Circolo Culturale La Torre - Chiavenna
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Il Cristo nudo. La crocifissione indecente come nessuno ha osato raccontarcela http://www.papalepapale.com A proposito di passione e morte di Cristo. Un giorno mi arriva una ben strana e-mail da un tale, scosso, anzi scandalizzato da una mia trilogia di articoli sulla morte per così come, materialmente, appare. Una mail Mi scrisse quanto segue: «Scrivo perché ritengo che parlare della morte, come lo fate voi nel sito, non avvicini a Dio e, anziché abituare alla morte e al pensiero dell’eternità, allontani dal sano pensiero della medesima. L’articolo che narra l’iniziazione di un medico al mistero della morte, infatti, quantunque ben scritto, non ha niente a che vedere con libretti similari scritti da Santi nei secoli scorsi (S. Alfonso de’ Liguori, per es.,) che avevano tutti il comune denominatore non già di ispirare orrore e di concentrare sul pensiero della putredine e dell’estrema Il trittico Grunewald umiliazione della natura umana (che la morte, appunto, annienta e sfigura, essendo il culmine del disumano), quanto piuttosto di distogliere dolcemente le anime dal mondo per attirarle a Cristo. Se talvolta toccavano (letterariamente) macabri argomenti, era sempre avendo fisso lo sguardo al fine, che era il disprezzo del mondo e l’odio del peccato. Per quanto infatti lo si voglia allontanare o negare, quotidianamente incrociamo la morte e, più si avanza in età, più il pensiero e l’immagine di essa si fanno naturalmente presenti ed incombenti: non abbiamo certo bisogno che un sito cattolico svolga il triste ufficio di ricordarcelo, basta e avanza, oltre alla esperienza personale di ogni giorno, la parola di Dio. E se la morte è lo stipendio del peccato, non incontriamo certo Dio nel macabro, ma piuttosto il nemico: oltre ad essere di dubbio gusto, insistervi è, perciò, di altrettanto dubbio vantaggio spirituale. Meraviglia che non lo abbiate capito». Questo disse. Io un po’ di fretta, parecchio irritato, lo ammetto, gli risposi di rimando: «Mi meraviglia piuttosto il suo terrore panico del “cosa” materialmente (perché dalle leggi della materia non si sfugge) la morte è: piuttosto dovrebbe riflettere lei su questa rimozione, questa sua pretesa di asetticità, questo buttare tutto in “sola scriptura” e fuga mundi. Se ne faccia una ragione: la morte esiste ed ha un volto, e così com’è Dio Crocifissione di Grunewald (particolare) l’ha voluta, dopo il peccato originale. Tentare di sfuggire all’idea non serve. Per questa ragione esistono i cimiteri, per questo la Chiesa ha benedetto i corpi degli estinti, per questo ci sono le reliquie corporali dei santi. Nel cattolicesimo lo stesso orrore della morte trasmuta la carne vile e caduca in promessa di resurrezione della carne. E poi… l’esperienza, l’accostamento alla morte è individuale, personale. De’ Liguori non ha affatto detto tutto e definitivamente sull’argomento: ha offerto, e senza fughe e rimozione dalla realtà (al contrario di quel che lei immagina), la sua chiave di lettura, una possibile prospettiva. Provi pure a leggere il Messori di Scommessa sulla Morte, si butti, superi le sue barriere, inibizioni, paure, terrori, rimozioni… e sperimenti la vita, della quale la morte è una tappa. Non se ne stia lì impalato a cagarsi sotto con un solo libro in mano, il più sterilizzato e arcaico possibile per non dover fare i conti con una realtà di tutti i giorni». Gesù in croce era tutto nudo. Ma non si dice L’idea della morte non è sempre la stessa e ovunque, mai è stata la stessa: altrimenti non capiremmo in che modo certi soldati, e i loro familiari, in altre epoche come massima aspirazione avevano di non solo vincere le guerre, ma perire per vincerle: quello che oggi ci farebbe sospirare di sollievo, ossia veder tornare vivo un nostro caro andato soldato, vivo perché imboscato, e della guerra come è andata poco ci importa, allora sarebbe stato inaccettabile: una moglie avrebbe preferito un marito morto a un marito codardo, e così gli altri. La morte o la vita non avevano lo stesso valore del coraggio, della gloria in battaglia. Persino un arto perduto in guerra era un trofeo da esibire, oggi è una mezza vergogna, una cosa antiestetica che si cerca di mascherare. Questa visione un po’ cavalleresca della morte, è via via venuta meno nei secoli. I mistici del Cinque/Seicento, santi inclusi, perché no… avevano By Marco Secchi della morte un’idea diversa, non tanto romantica quanto surreale. Prendiamo per esempio la Morte delle morti, quella di Cristo, ridotta per secoli a una rappresentazione iconografica quantomeno irrealistica, per non dire surreale nel suo apparente e tutto artificiale iperrealismo. Quante pale d’altare abbiamo visto con la scena della crocifissione? Una più bella dell’altra, una più scontata dell’altra. Dipende. Brutte magari no. Però erano, appunto, rappresentazioni, idealizzazioni della nuda materialità dei vangeli come della storia. Tuttavia la crocifissione era anzitutto una pena talmente crudele che non poteva essere inflitta ai cittadini romani, ed in nessun caso alle donne. Neppure se un cittadino romano avesse attentato alla vita dell’imperatore stesso, poteva essere condannato a morte per crocifissione. Sappiamo bene in che diverso modo furono martirizzati Pietro, cittadino giudeo, condannato alla crocifissione; e Paolo, cittadino romano, condannato a morte per decapitazione. Due pene e due misure. I crocifissi avevano tutta una serie di ovvie e di naturali reazioni fisiche, che il pudore e la decenza hanno sempre impedito venissero narrati o addirittura rappresentati iconograficamente, senza scadere nel sacrilegio. Anzitutto venivano crocifissi nudi, non con gli straccetti intorno alla vita come siamo abituati a vedere Gesù. La particolare posizione del corpo causava anzitutto l’erezione del membro virile, in seguito la perdita delle orine e il rilascio delle feci intestinali. Solitamente morivano per arresto cardiaco a seguito dell’asfissia o del soffocamento causato dalla posizione delle braccia e dalla distribuzione innaturale del peso corporeo sulle assi della croce: a un certo punto i polmoni non ce la facevano più a reggere lo sforzo sempre crescente di inspirare ed espirare, e cedevano. Insomma, non era affatto un bello spettacolo, ma così era. E se ogni tanto qualcuno lo ricordasse, la cosa non farebbe affatto male, considerando appunto che il Cristo è stato il primo, a essere trasfigurato in un santino mieloso, tutto lindo e sinuoso quando non stucchevole persino sulla croce, come specialmente l’iconografia tridentina volle imporre. La realtà non fu quella: la croce fu uno scandalo in tutto, e dunque anche nel vedere il figlio di Dio ridotto in quelle condizioni oscene, da comuni mortali, tutto nudo per giunta. Il pupazzone del “Gesù di Nazareth” di Zeffirelli Nulla a che vedere neppure con quel Gesù di Nazareth ora apatico ora nevrastenico di Zeffirelli: privo di ironia e forse di emozioni umane, antipatico e melodrammatico, quel pupazzone bardato di veli come soltanto l’immaginario pederastico demodè di quel regista poteva sfornare, è un Cristo da dozzinale rappresentazione teatrale, da teatrino ambulante. È più una autobiografia intima del regista che non una storia di Cristo, una proiezione freudiana del suo io turbato. MagnificheÂ… idealizzazioni. Molte anime non sono state affatto “dolcemente strappate al mondo”, cosa questa che ricorda le frociaggini appunto di Franco Zeffirelli che essendo abituato a omosessualizzare tutto ciò che tocca, negli anni Settanta mutò quel maschio virgulto di Francesco di Assisi in una fanciullina languida, come dimostra quell’ingiuria che è stato il film “Fratello Sole Sorella Luna”. Una scheccata. Diverso invece il Francesco della Liliana Cavani, comunista e atea pare – anche se la incontrai come relatrice a un congresso del PPI a Napoli, mi pare – che alcuni cattolici ortodossi ritengono abbia girato il più bel film su Francesco d’Assisi. Poi c’è un discorso teologico che sfugge alla persona così politicamente corretta e così impressionabile con cui abbiamo iniziato queste articolo: la morte è del tutto innaturale. È un accidente che subentra in seguito, per causa e per volontà dell’uomo. Noi siamo stati creati incorruttibili e immortali. Ecco perché abbiamo talvolta difficoltà (ed è comprensibile) ad accettare la morte, perché nella nostra memoria antropologica più antica vive sempre il ricordo di quando eravamo immortali, di quando non conoscevano malattia, vecchiaia, decadenza. Sicché l’Antico Testamento di noi aveva detto “voi siete Dei”. Dice il nostro caro lettore impressionabile: «Non abbiamo certo bisogno che un sito cattolico svolga il triste ufficio di ricordarcelo, basta e avanza, oltre alla esperienza personale di ogni giorno, la parola di Dio». E allora la Parola di Dio va corretta e censurata, laddove si narra e si spiega in che misura, il Verbo Incarnato nell’uomo Gesù, ebbe paura della morte, pianse, sudò sangue e… domandò, se possibile, di allontanare da lui l’amaro calice. Non gioì, non provocò né sfidò la morte, non si mise a cantare, come un mistico bizzarro e surreale (e va da sé, un po’ spostato): “Prendi bambino, prendi il chiodino, paraponziponzipò. Andiamo a piantar sulla croce il figlio divino, trallallà trallallà… e chi ha dato ha dato ha dato e chi ha avuto avuto avuto, chi tondo è nato non morirà quadrato… ambabàcicìcocò” Solo un focolarino potrebbe immaginare, e far finta di crederci, una cosa simile.