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La Genitorialità nella fase pre-verbale il processo di attaccamento A cura di Ugo Sabatello e Giorgia Verrastro La famiglia è un gruppo o sistema che organizza relazioni centrate e qualificate dal legame generativo nella duplice valenza del generare e dell'essere generati (Scabini, Cigoli, 2000). Questa definizione pone l’accento su due aspetti della famiglia, la generatività e le relazioni, in una relazione reciproca tra di loro. Solitamente, si è generati da una relazione tra due persone che costituisce l’ambiente umano ed affettivo all’interno del quale è possibile per un bambino crescere. La nascita di un bambino è però diventata, a differenza del passato, un avvenimento scelto. La procreazione non rappresenta più un destino biologico, ma è il risultato di una scelta, di un desiderio di autorealizzazione di entrambi i componenti della coppia. La procreazione assistita rappresenta poi, oltre ad una risposta effettiva all’infertilità, un problematico mutamento di senso nella dimensione antropologica e sociale della genitorialità in quanto, l'attuazione delle tecniche eterologhe opera una scissione tra genitorialità genetica, biologica e sociale/educativa. Le complesse trasformazioni che caratterizzano la nostra contemporaneità richiedono di ripensare criticamente le categorie attraverso le quali riconoscere e leggere le attuali configurazioni familiari e le diverse espressioni della genitorialità, attualmente definibile come una funzione autonoma e processuale dell’essere umano, preesistente all’atto di concepire, che ne è soltanto una, fondamentale, ma non indispensabile espressione (Fava Vizziello, 2003). Attraverso la genitorialità gentori e figli co-costruiscono e condividono significati che vanno poi a costituire un sistema inconscio affettivo che contribuisce alla formazione dell'identità. La funzione genitoriale, in definitiva, non è altro che la struttura organizzativa attraverso la quale il bambino costruirà un proprio mondo rappresentazionale (Simonelli, 2006). L’interiorizzazione e i vissuti relativi all’esperienza di cura e quindi all’esperienza della genitorialità, cominciano a strutturarsi in una fase precocissima della storia soggettiva, una fase preverbale che, in quanto tale, trova come proprio organizzatore e contenitore solo ed esclusivamente il corpo e le emozioni registrate nel corpo stesso. Il corpo, primordiale sede di registrazione dell’esperienza soggettiva legata all’esperienza di cura, incamera e lentamente elabora dati emotivi nel corso delle primissime interazioni con il mondo esterno. Il corpo, dunque, inizialmente registra i nuclei dell’esperienza soggettiva veicolati dalle cure genitoriali e, successivamente, in tutte le fasi e i cicli di vita degli individui, riproduce i costituenti della genitorialità interiorizzata (Bastianoni, 2009). La dinamica dell’attaccamento, che nasce durante la gestazione e si sviluppa dopo la nascita, consente alle esperienze primarie di costituirsi come modello mentale che guida le interazioni con l'altro, strutturando uno schema di emozioni e di comportamenti. La genitorialità prescinde dunque dalla generatività e dalla coppia, configurandosi come una dimensione interna simbolica, attivata dall’interazione con l’altro. La sentenza, emessa dal Giudice Silvia Albano in data 8 agosto 2014, ci dà pertanto modo di riflettere e ri-pensare come la generatività si inscriva nel più ampio ambito della genitorialità, in cui gli aspetti legali, relazionali, psichici, genetici e biologici non solo possono non coincidere, ma spesso confliggono. E’ possibile essere genitore senza aver generato, nel momento in cui si assume la cura di un bambino, come è possibile generare senza per questo vivere poi una esperienza genitoriale, ovvero di accudimento. È proprio tale possibile non coincidenza che ci impone di ripercorrere non solo lo sviluppo ontogenetico dell’essere umano, ma soprattutto la nascita dello psichismo e del sé relazionale dello stesso, risalente al periodo della gestazione. La relazione precoce I contributi della psicologia dell'età evolutiva mostrano come, fin dai primi istanti di vita, il bambino possieda un'innata predisposizione sociale, così come l'adulto è in grado di sintonizzarsi sui bisogni e gli affetti del neonato (Stern, 1985) e di creare con esso una relazione di cura basata sulla formazione di un legame di attaccamento. Bowlby conferì un ruolo primario alle relazioni reali del bambino con la madre: l’esperienza quotidiana che il feto prima ed il neonato poi fa con la madre sin dalle primissime fasi dello sviluppo impostano la futura personalità dell’individuo. I primi legami di attaccamento sono progressivamente interiorizzati e le esperienze successive strutturate e interpretate nel contesto di rappresentazioni intrapsichiche ormai costituite di sé e degli altri. Winnicott afferma che, all’inizio della vita, ognuno esiste solo in quanto parte di una relazione e, le sue possibilità di vivere e svilupparsi, dipendono totalmente dal soddisfacimento del bisogno primario di attaccamento e appartenenza ad un Altro (madre/caregiver) che si prenda cura di lui e gli dia il senso di sicurezza e intimità che sono basilari per la crescita (Winnicott, 1974). Sarà proprio in rapporto alla qualità affettiva di tale relazione primaria, da quanto la figura di attaccamento sarà disponibile, protettiva, affidabile, costante e capace di un contatto caldo e rassicurante, che dipenderà lo sviluppo sano del suo Sé. È quindi evidente come le interazioni tra madre e bambino nei primi anni di vita sono possibili in quanto, immediatamente dopo la nascita, è già presente nel bambino una forma e una capacità di rapportarsi all'altro, ancor prima che egli sia capace di comunicazione verbale e di elaborazioni simboliche. Si tratta di una forma di intersoggettività primaria, definita da Trevarthen come una competenza le cui basi sono geneticamente determinate, che si esprime nel bambino in molti modi ed è testimoniata dalla capacità del neonato di imitazione precoce (Trevarthen, 1997). Già nell’antichità il feto era ritenuto non un organismo isolato, ma piuttosto recettivo agli stimoli esterni rilevanti e poi capace, fin dai primi giorni di vita di interagire in modo significativo con l’ambiente grazie alle esperienze intrauterine. La continuità nello sviluppo psicologico del bambino, tra la vita fetale e quella subito dopo la nascita, hanno permesso di sviluppare la nozione di “feto competente” o di “bambino in utero” (Farneti, 1994). La gestazione è dunque il primo passo di esperienza umana, un periodo fondamentale per lo sviluppo biologico, fisico, fisiologico, e per la nascita e lo sviluppo della vita psichica. Alcuni esperimenti dimostrano l’esistenza di rapporti comunicativi materno/fetali che si mantengono anche dopo la nascita e che fanno ipotizzare un certo inizio di vita psichica a livello prenatale. Winnicott fu tra i primi a rilevare come la comunicazione che si instaura tra la madre e il feto è determinante per la relazione di attaccamento e per il successivo sviluppo psichico del bambino (Della Vedova, 2005). La madre, oltre ad avere un legame speciale con il bambino, che porta in grembo, rappresenta il medium di tutti gli elementi dell’ambiente fisico e psicologico che circonda la diade. Il feto è influenzato dagli intensi turbamenti degli stati emotivi materni e manifesta ciò rimanendo per alcune ore successive all’evento disturbante in uno stato di agitazione motoria; se la situazione di stress materno persiste, l’eccitazione motoria fetale diventa un tratto stabile, potendo poi riflettersi in un basso peso alla nascita (Sontag, 1944). Per definire il particolare legame che i genitori sviluppano verso il bambino durante la gravidanza è stato coniato nel 1981 dalla Cranley il costrutto di “attaccamento prenatale”, ovvero il formarsi, da parte di entrambi i genitori, dell’immagine mentale del feto lungo il corso della gravidanza, immagine composta di timori ed aspettative che non potrà che avere un suo specifico senso nel modulare la qualità dell’attaccamento tra il bambino ed i genitori dopo la sua nascita. La psicologia prenatale e perinatale, riconoscendo al nascituro le capacità di ricevere, elaborare e rispondere a stimolazioni intra ed extrauterine anche a contenuto emotivo, colloca dunque l’inizio della vita psichica allo stadio prenatale (Righetti e Sette, 2000), evidenziando come i vissuti legati al periodo trascorso nell’utero materno possano essere significativi per le fasi di sviluppo successive. E’ possibile affermare l’esistenza di una continuità tra il periodo prenatale e quello post natale e asserire che lo sviluppo cerebrale, motorio, corporeo e psicologico del feto viene inevitabilmente influenzato dalle stimolazioni che riceve durante la gravidanza. Egli partecipa a tutte le esperienze vissute dalla madre e riceve da lei, attraverso la placenta, le informazioni di natura metabolica, endocrina, emotiva e psichica (Soldera e Beghi, 2005). D’altro canto il feto è protagonista attivo (della relazione con la madre) ed in grado di selezionare gli input che provengono dall'ambiente intrauterino, il quale è ricco di stimoli fisico-chimici. Nello specifico, infatti, si rileva che le percezioni olfattivo-gustative siano alla base della continuità del rapporto feto-madre e poi neonato-madre. Già dalla settima settimana di vita intrauterina, infatti, il feto é sensibile agli stimoli olfattivi e gustativi provenienti dal liquido amniotico, le cui caratteristiche cambiano in relazione a ciò di cui si nutre la madre. I sapori e gli odori percepiti in ambiente uterino si ritroverebbero, inoltre, nel sapore e nell’odore del colostro, il primo latte materno prodotto dal quarto mese di gravidanza sino al quarto-quinto giorno dopo la nascita, e poi, nel successivo latte materno. Il sistema tattile-fetale è in funzione già a partire dalla settima settimana e mezza e, entro la ventesima settimana, tutta la cute e le mucose sono sensibili agli stimoli tattili, di fondamentale importanza per la creazione di un legame sensoriale precoce tra il nascituro ed il genitore, creando le condizioni per una continuità di rapporto fetoneonato positivo per lo sviluppo del bambino. A partire dalla ventottesima settimana di gestazione poi, il feto è già in grado di discriminare e memorizzare la voce umana (Giovannelli, 1997). Il neonato nasce, dunque, competente e con un’innata predisposizione a fare esperienze affettive. Inoltre, “nel momento in cui la madre vede il bambino per la prima volta ed entra in contatto con lui, ha inizio la potenzialità di un processo attraverso il quale si stabilisce il Sé di una persona” (Kohut, 1982), è importante che l’ambiente sia facilitante e sintonico affinché l'esperienza soggettiva del bambino con l'altro e con il mondo divenga una forma di organizzazione stabile pur nella sua evoluzione. Stern ha evidenziato che il bambino è attivo nella relazione fin dalla nascita, rivelandosi in grado di stimolare interazioni, di parteciparvi e di rispondere (Stern, 1985). Il caregiver ha il delicato compito di fungere da Io ausiliario del bambino (Winnicott, 1987): è colui che deve aiutarlo ad ampliare e connettere le varie esperienze, da quelle sensoriali a quelle emozionali, fornendo al bambino un ambiente di contenimento, una base sicura (Bowlby, 1969) e un oggetto costante (M. Mahler, 1970) tale che, il bambino senta assicurata la propria continuità di essere e di esistere (Winnicott, 1971). Ciò potrà avvenire attraverso lo sviluppo di una sintonizzazione affettiva (attunement), che rende possibile una forma di imitazione e la condivisione degli stati affettivi interni (Stern, 1989). Per sintonizzazione affettiva si intende quella "realizzazione di condotte che esprimono la qualità corrispondente al sentimento di condivisione di uno stato affettivo, senza che ci sia imitazione dell'espressione comportamentale esatta dello stato interno" (Stern, 1989a, pp. 164-178). Ripetuti comportamenti di sintonizzazione consentono al bambino di riconoscere che gli stati d'animo interni sono esperienze affettive condivisibili, comuni a sé ed agli altri. Molti studi sugli animali hanno analizzato le conseguenze neurobiologiche delle esperienze negative vissute durante la prima infanzia (Teicher et al., 2006; Tarullo and Gunnar, 2006; Gunnar and Fisher, 2006), rilevando l’impatto, anche a lungo termine, dei disturbi dello sviluppo precoce, in particolare della relazione madreneonato, sulla regolazione dello stress e sul comportamento sociale. Inoltre, queste esperienze precoci risultano avere conseguenze significative sullo sviluppo ed il comportamento delle generazioni successive (Champagne and Curley, 2005). Le conseguenze neurobiologiche a lungo termine delle esperienze precoci sono state approfondite analizzando i modelli animali, i quali suggeriscono che i meccanismi epigenetici possono giocare un ruolo critico nel determinare differenze individuali stabili nell’espressione genetica, nella fisiologia e nel comportamento (Gonzalez and Fleming, 2002; Gonzalez et al., 2001; Lovic and Fleming, 2004). Alcuni studi sui primati e i roditori (Lucion, Bortolini, 2014), inoltre, supportano l’ipotesi che l’ambiente e le cure materne abbiano una profonda influenza sulla prole e sull’espressione genetica (Shannon et al.,1998; Fahlke et al., 2000; Ichise et al., 2006; Shannon et al., 2005), con conseguenze sui geni critici per la regolazione dello stress ed il comportamento e la responsività materni. Lo sviluppo del mondo rappresentazionale del bambino e delle sue capacità metacognitive si sviluppa, infatti, a partire dalla qualità della relazione madre-bambino in riferimento ai fattori che rendono possibile il costituirsi di un attaccamento sicuro e della capacità di rispondere in modo sensibile e accurato (sensitive responsiveness), da parte del genitore, ai bisogni di vicinanza, protezione e contatto del bambino. . Al fine di una “buona relazione” si aggiunge poi la capacità della madre e del padre di fornire un contenimento affettivo alle sensazioni ed alle emozioni, a volte soverchianti, del lattante. Le relazioni che iniziano durante i nove mesi di gestazione e continuano a seguito della nascita del bambino hanno quindi un ruolo di primaria importanza, essendo lo strumento con cui si attuano le regolazioni evolutive che modificano le esperienze infantili, in sintonia con le trasformazioni corporee e comportamentali. Attraverso gli scambi con il caregiver i bambini acquisiscono via via competenze di autoregolazione biologica e comportamentale, rimanendo comunque per l'intero corso della vita influenzati da ciò che Stern ha definito "sintonizzazioni (attunement)", ovvero eventi essenzialmente inconsapevoli che regolano l'interazione tra il bambino e chi di lui si prende cura. Così i primi comportamenti di accudimento, attraverso le quali si sviluppano le prime relazioni extrauterine diventano cruciali nello sviluppo degli adattamenti normali o anormali dell'infante." (Sameroff 1989, p. 40) A tal proposito, Sander propone l'ipotesi secondo la quale il nucleo organizzante del Sé neonatale, in un neonato il cui Sistema Nervoso Centrale è ancora in pieno sviluppo, sia da rintracciare nel sistema diadico madre-bambino, organizzato su comportamenti di regolazione reciproca che gradualmente, con una partecipazione del bambino sempre crescente, permettono la nascita di funzioni autoregolative. In altre parole, l'organizzazione diadica madre-bambino precede e dà origine a quell'insieme di comportamenti, sensazioni, aspettative e significati che costituiscono il Sé del neonato. Il progressivo sviluppo dell'autoregolazione influenza successivamente l'adattamento, l'esperienza ed il comportamento sociale del bambino. Secondo l'ottica di Sander il bambino, e le figure di accudimento che lo circondano, costituiscono un sistema vivente caratterizzato da un reciproco ed ininterrotto flusso di scambi. Le progressive competenze dell'infante, quale individuo determinante le proprie azioni, pongono i genitori in condizioni di modificare parallelamente il loro comportamento in sintonia con quello del bambino e di sperimentare risposte diverse alle sue necessità. Stern ha descritto l'emergenza e lo sviluppo normale del senso di Sé del bambino quale principio organizzatore dell'esperienza, ipotizzando che fin dallo stato intrauterino, esista nell'essere umano una forma di senso di Sé e dell'altro preverbale, un'organizzazione in via di formazione, alla ricerca di stimolazioni sensoriali, tale da giustificare l'ipotesi di una spinta motivazionale organizzata, in cui la componente affettiva appare inscindibile da quella percettiva e cognitiva. L'attenta osservazione della costituzione delle interazioni e dei dialoghi sociali tra madre e bambino nei primi nove mesi di vita ha dimostrato che il comportamento della madre trascende, in genere, la semplice imitazione e ripropone, invece, una forma di corrispondenza riferita allo stato interno dell'individuo, inferito o direttamente appreso. Le osservazioni effettuate da Beebe e Lachmann (2003) che analizzano le interazioni faccia-a-faccia di bambini di pochi mesi con le loro madri, dimostrano che sia la madre che il bambino modificano inconsapevolmente la durata dei propri comportamenti o delle pause per instaurare un "ritmo condiviso", descritto da Stern come una sorta di danza interattiva. E' assai probabile che la reciprocità riscontrata nelle interazioni permetta la trasmissione delle emozioni e la percezione degli stati emotivi altrui. Il bambino sembra così poter ricreare dentro di sé lo stato interno della madre e partecipare al suo stato soggettivo, acquisendo precoci rappresentazioni di esperienze di sincronizzazione che daranno origine a future rappresentazioni simboliche di Sé, dell'altro e di "Sé con l'altro". Il nucleo affettivo biologicamente organizzato del bambino comincia quindi a funzionare già prima della nascita, all'interno della relazione con la figura d'accudimento, che nasce e si sviluppa durante i nove mesi di gestazione, e risulta influenzata dalla disponibilità emotiva di quest'ultima, in conseguenza della quale il bambino può mantenere un senso di sicurezza e di efficacia nell'espressione di interessi, curiosità e desideri di esplorazione e si dimostra in grado di padroneggiare le esperienze. L’essere genitori si identifica con l’instaurarsi di un legame affettivo tra “care givers” e bambino, e non come solo atto generativo, che nasce durante la gravidanza, per poi svilupparsi, nelle fasi successive, in un’esperienza relazionale profonda che influenza l’ulteriore sviluppo. Generatività e genitorialità non sempre coincidono, ancor prima della fecondazione eterologa l’adozione, la affiliazione, il baliatico, diversi usi in diverse culture e la stessa vicenda biblica del “giudizio di Salomone” insegnano che è genitore chi si comporta come tale e non solo chi genera. I due livelli, biologico e relazionalepsichico sono entrambi significativi; sicuramente generare non è sufficiente a creare un genitore ma anche il livello biologico, come rappresentato dalla sentenza in oggetto, ha un valore e un significato non riducibile all’atto concreto del procreare, seppure la comprensione del significato biologico-evolutivo delle precoci interazioni intra e extra uterine sia un area di studio ancora in via di sviluppo e di comprensione. BIBLIOGRAFIA Ainsworth M.D. (1979) Attachment as related to mother-infant interaction. In: Rosenblatt J.B., Hinde R.A., Beer C., Bushel M. Advances in The Study of Behavior. Accademic Press, New York, pp. 1-51. Ammaniti M., Dazzi N. (1990) Affetti. Laterza, Bari. Ammaniti M., Stern D.N. (1992) Attaccamento e Psicoanalisi. Laterza, Bari. Ammaniti M., Stern D.N. (1991) Rappresentazioni e narrazioni. Laterza, Bari. Bastianoni P. (2009) Funzioni di cura e genitorialità. Rivista italiana di educazione familiare, n.1, pp.37-53. 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