frida kahlo e il mondo dell`arte

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frida kahlo e il mondo dell`arte
FRIDA KAHLO E IL MONDO DELL’ARTE Saggio in catalogo di Helga Prignitz‐Poda Un nome noto a tutti: Frida Kahlo, che nel corso degli ultimi dieci anni è diventata, da Kahlo l’artista, una star mondiale, la cui immagine ha raggiunto, negli stand di merchandise di tutto il mondo, una popolarità analoga a quella di Che Guevara. E come il nome dell’eroe rivoluzionario cubano si è trasformato nel brand “Che”, oggi Frida Kahlo, nell’epoca della sua iconizzazione, è diventata “Frida”. Sulla scia di questi sviluppi ci si è anche assuefatti a che tutti i libri – e quasi tutti i numerosi saggi sull’artista – comincino lamentando che la sua opera venga interpretata in maniera esclusivamente biografica. Perché questo fenomeno continua a ripetersi? Perché le opere di Frida Kahlo hanno sempre un riferimento diretto alle vicende che circondano la sua complessa figura oppure semplicemente perché è proprio su quest’ultima che l’attenzione della critica si sofferma più volentieri? Per giudicare con equità i quadri di Frida Kahlo occorre prendere in considerazione entrambi questi aspetti: il mondo interiore dell’artista, ma anche il mondo esterno, reale, e in particolare il mondo dell’arte che l’ha spinta ad essere pittrice. È il momento di separare l’opera di Frida Kahlo dalla sua biografia, prima che i quadri che ha dipinto vengano completamente inghiottiti dalle storie che li circondano. Gettiamo dunque uno sguardo al mondo dell’arte che si dispiegava fuori della Casa Blu di Coyoacán, dato che esso ha segnato l’opera di Frida Kahlo più di quanto si sia in genere disposti ad ammettere. È necessario catalogare i quadri dell’artista anche in termini iconografici per poter individuare, dietro la facciata dell’autorappresentazione, le poliedricità e il significato recondito delle sue opere. In questa osservazione a distanza della personalità di Frida Kahlo, la linea direttrice è rappresentata dalla storia del Messico, il cui spirito, immanente all’artista, manifesta una propria autonoma energia all’interno delle opere pittoriche. Diego Rivera, che fu un pioniere nella riscoperta dell’arte preispanica del Messico, aveva acquisito una ricca collezione che per Frida rappresentò una fonte importante nella riproposizione, all’interno delle sue composizioni, di singoli oggetti e sculture. Frida Kahlo condivideva l’amore di Rivera per questi oggetti e, come lui, nella biblioteca conservava accanto a pubblicazioni archeologiche e storiche alcune riedizioni di codici aztechi e maya. Mentre Diego Rivera si immergeva negli studi storici per realizzare la sua pittura carica di riferimenti storiografici, Frida Kahlo si occupava in particolare dell’impronta filosofica e anche culturale di questo materiale scritto. Per esempio, si trova più volte citata, nel mondo delle immagini dell’artista, la leggenda del quinto sole, il mito azteco della creazione. Qui la doppia divinità Ometeotl assume nella sua duplicità le forme più diverse: è uomo e donna allo stesso tempo, e riunisce in sé nascita e morte. L’idea di questa dualità unificata in se stessa definisce largamente il pensiero messicano, costituendo così anche una parte del mondo concettuale di Frida Kahlo. Più volte l’artista si è ritratta in una gonna color giada con una camicetta rossa, identificandosi in tal modo con la dea Coatlique, che indossa una veste di serpenti e un corpetto fatto di cuori sanguinanti, ed è vista come la madre degli dei e della terra che genera la vita, ma al tempo stesso la divora avidamente. Molte volte Frida si adorna anche del simbolo di Ollin, simbolo dell’età del quinto sole in cui, stando alla saga azteca, si trova attualmente l’umanità dopo aver vissuto i quattro cicli precedenti. È importante però comprendere che ella non ricorreva ai simboli di queste leggende per trasporli direttamente nella sua arte: utilizzava piuttosto queste antiche formule per rinviare alla propria problematica storia personale. L’arte popolare messicana è un altro fattore di rilievo nel mondo artistico di Frida Kahlo; in particolare la pittura dei retablos e degli ex‐voto, ovvero l’arte popolare con intrecci cattolico‐cristiani che dopo la conquista di Cortés era diventata una fonte di conforto spirituale per i messicani già avvezzi al sacrificio. Frida Kahlo possedeva una ricca collezione di queste piccole immagini dipinte su legno o metallo che, in stile naïf (ma con profonda sacralità), riproducevano i miracoli dei santi. Nella sua pittura, da un lato l’artista si avvicinava formalmente ai piccoli ex‐voto dipinti su metallo, dall’altro 1 ricorreva al linguaggio dell’arte popolare per rivolgere una preghiera alle potenze superiori, nel senso di un ex‐voto. Si prendeva così la libertà di anticipare con i propri ex‐voto il miracolo ancora irrealizzato e, anziché esprimere un ringraziamento, rendeva pittoricamente manifesto il miracolo, ottenendolo in tal modo. Ma con l’aggravarsi delle condizioni di salute di Frida la pittura degli ex‐
voto diviene un gioco amaro, non essendoci alcun motivo per ringraziare e per accrescere, in modo quasi ottuso, il numero delle sue preghiere. Uno degli ex‐voto della collezione di Frida Kahlo riproduceva un incidente del tutto simile a quello da lei patito da ragazza. L’artista se ne serve come objet trouvé, includendovi una scritta in cui i suoi genitori ringraziano la Madonna Addolorata per aver salvato la figlia dalla morte. Frida Kahlo rompe quindi con le tradizioni dell’arte preispanica e popolare per fare un uso emblematico del pensiero creativo di quell’arte e trasporre un pensiero in un racconto per immagini. L’arte popolare del Messico fu riscoperta negli anni venti dai ribelli Muralisti e fu presa a modello, con ripercussioni pari a quelle che ebbe, ad esempio, l’arte dei mari del sud sul Modernismo dopo Gauguin. La rivista “Mexican Folkways”, fondata nel 1925 da Frances Toor, fu uno degli organi più importanti di questo movimento, che diede nuova dignità all’arte popolare messicana fra gli intellettuali della nazione. Nella rivista, gli articoli sull’artigianato artistico delle province del Messico facevano da contraltare ai Song Sheets e alle brevi storie ripescate tra le favole e i miti messicani. L’influenza di questo movimento alimentato da “Mexican Folkways” sul lavoro artistico di Frida Kahlo è stata fino a oggi discussa solo sporadicamente. L’esempio più noto di appropriazione di elementi dell’arte popolare da parte di Frida Kahlo è indubbiamente il dipinto The Frame, che è stato acquistato dal Louvre nel 1939 in occasione della sua mostra a Parigi. Ella dipinse questo autoritratto in stile ex‐voto su metallo, aggiungendovi una cornice realizzata da artigiani in pittura policroma su vetro, del tipo che si utilizza solitamente per le immagini dei santi. Immagine e cornice sono in una combinazione così perfetta che si potrebbe pensare che siano stati entrambi realizzati dalla pittrice. Insieme, due elementi del dipinto danno vita a un’opera annoverata tra le più iconiche di Frida Kahlo, quella che, nell’immaginario collettivo, ha trasformato l’artista in una sorta di santa. Nel 1940, Frida Kahlo acquistò due orologi di ceramica, nei quali la posizione delle lancette variava in misura minima a significare che le ore tra la separazione da Rivera, segnata su uno degli orologi, e il nuovo matrimonio, indicato sull’altro orologio, erano ore perdute. Quest’opera, da lei intitolata Le ore spezzate (Las horas rotas), consente di riconoscere chiaramente l’influenza di idee e metodologie surrealiste, anche se Frida non approvava l’interpretazione surrealista del proprio lavoro. Quando l’artista messicana vi si dedicò, il procedimento di includere nelle composizioni figurative oggetti reali ma producenti un effetto di straniamento aveva appena fatto la sua comparsa nell’arte, con il famoso Ready‐made di Marcel Duchamp del 1915. Il metodo di appropriazione proprio di Frida Kahlo si indirizzava non solo all’arte popolare e ai classici moderni, ma anche alla letteratura. Indagava in tal modo per se stessa i confini della sua arte, non solo ciò che è rappresentabile ma anche il concetto stesso del rappresentabile. Da ragazza Frida Kahlo non aveva ricevuto una vera e propria formazione nelle arti plastiche, e anche la letteratura iniziò ad attirarla solo molto più tardi. Comprava piuttosto stampe popolari con le ballate di Posada, le popolari linoleografie dell’artista che avrebbe poi segnato tutte le successive generazioni di grafici del paese. Le opere di Posada, insieme all’esempio di suo padre, rappresentarono la prima lezione d’arte. Frida Kahlo probabilmente ereditò da Posada, dal linguaggio delle sue immagini e dalle corde spesso grottesche con cui egli usava rappresentare atrocità quotidiane e mutilazioni, il coraggio di riprodurre nei suoi quadri tanto le meraviglie quanto le mostruosità del tempo. Molto presto, Frida Kahlo creò un proprio mondo di fantasia che la preservava dalle realtà peggiori, e trovò mezzi e vie per sfuggire alla vita familiare, talvolta amara. La prima scissione di sé in un’amica immaginaria, nella quale si rifugiava nei momenti difficili, viene ampiamente descritta dall’artista nel suo diario. È lei che appare al suo fianco anche nel suo quadro più famoso: Le due Frida: 2 Origine delle due Frida = Ricordo Dovevo avere sei anni quando vissi intensamente l’amicizia immaginaria con una bambina... della mia stessa età, più o meno. Sulla vetrata di quella che era allora la mia stanza e che dava su via Allende, sopra uno dei primi vetri della finestra. Facevo ‘Bau’ e con un dito disegnavo una ‘porta’... Da questa ‘porta’ uscivo con l’immaginazione, in grande allegria e fretta. Attraversavo tutta la pianura che si vedeva, fino a arrivare a una latteria che si chiamava PINZÓN... Entravo dalla O di PINZÓN e mi ritrovavo IMPROVVISAMENTE dentro la terra, dove la mia amica immaginaria mi attendeva sempre. Non ricordo la sua immagine, né il suo incarnato. Però so che era allegra, si rideva molto. Senza suoni. Era agile e ballava come se non avesse alcun peso. Io la seguivo in tutti i suoi movimenti, e mentre ballava le raccontavo i miei problemi segreti. Quali? Non ricordo. Ma lei dalla mia voce sapeva tutte le mie cose... Quando tornavo alla finestra, entravo per la stessa porta disegnata sul vetro. Quando? Per quanto tempo ero stata con ‘lei’? Non so. Poteva essere un secondo o mille anni... Io ero felice. Cancellavo la ‘porta’ con la mano e ‘scompariva’. Correvo, con il mio segreto e la mia allegria, fino all’ultimo angolo del cortile di casa mia. Sempre nello stesso punto, sotto un albero di cedrón, gridavo e ridevo. Stupita di essere sola con la mia grande felicità e il ricordo tanto vivo della bimba. Sono passati 34 anni da quando ho vissuto questa magica amicizia e ogni volta che la rammento si ravviva cresce sempre più dentro il mio mondo. PINZÓN 1950. Frida Kahlo, Le due Frida. La casa dei genitori di Frida Kahlo era governata dal padre Guillermo Kahlo, originario della Germania, fotografo professionista di architettura e paesaggi, che su incarico statale si dedicava a documentare l’architettura tipica del paese. Guillermo Kahlo fotografava soprattutto il passato coloniale del paese, dalle costruzioni ecclesiastiche alle missioni, ma anche singoli progetti di nuova edilizia, che all’epoca incontravano grande interesse. Frida Kahlo accompagnava spesso il padre nei suoi viaggi perché, soffrendo lui di epilessia, aveva bisogno di qualcuno che nell’eventualità di un attacco proteggesse la sua attrezzatura dai ladri. Di ritorno a casa, Frida aiutava il padre a ritoccare le fotografie, imparando in questo modo la precisione nell’uso del pennello che avrebbe in seguito caratterizzato il suo lavoro. Fu sempre il padre a mandarla alle sue prime e uniche lezioni d’arte, presso l’amico grafico Fernando Fernandez. Questi mostrò a Frida dei libri con illustrazioni sull’arte europea, delle quali le chiedeva di fare delle riproduzioni. Nel 1925, il mio atelier grafico era allestito nella via Bolivar, in una casa in cui era ospitata anche una fabbrica francese di corsetteria. Ero in stretta amicizia con il signor Guillermo Kahlo, il padre di Frida, con cui convenimmo che Frida dovesse prendere da me lezioni di disegno. Visto l’enorme talento da lei mostrato, volli farle apprendere le complesse tecniche dell’incisione su rame e ad ago freddo. Le diedi un libro con riproduzioni dei fantastici lavori di Anders Zorn e rimasi veramente stupito delle capacità di questa straordinaria artista. Copiava direttamente, a prima vista, con la sua penna e intanto dava con la matita solo i tratti più piccoli, con una sicurezza e magnificenza quali si possono ammirare soltanto in questi originali... Nello stesso atelier, Frida Kahlo realizzò nel 1925 anche la linoleografia Due donne (pubblicata in seguito come illustrazione editoriale), che già non si ispirava più all’impressionista Anders Zorn, bensì alle incisioni su legno dell’artista belga Frans Masereel, i cui lavori erano diventati assai popolari dopo la prima guerra mondiale per il loro messaggio chiaramente umanistico e il linguaggio formale semplificato, trovando vasta diffusione. Frida Kahlo conosceva l’opera di Masereel, la cui pubblicazione Das Werk si trova ancor oggi nella sua biblioteca. È anche ipotizzabile che il suo maestro di allora Fernando Fernandez avesse sentito parlare di lui. Nell’incisione silografica, la giovane Frida utilizzava tecniche assolutamente simili a quelle di Masereel, che davano come risultato chiari contrasti in bianco e nero, corpi femminili dalle forme sensuali e anche la piccola natura morta floreale in primo piano a destra, dalla rappresentazione ambigua. Questa piccola linoleografia, come le copie da essa realizzate, costituisce comunque l’unica prova di una qualche sorta di lezione d’arte seguita da Frida Kahlo. Mentre il suo futuro marito Diego Rivera aveva studiato e frequentato per sette anni l’accademia d’arte in Messico, godendo in seguito di una borsa di studio che gli permise di studiare per altri quattordici 3 anni le correnti artistiche europee direttamente in Spagna, Francia e Italia, entrando in contatto con diversi circoli di artisti, Frida Kahlo aveva solo ricevuto dal suo maestro Fernandez un libro d’arte da ricopiare. Mi sono interessata alla pittura quando avevo circa dodici anni. Intorno ai quindici anni ho iniziato a disegnare. Ho ancora il primo disegno, un autoritratto del 1925. Nel frattempo Frida Kahlo, che voleva diventare medico, frequentava la Scuola Nazionale di Preparazione, dove si aggregò al gruppo ribelle dei Los Cachuchas, che dovevano il loro nome ai baschetti che portavano. I Cachuchas si ispiravano, come Frida Kahlo nelle sue prime opere, al movimento artistico messicano dell’Estridentismo, fondato nel 1921 con un manifesto e al quale era specialmente vicino, come leader del movimento studentesco, l’allora innamorato di Frida Kahlo, Alejandro Gomez Arias. Gli Estridentisti erano contrari a tutti i principi reazionari – come l’orientamento uniforme del pensiero degli intellettuali e dei giovani – e lottavano per il rinnovamento nel Moderno. L’Estridentismo fu una reazione alla Rivoluzione Messicana, in seguito a cui vennero bandite dal paese le eleganti influenze francesi della dittatura di Porfirio Diaz, per riscoprire successivamente la vita di campagna e anche “l’uomo semplice” e la sua cultura popolare. Frida Kahlo si sentì attratta dalla gioventù di questo mondo delle Carpas, dei teatri popolari e delle birrerie, della musica dei Mariachis e dei Corridos. Le piaceva ribellarsi al fianco dei suoi amici, i Cachuchas, si tagliò i capelli corti insieme alle altre ragazze del gruppo e rifiutò di portare il corsetto. Le ragazze dei Cachuchas venivano considerate talmente licenziose nel modo di vestire, che l’associazione femminile cattolica chiese un intervento della polizia. Intanto, l’arte da cui prese vita l’Estridentismo andava mostrando un rinnovamento nel metodo del montaggio compositivo, con risultati che evocavano le peculiari atmosfere della pittura metafisica. Il primo manifesto estridentista, redatto nel 1921, invocava una tabula rasa della traduzione, culminando nell’appello a mandare Chopin sulla sedia elettrica, sottoscritto da tutti i seguaci della Vanguardia. Tutti i nomi che vi apparivano ebbero un ruolo nell’opera successiva di Frida Kahlo. Tra loro c’erano Max Jacob, Tristan Tzara, François Picabia, Breton, Éluard, Marcel Duchamp, Élie Faure, Picasso, Max Ernst, Christian Schad, Vasilij Kandinskij, Gino Severini, Mario Broglio, Kurt Schwitters, Amedeo Modigliani, Giorgio de Chirico e molti altri. Le prime opere di Frida Kahlo sono quindi fortemente influenzate dall’Estridentismo, con forti assonanze alla pittura metafisica – e ai lavori di Giorgio de Chirico in particolare – nella rappresentazione dell’immagine moderna della città, dei Cafés e degli incontri politici. Durante questo periodo, la scuola e specialmente gli amici contribuirono molto alla formazione letteraria di Frida Kahlo. Fino a oggi non avevo praticamente letto nulla. Devo dire grazie a loro (i Cachuchas), che mi hanno introdotto alla letteratura di ogni genere e argomento... Nei quattro anni alla Prepa non ho studiato nulla. Mi limitavo a leggere ciò che mi indicavano i ragazzi, impegnandomi al minimo... Alejandro Arias, compagno di scuola di Frida Kahlo e suo giovane innamorato, che si trovava con lei quando nel 1925 ebbe l’incidente che per poco non le costò la vita, dopo l’infortunio venne mandato dai genitori in Europa per un viaggio di istruzione. Al suo rientro portò con sé dei libri per Frida sull’arte classica europea. Dopo l’incidente iniziai a dipingere, e nacquero l’autoritratto con le nuvole e i ritratti di Adriana Kahlo, Lira, Alicia Galant, Cristina Kahlo e Augustin Olmedo. Sono tutti più o meno dello stesso periodo. Con gli ultimi portavo il corsetto di gesso. Mi alzavo di notte dal letto per dipingere. Gomez Arias mi portò dall’Europa dei libri di pittura e di pittori. Erano i primi libri sull’arte che avessi tra le mani. Diventammo amici e quando veniva in visita avevo dipinto quattro o cinque cose, e lui mi abbracciava dicendomi che avevo un sacco di talento... 4 L’avvenimento di gran lunga più importante durante il periodo scolastico di Frida Kahlo fu però la possibilità di osservare Diego Rivera impegnato nell’esecuzione del murale Creazione, realizzato nella sua scuola tra il 1921 e il 1923. Sui primi incontri fra i due ci sono molti resoconti, anzi leggende, che offrono diverse variazioni di natura romantica quanto spettacolare sui primi contatti visivi e scambi verbali. Per contro, non esistono relazioni né studi su quanto Frida Kahlo sia stata forse ispirata e plasmata anche a livello artistico dall’osservare in dettaglio Diego Rivera al lavoro per quest’opera. Proprio questa pittura murale di Rivera viene da lei citata in una delle sue successive e più grandiose opere (Moses o Nuclear Sun). All’incirca due anni dopo il suo incidente e tre anni dopo il primo contatto con Diego Rivera a scuola, Frida Kahlo aveva dipinto un buon numero di quadri, che intendeva a quel punto mostrare all’artista. Voleva sapere da lui se il suo talento era sufficiente a guadagnarsi da vivere come pittrice. L’incidente mi aveva rovinato ogni cosa. Ero tornata (è vero) a scuola, ma tutto mi faceva male e avevo poca energia. Portai i miei dipinti a Diego e gli piacquero molto, specialmente l’autoritratto. Degli altri mi disse che ero influenzata dal Dr. Atl e dal Montenegro e che dovevo cercare di dipingere quel che volevo, senza venire influenzata da qualcun altro. Ciò mi impressionò molto, e iniziai a dipingere ciò in cui credevo. ...Allora dipinsi due o tre quadri, che devono essere in casa da qualche parte e che mi sembrano molto influenzati da lui. Sono ritratti di giovanetti di 13 o 14 anni... I commenti di Diego Rivera incoraggiarono Frida a continuare a dipingere. L’amore che nacque in seguito tra i due e che portò Rivera a chiedere infine la mano della giovane artista è un altro dettaglio biografico che in genere si ama molto raccontare, proponendone diverse varianti. Una variante asserisce che i due fossero stati uniti dalla rivoluzionaria italiana Tina Modotti, che era la fotografa di case della “Mexican Folkways”. Nel 1925 era stata la modella delle pitture murali di Rivera Terra Vergine e Germination a Chapingo e anche sua amante, mentre lui era ancora sposato con Lupe Marin. La Modotti da parte sua lavorava allora con il fotografo americano Edward Weston a documentare la storia culturale del Messico. Sempre per “Mexican Folkways” essi ritrassero anche gli artisti del Muralismo e le loro opere. Quando la Modotti incontrò Frida Kahlo nel 1928, la introdusse nel movimento giovanile comunista; la festa di nozze della coppia ebbe luogo l’anno successivo sulla terrazza di Tina Modotti. Il 17 settembre 1929 Tina Modotti scriveva a Edward Weston: Non ti ho raccontato che Diego si è sposato? Intendevo farlo. Una diciannovenne carina, figlia di padre tedesco e madre messicana: Frida Kahlo... È finora passato alquanto inosservato che fu questa breve amicizia con Tina Modotti a spingere Frida Kahlo a sperimentare la fotografia. Fece alcune fotografie rivolgendo lo sguardo, come la Modotti, alle cose quotidiane e al contempo poetiche del suo ambiente. Immortalava attrezzi da falegname, come anche una bambola caduta da un carro. Questi oggetti accuratamente disposti, volutamente sistemati in determinate composizioni, rivelano chiaramente l’impatto della fotografia simbolica di Tina Modotti su Frida Kahlo, in quanto non riportano in alcun modo alla prospettiva grandangolare della fotografia architettonica del padre, che comunque aveva sicuramente segnato le sperimentazioni fotografiche della figlia. Diego Rivera immortalò l’amicizia tra Tina Modotti e Frida Kahlo nel suo famoso murale Corrido de la Revolución presso il Ministero dell’Istruzione di Città del Messico. Il ritratto mostra le due donne nell’atto di distribuire armi ai rivoluzionari. Anche Frida Kahlo (cosa nota a pochi) immortalò il breve tempo dell’amicizia con la Modotti nel piccolo quadro di impronta umoristica L’Autobus, che riunisce sulla lunga panca di un autobus i protagonisti del mondo (concettuale) della Frida di allora. Vi presenta Tina Modotti come amica “materna” che tiene in braccio un bambino avvolto nel suo rebozo (scialle), con gli occhi abbassati, proprio come Edward Weston ha spesso fotografato la musa. Con questa rappresentazione, la giovane Kahlo voleva alludere, tra il serio e il faceto, alle famose fotografie iconiche di madri messicane della classe operaia scattate dalla Modotti. Il quadro presenta poi l’imprenditore e mecenate americano Spratling, che siede a destra di Tina con un sacchetto di monete in mano. Era Spratling che pensava allora a far affluire denaro alle casse di Rivera. E siccome doveva allora le sue 5 entrate finanziarie a un capitalista, alla fine fu anche per questo motivo che Diego Rivera fu escluso dal partito comunista messicano. Questo primo piccolo scandalo che si verificò poco dopo il matrimonio diede occasione alla Modotti, comunista convinta, di interrompere bruscamente i contatti con Rivera. Nell’Autobus, Rivera è raffigurato a sinistra della Modotti come un semplice operaio in tuta blu da lavoro, e accanto a lui siede la moglie Lupe Marin, da cui si è appena separato. Proprio a destra, in margine al quadro, in questo breve ma felice momento di viaggio collettivo nella vita di questi cinque personaggi, siede la stessa Frida, giovane e vestita con gusto moderno. L’Autobus viene spesso erroneamente interpretato come un riferimento dell’artista al suo incidente. In effetti, già in questo lavoro giovanile di Frida Kahlo si manifesta il grande talento di far apparire le cose diverse da quello che sono. L’inclinazione dell’artista a essere, per sua stessa definizione, una Gran Ocultadora, le serviva a rappresentare l’ambiente come apparentemente decoroso, criticandolo di nascosto con raffinate allusioni. Spesso portava così i suoi amici al riso, mentre lei piangeva amare lacrime dietro la maschera dell’ilarità. Ciò induce in errore anche quanti osservano i suoi quadri. Con L’Autobus, Frida strumentalizza la propria manovra ingannatrice per arrivare all’effetto contrario: lascia credere di aver fissato qui i suoi ricordi dell’incidente, mentre in realtà offre un commento sui suoi amici permeato di fine derisione. Ci trasferimmo... a Coyoacán, e questo ebbe un’enorme influenza su di me. Come dipingevamo la casa e i mobili messicani, tutto aveva grosse ripercussioni sulla mia pittura... Appena fummo a Coyoacán, iniziai lavori con dentro sfondi e soggetti messicani. È a quest’epoca che risalgono altre due opere, esibite al pubblico per la prima volta proprio nella mostra di Roma. Nel 1928, Frida ritrasse due domestiche della casa dei genitori in un quadro, Due donne (Salvadora e Herminia), che solo alcuni mesi più tardi venne pubblicato con una fotografia di Tina Modotti nella rivista bilingue “Mexican Folkways”. Il quadro era stato venduto poco tempo prima al collezionista americano Jackson Cole Phillips, con una festa in cui i partecipanti apposero le proprie firme sul retro del quadro, testimoniando così la prima vendita di un dipinto di Frida Kahlo. In uno studio stilistico inedito, Luis‐Martín Lozano sottolinea l’affinità del lavoro con le Escuelas de Pintura al Aire Libre fondate da Alfredo Ramos Martínez (1871‐1946), nelle quali le tradizioni europee non vengono rigettate, bensì arricchite, ponendole in collegamento con l’arte popolare messicana. In modo analogo alle opere della Nuova Oggettività, le due donne nel quadro di Frida si mostrano in un rigido profilo di tre quarti, presentandosi senza alcuna azione gestuale in forma quasi idealizzata, dinanzi a uno sfondo piatto di fogliame verde privo di prospettiva. Frida Kahlo amava però le ambiguità iconografiche, e anche in questo ritratto degli esordi ha giocato con i significati enigmatici di singoli elementi figurativi: due arance, come pure due farfalle, trasferiscono le donne in un mondo reale‐
surreale. Nell’iconografia cristiana delle raffigurazioni della Madonna, l’albero di arance era ed è visto come allusione a grande virtù o anche come riferimento al Paradiso celeste o terrestre. Con lo stesso significato, anche Botticelli nella Primavera collocò le tre Grazie davanti a uno sfondo di alberi di arancio, a sottolineare le virtù femminili. Una farfalla, invece, simboleggia l’anima maschile. La pittrice ci presenta quindi le due domestiche come donne che governano la casa con virtù ed energia. Il secondo quadro della mostra, mai esposto prima in pubblico, è il Ritratto di Miriam Penansky, realizzato un anno dopo, raffigurante la cognata del commerciante di pelli Salomon Hale, uno tra i primi collezionisti ad acquistare opere di artisti messicani. Miriam era venuta in Messico da Chicago in occasione della nascita del primo figlio di Salomon e della moglie Anna, per aiutare nella gestione della casa di Hale, prima di iniziare a insegnare musica al Conservatorio di Stato. Il ritratto mostra l’americana all’età di ventun anni, seduta su una semplice sedia di legno, davanti a una parete disadorna. L’elegante colletto plissettato e la raffinata acconciatura alla moda spezzano comunque la semplicità della scena. Degno di nota è il collo di Miriam che, pur privo di gioielli, richiama l’attenzione. Si può immaginare che inizialmente, per alleggerire la cupa atmosfera del quadro, dovesse essere adornato da una collana, poi non realizzata. Sotto l’ultimo strato di pittura si possono riconoscere anche una decorazione floreale dietro la figura e un piccolo scaffale a parete con oggetti di arte popolare messicana. Ma tutta questa decorazione, resa visibile da radiografie del quadro, probabilmente sembrò 6 eccessiva a Frida Kahlo, tanto che la ricoprì di colore, limitandosi volutamente alla parete neutra. L’opera si inserisce così nel semplice stile popolare della sua fase creativa di quest’epoca, fortemente ispirata all’arte di Diego Rivera. Il terzo quadro di questa serie giovanile di ritratti che spiccano per i loro riferimenti alla Nuova Oggettività è il Ritratto di una signora in bianco del 1929, la cui identità è rimasta sconosciuta per decenni. Solo di recente i discendenti della giovane donna ritratta si sono messi in comunicazione con una gallerista, inviandole una foto della loro antenata. Hanno riferito che si trattava della zia Dorothy Brown, che aveva studiato spagnolo negli Stati Uniti e nel 1928 si era recata in Messico per perfezionare le sue conoscenze linguistiche. Dopo il rientro negli Stati Uniti, la signora Brown divenne insegnante di spagnolo e sposò l’ottico Stanley Fox. Un’intima amicizia documentata da uno scambio di lettere legò per molto tempo la Brown a Frida Kahlo. Il quadro è incompleto, probabilmente perché Dorothy partì prima che fosse ultimato. La famiglia definisce oggi Dorothy Brown molto intelligente ed emancipata. Oltre ad avere una mente vivace, la Brown era anche estremamente cordiale e aperta, e incoraggiò e sostenne sempre i membri più giovani della sua famiglia. Questo quadro si attiene ancora alla tradizione pittorica messicana, eppure al contempo sembra richiamarsi alla Nuova Oggettività. Ma anche in questo caso la tensione dell’opera e il suo fascino nascono dal peculiare approccio di Frida Kahlo all’iconografia. Nella tradizione pittorica, una tenda purpurea che incornicia la scena valorizza l’importanza della persona rappresentata e ne sottolinea l’alto rango, specialmente nei ritratti di regnanti. Anche in questo quadro viene così conferita all’amica una dignità quasi intangibile che, unita a molti dettagli che emanano sensualità, fanno di questa Signora in bianco una regina di cuori di grande seduzione. Si notino lo sguardo di sfida e pieno di desiderio di Dorothy Brown, le rosse labbra sensuali, i cuori rovesciati della ringhiera in ferro battuto del balcone, le braccia nude, il generoso décolleté. Il fatto di essere sposata con Diego Rivera cambiò molte cose nella vita di Frida Kahlo. Prima di tutto cominciò a immergersi profondamente nella cultura e nell’arte popolare messicana, con effetti che si palesarono ben presto nei suoi quadri. Prese poi l’abitudine di ritrarre familiari e domestici, raffigurandoli frontalmente, seduti su semplici sedie di legno, come faceva spesso Diego Rivera. Fino alle sue nozze con Rivera, grande viaggiatore, Frida non aveva visto niente del mondo oltre l’altopiano centrale del Messico. Ma un anno dopo il matrimonio, nel novembre 1930, la coppia andò a San Francisco, dove Diego Rivera aveva ottenuto l’incarico di dipingere murali nel club privato Stock Exchange Luncheon Club e alla California School of Fine Arts. Con questo viaggio per Frida Kahlo si aprì un nuovo orizzonte sulla propria identità. Diego Rivera riferì in seguito che durante il viaggio in treno verso l’allora capitale del mondo Frida gli regalò un autoritratto in cui stava in piedi davanti alla silhouette immaginaria di San Francisco, da lei definita proprio “la porta sul mondo”. San Francisco ha un effetto elettrizzante su Frida Kahlo. Dipinge molto ed è entusiasta delle stimolanti rappresentazioni teatrali della città. Nel febbraio 1931 scrive a casa di aver già dipinto sei quadri, molto apprezzati da diverse persone. Nel maggio 1931 scrive alla sua amica Isabel Campos: “Non puoi immaginarti quanto qui sia meraviglioso... La città è favolosa...”. In seguito spiega di non aver ancora trovato amici, e di passare quindi il tempo a dipingere, con la speranza (che non si sarebbe poi realizzata) di ottenere già in autunno una personale a New York. In ogni modo, mi ha fatto molto bene venire qui, perché mi ha aperto gli occhi e ho visto una quantità di cose nuove e fantastiche. Durante i mesi a San Francisco, lo stile pittorico di Frida Kahlo cambia in modo impressionante. Agli inizi di questa evoluzione c’è il grandioso doppio ritratto Frida Kahlo e Diego Rivera, da lei dedicato a Alfred Bender, che li aveva aiutati ad ottenere il visto di ingresso. In questo quadro, Frida si raffigura in apparenza del tutto remissiva, come sposina del grande pittore. Accanto a lei spicca l’imponente figura di Rivera, in una mano tavolozza e pennello e nell’altra la delicata mano di Frida, posata con amore 7 sulla sua; ma per la scelta dei colori dell’abito l’artista si presenta come una dea dissimulata. Il simbolo Olin nella pesante doppia collana di pietre che porta al collo richiama la leggenda azteca della creazione del quinto sole. La veste verde abbinata al rebozo (scialle) rosso rimanda a uno degli attori principali di questa leggenda, la dea Coatlique, che portava una gonna di serpi verdi e il cui corpetto era formato dai cuori sanguinanti delle sue vittime. Coatlique è la dea azteca che dà – e anche prende – la vita a tutto: quest’interpretazione della composizione del quadro si adatta meglio alla giovane artista della semplice definizione di sposa e consorte fedele. Se si rivolge quindi l’attenzione alle implicazioni iconografiche dei dipinti di Frida Kahlo, vi appare evidente un intrinseco doppio senso. Frida non era un’impressionista che dipingesse quel che vedeva: costruiva i suoi quadri in modo più raffinato, e non senza modelli ispiratori. Ciò risulta evidente, per esempio, nel complesso Ritratto di Luther Burbank, precursore californiano delle coltivazioni di frutta di qualità ‘perfezionata’ e unica persona non più in vita che Frida abbia mai ritratto. Nella definizione dell’iconografia, la pittrice non si uniforma al tono celebrativo nei confronti del grande agricoltore scomparso, ma sceglie di rappresentarlo come una figura ibrida che spunta dal tronco di un albero il quale, a sua volta, ha le radici ancorate in uno scheletro che riposa nella terra. Con questa combinazione surreale, Frida si rifà ai dipinti murali di Diego Rivera all’università di Chapingo, in cui il busto nudo di Tina Modotti spuntava in modo analogo dal tronco di un albero, a simboleggiare la germinazione (Germination). Sicuramente anche Frida Kahlo nel suo ritratto ha inteso simboleggiare la germinazione e la crescita vigorosa delle piante e tuttavia l’artista, scegliendo di mettere in mano a Luther Burbank una Monstera deliciosa dalle lunghe radici che, all’aria, tendono verso il suolo, caratterizza quest’idea di germinazione in modo certamente più complesso; gli alberi nani portatori di abbondanti frutti che nascevano nel laboratorio di Burbank sono presentati da Frida in maniera vagamente mostruosa. Poco dopo la pittrice smise di ispirarsi all’arte del marito e iniziò ad ampliare il suo ventaglio di modelli e fonti. Frida rimase colpita dalla collezionista d’arte Galka Scheyer, di origine russa, incontrata a San Francisco. Il rapporto del tutto nuovo con l’arte che le si schiudeva nella metropoli si accrebbe con la Scheyer di un’altra dimensione. Galka Scheyer in quei giorni promuoveva il gruppo I Quattro Blu, da lei formato nel 1925 insieme a quattro ex insegnanti del Bauhaus: Lyonel Feininger (1871‐1956), Vasilij Kandinskij (1866‐1944), Paul Klee (1879‐1940) e Alexej von Jawlensky (1864‐1941). I quattro artisti tedeschi avevano collaborato, prima del primo conflitto mondiale, nel movimento espressionista del Blaue Reiter, cui fa riferimento la postilla “blu” aggiunta all’originario nome “I Quattro”. Tra il 1925 e il 1944, Scheyer organizzò sette mostre dei Quattro Blu – in Messico e a Los Angeles – durante le quali la collezionista tenne numerose conferenze, elogiando instancabilmente il potenziale di questi artisti e dei modernisti europei. Diego Rivera dipinse per lei il ritratto di un Giovane Blu, che in modo assai poco espressionista siede nella sua salopette blu su una piccola sedia di legno. Frida Kahlo acquisì da Galka Scheyer un lavoro di Paul Klee, esposto ancora oggi al Frida Kahlo Museum. Sotto l’influenza dei Quattro Blu il modo di lavorare di Frida Kahlo si andò significativamente modificando. Abbandonò infatti la prospettiva unidimensionale cui fino ad allora aveva fatto ricorso e iniziò a sperimentare modelli compositivi propri della tecnica del collage. Fu sempre in quest’epoca, probabilmente, che Frida vide per la prima volta le opere di Marcel Duchamp, essendo questi in stretta amicizia con i collezionisti californiani Walter e Louise Arensberg, che nel corso degli anni trenta misero insieme una ricca collezione di arte moderna. Gli Arensberg erano in contatto con Diego Rivera e Frida Kahlo ed erano interessati all’acquisto di un quadro di quest’ultima, La mia nutrice e io. Più volte, nella sua corrispondenza, la pittrice espresse agli amici la speranza che la vendita si concludesse positivamente. Purtroppo, invece, non se ne fece nulla, anche se (o proprio perché) l’artista richiedeva solo 300 dollari per il suo quadro The Dream, e addirittura solo 250 dollari per La mia nutrice ed io. Il 1932 portò a Frida Kahlo un altro considerevole cambiamento di prospettiva. Si recò con Diego Rivera a Detroit, dove egli iniziò a dipingere all’Institute of Arts i suoi sorprendenti quadri di fabbriche e industrie; realizzando paesaggi moderni ‘abitati’ da macchine, mai visti prima di allora. E anche se Rivera, che a Detroit si andava appassionando di cultura 8 automobilistica, riuscì in parte a coinvolgere la moglie nell’interesse per l’estetica industriale degli stabilimenti Ford, la città non offriva certo lo stesso livello di interesse e divertimento di San Francisco. A tenerle compagnia era l’amica Lucienne Bloch e insieme passavano il tempo con i disegni del cadavre exquis, il giochino dei Surrealisti, nel quale si completa a turno una parte di un disegno su un foglio di carta, ripiegandolo via via in modo che non si veda quanto è stato raffigurato in precedenza. Col risultato, alla fine, di un’immagine composita, risultato della somma di pezzi indipendenti, ognuno disegnato da una mano diversa; un passatempo che André Breton vedeva come una sorta di sport concettuale: CADAVRE EXQUIS – gioco con carta ripiegata, nel quale si tratta di far costruire da più persone una frase o un disegno, senza che un giocatore possa arrivare a conoscere il rispettivo lavoro fatto in precedenza. L’esempio divenuto classico e che ha dato il nome al gioco, costituisce la prima parte di una frase ottenuta in questo modo: Le cadavre‐exquis‐boira‐le‐vin‐nouveau. A Detroit, Frida Kahlo rimase incinta. Non era la prima volta. Già nel primo anno di matrimonio una gravidanza si era conclusa con un aborto. A Detroit Frida era di nuovo in dubbio se tenere il bambino perché, come non è difficile leggere nel quadro Vetrina a Detroit, temeva che la sua indipendenza avrebbe potuto soffrirne. Scelse a sfavore del bambino, ma rimase poi sconvolta quando il tentativo di interrompere la gravidanza sfociò in un aborto spontaneo. Quando poi morì anche sua madre, amata sopra ogni cosa, Frida si ritrovò in un stato di profonda tristezza e solitudine. Questa condizione è magistralmente raffigurata nel quadro Henry Ford Hospital, nel quale Frida Kahlo adottò le tecniche del collage e del libero cambio di prospettiva, che nel frattempo aveva fatto proprie. Con l’ausilio della prospettiva semantica diede spazio alla solitudine, lo spazio vuoto intorno alla rappresentazione di se stessa diventa un elemento compositivo decisivo. Anche nella litografia Frida and the Miscarriage, Frida Kahlo rende in forma così iconica il suo dolore per l’aborto spontaneo, in parte autoprovocato, da poterla paragonare alla Madonna di Edvard Munch (cfr. il saggio di Pari Stave in questo volume). Il 1932, anno drammatico per Frida Kahlo, è un punto di svolta e al tempo stesso un nuovo inizio per la sua arte. Coincide con la fine di ogni forma di dolcezza nella sua opera. Nel gennaio 1933 scriveva a Abby Rockefeller, con cui era venuta in contatto al Rockefeller Center di New York per l’incarico a Rivera: Sto anche dipingendo un po’. Non perché mi consideri un’artista o qualcosa di simile, ma semplicemente perché non ho altro da fare qui e perché lavorando posso dimenticare un po’ tutti i problemi che ho avuto l’anno scorso. Sto facendo degli oli su piccole lastre di alluminio e talvolta vado a una scuola d’artigianato e ho fatto due litografie che sono assolutamente disgustose. Da Detroit, Frida Kahlo e Diego Rivera si trasferiscono a New York. Mentre lui dipinge al Rockefeller Center, Frida Kahlo scopre la convulsa scena della vita della metropoli. Frequenta cinema e teatri, qualche film lo vede addirittura due volte: Cocteau e Walt Disney, un mix selvaggio che la eccita e di cui scrive ai suoi amici. Un amico, il regista Arcady Boytler, la portava alla presentazione dei film più recenti, e l’abitudine ad assistere regolarmente alle rappresentazioni teatrali di Broadway venne da lei ripresa più tardi, di ritorno in Messico, al Palacio de Bellas Artes. La mostra curata nel 1936 da Alfred H. Barr Jr., “Fantastic Art Dada Surrealism” al MoMA di New York, includeva opere emblematiche come The Enigma of the Hour e anche Melancholy and Mystery of the Street, dipinte nel 1914 da Giorgio de Chirico, la cui influenza è facilmente avvertibile nel quadro di Frida Kahlo Quattro abitanti di Città del Messico, realizzato nel 1938. In questa mostra era esposta anche La persistenza della memoria del 1931 di Dalí, come pure i collage dei dadaisti berlinesi Hannah Höch e Raoul Hausmann. Il famoso dipinto di René Magritte The False Mirror del 1928 si riflette nel disegno di Frida intitolato Occhio indagatore, del 1934. Analogamente, Le Rêve di Henri Rousseau del 1910, esposto accanto a La ninfa Eco di Max Ernst, potrebbe esser servito da modello per Due nudi nel bosco di Frida Kahlo, un’opera realizzata quasi trent’anni più tardi, nella quale due figure femminili nude giacciono su una superficie spoglia: dietro di loro si schiude una lussureggiante foresta vergine, da quella oscurità le osservano gli animali del bosco. 9 Curiosamente, la “Fantastic Art Dada Surrealism” mostrava anche alcuni primi cartoon di Walt Disney, come il cartone animato del 1936 Three Little Wolves. Oltre agli assistenti di Diego Rivera, tra i quali artisti statunitensi divenuti molto noti, la pittrice conosce Georgia O’Keeffe. Anche se non le dispiace far parte della comunità artistica newyorkese, Frida ironizza sul vivere superficiale dell’establishment dei ricchi collezionisti e promotori d’arte. Frequenta di nuovo i grandi musei della città, si entusiasma per i capolavori dell’arte europea al Metropolitan Museum, visita le mostre d’arte contemporanea al MoMA e le gallerie private. Rimane impressionata in particolar modo dalla Veduta di Toledo di El Greco al Metropolitan Museum; da allora dipingerà i suoi cieli soltanto alla sua maniera: tempestosi e con brandelli di nuvole. Quando il progetto di Diego Rivera per il Rockefeller Center prende una piega troppo politica a causa dei voli pindarici dell’artista, si accende un’aspra polemica che porta il committente Nelson Rockefeller a rifiutare il lavoro. Il dipinto murale viene alla fine distrutto e, come se non bastasse, tutti gli incarichi successivi vengono sospesi. A causa dello scandalo il soggiorno negli Stati Uniti viene così bruscamente interrotto. In My Dress Hangs There del 1933, Frida Kahlo traccia un bilancio: integra collage con immagini di lavoratori in protesta a New York, ritagliate da riviste. Dal punto di vista formale, questo quadro è considerato uno dei lavori più coraggiosi e moderni dell’artista. È un po’ paragonabile a Taglio con il coltello da cucina di Hannah Höch o a lavori di John Heartfield. Con il quadro Frida non critica però, come generalmente si crede, soltanto il declino dei valori umanistici nella società industriale. Nel mirino sono piuttosto le smisurate illusioni del marito, che aveva sperato di farsi un altro monumento con il dipinto murale del Rockefeller, intascando tra l’altro un cospicuo onorario. In My Dress Hangs There, Frida Kahlo ricorre assai sapientemente a un motivo iconografico, che cela le sue intenzioni più che rivelarle: le due colonne davanti al tempio (Boaz e Jachin) al centro del quadro sono un antico rimando alle logge massoniche, cui era affiliato anche Diego Rivera. Simboli alchemici, richiamano l’unione delle forze maschili e femminili, nonché il tentativo di trasmutare le pietre in oro. In senso traslato, Frida associa questa metafora massonica al tentativo di Diego Rivera di arricchirsi con i murali negli Stati Uniti. Inebriato dal successo, egli si era fatto costruire una villetta bifamiliare in Messico e aveva iniziato a mettere insieme una grande, e malauguratamente costosa, collezione di sculture preispaniche. Lo scandalo Rockefeller aveva inflitto un duro colpo alle sue finanze. My Dress Hangs There illustra il fallimento di Rivera, che Frida da parte sua sembra percepire come un trionfo. Il nastro azzurro teso tra le due colonne (che funge da corda per appendere l’abito di Frida, il rebozo rosso e la gonna verde) nella tradizione dei viaggi per mare spettava alla nave più veloce sulla rotta transatlantica. La Brema, che aveva conquistato il Nastro Azzurro nel 1929 come nave più veloce del suo tempo, è rappresentata sullo sfondo durante la traversata dell’Atlantico. Nel quadro è il vestito a vincere il premio. Frida nel dipinto fa sostanzialmente riferimento, anche dal punto di vista del contenuto, proprio al murale di Diego al Rockefeller Center. Mentre Rivera mette al centro l’uomo, che domina il mondo con la tecnica moderna, la medicina, l’industria e l’agricoltura, al centro della sua tela sono gli indumenti, dondolanti sul nastro azzurro della vittoria. Si potrebbe ritenere quindi che l’artista voglia lasciar intendere di aver lei sola attirato l’attenzione con lo stile del suo abbigliamento, conquistando così i cuori degli americani, facili all’entusiasmo, mentre Diego Rivera aveva fallito miseramente. I suoi abiti alla Coatlique, trionfalmente sospesi tra le due colonne come unici sopravvissuti, testimoniano che ne aveva abbastanza degli Stati Uniti e di accompagnare Diego Rivera ai party dei mecenati. Aveva elaborato una propria autocoscienza e la metteva in mostra. Sulla colonna femminile “Lei” campeggia una coppa della vittoria i cui manici si stagliano fieramente, come braccia sollevate. Sulla colonna dorica maschile “Lui”, c’è una tazza da gabinetto, che fa intuire vi sia inciso il monogramma DR. Gli attrezzi del pittore si ammassano come immondizia nel bidone della spazzatura. A causa di una relazione con la sorella di Frida, Cristina, l’anno successivo Diego Rivera e Frida Kahlo si separarono. Frida lasciò la sua parte della villetta bifamiliare che l’architetto Juan O’Gorman aveva costruito per la coppia nel quartiere di San Angel. Si trasferì in una casa che doveva servirle anche da studio, con l’intenzione di guadagnarsi da vivere con la pittura. Quasi dieci anni dopo, agli inizi del 1938, scriveva all’amica Lucienne Bloch: 10 Da quando sono rientrata da New York ho dipinto circa dodici quadri, tutti piccoli e insignificanti, con gli stessi soggetti che affascinano soltanto me e nessun altro. Ne ho spediti quattro alla galleria qui in Messico, la University Gallery, che è un luogo piccolo e disgustoso, ma l’unico che accetta ogni sorta di materiali; li ho mandati quindi senza nessun entusiasmo, quattro o cinque persone mi hanno detto che sono straordinari, gli altri pensano che siano troppo stravaganti. Con mia sorpresa, Julian Levy mi ha scritto una lettera, dicendo che qualcuno gli ha parlato dei miei dipinti e che è molto interessato a farne una mostra nella sua galleria. Ho risposto inviandogli poche fotografie delle mie ultime cose, e lui ha mandato un’altra lettera, molto entusiasta delle foto, e chiedendomi una mostra di trenta cose in ottobre... Si era nuovamente trasferita da qualche tempo nella casa di Coyoacán con Rivera, quando nella vita di Frida Kahlo entrarono due uomini brillanti: nel gennaio 1937, per intervento di Diego Rivera era stato concesso asilo in Messico al rivoluzionario russo Lev Trockij, che si era trasferito con la moglie Natal’ja come ospite permanente alla Casa Blu. Nell’aprile dello stesso anno arrivò in Messico il surrealista francese André Breton con la moglie Jacqueline Lamba, e Rivera li ospitò nella villetta di San Angel. Le tre coppie fecero insieme sei lunghi viaggi all’interno del paese. Famose le discussioni di Pátzcuaro, nello stato di Michoacán, il cui esito fu il manifesto redatto insieme Pour un art révolutionnaire indépendant nel quale, a fronte del regime sempre più autoritario, il gruppo dei “Diversamente Pensanti” pretendeva la completa libertà dell’arte. Breton si entusiasmò non solo per il surrealismo del Messico, intrinseco alla natura del paese e delle sue genti e che gli sembrava onnipresente, ma anche per l’arte di Frida Kahlo. Le scrisse così sua sponte un testo di presentazione per la mostra personale in programma l’anno successivo alla Julien Levy Gallery di New York. Breton si chiedeva, di fronte ai quadri di Frida Kahlo: A quali leggi irrazionali ubbidiamo, quali segni soggettivi ci fanno trovare la direzione in ogni istante, quali simboli, quali miti sono validi in quest’associazione delle cose, in questa catena dell’accadere, quale significato giace in questa attitudine dell’occhio che ci consente di passare dal vedere esteriore al guardare interiore? ...Non manca a quest’arte neppure un goccio di crudeltà e di humour, con il quale soltanto è possibile legare i preziosi poteri del sentimento, che devono incontrarsi per dar vita alla pozione magica tipicamente messicana. Dagli artisti francesi il Messico era visto come il paese surrealista par excellence e molti di loro vennero in Messico negli anni della guerra e nel dopoguerra. Il gruppo sorto intorno all’austriaco Wolfgang Paalen, giunto in Messico nel 1939 su invito di Frida Kahlo, pubblicò la rivista surrealista “DYN”, considerata una sorta di antidoto al magazine “VVV”, edito nella stessa epoca da André Breton a New York. Nel 1940, anche Paalen esponeva alla Julien Levy Gallerie di New York e al vernissage presenziarono i giovani artisti vicini a Jackson Pollock, già in procinto di dar forma all’astrattismo moderno. Nel 1939 Breton riuscì finalmente a far riconoscere Frida Kahlo come artista internazionale, portando a Parigi la sua mostra newyorkese. In letteratura si fanno continue citazioni dalle lettere di Frida, nelle quali la pittrice si lamenta degli sregolati intellettuali di Parigi e delle loro insensate discussioni, che sembrano senza fine. Si deve considerare il fatto che Frida, che non parlava francese, si sentiva probabilmente a disagio nell’inverno parigino. Anziché l’arte, in primo piano nei discorsi dei surrealisti di Parigi c’era allora la contrapposizione politica tra stalinisti, trotskisti e fascisti. La città si era riempita di profughi dalla guerra civile spagnola, e gli antifascisti e gli ebrei fuggiti dalla Germania complicavano una situazione che dava vita alle discussioni più accese. L’organizzazione della mostra di Frida Kahlo guidata da Breton procedeva stentatamente, e così l’artista continuava a passare molto tempo fra le mostre e i musei della città, e ai mercatini delle pulci dove vedeva cose mirabolanti. Quando la mostra alla Renou et Colle Galerie finalmente si aprì nel marzo 1939, chiunque contasse in città e tutti i nomi di prestigio sulla scena artistica del tempo erano presenti all’inaugurazione. C’era una quantità di gente di tutti i tipi il giorno dell’‘opening’, grandi complimenti alla ‘chica’, tra gli altri un abbraccio di Juan Miró e grandi lodi di Kandinskij per la mia pittura, complimenti di Picasso e Tanguy, di Paalen e di altre ‘grandi cacche’ del surrealismo. Insomma, posso dire che è stato un successo... e la faccenda è andata abbastanza bene... 11 Dopo il rientro da Parigi, Frida Kahlo si separò da Diego Rivera, lottando ancora una volta per la sua indipendenza. Nasce l’incomparabile quadro Le due Frida, nel quale fa rivivere l’amica immaginaria e la colloca al proprio fianco, per alimentare di sangue il suo cuore spezzato. Il viaggio nell’interiorità, cui l’artista si dedica in questa fase, rende sempre più complesse le composizioni dei suoi quadri, come anche i rimandi iconografici. Alla fine del 1939 si candida a una borsa di studio della fondazione Guggenheim, per poter trascorrere un anno da sola a New York. A tale scopo chiede una lettera di presentazione all’amico compositore e direttore d’orchestra Carlos Chávez, che lavorava nella metropoli già dagli anni venti. In una lettera a Chávez antecedente la candidatura motiva così la sua attuale posizione nell’arte: Ho fatto ritratti, composizioni di figure, anche opere in cui il paesaggio e la natura morta hanno il ruolo principale. Sono giunta a trovare, senza che nessun pregiudizio mi costringesse, un’espressione personale nella pittura. Il mio lavoro nel corso di dieci anni è consistito nell’eliminare tutto quanto non provenisse dalle pulsioni liriche interne che mi spingevano a dipingere. I miei temi sono stati sempre le mie sensazioni, i miei stati d’animo e le profonde dinamiche che la vita andava producendo in me, e ho spesso oggettivato tutto questo in rappresentazioni di me stessa che erano quanto di più sincero e vero potessi fare per esprimere quel che sentivo di me e davanti a me. Aggiunge che adesso dipinge in grandi formati, per la cui realizzazione ha bisogno di tranquillità e anche dei mezzi finanziari offerti dalla borsa di studio. Effettivamente aveva allora in lavorazione due quadri di grande formato: uno era Le due Frida, l’altro era La Mesa Herida, andato perduto in Russia, il quadro più grande ed enigmatico di Frida Kahlo. Appare seduta a un tavolo pieno di sangue e ferite, dalle gambe sanguinanti, come un suo alter ego. La affianca da un lato un Giuda di cartapesta – una figura dell’arte popolare che viene fatta esplodere il Venerdì Santo a simboleggiare l’annientamento di tutti i peccati e che nell’iconografia di Frida Kahlo rappresenta il pensiero del suicidio – che la circonda già saldamente con entrambe le braccia. Dall’altro lato nutre/è nutrita della fusione con un’antica scultura – la storia trita e ben nota, che sempre la opprime – al cui fianco domina ora la morte, che già gioca con i capelli di Frida. Altri concetti hanno un ruolo importante nel quadro, ma prima di tutto questa è l’opera in cui l’artista si confronta con l’idea del suicidio, in modo surreale, come fosse un sogno, di cui potrebbero essere ignari testimoni i bambini e il giovane capriolo. Entrambi i quadri vennero presentati agli inizi del 1940 alla mostra organizzata insieme da Wolfgang Paalen e André Breton, “La Exposición Internacional del Surrealismo” nella Galeria de Arte Mexicano, non nella sezione messicana, ma in quella internazionale. Questa offensiva surrealista in Messico spostò effettivamente i parametri con cui in Messico veniva vista l’Avantgarde. Essa metteva in questione l’arte nazionalistico‐rivoluzionaria del movimento della pittura murale, già divenuta tradizione e assimilata dallo Stato. Fin dalla vigilia la mostra attirò una tale attenzione che persino Diego Rivera, l’incarnazione del Muralismo, si vide motivato a dipingere quadri surrealisti soltanto per potervi partecipare. Il Surrealismo era diventato di moda. Nel gennaio 1940 Frida scriveva al suo amante Nickolas Muray: ... tutti in Messico sono diventati surrealisti, perché tutti vogliono prendervi parte. Questo mondo è completamente strambo, ragazzo!! Frida Kahlo incarna veramente il Surrealismo. I suoi quadri non sono ciò che sembrano e la sua arte è proprio come lei stessa scrive sul retro del disegno Fantasia: La sorpresa di trovare un leone nell’armadio che si era aperto per prendere la biancheria (“El Surrealismo es la mágica sorpresa de encontrar un león dentro de un armario, donde se está seguro de encontrar camisas”). Nessuna frase potrebbe caratterizzare con maggiore precisione un’opera di Frida Kahlo: La Novia se espanta al ver la vida abierta del 1943, apparentemente una bella natura morta esotica, si riferisce in effetti, come oggi sappiamo grazie all’osservazione di Salomon Grimberg, alla sposa di Breton Jacqueline Lamba, di cui Frida era stata l’amica e l’amata durante il periodo di Parigi e che cadde di nuovo vittima dell’amore nel suo viaggio in Messico. Nel titolo La Novia se espanta al ver la vida abierta, Frida Kahlo allude a un quadro del suo ospite parigino Marcel Duchamp, che aveva lavorato per circa otto anni a La Mariée mise à nu par ses Célibataires, même (1915‐23). Formalmente, le due opere non hanno nulla in 12 comune, ma l’idea di partenza dei due quadri è la stessa. In Duchamp è il concetto dell’opera d’arte che viene lacerata dagli osservatori, come gli scapoli che bramano la sposa senza però riuscire a irretirla. La rappresentazione del desiderio degli uomini, la loro autosoddisfazione è rappresentata da Duchamp ne La Mariée mise à nu par ses Célibataires, même con una macinatrice per il cioccolato. In Frida Kahlo è l’amica, che viene sorpresa dalla vita reale e viene osservata dall’artista mentre cade nel vortice inarrestabile della concupiscenza e dell’erotismo. I due lavori testimoniano lo stretto dialogo, a Parigi, tra Frida Kahlo e Duchamp, mentre quest’ultimo lavorava alla sua opera maggiore. Anche la Sposa di Frida Kahlo, che si spaventa davanti alla vita manifesta, è un dipinto decisamente complesso e una testimonianza del desiderio. L’erotismo, che viene qui rappresentato alla maniera di Frida, si esprime con l’aiuto di un cocomero rosso e lucente, intagliato in sezioni appuntite, la cui forma a incastro, simile a un simbolo Yin e Yang, chiede proprio di essere ricomposta. Per il resto, nella raffigurazione di una piccola civetta che, volgendo il dorso all’osservatore, getta uno sguardo perso oltre la scena, e di una cavalletta sproporzionatamente grande che le si avvicina alle spalle, l’artista ha integrato l’antica leggenda della civetta e della cavalletta. Nel 1942 Frida Kahlo divenne insegnante all’Accademia delle Arti La Esmeralda. Il numero dei suoi studenti non era molto alto, e nemmeno quello dell’intero corpo studentesco dell’accademia artistica di nuova fondazione. Fondamentalmente, la classe della Kahlo era composta dai quattro fedeli allievi, Guillermo Monroy, Arturo García Bustos, Arturo Estrada e Fanny Rabel, che sichiamarono Los Fridas. Non avendo la stessa Frida Kahlo mai preso lezioni d’arte, le era facile invitare in modo assolutamente non accademico i suoi studenti a riconoscersi nei loro quadri. Promuoveva instancabilmente lo sviluppo della personalità degli allievi, li faceva dipingere a casa sua e li aiutava ad allestire mostre, senza mai imporre il suo stile pittorico. Gli allievi raccontavano, anche molto tempo dopo, della loro Maestra e di come la sua personalità e il suo costante incitarli all’indipendenza li avesse segnati. Gli studenti, così stimolati, realizzarono murali nelle Pulquerias, le birrerie del Messico in cui viene servita la birra precolombiana Pulque, e anche in una lavanderia pubblica. Celebravano l’inaugurazione di ogni opera con grandi feste. Nel 1946, Frida Kahlo prese parte al concorso indetto per il Premio Nazionale d’Arte, inviando il suo nuovo quadro Nucleo Solar, chiamato anche Moses. Pur non aggiudicandosi il riconoscimento più alto tra i 245 artisti partecipanti (il Premio Nazionale d’Arte andò infatti a José Clemente Orozco), la Kahlo ricevé il 9 novembre 1946 dalle mani di Manuel Ávila Camacho, presidente della Repubblica, il Premio Educación Publica en Pintura y Dibujo. Sul retro delle foto che documentano questo avvenimento, e che vengono mostrate a Roma per la prima volta, vi sono i dripping di eruzioni vulcaniche che la Kahlo realizzò con inchiostro seppia e con trionfale allegria. Nel quadro premiato, il Mosè, Frida Kahlo non ha soltanto illustrato, come molti ritengono, il libro di Sigmund Freud Der Mann Moses und die monotheistische Religion, apparso nel 1937, che le era stato prestato dal suo vicino e sponsor Morillo Safa. Piuttosto rappresenta di nuovo un’idea che l’ha molto impegnata personalmente e che si lascia riconoscere non appena si cominci a seguire l’iconografia. Con Nucleo Solar, Frida Kahlo ritorna al quadro che per primo l’aveva influenzata: Creazione – la pittura murale di Diego Rivera nella sua scuola. È lo stesso sole che, nel Moses come nella Creazione, distende le sue mani creatrici: generatrici e annientatrici al tempo stesso. Nel Moses, questo sole deve essere inteso come simbolo di Diego Rivera. Frida mostra l’intento di salvare un bimbo dal calore annientatore del sole. Il bimbo, come un tempo Mosè nella cesta ritrovata dalla principessa sul fiume, sopravvive adagiato in una capsula. A tale scopo devono offrire il loro aiuto tutti gli eroi, i santi e gli dei, citati nello stile degli ex‐voto, che si allineano protettivi a destra e a sinistra nella scena della nascita. Qui Frida Kahlo elabora sensi di colpa e paure sviluppate in seguito ai vari aborti e invoca, ricorrendo allʹaffresco Creazione di Diego Rivera, la protezione degli dei. Il saggio di Freud ebbe certamente la sua parte nella nascita del quadro del Mosè, e anche se il libro era probabilmente un prestito, l’autore non era affatto sconosciuto all’artista, che conservava nella propria biblioteca tutte le opere apparse fino ad allora. Il corpo è il tempio dell’anima. Il volto è il tempio del corpo. E quando il corpo si spezza, l’anima non ha altro sacrario che il volto. ... 13 L’orribile, il penoso, ci può guidare alla verità dell’auto‐conoscenza. E allora diventa bello, semplicemente perché identifica il nostro vero essere, le nostre qualità più recondite. Gli autoritratti di Kahlo sono belli per la stessa ragione di quelli di Rembrandt: ci mostrano le identità susseguenti di un essere umano che non lo è ancora, che lo sta diventando. Nelle pregnanti testimonianze dei suoi ultimi anni di vita – le tante nature morte, gli autoritratti, spesso nascosti, le immagini iconiche del suo diario in cui fa a pezzi, con l’ausilio delle iconografie di diverse religioni, la propria immagine di sé, ormai tragica – Frida Kahlo ci mostra ancora solo il suo disintegrarsi. Con una complessa codifica e il ricorso a innumerevoli tradizioni, Frida Kahlo si avvicina al termine della sua vita in una scelta di forme e di colori molto più libera di una rappresentazione espressiva. I suoi lavori rispecchiano ancora i suoi sentimenti, che in modi diversi si erano riflessi nella sua arte. 14