotografica era di per sé preziosa; se essa aveva sollevato emotivamente per il suo contenuto orrido intensi sentimenti, sotto il profilo tecnico manifestavasi vantaggiosa per l'analisi bisognosa di reperti. S'imponeva subito un'indiscutibile difficoltà: la sistemazione cronologica delle singole unità, ponendole in una utilizzabile successione. Già le riferite fasi dello spogliamento indicavano una gradualità intuitiva, empirica, che poteva anche far dubitare su lacune difficilmente colmabili ai fini interpretativi. La soluzione fu nell'accorgersi che la pensilina non era stata completamente approntata; mancava della copertura che, per una struttura del genere, a quell'epoca, non poteva essere se non di lamiera ondulata o eternit. Era invece a cielo scoperto pur se centine metalliche poste per il tetto mancante, sostenevano anteriormente il frontone che sarebbe diventato linea d'apprendimento con un estremo mentre con l'opposto si insitava in un muro di fondo in calcestruzzo di pari altezza: il sostegno centrale costituito da due pilastri verticali di cemento, reggeva l'intera costruzione. Trattandosi di giornata abbastanza assolata, pur se di fine aprile, l'ombra delle centine si proiettava sul muro assumendo la funzione di una meridiana di fatto e descrivendo tra la prima fotografia e l'ultima, un settore circolare procedente da sinistra a destra per chi le guarda. Inscrivendo in esso settore le ombre intermedie rivelabili dalle restanti fotografie riuscivo ad ordinarle ed a leggerne migliori elementi di ricerca. Comparivano in tal modo le prime risultanze; inizialmente il corpo di Mussolini giacque supinamente sul piano del piazzale, ortogonalmente a quello di Clara Petacci e con la testa poggiata sul petto di lei. I due cadaveri furono rimossi per primi tra quelli dei sedici esecutati a Dongo, tutti originariamente depositati contiguamente, per l'appendimento, dopo essere stati sollevati a braccia, per una iniziale insufficiente esposizione. Più tardivamente altri corpi del gruppo seguirono la stessa procedura, ma con alternanze più dettate dalla curiosità spettacolare che da fondate esigenze. Il calcolo del settore circolare riferiva che l'appendimento della coppia era iniziato alle 11,20 terminando alle 13,45. All'obitorio giunsero diciannove cadaveri da colà provenienti, essendosi aggiunto quello di A. Starace ucciso sul posto. Diventa subito di massimo interesse l'interpretazione fotografica a cominciar da quella dei corpi orizzontali ancora non molto manomessi ed in miglior stato conservativo. Mussolini appare vestito con un cappotto giovanile di foggia raglan chiaro-grigiastro (in foto bianco-nera), bavero accuratamente accollato e fermato sicuramente da una spilla da balia; alla vita, una cintola di pari tessuto a fibbia stoffata. Tale indumento andò disperso. Sottostante a questo, soltanto una camicia nera (giacca assente. Preciso subito che in occasione della restituzione alla vedova Rachele Guidi dei suoi resti corporali si accomunarono ad essi un paio di stivali, calzoni ed una giacca; il tutto è esposto in una bacheca nell'attuale ambito del sepolcreto nei pressi di Predappio). 192 CAPITOLO 7 STUDI E PERIZIE CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE” E' decisamente da rifiutare che detta giacca sia del Mussolini o quanto meno indossata da lui al momento del trapasso. Probabilmente appartiene ad uno degli esecutati di Dongo le cui salme subirono parimenti spogliazioni durante l'impiccamento; in tal caso essa dovrebbe recare ancora i segni dei fori d'ingresso dei proiettili in superficie posteriore. La giacca indossata dal Mussolini durante la Repubblica Sociale era guarnita soltanto di fiamme al bavero nere con fregi a gladio argentati, quattro bottoni dorati in linea verticale con impressa l'aquila romana ad ali ripiegate rampante su fascio littorio, altri quattro più piccoli simili per le tasche laterali sul petto e per quelle più grandi a toppa sui fianchi, sottili bande rosse circuenti i polsi. Null'altro. Per il resto: calzoni alla cavallerizza con ampie bande nere con in mezzo riga argentata, senza passanti per cinghia, falda ventrale alta per tre dita trasverse, non bretelle, stivali di cui il destro posteriormente aperto fino al calcagno. Quanto al corpo della Petacci così giungeva a Piazzale Loreto: tailleur scuro (forse marrone) a grandi quadri ed interamente felpato (tale vestito era già apparso indossato dalla donna in una nota foto che la raffigurava sotto l'arco di una porta di Villa Fiordaliso sul Garda), camicetta a rete (grande-tulle) bianca a vasti ricami floreali, chiusa in alto da nastrino scuro a farfalla; per fondo: seta, parimenti bianca. Calze ben tirate da giarrettiere (presumibilmente bustino). Le scarpe di numero 35 di foca, scure, a suola ortopedica, con il copricapo realizzato con lo stesso tessuto del vestito a mo' di bustina militare, rimasero in zona di decesso, notoriamente tramandateci per rotocalchi. L'analisi ancora nota per il Mussolini, sempre in positura orizzontale, la chiara esistenza, sull'occipitale destro (nuca), di ampia lesione stellare a margini cutanei sfrangiati per colpo d'arma da fuoco, necessariamente perforante quel piano osseo per fuoriuscita di sostanza cerebrale in caduta sulla citata camicetta ricamata della donna. Il carattere di siffatta lesione è proprio da arma aderente appunto per l'aspetto stellare dovuto ai gas d'esplosione interposti tra la pelle ed il piano osseo. L'autopsia lo descriverà come avvenuto post-mortem; proiettile ritenuto intracranico perché non ravvisabile in uscita sul capo nelle foto iniziali, sia per direzione tipica o atipica (deviazione intracranica). Tale colpo d'arma da fuoco è da escludersi come esploso in Piazzale Loreto appunto perché salvo lo spessore intermedio del corpo femminile sul quale il capo poggia è distante di pochi centimetri dal suolo; sarebbe stato impossibile presumere un'arma seppur corta, e per giunta verticalmente, inserita tra il pavimento e l'occipite. Per contro, tutte le altre lesioni descritte in autopsia sul capo del Mussolini e d'arma da fuoco, sono di folla. Ancora in tale frangente, il cadavere di Mussolini fu solo oggetto di dileggio, ponendogli tra le mani l'asta di un labaro della associazione mutilati ed invalidi di guerra (si era erroneamente detto che fosse l'insegna della brigata-nera Aldo Resega) ed un giornale che a mò di cartoccio conteneva delle carote. Trascinata sotto la pensilina, la salma veniva issata per la prima volta, senza modificazione del vestiario analizzato, trascinando il labaro ben sostenuto dagli arti superiori ancor rigidi. I lembi del cappotto si ribaltavano sulle spalle per gravità mentre il furore della plebe stava per giungere alla esaltazione. La sistemazione nel tempo orario delle immagini, permetteva così anche di seguire le azioni della folla; per il corpo di Mussolini la spogliazione, durante l'appendimento e soltanto, avviene per trazione ovviamente verso il basso; altrettanto per gli altri appesi (alcuni resteranno addirittura a torso nudo). 193 CAPITOLO 7 STUDI E PERIZIE CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE” Per la Petacci, no; c'è un relativo rispetto, anzi, immediatamente dopo l'issamento, la gonna del tailleur, rincalzandosi e scoprendo così le pudende che si disse in nature, fu ricomposta alla meglio nei suoi lembi. Manifestavasi altresì l'aprirsi a farfalla dello stivale destro del Mussolini, dal polpaccio alla caviglia, contrariamente al sinistro, parimenti stretto dalla corda di sostegno, rimasto nella sua integrità. In difetto della risaputa autopsia di questi, a me apparsa tardivamente negli anni sessanta, non potevo fare di più se non, con molta cautela e riserva attingere a quelle successioni delle gore ematiche riferite e che, se non altro, potevano ormai essere contemplate in sequela. Un artifizio ausiliario d'accordo e che però quando diventa valido iniziariamente, offre la sua utilità, specie poi quando comparato con il successivo riscontro autoptico, rivela una certa fondatezza. Che le gore ematiche siano importanti è fatto acclarato fino al punto di doverle descrivere in ogni ispezione tecnica di un cadavere rinvenuto, per dirimere il dubbio di modificate positure di esso sì da far dubitare l'esistenza di sue manomissioni per fini subdoli o innocenti e comunque confondenti. In tale stadio, il Magistrato interviene ancor prima di far procedere ad ulteriori acclaramenti. Nessuna validità probativa dunque al fine di interpretarle sostitutivamente ad una autopsia; tuttavia, nella specie, si verificò la eccezionalità di così inusitati cambiamenti volontari e documentati che, come detto, assommano almeno a tre: lo stare in posizione supina sul selciato dei corpi, quella all'impiedi sebbene temporanea, infine a testa all'ingiù. A tutto ciò devesi aggiungere la fortunata combinazione di essere stati fotografati in bianco e nero e non a colori. Cerco di chiarire: se noi perforiamo un foglio di carta rettangolare ed al centro con la punta e soltanto di una penna stilografica, facendo da questa fuoriuscire una goccia d'inchiostro, questa si disporrà, per gravità, lungo la verticalità dal foro verso il basso; una prima foto recepirà questa fase di linearità modificantesi nei suoi comuni canoni d'assorbimento. Se ruotiamo il foglio di 180 gradi, una seconda goccia discenderà similmente in direzione opposta talché sommerà le due immagini in una unica retta. Se però la seconda goccia discende dopo un certo tempo, tenderà a sbiadire l'effetto della prima; una terza foto specie se scattata a distanza, impressionerà solo la più recente metà della linea. Comparando le immagini in tempi diversi realizzate, sapendo trattarsi di liquido unico tracciante, intuiremo accostando gli estremi in opposizione delle due semirette che necessariamente sono sorte in una unica fuoriuscita ovvero da quel foro che avevamo ignorato, esattamente localizzandolo per costruzione sulla base dei due effetti o colà dove l'aveva provocato la punta della penna, prima dell'intervento fotografico. Analogamente accade su un tessuto chiaro se macchiatosi verticalmente da sangue; una fotografia immediata ne fisserà l'immagine se allo stato fresco (umido) nella direzione della gravità (dal torace ai piedi per esempio); se giriamo il corpo, l'emissione continuerà (dal torace verso il collo). I due estremi fanno dunque immaginare una sorgente di sangue, invisibile perché coperta dai tessuti dei vestimenti, quale quella di una lesione sanguinante d'arma da fuoco, laddove essi si toccano. Considerando che il corpo umano è diviso in due volumi separati dal diaframma (toraceaddome), le ferite toraciche sanguinano più precocemente essendo per gravità pertinenti del volume più piccolo; più tardivamente le addominali interessanti il volume più grosso. Ciò ci servirà nel fine ricostruttivo indiziario delle lesioni d'arma da fuoco nella Petacci per la quale l'ausilio autoptico non esiste così come una descrizione necroscopica sia pure en passant. L'artifizio ci sarà di dovere per la suddetta, per raggiungere una indiziarietà ausiliaria nel contesto di una credibile collateralità nell'evento storico in trattazione. In effetti, se la 194 CAPITOLO 7 STUDI E PERIZIE CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE” pubblicazione tardiva del verbale d'autopsia di Mussolini, superò di gran lunga l'iniziale e faticoso mio sforzo concretizzandosi con simile metodica, i miei risultati, dopotutto, furono validi per ravvisare che la morte di questi era stata provocata da due armi di cui una a colpo singolo ed una a raffica. Il tutto con disparate direzionalità. Commisi però l'ingenuo errore di accettare la tesi convenzionale di Villa Belmonte. In verità i miei limitati risultati, non potevano nella loro misurata precarietà, concedermi inattese in quanto allora inattendibili estensioni e scoperte. Ho già specificato come il presente lavoro, per il suo rigore scientifico, si basi solo su tracce di rilevanza tecnica; circa la prima, la sequenza fotografica di piazzale Loreto, ne ho fatto, per sommi capi, menzione; quanto alle tracce rimanenti, un cenno fugace: la seconda sequenza fotografica relativa ai corpi dei disappesi e trasferiti all'Istituto di medicina legale di Milano, il verbale autoptico ufficiale, il verbale segreto precedente, la relazione aggiuntiva del Medico Settore, il verbale di ricognizione dei resti mortali di Mussolini redatto da altro Medico Settore nel 1957 dopo essere stati celati per anni sotto l'altare di una certosa e finalmente restituiti alla vedova. Per le fotografie della seconda serie (Ist. medicina-legale) e di importanza determinante, ne farò studio particolare. Al momento soffermiamoci sul verbale autoptico ufficiale e di cui ebbi conoscenza tardivamente (1965). Porta il numero 7241; la data quella del 30/04/45. Inizia con l'usuale preambolo: la salma è distesa sul tavolo anatomico, il riconoscimento per la notorietà del soggetto, facilissimo. Le vicende traumatiche (che appartengono agli istinti emersi in piazzale Loreto) avevano profondamente trasformato la struttura cranica per precipitazione, colpi d'arma da fuoco, talché la stessa misura corporea risultò approssimativa (167 cm circa); il peso 72 Kg. Il volto presentava contusioni, l'occhio sinistro enucleato e privo del suo umore interno. Più interessante la riferita rigidità risolta alla mandibola e persistente agli arti; assenza di macchia putrefattiva sull'addome (la manifestazione trasformativa che è in corrispondenza della regione appendicolare). Segue la descrizione delle lesioni pre-mortali e post-mortali: tutte d'arma da fuoco. Un lungo verbale, quasi puntiglioso sia per l'esterno che l'interno del cadavere; un referto tale che presuppone una autopsia laboriosa che ad occhio e croce, tra l'inizio, la fine, la ricomposizione e cucitura (spagatura) della grande falla giugulo-pubica, richiede un tempo di almeno tre ore se espletata senza pause. Il Medico Settore, allora aiuto del titolare dell'Istituto Universitario, descrive la salma del Mussolini come "preparata" sul tavolo anatomico. L'occhio del profano scorrerebbe lo scritto senza soffermarvisi. Ho già puntualizzato che l'operatore-settore, prima dell'intervento, dovrebbe descrivere il cadavere così come gli si presenta, lordo, ignudo, vestito, scomposto; elementi preziosi potrebbero esistere in una muta narrazione di vicissitudini emergenti per tempi, luoghi, modalità, azioni, occasionalità, corrispondenze particolarmente esistenti o non con quel che si constaterà in fase settoria (artefatti simulanti o dissimulanti). Le gore ematiche appartengono a tale fase (manomissioni, spostamenti , posizioni); l'ho già detto. Non farlo ed agire su una salma già preparata vuol dire aver commesso una grave incompletezza per nulla giovevole ai fini della indagine più importante: la modalità della morte e le sue modalità. 195 CAPITOLO 7 STUDI E PERIZIE CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE” Il Medico Settore invece si trovò accanto a quel morto solo quando i tecnici-preparatori oltre a denudare il cadavere lo avevano lavato (spugnatura) componendolo sul tavolo anatomico; erano così eliminate note di raro valore degne di doverose osservazioni e riflessioni. Ma con la pubblicazione universitaria del successivo agosto (curiosamente apparsa in una miscellanea di clinica chirurgica), il Medico Settore volle rincalzare che l'autopsia era stata più che bastevole per testimoniare l'esecuzione avvenuta e narrata nella conferma delle rivelazioni fatte a pubblico dominio. In altri termini una puntualizzazione non essendosi inizialmente espresso in un supporto tecnico confermante. Sorvolò però su l'ora di detta esecuzione così come aveva fatto quattro mesi prima omettendo l'ora d'inizio dell'autopsia nel preambolo tecnico del verbale 7241; infine dimentica uno dei nove colpi d'arma da fuoco pre-mortali (quello al fianco destro) e che aveva tecnicamente descritto. La mancanza di orario dell'inizio autoptico viene così a rendere non possibile, attraverso i segni consecutivi della morte (abbassamento della temperatura nella specie impossibile nel riscontro, rigidità e rilasciamento) che preludono alla trasformazione colliquativa e putrefattiva. Si poteva fare un accenno, per una migliore puntualizzazione alle macchie da stasi colorativa (ipostasi) altro fenomeno consecutivo che nella loro fissità nelle parti corporee a contatto con le superfici corporee dovevano pur esserci e stabili dopo la quindicesima ora dal decesso. Non apprezzamento nel merito. La limitazione ci obbliga, con il rilasciamento denunciato della mandibola e solo a questa poiché il rigor viene ad essere dichiarato persistente agli arti (si tace ad esempio per il collo prima di pensare a quelli), ad ammettere che unicamente questo è l'unico fenomeno di risoluzione (rilasciamento) essendosi completata la fase primitiva della contrazione rigida per tutto il corpo. Esiste una subordinazione naturale tra la rigidità e la risoluzione; la seconda interviene quando la prima ha compiuto sé medesima ed in modo costante e schematico. Tuttavia c'è una identità di procedura: l'una e l'altra iniziano dai muscoli del capo, pervadendo quelli del collo, del dorso, degli arti superiori, inferiori, piedi. Segni approssimativi e non categorici, spesso infidi; più ad esempio la muscolarità del deceduto è rappresentata e più è la tenacità della contrazione; più la morte è repentina, più essa è precoce. Per converso meno la muscolarità è concreta (senilità, defedamento, fetalità) più tardi compare e prima scompare; il freddo la fa persistere mentre il caldo e l'ambiente umido, l'accellerano. L'esattezza di rilievo cronologico deduttiva della morte, è impossibile; tuttavia se è conosciuta la data del decesso perché certa l'esistenza in vita nel giorno innanzi, è maggiormente configurabile l'ipotesi oraria retrograda. Risultando che il Mussolini in data 27/4/45 era certamente vivo e che la macchia putrefattiva era assente sull'addome viene a concretizzarsi un tempo grosso modo un calcolo, per eccesso, compreso tra la mezzanotte del 27 e l'ora di inizio della autopsia nella sola successione (non essendoci altri dati) di rigidità-rilasciamento muscolare. Poiché l'autopsia con certezza appartiene al mattino del lunedì 30/4/45 (più il tempo intercorrente tra il decesso e l'autopsia è breve, più la precisabilità retrograda ha fondatezza), ne consegue che tra la mezzanotte del 27 ed il mezzogiorno del 30 (arrotondamento sempre per eccesso), intercorrono 60 ore (sabato 28 aprile morte - 196 CAPITOLO 7 STUDI E PERIZIE CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE” domenica 29 Piazzale Loreto - lunedì 30 autopsia, nella espressione 24+24+12 che è nei limiti volutamente massimi d'orario). I parametri odierni accettati per la durata della rigidità cadaverica, vanno da un minimo di 36 ore alle 48 (il più usuale è il secondo); quanto alla risoluzione quello di 72 (sempre dalla morte) come limite estremo. Se il Mussolini fosse morto alle 16,20 del 28/4/45 così come asserito, in realtà (su parametro 48) alle 16,20 del lunedì sarebbe stato ancora in rigidità; quindi il rilevamento della mandibola rilasciata, già anticipa di molte ore la fase totale di quella. Dunque qui il parametro 48 ore, schematicamente, è da abbandonarsi. Vediamo con l'altro di 36: sempre partendo dalle 16,20 del sabato, il compimento del rigor s'accosterebbe alle 4,30 del lunedì, dopodichè il tempo restante è di risoluzione. Concediamo ad occhio e croce un paio d'ore per il rilasciamento della mandibola, ne viene che l'autopsia è stata iniziata alle 6,30 del lunedì 30. E' merito eccezionale del Prof. Sergio Abelli-Riberi di Torino aver scoperto presso l'Istituto di Medicina-legale di Milano un altro verbale, non ufficiale e con tutta presumibilità precedente a quello di pubblico dominio. Il numero del verbale è lo stesso; varia nel testo, dopo il solito preambolo di dovere, la descrizione del cervello, assente nell'altro. L'importante è che reca l'ora autoptica: 7,30. Considerando che in data 30/04/45 sussisteva l'ora legale, in realtà l'operazione settoria cominciò alle 6,30 solari. Se così, il Medico Settore avrebbe assunto il parametro 36 e la morte alle 16,20 del sabato 28 diviene, medico-legalmente assumibile. Ma allora, perché tacere l'ora autoptica sul verbale ufficiale se tutto era chiaro e legittimava le narrazioni pubblicizzate? Possibile una distrazione omettente in un verbale di siffatta importanza 'storica' e redatto in un istituto universitario di livello quale quello medico-legale di Milano? Caso mai era il secondo verbale a dover essere perfetto; si può ammettere una lacuna nel primo, ma quello è diverso pure nel contenuto. Per quell'epoca, in verità, il termine di 48 ore era il più universalmente accettato; altri, più brevi, potevano ingenerare problematiche disagianti; uno scrupolo eccessivo che lo si doveva correggere abbreviandolo, concedendo alla risoluzione (molto più estesa e non celabile alle molte testimonianze in sala anatomica) un effetto minimo ovvero la rigidità risolta alla mandibola e soltanto. Si realizzava così un parametro '48' monco di ben otto ore ma se, in tali condizioni, si fosse messa l'ora autoptica, la morte di Mussolini non sarebbe stata più alle 16,20 del 28/04/45 ma alle 8,20. Che cosa stava accadendo? Passiamo ora alla seconda serie fotografica: quella in cui i disappesi sono allineati supini sul piano di un corridoio in detto istituto. Tale depositazione atipica fu dovuta alle circostanze; i vani sotterranei dell'edificio erano già stracolmi di cadaveri; fu una necessità di spazio sistemarli colà. Due foto, indubbiamente scattate ravvicinate, mostrano i corpi della Petacci e del Mussolini, strettamente affiancati; per dileggio vengono posti a sedere con le spalle al muro; il capo di lui è sorretto dalla mano di un uomo perché ciondola ed il braccio sinistro circuisce il destro di lei in galante sostegno. Malgrado la stretta sequenza, l'angolazione delle due braccia, cambia spontaneamente per gravità. Una cosa è certa: le due foto, essendo il cadavere del Mussolini, seppur parzialmente, ancora vestito, sono precedenti alle 6,30 del 30/04/45 ora autoptica; non si può fare una 197 CAPITOLO 7 STUDI E PERIZIE CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE” autopsia su un cadavere vestito né nella specie fu rivestito perché, come dissi, gli indumenti indossati visibili (i calzoni soprattutto) vennero restituiti alla vedova Guidi. Pur non sapendo se le due foto appartengono al pomeriggio del 29 o alle prime ore del 30 la loro dimostratività è incontrovertibile: la rigidità prima delle 6,30 del 30/04/45 era pienamente risolta per il collo, per i muscoli del dorso e quanto meno per gli arti superiori altrimenti non si sarebbero potuti realizzare siffatti lugubri atteggiamenti. 8 Non dunque una risoluzione iniziale limitata alla mandibola, ma di molto avanzata; quasi totale se non totale. Con il parametro '48' quelle immagini avrebbero potuto concretizzarsi nel martedì (primo maggio) ovvero circa 24 ore dopo il seppellimento. Un rilasciamento consimile, indica un lasso di tempo di dodici-tredici ore almeno dopo la rigidità esitata; dobbiamo allora ripiegare sul parametro '36' (rigidità corta) più tredici, uguale a 49. Se l'autopsia è delle 6,30 del lunedì 30/04/45 la morte deve necessariamente risalire all'incirca alle 5,30 del sabato 28/04/45. Rigor mortis in tal caso immediatamente sopraggiunto come nei decessi per causa-violenta ed in stato di fatica fisio-psichica configurandosi nei supremi momenti quasi in una statuarietà degli ultimi spasimi e gesti (rigidità catalettica). Né le vicende di linciaggio possono avere influito a mio parere in una accelerazione risolutiva; dopo lo spogliamento del cappotto e della camicia nera per trazione verso il basso, gli arti superiori potevano evidenziare una angolazione maggiore che non nell'iniziale appendimento quando quegli indumenti erano indossati. Siffatta modificazione subordinata alla indagine specifica, risulta molto modesta; per i muscoli del tronco poi, ogni concausalità esterna è da scartare. Le stesse articolazioni dei gomiti, nelle due fotografie citate, indubbiamente manifestano una escursività di completezza. Mettiamoci nei panni del Medico Settore: se avesse denunciato l'effettivo orario delle 7,30 (alias 6,30 ora solare), la seppure iniziale risoluzione della mandibola avrebbe condotto ad un calcolo retrogrado di 48 ore di rigor più, quanto meno, un'altra ora per il rilasciamento: totale 49. Il decesso (già lo dissi) si riconduce alle 6,30; ecco perché sorvola sul trattar dell'ora della morte anche nella monografia illustrata dell'agosto '45. Resta tuttavia una carenza non veniale per un medico-legale il non esprimersi sull'ora del decesso quantunque presuntiva; volerne giustificare l'omissione diventa tentativo non onesto di facilissima identificazione intenzionale. Sul capo sono descritte contusioni: penso che si sia trattato di lapsus poiché tali lesioni sono vitali. Si dovrebbe pensare a colpi inferti da altri che si oppongono alla soluzione del Medico Setore dell'agosto 1945 improntata a una dimostrazione di indubitabile esecuzione capitale nel pieno rispetto delle modalità di tradizionale osservanza (concetto di evento puramente legittimistico). D'altra parte il capo del Mussolini gli si presentava come di più inusitatamente traumatizzato fino allo sconvolgimento dei tratti e delle strutture per poter ancora ravvisare su di quello segni così minori. L'interesse maggiore appartiene per questa autopsia per i colpi d'arma da fuoco in vita caratterizzati dall'orletto contusivo-emorragico attorno al foro d'entrata. 8 Queste considerazioni di Alessiani circa un probabile stato di rilassamento dei cadaveri mostrato dalle foto, pur teoricamente corrette, restano pur sempre ipotetiche per la natura del riscontro prevalentemente fotografico. Inoltre, almeno il ciondolamento della testa del Duce potrebbe anche essere provocato da una frattura traumatica della colonna cervicale. Frattura che forse dovette verificarsi quando il Duce venne disappeso dalla pensilina di Piazza Loreto facendolo precipitare al suolo. Le foto di Mussolini e la Petacci, posti quasi seduti ed il Duce con il capo e gli arti ciondolanti, sono comunque un documento eccezionale, che come lo si voglia considerare, pone una seria contestazione alla versione di una morte di costoro alle 16,10 del 28 aprile (n.d.r.). 198 CAPITOLO 7 STUDI E PERIZIE CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE” Sono nove: uno sul fianco destro come ingresso, sopra l'osso iliaco e che fuoriesce dalla parte superoesterna del gluteo omolaterale, in modo tangenziale assumendo su sagoma umana verticale, un angolo di 45 gradi. Un altro sul margine esterno dell'avambraccio destro esitando (si tenga presente che tutto ciò è descritto su cadavere orizzontale, supino, ed in posizione di attenti) più in basso, all'interno, con breve percorso, senza ledere l'impalcatura ossea. L'angolazione di questo è minima, una ventina di gradi se non meno: un percorso non tangenziale per una inezia. Terzo colpo è quello che trafigge la limitata carnosità superiore alla clavicola destra con risparmio di essa: 180 gradi su sagoma eretta. Quarto è quello sotto la parte destra del mento e sul piano compreso tra mento e gola con direttrice dal basso verso l'alto; qui il proiettile non ha un esito esterno come era da attendersi per la volta cranica (intatta nelle prime foto antecedenti all'issamento) ed è necessariamente ritenuto dalla base cranica (polifratturata nell'esame dei resti). Novanta gradi perfetti su sagoma eretta. Quinto in entrata sul margine destro dello sterno, alto (secondo spazio intercostale); ha un percorso obliquo perché esce nella regione del dorso verso la scapola destra: 45 gradi sul piano intra-toracico. Sarà il responsabile della rottura aortica. Sulla spalla sinistra, verso il limite esterno, un complesso di quattro colpi d'arma da fuoco molto ravvicinati tanto da rammentare un quattro di quadri coricato: 180 gradi sul piano intratoracico per fuoriuscita sul dorso abbastanza in linea. Post-mortale invece è quello dell'occipitale destro di cui ho già parlato per averlo riscontrato fotograficamente; è descritto come tale in autopsia. Il Medico Settore precisa nella stessa regione, ben due colpi ravvicinati post-mortali. In conclusione: eccezion fatta per i colpi alla nuca, quelli pre-mortali manifestano una chiara polispazialità per angolazioni che testimoniano una chiarissima poli-spazialità per angolazioni da inclinazioni diverse per armi sparanti come se il bersaglio fosse estremamente mobile in tempi successivi brevissimi. Abbiamo così il quadro: cinque colpi isolati tra di loro in polidirezionalità nell'emisoma destro e quattro nell'emisoma sinistro ravvicinatissimi tra di loro peculiari di un'arma a raffica molto a contatto del bersaglio per l'area ristretta realizzatasi. Mobilità del bersaglio se questo è rappresentato da un uomo all'impiedi o mobilità comune del leso e del feritore in fase di colluttazione per sottrazione del leso alla intenzionalità del feritore (morte del non consenziente). Il colpo sotto il mento, in piena verticalità di tramite, esclude il bersaglio all'impiedi, quello al fianco, che simula addirittura un colpo sparato dall'alto, una orizzontalità dell'arma. La soluzione è quella di una colluttazione con tentativo di disarmo del soccombente, iniziale. Ricostruendo così la dinamica: il colpo al fianco è conseguenza di disarmo di mano impugnante una pistola e con torsione verso il basso ed allontanamento verso l'esterno; una immagine non nuova per la medicina legale; segue la caduta a terra dei due per trascinamento da parte del soccombente che si trova vis-à-vis con l'aggressore. Nella caduta, il sottostante, istintivamente estende il braccio destro, forse in cerca d'appoggio, abbandonando la presa dell'arma con la mano destra che si rinnova con la sinistra al fine di evitare che la mano dell'aggressore porti l'arma verso gli organi vitali del corpo; anche qui allontanamento forzato e parte il secondo colpo sul braccio esteso e lungo di esso in tangenzialità. 199 CAPITOLO 7 STUDI E PERIZIE CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE” L'opposizione del soccombente comincia a cedere senza però cessare; l'arma si sposta sulla regione sopraclaveare di destra sparando, quindi più al centro del corpo, sotto il mento, ed è ancora fuoco; la pallottola incontrerà la dura resistenza della spessa base cranica dopo aver perforato il palato, determinandone la polifratturazione. Il soccombente cede ma resta ancora sul polso dello sparatore che, con ultima angolazione obbligata, fa partire l'ultimo colpo, quello sulla parasternale destra con probabile deviazione verso la scapola sinistra del proiettile da resistenza ossea costale o vertebrale. Se osserviamo siffatta serie di tre colpi, sull'avambraccio destro esteso in alto, quello sulla zona sopraclaveare destra come il quarto sotto il mento, vengono comunemente a trovarsi tutti alla stessa altezza e su una comune linearità. Quello sulla parasternale è strettamente zonale perché a cinque dita trasverse sotto il quarto. Quanto ai colpi della spalla sinistra così contemplabili nella loro minima area sono senz'altro di raffica a bruciapelo; è caratteristica delle mitragliette la distanzialità dei loro effetti già nel modesto allontanarsi del bersaglio. Potrebbero essere stati esplosi da persona intervenuta a dar manforte allo sparatore di pistola e che per non colpirlo ha indirizzato la raffica sulla spalla sinistra del soccombente, unica regione di questi, ancora scoperta durante la colluttazione oppure per altre contingenze che fanno presupporre nella fattispecie la presenza e l'intervento di una quarta persona (C. Petacci), ragione volontaria o involontaria deviante l'arma in eccentricità. Tornerò su tale ultimo tema (l'unico improntato a probabilistica per carenza di rilievi di certezza) considerando la morte della Petacci nella contemporaneità dell'azione illustrata. Da quanto detto viene implicitamente a sussistere la dinamica dei colpi esplosi quasi a contatto se non addirittura; con la ricostruzione per dinamizzazione dell'evento necessariamente sorge tale risultanza. Fermarsi solo sull'apprezzamento della polispazialità dei colpi d'arma da fuoco inferti al Mussolini e dunque non confortanti una esecuzione capitale è ingiusto verso di me e quest'opera; andiamo dunque ad indagare altre componenti dimostrative: le più importanti. Qui, per l'epoca recente in cui avvenne il fatto in esame, le armi erano con cariche deflagranti a polveri cosiddette bianche (ovvero con ridotto carattere ustionante e affumicante a differenza delle antiche nere); la vicinanza dello sparo determina per le bianche un miglior schematismo didattico una volta raggiunto il bersaglio: foro d'ingresso con intorno ustione e contusione da gas (3-5 cm), affumicatura (fino a 10 cm), tatuaggio sulla cute da particelle incombuste di polvere (fino a 30-40 cm); il tutto attorno a quel foro escoriato-emorragico in una congerie grossolanamente concentrica. Nell'autopsia citata nulla viene riferito e verbalizzato oltre ai fori di entrata dei proiettili e la loro caratteristica pre-mortale (alone escoriativo-emorragico) che è l'unica indipendente dalle distanze del colpo esploso; l'alone detto può costituire un anello di 3-7 millimetri e resta sempre riscontrabile perché non asportabile meccanicamente o chimicamente. Cancellabile è invece l'affumicatura, concentrica al foro come l'alone ma più volubile a causa delle distanze; volubilità determinata dalla combustività delle polveri (oggi ancora più povere di scorie affumicanti del 1945) anche; indelebili invece le particelle incombuste penetranti nella cute (o tessuti d'indumenti) e responsabili di un tatuaggio fatto misto all'alone di affumicatura asportabile con una spugna inumidita. Ma anche il tatuaggio è subordinato alla modernità dell'esplosivo ed alle sue fecce superstiti. La preparazione di un cadavere prima di deporlo sul tavolo settorio è competenza di manovalanza tecnica non medica come lo spogliarlo e il lavarlo sia pure con acqua 200 CAPITOLO 7 STUDI E PERIZIE CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE” fredda; questo atto non è per idrante ma di solito per spugna che con facilità rimuove tracce labili compresa l'affumicatura di colpo d'arma da fuoco. Ecco perché l'ispezione attenta del corpo prima dell'autopsia è di attenta competenza sia per il suo vestire, nudità, atteggiamenti, residui ambientali, gore ematiche nella eventualità di manomissioni, spostamenti occasionali o intenzionali. Soltanto la preziosità della sequenza fotografica di Piazzale Loreto, quando ancora non insiste demolitivamente sulle salme appese, ci rileva che in topografica corrispondenza delle lesioni pre-mortali autoptiche sugli indumenti, non esistono (manica destra del cappotto, spalla destra del medesimo, parte alta dei calzoni) altrettante sdruciture più o meno a lembo che avrebbero dovuto accompagnarsi alla penetrazione di proiettili esplosi a distanza o con queste con segni di affumicatura o di bruciatura con squarci e lacerazioni per i colpi ravvicinatissimi. Nei colpi ravvicinati per gli indumenti specie se di consistenza come nei cappotti, le alterazioni sono vistose per bruciature a coccarda o a raggiera a margini carbonizzati, per squarci da pressione gassosa interpostasi tra il corpo e l'indumento (l'uscita dei gas dalla canna durante lo sparo determinano pressioni altissime considerate in più centinaia d'atmosfere). Nella specie, tutto ci fa pensare ad un rivestimento del cadavere. Possiamo anche definire tale evento, dettato da una instaurata rigidità cadaverica e contemporaneo al calzare degli stivali di cui uno, per abnorme atteggiamento del piede, non chiudibile posteriormente e recante i segni del forzamento perché non restasse aperto (in bacheca della cripta cimiteriale). Su tale premessa possiamo fare pure un calcolo approssimativo attenendoci ad un orario minimo post-mortem di sette ore per il rigor comprendente la sua discesa verso gli arti inferiori: il rivestimento, considerando la morte intorno alle 5,30 del 28/04/45 non poteva essere realizzato se non dopo le 12,30 di quel giorno. Come si vede, anche qui ho scelto valori di massimo rigore per la riduzione delle oscillabilità d'errore, sottraendomi per quel che ho potuto alle approssimazioni onde evitare impugnazioni e contestazioni qualora avessi usato labilità più elastiche ma pur sempre rientranti in confini ineccepibili perché scientificamente accettabili. Abbiamo osservato come i limiti perforativi intrasomatici di un proiettile, si accompagnino oltre all'alone escoriativo emorragico, all'ustione, al tatuaggio, all'affumicatura ecc. e che essi possono consociarsi a seconda delle circostanze dinamiche; ma tutti questi elementi hanno ancora un altro comune comportamento laddove l'arma ha colpito molto da vicino (sempre questione di centimetri). Così a canna perpendicolare, sia l'alone escoriativo, l'ustione, il tatuaggio e soprattutto l'affumicatura, saranno in immagine concentrica rotonda; quando l'arma è in inclinazione, l'immagine assumerà figure a cul de sac (piriformi) e dunque eccentriche. Ciò è visibile nella serie fotografica seconda (quella obitoriale) per il colpo al mento (arma perpendicolare al piano) rotondo come una grossa moneta per alone d'affumicatura, piriforme (con il cul de sac verso il palmo della mano) quello sull'avambraccio destro per arma tangenziale, quasi longitudinale all'arto, in retro-rotazione per caduta a terra. Gli stessi aloni escoriativi senza tali concomitanti segni perché il colpo fu sparato a distanza, nella loro ridottissima rilevabilità, ubbidiscono agli stessi canoni di pura formulazione fisica. Resta di estrema intuibilità che se l'alone d'affumicatura è rintracciabile su cute, essa non poteva essere coperta da indumenti che avrebbero interferito l'effetto del colpo ravvicinato in una intercettazione quasi totale per consimili concomitanze. E' implicito che per Mussolini, o l'alone di affumicatura pertinente alle lesioni premortali (e dunque inferte a bruciapelo o quasi) non esisteva e non poteva essere descritto in verbalizzazione o se non verbalizzato 201 CAPITOLO 7 STUDI E PERIZIE CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE” perché non più ravvisabile; non esiste la descrizione dello status del cadavere quale ispezione pre-autoptica, che avrebbe dovuto descrivere anche i vestimenti nelle loro alterazioni tissutali (basti pensare all'avambraccio destro già citato e che trapassato in entrata ed uscita avrebbe dovuto evidenziare macroscopicamente e senza dubbi, sulla manica del cappotto topograficamente corrispondente, particolari segni se non altro per la ristretta area tissutale compromessa). La ravvisabilità dell'alone d'affumicatura (detto anche comunemente nerofumo), nelle fotografie pre-autoptiche converge in un tutt'uno la dinamizzazione dell'evento colluttatorio in soggetto praticamente in nudità con la integralità degli indumenti usati per una vestizione post-mortale difficile ed affrettata dettata da circostanzialità inattese ed imprevedibli. Discutiamo ora sul cadavere della Petacci; certamente non fu sottoposto ad autopsia e l'inumazione avvenne con indosso il vestito con il quale la vediamo ancora attaccata al frontone metallico della pensilina. La concordanza degli atteggiamenti per rigidità, prima e durante l'appendimento nonché nelle due foto della seconda serie (Ist. med. legale) la cui importanza è determinante (cadaveri seduti affiancati in posa di sottobraccio) è piena per i detti fenomeni consecutivi. Possiamo non aver caso mai certezza se la donna e l'uomo morirono nella stessa località o luogo, ma la fenomenologia post-mortale ha una grossa indiziarietà per contemporaneità di decessi (quindi anche per la Petacci lo stesso canone di parametro "36"). Si riaffaccia così l'importanza di quegli artifizi iniziali (necroscopia indiretta d'accostamento) che già avevo elaborato in carenza della autopsia documentata del Mussolini; in posizione supina sul Piazzale Loreto, non appaiono (appunto perché non configuratasi la gravità direzionale nell'appendimento) quelle macchie ematiche sugli indumenti intense, che più tardivamente s'esprimono in diverse successioni (salvo una sottascellare destra di difficilissima decifrazione); supinamente, il sangue s'era convogliato per stazionalità verso le parti declivi interne del corpo (torace e addome lungo la colonna vertebrale). Nell'appendimento, anche qui, manifestatasi una stria ematica verticale che dalla parte alta del torace scorre verso la cintola (vomica uscente da foro di arma da fuoco esistente grosso modo sulla parete anteriore dell'emitorace sinistro alto, dovuta ad un primo sollevamento del cadavere preso sotto le ascelle ai fini di mostrarlo alla folla); nei tempi successivi le foto in bianco-nero non la recepiscono più perché essiccatasi e ossidatasi; per contro percepiscono (per la posizione a testa all'ingiù) la nuova direzione contraria della stria medesima (torace sin.-base del collo) e che perdurerà fino al disappendimento. Nell'ausilio di altra fotografia in cui vedesi il corpo della donna nuovamente supino su altro punto del piazzale e sottoposto a lavaggio con idrante e che rivela (il corpetto stavolta è aperto e mostra il piano toracico anteriore) foro d'arma da fuoco sul terzo spazio intercostale in parasternale, la prima intuizione trova rafforzamento per constatazione. Impossibile però pronunziarsi se si tratti di foro d'entrata o d'uscita. Avanzando nelle sequenze dell'appendimento, compare più tardi una gora ematica che si diparte stavolta dalla parte bassa dell'emitorace destro (quattro dita trasverse sotto il foro citato ma dall'altra parte in linea medioclaveare). La ritardata apparizione di tale segno sta per sottostante verosimile foro sub-diaframmatico e dunque già in settore cavitario addominale per cui il sangue necessitò di un maggior tempo di stravaso interno prima di raggiungere verso l'esterno, siffatto emissario. Se dovessimo per dette due lesioni periziare con diagnosi anatomo-patologica (anche qui non si può dire se colpo d'entrata o uscita) avremo: il primo colpo d'arma da fuoco ha colpito il cuore nella sua metà atrio-ventricolare sinistra, mentre il secondo ha trapassato il fegato e colon trasverso. 202 CAPITOLO 7 STUDI E PERIZIE CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE” Dopo la riesumazione dal Mussocco di Milano (i dati anagrafici erano stati cambiati in quelli di Rita Colfosco) per il trasporto a Roma dei resti, mi si disse dai legali della famiglia Petacci che era stato tra essi trovato un proiettile di pistola cal. 9 e notata l'infrazione della clavicola (forse destra). Astrazion fatta per quest'ultima nella incompetenza dei profani, la repertazione del proiettile sembra più interessante e credibile. Comunque, ripeto ancora, quanto esposto è un tentativo per sole finalità indiziarie e sul quale, per mia compostezza professionale, non pretendo il valore di fondatezza. Tuttavia riprendo la ricomposizione dell'evento letale accomunando stavolta l'uomo alla donna (cosa che non avevo fatto prima escludendola) nell'intuitività probabilistica. Innanzitutto i quattro colpi di mitra sulla spalla sinistra del Mussolini appaiono troppo decentrati circa quelli che ho 'costruito' sul corpo della Petacci, apparentemente due e toracici. Perché due soltanto? Forse si era avuta la sensazione della immediata morte della donna con due soli colpi, oppure al momento, pur nella intenzione di sparargliene altri, era terminata nell'arma la dotazione delle cartucce nel caricatore. Siamo nel 1945 e l'Italia abbonda d'armi d'ogni genere, ma la pistola più diffusa ed ambita è la Beretta Cal. 9 corto, modello 1934; il suo serbatoio contiene sette pallottole. Se sommiamo i cinque colpi di pistola pel Mussolini con i due per la Petacci, ci siamo; la stessa persona e con la stessa arma colpisce lui e lei. Se la donna, durante la mortale colluttazione del Mussolini con il suo uccisore fosse rimasta presente ed immota, era immaginandola tale soltanto se trattenuta fisicamente per non farla intervenire, da altri (non escluso da colui armato di mitra). Ammettendo invece una sua disperata temperalmente generosa partecipazione, sarebbesi aggiunta ai due colluttanti, stendendosi obliquamente sui due corpi e con la spalla destra quasi sulla sinistra del Mussolini, unico spazio corporeo scoperto di lui, mentre con la mano destra aiuta quella del compagno in un tentativo comune, di portare o tenere all'esterno del bersaglio vitale, quella pistola che tendeva, come abbiamo visto, a centrarsi sempre più minacciosamente, a centrarsi su parti ben più vitali che non l'avambraccio destro e la regione carnosa sopraclaveare di quel lato in direzione sottomentoniera. In tale posizione, la donna presenta al mitra le spalle, che la punta quasi a contatto; ma essa si pone di quarto improvvisamente, forse sul fianco destro e la canna viene deviata mentre la raffica concentra il fuoco sull'estremo della spalla dell'altro morituro, mentre con due colpi, lo sparatore con pistola, trovatosi in posizione interposta tra l'uomo e la donna, colpisce questa dal basso (verso cioè la superficie anteriore del torace che lo sovrasta) verso l'alto, ovvero in uscita al dorso. Altre soluzioni appaiono meno logiche e meno inquadrabili nei momenti relativamente brevi (5-8 min. al massimo) necessari per siffatto accadimento. Se tutto ciò è negli estremi del probabile, nel quadro della disamina e della ricerca, nel dialogo critico di tutti se in buona fede, così come lo sono stato io con me stesso. Questo lavoro è alla fine; porta alla conclusione della pensabilità di un evento tutto diverso da quanto e come lo si è voluto esporre. Se ha centrato la verità, almeno nelle sue più essenziali tessere di paziente e faticoso mosaico che ha esagito attese, umiliazioni, delusioni, serva alla Storia quando e come essa vorrà. Indubbiamente qualcosa da tenere assolutamente nascosto in quella notte del 28/04/45 in una casa non lontana dal lago di Como, accadde; seguì il tutto una trista scia di morti. Si fece moltissimo per far sì che tutto rendesse verosimile una esecuzione capitale, per tacere che qualcosa di non convenientemente raccontabile, forse improvviso o addirittura inatteso, perché non voluto, era purtroppo avvenuto. 203 CAPITOLO 7 STUDI E PERIZIE CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE” Non sta a me medico, pensare alle circostanze causali; senza dubbio prima di uccidere ci fu una attesa, un dialogo concitato forse. Non si è trattato di un precipitarsi in una stanza di una casa rurale sparando all'impazzata già sulla soglia; il tentativo di disarmo operato lo esclude. Lo spazio del vano in cui il dramma si consumò, era ristretto anche perché in parte occupato da un letto matrimoniale; quindi il tutto può essere avvenuto in parte sul pavimento della stanza, sul letto medesimo se non addirittura sul pianerottolo immediatamente antistante. La vestizione dei cadaveri rimasti colà nella loro scomposta impudicizia, fu senz'altro laboriosa per l'essere sopraggiunto il rigor fino alla completezza, verosimilmente abbandonati dopo quel fuggi-fuggi generale che pervase coloro che furono partecipi o attori di qualcosa di inusitato e sconvolgente. Non si ebbe nemmeno il coraggio di ricomporre quegli indumenti intimi di cui i due deceduti erano soltanto coperti nel momento dell'evento. Ci si affidò più a quelli di vestizione che erano reperibili cercando di porli addosso nel modo migliore e più facile per chi non è aduso alla vestizione dei morti, quando specialmente questi diventano delle lignee statuarità. Si tentò di tutto per creare una sceneggiatura d'emergenza fino allo sparare sulla nuca del Mussolini molto tempo dopo la sua morte, nell'intento di creare quella pedissequa tradizionalità del colpo di grazia misconoscendo che in fase d'autopsia si sarebbe apprezzata la lesione non successa in vita. Se è vero, si crearono addirittura due sosia perché inducessero i curiosi a far testimonianza di due sopravvivenze non più tali da molte ore. Lo stesso medico-settore volle ribadire per i dubbiosi che quanto aveva verbalizzato, apparteneva ad una sentenza portata a compimento secondo la ritualità più tramandata, immaginando a contro-prova addirittura l'esecutando che alza il braccio destro in un istintivo modo di riparo, concretizzando così un colpo per proiettile in una impossibile direttrice trapassante, dimenticando l'inizio nel tempo della esperienza autoptica e non più illustrando la lesione al fianco destro in precedenza verbalizzata. Una autopsia che sembra voluta ai fini di una ostinata dimostrazione che quanto s'era narrato era perfettamente vero. Forse far tutto questo era necessario; il disagio restava per la morte della donna, in un primo tempo condannata a morte per iscritto unitamente al suo compagno in un elenco limitato ai due e più tardi data per deceduta in un isterico intervento, intercettando così qualcosa di letalmente determinante e non per lei. Allo storico, agli scrittori, riprendere questo discorso che per me desta più un interesse psicologico nella analisi della temperamentalità, esaltata dalle grandi contingenze ed emozioni. Quanto a me non potevo per giungere a tanto, non usare quelle metodiche descritte e che fanno di questa trattazione un puro elaborato tecnico, intendendo procedere per esso e soltanto. Se ho errato chiedo scusa umilmente alla scienza ed alla sua applicazione; agli uomini no, perché non ho inteso affatto polemizzare nell'avvenimento e suoi moventi. Né voglio che questo scritto serva come strumento d'accusa o rivalsa per esaltare gli animi così bisognosi di dimenticare se veramente intendono serenamente convivere. *** 204 CAPITOLO 7 STUDI E PERIZIE CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE” LE IPOTESI BALISTICHE DI ALESSIANI Sulla base di questi suoi studi il dott. Alessiani, come abbiamo visto, aveva quindi ipotizzato tutta una serie di ulteriori considerazioni che lo portavano a supporre una morte di Mussolini all’alba del 28 aprile 1945, probabilmente seminudo nella stessa stanza dove aveva passato la notte e nel corso di una caotica e concitata sequenza di lotta. Una lotta con corpi avvinghiati e finiti a terra ed in cui, nel tentativo di disarmare l’aggressore con pistola, il Duce venne ferito al fianco, forse anche al braccio ed alla fine si aggiunse, nel concitato evento, anche la Petacci che vi trovò la morte, ed un altro assalitore con il mitra. Non possiamo qui riportare tutte le sequenze, ricostruite con appositi manichini che l’Alessiani venne a produrre (molti documenti sono presenti e visibili nel sito, da noi più volte citato, http://www.larchivio.com/storia.htm), ma effettivamente sono ricostruzioni dinamiche di grande interesse. In pratica Alessiani venne ad ipotizzare una dinamizzazione dell'evento morte di Mussolini. Questi studi restano una pietra basilare sulla strada della verità su la morte di Mussolini, ma in seguito, essendo emersi molti altri elementi (i rilievi con macchinari sofisticati) e qualche testimonianza abbastanza attendibile (Dorina Mazzola di Bonzanigo) ed anche in considerazione che le ipotesi di Alessiani non potevano essere oggettivamente definitive e categoriche, ma potevano lasciare spazio ad ulteriori modifiche e precisazioni, ci si è formati l’idea che probabilmente il medico legale, purtroppo deceduto nel 1999, si era sbagliato nell’estendere e comprendere tutta la sequenza della uccisione di Mussolini in un unico momento temporale (fasi di lotta nella stanza conclusesi con l’uccisione a terra del Duce e della Petacci, da parte dell’assalitore con il mitra venuto a dare manforte a quello con la pistola) e non in due momenti distinti. Del resto lo stesso Alessiani ammise che, mancando l’autopsia della Petacci, aveva dovuto ricostruire la sequenza con una metodica di presunzione (n.d.a.) COMMENTO AGLI STUDI DI ALESSIANI Come commentare questa rivoluzionaria ipotesi del dott. Alessiani ? Intanto possiamo constatare che, dopo un primo momento in cui vi fu un certo schieramento di studiosi del problema, propensi a sposare questa tesi che Alessiani indicava come “tecnica della dinamizzazione dell'autopsia” (una applicazione inconsueta, ma ingiustamente trascurata dalla normale medicina legale), con il tempo però l’interesse è venuto meno, anche perchè gli studi di Alessiani si basavano su documenti e reperti non determinanti o insufficienti e che comunque si potevano prestare anche ad altre diverse ipotesi e conclusioni. Sono però rimasti accettabili e validi molti aspetti e procedure del suo studio, anche se la sua ipotesi complessiva presentava delle forzature. A conti fatti, comunque, la sostanza di buona parte delle teorie di Alessiani trovano conferma, non soltanto nella buona logica deduttiva da lui espletata, ma anche alla luce di tanti piccoli riscontri fotografici fatti ultimamente con nuove tecniche. Probabilmente l’ora della morte del Duce va spostata qualche ora più in avanti rispetto alle 5 – 6 del mattino, ma in questo lo stesso Alessiani si è sempre detto possibilista e del resto, in calcoli del genere, il margine di errore e sempre elevato; rivoluzionaria e poi sostanzialmente confermata, l’ipotesi che Mussolini fu ucciso senza che avesse indosso camicia, giacca e cappotto (ma Alessiani tendeva ad escludere anche la maglietta di salute). 205 CAPITOLO 7 STUDI E PERIZIE CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE” Destano quindi grande interesse alcuni rilievi, da lui fatti, sulle foto con i corpi disappesi e trasferiti all’Istituto Di Medicina Legale dell’Università di Milano. Riportiamo, qui sotto, una di queste importantissime foto e le deduzioni di Alessiani: Qui si vede che i corpi disappesi da Piazzale Loreto sono stati trasferiti all'Istituto di Medicina Legale dell'Università di Milano. Siamo forse nel pomeriggio o la sera tardi o la notte di domenica 29 aprile 1945 o l’alba del 30 (è difficile stabilire l’ora di questi scatti fotografici). I cadaveri sono ancora parzialmente vestiti e quindi siamo alquanto prima dell’autopsia che iniziò la mattina del 30 alle ore 7,30 (6,30 ora solare). In una foto (qui non riportata) si nota che i corpi, distesi a terra, a fine di dileggio, sono messi a guisa di galante offrire il braccio: <<il polso destro della donna si flette verso il basso spontaneamente, i due capi si accostano quasi in una affettuosa intesa>>. Poi, qualcuno decide di mettere a sedere i corpi (foto sopra): <<accade allora che le teste già ciondolano e che le si deve reggere, le due braccia incrociate si liberano e cadono pesantemente verso il basso. Indubbiamente assai ben poco del rigor mortis resta in questi due preziosi documenti; se il decesso del Mussolini e della Petacci è, come si è sostenuto, delle 16,10 del sabato, la rigidità non solo sarebbe cessata in 24 ore ma in queste 24 ore è avanzatissima anche la risoluzione rilasciativa. Siamo addirittura nel dubbio di un decesso appartenente al venerdì 27 se non ci fossero certezze della esistenza in vita dei soggetti. Appare singolare la verbalizzazione del Prof. Cattabeni che dichiarerà nel verbale di autopsia eseguita all'indomani, che nel Mussolini la rigidità "era risolta alla mandibola. Persistente agli arti"... La rigidità era invece risolta anche per i muscoli del collo, degli arti superiori, del dorso. Probabilmente anche agli arti inferiori, ma non possiamo attingere dalle foto anche questo>>. 206 CAPITOLO 7 STUDI E PERIZIE CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE” Per quanto riguarda la testa ciondoloni del Duce, forse Alessiani non considerò la probabile frattura della colonna cervicale che la rendeva estremamente mobile, ma il resto del rilassamento resta comunque sempre confermato dalla posizione seduta con gli arti rilassati in cui vennero messi i cadaveri all’obitorio. Viceversa il particolare della mancanza di pantaloni e maglietta, che invece Mussolini probabilmente indossava quando ucciso, fu forse esagerato da Alessiani stesso che ipotizza invece un Mussolini quasi nudo. Ma non è questo un errore tale da inficiare il resto dei suoi studi, visto che Alessiani non aveva potuto esaminare i pantaloni nella teca del cimitero e che eventuali fori sulla maglietta non erano a quel tempo ben riscontrabili dalle foto del cadavere senza l’ausilio di tecniche altamente sofisticate. Altro elemento che probabilmente Alessiani ha troppo esagerato è la sua ipotesi che Mussolini e la stessa Petacci siano stati uccisi nel corso di una furibonda lotta: molto più probabilmente, invece e come già accenato, tutta la faccenda si è consumata in due fasi: prima una lotta nella stessa stanza (scaturita da non ben definiti imprevisti) che ha portato Mussolini, con i pantaloni indosso, ma in canottiera, ad essere ferito al fianco e forse anche al braccio. Poi in un secondo momento, di poco successivo, la fucilazione prima di Mussolini e più tardi ancora l’uccisione proditoria della Petacci. Ricordiamo che, invece, Alessiani ipotizzò la morte del Duce e della Petacci al termine della lotta che ingaggiò con i suoi assalitori e che si concluse al suolo. Alessiani ha basato questa ipotesi principalmente sulle inclinazioni e traiettorie che presentavano alcune delle 9 ferite prodotte in vita sul cadavere del Duce e che presumevano corpi in contorsioni e movimento oltre a spari ravvicinatissimi. Fatto sta che però non abbiamo l’esatta misura di quelle inclinazioni (deducibili in sede fotografica), nè altre valutazioni balistiche e quindi l’ipotesi di lotta, conclusasi con l’uccisione al suolo, non è la sola possibile, anche se è intuitivamente da scartare la “versione ufficiale” con la sua classica fucilazione da tre passi (Valerio). Da quello che si riuscirà a ricostruire, anche tramite la testimonianza dell’ex vicina di casa dei De Maria a Bonzanigo e dalla scansione con particolari filtri della maglietta sanitaria indossata da Mussolini, probabilmente la mattina del 28 aprile accadde un imprevisto e forse una colluttazione nella stanza di casa De Maria e quindi Mussolini, ferito da un colpo di pistola al fianco (e forse anche al braccio) venne poi portato fuori casa, sotto al cortile per essere ucciso. Alessiani, quindi, ha effettivamente intuito una parte (quella iniziale) degli avvenimenti di quella mattinata. 207 CAPITOLO 7 STUDI E PERIZIE CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE” Altri studi Lo studio e le osservazione del Prof. Giovanni Pierucci titolare della cattedra e direttore dell’Istituto di medicina legale di Pavia, in base alle domande ed ai quesiti postigli da Giorgio Pisanò nella metà degli anni ‘90. Veniamo adesso allo studio eseguito a metà degli anni 90 dal prof. Giovanni Pierucci titolare della cattedra e direttore dell’Istituto di medicina legale di Pavia, in base alle domande ed ai quesiti postigli da Giorgio Pisanò il quale poi ebba a riportarle nel suo libro Gli ultimi 5 secondi di Mussolini gia citato. L’istituto di medicina legale di Pavia è celebre per aver seguito vari rilievi di questo tipo in casi di criminalità e simili. Quello realizzato a suo tempo è forse oggi un lavoro in parte datato e bisogna sottolineare che, infatti, anni dopo lo stesso professor Pierucci costituì una vera e propria equipe per lo studio delle cause e modalità della morte di Mussolini, la quale si potè avvalere di sofisticati sistemi informatici digitalizzati per la scansione delle fotografie e dei filmati d’epoca disponibili, inerenti i cadaveri di Mussolini e della Petacci. Più avanti, in questo stesso capitolo, vedremo infatti questi nuovi e decisivi studi, presentati ad un convegno e poi pubblicati a maggio del 2006 dalla rivista Storia in Rete, ma nonostante questo, desta anche un certo interesse la conoscenza dei precedenti studi del prof. Pierucci. Sulla base di tutte le precedenti esperienze e gli studi che si erano accumulati nel tempo, circa il verbale dell’autopsia di Cattabeni, Giorgio Pisanò richiese a suo tempo al Professor Giovanni Pierucci una consulenza medico legale sulla morte di Mussolini. Qui, come vedremo tra poco, non verranno poste domande o espresse considerazioni sul riscontro del rigor mortis tramite i rilievi foto cinematografici. Forse per il fatto che è estremamente problematico fare questi calcoli solo attraverso l’osservazione delle foto. In ogni caso non è poi così azzardato ipotizzare, ed ovviamente solo ipotizzare, dalla osservazione delle foto del cadavere nei corridoi dell’obitorio (anche se per queste qui non si conosce l’ora precisa in cui vennero scattate) che si può, sia pur con tutte le limitazioni del caso, sostenere una fase, più o meno avanzata di rilassamento per il cadavere di Mussolini e quindi, in tal caso, dovremmo sicuramente escludere una morte avvenuta alle 16,10 del 28 aprile ’45. Osservazioni delle foto Ma non solo dalle foto dell’obitorio, ma anche da quelle precedenti, scattate quando i corpi di Mussolini, la Petacci e gli altri fucilati a Dongo, a cui si aggiunse poi il cadavere di Achille Starace da poco fucilato proprio lì nei pressi, vennero appesi alla pensilina di Piazzale Loreto, si notano, sia pure con molto meno rilevanza, alcuni interessanti particolari. Il cadavere di Starace, infatti, come è normale che sia, essendo morto da poco, ha le braccia, per gravità, distese e rilasciate totalmente penzoloni verso il basso. 208 CAPITOLO 7 STUDI E PERIZIE CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE” Sappiamo che i fucilati di Dongo, erano stati uccisi verso le 18 del giorno precedente (il 28 aprile ’45), mentre Mussolini e la Petacci, secondo la versione ufficiale, erano morti circa un ora e mezza prima. Ebbene osservando quelle foto, quando Mussolini ha ancora indosso la camicia nera, che mano a mano verrà strappata, e quindi scattate tra le 11,30 e forse le 13,30 (con lo scarto di un ora se andiamo a considerare l’ora solare) possiamo contabilizzare, poco più poco meno, un lasso di tempo che per prudenza va dalle 18 alle 22 ore dalla morte di tutti costoro. Ed infatti, pur con tutte le limitazioni di un riscontro semplicemente fotografico e parziale, essi mostrano alle braccia una certa rigidità che non consente il loro rilassamento e distensione verso il basso. Però il cadavere del Duce sembra, ripetiamo sembra, mostrare un leggero e più pronunciato rilassamento alle braccia (in particolare quando sarà ripreso senza la camicia). E’ giocoforza allora prendere in considerazione la testimonianza della signora Mazzola (che vedremo nel Capitolo 11) che attesta una morte di Mussolini forse intorno alle ore 9,00 del mattino precedente. In ogni caso dovremmo anche ipotizzare un rigor mortis, intervenuto precocemente per costituzione fisica e cause di morte eccezionale e repentina, ed una durata forse inferiore alle 36 ore, sempre per gli stessi motivi e per cause di conservazione del cadavere eccezionali, e quindi un precoce inizio del processo di rilassamento, proprio come in parte aveva ipotizzato il dott. Alessiani (che anzi era stato ancor più estensivo nell’anticipare l’orario di morte). Comunque sia, per tornare al prof. Pierucci ed alla richiesta per una sua consulenza, furono forniti, da Pisanò, i seguenti documenti, con quest’ordine numerico: 1. Verbale d’autopsia del cadavere di Mussolini Benito eseguita dal Prof. Caio Mario Cattabeni il 30.4.1945, vergato a mano sul registro delle autopsie dell’Istituto di Medicina Legale e delle assicurazioni dell’Università di Milano, al n. 7241; 2. “Rendiconto di una autopsia d’eccezione”, di C. Mario Cattabeni, pubblicato sulla rivista scientifica Clinica Nuova del 15 luglio – 1 agosto 1945 (estratto); 3. Verbale di autopsia del cadavere di Mussolini Benito (n. 8357) eseguita (dopo il recupero della salma circa quattro mesi prima) dal Prof. A. Cazzaniga con la partecipazione del Prof. A. Astuni e del Dott. E. Bossi; 4. Verbale di consegna dei “resti mortali” al cimitero di Predappio; 5. “Documento Cova” (vedi “Unità” 23 aprile 1996); 6. E’ stato inoltre aggiunto vario materiale fotografico e cinematografico, tutto in bianco e nero, che però è risultato insufficiente per poter appurare con certezza alcuni riscontri. Riprendiamo e sintetizziamo qui appresso dal libro di G. Pisanò “Gli ultimi cinque secondi di Mussolini”, Il Saggiatore Milano 1996, ampi stralci che riportano l’esposizione di questa consulenza. 209 CAPITOLO 7 STUDI E PERIZIE Quesiti. CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE” Esprimono le finalità dell’indagine. A. Quanti colpi hanno raggiunto Mussolini da vivo ? B. Quali sono stati i colpi mortali ? C. Come si spiegano il colpo all’avambraccio destro e quello al fianco destro ? Quale poteva essere la posizione del braccio destro quando venne trapassato dal proiettile ? Mussolini era in piedi: come si giustifica la traiettoria del colpo al fianco destro? D. E’ possibile che i colpi sopra menzionati siano stati esplosi contro Mussolini in un tempo diverso e antecedente rispetto agli altri ? In particolare, è possibile che i colpi all’avambraccio ed al fianco siano stati provocati dal fatto che Mussolini, vistosi di fronte uomini armati chiaramente decisi a ucciderlo, abbia estratto una pistola e che gli aggressori (almeno uno di loro) abbiano subito sparato per impedirgli di usare l’arma ? E. Le ferite all’avambraccio e al fianco destro potevano ancora consentire a Mussolini una possibilità di movimento sia pure con difficoltà ? F. Per quanto tempo dopo la morte può aversi gemizio di sangue sul cadavere, tale da lasciare tracce riconoscibili ? G. Le traiettorie degli altri sette proiettili (collo e torace), così come documentato dall’autopsia, confermano o meno che Mussolini al momento della morte si trovava in piedi davanti ai suoi uccisori ? H. Sono riconoscibili, sulle foto della Petacci da noi esaminate, tracce di lesioni (oltre a quelle da armi da fuoco) prodotte in vita? I. In caso di subita violenza carnale, le tracce di essa sono ancora riconoscibili sul cadavere, a circa due giorni dalla morte ? Discussione preliminare Alle domande su esposte, il professor G. Pierucci premise una discussione preliminare i cui passi salienti possono essere così riassunti: una precisazione sul fatto che la necroscopia di Cattabeni non fu un riscontro giudiziario, ma un “riscontro diagnostico” il che pone dei limiti alla utilizzabilità del verbale autoptico ai fini di una ricostruzione medico legale della dinamica della morte. E questo per la mancata descrizione degli indumenti; i mancati riferimenti metrici esatti attinenti alle singole lesioni di entrata (E) e di uscita (U) nei rapporti reciproci ed in quelli con i piani standard; la ricostruzione solo parziale ed approssimativa delle singole traiettorie anatomiche dalla quali tentare la ricostruzione delle traiettorie “balistiche”; una vistosa omissione esecutiva e/o descrittiva nella sezione cadaverica, riguardante il collo, particolarmente grave per la difficoltà di stabilire una probabile ritenzione di un proiettile. In ogni caso, in base al referto autoptico N. 7241 (N. 1 prodotto) si segnalano sul cadavere di Mussolini 15 fori di entrata di cui 9 con carattere vitale e 6 postmortale. 210 CAPITOLO 7 STUDI E PERIZIE CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE” Tuttavia sul successivo rendiconto dell’autopsia del luglio/agosto ’45 (N. 2 prodotto) viene giustamente considerato a parte la coppia di fori all’avambraccio destro, perché la fuoriuscita di questo colpo potrebbe aver attinto altra parte del corpo alterando il computo esatto fori in entrata – fori in uscita. Pur con tale precisazione siamo però in difetto di un colpo, perché nel precedente verbale autoptico vennero identificati in tutto (a parte la lesione all’avambraccio Dx) non già 7 colpi in entrata con caratteristiche vitali, bensì 8. Il documento N. 2 prodotto (il rendiconto), invece, dimentica curiosamente il foro premortale (ed il tramite a quello seguente) al fianco Dx. Ricorda poi che, per il foro all’avambraccio destro, il Cattabeni ipotizza un gesto di schermo del condannato all’atto della fucilazione. Altri riscontri sui vestiti e sui corpi Si tratta di ulteriori osservazioni sempre nell’ambito delle stesse domande poste. All’epoca, comunque, venne specificato che fu soprattutto difficile risalire ai seguenti dati: tutto l’ambito corporeo della Petacci; il versante dorsale del corpo di Mussolini, carenza questa che contribuisce a lasciare irrisolto il problema dell’uscita del colpo sopraioideo. Alcune sequenze filmiche ritraggono i cadaveri in posizione molto obliqua rendendo difficile la localizzazione delle lesioni, la loro reale morfologia i reciproci rapporti. Mussolini: per esempio i fori dell’emitorace sinistro del Duce, nel film palesano una forma ovalare che farebbe presupporre traiettorie oblique. Inoltre è impossibile, dalle foto, differenziare con certezza le lesioni vitali da quelle postmortali. I due fori pertinenti alla coppia entrata / uscita dell’avambraccio destro, si rendono visibili e quello esterno verso la superficie palmare. Da un raffronto di queste immagini la lesione ultima detta parrebbe avere una localizzazione più prossimale (cioè più vicina al gomito), anziché più distale (cioè più vicina al polso) come invece segnalato dal verbale autoptico. Comunque non si riscontrano fori sulla maglietta (perchè allora non visibili senza particolari mezzi moderni, n.d.r.), né sulla camicia che, prima della sospensione a piazzale Loreto, sono più o meno completamente indossate dal Duce. All’obitorio gli unici indumenti visibili sono i pantaloni e la maglietta: questa presenta numerosi imbrattamenti (probabilmente ematici) che mascherano totalmente gli eventuali fori. Clara Petacci: considerazioni analoghe valgono per la donna. Il vestito aperto della Petacci sul petto consente di rilevare su di esso diversi fori di arma da fuoco. Alcuni sono sicuramente d’uscita, altri dubbi. In prossimità del lato Dx del collo, compare una serie di piccole, tondeggianti lesioni (escoriazioni?) dalla natura discutibile. Le grossolane escoriazioni in regione sottomandibolare ed altre ancora sono quasi sicuramente postmortali (calci). In alcune sequenze parrebbe di ravvisare la tumefazione ecchimotica della palpebra inferiore Dx ed una certa tumefazione della regione orbitaria Dx. 211 CAPITOLO 7 STUDI E PERIZIE CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE” CONCLUSIONI E RISPOSTE ALLE DOMANDE A causa della lunghezza espositiva riassumiamo e riportiamo qui solo i passi salienti contenuti nelle risposte del prof. Pierucci, rimandando alla lettura integrale del libro di Pisanò e sperando di aver ben sintetizzatato quanto trascritto a suo tempo. A. (I colpi) Mussolini da vivo fu attinto da almeno otto colpi di arma da fuoco, forse nove, per l’incertezza che il colpo all’avambraccio Dx potrebbe, una volta uscito, essere ripenetrato nel corpo ovvero potrebbe essere pertinente ad un proiettile che già aveva trapassato il corpo annoverandosi fra uno degli altri otto. Non sono precisabili calibro ed altre caratteristiche (statiche e dinamiche) dei proiettili. Il verbale d’autopsia non documenta un foro d’uscita per il colpo che attinse la regione sopraioidea: il proiettile quindi potrebbe essere ritenuto nei resti. B. (I colpi mortali) Fra i colpi mortali che raggiunsero il Duce, il ruolo principale spetta a quello che determinò la perforazione aortica toracica. Altri colpi letiferi sono i due che attraversarono il polmone sinistro. Ruolo letifero accessorio, ma non nullo, è svolto probabilmente anche dal colpo sopraclaverare Dx. Ciò vale anche per il colpo sopraioideo. C. (Colpi all’avambraccio e al fianco) Il colpo trapassante l’avambraccio Dx, attribuito da Cattabeni ad un probabile gesto di schermo, è compatibile con la comune esperienza medicolegale in tema di omicidi. Non è tuttavia l’unica ipotesi plausibile, anzi sul piano psicologico sembra poco coerente con il comportamento di un giustiziando. Inoltre questa lesione potrebbe anche essere seguita all’uscita del proiettile dal corpo stesso, presupponendo che Mussolini aveva le mani legate dietro la schiena. Il colpo al fianco Dx è compatibile con l’evenienza di uno sparo dall’avanti al dietro, eventualmente con l’arma, a un dipresso, alla stessa altezza della lesione d’entrata. D. (Tempistica dei colpi) Altra ipotesi è quella che l’avambraccio Dx di Mussolini sia stato raggiunto dal colpo mentre tentava di impugnare un’arma con la mano corrispondente. In tal caso il proietto, fuoriuscito sul versante interno (palmare) dell’avambraccio, nella sua ulteriore traiettoria potrebbe avere attinto il fianco Dx per fuoriuscire dal gluteo corrispondente. Ovvero le due lesioni (avambraccio Dx e fianco Dx) potrebbero essere state provocate da colpi distinti. L’eventualità del/dei colpi in sensibile anticipo, rispetto a tutti gli altri, non è incompatibile con le obiettività medicolegali riportate nel verbale di autopsia, ma non può essere dimostrata sulla base dell’indagine necroscopica. E. (Possibilità residua di movimento) Le ferite all’avambraccio e, rispettivamente, al fianco destro, per sede e natura, avrebbero ancora consentito qualche possibilità di movimento sia pure con difficoltà. A maggior ragione questo vale per il colpo al fianco Dx che come fu confermato alla ricognizione cadaverica del 18. 8.’46 aveva interessato a tutto spessore l’osso iliaco, mantenendosi molto superficiale, in sede non percorsa da importanti formazioni nervose, senza intercettare articolazioni o grossi vasi. F. (Tempi del gemizio ematico) Il tempo del gemizio ematico post mortale, in caso di lesioni penetranti, varia notevolmente in rapporto a vari fattori. Per tale motivo è assai arduo porre dei limiti cronologici stretti per il fenomeno del gemizio ematico delle lesioni. 212 CAPITOLO 7 STUDI E PERIZIE CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE” G. (Fucilazione eseguita con il giustiziando in piedi) Le traiettorie degli altri sette proiettili che attinsero il Duce dimostrano, come scrisse Cattabeni nel rendiconto d’autopsia, che l’esecuzione è avvenuta con il petto del giustiziando rivolto alle armi. H. (Lesioni premortali sulla Petacci) La documentazione fotografica e cinematografica relativa alla Petacci è ancor più scarna e tecnicamente precaria di quella attinente il Duce. Da alcuni fotogrammi in bianco e nero parrebbe dedursi una lesione, nella regione orbitaria Dx, in particolare della palpebra inferiore, prodotta da una violenza meccanica, applicata direttamente alla regione, tipo pugno o simile. I. (Tracce di violenza carnale) Tracce di una subita violenza carnale potevano essere ancora riconoscibili sul cadavere a due giorni dalla morte se in stato di conservazione buono come era quello della Petacci. *** E finalmente siamo ora arrivati ad esporre le importantissime risultanze, recentemente dedotte da un qualificatissimo gruppo (Francesco Gavazzeni esperto informatico, Gabriella Carlesi e Gianluca Bello, medici legali) nato a Pavia, intorno alla cattedra di Medicina legale retta del Professor G. Pierucci. 213 CAPITOLO 7 STUDI E PERIZIE CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE” I RECENTI E DECISIVI RISCONTRI CON STRUMENTI E TECNICHE MODERNE Mettiamo ora da parte tutti questi precedenti studi e veniamo invece alle importantissime risultanze rese possibili dalle nuove tecniche scientifiche. Sono queste delle risultanze decisive e di ultima generazione che abbiamo voluto lasciare verso la fine di questo capitolo, proprio per consentire al lettore di avere prima una panoramica esaustiva di tutto quello che fino qualche anno addietro era disponibile in materia. Esse consentono di formulare delle ipotesi che, anche se per loro natura non possono ancora dare certezze assolute, purtuttavia hanno una forte credibilità e concretezza ed unite ai tanti riscontri precedentemente illustrati, assumono un valore determinante. Queste risultanze furono presentate in un convegno storico e poi, due mesi dopo, riassunte e pubblicate da Fabio Andriola sul numero di Maggio 2006 di “Storia in rete” di cui qui appresso riportiamo i passaggi più importanti omettendo foto e disegni. Questo importantissimo articolo, nella sua veste integrale completo delle foto accluse, può essere richiesto presso la rivista, come arretrato. Vedi: http://www.storiainrete.com/. è altresì leggibile nel sito: http://www.ilduce.net/specialemorteduce.htm o anche in: http://firewolfdossier.blogspot.com/2007/06/la-morte-di-mussoliniuna-macabra.html LA MORTE DI MUSSOLINI: Una macabra messinscena! Articolo di Fabio Andriola - Direttore Storia in rete (Storia in rete Nro 7 – Maggio 2006) L’autore premette, oltre al titolo soprastante che è tutto un programma, questa chiara introduzione: “Ucciso da qualcuno che gli sparava a meno di mezzo metro di distanza, mentre era senza camicia e senza stivali e lontano, almeno un po’, da Claretta”. Quindi Andriola ci informa che gli ultimi istanti di Mussolini possono ora essere riscritti, anche se per l’ennesima volta, come è sempre avvenuto per un fatto sostanziale o per un dettaglio. “Ma questa riscrittura probabilmente è l’ultima” aggiunge il bravissimo giornalista scrittore. E aggiunge: <<Infatti è ora il turno non del solito testimone più o meno attendibile ma è la scienza a irrompere nel più intricato giallo della nostra storia recente. E forse non solo della nostra. 214 CAPITOLO 7 STUDI E PERIZIE CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE” E’ grazie ad un inedito – almeno per l’indagine storica – connubio che si sta facendo finalmente largo la verità su quanto accadde in un orario imprecisato il 28 aprile 1945 in una casa di Bonzanigo, frazione di Mezzegra, uno dei tanti paesini che affollano la costa sinistra del lago di Como. Il connubio, nato per aiutare le indagini delle più importanti polizie del mondo, è quello formato dalla medicina legale e dall’informatica digitale. Foto vecchie di decine d’anni possono da poco tempo rivelare particolari impensabili e dare così agli occhi esperti di inquirenti e anatomopatologi nuovi elementi di valutazione. Una tecnica combinata che, per restare all’Italia, è stata applicata intorno a casi celebri della nostra cronaca nera (dal Mostro di Firenze al Caso Ilaria Alpi solo per citarne due) da un piccolo ma qualificatissimo gruppo nato a Pavia, intorno alla cattedra di Medicina legale retta dal professor Pierucci. Quelle foto, opportunamente trattate al computer, hanno infatti svelato particolari che, incrociati con le osservazioni fatte sul tavolo d’autopsia dal professor Mario Cattabeni la mattina del 30 aprile 1945 e con le odierne conoscenze tanatologiche (tanatos in greco vuol dire “morte”) e balistiche ci restituiscono una dinamica dei fatti decisamente lontana da quella che, a firma “Colonnello Valerio”. Quella versione è apparsa a più riprese sull’organo dell’ex PCI, «L’Unità» già a ridosso degli eventi e poi più e più volte fino al libro postumo, uscito negli anni Settanta, titolato «In nome del popolo italiano» e firmato “Walter Audisio”. [...] Ma ad aggiungere mistero al mistero bisogna anche ricordare che anche altri protagonisti di quelle drammatiche ore hanno, alla luce di quanto oggi scienza e tecnologia ci dicono, dato una versione dei fatti che ormai non sta più in piedi. Anche perché quasi tutti hanno seguito il canovaccio fissato a caldo da Valerio con suo resoconto (non firmato) sull’Unità del 30 aprile 1945, cioè andato in edicola quasi in contemporanea con l’inizio dell’autopsia all’Istituto di Medicina Legale di Milano. [...] In questi sessantuno anni, tanti ne son passati dalle grigie giornate di Dongo e dintorni, sono almeno 18 le versioni della morte di Mussolini che si sono via via affacciate mentre i possibili “giustizieri” oltre ad Audisio sarebbero una decina. [...] Ma tutte queste inchieste avevano un “difetto”: trascuravano, a vantaggio della logica e di alcune importanti testimonianze, l’aspetto scientifico e medico legale. Ed è da qualche tempo proprio questo aspetto l’unica speranza per poter fare un po’ di luce su uno dei gialli più complicati della storia, non solo italiana. Se non altro per dire come non andarono le cose. In qualche modo un apripista c’è stato: si chiamava Aldo Alessiani e già a metà degli anni Ottanta aveva intuito alcune cose che ora hanno trovato conferme, integrazioni e approfondimenti (oltre a qualche correzione) nelle ricerche condotte dal professor Pierucci a Pavia. Cosa aveva capito Alessiani, un medico legale di Ascoli Piceno poi stabilitosi a Roma, basandosi sulle foto di Piazzale Loreto, su quelle scattate all’obitorio di Milano e sulla – per certi versi lacunosa – autopsia fatta su Mussolini? Aveva capito che il dittatore era stato ucciso in circostanze sicuramente diverse da quelle raccontate da Valerio-Audisio e dagli altri: probabilmente c’era stata una colluttazione, sicuramente il dittatore non era completamente vestito, altrettanto sicuramente i colpi che lo avevano raggiunto in vita erano stati sparati da più persone e da angolazioni diverse, forse nel corso di un furioso corpo a corpo che, a questo 215 CAPITOLO 7 STUDI E PERIZIE CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE” punto, non poteva che essersi verificato in Casa De Maria ben prima delle 16,10 del pomeriggio del 28 aprile 1945. Le “armi” di Alessiani? Una grande esperienza e la meticolosa osservazione delle foto, messe in modo cronologico, scattate il 29 aprile 1945 a Milano e il loro incrocio con le notizie contenute nel verbale d’autopsia. Un verbale purtroppo lacunoso sia perché redatto in circostante di tempo e luogo non ideali (lo stesso Cattabeni scriverà della pressione psicologica e del disturbo arrecato dalle continue intrusioni nella sala settoria di gente che voleva verificare la morte di Mussolini e/o inveire sul cadavere) sia perché furono trascurate alcune fasi fondamentali in qualunque autopsia a cominciare dall’esame del corpo vestito e non lavato. Indumenti e pelle non lavata infatti possono fornire al medico legale numerose e importanti informazioni, soprattutto di carattere balistico, perché ogni colpo d’arma da fuoco lascia tracce di polvere, di affumicatura, di bruciature, aloni e fori che permettono di ricostruire ad esempio la distanza di sparo, l’inclinazione dei fori d’entrata e uscita e, a volte, il tipo di arma usato. Quello che Alessiani non poté vedere ma solo intuire è stato invece visto e approfondito dai computer usati dal piccolo gruppo di ricerca che si è formato intorno al professor Pierucci a Pavia: Francesco Gavazzeni, esperto informatico, Gabriella Carlesi e Gianluca Bello, medici legali. La base di partenza è stata infatti la rivoluzione digitale che sta stravolgendo la vita dell’uomo da qualche anno: le nuove tecnologie messe a punto in campo informatico aprono nuovi campi di ricerca ad esempio nelle indagini criminali. Le più importanti polizie del mondo lavorano ormai abitualmente su foto di cui il computer può leggere una scala di milioni di variazioni del colore mentre un occhio umano ne può cogliere solo alcune migliaia. Insomma, i computer oggi possono vedere cose che l’occhio umano non potrebbe vedere mai da solo. Questo vale per ogni cosa, comprese vecchie foto in bianco e nero di sessant’anni fa. Come quelle scattate a Piazzale Loreto. Ed è così, che per prima cosa, il gruppo di Pavia si è messo a studiare le prime fotografie realizzate a Milano, sui cadaveri scaricati da poco dal camion proveniente da Dongo. L’applicazione di speciali filtri ha permesso quindi di analizzare il busto di Mussolini e scoprire, con una certa sorpresa un primo dato fondamentale: benché raggiunto da almeno nove colpi in vita Mussolini indossa un giaccone che non presenta fori di proiettile! Infatti un foro, anche minimo, dovrebbe produrre un’alterazione di colore (in questo caso nella scala dei grigi) che in questo caso manca in maniera clamorosa anche perché i fori dovrebbero essere molti. Unica spiegazione possibile: quel giaccone (tra l’altro di foggia non militare e con un vistoso bottone allacciato in alto a destra all’altezza del collo) è stato fatto indossare ad un Mussolini ormai cadavere. Un cadavere che poche ore dopo, spogliato in parte e appeso per i piedi al famoso traliccio del distributore di benzina di Piazzale Loreto, avrebbe rivelato altri dati importanti. A cominciare da una maglietta letteralmente intrisa di sangue in corrispondenza non solo dei sette colpi ricevuti tra spalla, petto e base del collo ma anche nella zona addominale dove si vedono con chiarezza i risultati di due colpi, curiosamente non rilevati nell’autopsia di Cattabeni. 216 CAPITOLO 7 STUDI E PERIZIE CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE” I rilievi fotografici e digitali hanno rilevato in corrispondenza di questi colpi (soprattutto quelli all’altezza della spalla sinistra e quelli all’addome), in mezzo alle macchie di sangue la presenza del caratteristico alone di polvere incombusta e di microparticelle che ogni colpo d’arma da fuoco deposita sul corpo colpito se lo sparo è avvenuto ad una distanza non superiore ai 50 cm. Il raffronto tra l’alone di polvere e altri dati riscontrati in corrispondenza dei colpi noti e quanto rilevato in presenza dei colpi all’addome presenta un quadro assolutamente uniforme: in tutti i casi copiosi versamenti di sangue, fori sicuramente d’entrata, un alone che rivela una distanza di sparo tra i 30 e i 40 cm. Conclusione: le polveri e i versamenti di sangue dimostrano che Mussolini, quando fu colpito, non aveva addosso che la maglietta con cui arrivò fino all’obitorio di Milano e forse i pantaloni. E il colpo entrato nella parte interna del braccio destro (che ha a lungo attirato l’attenzione per la sua anomalia) mostra che probabilmente ebbe il tempo di fare un gesto automatico di difesa, portando istintivamente il braccio a protezione del volto. Un gesto che ha un senso in un contesto confuso, in una lotta non nel caso di una esecuzione vera e propria, dove lo scarno rituale porta in genere il condannato a non muoversi. Altra conclusione: Valerio-Audisio ha raccontato di aver sparato cinque colpi mentre l’autopsia parla di nove colpi. E ora sembra si possa salire addirittura a undici quasi tutti, se non tutti, sparati ad un uomo in maglietta e ad una distanza molto ravvicinata. Non si fucila una persona sparando a mezzo metro di distanza! Ma c’è dell’altro. Dell’altro che riguarda Claretta Petacci. Sulla giovane donna (una figura meno limpida e romantica di quello che si è sempre voluto credere, ma questo sarà, prossimamente, tema di un altro articolo) non venne fatta nessuna autopsia per esplicito ordine del Comitato Liberazione Nazionale Alta Italia e le foto che le vennero scattate furono molto meno di quelle fatte a Mussolini. Tuttavia, una fotografia in particolare, scattata alla donna sul selciato di Piazzale Loreto prima del macabro appendimento, è in grado di fornire importanti informazioni. La donna, con una espressione stranamente serena, non ha perduto la sua bellezza: giacca del tailleur e camicetta sono aperte sul petto trafitto da numerosi colpi, la testa reclinata sulla sinistra. La guancia destra mostra i segni di un violento calcio dato con una scarpone che ha lasciato sulla pelle l’impronta della propria suola. Ma la medicina legale ci dice che quel calcio (per questo ancora più infame) è stato dato quando Claretta era già morta. Mentre le tumefazioni al naso e tra lo zigomo e l’occhio destri sono “lesioni vitali” (riconoscibili, come nel caso dei colpi d’arma da fuoco ricevuti in vita, dal fatto che la presenza di un’attività cardiaca e quindi della pressione sanguigna, portano ad una concentrazione di sangue in corrispondenza della lesione: da qui i segni escoriazioni e tumefazioni). Si può concludere che la donna sia stata picchiata in vita? 217 CAPITOLO 7 STUDI E PERIZIE CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE” Pierucci e i suoi sono molto prudenti su questo punto anche perché la stessa foto, a proposito dei fori di proiettile visibile, racconta altre cose e suggerisce altre dinamiche. Infatti alcuni dei colpi al petto sono sicuramente fori di uscita, segno che la donna fu colpita alle spalle da una raffica che potrebbe averla fatta cadere pesantemente in avanti, faccia a terra. Una caduta rovinosa, mortale, che può, con una certa probabilità, aver provocato la frattura del setto nasale e le forti contusioni ad occhio e zigomo. i tratterebbe in conclusione di lesioni “in limine mortis” cioè sul confine della morte il cui sopraggiungere non impedisce al corpo, per un brevissimo periodo, di continuare a funzionare. Il poco che è ricavabile dalla foto di Claretta Petacci è però sufficiente a smentire ancora una volta il racconto di Valerio e rafforzare quello che in qualche modo la gente del Lago di Como sussurra da sempre, da quando cioè si è preso a parlare – anche grazie ad una foto poco nota – della pelliccia di visone che indossava Claretta al momento della morte. Pelliccia che finita nelle mani del partigiano Luigi Conti (poi sindaco di Dongo) è stata fotografata nel maggio 1945 da Amedeo Giovenanza, fotografo dilettante di Gravedona. Quella foto mostra uno squarcio ben evidente, al centro della schiena, un palmo abbondante sotto il livello delle scapole. Mussolini svestito, Claretta vestita. Lui colpito di spalle, lei di schiena. Colpi: per lui 9 o undici, per lei almeno quattro tutti concentrati tra lo sterno e il seno sinistro. Anche a prescindere dalle tante imprecisioni e incongruenze, già da questi rilievi la versione di Valerio e degli altri perde ogni consistenza. Ma, ad abundantiam, possiamo ancora aggiungere un altro paio di macigni in grado di seppellire definitivamente l’esecuzione di Villa Belmonte e i suoi testimoni. Il primo macigno è rappresentato da uno stivale sdrucito e che può ancora oggi essere osservato in una teca accanto alla tomba di Mussolini a Predappio. Era lo stivale destro del dittatore: alcune immagini di Piazzale Loreto lo mostrano con la parte superiore completamente rovesciata all’esterno e oggi si nota la cerniera lampo rotta. Già Alessiani aveva collegato questo particolare ad una possibile rivestizione del cadavere [...] Il secondo macigno è una testimonianza. L’ultima in ordine di tempo a venir fuori e raccolta nel 1996 da Giorgio Pisanò che la pubblicò nel suo libro «Gli ultimi cinque secondi di Mussolini» (Il Saggiatore). E’ la testimonianza di Dorina Mazzola, una donna che il 28 aprile 1945 aveva 19 anni e abitava meno di 200 metri da Casa De Maria. Duecento metri rappresentati da un prato che oggi ha qualche albero ma che allora era completamente sgombro. Una buona visuale e il silenzio dei paesi di sessant’anni fa consentirono alla Mazzola di vedere e sentire cose che si attagliano alla perfezione con quanto emerge dalle ricerche svolte a Pavia [...]”. *** 218 CAPITOLO 7 STUDI E PERIZIE CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE” Fin qui l’articolo di F. Andriola, dove soprattutto l’ipotesi degli ulteriori due colpi all’addome lascia esterrefatti. Infatti, già se questi due colpi fossero post mortali, il non averli rilevati da parte del prof. Cattabeni è sospetto, ma se addirittura fossero pre mortali, come un certo imbrattamento ematico in luogo, può far ritenere, tutto il referto autoptico del 1945 salterebbe in aria! Ma se la versione ufficiale di Valerio e le varie pseudo versioni alternative degli anni successivi vengono clamorosamente smentite da questi rilievi di alta tecnologia scientifica, può essere invece indirettamente confermata, come dice anche l’autore dell’articolo precedente, proprio la testimonianza di Dorina Mazzola che riportiamo nel Capitolo 11 sotto il nostro titolo significativo: Uno squarcio di verità. E’ sintomatico (e penoso) notare, in merito a tutte queste notizie e aggiornamenti di un certo spessore che man mano stanno emergendo, come l’establishment dei mass media, che pur largo spazio riserva a fantasiose ipotesi alternative (ovviamente non dimostrabili), tanto più se condite con rocambolesche partecipazioni di agenti segreti (inglesi), mostra invece un sospettoso riserbo e non concede lo spazio che pur meriterebbero a queste notizie. La relazione dell’equipe del prof. Pierucci di Pavia, infatti, salvo alcune eccezioni, ha avuto poche righe di cronaca sulla stampa nazionale e più che altro qualche articolo in quella locale e proprio come avvenne nel 1996 per le rivelazioni di Dorina Mazzola, nessuno si è azzardato a confutarla, ma neppure ad illustrarla e propagarla adeguatamente.. Si è preferito concedergli solo lo stretto spazio necessario di cronaca, tanto per non passarla sotto silenzio intercalando, magari, qualche, passaggio dubitativo. Insomma, trasmissioni televisive e fiumi di inchiostro si sono sprecati e ancora si sprecano per le fantasiose e senza uno straccio di prova, confessioni di Giovanni Lonati, colui che asseriva di aver ucciso il Duce, assieme e su disposizione di un fantomatico capitano dei servizi segreti inglesi, perchè ovviamente l’argomento permetteva di fantasticare a piacere, mentre invece su argomenti molto più seri come questo, solo poche righe sparpagliate su qualche organo di informazione! *** Con il prossimo capitolo introdurremo un intermezzo che ci consentirà di analizzare alcuni avvenimenti del 28 aprile 1945 e non solo, inerenti la repentina e violenta esecuzione del Duce e di Claretta Petacci. Ancora oggi sono state mostrate e discusse, da parte di tutta la letteratura resistenziale o meno, testimonianze, dichiarazioni, resoconti su quei fatti e avvenimenti. Abbiamo le relazioni o le testimonianze di vari esponenti del comando del CVL installatosi a Milano il 27 aprile in Palazzo Cusani, di Cadorna, del colonnello Palombo, di Sardagna a Como, ecc.; quelle di alti esponenti partigiani quali Parri, Mattei, ecc.; i ricordi dei membri del Comitato Insurrezionale Longo, Valiani, Pertini, Sereni; di quelli degli esponenti del CLNAI, come Marazza e compagni, o del neo prefetto Lombardi, e così via. Vi sono poi le testimonianze dei comandanti le divisioni dell’Oltrepò dislocate in viale Romagna a Milano, come Italo Pietra, Luchino dal Verme, Alberto Mario Cavallotti, Paolo Murialdi, ecc., così come i ricordi dei comandanti della Guardia di Finanza quali il Colonnello Malgeri o il colonnello Villani. 219 CAPITOLO 7 STUDI E PERIZIE CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE” Ci sono anche i ricordi e le testimonianze dei membri del CLN di Como, di Oscar Sforni, e del maggiore De Angelis, di Dessì, del neo prefetto Bertinelli, ecc., degli esponenti di quella Prefettura dove vi arrivò Audisio verso le ore 8 del mattino del 28, e quindi ovviamente quelle di Audisio, Lampredi, Moretti, Bellini delle Stelle, Urbano Lazzaro, e compagnia bella, compresi una miriade di partigiani o presunti tali, presenti in quei giorni in uno spazio di territorio che va da Milano a Dongo. Insomma, da parte di attori e spettatori, una pletora di ricordi, memoriali, libri scritti in merito, servizi giornalistici, ecc. Si sono sviscerati e controllati miriadi di particolari, si sono riscontrate una moltitudine di incongruenze e contraddizioni, sono apparsi evidenti lacunose reticenze, e quant’altro, ma tutto questo non ha risolto nulla, anzi ha finito per rendere imperscrutabile e confusa la ricostruzione precisa di quelle ore decisive per la sorte di Mussolini. Nessuno però, con rare eccezioni (per esempio il Bandini), ha fatto come ora andremo a fare noi, ovvero nessuno ha alzato l’angolo visivo in modo da non soffermarsi solo sul singolo particolare, sulla singola testimonianza che magari va in contraddizione con le altre, per considerare invece la logica complessiva di quegli avvenimenti e dimostrare che, anche prendendo per buona la parte più attendibile della storiografia resistenziale, non è proprio possibile che le cose siano andate come ce le hanno raccontate. In sostanza, il complesso degli avvenimenti storicamente conosciuti e descritti in tante relazioni e testimonianze, ovvero il quadro complessivo di quelle cronache è più o meno quello che la storiografia resistenziale (e non solo) ci ha fatto conoscere. Tante sono infatti le testimonianze ed in ricordi in proposito che non è possibile pensare ad una menzogna collettiva, preordinata e reiterata negli anni. Ma all’interno di quegli avvenimenti ci sono due o tre varianti, ovvero alcuni diversivi, e qualche mistificazione, che riguardano poi gli eventi decisivi che hanno determinato la morte di Mussolini con diverse modalità e diversi orari. E queste varianti le conoscono, anzi oggi forse si può dire, le conoscevano, pochissime persone (oltre gli esecutori materiali), le quali hanno ovviamente mantenuto un silenzio tombale. Altri, per esempio, alcuni uomini della Resistenza o gli eventuali occasionali spettatori di Azzano, Bonzanigo e dintorni, possono conoscere dei spicchi di verità, ma non essendo in grado di ricostruire il quadro complessivo degli avvenimenti, sono rimasti invischiati nella retorica storica e si sono attenuti al canovaccio della vulgata resistenziale. Ma in ogni caso, con le nostre ricostruzioni, troveremo che è illogico il susseguirsi di quegli avvenimenti, il comportamento degli esponenti partigiani, del PCI (direzione di Milano e federazione di Como), del comando del CVL, dei partigiani che lasciarono Mussolini e la Petacci a Bonzanigo, della spedizione di Valerio e compagni, ecc. Ci troveremo in presenza, infatti, di una assurdità totale sia per quanto si dice venne attuato, sia per gli ordini o per le improvvisazioni intercorse, sia per quanto si racconta di come sarebbe andata. E soprattutto per quello che invece è normale e logico che si sarebbe dovuto fare, che avremmo dovuto riscontrare e non venne fatto e non se ne trova riscontro! Con tutta la buona volontà, pur considerando imprevisti e fatti anomali, non è proprio possibile che le cose siano andate come ci sono state pomposamente tramandate. E questa assurdità complessiva di tutte quelle vicende è una dimostrazione di più, anzi forse la dimostrazione più pertinente, che si è tenuta nascosta e poi mistificata la verità sulla morte di Mussolini. Verità, che nei suoi risvolti era ovviamente a conoscenza di pochissimi. 220