Gestione dei rischi d`impresa: responsabilità e
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Gestione dei rischi d`impresa: responsabilità e
Ottobre 2011 – Aprile 2012 6° GIORNATA Gestione dei rischi d’impresa: responsabilità e tutele degli organi societari La consulenza per lo sviluppo e la tutela dell’attività d’impresa RESPONSABILE MASTER BREVE REDAZIONE E GRAFICA Sonia Zanconato Erica Cestaro Lara Sousa Oliveira Chiara Alberini Milena Martini in collaborazioni con A-Comunicazione COORDINAMENTO DIDATTICO E ORGANIZZATIVO SERVIZIO CLIENTI Claudia Pasetto Lara Margotto Cecilia Lonardi Barbara Adami Stefano Varalta LOGISTICA CONGRESSUALE ASSISTENZA E WEB MASTER Delia Rosso Silvia Mondinelli Sergio Lovato Matteo Bonora Laura Roma IN CASO DI MANCATA PARTECIPAZIONE ALLA GIORNATA IN AULA Il Master Breve viene proposto con la stessa formula in tutte le sedi; ciò consente di recuperare eventuali incontri perduti (previa comunicazione scritta o tramite apposito modulo presente sul sito alla voce “recupero giornate”). Nel caso di impossibilità di recupero presso altra sede, è invece possibile visionare, su specifica richiesta e con l’assegnazione di login e password personali, la versione video delle lezioni svolte in aula corredate da slides e materiale didattico. In caso di assenza alla giornata del Master ciascun partecipante può scaricare il materiale didattico, non ritirato in versione cartacea, accedendo all’area riservata Professional Library. Per ricevere in ogni caso la copia cartacea è possibile farne richiesta con il modulo presente sul sito alla voce “Richiesta materiale” e ritirarlo presso il desk di segreteria in occasione dell’incontro successivo. Materiale didattico non vendibile e riservato ai soli partecipanti al Master Breve 2011-2012: LA CONSULENZA PER LO SVILUPPO E LA TUTELA DELL’ATTIVITÀ D’IMPRESA Dispensa chiusa per la stampa il 27/02/2012 GRUPPO EUROCONFERENCE S.P.A. Via E. Fermi, 11/a - 37135 Verona Tel. 045/8201828 - Fax 045/583111 e-mail: [email protected] sito internet: www.euroconference.it Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione anche parziale e con qualsiasi strumento. Stampa a cura di Colorimetria Snc 2 INDICE PRESENTAZIONE: pag. 5 Comportamenti e responsabilità degli organi societari e tutele a disposizione dei soci AMMINISTRATORI E RESPONSABILITÀ PENALE NELLE SOCIETÀ IN CRISI a cura di Claudio Ceradini pag. 7 GLI OBBLIGHI E LE RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI DELLE IMPRESE IN CRISI. LE FATTISPECIE DI BANCAROTTA FRAUDOLENTA a cura di Marco Mirabile pag. 12 OMESSI VERSAMENTI DI IMPOSTE, RITENUTE E CONTRIBUTI a cura di Massimo Conigliaro pag. 18 I CRITERI DI QUANTIFICAZIONE DEL DANNO IN CASO DI ESERCIZIO DELL’AZIONE DI RESPONSABILITÀ CONTRO GLI AMMINISTRATORI DA PARTE DEGLI ORGANI FALLIMENTARI a cura di Simone Borella pag. 22 LA CONTINUITÀ AZIENDALE NELL’ATTUALE CONTESTO ECONOMICO-FINANZIARIO. RIFLESSI SUL BILANCIO E SUL LAVORO DI REVISIONE LEGALE DEI CONTI a cura di Andrea Soprani pag. 26 PROCEDURE DI REVISIONE E RELAZIONE DI REVISIONE CON PROBLEMATICHE CONNESSE ALLA CONTINUITA’ AZIENDALE a cura del Comitato Scientifico Centro Studi Tributari Euroconference pag. 35 UN CASO DI CRISI D’IMPRESA: AZIONI E REAZIONI DEL COLLEGIO SINDACALE a cura di Alessandro Corsini pag. 41 L’ATTIVITÀ DEL COLLEGIO SINDACALE NELLA CRISI D’IMPRESA ALLA LUCE DELLA NORMA DI COMPORTAMENTO N. 11 EMANATA DAL CNDCEC a cura di di Marcello Pollio pag. 46 LA RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI E DEI SINDACI NELLA GESTIONE DELLA CRISI a cura di Maria Augusta Dramisino pag. 62 LA CONVOCAZIONE DELL’ASSEMBLEA SU RICHIESTA DELLA MINORANZA DEI SOCI: CONTENUTO DEL DIRITTO E APPLICABILITÀ ALLA SRL a cura di Flavia Silla e Giulia Verrecchia pag. 70 LE AZIONI DI DISTURBO DELLA MINORANZA a cura del Comitato Scientifico Centro Studi Tributari Euroconference pag. 77 RECESSO DEL SOCIO ED EFFETTI SULLE RISERVE DELLA SOCIETÀ a cura del Comitato Scientifico Centro Studi Tributari Euroconference pag. 85 IL RECESSO TIPICO DEL SOCIO DA SRL: PROFILI FISCALI E PROBLEMATICHE NELLA SUA CORRETTA RAPPRESENTAZIONE CONTABILE a cura di Dario Stevanato e Mattia Varesano pag. 87 REDDITO D’IMPRESA DEDUCIBILITA’ DELLA DIFFERENZA DA RECESSO DEL SOCIO DI SRL a cura di Massimo Conigliaro pag. 94 3 TRATTAMENTO FISCALE DEL RECESSO PER I SOCI DI SOCIETÀ DI PERSONE ALLA LUCE DELLE NOVITÀ INTRODOTTE DAL CORRETTIVO IRES (DLGS 247/2005) pag. 99 a cura Gian Paolo Ranocchi LA VALUTAZIONE DELLA PARTECIPAZIONE DEL SOCIO RECEDENTE NELLA SRL pag. 104 a cura di Antonio Ruotolo LA VALUTAZIONE DELLA QUOTA DEL SOCIO DI SOCIETÀ DI PERSONE IN CASO DI RECESSO pag. 110 a cura di Enrico Fossa SUPPORTI OPERATIVI IN AULA GESTIONE DEI RISCHI D’IMPRESA: INDICAZIONI OPERATIVE RAPPRESENTAZIONE SCHEMATICA pag. 115 a cura di Claudio Ceradini GESTIONE DEI RISCHI D’IMPRESA: RESPONSABILITÀ DEGLI ORGANI SOCIETARI LA BANCAROTTA FRAUDOLENTA - RAPPRESENTAZIONE SCHEMATICA pag. 117 a cura di Claudio Ceradini GESTIONE DEI RISCHI D’IMPRESA: RESPONSABILITÀ DEGLI ORGANI SOCIETARI REATI SOCIETARI E OMISSIONE DI VERSAMENTI RAPPRESENTAZIONE SCHEMATICA pag. 120 a cura di Claudio Ceradini RUOLO E ATTIVITA’ DEL COLLEGIO SINDACALE NELLA CRISI D’IMPRESA ALLA LUCE DELLA NORMA N.11 - RAPPRESENTAZIONE SCHEMATICA a cura di Marcello Pollio e Pietro Paolo Papaleo pag. 125 CONTINUITÀ AZIENDALE E AZIONI DEL COLLEGIO SINDACALE RAPPRESENTAZIONE SCHEMATICA a cura di Alessandro Corsini e Andrea Soprani pag. 146 AZIONI E REAZIONI DEL COLLEGIO SINDACALE RAPPRESENTAZIONE SCHEMATICA pag. 152 a cura di Alessandro Corsini CONTROLLO DEL SOCIO E DISCIPLINA DEL DIRITTO RAPPRESENTAZIONE SCHEMATICA a cura di Alessandro Corsini e Fabio Landuzzi pag. 156 RESPOSNSABILITÀ E FUNZIONI DEGLI ORGANI AMMINISTRATORI NELLE S.P.A. E NELLE S.R.L. – RAPPRESENTAZIONE SCHEMATICA pag. 164 a cura di Andrea e Flavia Silla IL RECESSO DEL SOCIO - RAPPRESENTAZIONE SCHEMATICA a cura di Alessandro Corsini e Paolo Meneghetti pag. 221 FAC SIMILI E CARTE DI LAVORO • • • • • • 4 Formula utilizzabile per la comunicazione di recesso del socio ex art. 2473 c.c. Verbale cda presa d’atto recesso socio (1) Verbale c.d.a. determinazione valore recesso (2) Fac simile testo lettera raccomandata con avviso di ricevimento da sottoscrivere e inviare al socio receduto, per l’offerta delle somme corrispondenti alla liquidazione della quota a seguito di recesso Fac simile testo di seconda lettera raccomandata con avviso di ricevimento da sottoscrivere e inviare al socio receduto, nel caso di mancato incasso importo liquidazione quote Formula per comunicare l’avviso di offerta in opzione delle azioni del socio recedente da depositarsi presso il registro delle imprese ex art. 2437 quater c.c. pag. 230 pag. 231 pag. 233 pag. 236 pag. 238 pag. 240 Presentazione L’approfondimento monotematico della VI giornata è dedicato alle novità in tema di controllo societario, al fine di poter individuare quali siano operativamente i comportamenti da adottare nelle situazioni più critiche, in cui società che vivono condizioni di crisi richiedono particolare attenzione. Si è ritenuto di affrontare l’argomento sotto un duplice angolo di visuale. Da un lato quello del consulente che, che deve possedere gli elementi conoscitivi necessari per orientare le scelte dell’imprenditore affinché in momento così difficile non maturino responsabilità civili e penali, e dall’altro quello dell’organo di controllo, le cui funzioni di tutela dei terzi attraverso la garanzia dell’integrità del patrimonio divengono particolarmente importanti e in ugual misura delicate in questa fase. Sotto il primo dei due profili l’approfondimento riguarda i più frequenti comportamenti che l’imprenditore assume, o può assumere, tentando a suo modo di affrontare la crisi aziendale mediante l’adozione di azioni o scelte a suo modo di vedere efficaci. Troppo spesso la strategia di risanamento non viene sufficientemente concertata con il consulente, e comportamenti assunti anche in buona fede possono generare responsabilità anche gravi. Il tentativo è stato quindi quello di fornire un quadro sintetico delle fattispecie più frequenti, tentando nel contempo di catalogare, pur nella consapevolezza che ogni circostanza deve essere valutata nel concreto, la gravità e la pericolosità delle azioni più frequenti, in relazione al momento in cui vengono poste in essere, più o meno prossime all’attivazione di una procedura concorsuale. Allo stesso modo verrà approfondito il ruolo del Collegio Sindacale, nelle medesime condizioni, evidenziando sia quali siano i controlli normalmente idonei ad individuare più o meno vistose crepe nella continuità aziendale, all’approssimarsi delle condizioni di insolvenza e di dissesto. Il Collegio ha a disposizione, pur nell’incertezza delle novità normative, un panorama di azioni che si rendono non solo disponibili ma obbligatorie ove l’organo amministrativo dilazioni senza valide ragioni l’adozione delle misure di risanamento, se disponibili, o conseguentemente di arresto delle perdite e dell’attività a tutela del ceto creditorio. L’esame prosegue con alcuni richiami in tema di responsabilità, per ricordare le modalità con cui la responsabilità di amministratori, e troppo spesso di sindaci, può essere attivata. Un duplice aspetto è suscettibile di analisi. Da un lato i presupposti di legge, e le relative difficoltà, necessari per promuovere azione di responsabilità, nelle diverse forme che la disciplina prevede per società per azioni ed a responsabilità limitata, e dall’altro una rassegna delle casistiche più frequentate, e dei pronunciamenti giurisprudenziali, che rafforzano i confini all’interno dei quali è necessario muoversi per svolgere correttamente il proprio compito, di gestione o di controllo, evitando per questo l’insorgere di responsabilità. Analogo interesse presentano i diritti delle minoranze, che in società a ristretta base azionaria subiscono talvolta il comportamento della maggioranza, apprendendo della gravità del q uadro generale di crisi quando ormai le condizioni di decozione rendono improrogabile l’informativa istituzionale. E’ opportuno che le opzioni disponibili per la minoranza finalizzate all’acquisizione di informazioni siano approfondite, affinchè il commercialista possa sia consigliare il cliente, sia anche distinguere legittime richieste conoscitive da pretestuosi comportamenti, che tutt’altri fini hanno. Anche in questo senso la disamina delle più recenti pronunciamenti giurisprudenziali è utile a delineare un quadro prima tecnico, e poi anche pratico ed operativo. Infine, si è ritenuto di concedere sufficiente spazio ad una fattispecie che in talune circostanze, non infrequenti, si realizza, e cioè il recesso. La difficile convivenza di soci con diverse carature ed altrettanto diversi programmi od aspirazioni conduce non di rado, non appena le circostanze di legge o convenzionali maturano, il socio a ricorrere allo strumento del recesso. Una tale impostazione è talvolta addirittura consigliabile, ove il commercialista intuisca che l’acuirsi delle divergenze, in un momento di mercato normalmente non facile, è suscettibile di distogliere eccessivamente l’attenzione dalle scelte di gestione, con conseguenti effetti negativi sotto il profilo sia reddituale che di conseguenza finanziario. Si è ritenuto quindi di ripercorrere gli aspetti più problematici dell’istituto (l’attivazione, la revocabilità, la condizione giuridica del richiedente nelle varie fasi del processo, 5 l’approccio contabile e le conseguenze fiscali), nella convinzione che solo l’acquisizione del quadro complessivo possa consentire al consulente di orientare correttamente le scelte del proprio cliente, sia esso la società od il socio. Chiude la parte di approfondimento un richiamo alla disciplina dell’ACE, con particolare riferimento agli effetti contabili, nel momento in cui si avvicina l’obbligo annuale di predisposizione del progetto di bilancio. Struttura della giornata Gli obblighi e le responsabilità degli amministratori delle imprese in crisi Gli obblighi e le responsabilità dei sindaci delle imprese in crisi COMPORTAMENTI E RESPONSABILITÀ DEGLI ORGANI SOCIETARI E TUTELE A DISPOSIZIONE DEI SOCI Le responsabilità degli organi sociali e il risarcimento del danno Le azioni a tutela dei soci di minoranza Il recesso del socio Alessandro Corsini, Claudio Ceradini Coordinatori della sesta giornata di approfondimento Comitato Scientifico Euroconference Video di presentazione a cura di Claudio Ceradini disponibile sulla Professional Library nella versione pdf PROFESSIONAL LIBRARY WWW Sul sito, è possibile accedere ad un’area riservata ai soli partecipanti al Master Breve PROFESSIONAL LIBRARY – che consente di attingere a materiale implementativo, formulari, normativa di riferimento ecc… attinenti i temi affrontati: • Sovraindebitamento, la procedura di composizione della crisi per il debitore non soggetto a • • • • • procedure concorsuali: la legge 27 gennaio 2012, n. 3 Norme di comportamento del Collegio sindacale da 9 a 11 Recesso del socio nelle società di capitali (slide) Recesso del socio di società di persone (slide) Responsabilità del socio nella s.r.l. (slide) Fac simili e carte di lavoro Per visionare e scaricare il materiale sopra citato: collegarsi al sito www.euroconference.it ed accedere all’area Master Breve/materiale didattico. Digitando la propria password si accede direttamente all’area riservata ai partecipanti al Master Breve, seguire poi le istruzioni che appaiono a video. In caso di necessità contattare il nostro servizio clienti al n. 045 820 18 28. 6 Comportamenti e responsabilità degli organi societari e tutele a disposizione dei soci AMMINISTRATORI E RESPONSABILITÀ PENALE NELLE SOCIETÀ IN CRISI * a cura di Claudio Ceradini Premessa La questione più complessa che a nostro avviso si pone dovendo analizzare le condizioni e le circostanze suscettibili di generare in capo all’organo amministrativo responsabilità di carattere penale, e costituita dalla necessità di qualificare due ambiti, caratterizzati da diverso genere di insidie, e pertanto da distinguere accuratamente. La chiave di lettura della differenza è la ragione ultima del comportamento, che talvolta muove da motivazioni di per sé non fraudolente, e tuttavia ugualmente pericolose. In tali casi è più frequente che l’imprenditore onesto commetta senza averne piena coscienza reati anche gravi, ed in questi stessi casi quindi maggiormente diviene importante il ruolo del professionista che lo affianca, e che deve poter e saper distinguere cosa può e cosa non può essere fatto. E’ questione delicata, in cui imprenditore e professionista che lo affianca vivono momenti di grande pressione sia psicologica che fattuale, ed è estremamente opportuno che il secondo disponga perlomeno degli elementi di riferimento per distinguere azioni e decisioni che pur rischiose in termini di probabilità di successo e onerose dal punto di vista del sacrificio imposto all’imprenditore, possano costituire e, forse più importante, essere interpretati come sani ed ineccepibili tentativi di risanamento, separandole con la maggiore nettezza possibile dai tentativi più o meno sofisticati di danneggiare i creditori a proprio vantaggio, di fatto limitando la garanzia patrimoniale agli stessi concessa dalla legge. I limiti spesso non sono perfettamente definiti, e le disposizioni normative talvolta variamente collocate in numerose fonti, e per questo ci è parso utile il tentativo di sistematizzare l’argomento, pur nella consapevolezza di fornire indicazioni generali che necessitano di approfondimento e interpretazione legale nell’applicazione al caso concreto. E’ una delle circostanze, sempre più frequenti ormai, in cui l’assistenza al cliente dovrebbe presupporre professionalità tipiche sia del commercialista che nel contempo del legale. 2. Reati societari Inquadrando l’argomento da un punto di vista assolutamente generale, e rinviando ad altro contributo della dispensa per una più dettagliata illustrazione del reato fallimentare di bancarotta fraudolenta, possiamo distinguere le fattispecie a rilievo penale tra gli atti societari commissivi ed omissivi, che si distinguono sostanzialmente in relazione all’atteggiamento cui la norma assegna un rilievo penale, di iniziativa nel primo caso e di inerzia nel secondo, ed i comportamenti omissivi nell’ambito degli adempimenti tributari e previdenziali. Non che le due aree citate (societario e tributario/previdenziale) esauriscano l’ambito in cui l’imprenditore può incorrere in responsabilità penali, (si pensi solo all’antiriciclaggio, alle norme a tutela della sicurezza e della privacy, etc.) e tuttavia ove l’azienda versi in condizioni di crisi, queste fattispecie più di altre si realizzano, e su queste quindi è opportuno un tentativo di chiarimento. Tra i reati societari commissivi individuiamo, tra gli altri: • reato di false comunicazioni sociali (2621 C.C.) • reato di false comunicazioni sociali in danno (2622 C.C.) * Pezzo aggiornato al 27/02/2012 (Sesta giornata del Master Breve 2011/2012 – Area approfondimento) 7 CONTRIBUTI DI APPROFONDIMENTO 1. • reato di impedito controllo (2625 C.C.) • reati costituiti da manovre fraudolente sul patrimonio della società (2626-2629 C.C.) Il delitto di false comunicazioni sociale di cui all’art. 2621 del C.C., consiste nella esposizione intenzionale, nelle relazioni, nei bilanci od in altre comunicazioni, di fatti non rispondenti al vero sulla costituzione o sulle condizioni economiche della società, nascondendo in tutto od in parte fatti concernenti le condizioni medesime, il tutto al fine di trarre in inganno i terzi. La consistenza penale del comportamento richiede il dolo, e non semplicemente l’imprecisione. In altri termini l’amministratore che, nella predisposizione del bilancio di esercizio o degli altri documenti che costituiscono “comunicazione sociale”, effettui comunicazioni semplicemente imprecise o non sufficientemente circostanziate non commetterà alcun reato. Ove invece tali comunicazioni sociali fossero finalizzate da un lato ad indurre in errore gli organi sociali od i terzi, favorendo comportamenti e decisioni che essi non avrebbero assunto in assenza di quegli elementi e dall’altro a procurare all’amministratore o alla società un profitto ingiusto, allora si configurerebbe il reato. Si richiede quindi la coesistenza di due elementi, il dolo (specifico) ed il profitto ingiusto, mentre non è richiesto l’evento dannoso per la società od i terzi, consumandosi il reato già nel momento dell’esternazione dolosa e finalizzata delle comunicazioni. La concreta maturazione del danno aggrava invece la fattispecie, comportando la reclusione da sei mesi a tre anni in luogo dell’arresto fino a due anni. In modo in parte diverso, impedire mediante l’occultazione di documenti od altri artifizi lo svolgimento dei controlli da parte degli organismi allo scopo deputati (Collegio Sindacale e revisore legale, tipicamente) costituisce comportamento penalmente rilevante. E’ necessario il comportamento finalizzato e consapevole dell’amministratore in questo senso, non semplicemente il disordine, sebbene non si richieda la specifica intenzione di ostacolare. In altri termini si richiede che il comportamento possa consapevolmente impedire agli organi di controllo di svolgere le proprie funzioni, perché il reato si perfezioni. Ove ad esempio un amministratore conservi nel proprio cassetto corrispondenza od accordi che ritenga particolarmente riservati, evitando che ne prendano coscienza i terzi (ad esempio il reparto amministrativo o finanziario), commette un reato perché di fatto impedisce anche agli organi di controllo di prenderne visione, anche se il fine non era specificatamente quello. Tra i reati societari omissivi individuiamo invece l’omessa comunicazione di conflitto di interessi (2629bis C.C.), l’omessa esecuzione di denunce, comunicazioni o depositi (art. 2630 C.C.) e l’omessa convocazione dell’assemblea (art. 2631 C.C.). Si tratta complessivamente di un orientamento normativo punitivo nei confronti di atteggiamenti omissivi da parte degli amministratori che il legislatore reputa particolarmente gravi per la tutela dell’interesse della società o dei terzi. 3. Omissione di versamenti La seconda area critica attiene le omissioni, tipicamente di versamenti di imposte od oneri previdenziali. E’ un ambito particolarmente insidioso, perché come avremo modo di accennare di seguito, presenta aspetti di non facile gestione e comprende fattispecie anche in buona fede, e quindi senza dolo, possono generare responsabilità di natura penale. Spesso imprenditore che si affacci alla condizione di insolvenza, opta semplicemente per ritardare il pagamento nei confronti dei soggetti per i quali si possa immaginare una reazione temporalmente più rallentata e non così strategica. Non ottemperare al pagamento di una o più ricevute bancarie di un fornitore può significare bloccare le forniture, con conseguenze intuibili su produzione e attività di vendita, così come non rimborsare un finanziamento export alla scadenza può significare immediata od in ogni caso veloce riduzione dell’affidamento, se non revoca, decisione alla quale con certa probabilità si 8 Amministratori e responsabilità penale nelle società in crisi allineano nel breve termine anche gli altri istituti di credito. Il mancato versamento di imposte (ritenute ed IVA tipicamente) non comporta invece apparentemente effetti nefasti immediati, anche se nel tempo, se non eseguito con ritardi estremamente contenuti, è evidentemente suscettibile di generare costi non trascurabili. L’imprenditore rileva con certa facilità l’omissione, ne conosce approssimativamente l’onere, e tuttavia è spesso carente di sufficienti informazioni relativamente alla responsabilità penale che può assumersi. Il quadro è poi destinato a complicarsi quando si delinea con maggiore chiarezza la possibilità che la società non sia in condizione di pagare tutti i creditori integralmente, divenendo in quel momento necessario procedere nel rispetto della par condicio creditorum, per non incorrere nelle responsabilità previste dall’art. 216 L.F., terzo comma (bancarotta preferenziale). Procedendo per ordine, la responsabilità per omesso versamento di imposte è disciplinata dagli artt. da 10bis a 10quater del D.Lgs 74/2000. Si tratta in sostanza di: a) art. 10bis, mancato versamento di ritenute certificate, che si concreta nell’omissione entro il termine di presentazione della dichiarazione annuale del sostituto di imposta ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un importo superiore ad € 50.000 per ogni periodo di imposta, b) art. 10ter, mancato versamento di Imposta sul Valore Aggiunto, che si concreta nell’omissione entro il termine di versamento dell’acconto per il periodo di imposta successivo, di versamenti per un importo superiore ad € 50.000 per ogni periodo d’imposta, c) art. 10quater, compensazione ai sensi dell’art. 17 D.Lgs 241/1997 di versamenti di ritenute certificate e/o di Imposta sul Valore Aggiunto, nei limiti di cui alle precedenti lettere, mediante utilizzo di crediti non spettanti. I reati di cui sopra maturano se entro i termini ivi previsti, piuttosto lunghi soprattutto per quanto attiene l’art. 10ter, gli importi non versati non vengono ricondotti al di sotto delle soglie previste dalla norma. Se questo non accade, il rappresentante legale al momento della maturazione del reato, e quindi alla scadenza del termine per il versamento previsto dai succitati articoli, matura la responsabilità prevista dalla legge, sostanzialmente in via definitiva, nel senso che anche successivi versamenti che riducano o ipoteticamente azzerino il debito non potrebbero che consentire l’accesso alle circostanze attenuanti di cui all’art. 13 della stessa legge, e quindi alla riduzione fino alla metà delle pene previste. Il quadro delle fattispecie si completa poi con quanto previsto dall’art. 11 D.Lgs 74/2000, che punisce con la reclusione da sei mesi a quattro anni chi sottragga fraudolentemente, anche con atti simulati, beni in modo e misura tali da rendere totalmente o parzialmente inefficaci le procedure di riscossione coattiva dell’Amministrazione Finanziaria, per importi non versati superiori ad € 50.000La pena aumenta ad un periodo di reclusione da uno a sei anni per importi non versati superiori ad € 200.000. Si tratta di comportamenti, fatta eccezione per quanto previsto dall’art. 11 citato, piuttosto frequenti, alimentati dalla speranza di riuscire a risanare la società provvedendo ai versamenti entro i termini previsti dalla legge, scongiurando quindi la responsabilità. 4. Relazione con i reati fallimentari I comportamenti di cui sopra, al di là delle valutazioni probabilistiche di riuscire nell’intento di recuperare entro i termini di legge la liquidità necessaria per ricondurre il debito all’interno del limite di soglia, richiede un minimo di approfondimento e di collocazione nel probabile contesto in cui interviene. 9 Un primo aspetto riguarda i mancati versamenti di ritenute non fiscali, ma previdenziali ed assistenziali. La questione è disciplinata dal D.L. 463/1983, il cui art. 2 prevede reclusione fino a tre anni ed una multa fino a due milioni (di lire, leggi circa € 1.033) per l’omissione del versamento di ritenute (appunto previdenziali ed assistenziali), che non sia stato sanato entro tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’accertamento della violazione. La norma riferisce all’omissione di versamento delle sole ritenute, non intervenendo invece con riferimento agli oneri previdenziali ed assistenziali direttamente a carico della società (datore di lavoro). E’ sufficientemente importante distinguere le fattispecie, affinchè il professionista possa correttamente qualificare le conseguenze dell’inadempimento rispetto al quadro in cui maturano, informando correttamente l’imprenditore delle conseguenze delle sue azioni. Va ricordato, tra l’altro, che a nulla rileva lo stato di crisi, e la materiale indisponibilità di liquidità in misura sufficiente. E’ piuttosto recente la sentenza n. 20845/2011, con cui la Corte di Cassazione ha evidenziato come le cause di dissesto dell’impresa per nulla influiscano sulla rilevanza penale dell’inadempimento. Testualmente la sentenza chiarisce che “lo stato di dissesto dell’imprenditore, il quale prosegua ciononostante nell’attività di impresa senza adempiere all’obbligo previdenziale e neppure a quello retributivo, non elimina il carattere di illiceità penale dell’omesso versamento di contributi. Infatti i contributi non costituiscono parte integrante del salario ma un tributo, in quanto tale da pagare comunque ed in ogni caso, indipendentemente dalle vicende finanziarie dell’azienda”. Tale orientamento non è tra l’altro nuovo, essendo già stato fatto proprio dalla Corte di Cassazione con precedente Sentenza della Sez. Pen. 3 n. 11962/1999. E’ quindi orientamento consolidato quello per cui la responsabilità penale per l’omesso versamento delle ritenute assistenziali e previdenziali costituisce sempre reato, indipendentemente dalle più o meno gravi condizioni di crisi. L’imprenditore che, come spesso accade, non provvede al versamento delle ritenute previdenziali, fiscali od IVA per destinare la liquidità a fornitori che ritiene (e probabilmente in quel momento sono) più importanti, crea i presupposti per due reati: a) il primo, di cui ai citati artt. 2 D.Lgs. 463/1983, 10bis e 10ter D.Lgs 74/2000, b) il secondo, per aver violato l’ordine dei privilegi, ai sensi dell’art. 216 L.F. (bancarotta preferenziale). Le circostanze possono poi mutare e non consentire il concreto innesco delle responsabilità, ove il pagamento delle ritenuta possa intervenire nei termini sopra evidenziati ed il risanamento abbia successo, impedendo che la sentenza di fallimento sia pronunciata. Ove questo non accada, l’impostazione difensiva dell’amministratore non sarà agevole. Il secondo aspetto attiene le priorità dei versamenti. E’ noto che quando si manifesti con una certa chiarezza l’impossibilità per la società di provvedere regolarmente al pagamento integrale di tutti i debiti, si attiva l’obbligo di rispettare rigorosamente l’ordine legale o convenzionale delle prelazioni. Si tratta quindi di procedere ad eventuali pagamenti nel rigoroso rispetto dell’ordine dei privilegi di cui godono i singoli creditori, e che trova disciplina tutt’altro che semplice nell’articolazione civilistica delle prelazioni. La questione che vogliamo qui accennare non riguarda tuttavia questi aspetti, quanto invece le scelte che si impongono quando la crisi si manifesta e la liquidità non basta per ottemperare a tutti gli obblighi della società. Alla luce anche di quanto sopra riferito, all’imprenditore si presenta un quadro di regole per certi aspetti irrisolvibile. Assumendo insufficiente la disponibilità finanziaria per eseguite tutti i pagamenti in scadenza, l’imprenditore deve operare delle scelte, che non comportino l’insorgere di responsabilità penali e che quindi contemporaneamente: a) consentano di rispettare con rigore l’ordine dei privilegi, evitando la bancarotta preferenziale, 10 Amministratori e responsabilità penale nelle società in crisi b) consentano nel contempo di evitare le responsabilità penali previste dalle norme spoeciali, sia in tema di omessi versamenti di imposte (ritenute fisceli ed IVA), che di ritenute previdenziali ed assistenziali. Potrebbe apparire impossibile, tenuto conto che le ritenute fiscali e previdenziali non godono di un titolo di prelazione particolarmente qualificato (artt. 2753, 2759 e 2778 C.C.), e che devono quindi secondo legge essere prioritariamente soddisfatti, integralmente ad esempio i debiti verso dipendenti, professionisti, agenti, artigiani, etc. L’imprenditore potrebbe quindi trovarsi nelle condizioni di non avere liquidità sufficiente per saldare tutte le spettanze di coloro che godono di privilegio superiore, dovendo quindi obbligatoriamente o violare la par condicio, o omettere versamenti, adottando quindi un comportamento sempre passibile di responsabilità penale, per diverse ragioni. La questione è certamente complessa, e un’indicazione preziosa deriva dalla sentenza della Cassazione Penale n. 29616/2011, che in riferimento ad una circostanza di questo tipo ha superato l’impostazione difensiva per cui il mancato pagamento dei contributi da parte dell’imprenditore si era reso necessario per evitare la bancarotta preferenziale, ammettendo un simile comportamento solo nei mesi immediatamente prossimi l’attivazione della procedura. In sostanza quindi deve concludersi che a) va data preferenza al versamento di contributi e ritenute previdenziali, b) che la bancarotta preferenziale matura per le operazioni commesse in prossimità della procedura, periodo nel quale la priorità si inverte, a favore della par condicio credito rum. Nello stesso senso va poi ricordato come sia la Comm. Trib. Reg. ER con sentenza n. 20/2009, sia anche il tribunale di Reggio Emilia con la sentenza 813/2009 si siano espressi in modo tale da autorizzare le medesime conclusioni. La Comm. Reg. ha ritenuto legittimo il comportamento dell’imprenditore che abbia omesso il versamento di ritenute aventi tiolo precedente ma scadenza successiva l’attivazione della procedura, ammettendo pur con margini strettissimi che l’adempimento al dovere di non eseguire pagamento al di fuori del concorso rende non illegittimo il comportamento del debitore, il quale resta indenne, anche qualora il rapporto riguardi l’Amministrazione Finanziaria. Il Tribunale di Reggio Emilia ha espresso il principio secondo cui non risponde del reato di cui all’art. 10bis D.Lgs 74/2000 il legale rappresentante di una società fallita, quando il fallimento sia intervenuto antecedentemente alla scadenza del termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta, privando l’intervenuto fallimento della disponibilità dei beni sociali l’imprenditore. Questi due orientamenti rafforzano il quadro, secondo cui all’approssimarsi della procedura diviene essenziale rispettare la par condicio, che prevale sulla fattispecie penale sia del D.Lgs 74/2000 che del D.L. 463/1983. Nei mesi precedenti invece, o quando l’accesso alla procedura non sia inequivocabile, il versamento di imposte e contributi non comporta il rato di bancarotta preferenziale. 11 GLI OBBLIGHI E LE RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI DELLE IMPRESE IN CRISI. LE FATTISPECIE DI BANCAROTTA FRAUDOLENTA a cura di Marco Mirabile* Quando si parla di obblighi e responsabilità degli amministratori delle imprese in crisi, nell'ambito del diritto penale, la prima domanda da porsi è quale sia il limite alla piena e libera disponibilità da parte dell'imprenditore del proprio patrimonio, limite la cui violazione rende gli atti di disposizione sussumibili in fattispecie di reato. La risposta a questa domanda, in realtà, non può essere univoca, anche se una prima importante indicazione ci viene dalla giurisprudenza di legittimità relativa al reato di bancarotta fraudolenta, laddove individua nella garanzia patrimoniale dei creditori ex art. 2740 c.c.1 il bene giuridico tutelato dalla previsione normativa dell'art. 216 R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (c.d. Legge Fallimentare - d'ora in avanti L.F.). Per la Suprema Corte, infatti, la condotta dell'imprenditore assume rilevanza penale nel momento in cui appare idonea a recare pregiudizio all'interesse dei creditori, ledendo l'integrità del patrimonio del debitore insolvente (si veda da ultimo, ex multis, Cass. Pen. SS.UU. n. 21039/2011). Da una diversa angolatura, l’interesse dei creditori costituisce il riferimento adottato dalla Corte di Cassazione per valutare se una specifica condotta integri o meno il reato di bancarotta fraudolenta. Tale assunto ha come implicazione quella di circoscrivere l’oggetto della tutela penale alle condotte idonee ad arrecare un nocumento alle garanzie dei creditori, che assurgono a soggetti passivi del reato. A questo proposito, però, occorre subito specificare che anche comportamenti lesivi della garanzia patrimoniale dei creditori, nella prospettiva della Legge Fallimentare, acquistano rilievo giuridico penalmente rilevante, solo in caso di dichiarazione di fallimento (Cfr. ex multis Cass. Pen., sez. V. n. 1217/2011) Ed invero, nella struttura delle fattispecie del reato di bancarotta di cui agli artt. 216 e ss. L.F., il presupposto formale perchè possano essere prese in considerazione, ai fini della responsabilità penale, le condotte specificamente contemplate dalle suddette norme, consiste, per l'appunto, nell'esistenza di una sentenza dichiarativa di fallimento. Si è usato espressamente il termine di “presupposto formale”, pur essendo la sentenza dichiarativa di fallimento tecnicamente un elemento costitutivo del reato, o meglio una condizione di esistenza dello stesso, perchè, trattandosi di un provvedimento giurisdizionale, il giudice penale non ha alcun potere di sindacato, dovendosi limitare a verificare l'esistenza dell'atto e la sua validità formale. Le sentenze, infatti, a prescindere dalla loro definitività, hanno un valore erga omnes che può essere messo in discussione solo in via principale, con i rimedi previsti dall’ordinamento per gli errori giudiziari (e cioè con mezzi ordinari o straordinari di impugnazione previsti dalla disciplina processuale) (Così Cass. Pen. SS. UU. n. 19601/08). Ciò nondimeno, il giudice penale, in pendenza di un reclamo ex art. 18 L.F. contro la sentenza dichiarativa di fallimento, ha la facoltà di sospendere il dibattimento. Infatti, qualora venga revocato il fallimento, l’imputato dovrà andare assolto. In caso di sentenza (penale) già passata in giudicato, il condannato avrà, comunque, la possibilità di attivare la procedura di revisione ex art. 630 c.p.p.. In quanto, come detto, elemento costitutivo del reato di bancarotta e suo presupposto formale, la sentenza dichiarativa di fallimento ne segna anche il momento consumativo. In tal modo, un comportamento, ancorchè doloso o asseritamente fraudolento, la cui portata pregiudizievole venga annullata per attività di segno opposto prima di tale soglia cronologica, non integrerà il fatto costitutivo del delitto di bancarotta fraudolenta (Cass. Pen., sez. V, n. 3622/2007). * 1 Pezzo aggiornato al 27/02/2012 (Sesta giornata del Master Breve 2011/2012 – Area approfondimento) Art. 2740 c.c.: Il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri. Le limitazioni della responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge. 12 Gli obblighi e le responsabilità degli amministratori delle imprese in crisi. le fattispecie di bancarotta fraudolenta Alla sentenza dichiarativa di fallimento è equiparato il decreto di ammissione alla procedura di amministrazione controllata (ex multis Cass. Pen., sez. I, n. 4345/2006). Prima di passare ad una breve analisi delle principali fattispecie di bancarotta, occorre individuare quali sono i soggetti che possono commettere tali reati. Soggetto attivo del reato I reati di bancarotta sono reati “propri”, vale a dire reati che non possono essere commessi da chiunque, ma solo da soggetti che rivestono una determinata qualifica o funzione. Più precisamente, tali soggetti sono l’imprenditore commerciale (art. 216 L.F.) o il socio illimitatamente responsabile delle società in nome collettivo e in accomandita semplice (art. 221 L.F.), nella c.d. bancarotta propria, gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori delle società (art. 223 L.F.) o l’institore dell’imprenditore (art. 227 L.F.), nella c.d. bancarotta impropria. Oltre all’amministratore di diritto, risponde del reato di bancarotta anche l’amministratore di fatto, vale a dire colui che, pur non formalmente investito della carica, ne abbia di fatto esercitato le funzioni. Non è, peraltro, sufficiente qualche atto di gestione episodico od occasionale, essendo necessario “l’accertamento di elementi sintomatici di gestione o cogestione della società, risultanti dall’organico inserimento del soggetto, quale intraneus che svolge funzioni gerarchiche e direttive, in qualsiasi momento dell’iter di organizzazione, produzione e commercializzazione dei beni e servizi …omissis… in qualsiasi branca aziendale, produttiva, amministrativa, contrattuale, disciplinare” (Cass. Pen. sez. I, n. 18464/2006). Per i fatti commessi dall’amministratore di fatto, risulta, peraltro, penalmente responsabile, quantomeno a titolo di concorso, anche l’amministratore in carica, il quale ricopre, in ogni caso, una posizione di garanzia. Detta responsabilità, di tipo omissivo, è configurabile dal punto di vista oggettivo, ai sensi dell’art. 40, II comma c.p., per non aver impedito l’evento che aveva l’obbligo giuridico di impedire e, dal punto di vista soggettivo, se sia raggiunta la prova che egli aveva la generica consapevolezza che l’amministratore effettivo distraeva, occultava, dissimulava, distruggeva o dissipava i beni sociali, esponeva o riconosceva passività inesistenti (Cfr. Cass. Pen. sez. V, n. 853/2006) Analogamente, la suddetta posizione di garanzia deve attribuirsi anche all’amministratore privo di deleghe, il quale è comunque obbligato ad agire informato e pur sempre soggetto all’applicazione del principio di cui all’art. 2392, II comma, c.c., che sancisce una responsabilità solidale in capo agli amministratori che, a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose (in questo senso si veda Cass. pen., sez. V, n.23838/2007). Nei reati di bancarotta, peraltro, possono concorrere, ai sensi dell’art. 110 c.p., anche soggetti terzi rispetto a quelli espressamente indicati dagli artt. 216, 221, 223 e 227 L.F.. In tal caso, il terzo dovrà fornire un contributo causale, che, se pur possa manifestarsi attraverso forme differenziate e atipiche della condotta criminosa, deve , in ogni caso, essere in rapporto di causalità efficiente con le condotte poste in essere dagli agenti principali. Il concorso può essere sia materiale che morale e, soprattutto in tale ultimo caso, possono sorgere dei problemi di individuazione del contributo minimo necessario affinchè un soggetto possa essere considerato concorrente. La casistica giurisprudenziale sul punto è ampia e la rilevanza concorsuale del terzo dovrà essere valutata caso per caso. Ad esempio, la Cassazione Penale, Sezione V, nella sentenza n. 10742/2008, ha sostenuto che “integra il concorso dell''extraneus' nel reato di bancarotta fraudolenta per distrazione, il consulente della società che, consapevole dei propositi distrattivi dell'imprenditore e degli amministratori della società, concorra all'attività distrattiva posta in essere da questi ultimi 13 CONTRIBUTI DI APPROFONDIMENTO 1. progettando e portando ad esecuzione la conclusione di contratti (nella specie affitto di azienda) privi di effettiva contropartita e preordinati ad avvantaggiare i soci a scapito dei creditori.” Ma la Giurisprudenza, anche di legittimità, era già andata oltre, prevedendo il semplice concorso morale dei commercialisti quando, “essendo consapevoli dei propositi distrattivi dell'imprenditore o degli amministratori della società, forniscono consigli o suggerimenti sui mezzi giuridici idonei a sottrarre i beni ai creditori o li assistano nella conclusione dei relativi negozi rafforzando il proposito criminoso del cliente.” (Cass. Pen. Sez. V, n. 569/2004). 2. Le singole fattispecie Le varie condotte di bancarotta fraudolenta sono disciplinate dall'art. 216 L.F., articolo che recentemente le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nella sentenza n. 21039/2011, hanno inquadrato nella categoria della disposizione a più norme, prevedendo diverse ipotesi di reato, vale a dire contenenti diverse ipotesi incriminatrici, ciascuna con una propria autonomia ontologica ed un'autonoma rilevanza penale. Ed infatti, l'art. 216 L.F. prevede diverse ipotesi di reato assolutamente eterogenee tra loro per condotta, per oggettività giuridica, per gravità, per tempo di commissione, per sanzione prevista. Si tratta in particolare: 1) bancarotta fraudolenta patrimoniale, contemplata dal comma I, n. 1, e cioè la distrazione, l'occultamento, la dissimulazione, la distruzione, la dissipazione di beni, nonché l'esposizione e il riconoscimento di passività inesistenti (diminuzione fittizia o effettiva del patrimonio), condotte queste che ledono l'interesse dei creditori alla conservazione della garanzia offerta dall'integrità patrimoniale dell'imprenditore; 2) la bancarotta fraudolenta documentale, contemplata dal comma I, n. 2, che punisce l'imprenditore dichiarato fallito che ha sottratto, distrutto, falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari e che lede l'interesse dei creditori alla ostensibilità della situazione patrimoniale del debitore; 3) la bancarotta preferenziale, contemplata dal comma III, ravvisabile nel comportamento del fallito che, prima o durante la procedura fallimentare, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi esegue pagamenti o simula titoli di prelazione e che lede l'interesse dei creditori alla distribuzione dell'attivo secondo i principi della par condicio creditorum. Le suddette figure criminose possono integrare fatti di bancarotta pre-fallimentare o postfallimentare, a seconda che siano poste in essere prima o durante la procedura concorsuale; nel caso di bancarotta pre-fallimentare, come detto, il momento consumativo coincide con la sentenza dichiarativa di fallimento, mentre nel caso di bancarotta post-fallimentare, in cui la già intervenuta sentenza dichiarativa di fallimento opera come presupposto del reato, la consumazione coincide temporalmente con le condotte vietate poste in essere. Tra le varie ipotesi di bancarotta contemplate, un cenno particolare merita la bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione. Essa è la prima delle condotte contemplate dall'art. 216, I comma n. 1, L.F., ed è quella più frequentemente contestata; da questo punto di vista si può considerare una fattispecie “di chiusura” o residuale rispetto alle altre condotte tipizzate ed in effetti la nozione di distrazione presenta caratteri di elasticità, tanto che la bancarotta fraudolenta per distrazione è considerata un reato “a condotta libera”. In ogni caso, comunque, la condotta deve tendere ad impedire che un bene del fallito sia utilizzato per il soddisfacimento dei diritti della massa dei creditori. Al fine di evitare un eccessivo dilatamento delle condotte che possono essere sussunte in tale 14 Gli obblighi e le responsabilità degli amministratori delle imprese in crisi. le fattispecie di bancarotta fraudolenta fattispecie di reato, occorre valutare se il comportamento dell'imprenditore risponda ad una logica imprenditoriale e sia, quindi, in tal senso giustificabile. Qualora un bene sia destinato ad uno scopo diverso rispetto all'interesse dell'impresa, allora si avrà bancarotta fraudolenta per distrazione. E così, non costituirà reato la vendita sottocosto, qualora essa sia rispondente ad effettiva necessità dell'impresa, quale ad esempio la ricerca di liquidità o il rinnovamento del magazzino. La casistica giurisprudenziale sulla configurabilità del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è assai ampia ed abbraccia i comportamenti più disparati. A titolo esemplificativo sono state ritenute distrazioni: qualsiasi forma di appropriazione di beni della società da parte dell'amministratore; le vendite a prezzo vile, ovvero sottocosto, qualora non rispondano ad esigenza d'impresa, così come le vendite a titolo oneroso, se fatte con l'intento di sottrarre il bene o il suo ricavato alla garanzia dei creditori; la spendita o sottrazione di denaro pervenuto al fallito a seguito di attività delittuosa; la fideiussione quando, rispetto all'attività della società, si delinea quale strumento anomalo con cui l'amministratore, senza alcun utile per il patrimonio sociale, determina un effettivo depauperamento di quest'ultimo e si differenzia dalla bancarotta causata da operazioni di manifesta imprudenza poiché, in quest'ultimo caso, deve trattarsi di comportamenti realizzati pur sempre nell'interesse dell'impresa (Cass. Pen. n. 6462/05). Anche nelle operazioni c.d. infragruppo si possono verificare episodi qualificati come bancarotte fraudolente per distrazione. Commette, infatti, questo reato l'amministratore che si accolla e paga con il denaro della società che amministra i debiti di altra società del gruppo senza alcun compenso, o che affitta a prezzo vile l'azienda di proprietà della società che amministra, laddove l'affittuario sia altra società del gruppo, o che rilascia e paga fideiussioni, senza alcuna contropartita, a favore di altre società del gruppo. A nulla rileva che il bene o le somme distratte vengano poi recuperate al fallimento, in quanto la condotta si perfeziona al momento del distacco del bene dal patrimonio dell'impresa, salvo poi, come detto, assumere rilevanza penale solo con la dichiarazione di fallimento. Il trasferimento di risorse tra società appartenenti allo stesso gruppo imprenditoriale, infatti, deve essere qualificato come distrazione, in quanto le società, pur appartenendo allo stesso gruppo, sono persone giuridiche diverse, dotate di un'autonoma personalità giuridica e patrimoniale, con la conseguenza che i creditori della società depauperata non possono rivalersi dei loro crediti, inseguendo i beni ceduti ad una altra (Cass. Pen., sez. V, n. 11899/11) Naturalmente, poiché il delitto di bancarotta fraudolenta, come tutti i reati, necessita, oltre che di un elemento oggettivo (la condotta), anche di elemento soggettivo - il dolo generico, inteso come consapevolezza e volontà di distrarre, occultare, dissimulare, etc., aggiunte, comunque, alla consapevolezza dell'agente di ledere, o di poter ledere, la garanzia dei creditori -, una particolare lontananza nel tempo fra la commissione dell'atto e la dichiarazione di fallimento, può portare a ritenere che la condotta non fosse consapevolmente indirizzata alla distrazione del bene dalla massa attiva. Sul punto, però, occorre rilevare come la Cassazione Penale, nella sentenza n. 11899/10, ha sancito che “ai fini dell'elemento soggettivo, non è necessario il dolo specifico, e cioè la consapevolezza di portare al dissesto la società, ma è sufficiente il dolo generico, consistente nella consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte (Cass., sez. fer., 01 agosto 2006, n. 27868), come nella specie con la vendita senza corrispettivo, oppure a prezzi non congrui o in nero o con destinazione di somme non nell'interesse della società” e da ciò ne ha tratto come corollario che “ai fini della sussistenza del reato contestato non ha alcun rilievo la mancanza del nesso causale con il pregiudizio ai creditori, in quanto i fatti di distrazione, una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, assumono rilevanza penale in qualunque tempo essi siano stati commessi, e quindi anche se la condotta si è realizzata quando ancora l'impresa non versava in condizioni di insolvenza, non richiedendo le legge un nesso causale o 15 psichico tra la condotta dell'autore e il dissesto dell'impresa, e, quindi il pregiudizio dei creditori, previsto soltanto per l'ipotesi di cui alla L. F., art. 223, comma 2”(norma, quest'ultima, che punisce gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori di società dichiarate fallite che abbiano cagionato, o concorso a cagionare, il dissesto della società, commettendo alcuno dei fatti previsti dagli articoli 2621, 2622, 2626, 2627, 2628, 2629, 2632, 2633 e 2634 c.c. - c.d. bancarotta societaria – ovvero che abbiano con dolo o per effetto di operazioni dolose il fallimento della società). Come detto, la bancarotta fraudolenta per distrazione può essere considerata una sorta di ipotesi residuale, nel senso che, laddove una determinata condotta non sia sussumibile in altra fattispecie di bancarotta, essa finisce per essere considerata condotta distrattiva. Da ciò ne è derivato il sorgere di contrasti giurisprudenziali in relazione a quelle condotte c.d. di confine tra le ipotesi distrattive e le ipotesi, punite con pene meno severe, quali quelle integranti fattispecie di bancarotte preferenziali. E' il caso, ad esempio, della restituzione dei finanziamenti ai soci, considerato in alcune pronunce fatto integrante la bancarotta fraudolenta patrimoniale (Cass. Pen. n. 23672/2004), sul presupposto che tale comportamento integra “una condotta in contrasto con gli interessi della società fallita e della intera massa dei creditori, consistendo nella appropriazione di parte delle risorse sociali, distolte dalla loro naturale destinazione a garanzia dei creditori”, ed in altre, più recenti, bancarotta preferenziale; e così, Cassazione Penale, Sezione V, nella sentenza n. 14908/2008 ha statuito che “integrano il reato di bancarotta preferenziale le restituzioni - effettuate in periodo di insolvenza – ai soci dei finanziamenti concessi alla società, che costituiscono crediti liquidi ed esigibili, considerato, quanto alla sussistenza del dolo, che non sussistono motivi che giustifichino in termini di interesse societario la soddisfazione, prima degli altri creditori, del socio, il quale, a differenza della restante massa creditoria, non ha alcun interesse ad avanzare, in caso di inadempimento, istanza di fallimento verso la società”. Da ultimo, sempre in relazione ad episodi di confine tra la bancarotta preferenziale e la bancarotta per distrazione, la V Sezione della Cassazione Penale, nella sentenza n. 21570, ha stabilito che “nel caso di un amministratore (nel caso di specie: di s.n.c.) prelevi dalle casse della società in stato di decozione, senza alcuna delibera degli organi sociali, somme a titolo di compenso per l'attività svolta, e tali somme – oltre che pacificamente esigibili – siano congrue (ad esempio, perchè conformi a quelle percepite negli anni precedenti o da amministratori di società similari), non si versa in ipotesi di bancarotta fraudolenta per distrazione, ma in quella diversa di bancarotta preferenziale, essendo alterata la par condicio creditorum.”. 3. Il ricorso abusivo al credito Tra i reati fallimentari, merita, altresì, di essere brevemente trattato anche il reato di ricorso abusivo al credito, previsto e punito dall'art. 218 L.F. Detta norma punisce con la reclusione da sei mesi a tre anni gli amministratori, i direttori generali, i liquidatori e gli imprenditori esercenti un'attività commerciale che ricorrono o continuano a ricorrere al credito, dissimulando il dissesto o lo stato di insolvenza. Lo scopo della norma è quello di tutelare il patrimonio del creditore dal pericolo di inadempimento derivante dallo stato di insolvenza del debitore, nonché di impedire che il dissesto venga inutilmente aggravato da operazioni rovinose, come pure quello di tutelare l'interesse generale alla regolarità e sicurezza del traffico giuridico. Circa la natura di reato fallimentare del ricorso abusivo al credito si devono evidenziare contrasti tra la tradizionale, prevalente, giurisprudenza di legittimità che segue la tesi negativa, non richiedendo la dichiarazione di fallimento per la configurabilità del reato (Cfr., ex multis, Cass. Pen. n. 2342/1988) e 16 Gli obblighi e le responsabilità degli amministratori delle imprese in crisi. le fattispecie di bancarotta fraudolenta qualche più recente apertura alla natura di reato fallimentare (Cfr. Cass. Pen. 23796/2004). Il reato è a condotta libera, potendosi configurare la dissimulazione anche nel semplice silenzio, e per ricorso al credito si intende qualsiasi prestazione data verso la promessa di una prestazione futura. Per la sua realizzazione è necessaria la consapevolezza dello stato di dissesto (dolo generico), mentre non è richiesta la volontà di non adempiere. In ciò sta la differenza principale con il reato di insolvenza fraudolenta, che per la sua realizzazione richiede sia l'inadempimento dell'obbligazione contratta, sia la volontà, fin dal momento in cui l'obbligazione viene contratta, di non adempiere. 17 OMESSI VERSAMENTI DI IMPOSTE, RITENUTE E CONTRIBUTI a cura di Massimo Conigliaro* La recente evoluzione normativa, ed in particolare la reintroduzione della rilevanza penale degli omessi versamenti di imposte e ritenute sopra una certa soglia (50.000 euro per anno), ha posto in evidenza l’esigenza di valutare con attenzione le scelte aziendali di pagamento a fronte di risorse economiche ridotte. In passato, non pochi contribuenti hanno “autofinanziato” la propria azienda omettendo di versare iva e ritenute, sopportando iscrizioni a ruolo e sanzioni tributarie e cercando di rinviare il più possibile nel tempo il palese manifestarsi di una irreversibile crisi aziendale. Tale comportamento, infatti, arrecava un sicuro danno all’erario, magari consentiva di pagare per qualche mese in più stipendi e fornitori, ma non comportava alcuna violazione penalmente rilevante da parte del legale rappresentante dell’azienda ovvero dell’imprenditore individuale. Lo scenario normativo è, però, da qualche anno cambiato e di conseguenza anche le scelte “strategiche” sulle priorità nei pagamenti hanno imposto un diverso approccio. A prescindere dall’eventuale crisi aziendale, più meno imminente, oggi il mancato versamento di iva e ritenute (nonché l’indebita compensazione a mezzo F24) trova un preciso limite di legge nella disciplina penale tributaria prevista dal D. Lgs. 74/2000. L’articolo 10-bis del citato decreto ha innovato la materia prevedendo dal 2005 la pena della reclusione da 6 mesi a 2 anni per chiunque omette di versare le ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti entro il termine per la presentazione della dichiarazione Modello 770 relativa all’anno cui si riferiscono i versamenti. Analogamente, l’art. 10-ter del D. Lgs. 74/2000 prevede la medesima pena detentiva per chiunque non versi l’iva risultante dalla dichiarazione entro il termine di versamento dell’acconto dell’anno successivo (e dunque entro il 27 dicembre). Le norme sono chiare e non ammettono particolari scusanti: il mancato versamento entro la scadenza perfeziona la condotta penalmente rilevante ed il momento consumativo del reato coincide con la data di scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione ovvero del versamento dell’acconto iva. Un pagamento anche con un solo giorno di ritardo non evita le conseguenze penali previste dalla legge. Diventa pertanto di grande importanza per i contribuenti con debiti per ritenute o iva sopra soglia per l’anno precedente valutare le priorità nei pagamenti da eseguire a ridosso delle varie scadenze. Non versare le citate imposte e superare il momento consumativo del reato equivale ad una sorta di auto denuncia ai fini penali: l’Amministrazione Finanziaria rileverà l’omesso versamento in sede di controllo formale delle dichiarazioni ed invierà una comunicazione (avviso “bonario”) con la quale informa il contribuente di quanto riscontrato ed avverte delle possibili conseguenze penali. Trascorsi trenta giorni, in assenza di giustificazioni, verrà trasmessa la comunicazione della notizia di reato alla procura della Repubblica. 1. L’evoluzione normativa del delitto di omesso versamento di ritenute certificate Se il reato di omesso versamento dell’iva non comporta particolari problemi applicativi, diverso è il caso delle ritenute. La legge parla di omesso versamento di ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti. Quid juris nel caso di certificazione non rilasciata ai sostituiti ? Può una ulteriore omissione – magari preordinata al mancato successivo versamento – delle ritenute entro il termine di presentazione della relativa dichiarazione, costituire una esimente penale? * Pezzo aggiornato al 27/02/2012 (Sesta giornata del Master Breve 2011/2012 – Area approfondimento) 18 Può essere utile sul punto ricercare l’interpretazione della fattispecie ripercorrendo l’evoluzione normativa nel tempo. Il D.L. 10 luglio 1982, n. 429, convertito dalla L. n. 516/1982, prevedeva, all'art. 2, il delitto di omesso versamento all'Erario delle ritenute “effettivamente operate” dal sostituto d'imposta, a titolo di acconto o di imposta, sulle somme pagate. Nessun limite era previsto in ordine all'ammontare delle ritenute operate e non versate, a differenza di quanto era prescritto nella previgente disciplina, all'art. 92 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, dove era stabilita una soglia di punibilità di cinquanta milioni di lire. La relazione governativa qualificava questo delitto come “una figura speciale di appropriazione indebita”, partendo dal dato secondo cui l'omesso versamento riguardasse somme ritenute per legge e, quindi, già appartenenti all'Erario. Da questa asserzione si sviluppava un dibattito dottrinale e giurisprudenziale volto a configurare la fattispecie in esame quale appropriazione, da parte del sostituto, di somme appartenenti allo Stato o, secondo altra tesi, al sostituito. A tal proposito la dottrina maggioritaria, avallata dalla prevalente giurisprudenza (Corte Cass., 26 maggio 1983, n. 1064), chiariva che il sostituto d'imposta era obbligato, per un debito proprio, nei confronti dell'Erario; di conseguenza non tratteneva alcuna somma altrui, ma, semplicemente, ometteva di assolvere un debito di imposta non adempiendo un obbligo che gravava esclusivamente sul suo patrimonio. Riguardo la fattispecie di mancato versamento di ritenute, la disciplina prevedeva due distinte ipotesi, enunciate ai commi 2 e 3 dell'art. 2 della L. n. 516/1982. La prima, di natura contravvenzionale, era rappresentata dall'omesso versamento di ritenute non certificate; per essa era fissata una soglia di punibilità pari a cinquanta milioni di lire. La seconda, inserita nel nuovo comma 3, incriminava la condotta consistente nell'“omesso versamento delle somme risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti”. Quest'ultimo elemento aggiuntivo differenziava il delitto in esame rispetto alla contravvenzione di cui al comma 2. La ratio andava rinvenuta nel dato secondo cui l'omesso versamento delle ritenute, accompagnato dal rilascio di una certificazione di versamento al sostituito, rendeva più pericolosa la condotta omissiva del sostituto di imposta, agevolando le possibilità di vanificare i controlli svolti dall'Amministrazione finanziaria, attraverso l'induzione in errore del sostituito medesimo. Anche per il delitto di mancato versamento di ritenute certificate era prevista una soglia di punibilità. La rilevanza penale a titolo di delitto scattava allorché venivano omessi versamenti di ritenute, nel periodo d'imposta, superiori a venticinque milioni di lire. Per l'ipotesi meno grave, prevista nell'ultima parte del comma 3, era stabilito un limite diverso, compreso tra i dieci e i venticinque milioni di lire, sempre con riferimento a ciascun periodo di imposta. Il riferimento alla certificazione rilasciata al sostituito, in luogo delle discusse “ritenute effettivamente operate”, chiariva uno dei punti più controversi della precedente disciplina. In altri termini, per la configurazione della fattispecie era necessario il protrarsi dell'omesso versamento delle ritenute dopo il maturare del termine previsto per la dichiarazione annuale; il superamento della specifica soglia di punibilità ed, infine, era richiesto che il sostituto avesse rilasciato al sostituito la certificazione prescritta dalla legge, dalla quale risultasse l'avvenuto prelievo alla fonte delle ritenute. Il legislatore stabiliva un termine, coincidente con quello prescritto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto d'imposta, che sanciva il momento consumativo del reato; inoltre prevedeva una soglia di punibilità. In tal modo si operava a priori una selezione dei fatti da sottoporre a pena - una sorta di recupero del principio di extrema ratio – e si riservava la sanzione penale alle violazioni più gravi, concretamente lesive per gli interessi dell'Erario. 19 CONTRIBUTI DI APPROFONDIMENTO Omessi versamenti di imposte, ritenute e contributi Il D. Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, al momento della sua entrata in vigore, aveva abrogato le fattispecie riguardanti i reati del sostituto d'imposta previste all'art. 2 del D.L. n. 429/1982. Nella Relazione governativa al D. Lgs. n. 74/2000 si coglieva la precisa scelta del legislatore sul punto: “Scompare, così, in particolare, il delitto di omesso versamento delle ritenute da parte del sostituto d'imposta, previsto dall'art. 2 del D.L. n. 429 del 1982: figura criminosa che, più delle altre, è stata al centro di vivaci polemiche, anche a fronte dell'abnorme numero di procedimenti penali cui essa, specie nella versione d'origine (anteriore, cioè, alla modifica operata dall'art. 3 del D.L. 16 marzo 1981, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 154/1991), aveva dato esca”. Al centro del nuovo sistema sanzionatorio viene posta la dichiarazione annuale “quale momento nel quale si realizza, dal lato del contribuente, il presupposto obiettivo e definitivo dell'evasione d'imposta”. Il D. Lgs. n. 74/2000 aveva quindi espressamente abrogato il reato di omesso versamento di ritenute certificate e non aveva introdotto alcuna ipotesi criminosa inerente la condotta del sostituto d'imposta; la fattispecie, pertanto, al pari degli altri reati posti in essere dal sostituto d'imposta, non aveva trovato posto nel nuovo sistema penale. Il legislatore, attraverso il comma 414 dell'articolo unico della L. n. 311/2004 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato” (legge Finanziaria 2005), ha reintrodotto la punibilità della condotta del sostituto d'imposta. Si recupera, nella sostanza, la figura criminosa dell'omesso versamento di ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate al sostituito prevista nel previgente art. 2, comma 3, L. n. 516/1982. Le fattispecie integranti i reati di “omessa presentazione della dichiarazione del sostituto d'imposta” e di “omesso versamento di ritenute non certificate”, che erano contemplate nello stesso art. 2, ai commi 1 e 2, sembrerebbero restare, invece, prive di rilevanza penale. Se tale circostanza - ancora inesplorata dalla giurisprudenza - venisse confermata, potrebbe verificarsi il caso che: − il contribuente che non versa le ritenute (con un debito > di 50.000 euro), rilascia le certificazioni ai sostituiti e presenta la dichiarazione Mod. 770, commette una violazione penalmente rilevante; − il contribuente che non versa ritenute (> 50.000 euro), non rilascia alcuna certificazione ai sostituiti e presenta la dichiarazione Mod. 770, non commette alcuna violazione penalmente rilevante; − il contribuente che non versa le ritenute (con un debito > di 50.000 euro), rilascia le certificazioni ai sostituiti, ma non presenta la dichiarazione Mod. 770, non commette alcuna violazione penalmente rilevante. La fattispecie in esame è strutturata secondo lo schema dei reati di pura omissione: la condotta si concreta, infatti, nel mancato versamento all'Erario delle ritenute operate e certificate entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto d'imposta. Resta da comprendere, inoltre, se sia realmente configurabile la rilevanza penale della condotta nel caso in cui non venga fornita la prova dell’avvenuto rilascio della certificazione da parte del sostituto d’imposta al sostituito. La parte contribuente potrebbe sempre sostenere che la circostanza non è documentata e, in assenza di rigorosa prova contraria, eccepire che non si è perfezionata alcuna condotta penalmente rilevante. 20 Omessi versamenti di imposte, ritenute e contributi 2. Conclusioni L’omesso versamento di iva e ritenute ha già comportato un gran numero di comunicazioni all’Autorità Giudiziaria di notizie di reato per violazione degli articoli 10 bis e 10 ter del D. Lgs. 74/2000. In qualche caso è stato notificata l’informazione di garanzia agli indagati, in altri – più spesso – si è passati direttamente al decreto penale di condanna. La difesa, sul punto, non dispone di particolari strumenti, se non quello di far rilevare la mancata disponibilità delle somme per assolvere al debito d’imposta (magari per una grave crisi finanziaria). La struttura del reato sembrerebbe non ammettere esimenti e la responsabilità ricade non tanto sul soggetto che non ha versato tempo per tempo le imposte (ritenute o iva, alle singole scadenze) bensì su colui il quale è in carica al momento della violazione, individuato nella scadenza del termine della presentazione del Modello 770 ovvero del versamento dell’acconto iva (27 dicembre). Con ciò giungendo al paradosso che il legale rappresentante della società che mese per mese non ha versato le ritenute non sarebbe passibile di alcuna sanzione, mentre lo sarebbe il legale rappresentante (amministratore, liquidatore o, peggio, curatore fallimentare), successivamente subentrato ed in carica nel “momento consumativo del reato”. In casi del genere occorrerà probabilmente valutare la condotta del contribuente, caso per caso, così da valutare se il mancato pagamento delle imposte è legato a reale indisponibilità di risorse ovvero ad un utilizzo delle stesse in spregio alle più elementari regole di prudenza: aver pagato gli stipendi ai dipendenti ovvero saldato soggetti “privilegiati” in caso di fallimento, può costituire una circostanza esimente (al pari delle valutazioni in tema di revocabilità dei pagamenti); al contrario, il pagamento di emolumenti agli amministratori ovvero di forniture prive di reale utilità e/o urgenza, comporta sicuramente il verificarsi della condotta penalmente rilevante. 21 I CRITERI DI QUANTIFICAZIONE DEL DANNO IN CASO DI ESERCIZIO DELL’AZIONE DI RESPONSABILITÀ CONTRO GLI AMMINISTRATORI DA PARTE DEGLI ORGANI FALLIMENTARI a cura di Simone Borella* Il tema della quantificazione del danno cagionato da amministratori e sindaci alla società fallita rappresenta un tema sul quale è possibile registrare un progressivo affinamento delle posizioni giurisprudenziali. Con recenti pronunzie, La Corte di Cassazione, (15 febbraio 2005, n. 3032; Cass. 8 febbraio 2005 n. 2538) ha chiarito che “nell’azione di responsabilità esercitata dal curatore fallimentare nei confronti degli amministratori e sindaci di una società di capitali, il danno non va commisurato alla differenza tra attività e passività accertate in sede concorsuale ma va determinato in relazione alle conseguenze immediate e dirette delle violazioni contestate. La liquidazione in via equitativa del danno ad opera del giudice presuppone, da un lato, l’inesistenza di elementi di giudizio sufficienti ad individuare gli effetti lesivi delle violazioni contestate dovuta ad impossibilità o estrema difficoltà di fornirne adeguata prova; dall’altro, l’individuazione dei criteri cui, ragionevolmente, è possibile ancorare detta liquidazione equitativa. Tali statuizioni si pongono nel solco della più recente giurisprudenza, sia di legittimità che di merito, che – condividendo i rilievi mossi da buona parte della dottrina – ha riaffermato i principi in base ai quali il nostro ordinamento regola la responsabilità civile e, in particolare, l’imputabilità al soggetto agente degli eventi lesivi verificatisi. Principi che, in tema di determinazione del danno imputabile agli amministratori ed ai sindaci di società poi sottoposte a procedure concorsuali, sembravano parzialmente essere stati dimenticati con l’affermarsi del criterio del c.d. deficit fallimentare, vale a dire l’imputazione ad amministratori e sindaci di società poi dichiarate insolventi, tramite un procedimento presuntivo privo tuttavia dei requisiti di cui all’art. 2729 c.c., della differenza tra attivo e passivo fallimentare, quale danno di cui dovevano rispondere in conseguenza delle violazioni loro contestate. Tale criterio di determinazione del danno, in passato ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di merito e confermato da alcune decisioni di legittimità (cfr. Cass. 19 dicembre 1985 n. 6493; Cass. 30 luglio 1980 n. 4891; Cass. 23 giugno 1977 n. 2671; Cass. 4 aprile 1977 n. 1281; Cass. 5 gennaio 1972 n. 21; per la giurisprudenza di merito, cfr. Trib. Massa Carrara 9 gennaio 1996, Foro it.. Rep. 1996, voce Società, n. 658; Trib. Milano, 15 luglio 1991, Foro it.. Rep. 1991, voce Società, n. 566; Trib. Genova 19 settembre 1988, Foro it.. Rep. 1989, voce Società, n. 570; Trib. Roma 5 dicembre 1986, Foro it.. Rep. 1987, voce Società, n. 508; Trib. Como 25 agosto 1987, Foro it.. Rep. 1987, voce Società, n. 506; Trib. Catania 30 agosto 1986, Foro it.. Rep. 1988, voce Società, n. 532; Trib. Roma 21 maggio 1984, Foro it.. Rep. 1985, voce Società, n. 366; Trib. Milano 13 ottobre 1983, Foro it.. Rep. 1984, voce Fallimento, n. 516, cui adde, di recente, App. Bologna, 12 gennaio 2004, Fallimento, 2004, 453 e Trib. Roma, 9 luglio 2001, Dir. e prat. soc., 2002, f. 11, 87), ha cominciato ad entrare in crisi in conseguenza delle motivate critiche mosse da buona parte della dottrina (cfr., in particolare, la monografia di M. Cassottana, La responsabilità degli amministratori nel fallimento di s.p.a., Milano, 1984, esclusivamente dedicata a questo tema; S. Patti, La responsabilità degli amministratori: il nesso causale, in Resp. civ., 2002, 601 ss.; E. Gabrielli, La quantificazione del danno nell’azione di responsabilità verso amministratori e sindaci della società fallita, in Riv. dir. priv., 2004, 7 ss., M. Fabiani, nota a Cass. 22 ottobre 1998 n. 10488, Foro it., 1999, I, 1967, con ampi riferimenti di dottrina), la quale ne ha evidenziato l’arbitrarietà, e quindi la sua incapacità di rispettare i principi del nostro ordinamento in tema di responsabilità civile e di corretta imputabilità degli eventi dannosi. * Pezzo aggiornato al 27/02/2012 (Sesta giornata del Master Breve 2011/2012 – Area approfondimento) 22 Esso infatti appariva, da un lato, incongruo per eccesso in quanto, in palese violazione della necessaria individuazione di un preciso nesso di causalità tra condotta ed evento lesivo, si imputavano agli amministratori eventi lesivi del patrimonio sociale anche non conseguenti ad un loro comportamento, bensì dovuti esclusivamente alle dinamiche aziendali se non al mercato stesso (con ciò trasformando sostanzialmente la loro responsabilità, da una per danni, ad una per rischio d’impresa); dall’altro, incongruo per difetto, dal momento che la responsabilità sarebbe stata ingiustificatamente limitata allo sbilancio fallimentare, nonostante i comportamenti illegittimi degli amministratori avessero provocato lesioni al patrimonio sociale eventualmente maggiori. Sulla scorta di tali critiche, il criterio della differenza tra attivo e passivo fallimentare, quale metodo di quantificazione automatica del danno, è stato in linea di principio progressivamente abbandonato dalla giurisprudenza di merito (cfr. già Trib. Milano 20 settembre 1976, Giur. comm., 1978, II, 288, cui adde, di recente, Trib. Marsala 2 maggio 2005, Dir e Giust., f. 29, 52 con nota di Garuffi; Trib. Milano 11 novembre 2002, Società, 2003, 1015 con nota di D. De Giorgi; Trib. Palermo 19 marzo 2000, Fallimento, 2000, 920; Trib. Messina 14 dicembre 1998, Fallimento, 1999, I, 674; Trib. Genova 24 novembre 1997, Fallimento, 1998, 843 con nota di R. Massaro; Trib. Napoli 24 aprile 2003, Fallimento, 2004, 1215 con nota di U. De Crescienzo; Trib. Milano 20 novembre 2003, Fallimento, 2004, 580; Trib. Napoli 20 novembre 2002, Giur. merito, 2003, 2429; Trib. Napoli 22 gennaio 2002, Giur. napoletana, 2002, 191; Trib. Catania 29 settembre 2000, Foro. it., 2001, I, 1729; Trib. Catania 1° settembre 2000, Fallimento, 2001, 111; Trib. Milano 14 dicembre 2000, Fallimento, 2001, 483) in favore della riaffermazione dei corretti principi in tema di nesso di causalità e di imputabilità degli eventi lesivi al soggetto agente. Il nuovo orientamento della giurisprudenza di merito ha ricevuto un primo avallo da Cass. 17 settembre 1997 n. 9252, Foro. it., 2000, I, 243, cui hanno fatto seguito Cass. 4 aprile 1998 n. 3483, Società, 1999, 62 con nota di Zucconi e Cass. 22 ottobre 1998 n. 10488, cit., che hanno confermato, al pari delle più recenti statuizioni richiamate in apertura, la necessità che il danno imputabile agli amministratori, in seguito al fallimento della società, debba essere determinato applicando le regole sul nesso di causalità, individuando i singoli effetti lesivi prodotti sul patrimonio sociale dalle violazioni accertate. L’esigenza tuttavia – fin dall’inizio avvertita – di ricercare un giusto equilibrio tra le obiettive e ricorrenti difficoltà di ordine probatorio che, in talune ipotesi, l’organo della procedura concorsuale che agisce in responsabilità incontra nell’individuare gli effetti lesivi dei comportamenti illegittimi degli organi gestori e di controllo sul patrimonio della società poi divenuta insolvente, ed il rispetto dei principi che governano la responsabilità civile e la ripartizione degli oneri probatori nel nostro ordinamento ha continuato inevitabilmente ad essere presente. Questa esigenza risulta invero particolarmente avvertita sia in caso di addebiti fondati sulla responsabilità per nuove operazioni (art. 2449 c.c. vecchio testo) a seguito della perdita (molto spesso occultata) del capitale sociale e del conseguente verificarsi di una causa di scioglimento della società (art. 2448 c.c.), sia nei casi in cui gli organi di gestione e – eventualmente – di controllo della società divenuta poi insolvente hanno impedito la ricostruzione della situazione patrimoniale della società per non aver tenuto le scritture contabili o per averle tenute in modo completamente inattendibile. E’ evidente infatti che nel primo caso l’attore – pur avendo fornito la prova della violazione da parte degli amministratori degli obblighi di conservazione del patrimonio sociale nell’aver proseguito la gestione nonostante la presenza di perdite rilevanti (previa dimostrazione che l’occultamento di esse è stato causato da loro dolo o colpa) – potrebbe incontrare non poche difficoltà di ordine probatorio nell’individuare e separare non solo l’effetto lesivo di ogni singola nuova operazione ma anche – 23 CONTRIBUTI DI APPROFONDIMENTO I criteri di quantificazione del danno in caso di esercizio dell’azione di responsabilità contro gli amministratori da parte degli organi fallimentari talvolta – quando un’operazione sia di per sé stessa da considerare “nuova”; nel secondo caso, invece, la difficoltà di ordine probatorio è in re ipsa e, pur in presenza di violazioni accertate, rischierebbe di vanificare l’efficacia (anche) deterrente dell’impianto legislativo in materia, delegandola alla sola sanzione penale prevista dagli artt. 223 e ss. l. fall.. Sulla scorta di tale esigenza, dunque, la riaffermazione del principio che impone la ricerca e l’individuazione di precisi nessi causali tra comportamenti ed eventi lesivi è stata accompagnata, in simili fattispecie, da alcuni correttivi, nel tempo affinatisi. Già Cass. 17 settembre 1997 n. 9252, cit., nonostante l’affermazione in linea di principio della necessità di individuare precisi nessi di causalità anche in ipotesi di responsabilità per nuove operazioni, aveva poi confermato la statuizione impugnata, che quantificava il danno nello sbilancio tra attivo e passivo fallimentare, con una motivazione – per la verità – insoddisfacente in quanto riferita ad una generica “imputabilità del dissesto” agli amministratori. Dizione (quella dell’“imputabilità del dissesto”), che appare di per sé equivoca soprattutto in ipotesi di violazione del divieto di nuove operazioni, dal momento che proprio il verificarsi di perdite rilevanti tali da incidere sull’integrità del capitale sociale e da provocare una causa di scioglimento rende evidente che già allora la società si trovava, con ogni probabilità, in una situazione di “dissesto”, rendendo dunque le “nuove” operazioni, più che causa di esso, causa del suo eventuale aggravarsi. Il caso invece deciso da Cass. 4 aprile 1998 n. 3483, cit. era relativo ad un’ipotesi in cui le difficoltà probatorie nell’individuazione del nesso causale e della quantificazione del danno era principalmente dovuto alla mancanza o alla totale inattendibilità delle scritture contabili. La Corte ha pertanto provveduto a “temperare” l’applicazione rigorosa del principio sul nesso di causalità ritenendo corretto, in simili ipotesi, il ritorno al criterio dello sbilancio fallimentare. La giurisprudenza di merito recente dal canto suo, dopo alcune esitazioni, sembra che nel ricercare il criterio atto a “rettificare” la rigorosa applicazione del principio del nesso di causalità (pur costantemente affermato ed applicabile ove possibile) si stia attestando su due orientamenti principali, ognuno deputato a risolvere le difficoltà probatorie di ciascuna delle due fattispecie più problematiche (responsabilità per “nuove” operazioni ed assenza/inattendibilità delle scritture contabili). In ordine alla prima fattispecie, si è sostenuto che il criterio più idoneo per quantificare il danno nel rispetto del principio del nesso di causalità sia il c.d. criterio dei netti patrimoniali, vale a dire non la differenza tout court tra attivo e passivo fallimentare, bensì la differenza che risulta dal confronto tra il bilancio anteriore allo svolgimento dell’attività vietata, opportunamente rettificato in modo da far emergere la perdita eventualmente in origine occultata, ed il bilancio fallimentare, facendo così rientrare nel danno non solo il risultato negativo delle singole operazioni ma anche il pregiudizio che la società ha subito per effetto della ritardata liquidazione (così Trib. Marsala 2 maggio 2005, cit.; Trib. Milano 11 novembre 2002, cit.; Trib. Palermo 19 marzo 2000, cit.; Trib. Messina 14 dicembre 1998, cit.; Trib. Genova 24 novembre 1997, cit.; Trib. Milano 20 settembre 1976, cit.). In ordine invece alla seconda fattispecie (assenza/inattendibilità delle scritture contabili) sembra che il criterio dello sbilancio fallimentare, quale forma equitativa di quantificazione del danno ascrivibile ad amministratori e sindaci ed in assenza di alternative, non possa essere abbandonato (così, Trib. Napoli 24 aprile 2003, cit.; Trib. Milano 20 novembre 2003, cit.; Trib. Napoli 20 novembre 2002, cit.; Trib. Napoli 22 gennaio 2002, cit.; Trib. Catania 29 settembre 2000, cit.; Trib. Catania 1° settembre 2000, cit.; Trib. Milano 14 dicembre 2000, cit.). In un simile panorama, in cui il ricorso a “rettifiche” equitative si rende necessario per evitare che le difficoltà probatorie in talune ipotesi oggettivamente riscontrabili trasformino il relativo contenzioso in altrettante decisioni di non liquet, l’insegnamento che si trae delle più recenti pronunzie della 24 I criteri di quantificazione del danno in caso di esercizio dell’azione di responsabilità contro gli amministratori da parte degli organi fallimentari Corte di Cassazione appare particolarmente opportuno poiché ricorda che la giusta esigenza, tramite la valutazione equitativa ad opera del giudice ex art. 1226 c.c., di “rettificare” e/o di “temperare” la rigorosa applicazione delle regole sulla distribuzione dell’onere probatorio (cui l’individuazione dei nessi eziologici è legata) non deve tuttavia comportare inaccettabili “derive” nell’altro senso, ma deve essere correttamente motivata, quanto a presupposti e criteri, al fine di scongiurare che detta valutazione sia sinonimo di arbitrio. 25 LA CONTINUITÀ AZIENDALE NELL’ATTUALE CONTESTO ECONOMICOFINANZIARIO. RIFLESSI SUL BILANCIO E SUL LAVORO DI REVISIONE LEGALE DEI CONTI a cura di Andrea Soprani* La continuità aziendale, pur essendo il principio di base per la redazione del bilancio annuale o periodico di un’azienda in funzionamento, è difficilmente sottoposta a verifiche di sostanza per confermarne la sua esistenza e, spesso, non ne viene data menzione nelle note di commento al bilancio (siano esse la nota integrativa o la relazione sulla gestione) in quanto, per così dire, gli amministratori ne danno per scontata la sua sussistenza. L’attuale crisi economico-finanziaria ripropone questo argomento con maggiore enfasi; sia a livello internazionale che italiano il tema è diventato di grande attualità e ha visto di recente la pubblicazione di alcuni documenti (sia di organismi internazionali, quali lo IAASB, che italiani, quali la CONSOB) che ne sottolineano la rilevanza e consigliano l’esecuzione di una serie di procedure (in primis da parte degli amministratori) che prevedono, tra l’altro, una adeguata informativa nelle note anche quando il requisito sussiste e approfondite verifiche di supervisione da parte del revisore. L’articolo si preoccuperà di inquadrare il tema della continuità aziendale, di indicare le verifiche da effettuare per attestarne la sua esistenza, e di descrivere come gli esiti di queste verifiche si riflettono sul giudizio del revisore. In allegato si proporrà anche un programma di lavoro esemplificativo delle verifiche che il revisore effettuerà per convincersi della esistenza o meno di questo fondamentale presupposto. 1. La continuità aziendale Prima di addentrasi nella disamina delle verifiche da effettuare e della informativa da riportare in bilancio, è necessario ricordare che il postulato della continuità aziendale è richiamato espressamente dall'art. 2423 bis c.c. che stabilisce, tra l'altro, che «... la valutazione delle voci deve essere fatta secondo prudenza e nella prospettiva della continuazione dell'attività...». Da questa affermazione discendono alcuni importanti concetti guida da tenere presenti nella redazione di un bilancio periodico, concetti che, ovviamente, sono anche utili per la verifica della sua correttezza: - le valutazioni delle voci di bilancio devono essere fatte nella prospettiva della continuità dell'attività aziendale (ad esempio il costo storico e non il valore di liquidazione sarà il principio guida per la valutazione dei fabbricati e di molte altre attività); - i beni aziendali nel bilancio d’esercizio hanno un valore unicamente in funzione della loro capacità di produrre un reddito futuro (se il valore non è recuperabile tramite l’uso dovrà essere considerata la necessità di una svalutazione ma non sarà mai concessa una rivalutazione anche se il valore di vendita del bene dovesse risultare più elevato); - i dati del bilancio d'esercizio non sono idonei ad essere utilizzati per fini diversi da quelli della rendicontazione periodica, e quindi operazioni quali cessioni, scorpori, conferimenti e liquidazioni richiederanno l’applicazione di principi contabili diversi da quelli statuiti per la redazione del bilancio annuale o infrannuale. La continuità aziendale (anche nota con il termine anglosassone di going concern) può quindi essere considerata un prerequisito non derogabile per la redazione di un bilancio periodico; ne consegue che alla mancanza di questo presupposto di base il bilancio non potrà più essere preparato secondo i normali principi contabili che regolano la redazione del bilancio annuale o periodico.2 Nella cultura * 2 Pezzo aggiornato al 27/02/2012 (Sesta giornata del Master Breve 2011/2012 – Area approfondimento) L’importanza di tale requisito può dirsi rafforzata anche da altre disposizioni del codice civile. Si pensi ad esempio alle fattispecie regolate dagli artt. 2446 o 2447 c.c. (perdite che intaccano il capitale sociale). Anche in queste situazioni di crisi, che nei casi più gravi potrebbero condurre alla messa in liquidazione della società, il bilancio da presentare all’assemblea dei soci che deciderà come sanare la perdita di capitale subita, deve essere redatto secondo il principio di continuità aziendale. 26 italiana si è spesso portati a pensare che solo un’azienda che chiude bilanci in perdita sia a rischio di continuità aziendale.3 Questo è indubbiamente vero, ma ad esempio il principio di revisione 5704 ci esorta a prestare un’attenzione anche maggiore agli aspetti finanziari che, in molte situazioni, possono condizionare, più di altre cause, la prosecuzione dell’attività. Si pensi ai frequenti casi di società che pur presentando bilanci in utile hanno problematiche di continuità aziendale per crisi di liquidità (derivata ad esempio da difficoltà nell’incasso dei crediti commerciali, difficoltà che si aggravano quando l’accesso al credito bancario è per loro limitato). Viste le premesse risulta evidente come la verifica della esistenza della continuità aziendale sia una procedura critica e fondamentale sia per il revisore contabile che dovrà emettere il suo giudizio sul bilancio, sia per il collegio sindacale nella sua attività di vigilanza della gestione e della corretta amministrazione della società. Va enfatizzato tuttavia che la responsabilità prima della verifica dell’esistenza della continuità aziendale spetta agli amministratori, nell’ambito della più ampia e diretta responsabilità di redazione del bilancio d’esercizio o consolidato. Tale aspetto non va sottovalutato in quanto né il revisore né il collegio sindacale potranno, nelle loro relazioni, sanare le carenze di verifiche e/o di informativa da parte degli amministratori potendo solo, se del caso, censurare in maniera esplicita tale comportamento. 2. Come verificare l’esistenza della continuità aziendale? Si è detto che gli amministratori hanno la responsabilità della redazione del bilancio d’esercizio e quindi anche la necessità di verificare in prima persona l’esistenza delle condizioni che consentono la prosecuzione dell’attività della società. Visto il chiaro dettato di legge5 i principi contabili italiani non fanno esplicita menzione del postulato della continuità aziendale né si preoccupano più di tanto di indicare quali debbano essere le verifiche che gli amministratori devono compiere per accertarsi che la continuità aziendale esista.6 I principi contabili internazionali7 sono invece espliciti nel richiedere obbligatoriamente che gli amministratori della società effettuino una valutazione della capacità dell’impresa di essere in going concern sulla base di tutti gli elementi a disposizione come pure nel considerare obbligatorio che venga data esplicita informativa delle valutazioni effettuate sia nel bilancio d’esercizio (caso in cui la verifica della continuità dia esito positivo) o in alternativa, ad esempio nel bilancio di liquidazione (esito negativo). Per eseguire la verifica dell’esistenza delle condizioni necessarie alla continuità aziendale risulta indispensabile definire quale debba essere il periodo temporale di “previsione” da esaminare a tal fine. Anche in questo caso non esiste nel nostro corpo normativo né nei principi contabili nazionali un’indicazione in tal senso. Vengono nuovamente in aiuto i principi contabili internazionali8 che fissano il periodo minimo in 12 mesi dalla data di chiusura del bilancio (indipendentemente dalla data di sua approvazione). Tale indicazione è d’estrema importanza visto che nella stragrande maggioranza dei casi le analisi necessarie per assicurarsi che il test sia superato sono tutt’altro che semplici per gli amministratori e, spesso, ancora più critiche per il revisore che le deve supervisionare e convincersi della loro ragionevolezza. Il grado e la profondità delle analisi da effettuarsi dipendono ovviamente dalle specifiche circostanze di 3 Tale dubbio si rende particolarmente palese nella fattispecie del già citato art. 2447 c.c. (riduzione del capitale sociale al di sotto del limite legale) dove in mancanza di un versamento dei soci è normale che si proceda alla liquidazione della società. 4 Si fa riferimento al principio di revisione 570 “Continuità aziendale” emesso dalla commissione paritetica per i principi di revisione dei Dottori e Ragionieri commercialisti nell’ottobre del 2007. 5 Si fa riferimento al citato art. 2423 bis del codice civile 6 D’altro canto neanche la legge italiana indica quali debbano essere le verifiche da effettuare e quale informativa sia necessario inserire nella nota integrativa. 7 Il principio a cui ci si riferisce è lo IAS 1 liberamente scaricabile dal sito dell’OIC (www.fondazioneoic.it) 8 Si fa riferimento al paragrafo 24 dello IAS 1 che recita “nel determinare se il presupposto della prospettiva della continuazione dell’attività è applicabile, la direzione aziendale tiene conto di tutte le informazioni disponibili sul futuro, che è relativo ad almeno, ma non limitato, a dodici mesi dopo la data di riferimento del bilancio.” 27 CONTRIBUTI DI APPROFONDIMENTO La continuità aziendale nell’attuale contesto economico-finanziario. Riflessi sul bilancio e sul lavoro di revisione legale dei conti ciascun caso. La IAS 1 dice che quando la società ha una storia di redditività e di facile accesso alle risorse finanziarie, la conclusione che il presupposto della continuità aziendale sia appropriato può essere raggiunta senza la necessità di ricorrere a dettagliate analisi. In altri casi, la direzione aziendale potrà aver bisogno di considerare una vasta gamma di fattori relativi tra l’altro alla redditività attuale e attesa, alla liquidità esistente e prevista, ai vincoli relativi ai piani di rimborso dei debiti, alle potenziali fonti di finanziamento alternative etc…, prima di ritenere che sussista il presupposto della continuità aziendale. Il principio di revisione 570 fornisce alcuni esempi (ovviamente non esaustivi) di eventi o condizioni di natura economico-finanziaria, gestionale e generale, che possono far nascere dei dubbi sulla continuità aziendale. Essi sono: Indicatori economici-finanziari − situazione di deficit patrimoniale o di capitale circolante netto negativo; − prestiti a scadenza fissa e prossimi alla scadenza senza che vi siano prospettive verosimili di rinnovo o di rimborso; oppure eccessiva dipendenza da prestiti a breve termine per finanziare attività a lungo termine; − indicazioni di cessazione del sostegno finanziario da parte dei finanziatori e altri creditori; − bilanci storici o prospettici che mostrano cash flow negativi; − principali indici economico-finanziari negativi; − consistenti perdite operative o significative perdite di valore delle attività che generano cash flow; − mancanza o discontinuità nella distribuzione dei dividendi; − incapacità di saldare i debiti alla scadenza; − incapacità nel rispettare le clausole contrattuali dei prestiti; − cambiamento delle forme di pagamento concesse dai fornitori dalla condizione “a credito” alla condizione “pagamento alla consegna”; − incapacità di ottenere finanziamenti per lo sviluppo di nuovi prodotti ovvero per altri investimenti necessari. Indicatori gestionali − perdita di amministratori o di dirigenti chiave senza riuscire a sostituirli; − perdita di mercati fondamentali, di contratti di distribuzione, di concessioni o di fornitori importanti; − difficoltà nell’organico del personale o difficoltà nel mantenere il normale flusso di approvvigionamento da importanti fornitori. Altri indicatori − capitale ridotto al di sotto dei limiti legali o non conformità ad altre norme di legge; − contenziosi legali e fiscali che, in caso di soccombenza, potrebbero comportare obblighi di risarcimento che l’impresa non è in grado di rispettare; − modifiche legislative o politiche governative dalle quali si attendono effetti sfavorevoli per l’impresa. Si sottolinea innanzitutto come il principio di revisione ponga enfasi specialmente sulla crisi finanziaria e sui suoi indicatori, talora con esempi che non sempre si adattano alla realtà italiana e forse tanto meno a quella delle piccole e medie imprese (si pensi alla mancanza o discontinuità nel pagamento dei dividendi oppure alla eccessiva dipendenza da prestiti a breve termine per finanziare attività a lungo termine). Questi esempi rafforzano il concetto di come la verifica non potrà essere condotta sulla base di una check list precodificata applicabile ad ogni fattispecie, in quanto la 28 La continuità aziendale nell’attuale contesto economico-finanziario. Riflessi sul bilancio e sul lavoro di revisione legale dei conti complessità delle analisi richiederà conoscenze professionali approfondite e diversificate, ma, soprattutto, richiederà frequenti decisioni da parte del revisore su quali aspetti siano meritevoli di approfondimento per concludere che la continuità aziendale esiste. Gli amministratori in primis e il revisore di conseguenza, dovranno utilizzare tutti gli elementi a loro disposizione per giudicare se è corretto che il bilancio periodico venga redatto in continuità aziendale. Un’altra importante riflessione che emerge dagli esempi del principio di revisione è la constatazione di come la redazione del bilancio (e quindi di una fotografia di eventi passati) richieda obbligatoriamente e preliminarmente la necessità di approfondire gli aspetti futuri della gestione aziendale. Si sottolinea questo in quanto troppo spesso nella prassi applicativa le verifiche di revisione sono principalmente focalizzate all’esame della correttezza delle voci di bilancio, e quindi indirizzate ad acquisire elementi probatori di eventi del passato, con poca attenzione a ciò che si prevede che succeda nella futura gestione dell’azienda. Il principio 570, seppur relativo a situazioni d’incertezza sulla continuità aziendale, pone grande enfasi all’esame preliminare del futuro e quindi di budget, piani e previsioni di cash flow come condizioni essenziali e necessariamente preliminari per giudicare se, ad esempio, le attività possono essere iscritte a quel valore visto che nel bilancio, come ricordato sopra, un bene aziendale ha un valore se e solo se dimostra di possedere la capacità di produrre un reddito futuro. In termini generali si può quindi concludere che per tutti gli organi coinvolti nella redazione o nella verifica del bilancio, siano essi amministratori, sindaci o revisori, il fatto di predisporre o esaminare delle ipotesi più o meno formalizzate sul futuro dell’azienda (quindi budget e/o piani pluriennali) è non solo opportuno ma talora, come nel caso di specie, indispensabile per redigere un bilancio d’esercizio o consolidato e quindi un bilancio in continuità aziendale. 3. Le verifiche del revisore Al revisore spetta l’arduo compito di supervisionare le ipotesi e le analisi che gli amministratori fanno per verificare la continuità aziendale con la finalità di giudicare se esse siano appropriate o meno per redigere un bilancio in going concern. Anche per il principio 570 i 12 mesi rappresentano il periodo minimo di riferimento. Se le previsioni degli amministratori dovessero coprire un orizzonte temporale inferiore ai 12 mesi dalla data di chiusura dell’esercizio, il revisore deve chiedere agli amministratori che le loro previsioni siano estese ad almeno 12 mesi. Il principio non è esplicito nell’indicare cosa deve fare il revisore in caso di previsioni inferiori a 12 mesi. La mancanza di una formulazione esplicita ben si concilia con il fatto che il lavoro di revisione è considerato un insieme di procedure di verifica che si effettuano sulla base di principi di revisione generali, ma dove al revisore è lasciata una autonomia (ovviamente professionale) sulle decisioni e reazioni da prendere in caso di mancato rispetto di alcuni punti fondamentali del processo di revisione. Tutto ciò è in linea con la possibilità per il revisore di emettere un giudizio graduato sul bilancio9 (positivo, positivo con paragrafo d’enfasi, con rilievi, negativo, impossibilità di esprimere un giudizio), giudizio che rientra nella sua autonomia e che genera responsabilità dirette in caso di errori10. Nella prassi, l’incapacità del management di fornire previsioni di almeno 12 mesi viene quasi sempre interpretata come una grave lacuna al processo di revisione e quindi difficilmente il revisore emetterà un giudizio positivo 9 La relazione graduata del revisore contabile è ora regolata dalla nuova formulazione dell’art. 2409 ter c.c. a seguito delle modifiche introdotte dal Decreto Legislativo 2 febbraio 2007, n. 32. Gli standard in uso sono liberamente scaricabili dal sito della Assirevi (www.assirevi.it) (doc. 90) che tuttavia saranno soggetti a modifiche visto che la nuova formulazione dell’art 2409 ter c.c. richiede al Revisore anche un giudizio sulla coerenza della relazione sulla gestione con il bilancio fattispecie fino ad oggi non prevista nella relazione standard. 10 A titolo di esempio la dottrina giurisprudenziale ritiene che il giudizio positivo sul bilancio di esercizio sia di fatto una sorta di garanzia per coloro che prendono decisioni sulla base dello stesso (azionisti, investitori, banche, terzi); in pratica, un giudizio positivo sul bilancio di esercizio porterebbe a ritenere i terzi che l’azienda sia in grado di proseguire la propria attività in condizioni di continuità per almeno 12 mesi dalla data di chiusura dell’esercizio di riferimento. 29 sul bilancio. Un secondo aspetto riguarda la supervisione delle ipotesi formulate. In linea generale il revisore, nell’esaminare le ipotesi formulate dagli amministratori, deve prestare particolare attenzione non solo alla ragionevolezza delle spiegazioni che il management fornirà, ma anche nel verificare se la direzione aziendale abbia tenuto conto di tutti gli elementi rilevanti di cui il revisore è venuto a conoscenza nell’ambito delle verifiche svolte nel corso del suo lavoro. Esempi di verifiche di revisione che il revisore conduce per assicurarsi che le ipotesi formulate dalla direzione aziendale siano ragionevoli sono le seguenti: Esempi di procedure di revisione per la supervisione della continuità aziendale − analizzare e discutere con la direzione aziendale i flussi finanziari, i risultati e altre previsioni rilevanti; − analizzare e discutere con la direzione aziendale l’ultimo bilancio periodico disponibile; − verificare il puntuale pagamento dei debiti e dei prestiti nel periodo successivo alla chiusura dell’esercizio; − leggere i libri sociali per individuare se ci sono riferimenti a difficoltà finanziarie; − richiedere ai legali della società se esistono cause o richieste di danni con la stima del loro possibile ammontare e probabilità; − ricevere conferma se esistono obblighi legali o contrattuali da parte di terzi per garantire il sostentamento finanziario della società oltre a verificare se le terze parti hanno le necessarie risorse finanziarie per far fronte agli impegni presi; − considerare la capacità dell’azienda di far fronte ad ordini della clientela non evasi; − esaminare gli eventi del periodo successivo alla chiusura dell’esercizio per valutare quelli che mitigano o peggiorano le condizioni di incertezza sottese alla continuità aziendale. Visto che in molti casi si tratta di valutare la ragionevolezza di eventi futuri, il principio richiede inoltre di verificare, sulla base di ciò che è avvenuto nel passato, la capacità degli amministratori nel formulare previsioni. Sia nell’aspetto economico che in quello finanziario la comparazione dei risultati raggiunti con quelli previsti e l’esame della natura e dell’ammontare degli scostamenti sarà per il revisore un ulteriore elemento di giudizio per verificare la credibilità delle previsioni formulate dagli amministratori. 4. I recenti contributi degli organismi nazionali e internazionali L’attuale scenario economico-finanziario ha richiesto l’intervento di organismi professionali sia italiani che internazionali per enfatizzare la criticità della verifica del presupposto della continuità aziendale per la redazione del bilancio periodico. Prima lo IAASB11 poi la CONSOB12 hanno emesso documenti che sono da guida per la verifica dell’esistenza di questo presupposto oltre a fornire suggerimenti e raccomandazioni per i revisori sia dal lato delle verifiche di supervisione, che della struttura della relazione nelle varie fattispecie ipotizzabili. Anche se entrambi i contributi nascono in un contesto specialmente riferito alle società quotate (e quindi nel “mondo IAS” vista la delicatezza della informativa per tali tipi di società), è opinione comune che tali raccomandazioni debbano essere applicate, seppur con i necessari adattamenti, anche alle imprese non quotate e/o di minori 11 Ci si riferisce al documento del 20 gennaio 2009 "Audit considerations in respect of going concern in the current economic environment” liberamente scaricabile dal sito www.ifac.org . Ci si riferisce alla comunicazione Consob Dem/9012559 del 6 febbraio 2009 liberamente scaricabile dal sito www.consob.it e al documento congiunto Banca d'Italia/Consob/Isvap n. 2 del 6 febbraio 2009 “Informazioni da fornire nelle relazioni finanziarie sulla continuità aziendale, sui rischi finanziari, sulle verifiche per riduzione di valore delle attività e sulle incertezze nell’utilizzo di stime” sempre scaricabile da sito Consob. 12 30 La continuità aziendale nell’attuale contesto economico-finanziario. Riflessi sul bilancio e sul lavoro di revisione legale dei conti dimensioni13. Quali sono i punti fondamentali di questi documenti? Innanzi tutto sono espliciti nell’indicare che non viene prescritto alcun obbligo ulteriore rispetto a quelli già previsti dalla normativa e/o dai principi (contabili e di revisione) vigenti.14 Tuttavia sono più che espliciti (seppur con qualche differenza) nell’enfatizzare la necessità di una diligente applicazione di questi principi oltre a fornire alcuni esempi delle possibili informative da riportare in bilancio nelle varie fattispecie. Relativamente agli aspetti più importanti essi possono essere riassunti in: Il presupposto della continuità aziendale è il principio essenziale e fondamentale per la preparazione del bilancio d’esercizio; La valutazione dell’esistenza della continuità è di competenza degli amministratori; La verifica che l’uso della continuità da parte degli amministratori sia appropriato, deve essere effettuato in OGNI incarico di revisione legale dei conti; La crisi economico-finanziaria comporta una criticità nel ricorso alle risorse finanziarie necessarie alla normale prosecuzione dell’attività che può influenzare negativamente il presupposto della continuità aziendale; al revisore è richiesto di valutare con grande attenzione e con il dovuto scetticismo professionale le analisi predisposte dal management a supporto dell’esistenza del presupposto; Adeguata informativa deve essere data in bilancio (sulle verifiche effettuate e sugli esiti di queste verifiche) che espliciti se la continuità aziendale esiste o non esiste, o se vi sono incertezze sulla sua esistenza; Riepilogo dei tipi di giudizio che il revisore deve emettere nelle varie circostanze e sulla necessità o meno di aggiungere un paragrafo d’enfasi dopo il paragrafo del giudizio. Le richieste sono pressoché uniformi tra organismi nazionali e internazionali salvo l’aspetto del paragrafo d’enfasi. Lo IAASB ritiene che, se il presupposto esiste e se viene data una adeguata informativa in bilancio, il revisore debba emettere una giudizio positivo senza inserire un paragrafo d’enfasi di richiamo della informativa data dagli amministratori. La Consob suggerisce invece di inserire in ogni caso un paragrafo d’enfasi anche in presenza di un giudizio positivo. Il paragrafo d’enfasi servirà, a seconda dei casi: - per sottolineare l’esistenza di un’incertezza significativa legata ad un evento o ad una circostanza che può far sorgere dubbi significativi in merito alla continuità aziendale dell’impresa; - per richiamare l’attenzione sull’informativa resa in bilancio che descrive gli aspetti sopra menzionati. Viene inoltre sottolineato da entrambi i documenti che, vista la crisi in atto, la considerazione dello IAS 1 (che prevedeva che quando la società ha una storia di redditività e di facile accesso alle risorse finanziarie la conclusione che il presupposto della continuità aziendale sia appropriato può essere raggiunta senza la necessità di ricorrere a dettagliate analisi), vada rivista e sia invece più opportuno effettuare analisi per verificare se questo facile accesso al credito potrà essere ancora attuale nel futuro alla luce del nuovo e mutato mercato finanziario (cd. credit crunch). Viene inoltre esplicitato che i dubbi sulla continuità aziendale devono essere oltre che teoricamente possibili, anche realisticamente probabili per l’azienda, per determinare riflessi sulla informativa o sui dati di bilancio. Tale ovvia specificazione pone tuttavia limiti al generico allarmismo che pervade le previsioni dei maggiori economisti riconducendo il tutto ad un serio giudizio professionale di probabilità per la specifica azienda oggetto di esame. Solo se le incertezze sono ritenute probabili per la specifica 13 D’altronde essendo il presupposto della continuità aziendale indispensabile per ogni bilancio d’impresa di qualsiasi dimensione ne consegue che gli obblighi di verifica e di informativa sono validi per la generalità delle imprese. A titolo esemplificativo si riporta un passaggio del documento congiunto del 6 febbraio: “La presente comunicazione non ha un contenuto precettivo autonomo, in quanto non introduce alcuno obbligo ulteriore, bensì richiama tutti i partecipanti al processo di elaborazione delle relazioni finanziarie ad una puntuale ed esaustiva applicazione delle norme e dei principi contabili di riferimento considerati nella loro interezza”. 14 31 azienda sarà necessario riflettere i dubbi nel bilancio; in caso contrario, le informazioni sul contesto economico-finanziario generale saranno parte della generica informativa che gli amministratori danno sull’andamento dell’esercizio. 5. L’informativa Descritta la necessità d’informativa, resta da indicare dove essa debba essere riportata in bilancio. Tralasciando il mondo IAS (dove non è così precisa la suddivisione tra nota integrativa e relazione sulla gestione) ci si riferirà all’informativa da riportare nel bilancio IV direttiva, sia esso d’esercizio o consolidato. L’art. 2428 CC nell’attuale formulazione prevede tra l’atro la descrizione nella relazione sulla gestione dei principali rischi ed incertezze a cui è soggetta la società. Ne consegue che la relazione sulla gestione sia la giusta sede per descrivere le verifiche e gli esiti dei test volti a confermare la continuità aziendale. Tuttavia si ritiene adeguato (la stessa Consob si esprime in questo senso) che quando sussistono dubbi significativi circa la capacità dell’impresa di proseguire la propria attività in continuità aziendale tali dubbi e incertezze debbano essere chiaramente esplicitati in nota integrativa. Ne consegue che la fattispecie vada sempre riportata in relazione sulla gestione, specie con riferimento al contesto generale e alla azienda nel suo complesso, con un rimando alla nota integrativa per i necessari approfondimenti relativi alle significative incertezze sottese alle varie voci di bilancio. La necessità di evidenziare l’informativa anche in nota integrativa conduce, ad avviso dello scrivente, all’obbligatorietà di questa informativa anche per le aziende che redigono il bilancio in forma abbreviata dove la relazione sulla gestione non è obbligatoria. 6. I giudizi del revisore sul bilancio Mentre nel lontano passato era possibile, vista la delicatezza delle analisi e la necessità del revisore di acquisire elementi probativi sufficientemente certi, emettere un giudizio condizionato sul bilancio,15 che tuttavia ingenerava confusione nei fruitori dello stesso, già da molti anni il giudizio16 può essere solo o positivo (quasi sempre con un richiamo di informativa sul fenomeno17) o non positivo (nelle due differenti versioni di “negativo” o “impossibilità di esprimere un giudizio”). La continuità aziendale è così importante per la redazione del bilancio d’esercizio che i principi di revisione non tollerano che il revisore possa nutrire dei dubbi su di essa. O il revisore si convince che le ipotesi formulate dagli amministratori sulla continuità aziendale sono credibili e sostenibili e quindi si associa ad essi con un giudizio positivo, o, se non si convince, (e questo può avvenire anche quando le ipotesi degli amministratori sono credibili ma le loro stime contengono un ampio margine di incertezza circa la realizzabilità), è costretto a censurare il bilancio con un giudizio non positivo. Un quadro di sintesi dei comportamenti auspicabili da parte dei vari attori nelle varie fattispecie può essere il seguente: 15 Si trattava di un giudizio che la professione chiamava tecnicamente subject to con il quale il revisore, dopo un’ampia descrizione dei fenomeni che conducevano all’incertezza sulla continuità aziendale riportato in un apposito paragrafo, emetteva un giudizio sul tipo: A nostro giudizio, subordinatamente ai possibili effetti dei fenomeni descritti nel paragrafo xx, …., il bilancio d'esercizio della … è conforme alle norme che ne disciplinano i criteri di redazione; esso pertanto è redatto con chiarezza e rappresenta in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria e il risultato economico della società. 16 Tale comportamento è consolidato dall’introduzione del vecchio principio di revisione n° 21 del gennaio del 1995. 17 Il richiamo d’informativa dovrà fare riferimento alle informazioni riportate dagli amministratori nella nota integrativa. Se, a giudizio del revisore, l’informativa di bilancio dovesse risultare incompleta tale eccezione richiederebbe l’emissione di un giudizio con rilievi, visto che il richiamo d’informativa non può sanare carenze d’informativa presenti in bilancio. 32 La continuità aziendale nell’attuale contesto economico-finanziario. Riflessi sul bilancio e sul lavoro di revisione legale dei conti EFFETTI PER AMMINISTRATORI E REVISORI A CONCLUSIONE DEI TEST SULLA CONTINUITÀ AZIENDALE Conseguenze per gli Conseguenze per il giudizio del Risultati dell’esame amministratori revisore sul bilancio sull’informativa Gli amministratori Il bilancio DEVE in ogni caso Il giudizio sarà positivo. È consigliato concludono che la riportare l’informativa sulle un paragrafo d’enfasi anche se il continuità aziendale conclusioni raggiunte e sui revisore potrà comunque concludere di esiste. Non sono stati metodi utilizzati per arrivare non metterlo identificati significativi a tali conclusioni dubbi o incertezze. La continuità aziendale Il bilancio deve descrivere le Se il revisore concorda con il esiste ma sono presenti incertezze significative e management, giudizio positivo con anche significative spiegare i motivi per cui si paragrafo d’enfasi. Se non concorda, incertezze sulla stessa. ritiene comunque esistente il giudizio negativo o impossibilità di presupposto della continuità esprimere un giudizio. Se carenza di informativa sempre giudizio negativo aziendale sia che sia in accordo che in disaccordo La continuità aziendale Il bilancio deve descrivere i Il giudizio sul bilancio sarà adattato alla situazione e sarà non esiste motivi che hanno indotto gli particolare amministratori a redigere il normalmente positivo. Un paragrafo bilancio non in continuità e d’enfasi è comunque consigliabile per deve inoltre esplicitare i richiamare i motivi che hanno indotto il principi contabili che management a ritenere non adeguato verranno utilizzati nella il presupposto della continuità aziendale fattispecie Si ricorda inoltre che il novellato art. 2409-ter CC prevede da parte del revisore l’espressione di un giudizio di coerenza18 della relazione sulla gestione con il bilancio (sia esso d’esercizio o consolidato). Tale giudizio per volontà esplicita del legislatore deve essere esposto nella relazione del revisore in un paragrafo aggiuntivo e successivo rispetto a quello in cui il revisore esprime il proprio giudizio sul bilancio.19 Pur essendo posto sotto il paragrafo del giudizio sul bilancio, il giudizio di coerenza dovrà tuttavia tener conto della tipologia di giudizio che il revisore ha espresso sul bilancio. Di seguito un prospetto di sintesi che riepiloga la natura del giudizio di coerenza in presenza dei differenti tipi di giudizio sul bilancio. 18 Un utile supporto a tal fine è rappresentato dal principio di revisione PR 001 approvato dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili nella seduta del 11 e 12 febbraio 2009 e adottato dalla Consob con delibera n. 16801 del 24 febbraio 2009 liberamente scaricabile dal sito www.cndcec.it 19 La dicitura standard, in caso di giudizio senza rilievi viene suggerita dal principio di revisione 001 come la seguente: “La responsabilità della redazione della relazione sulla gestione in conformità a quanto previsto dalle norme di legge [e dai regolamenti] compete agli amministratori della ABC S.p.A.. E’ di nostra competenza l’espressione del giudizio sulla coerenza della relazione sulla gestione con il bilancio, come richiesto dall’art. [156, comma 4-bis, lettera d), del D.Lgs. 58/98][2409-ter, comma 2, lettera e), del Codice Civile]. A tal fine, abbiamo svolto le procedure indicate dal principio di revisione n. PR 001 emanato dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili e raccomandato dalla Consob. A nostro giudizio la relazione sulla gestione è coerente con il bilancio [d’esercizio] [consolidato] della ABC S.p.A. al [giorno mese anno].” 33 Tipologia di giudizio sul bilancio Positivo senza rilievi Relazione sulla gestione Informativa coerente Informativa significative con Effetti sul giudizio di coerenza Giudizio positivo incoerenze Giudizio con rilevi Informativa con incoerenze Giudizio avverso significative e molteplici o pervasive Rilievi per divergenza rispetto Informativa coerente o con Effetto sul giudizio sulla ai principi contabili di incoerenze significative coerenza da valutare riferimento nelle specifiche circostanze ma difficilmente positivo Rilievi per limitazioni al Informativa coerente o con Effetto sul giudizio sulla processo revisionale rispetto ai incoerenze significative coerenza da valutare principi di revisione di nelle specifiche circostanze ma riferimento difficilmente positivo Impossibilità di espressione del Informativa coerente o con Impossibilità di esprimere il giudizio per limitazioni al incoerenze significative giudizio di coerenza procedimento di revisione o per significative incertezze Giudizio avverso Informativa coerente o con Impossibilità di esprimere il incoerenze significative giudizio di coerenza 34 PROCEDURE DI REVISIONE E RELAZIONE DI REVISIONE CON PROBLEMATICHE CONNESSE ALLA CONTINUITA’ AZIENDALE * a cura del Comitato Scientifico Centro Studi Tributari Euroconference I A. Adeguato comportamento dell’organo amministrativo L’art. 2428 c.c. – nonché l’art. 3 del decreto legislativo n. 87/92 e gli artt. 94 e 100 del decreto legislativo n. 209/05 - richiedono che nella Relazione sulla gestione gli amministratori forniscano una descrizione dei principali rischi e incertezze cui la società è esposta connessi anche alla continuità aziendale. Il concetto di continuità aziendale implica che la società continuerà nella sua esistenza operativa per un futuro prevedibile; gli amministratori devono tener conto di tutte le informazioni disponibili sul futuro, che è relativo ad almeno (ma non limitato a) dodici mesi dopo la data di riferimento del bilancio. Il grado dell’analisi dipende dalle specifiche circostanze di ciascuna società. In alcuni casi, può esservi la necessità di “considerare una vasta gamma di fattori relativi alla redditività attuale e attesa, ai piani di rimborso dei debiti e alle potenziali fonti di finanziamento alternative, prima di ritenere che sussista il presupposto della continuità aziendale” (IAS 1, paragrafo 24). Laddove gli amministratori ritengano che, pur risultando appropriato l' utilizzo del presupposto della continuità aziendale, sussistano tuttavia rilevanti incertezze, tali da far sorgere dubbi significativi circa la capacità dell'impresa di proseguire la propria attività in continuità aziendale, tali incertezze e i correlati significativi dubbi dovranno essere chiaramente esplicitati come tali, (IAS 1, paragrafo 23). Per quanto concerne il contenuto delle informazioni relative al presupposto della continuità aziendale, gli amministratori possono trovarsi al termine dell’esame di fronte a tre scenari: 1. 2. * (SCENARIO N. 1 – RAGIONEVOLE ASPETTATIVA DI CONTINUITA’ CON INCERTEZZE NON SIGNIFICATIVE) hanno la ragionevole aspettativa che la società continuerà con la sua esistenza operativa in un futuro prevedibile ed hanno preparato il bilancio nel presupposto della continuità aziendale; le eventuali incertezze rilevate non risultano essere significative e non generano dubbi sulla continuità aziendale (scenario 1): qualora siano state riscontrate eventuali incertezze, queste andranno descritte, nella relazione sulla gestione congiuntamente agli eventi ed alle circostanze che hanno condotto gli amministratori a considerare tali incertezze superabili e a considerare raggiunto il presupposto della continuità aziendale) (SCENARIO N. 2 – IDENTIFICAZIONE DI FATTORI POTENZIALEMENTE GENERATORI DI DUBBI SIGNIFICATIVI – ADEGUATA ESPOSIZIONE DI SIGNIFICATIVE INCERTEZZE) hanno identificato fattori che possono far sorgere dubbi significativi sulla capacità della società di continuare la propria operatività per un prevedibile futuro, ma considerano che sia comunque appropriato utilizzare il presupposto della continuità aziendale per redigere il bilancio (scenario 2): si richiama innanzitutto l’attenzione sulla necessità di indicare in modo esplicito, nelle note al bilancio, la sussistenza delle significative incertezze riscontrate che possono determinare dubbi significativi sulla continuità aziendale. Dovranno, inoltre, essere descritte in maniera adeguata l’origine e la natura di tali incertezze, nonché le argomentazioni a sostegno della Pezzo aggiornato al 27/02/2012 (Sesta giornata del Master Breve 2011/2012 – Area approfondimento) ** Articolo tratto da “La Circolare Tributaria” Euroconference n.10/2011 35 CONTRIBUTI DI APPROFONDIMENTO I. Continuità aziendale - l’informativa da rendere decisione di redigere comunque il bilancio adottando il presupposto della continuità aziendale. (SCENARIO N. 3 – IMPROBABILE CONTINUITA’ AZIENDALE – BILANCIO REDATTO IN ASSENZA DI PRESUPPOSTO DI CONTINUITA’ AZIENDALE) considerano che sia improbabile che la società continui la propria esistenza operativa in un futuro prevedibile e non ritengono appropriato redigere il bilancio sul presupposto della continuità aziendale (scenario 3). 3. B. Adeguato comportamento del Revisore contabile Come ricordato nel Documento Banca d’Italia/CONSOB/ISVAP n. 2 del 6 febbraio 2009 , gli amministratori hanno la responsabilità della valutazione della continuità aziendale dell’impresa ai fini della predisposizione del bilancio e, nell’attuale contesto, tale valutazione richiede particolare accuratezza; i revisori, come stabilito dal Documento 570, hanno altresì la responsabilità di valutare quanto effettuato dagli amministratori e svolgere le procedure di revisione indicate nel principio. Indicatori finanziari A tal proposito, una esemplificazione di tali indicatori è stata elaborata in sede di definizione del principio di revisione Documento n. 570 sulla “Continuità aziendale” che il Revisore è tenuto a rispettare. I revisori, nell’ambito della loro responsabilità professionale, sono quindi tenuti a valutare l’appropriato utilizzo del presupposto della continuità aziendale ed a considerare se vi siano delle incertezze significative sulla stessa tali da doverne dare informativa in bilancio. Si riportano gli indicatori di cui al documento suddetto sottoforma di check list operativa. (La risposta SI rappresenta un elemento negativo ai fini della continuità aziendale. La qualità e la quantità delle risposte determinano la rilevanza di debiti nella continuità aziendale – N.d.r.) Gli indicatori rilevanti ai fini della “Continuità aziendale” (Documento n. 570) Sussiste una situazione di deficit patrimoniale o di capitale circolante netto negativo? Sussistono prestiti a scadenza fissa e prossimi alla scadenza senza che vi siano prospettive verosimili di rinnovo o di rimborso; oppure eccessiva dipendenza da prestiti a breve termine per finanziare attività a lungo termine? Risultano indicazioni di cessazione del sostegno finanziario da parte dei finanziatori e altri creditori? I bilanci storici o prospettici mostrano cash flow negativi? 36 I principali indici economico-finanziari sono negativi? Risultano consistenti perdite operative o significative perdite di Valore delle attività che generano cash flow? Risulta una mancanza o discontinuità nella distribuzione dei dividendi? Risulta una incapacità di saldare i debiti alla scadenza? Risulta evidenziata una incapacità nel rispettare le clausole contrattuali dei prestiti? Si rileva un cambiamento delle forme di pagamento concesse dai fornitori dalla condizione “a credito” alla condizione “pagamento alla consegna”? SI NO N/A Procedure di revisione e relazione di revisione con problematiche connesse alla continuita’ aziendale Indicatori gestionali Altri indicatori E’ stata riscontrata incapacità di ottenere finanziamenti per lo sviluppo di nuovi prodotti ovvero per altri investimenti necessari? Si rileva una perdita di amministratori o di dirigenti chiave senza riuscire a sostituirli? Si rileva una perdita di mercati fondamentali, di contratti di distribuzione, di concessioni o di fornitori importanti? Si rilevano difficoltà nell’organico del personale o difficoltà nel mantenere il normale flusso di approvvigionamento da importanti fornitori? Il capitale è ridotto al di sotto dei limiti legali ovvero una non conformità ad altre norme di legge? I contenziosi legali e fiscali che, in caso di soccombenza, potrebbero comportare obblighi di risarcimento che l’impresa non è in grado di rispettare? Sussistono modifiche legislative o politiche governative dalle quali si attendono effetti sfavorevoli all’impresa? Qualora siano identificati degli eventi o circostanze che possano far sorgere dei dubbi significativi sulla continuità aziendale dell’impresa, il revisore deve: a. esaminare e valutare i piani d’azione futuri della direzione che si basano sulla valutazione della continuità aziendale effettuata dalla stessa; b. raccogliere elementi probativi sufficienti e appropriati per confermare o meno l’esistenza di una incertezza significativa, mediante lo svolgimento delle procedure di revisione ritenute necessarie, considerando anche l’effetto di eventuali piani della direzione o altri fattori attenuanti; c. ottenere elementi probativi sufficienti ed appropriati che confermino la fattibilità dei piani della direzione nonché valutare il fatto che la loro realizzazione porterà ad un miglioramento della situazione; d. stabilire se sono venuti alla luce ulteriori fatti o informazioni successivamente alla data in cui la direzione ha effettuato la propria valutazione; e. richiedere alla direzione delle attestazioni scritte relative ai piani d’azione futuri. Al riguardo si sottolinea che, a seguito dell’attuale crisi finanziaria ed economica, è probabile che il revisore possa identificare eventi e circostanze che lo inducano a svolgere le procedure di revisione sopra richiamate. Per quanto concerne il punto sub. b) predetto il Revisore per raccogliere sufficienti ed appropriate evidenze circa la capacità dell’impresa di permanere in funzionamento nel prevedibile futuro può applicare le seguenti procedure che possono essere rilevanti in questa circostanza: 37 • • • • Da documento n. 570 Eseguire un’analisi dei flussi di cassa, della redditività e degli altri dati previsionali rilevanti, che è opportuno siano discussi anche con la Direzione aziendale; Eseguire una valutazione degli eventi verificatisi successivamente alla data di chiusura del bilancio che possono influenzare la capacità dell’impresa di mantenersi in funzionamento; Esaminare con la Direzione gli ultimi bilanci intermedi; Verificare la capacità dell’impresa di evadere gli ordini dei clienti; SI NO N/A • Eseguire un’analisi dei termini di scadenza dei prestiti obbligazionari e degli eventuali finanziamenti necessari; • Esaminare i verbali delle assemblee, dei consigli di amministrazione, dei comitati esecutivi e del Collegio Sindacale per constatare se vi sono riferimenti a difficoltà finanziarie; • Richiedere ai consulenti legali informazioni su eventuali procedimenti giudiziari o altre pretese di terzi; • Confermare l’esistenza, la regolarità e la possibilità di rendere esecutivi accordi diretti a fornire o a mantenere un sostegno finanziario da parti correlate o da terzi e valutare la capacità finanziaria di dette parti di apportare ulteriori informazioni. In caso di dubbio in merito alla prospettiva di continuità aziendale, è possibile che alcune procedure assumano maggiore importanza oppure che sia necessario adottare ulteriori procedure. Nella valutazione dei dati finanziari quali i flussi di cassa, la redditività e le altre previsioni rilevanti, il Revisore deve preventivamente verificare l’attendibilità del sistema amministrativo-contabile responsabile della generazione di tali informazioni. II. Informativa di bilancio in merito alle "incertezze significative" II A. Adeguato comportamento dell’organo amministrativo Qualora il presupposto della continuità aziendale sia ritenuto adeguato ma sussistano incertezze significative per eventi e circostanze che, presi singolarmente o nel loro complesso, possono far sorgere significativi dubbi al riguardo, gli amministratori devono predisporre un’adeguata informativa in bilancio in merito a tali incertezze. II B. Adeguato comportamento del Revisore contabile Il revisore, ai fini dell’espressione del proprio giudizio sul bilancio, deve quindi valutare tale informativa, ed in particolare egli deve valutare se il bilancio: a. descrive adeguatamente i principali eventi o circostanze che fanno sorgere dubbi significativi in merito alla capacità dell’impresa di continuare la propria attività ed i piani della direzione per far fronte a tali eventi o circostanze; b. evidenzia chiaramente che esiste un’incertezza significativa relativa a eventi o circostanze che possono far sorgere dubbi significativi sulla continuità aziendale dell’impresa e, di conseguenza, che la stessa può non essere in grado di realizzare le proprie attività e far fronte alle proprie passività durante il normale corso della sua attività. 38 Procedure di revisione e relazione di revisione con problematiche connesse alla continuita’ aziendale III. Inclusione di un richiamo di informativa (paragrafo di enfasi) nella relazione di revisione Adeguato comportamento del Revisore contabile Sulla base degli elementi probativi acquisiti dallo svolgimento delle procedure, il revisore stabilisce l’adeguatezza della valutazione del presupposto della continuità aziendale effettuata dalla direzione e la tipologia di giudizio da emettere. Se il revisore concorda con la valutazione effettuata dalla direzione, egli, previa valutazione dell’adeguatezza dell’informativa fornita dagli amministratori in bilancio, è nelle condizioni di esprimere un giudizio senza rilievi. Se, in presenza di un presupposto di continuità aziendale adeguato, sulla base degli elementi probativi ottenuti, il revisore stabilisce che, a suo giudizio, esiste un’incertezza significativa legata ad eventi o circostanze che, considerati singolarmente o nel loro insieme, possano far sorgere dei dubbi significativi riguardo alla continuità aziendale dell’impresa, come ricordato al paragrafo precedente, egli deve valutare l’informativa fornita in bilancio. Al riguardo, nel recente documento emanato il 20 gennaio, lo IAASB chiarisce l’attuale contenuto del paragrafo 31 dell’ISA 570 riportato anche nel Documento 570, precisando che un’incertezza significativa esiste quando la portata del suo effetto potenziale e la probabilità dell’effettiva realizzazione dell’evento incerto, è tale che, a giudizio del revisore, si rende necessaria un’informativa adeguata sulla natura e sulle implicazioni di tale incertezza, affinché la presentazione nel bilancio della situazione economica e finanziaria sia veritiera e corretta. Se l’informativa fornita in bilancio è adeguata, il revisore deve esprimere un giudizio informativo adeguato senza rilievi, ma deve inserire nella propria relazione un paragrafo d’enfasi: per sottolineare l’esistenza di un’incertezza significativa legata ad un evento o ad una circostanza che può far sorgere dubbi significativi in merito alla continuità aziendale dell’impresa; per richiamare l’attenzione sull’informativa resa in bilancio che descrive gli aspetti sopra menzionati. Qualora invece, sulla base degli elementi probativi ottenuti, a giudizio del revisore, non sussista un’incertezza significativa che possa far sorgere dubbi significativi riguardo alla continuità aziendale dell’impresa, il Documento 570, ed il più recente documento dello IAASB del 20 gennaio 2009, non richiedono l’inserimento nella relazione di revisione di un paragrafo di enfasi (richiamo d informativa). Qualora la direzione fornisca un’informativa riguardo alle incertezze che l’impresa dovrà affrontare nell’attuale contesto economico finanziario, ma tali incertezze non sono considerate tali da porre dubbi significativi sulla continuità aziendale dell’impresa gli amministratori forniranno altresì adeguata informativa sugli eventi o circostanze che li hanno indotti a ritenere tali incertezze superabili. In tal caso, pur non essendo richiesto, il revisore può inserire un paragrafo di enfasi che richiami quanto illustrato dagli amministratori. Per completezza, deve poi essere ricordato che quando il presupposto della continuità aziendale è soggetto a molteplici significative incertezze, il revisore può concludere, in casi estremi, di non essere in grado di esprimere il proprio giudizio sul bilancio nel suo complesso, in considerazione delle interazioni e dei possibili effetti cumulati delle incertezze, anche qualora il revisore abbia 39 ottenuto sufficienti ed appropriate evidenze di revisione sulle asserzioni relative alle singole incertezze. BIII. 18. LA RELAZIONE DEL REVISORE (rif. doc. 700) A. Premessa L’obiettivo di qualsiasi revisione è di ottenere sufficienti ed adeguati elementi probativi che consentano al revisore di esprimere un giudizio sul bilancio. In molti casi il revisore sarà in grado di esprimere un giudizio senza rilievi sul bilancio di un'impresa ed ente minore. Tuttavia, possono esservi circostanze che rendono necessario l’emissione di una relazione del revisore con rilievi. B. Limitazione nello svolgimento delle procedure di revisione Qualora il revisore non fosse in grado di pianificare o effettuare procedure atte ad ottenere elementi probativi sufficienti ed adeguati, relativamente alla completezza delle scritture contabili, si trova di fronte ad una limitazione del suo lavoro. Tale circostanza può condurre all’espressione di un giudizio con rilievi o, quando i possibili effetti della limitazione sono altamente significativi, il revisore può trovarsi nell’impossibilità di esprimere un giudizio. Esempi di paragrafi di rilievo da inserire nella relazione del revisore prima dell’espressione del giudizio sul bilancio. • La completezza delle scritture contabili non è comprovata. La limitazione non è tale da impedire al revisore di esprimere un giudizio sul bilancio. • Le vendite contabilizzate includono (importo) di vendite per contanti. Non vi è un sistema di controllo interno sul quale fare affidamento ai fini della nostra revisione e non abbiamo potuto svolgere delle procedure di revisione tali da permetterci di ottenere una ragionevole sicurezza che tutte le vendite per contanti siano state correttamente contabilizzate. A nostro giudizio, ad eccezione degli effetti delle eventuali rettifiche che, avremmo potuto ritenere necessario apportare, qualora fossimo stati in grado di soddisfarci sulla completezza ed esattezza della contabilizzazione delle vendite per contanti, il bilancio d’esercizio della………è conforme alle norme che ne disciplinano i criteri di redazione; esso pertanto è redatto con chiarezza e rappresenta in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria e il risultato economico della società. • La completezza delle scritture contabili non è comprovata. La limitazione è tale da impedire al revisore di esprimere un giudizio sul bilancio. • La società effettua tutte le proprie vendite per contanti. Non vi è un sistema di controllo interno sul quale fare affidamento ai fini della nostra revisione e non abbiamo potuto svolgere delle procedure di revisione tali da permetterci di ottenere una ragionevole sicurezza che tutte le vendite per contanti siano state correttamente contabilizzate. Per una migliore sintesi dell’argomento e al fine di mettere in rilevo le particolarità concernenti i principi di revisione con le procedure applicabile alle PMI si riportano le schede dei più significativi principi da adottare. 40 UN CASO DI CRISI D’IMPRESA: AZIONI E REAZIONI DEL COLLEGIO SINDACALE Il titolo di questo contributo vuole indicare che il suo contenuto è il racconto di un fatto realmente accaduto, in alcuni punti volutamente un po’ esagerato, che vede come un collegio sindacale si è comportato a fronte di una crisi d’impresa, alla quale si affiancava una situazione tutto sommato tipica, e cioè i tentativi della proprietà e dell’organo amministrativo di nasconderla. Opportuno precisare che questo collegio sindacale non aveva il controllo contabile, e il revisore legale, in questo caso specifico, diciamo che si è mosso per lo meno ingenuamente. Il racconto descrive l’azione posta in essere dal collegio sindacale dal momento in cui ha scoperto le irregolarità, fino all’epilogo della vicenda, per dire quali azioni tecniche ha attuato a tutela di tutti i soggetti che avevano interessi nella società, i c.d. stakeholders. 1. Prologo In una media impresa in forma di S.p.a. che chiameremo Alfa, controllata da una capogruppo estera, il collegio sindacale era in carica ormai da molti anni. Fino all’avvento della riforma del diritto societario, il controllo contabile era affidato a una piccola società di revisione, e questo corrispondeva un po’ alla diversa mentalità radicata all’estero. Ma poi, da quando anche in Italia si è potuto avere il revisore unico, è stato nominato un professionista singolo, gradito alla proprietà e a tutti gli organi sociali, collegio sindacale compreso. Esisteva un C.d.A. di tre membri, due stranieri, di diretta emanazione della famiglia proprietaria, e un terzo soggetto che, essendo del luogo in cui la società aveva la sede, rappresentava un po’ il tratto di unione con il territorio. Questo amministratore era anche dipendente della società. I due amministratori stranieri, molto presenti in fase di start up dell’attività, nel tempo hanno via via diradato le loro presenze in Italia, cosicché l’unico riferimento era l’amministratore italiano, che aveva mansioni amministrative in senso lato, affiancato da un direttore generale che, in realtà, aveva più sensibilità per l’aspetto commerciale che per quello della gestione nel suo complesso. In ogni caso, la durata pluriennale dell’incarico del collegio sindacale aveva creato dei rapporti di una certa familiarità, con tutti i membri dell’organo amministrativo, ma soprattutto con l’amministratore italiano e il direttore generale, per motivi evidenti. Questo è un fatto scontato in presenza di rapporti duraturi, ma un collegio sindacale non lo può e non lo deve trascurare: le norme di comportamento e i principi di revisione vedono nell’eccesiva familiarità una minaccia per l’indipendenza20 e, nel caso di specie, come vedremo, la consapevolezza di questa situazione ha consentito una opportuna manipolazione, che ha poi creato una situazione piuttosto complicata. Fino a quando non si è palesata la situazione critica, l’andamento della società era piuttosto piatto: mai grandi utili né grandi perdite ma, si sa, quando c’è un socio estero, con i rapporti infragruppo si fa un po’ quello che si vuole. Peraltro, il collegio sindacale, prima al momento dell’insediamento, e poi, successivamente, aveva sempre tenuto sotto controllo questo aspetto, verificando l’esistenza di appositi contratti di regia – c’erano, e sembravano ragionevoli – e il loro rispetto. Inoltre la capogruppo, in più occasioni, concedeva finanziamenti a tassi molto vantaggiosi e, a un certo punto, ha lanciato e sottoscritto un aumento di capitale sociale piuttosto robusto per la realtà italiana. Dal che il collegio sindacale aveva individuato una buona propensione del socio estero nel sostenere e dare credibilità alla controllata italiana, anche in termini di buona finanza concessa, consulenza tecnica e amministrativa, eccetera. La situazione di controllo, inoltre, richiedeva una reportistica * Pezzo aggiornato al 27/02/2012 (Sesta giornata del Master Breve 2011/2012 – Area approfondimento) 20 V. norma di comportamento 1.4. 41 CONTRIBUTI DI APPROFONDIMENTO a cura di Alessandro Corsini* piuttosto stringente; ogni mese venivano mandate al settore finanziario del gruppo le situazioni economiche, patrimoniali e finanziarie di periodo, il che dava certamente tranquillità a tutti. Insomma, una situazione, che ogni collegio sindacale vorrebbe avere: soci robusti e non invasivi, ma attenti alla gestione delle controllate; attività ordinata; persone attive e che tutte tengono al loro lavoro. 2. Sviluppo La situazione che abbiamo descritto, senza grandi cambiamenti, si è mantenuta fino al 2004, anno nel quale si sono percepiti almeno due segnali di anomalia: l’emergere, in fondo improvviso, di una operazione di ristrutturazione del debito complessivo riferibile al gruppo – nessuno in Italia aveva avuto una benché minima percezione che vi fossero delle difficoltà, a livello di gruppo appunto - che richiedeva ad Alfa un certo sacrificio, in breve una garanzia piuttosto impegnativa prestata ad altre società del gruppo. L’impegno era comunque in linea con la patrimonializzazione della società, e nel C.d.A. che ha deliberato di assumerlo – tenuto in audio conferenza – era chiara la precisa volontà degli amministratori esteri di concludere, e ciò a prescindere da ogni eventuale parere contrario del collegio sindacale. Peraltro il collegio sindacale non aveva elementi sostanziali per opporsi a questa operazione, ma ha richiesto fosse messa a verbale una sua raccomandazione ad agire con tutte le cautele del caso, e a tenerlo informato degli sviluppi della situazione. Il secondo elemento di anomalia che, come si vedrà, rappresentava però l’esistenza di una situazione ben più grave, è emerso con il senno del poi. Vediamolo. Sfruttando la reportistica mensile resa alla capogruppo – che, a conoscenza dei sindaci non aveva mai rilevato anomalie - anche il collegio sindacale guardava in via autonoma l’andamento della gestione. Facendo la comparazione dei dati intermedi con gli stessi dati riferiti all’anno precedente, notava un certo incremento del costo del personale, senza che a questo incremento seguisse quello del fatturato. L’amministratore italiano diede una spiegazione apparentemente convincente, almeno in quella sede: era stato assunto, direttamente dal gruppo, un dirigente (straniero), con uno stipendio alquanto robusto, la cui attività non era ancora andata a regime. A fronte di precise informazioni richieste dall’organo di controllo (il dovere di chiedere informazioni pervade tutte le norme di comportamento del collegio sindacale), venne riferito che a livello di gruppo si era deciso di operare un investimento in termini di personale di elevato profilo, questo per dare un deciso impulso al fatturato, in un mercato che appariva diventare un po’ stagnante, e tenendo conto delle difficoltà finanziarie che erano emerse e descritte qualche riga indietro. Le informazioni riferite dall’amministratore locale e dal direttore generale sono state oggetto di specifica verbalizzazione da parte del collegio sindacale. In sede di esame del bilancio del 2004, il collegio sindacale nota che la progressione percentuale del costo del personale si era ridotta rispetto al dato di qualche mese prima. Quindi una situazione all’apparenza contraddittoria. È a questo punto che si colloca la prima combinazione di fattori che denotava che qualcosa non andava: un po’ la soddisfazione per un dato positivo (in tal senso era stato fatto leggere questo decremento), che ha fatto abbassare il livello di attenzione, un po’ le assicurazioni del revisore legale sul fatto che tutto era in ordine, molto il fatto che, alla richiesta di verificare analiticamente i costi del personale – il collegio sindacale lo voleva fare in autonomia – l’amministratore italiano aveva opposto qualche scusa che aveva indotto i sindaci a non insistere (ecco un pericoloso effetto dell’l’eccesiva confidenzialità). Insomma, da tutto questo non ci si potuti rendere subito conto che esistevano delle alterazioni contabili. Passa così l’anno 2005 e, al momento del controllo del bilancio di quell’esercizio, accade un altro fatto, in sé non abnorme ma che, messo insieme con altri, e questo tempo dopo, avrebbe potuto far suonare prima qualche campanello di allarme. Il collegio sindacale nota che una rilevante perdita su 42 Un caso di crisi d’impresa: azioni e reazioni del collegio sindacale crediti, dovuta al fallimento di un cliente, era iscritta nell’area straordinaria, quindi con una irregolarità almeno di rappresentazione del fenomeno21. Forte dei principi contabili, cominciano le proteste del collegio sindacale nei confronti dell’organo amministrativo, e va detto che anche il revisore era d’accordo, tenuto conto dell’effetto che tale situazione avrebbe avuto sul giudizio sul bilancio. Inizia un confronto, deciso, con tutti i membri del C.d.A., comunque molto decisi a non spostare la perdita nell’area ordinaria del conto economico. Siamo nel 2006, diciamo che in quegli anni l’approccio alla revisione legale non era ancora rigido come in realtà avrebbe dovuto (e come sta accadendo ora), e si giunse a una situazione di compromesso, tutto sommato equilibrata, si intende per tutti, e anche tecnicamente corretta: sul bilancio è stato rilasciato un giudizio positivo ma con eccezione, nel presupposto che la cattiva collocazione della perdita su crediti alterava il risultato operativo ma, in definitiva, ne il risultato netto ne il patrimonio. Quindi un errore qualitativo ma non quantitativo. Nessuno colse con chiarezza, tuttavia, che tutti gli amministratori erano pervasi dall’ansia di mostrare un risultato operativo più brillante, e questo evidentemente nei confronti di soggetti, allora non ancora rivelatisi, molto interessati all’andamento della gestione. Altri segnali, in apparenza piccoli, sono emersi nel corso del 2006 e, ancora, nel 2007. Diciamo però che il fatto che, dalla capogruppo, non arrivassero ne segnali di allarme ne censure di alcun genere lasciava un po’ tutti abbastanza tranquilli. Opportuno sottolineare che comunque il collegio sindacale era piuttosto puntuale nel chiedere informazioni sull’andamento della gestione e monitorare l’andamento finanziario, anche del gruppo, aspetto sul quale, tuttavia, le informazioni erano tutt’altro che generose. All’inizio del 2008 quel collegio sindacale (ma non il revisore) si accorse di un fatto decisamente anomalo: la somma tra crediti verso clienti e i conti accesi agli effetti aveva un importo pari al 70% del fatturato: fatturato 100; crediti verso clienti 40; effetti 30. Possibile che la società avesse quindi crediti pari al 70% del fatturato? Un altro fatto: disponendo di una ristampa di bilanci di tre annualità già chiuse, richiesta da un sindaco per fare qualche indagine ulteriore a fronte delle anomalie riscontrate, un sindaco si accorge di un fatto che definire anomalo è riduttivo. Si accorge che le esistenze iniziali sono diverse dalle finali dell’anno precedente e, si badi bene, il bilancio che era stato sottoposto a controllo non presentava questa anomalia. È stato quindi facile sospettare che, una volta chiuso il bilancio, erano state fatte delle manovre contabili che avevano alterato i saldi. A questo punto il collegio sindacale deve reagire. Posto che ogni anomalia potrebbe spiegarsi, il collegio sindacale convoca l’amministratore italiano per avere spiegazioni. Questa azione è il prodotto di una deliberazione riconducibile a un’apposita riunione in cui l’organo di controllo ha verbalizzato quanto riscontrato e richiesto informazioni al revisore legale, invitandolo ad approfondire. L’amministratore si presenta, ma a fronte di domande molto precise, risponde in modo piuttosto improbabile. Tutto questo è stato oggetto di specifica verbalizzazione. Il giorno dopo questo amministratore che, lo si ricorda, era anche dipendente, manda un certificato medico per 60 giorni di malattia. Nella difficoltà il colpo di fortuna: mano libera sulla contabilità, dalla quale emergono elementi che non si esita a definire da far drizzare i capelli. Che si fa? Le norme di comportamento raccomandano di non adottare nell’immediato reazioni forti, anche se questo poteva essere un caso di azionamento dell’art. 2409 del C.C. Tuttavia, la riflessione fatta dal collegio sindacale era che questa non era la strada giusta da percorrere subito, senza prima avere un confronto certamente con il C.d.A. nel suo complesso ed, eventualmente, con i soci che, però, nell’ultimo periodo, sembravano più lontani rispetto al passato. Quindi il collegio sindacale delibera, intanto, di chiedere al presidente del C.d.A. – uno dei due stranieri – di convocare una riunione. Il che avviene, con la partecipazione, non con particolare entusiasmo, dei soli due consiglieri stranieri, di un 21 I principi contabili, infatti, indicano che le perdite su crediti commerciali si indicano alla voce 14 del conto economico. 43 controller e del nuovo CFO del gruppo. In quel C.d.A. si percepisce immediatamente che c’è una spaccatura all’interno del gruppo: da un lato, in sostanza, la famiglia - proprietà, dall’altro la nuova dirigenza che, poi, si sa essere stata voluta dalle banche, di fatto le nuove proprietarie del gruppo, nell’ottica di esautorare, fino ad estromettere, il vecchio azionariato. Due interventi definisce il collegio sindacale dopo quel C.d.A.: 1. convocare un’assemblea dei soci; 2. richiedere al gruppo, nella persona del CFO, una ispezione contabile. Il senso dell’intervento esterno stava nel fatto che gli organi di controllo della società percepivano che il gruppo aveva perso fiducia in loro, e quindi un intervento esterno era senz’altro più credibile e consono alla situazione che si era venuta a creare. Passa qualche giorno e al presidente del collegio sindacale arriva una telefonata da un prestigioso studio legale internazionale. Si organizza un incontro, che fa imparare al collegio sindacale due cose: 1. il legale agisce nell’interesse degli amministratori stranieri ma non in questa loro qualità, bensì come membri della famiglia proprietaria (dal che si intuisce che, probabilmente, hanno qualche interesse personale da proteggere, interesse che senz’altro travalica il semplice rapporto societario); 2. la convocazione di un’assemblea sarebbe molto dannosa, perché le azioni di tutto il gruppo sono in pegno alle banche, e quindi alla riunione parteciperebbero i loro rappresentanti, che, a quel punto, si intuisce, verrebbero a conoscenza di cose che sarebbe meglio non diffondere22. Si negozia: si può provare a soprassedere sull’assemblea (in effetti inutile perché il CFO, che tutto sapeva, era rappresentante dei nuovi soci in pectore), ma necessaria la verifica contabile. Questo perché se ormai era chiaro che erano state fatte manovre per coprire delle perdite, non era dato sapere la loro entità precisa. Il legale, che capiva che comunque dei dati precisi dovevano essere definiti, a questo non si oppose, la perizia si fece, e il risultato era che il capitale sociale era stato perso abbondantemente. Insomma, con un’azione lenta ma costante, nel corso degli anni erano state perpetrate dall’amministratore italiano molte alterazioni contabili che, fino ad un certo punto, non si erano rese immediatamente visibili, ma quando hanno cominciato a esserlo, hanno indotto l’amministratore a sviare i controlli e, quando la situazione era irrimediabile, lo hanno indotto a sparire, letteralmente. Il collegio sindacale si trova in una situazione delicatissima: rischio di fallimento, una situazione contabile, ma non solo, che forse non si poteva vedere, ma che comunque non aveva visto, e una certa resistenza nell’assecondarlo nelle sue reazioni più energiche, vale a dire la convocazione dell’assemblea. In effetti il collegio sindacale potrebbe muoversi in totale autonomia, ma il dubbio era se, reagendo in modo forte, non si creasse davvero una situazione peggiore di quella che già esisteva. I passi successivi sono riassumibili in pochi punti: la necessità di liquidare la società: qui il collegio sindacale non ha avuto bisogno di convocare l’assemblea direttamente (art. 2406 co. 2 del C.C.), perché la situazione era così evidente che non esisteva alternativa; la nomina di un liquidatore gradito a tutti ma, in particolare, al collegio sindacale; un lavoro veramente efficace da parte del collegio sindacale per ottenere dal gruppo garanzie in termini di capitalizzazione della società e nuova finanza, vista la deliberazione, unitamente allo scioglimento, dell’esercizio provvisorio. 22 Il tutto sullo sfondo di una considerazione del legale non del tutto impropria, ma nemmeno del tutto giusta: cosa vuole questo collegio sindacale che fino ad adesso ha dormito e appena si sveglia fa un po’ troppa confusione? 44 Un caso di crisi d’impresa: azioni e reazioni del collegio sindacale La richiesta di revoca degli amministratori, avanzata in un primo momento, si è resa inutile attesa la nomina del liquidatore in persona diversa dai membri dell’organo amministrativo. C’era un rischio di azione di responsabilità a carico del collegio sindacale? Probabilmente sì, ma questo doveva transitare per una azione prima nei confronti dell’organo amministrativo, rappresentato dalla famiglia ex proprietaria, il che si capiva essere fuori dagli equilibri complessivi del gruppo. Ecco perché, tutto sommato, è andata bene. 3. Epilogo Il gruppo ha risposto positivamente alle richieste del collegio sindacale, nel senso che ha apportato nuova finanza, rinunziato a crediti e, insomma, ricapitalizzato la società in modo tale da consentirle di avanzare una proposta di concordato preventivo, accolta, e tutto sommato di una certa soddisfazione per i creditori. Concludendo: a questo collegio sindacale forse l’unica grande colpa che si può imputare è l’eccessiva fiducia riposta in una parte dell’organo amministrativo, con il conseguente errore di avere abbandonato quello scetticismo professionale che, in realtà, deve essere sempre alla base della vigilanza richiesta dall’art. 2403 del C.C. Ammesso che dovesse rimediare a qualche cosa, lo ha certamente fatto con una serie di azioni, anche decise, ma comunque equilibrate e non sproporzionate al punto da ottenere poi incontrollabili effetti devastanti (una denunzia al tribunale, in definitiva, dove avrebbe portato)? 45 L’ATTIVITÀ DEL COLLEGIO SINDACALE NELLA CRISI D’IMPRESA ALLA LUCE DELLA NORMA DI COMPORTAMENTO N. 11 EMANATA DAL CNDCEC a cura di di Marcello Pollio* 1. Premessa Il Cndcec, nell’opera di revisione dei principi di comportamento del collegio sindacale, ha emanato, con validità dal 1° gennaio 2012, le nuove Norme di comportamento che si occupano della fase critica o patologica delle imprese, fornendo importanti ed inedite (sino ad ora) indicazioni sull’attività e sul ruolo dell’organo di controllo nella crisi d’impresa. In mancanza, infatti, di una specifica normativa in tema di crisi d’impresa rivolta direttamente all’organo di controllo, il Consiglio nazionale, con la Norma di comportamento n. 11, ha individuato i principi ed i comportamenti che devono orientare l’attività del collegio sindacale, sia in funzione di prevenzione che in funzione di emersione tempestiva della crisi d’impresa. La Norma di comportamento n. 11 si focalizza su tre aspetti: 1) vigilanza del collegio sindacale nella prevenzione ed emersione della crisi, con riferimento al monitoraggio della continuità aziendale e dell’attuazione da parte degli amministratori delle misure idonea a garantirne la permanenza (norma 11.1), nonché agli opportuni interventi volti a far emergere la crisi in caso di inerzia degli amministratori (norma 11.2); 2) vigilanza del collegio sindacale laddove la società utilizzi, in caso di conclamata crisi, uno degli strumenti di regolazione della crisi disciplinati dalla legge fallimentare alternativi al fallimento, segnatamente il Piano attestato di risanamento ex art. 67, comma 3, lett d, l.f. (norma 11.3), gli Accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis, l.f. (norma 11.4) e il Concordato preventivo ex artt. 160 e ss., l.f. (norma 11.5); 3) ruolo del collegio sindacale durante il fallimento (norma 11.6). La corretta e concreta applicazione dei nuovi principi richiede la necessaria conoscenza da parte dell’organo di controllo di tutta una serie di norme fallimentari e di regole, nonché di prassi, che altrimenti rendono prive di significato le raccomandazioni rese dalla Norma n. 11 del Cndcec, quali: • gli strumenti per la verifica ed il monitoraggio della permanenza della continuità aziendale; • gli istituti per la risoluzione della crisi impresa, alternativi al fallimento (procedura quest’ultima nella quale le funzioni del collegio sindacale, e quelle dell’organo amministrativo, restano “sospese” e si “riattivano” soltanto in caso di ripresa dell’attività d’impresa ad esito della chiusura in bonis della procedura fallimentare); • le linee guida per il finanziamento delle imprese in crisi (in www.cndcec.it ). Quanto osservato (e quanto verrà esposto nel proseguo) vale sia per l’organo di controllo interno nella sua composizione collegiale sia monocratica. Infatti, a seguito dell’entrata in vigore della Legge di stabilità 2012 (Legge 12 novembre 2011, n. 183) le nuove norme di comportamento sono applicabili al sindaco unico, in quanto compatibili. 2. Verifica della permanenza del going corcern Sotto il profilo normativo, la rilevanza del principio di continuità aziendale (c.d. going concern) è sancita dall’art. 2423 bis, c.c. secondo cui “la valutazione delle voci deve essere fatta secondo prudenza e nella prospettiva della continuazione dell’attività”. * Pezzo aggiornato al 27/02/2012 (Sesta giornata del Master Breve 2011/2012 – Area approfondimento) 46 In termini pratico – applicativi, il venir meno della continuità aziendale ha una ricaduta principalmente sotto il profilo della redazione del bilancio d’esercizio, ed in particolare della rappresentazione e valutazione dell’attivo e del passivo patrimoniale che dovrà avvenire ai criteri di liquidazione applicando il Principio contabile nazionale OIC n. 5 – Bilanci di liquidazione. Il fondamentale ausilio operativo e di prassi per il controllo della permanenza della continuità è rappresentato dal Principio di revisione n. 570 che analizza ed individua i principali “indicatori di discontinuità aziendale”, suddividendoli in: 1) indicatori di tipo finanziario; 5) indicatori di tipo gestionale; 6) indicatori di altro genere. Tali indicatori rappresentano la sintesi delle principali cause di crisi e di dissesto delle imprese. GLI INDICATORI “CONVENZIONALI” DI DISCONTINUITÀ AZIENDALE (Principio di Revisione n. 570) 1) Indicatori di tipo FINANZIARIO: deficit patrimoniale e capitale circolante netto negativo prestiti a scadenza fissa o prossima a scadenza senza possibilità di rimborso o di rinnovo cessazione di sostegno finanziario di terzi finanziatori cash flow negativi incapacità di saldare i debiti alla scadenza incapacità di rispettare i covenants incapacità di ottenere finanziamenti per lo sviluppo dei prodotti 2) Indicatori di tipo GESTIONALE: perdita di amministratori o di dirigenti chiave perdita di mercati fondamentali, di contratti di distribuzione, di licenze o di concessioni difficoltà nel trattenere il proprio organico difficoltà nel mantenere il normale flusso di approvvigionamento da fornitori importanti 3) Altri indicatori: capitale circolante netto sotto il limite legale tutela ambientale non osservata con possibili sanzioni contenziosi legali o fiscali che, in caso di soccombenza, l’impresa non potrebbe assolvere come impegni di spesa modifiche legislative o fiscali con effetti sfavorevoli all’impresa A tali indicatori, per così dire “convenzionali”, devono aggiungersi ulteriori aspetti da considerare quali: − perdita di importanti mercati, licenze o fornitori principali; − possibilità di revoca di fidi concessi o linee di credito; − l’intenzione degli istituti bancari di non rinnovare i fidi o di acconsentire ad una loro richiesta di ampliamento; − il maggior ricorso a garanzie, fideiussioni; − perdite su crediti e/o difficoltà nell’incasso dei crediti; 47 CONTRIBUTI DI APPROFONDIMENTO L’attività del collegio sindacale nella crisi d’impresa alla luce della norma di comportamento n. 11 emanata dal CNDCEC − − azioni esecutive e/o minacce dei creditori; esistenza di atti impositivi e/o attività di riscossione di crediti erariali. La responsabilità nella valutazione della continuità aziendale investe gli organi sociali ed in particolare: amministratori (in fase di redazione del bilancio), revisore e collegio sindacale, ovvero sindaco- revisore (in fase di vigilanza e controllo sulla correttezza del bilancio e delle scelte degli amministratori). L’organo di controllo, pertanto, deve monitorare con particolare attenzione gli indicatori evidenziati dal principio di revisione n. 570, soprattutto nei periodi in cui risultano dubbie le condizioni di continuità aziendale. 3. Gli strumenti per il superamento della crisi d’impresa Il Collegio sindacale, nel caso in cui rilevi l'emersione di elementi che possano pregiudicare la continuità dell'impresa può sollecitare, al ricorrere dei presupposti richiesti dalla legge, l'adozione di uno degli istituti di composizione negoziale della crisi d'impresa per evitare l’insolvenza. Inoltre, durante l’utilizzo di un strumento anti crisi, deve vigilare sulla corretta esecuzione della procedura. La riforma fallimentare del 2005 (come modificata nel corso del 2007, 2008 e 2010) ha introdotto una serie di strumenti “negoziali” di regolazione della crisi, orientati a preservare la continuità aziendale, ad evitare il fallimento e a valorizzare le intese tra creditori e imprenditore, con il reale coinvolgimento dei primi nella «gestione» della crisi del debitore. I nuovi strumenti di soluzione della crisi sono stati graduati in relazione allo stato di crisi che attraversa l’azienda, ovvero: 1) il piano attestato di risanamento (ex art. 67 l.f.) per l’imprenditore che deve rimediare ad una situazione di crisi reversibile nella quale l’insolvenza non si è ancora manifestata; 2) gli accordi di ristrutturazione dei debiti (ex art. 182 bis l.f.), adatti a fronteggiare crisi patrimoniali e finanziarie, con la semplice omologa dell’accordo da parte del tribunale; 3) il (nuovo) concordato preventivo (ex art. 160 l.f.), più flessibile e adatto alla regolazione di crisi anche più gravi, con l’intervento più invasivo del tribunale fallimentare. 3.1 Il piano attestato di risanamento Il piano attestato di risanamento è uno strumento totalmente stragiudiziale, previsto dall’art. 67, terzo comma, lett. d), l.f.. Esso rappresenta il vero strumento di ristrutturazione dell’impresa e dei suoi debiti, che tuttavia, differisce sia dalla ristrutturazione «procedimentalizzata» prevista nel concordato preventivo, sia da quella «marcatamente privatistica» prevista con gli accordi di ristrutturazione dei debiti, poiché non richiede (sulla carta) nessun tipo di accordo e non è inquadrabile come procedura concorsuale L’art. 67, terzo comma, lett. d), l. fall., infatti stabilisce che sono esenti da revocatoria fallimentare – proteggendo in tal modo, nell’ipotesi di insuccesso, i soggetti che hanno confidato nella riuscita del salvataggio aziendale – “gli atti, i pagamenti e le garanzie concessi su beni del debitore purché posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria” e la cui ragionevolezza sia attestata, ai sensi dell’articolo 2501 bis, quarto comma, c.c., da un professionista iscritto nel registro dei revisori contabili e che abbia i requisiti per assumere l’incarico di curatore fallimentare. 48 L’attività del collegio sindacale nella crisi d’impresa alla luce della norma di comportamento n. 11 emanata dal CNDCEC Il piano attestato, in pratica, altro non è che un vero e proprio piano di turnaround (una programma di azione che prefigura linee di comportamento futuro), il quale, per assurgere a strumento avente valore legale, deve possedere un duplice requisito: 1) strettamente di contenuto: consentire, cioè, il risanamento dell’esposizione debitoria (con previsione, in linea di principio, del pagamento integrale di tutti i creditori) e il ritorno all’equilibrio finanziario dell’impresa (ovvero il ripristino delle condizioni per cui le entrate consentano di fronteggiare le uscite); 2) di forma-contenuto: essere corredato dall’asseverazione di un esperto indipendente circa fattibilità ed astratta idoneità a consentire il superamento della crisi, nonché la veridicità dei dati aziendali su cui poggiano le previsioni del piano. Dal punto di vista giuridico, un “precedente” lo si può rinvenire nel Programma di ristrutturazione contemplato nella disciplina sull’amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolvente di cui al D.Lgs. 270/1999. Il piano attestato di risanamento è una dichiarazione di volontà unilaterale dell’imprenditore con rilevanza interna (un atto di alta amministrazione di competenza degli amministratori), che qualora comunicato ai terzi, diventa fonte di responsabilità. E’ il vero e proprio strumento di prevenzione, il più adeguato per il ritorno alla credibilità dell’impresa e per recuperare la fiducia dei terzi. Il suo impiego presuppone che non sia andata compromessa la continuità aziendale, avendo esso la finalità di risanare l’impresa. Ciò che caratterizza il piano di risanamento attestato è la mancanza assoluta di “procedimentalizzazione” dello strumento. La norma fallimentare (art. 67, terzo comma, lett. d) non prevede, infatti, né l’enunciazione del contenuto minimo né le modalità ed iter per la sua predisposizione ed attestazione. Lo strumento è sotto tutti i profili un business plan della crisi, per cui il suo utilizzo e la sua predisposizione devono ispirarsi e fare riferimento alla prassi contabile e professionale, quali: i recenti ed innovati principi di redazione del Business Plan emanati dal Cndcec; le linee Guida a “Il finanziamento delle imprese in crisi” (Prima definitive versione - 2010), redatte congiuntamente dal Cndcec, dall’Università di Firenze e da Assonime; le “Linee Guida al Piano Industriale” elaborate da Borsa Italiana (2003; il documento di ricerca n. 114 Assirevi (ispirato al principio ISAE 3400), ai fini dell’attestazione; il documento redatto dalla Commissione di studio “Crisi e risanamento di impresa” del Cndcec denominato “Osservazioni sul contenuto delle relazioni del professionista nella composizione della crisi d’impresa”; il documento redatto dalla Commissione di studio “Consulenza direzionale” del Cndcec denominato “Ruolo e supporto del dottore commercialista e dell’esperto contabile come consulente di direzione nei momenti di crisi dell’impresa” (i documenti del Cndcec sono tutti rinvenibili sul sito www.cndcec.it ); la recente giurisprudenza in tema di accordi di ristrutturazione dei debiti (ex art. 182 bis l.f.), che ha fissato I criteri minimi per l’attestazione professionale dei piani d’impresa sottostanti gli accordi medesimi (in quanto ancora inedita e mancante una specifica esperienza giurisprudenziale in tema di piani di risanamento). Come richiede lo stesso art. 67, terzo comma, lett. d), l.f., oltre ai principi indicati nei documenti sopra enunciati occorre, ovviamente, fare riferimento ed applicare i principi enunciati e richiamati 49 dall’art. 2501 bis cod. civ., che si occupa della fusione a seguito di acquisizione con indebitamento (ovvero la c.d. operazione di Leveraged buy out) 3.2 Gli accordi di ristrutturazione dei debiti Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, disciplinati dall’art. 182 bis, l. fall., rappresentano uno strumento di risoluzione della crisi di natura privatistico-contrattualistico, non equiparabile ad una procedura concorsuale, ma caratterizzati quantomeno dall’esistenza di una procedimentalizzazione fissata dal legislatore per la loro omologazione. Essi rappresentano una sorta di concordato stragiudiziale, stipulato con tanti creditori che rappresentino almeno il 60% per cento dell’ammontare dei crediti e corredato dalla relazione di un esperto avente ad oggetto l’attuabilità dell’accordo, con particolare riguardo all’idoneità di quest’ultimo ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei. Gli accordi di ristrutturazione possono essere utilizzati dagli imprenditori commerciali “fallibili”, in quanto l’art. 182 bis è applicabile a tutti i soggetti che rientrano nell’alveo dell’art. 1 della legge fallimentare (ma ora anche dagli imprenditori agricoli “in stato di crisi o di insolvenza”, come previsto recentemente dal legislatore). Dal punto di vista procedurale: a) l’imprenditore deve depositare presso il tribunale un apposito ricorso, cui allegare l’accordo sottoscritto con i creditori (dimostrando l’autenticità della provenienza delle sottoscrizioni), la documentazione ex art. 161 l.f. (quella prevista per il concordato preventivo), la relazione dell’esperto sulla fattibilità e ragionevolezza dell’accordo (ed ora, in base alla giurisprudenza emergente, anche la veridicità dei dati aziandali). Oggetto del ricorso è la richiesta di omologazione dell’accordo da parte del tribunale; b) l’accordo viene (contestualmente o immediatamente dopo) pubblicato nel registro delle imprese, producendo l’effetto di bloccare le azioni esecutive per 60 giorni successivi (stand still). Il debitore, anche nel corso delle trattative con i creditori (prima della sottoscrizione dell’accordo), può depositare in tribunale ai sensi dell’art. 182 bis, sesto comma, l.f., apposita istanza di sospensione delle azioni esecutive (automatic stay): (1) corredata dalla proposta di accordo, (2) dalla documentazione ex art. 161. l.f., (3) dalla pre-opinion del professionista attestatore e (4) dalla dichiarazione attestante l’esistenza di trattative in corsi con tanti creditori che rappresentano almeno il 60% dei crediti, (5) pubblicando l’istanza stessa nel registro delle imprese. Il tribunale, ad esito dell’udienza fissata (previa verifica del completezza della documentazione e comunicazione a tutti i creditori), può assegnare al debitore un termine non superiore a 60 giorni per il deposito dell’accordo e della relazione di fattibilità dell’esperto definitivi; c) dalla data di pubblicazione dell’accordo definitivo nel registro delle imprese i creditori (ed ogni altro interessato) possono, entro i successivi 30 giorni, opporsi alla richiesta di omologazione. Legittimati all’opposizione sono i (soli) creditori estranei all’accordo (per i quali il piano deve prevedere il pagamento integrale secondo tempi e scadenze originarie, ovvero, se il credito è già scaduto, il pagamento immediatamente dopo l’omologa). d) con l’omologazione il debitore consegue gli effetti legali propri dell’accordo di ristrutturazione, ovvero l’esenzione da revocatoria di atti, pagamenti e garanzie effettuati in esecuzione dell’accordo, nonché il formale riconoscimento ed attestazione del tribunale della idoneità dell’accordo a rimuovere la crisi e prevenire il fallimento. Il procedimento di omologa si svolge il camera di consiglio e si conclude con decreto motivato. Tale decreto deve essere pubblicato nel registro delle imprese e può essere oggetto di reclamo alla corte di appello entro 15 giorni da parte dei creditori. 50 L’attività del collegio sindacale nella crisi d’impresa alla luce della norma di comportamento n. 11 emanata dal CNDCEC Sotto l’aspetto del contenuto e del piano sottostante, gli accordi ex art. 182 bis, presentano le seguenti peculiarità: (i) dal lato dei creditori, le modalità proponibili dal debitore sono quelle consuete dei tentativi di soluzione stragiudiziale (dilazioni di pagamento, rinunce totali o parziali agli interessi o addirittura ad una parte del capitale, emissione di titoli di debito con valenza novativa, conversione di crediti in capitale, creazione anche di nuove obbligazioni come conseguenza di finanziamenti da utilizzare per l’estinzione di precedenti obbligazioni, costituzione di garanzie o impegno a stipulare negozi attuativi); (ii) dal lato del debitore, l’accordo può prevedere che l’attività d’impresa continui in capo al debitore o che venga affidata ad un terzo; ma può stabilirsi anche che l’imprenditore ceda in tutto o in parte i beni ai creditori (o ad uno o più mandatari di questi), ovvero che proceda direttamente alla liquidazione. Gli accordi di ristrutturazione dei debiti sono improntati alla finalità di ripristinare la condizione di solvibilità dell’impresa debitrice, attraverso un pagamento in percentuale dei creditori aderenti al patto e senza necessità che fra costoro sia rispettata la regola della par condicio. L’istituto, come il concordato preventivo, rappresenta un’interessante (e certamente più snella) modalità di superamento di una crisi d’impresa, essenzialmente in questo caso di tipo finanziaria, sia reversibile (quindi con previsione della continuità aziendale) sia irreversibile (quindi con previsione di un piano liquidatorio), che non sia ovviamente già sfociata nell’insolvenza. L’utilizzo di tale strumento, tuttavia, potrebbe servire anche a rimuovere l’insolvenza e scongiurare il fallimento dell’impresa. Emergente ed autorevole giurisprudenza, infatti, lo ha parificato – sotto il profilo dell’utilizzo - al concordato preventivo, nella sua idoneità ed attitudine a superare lo stato di crisi e ad evitare la più grave insolvenza, configurandolo pertanto come strumento ex se alternativo al fallimento. Naturalmente, l’accordo di ristrutturazione deve dimostrare idoneità ed attitudine a superare la crisi, assumendo in ciò un ruolo cruciale la relazione del professionista, ed avendo, pertanto, il tribunale il potere-dovere di respingere la richiesta di omologa di un accordo non idoneo a superare la crisi e la cui relazione, soprattutto, sia scarsamente motivata e priva di qualsiasi informativa sulla concreta attuabilità dell’accordo stesso. 3.3 Il concordato preventivo Il concordato preventivo è una vera e propria procedura concorsuale, alternativa al fallimento, fortemente innovata dalla riforma fallimentare. Le caratteristiche più importanti di tale procedura si possono così sintetizzare: a) dal lato “industriale” di gestione dell’attivo, sono stati notevolmente ampliati i provvedimenti attuabili, giacché la soddisfazione dei creditori può essere perseguita “attraverso qualsiasi forma”; b) dal lato del passivo, è possibile prevedere la suddivisione dei creditori in classi ed il pagamento non integrale dei creditori privilegiati (compreso il fisco e gli enti previdenziali ed assistenziali attraverso un “concordato” nel concordato: la transazione fiscale ex art. 182 ter, e nei soli limiti della norma citata): in tali casi è necessaria la redazione di una perizia giurata di stima che attesti l’incapienza dei beni dell’imprenditore a soddisfare i creditori che vantano prelazioni sui beni del debitore; 51 c) l’imprenditore può accedere alla procedura quando si trova in «stato di crisi» (non necessariamente corrispondente all’insolvenza, anche se tale fattispecie è espressamente contemplata nella nuova ed ampia accezione di stato di crisi, come prevede l’art. 160 l.f.); d) la domanda di concordato deve essere accompagnata da un “piano” con la formulazione delle proposte di soddisfazione ai creditori e corredato dalla relazione di un professionista che ne attesti veridicità dei dati in esso contenuti e fattibilità dello stesso piano; e) la proposta di concordato – con la conservazione dell’iniziativa in capo al solo debitore – è soggetta a votazione ed è approvata a maggioranza di valore dei crediti ammessi al voto (non anche per teste); se vi sono più classi di creditori, la votazione avviene per classi e il tribunale può omologare un concordato non approvato da una classe o se la maggioranza delle classi ha approvato la proposta e se ritiene che i dissenzienti risultino soddisfatti dal concordato in misura non inferiore alle alternative concretamente praticabili (c.d. cram down power); f) il regime delle azioni revocatorie è stato riformato, prevedendo tra l’altro la non revocabilità di atti, pagamenti e garanzie poste in essere in esecuzione di un concordato preventivo, nonché i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili eseguiti alla scadenza per ottenere la prestazione di servizi strumentali all’accesso a tale procedura. Il concordato preventivo è l’unica vera procedura, con un iter assai complesso, giacché: 1. si apre su istanza del debitore, il quale deposita presso il tribunale apposito ricorso, corredato della documentazione prevista dall’art. 161 l.f. ed in particolare: − il piano, che può essere anche di natura liquidatoria; − la relazione aggiornata sulla situazione economico, patrimoniale e finanziaria della società; − stato analitico ed estimativo delle attività − l’elenco nominativo dei creditori con indicazione dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione; − elenco dei titolari di diritti reali e personali sui beni di proprietà o in possesso el debitore; − valore dei beni e i creditori particolari degli eventuali soci illimitatamente responsabili; − la relazione del professionista attestatore sulla fattibilità del piano e sulla veridicità dei dati aziendali sui cui il piano si basa. 2. Il tribunale con decreto motivato dichiara aperta la procedura e nomina gli organi giudiziali (giudice delegato, commissario giudiziale), disponendo la convocazione dei creditori. 3. La proposta di concordato viene sottoposta alla votazione dei creditori. 4. Il concordato approvato, viene sottoposto al giudizio di omologazione, che deve intervenire entro 6 mesi dalla presentazione, prorogabili una sola volta per 60 giorni. 5. Il concordato omologato diventa obbligatorio per tutti i creditori anteriori alla proposta di concordata, dispiegando efficacia erga omnes. Il nuovo concordato preventivo è la principale procedure concorsuale di tipo “consensuale”: il suo utilizzo si rende quanto mai indispensabile per i casi di crisi perduranti, in cui è a rischio (o già perduta) la continuità aziendale ed occorre “frenare” l’aggressività del ceto creditorio, tra cui anche il fisco. Tale procedura risulta oggi assai valutata e utilizzata per porre in essere piani d’impresa in continuità aziendale, sotto la vigilanza degli organi concorsuali, come se fosse una amministrazione controllata (procedura abrogata dalla riforma della legge fallimentare e assorbita, appunto dal nuovo concordato preventivo). Con il concordato preventivo in continuità aziendale si può ottenere il blocco delle azioni esecutive dei creditori, il differimento del pagamento dei debiti pregressi, la sospensione degli interessi per i 52 L’attività del collegio sindacale nella crisi d’impresa alla luce della norma di comportamento n. 11 emanata dal CNDCEC debiti chirografari e, quindi, la creazione e utilità della liquidità circolante dell’impresa al servizio del mantenimento della continuità aziendale. Ipotesi che risulta quanto mai necessaria in questi momenti di difficile rapporto tra imprese e sistema bancario, che non è più in grado di concedere credito alle aziende (anche sane). 3.4 Peculiarità degli strumenti anti crisi e loro utilizzo Tratti comuni a tre strumenti sono: − la redazione di un sottostante piano (che può anche essere liquidatorio nel caso degli accordi di ristrutturazione e del concordato preventivo); − la validazione del piano e dello strumento da parte di un esperto indipendente (professionista attestatore) che deve esprime un giudizio di astratta fattibilità, nonché attestare la veridicità dei dati aziendali di partenza su cui si fondano piano e strumento; − l’esonero da revocatoria (in caso di successivo fallimento del debitore) degli atti posti in essere in esecuzione di ciascuno strumento, sempre che i detti atti siano espressamente previsti nel piano sottostante; − la copertura da taluni reati fallimentare, e segnatamente bancarotta preferenziale (art. 216, co. 3, l.f.) e bancarotta semplice (art. 217 l.f.). Aspetti che, invece, accomunano soltanto accordi di ristrutturazione e concordato preventivo (quantunque soltanto quest’ultimo sia una procedura concorsuale) sono: − il blocco delle azioni esecutive dei creditori, temporaneo negli accordi di ristrutturazione (ma con possibilità di ottenerlo anche nella fase di trattative coi creditori) e dalla data di presentazione sino all’omologa nel caso di concordato preventivo; − la possibilità di ristrutturare i debiti fiscali e previdenziali tramite l’istituto della transazione fiscale ex art. 182 ter, l.f. (che nel concordato preventivo è una mera facoltà, con l’obbligo tuttavia di pagare integralmente i debiti per iva e ritenute fiscali, in deroga ai principi generali della falcidia dei creditori privilegiati); − la prededucibilità (in caso di successivo fallimento dell’imprenditore) di talune tipologie di finanziamenti (i) per accedere allo strumento (finanza ponte erogata da banche ed istituti finanziari), (ii) per la esecuzione dello stesso (nuova finanza erogata da banche ed intermediari finanziari) a condizione che il finanziamento sia previsto nel sottostante piano e che il tribunale disponga la prededuzione col decreto di apertura del concordato, ovvero con decreto di omologa dell’accordo di ristrutturazione; − la prededucibilità (in caso di successivo fallimento dell’imprenditore) dei compensi spettanti al professionista attestatore, purché ciò sia espressamente (richiesto e) disposto nel decreto con cui il tribunale dichiara aperto il concordato preventivo, ovvero omologa l’accordo di ristrutturazione. Gli strumenti e le procedure previste dalla legge fallimentare sono tutte alternative al fallimento e in base alla gravità della crisi che investe le imprese devono essere utilizzati per affrontare le situazioni affinché le società possano studiare e predisporre un piano di business che porti al superamento delle difficoltà ed al riequilibrio dell’assetto economico, finanziario e patrimoniale dell’impresa. A seconda che l’impresa in difficoltà si trovi in declino, crisi o insolvenza, il Collegio sindacale deve valutare se e quale strumento o procedura risulta più idonea o necessaria, secondo una ipotetica scala discendente che pone al primo gradino il piano di risanamento, poi l’accordo di ristrutturazione e infine il concordato preventivo, proprio per non giungere, come detto, al fallimento dell’impresa. 53 4. Le linee guida per il finanziamento delle imprese in crisi. Predisposte dal Cndcec, in collaborazione con Assonime e l’Università degli Studi di Firenze, le “Linee guida per il finanziamento delle imprese in crisi” (espressamente richiamata dalla norma di comportamento n. 11), rappresentano istruzioni operative e prassi virtuosa a disposizione degli operatori della crisi d’impresa per l’assistenza alle imprese nei processi di ristrutturazione e turnaround. Nella vigente versione (2010), contengono indicazioni virtuose e comportamenti idonei sintetizzabili, con riferimento al finanziamento delle imprese che utilizzano gli strumenti di risanamento alternativi al fallimento, in 15 Raccomandazioni. LE RACCOMANDAZIONE DELLE LINEE GUIDA 2010 PER IL FINANZIAMENTO DELLE IMPRESE IN CRISI CHE DEVONO ESSERE TENUTE IN CONSIDERAZIONE DA PARTE DEL COLLEGIO SINDACALE secondo la Norma di comportamento n. 11 54 n. 1 In presenza di un’impresa a rischio di insolvenza, l’erogazione di nuovi finanziamenti, la concessione di garanzie e il Contesto del risanamento e compimento di atti potenzialmente revocabili è opportuno che percorsi protetti siano effettuati nell’ambito di un piano attestato o di un accordo di ristrutturazione n. 2 Indipendenza del Il professionista non deve trovarsi in una delle situazioni di professionista attestatore nel incompatibilità previste per le società di revisione . E’ piano ex art. 67, co. 3, lett. d), opportuno che l’attestatore non sia il consulente della società. l. fall. n. 3 Attendibilità dei dati aziendali Il professionista, tanto nel piano attestato quanto nei accordi di partenza nel giudizio di di ristrutturazione, deve verificare l’attendibilità dei i dati di attestazione/fattibilità del partenza su cui si basa il piano piano n. 4 Esplicitazione delle ipotesi e delle metodologie Il piano deve contenere l’esplicitazione delle ipotesi poste a base dell’analisi, delle fonti informative utilizzate nonché i riferimenti metodologici che consentono di verificare la correttezza e la congruità dei calcoli posti in essere per l’elaborazione quantitativa del piano n. 5 Arco temporale del piano Non deve estendersi oltre i 3/5 anni n. 6 Risanamento aziendale e corretta gestione societaria In presenza di causa di scioglimento per perdita del capitale, il piano può essere messo in esecuzione solo se il capitale sociale è stato riportato al minimo legale n. 7 Esplicitazione del grado di solidità dei risultati Il piano deve contenere l’analisi di sensitività per valutare la solidità dei risultati indicati n. 8 Esplicitazione degli obiettivi intermedi Il piano deve contenere un dettagliato diagramma di flusso indicante “milestones” qualitative e quantitative L’attività del collegio sindacale nella crisi d’impresa alla luce della norma di comportamento n. 11 emanata dal CNDCEC n. 9 Indicazione degli atti da compiere in esecuzione del piano Il piano deve indicare espressamente gli atti, i pagamenti e le garanzie che verranno posti in essere in esecuzione dello stesso. n. 10 Struttura dell’attestazione Deve avere la struttura di una relazione di verifica effettuata su un piano già fatto, e non ripetere il contenuto del piano n. 11 Motivazione dell’attestazione La dichiarazione di attestazione deve indicare metodologie utilizzate e attività svolte dal professionista per giudicare idoneità e ragionevolezza del piano n. 12 Indicazioni cautelative, oggetto dell’attestazione e condizioni sospensive dell’attestazione L’attestazione non può essere sottoposta a riserve o indicazioni cautelative che ne limitino la portata, ma può essere condizionata ad un evento iniziale che deve verificarsi in tempi prossimi e che renda il piano ragionevole n. 13 Monitoraggio dell’esecuzione del piano L’andamento del piano deve essere costantemente monitorato dall’imprenditore n. 14 Effetti degli scostamenti e Significativi scostamenti comportano la non eseguibilità del meccanismi di aggiustamento piano e il venir meno degli effetti protettivi n. 15 Riattestazione del piano divenuto ineseguibile In caso di modifica del piano è necessario procedere alla redazione di un nuovo piano La conoscenza ed applicazione da parte del collegio sindacale delle linee guida per il finanziamento delle imprese in crisi diventa fondamentale: − sia nell’attività di monitoraggio e prevenzione della crisi, laddove l’organo di controllo che riscontra una situazione di crisi (e/o il pregiudizio sulla continuità aziendale) ha il dovere di segnalare agli amministratori l’adozione degli “opportuni provvedimenti” nel porre rimedio alla crisi, quali appunto il ricorso ad uno degli strumenti negoziali disciplinati dalla legge fallimentare; − sia nell’attività di vigilanza durante la soluzione della crisi, al fine di monitorare la corretta esecuzione dello strumento negoziale individuato per la rimozione della crisi. 5. La norma di comportamento n. 11 Così come le Linee guida al finanziamento delle imprese in crisi dovrebbero rappresentare il safe harbour per coloro che svolgono il delicato compito di assistere le imprese in crisi, così la norma di comportamento n. 11 dovrebbe rappresentare il safe harbour per coloro che svolgono il compito di organo di controllo delle società in difficoltà, sempreché tali soggetti rispettino, applicando, i principi raccomandati dal Cndcec. 5.1 Riferimenti normativi e rinvii La norma di comportamento n. 11 si fonda su 2 tipologie di riferimenti normativi: − le disposizioni del codice civile in tema di doveri, poteri, attività di vigilanza e di intervento del collegio sindacale; − le disposizioni della legge fallimentare sulla disciplina dei strumenti anti crisi. Essa, inoltre, rinvia ad altre norme di comportamento, per quanto attiene alle seguenti attività: − vigilanza e monitoraggio della continuità aziendale (norma 11.1, che rinvia alle norme 3.3 e 5.3); 55 − interventi attivi e reattivi in presenza di omissioni degli amministratori o gravi irregolarità o perdita del capitale (norma 11.2 che rinvia, rispettivamente, alle norme 5.7, 6.3 e 10.9); LA NORMA DI COMPORTAMENTO N. 11 (riferimenti normativi) Codice civile Legge fallimentare Art. 2381 – Presidente, comitato esecutivo e Art. 28, comma 1, lett. a) e lett. b) – Requisiti nomina amministratori delegati professionista attestatore Art. 2403 - Doveri del collegio sindacale Art. 67 – Atti a titolo oneroso, pagamenti, garanzie Art. 2403 bis, comma 2 – Poteri del collegio sindacale Art. 67, comma 3, lett. d) – Piani di risanamento attestati Art. 2406 – Omissione degli amministratori Art. 118 – Casi di chiusura (del fallimento) Art. 2409 – Denunzia al tribunale Art. 124 – Proposta di concordato (fallimentare) Art. 2409 septies – Scambio di informazioni Art. 152 – (sottoscrizione) Proposta di concordato (fallimentare e preventivo) Art. 160 ss – Concordato preventivo Art. 161 – Domanda di concordato preventivo Art. 167 – Amministrazione dei beni durante la procedura (di concordato preventivo) Art. 182 bis – Accordi di ristrutturazione dei debiti Art. 185 – Esecuzione del concordato (preventivo) 5.2 Norma 11.1. – Prevenzione ed emersione della crisi La norma di comportamento in esame stabilisce che “Il collegio sindacale, se nello svolgimento della funzione di vigilanza rilevi la sussistenza di fatti idonei a pregiudicare la continuità dell’impresa, sollecita gli amministratori a porvi rimedio”. Tale principio, espressamente finalizzato a prevenire ovvero a far emergere la crisi d’impresa, formalizza una prassi già applicata, che origina sia dall’obbligo imposto al collegio sindacale di vigilare sull’osservanza della legge, sia dal dovere di vigilare sul rispetto del principio di corretta amministrazione da parte dell’organo gestorio. Considerata l’incerta individuazione del cosiddetto “stato di crisi” e la (duplice) necessità di prevenire e far emergere la crisi, la norma in esame individua due piani di intervento del collegio sindacale: − un’attività di controllo costante sul mantenimento della continuità aziendale, nell’ottica della prevenzione e della pronta emersione della situazione di crisi; − un’attività di monitoraggio sulle attività svolte dagli amministratori per garantire la continuità aziendale. 56 L’attività del collegio sindacale nella crisi d’impresa alla luce della norma di comportamento n. 11 emanata dal CNDCEC La norma di comportamento ritiene “auspicabile” che il collegio sindacale vigili attentamente effettuando controlli e ispezioni tanto più mirate quanto più evidenti siano i segnali della crisi. Il dovere del Collegio sindacale di rilevare fatti che possono essere espressione di una situazione di crisi trova la sua fonte nell'art. 2403, co. 1, c.c., ai sensi del quale il Collegio sindacale "vigila": − sull'osservanza della legge e dello statuto; − sul rispetto dei principi di corretta amministrazione ed in particolare sull'adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento A tal fine, in generale, ai sensi dell'art. 2403-bis, co. 2, c.c., il Collegio sindacale può chiedere agli amministratori notizie sull'andamento delle operazioni sociali o su determinati affari, nonché, ai sensi dell’art. 2409-septies c.c., interagire con il soggetto incaricato della revisione legale dei conti (ove presente), il quale è sempre tenuto anch’esso a porre attenzione nell'effettuazione delle verifiche e nell'espressione del giudizio sul bilancio. In particolare, oggetto di “Scambio di informazioni con il revisore legale”, come precisato dalla norma di comportamento 5.3, devono essere i dati e le informazioni rilevanti in ordine alla continuità aziendale. 5.3 Norma 11.2. – Segnalazione all’assemblea e denunzia al tribunale Tale principio stabilisce che “Nel caso in cui gli amministratori omettano l’adozione di opportuni provvedimenti, il Collegio sindacale può convocare l’assemblea ai sensi dell’art. 2406 c.c.”, e “Nei casi in cui l’assemblea non abbia avuto luogo o i suoi esiti non siano ritenuti adeguati il collegio sindacale, qualora la condotta degli amministratori integri anche i presupposti di gravi irregolarità, ove consentito dalla legge, può proporre la denunzia al tribunale ex art. 2409 c.c.”. L’inerzia o non adeguato intervento degli amministratori rispetto alle indicazioni rese dal collegio sindacale, impongono, dunque, a tale organo di attivare i necessari poteri “reattivi”, ed in particolare: − convocare l'assemblea ex art. 2406 c.c., per informarla, sia dell’inerzia degli amministratori, sia dello stato di crisi; − proporre denunzia al tribunale ex art. 2409 c.c., qualora l’assemblea, pur essendo stata convocata non abbia luogo o non prenda i provvedimenti opportuni, e la condotta degli amministratori abbia integrato una fattispecie di gravi irregolarità di gestione. Nel convocare l’assemblea, la norma in esame raccomanda che il collegio sindacale operi con particolare attenzione nell’evidenziare i fatti ritenuti rilevanti, provvedendo in particolare a: − definire puntualmente l’ordine del giorno circoscrivendolo alla situazione di crisi; − esporre in apposita relazione i fatti censurabili e le informazioni acquisite; − allegare la documentazione di supporto (quale, ad esempio, riscontri effettuati, dati e informazioni ricevute dall’organo amministrativo o dal revisore legale). Qualora il ricorso all'assemblea non abbia avuto luogo o i suoi esiti non siano ritenuti adeguati, il collegio sindacale, quindi, può ricorrere, sussistendone i presupposti, alla denunzia al tribunale di cui all'art. 2409 c.c. per gravi irregolarità degli amministratori. In particolare, la denuncia per gravi irregolarità può scattare - sussistendone i presupposti - anche quando, di fronte alla necessità di ricostituire il capitale perduto (ex artt. 2446, 2447 e 2482 ter c.c.), l’assemblea ometta di adottare gli opportuni provvedimenti (riduzione del capitale, ricapitalizzazione, trasformazione ovvero scioglimento), situazione quest’ultima che si presenta quasi sempre in situazioni di crisi e di pregiudizio alla continuità aziandale. 57 Resta ferma, precisa la norma, che in presenza di cause di scioglimento non tempestivamente accertate da parte degli amministratori, è potere-dovere del collegio sindacale di presentare la relativa istanza al tribunale affinché venga accertata la causa di scioglimento, secondo quanto previsto dalla norma di comportamento n. 10.9. 5.4 Norma 11.3. – Vigilanza del collegio sindacale in caso di adozione di un piano attestato di risanamento Nel caso in cui la società decida di predisporre un piano attestato di risanamento ex art. 67, comma 3, lett. d), l.f., il collegio sindacale: − “vigila che il professionista incaricato di attestarne la ragionevolezza sia in possesso dei requisiti di professionalità previsti dall’art. 28, lett. a) e lett. b), l.f. e sia iscritto nel registro dei revisori legali”; − “vigila sulla corretta esecuzione del piano da parte degli amministratori”. Il piano attestato di risanamento è un atto dell’organo amministrativo che, generalmente viene sottoposto all’approvazione dell’assemblea, la quale definisce le linee di risanamento e nomina i (o ratifica gli incarichi affidati ai) professionisti individuati, rispettivamente, per la redazione del piano (advisor) e per l’attestazione di ragionevolezza (attestatore). Pur non essendo tenuto ad entrare nel merito del piano, il collegio sindacale deve svolgere una funzione di vigilanza riferita sia alla fase prodromica sia alla fase esecutiva del Piano. Nella fase prodromica, l’organo di controllo accerta che il professionista prescelto abbia i requisiti di professionalità richiesti dalla legge. Ancorché la norma 11 non preveda nulla esplicitamente a parere di chi scrive occorre che il Collegio sindacale verifichi non solo i presupposti formali e professionali del soggetto attestatore, ma anche l’adeguatezza delle competenze tecniche e la struttura, basandosi sulla proposta formulata dal revisore legale nominato ai fini del rilascio del giudizio di attestazione (un po’ come accade per il giudizio di adeguatezza espresso dal collegio sindacale per il revisore nominato dall’assemblea). La valutazione, ovviamente, dovrebbe essere svolta nel corso del lavoro di predisposizione del piano attestato anche in riferimento all’attività dell’advisor nominato dalla società, non potendo ritenersi del tutto esente da responsabilità l’organo di controllo che non vigili sull’adeguatezza del lavoro. Nella fase esecutiva, il collegio sindacale deve vigilare sulla corretta esecuzione del piano e, dunque, deve richiedere informazioni agli amministratori in merito a contenuti, scadenze ed obiettivi ivi indicati, intervenendo (o, sussistendone i presupposti, convocando l’assemblea) laddove rilevi significativi scostamenti rispetto alle previsioni del piano, oppure non riceva chiarimenti da parte degli amministratori. Come prevedono le linee guida al finanziamento delle imprese in crisi, in caso di significativi scostamenti dal piano attestato o in caso di incapacità di raggiungerne gli obiettivi, occorrerà che il Collegio sindacale richieda all’organo amministrativo di predisporre un nuovo piano di risanamento da sottoporre a nuova attestazione (sempre come previsto dalle linee guida al finanziamento delle imprese in crisi). 58 L’attività del collegio sindacale nella crisi d’impresa alla luce della norma di comportamento n. 11 emanata dal CNDCEC 5.5 Norma 11.4. – Vigilanza del collegio sindacale in caso di adozione di un accordo di ristrutturazione dei debiti Nel caso in cui la società decida di predisporre un accordo ex art. 182 bis, l.f., il Collegio sindacale: − “vigila che il professionista incaricato di attestarne l’attuabilità sia in possesso dei requisiti di professionalità previsti dall’art. 28, lett. a) e lett. b), l.f. e sia iscritto nel registro dei revisori legali”; − “dopo l’omologazione da parte del tribunale (…) vigila sulla corretta esecuzione dell’accordo da parte degli amministratori”. Come per il piano attestato di risanamento, il Collegio sindacale, anche se non è tenuto ad esprimersi sul merito, deve prendere conoscenza dell'accordo di ristrutturazione dei debiti predisposto dall'organo amministrativo e svolgere una funzione di vigilanza, quest’ultima riferita alla fase prodromica ed alla fase esecutiva degli accordi. Valgono anche per il caso degli accordi di ristrutturazione dei debiti le considerazioni svolte per il piano attestato di risanamento. Nel corso delle trattative che precedono la stipula dell’accordo, l’organo, previamente informato sull’iniziativa delle società di depositare istanza di automatic stay, deve accertare l’esistenza dei requisiti di professionalità richiesti dalla legge in capo al soggetto incaricato di dichiarare che la proposta risulta idonea ad assicurare il regolare pagamento dei creditori con i quali sono in corso trattative o che hanno comunque negato la propria disponibilità a trattare. Nella fase prodromica all’accordo di ristrutturazione, il collegio deve accertare la sussistenza dei requisiti di professionali in capo al professionista attestatore, che ragionevolmente sarà il medesimo professionista che ha espresso al c.d. pre opinion in caso di istanza di automatic stay ex art. 182 bis, comma 6, l.f. Sia con riferimento alla richiesta di automatic stay, sia con riferimento alla richiesta di omologazione dell’accordo definitivo, il controllo del collegio deve, comunque, estendersi alla verifica della sussistenza delle formalità necessarie alla presentazione delle istanze ed al corretto svolgimento dei rispettivi iter procedurali, affinchè eventuali errori non pregiudichino la gestione e la continuità aziendale, o peggio rendano del tutto inutili le iniziative per evitare il fallimento. Nella fase esecutiva, a seguito dell’omologazione, il collegio sindacale deve vigilare sulla puntuale esecuzione dell’accordo, richiedendo informazioni agli amministratori. Il controllo, in particolare, deve estendersi all’intero periodo preso in considerazione ai fini della ristrutturazione e deve essere focalizzato sul regolare pagamento dei creditori estranei all’accordo e sulla puntuale esecuzione da parte degli amministratori delle soluzioni indicate nell’accordo di ristrutturazione. Inoltre, laddove nel corso di ispezioni e nell’espletamento dell’attività di vigilanza rilevi significativi scostamenti rispetto alle previsioni dell’accordo, l’organo di controllo può chiedere chiarimenti all’organo amministrativo e, qualora essi non vengano forniti o risultino insufficienti, può convocare, ricorrendone i presupposti, l’assemblea dei soci al fine di comunicare tale circostanze. Il principio in esame auspica, altresì, che “il collegio sindacale raccomandi il rispetto delle indicazioni contenute nelle ‘Linee guida per il finanziamento delle imprese in crisi’ emanate dal Consiglio Nazionale”, già più volte citate. 59 5.6 Norma 11.5. – Vigilanza del collegio sindacale in caso di concordato preventivo Nel caso in cui la società decida di proporre un concordato preventivo, il collegio sindacale: − “vigila che il professionista incaricato di attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano sia ’attuabilità sia in possesso dei requisiti di professionalità previsti dall’art. 28, lett. a) e lett. b), l.f. e sia iscritto nel registro dei revisori legali”; − “In caso di ammissione alla procedura (…) e anche successivamente alla omologazione (…) continua a svolgere le funzioni ad esso attribuite dalla legge” Come per il piano attestato di risanamento e l'accordo di ristrutturazione dei debiti, il Collegio sindacale, pur non essendo tenuto a pronunciarsi sul merito dello stesso, “prende conoscenza” della proposta del piano di concordato preventivo. Nella fase prodromica, all’organo di controllo spetta la verifica della sussistenza dei requisiti di professionalità dell'attestatore incaricato dalla società. Durante l'esecuzione del concordato, il Collegio permane nelle sue funzioni e prosegue nella propria attività di vigilanza. Nell’auspicare, anche in tal caso, di raccomandare il rispetto delle Linee guida al finanziamento delle imprese in crisi, nel commento alla norma in esame viene precisato che, relativamente alla relazione ex art. 161, il collegio sindacale deve solo procedere alla verifica dei requisiti di professionalità dell’attestatore (tuttavia appare evidente come sia importante che il Collegio verifichi che la società si sia dotata di un supporto professionale idoneo a raggiungere lo scopo: ovvero la predisposizione della proposta di concordato preventivo e quindi la sua attestazione). Inoltre viene ribadito che il collegio sindacale permane nelle sue funzioni (quindi, anche in quella di vigilanza) sia a seguito dell'ammissione alla procedura di concordato preventivo sia dopo l'omologazione, verificandosi quindi la coesistenza tra organi societari ed organi giudiziali (il commissario giudiziale e il commissario liquidatore, quest'ultimo in caso di concordato preventivo con cessio bonorum, normalmente nominato dai tribunali, ancorché figura non più espressamente prevista dalla legge fallimentare), che affiancano senza sostituire i primi. La vigilanza del commissario giudiziale non fa venire meno la vigilanza del Collegio sindacale, che tuttavia si deve ritenere attenuata almeno sotto il profilo del rispetto del raggiungimento e mantenimento dei presupposti per il buon fine del concordato preventivo. Secondo la norma in commento, infatti, a differenza di quanto previsto per il piano attestato e per gli accordi di ristrutturazione, in caso di concordato preventivo, il collegio sindacale non è (ovvero non sarebbe) tenuto a vigilare sull’esecuzione del piano e sull’adempimento del concordato, in quanto attività (queste) proprie del commissario giudiziale, al quale, comunque, deve dare informazioni di eventuali irregolarità riscontrate nella gestione anche al fine di consentire allo stesso la tempestiva informazione al tribunale ai sensi degli artt. 173 e 185, l.f. Infine, nel caso di concordato con cessio bonorum, la vigilanza del collegio sindacale non può spingersi a controllare l'operato del liquidatore giudiziale, spettando tale funzione al tribunale e al commissario giudiziale. 5.7 Norma 11.6. – Ruolo del collegio sindacale durante il fallimento La norma di comportamento in oggetto conferma che “Durante la procedura di fallimento le funzioni del collegio sindacale sono sospese”. La procedura fallimentare non determina né l'estinzione automatica della società né la decadenza degli organi sociali, i quali entrano in uno stato di quiescenza. 60 L’attività del collegio sindacale nella crisi d’impresa alla luce della norma di comportamento n. 11 emanata dal CNDCEC In particolare, l’apertura del fallimento determina la sospensione delle funzioni del collegio sindacale sino al decreto di chiusura della procedura ex art. 119 l.f. Quest’ultimo normalmente coinciderà con la cancellazione della società dal Registro delle imprese, ma potrà anche, in determinate ipotesi non frequenti nella prassi, qualora la società tornasse in bonis, preludere a una ripresa dell’attività sociale con conseguente riattivazione delle funzioni del Collegio, così come in tale circostanza riprendono le funzioni dell’organo amministrativo e la piana vigenza dell’assemblea dei soci. 61 LA RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI E DEI SINDACI NELLA GESTIONE DELLA CRISI a cura di Maria Augusta Dramisino∗ Alla luce della giurisprudenza già affermatasi in materia di responsabilità di amministratori e sindaci e sulla scorta della interpretazione data alla normativa di riferimento, s’intendono svolgere delle riflessioni che conducano alla analisi comparata degli atti omissivi e commissivi nonché dei comportamenti posti sotto censura, che dichiaratamente rappresentano fonti di responsabilità, con quelli che s’impongono nella gestione della crisi al fine di illustrare le condotte ritenute adeguate e quelle che potrebbero generare responsabilità. L’esame viene compiuto infatti, avendo quale punto di riferimento le conseguenze che potrebbero scaturire soprattutto in caso di default e quindi qualora la crisi non trovasse altro sbocco che il fallimento. 1. Le fonti normative e le best practices nella gestione della crisi Il legislatore della riforma del diritto societario, in attuazione del criterio indicato nella legge delega (art. 3 co. 2 lett. e) della L. n. 366 del 2001), nel disciplinare l’azione di responsabilità da intraprendere contro amministratori e sindaci, ha tratteggiato una casistica particolareggiata per le s.p.a., mentre ha riconosciuto ai soci ampia autonomia statutaria nelle s.r.l., svincolando la disciplina di queste ultime da espressi rinvii a quella della s.p.a., secondo la logica che aveva caratterizzato la normativa ante riforma. Questa tecnica di normazione ha creato problemi di coordinamento ed individuazione dei fattori che caratterizzano la azione di responsabilità degli amministratori, soprattutto nelle s.r.l., sino a quando, in assenza di specifiche disposizioni statutarie, la affermazione del ricorso ai criteri fissati nella disciplina della s.p.a. come punto di riferimento anche per la analisi delle vicende direttamente riferibili ad una s.r.l., ha avuto un riconoscimento preciso in giurisprudenza.23 Nelle s.r.l. la disciplina della responsabilità degli amministratori è contenuta nell’art. 2476 c.c., mentre l’art. 2407 c.c., nell’individuare i compiti del collegio sindacale rinvia per l’esperimento della azione di responsabilità alla disciplina della s.p.a.. Al fine di identificare il parametro a cui fare riferimento per la individuazione della responsabilità, entrambe le norme ricorrono a due elementi: il primo è la “natura dell’incarico”, comune ad entrambi gli organi, il secondo invece, è leggermente differenziato in relazione alla tipologia di condotta che ci si aspetta da ciascuno di essi; il legislatore, infatti, richiede che gli amministratori siano dotati di “specifiche competenze” mentre ai sindaci richiede “professionalità”; nel complesso, con la riforma si è inteso valorizzare la componente professionale delle funzioni precipue di ciascuno degli organi. Per “natura dell’incarico” deve intendersi l’agire in modo informato, ossia con la consapevolezza piena di tutte le attività che caratterizzano la gestione della società. In ordine invece, alle “specifiche competenze” richieste agli amministratori, si è inteso modellare la professionalità pretesa, ai parametri minimi dell’art. 1176 co. 2 c.c., ossia alla diligenza commisurata in base alla natura dell’attività esercitata in concreto rispetto alla qualificazione professionale posseduta dal singolo soggetto alla quale essa si riferisce. La “professionalità” poi, deve caratterizzare l’attività dei sindaci; la funzione di controllo e legalità sostanziale loro assegnata, diventa maggiormente penetrante ed effettiva perché deve essere diretta concretamente sull’attività degli amministratori, essendo i sindaci solidalmente responsabili con essi, ∗ Pezzo aggiornato al 27/02/2012 (Sesta giornata del Master Breve 2011/2012 – Area approfondimento) ** Articolo tratto da “Bilancio, Vigilanza e Controlli” Euroconference. 23 sul punto cfr. da ultimo Trib. di Roma 23.02.2009 in Le Società, 2010, 97 62 al fine di evitare che il danno si produca; il tutto, ovviamente, in conformità agli obblighi scaturenti dall’esercizio delle proprie funzioni. La casistica formatasi sino ad oggi trova una copiosa fonte di esame nelle azioni che vengono intraprese nell’ambito del fallimento e, per questa ragione, nella analisi delle condotte che potenzialmente potrebbero essere foriere di responsabilità nel caso di gestione della crisi, punto valido di riferimento è rappresentato dalle linee guida al finanziamento delle imprese in crisi elaborate dal CNDCEC in collaborazione con la Università di Firenze e l’Assonime24 nelle quali i redattori, nell’intento di rappresentare modelli virtuosi di comportamento che possano costituire un significativo elemento di distinzione e porre tutti i partecipanti ad una operazione di risanamento al riparo da responsabilità non altrimenti prevedibili, hanno inteso scongiurare in un successivo, eventuale, vaglio giudiziale, la annoverabilità di alcune scelte effettuate per la gestione della crisi, tra quelle azioni censurabili perché fonti di responsabilità (tale vaglio molto spesso viene condotto proprio nell’ambito delle procedure concorsuali e tra di esse, nel fallimento in particolare). Il commento alla best practice n. 1 infatti, nel delineare il contesto del risanamento specifica che, l’assenza di un esplicito coordinamento fra normative comporta che il salvataggio di un impresa in difficoltà possa generare responsabilità civili e penali a carico di chi vi ha operato. Gli operatori, ovviamente, non sono solo i professionisti che vengono incaricati della elaborazione di una delle soluzioni ivi tratteggiate, ma anche l’imprenditore che assume l’iniziativa e tutto il suo management. Nella illustrazione della casistica che segue, dunque, si cercherà di creare un parallelismo tra le best practices rese nelle linee guida con quelli che sono i comportamenti più frequentemente posti sotto censura sino ad oggi, per poter prospettare principi comportamentali che, in aderenza alle singole fattispecie possano essere utili a chi dovesse trovarsi ad operare con una impresa in crisi. 2. La responsabilità degli amministratori E’ stato autorevolmente sostenuto che ”ai fini dell’eventuale responsabilità dell’amministratore non rileva tanto ciò che egli fa, quanto il modo in cui lo fa: non, quindi, il grado di rischio che assume prendendo una determinata iniziativa, ma l’eventuale mancata adozione delle verifiche preventive occorrenti per valutare quel rischio in modo professionalmente adeguato”.25 Gli amministratori, nell’espletamento del loro incarico devono innanzitutto rispondere alla legge ed allo statuto sociale. 26 Nel complesso, si tratta di porre in essere: tutti quegli obblighi di informativa alla società ed ai terzi, finanche della sussistenza di un interesse proprio o di un terzo che sia in conflitto con quello della società, l’adempimento degli impegni di carattere fiscale e previdenziale, la iniziativa nel convocare prontamente l’assemblea in caso di perdite gravi del capitale, l’accertamento della sussistenza di cause di scioglimento, la salvaguardia della integrità del patrimonio sociale27. 24 in “Linee Guida per il Finanziamento alle imprese in crisi“ redatte da Università degli Studi di Firenze CNDCEC Assonime su www.assonime.it oppure su www.cndec.it o www.unifi.it/nuovodirittofallimentare; 25 R. Rordof “La responsabilità civile degli amministratori di s.p.a. sotto la lente della giurisprudenza” in Le Società 2008,1193; 26 Cass., sez. I, 23-03-2004, n. 5718 in Società, 2004, 1517, n. FUSI la quale traccia molto bene la distinzione tra obblighi amministrativi di contenuto specifico determinati dalla legge o dallo statuto ed obblighi definiti attraverso il ricorso a clausole generali; nel merito cfr. Trib. Roma 13.06.2006 in Dir. Fall. 2007,II,487; 27 Cass., sez.I, 8.7.2009, n. 16050 in Mass. 2009, interessante oltre che per la casistica delle condotte che hanno portato alla definizione delle responsabilità di amministratori e sindaci, anche perchè si tratta degli effetti della transazione intervenuta nell’ambito del giudizio da parte di alcuni solo dei componenti del c.d.a. e/o del collegio sindacale 63 CONTRIBUTI DI APPROFONDIMENTO La responsabilità degli amministratori e dei sindaci nella gestione della crisi A tali compiti si accompagna poi, una serie di ulteriori condotte che caratterizzano l’attività gestoria e che devono essere lette alla luce della diligenza che la natura dell’incarico richiede; la diligenza quindi, non costituisce solo un metro di valutazione ma, come sostenuto dalla Cassazione, può rappresentare l’oggetto stesso degli obblighi facenti capo all’amministratore sul quale incombono svariate valutazioni, finalizzate ad individuare nelle azioni da compiere per conto della società, la sussistenza o meno di benefici. 28 In tale ottica deve ascriversi anche la disamina sull’attività compiuta dai propri predecessori, allorquando ci si inserisce in una realtà la cui pregressa gestione sia affetta da gravi irregolarità che, in mancanza della adozione di adeguati e/o efficaci rimedi possano riverberarsi sulla gestione corrente e quindi essere foriere di danni e fonti di responsabilità; la Cassazione ha avuto modo di affermare che l'amministratore di una società il quale, succedendo ad altro amministratore e ricevendo una gestione affetta da gravi irregolarità, ometta del tutto di informare l'assemblea dei soci, è responsabile non già dell'attività dei precedenti amministratori che avrebbero realizzato le irregolarità, ma della propria colpevole omissione.29 La violazione del dovere di diligenza a carico degli amministratori sussiste anche in relazione alla omessa vigilanza sull’operato del soggetto terzo – collegio sindacale o consulente - che invece di effettuare, da una posizione di imparzialità, il dovuto controllo sull’amministrazione, si sia reso partecipe della stessa gestione da controllare, con l’assunzione di una prestazione professionale a carattere continuativo (nella specie, la tenuta dei libri contabili, mansioni di consulenza ed assistenza fiscale e l’espletamento di tutti gli adempimenti conseguenti).30 E’ stato sovente affermato, poi, come il ritardo nell’assunzione delle misure necessarie a contenere le perdite o la mancata adozione di efficaci strumenti di risoluzione della crisi, sino alla omessa richiesta di autofallimento, possano essere fonte di responsabilità.31 Gli amministratori, infatti, sono responsabili verso i creditori sociali del pregiudizio arrecato al patrimonio sociale tutte le volte in cui contribuiscano con il loro operato a renderlo insufficiente a soddisfarli, violando, in siffatto modo, i doveri di conservazione del patrimonio medesimo.32 La violazione del divieto di compiere nuove operazioni, a fronte del capitale sociale assorbito dalle perdite, costituisce nella stragrande maggioranza dei casi, il fondamento della responsabilità degli amministratori di una società che poi fallisca; essa, comunque, presuppone l’allegazione e la dimostrazione che la continuazione dell’attività d’impresa, nonostante le perdite, abbia contribuito a determinare un pregiudizio ai creditori, ulteriore rispetto alle perdite stesse.33 Il complesso delle pronunce illustrate, conduce alla conclusione che ogni amministratore, sia investito o meno di deleghe operative in seno alla compagine societaria, ha l’obbligo di vigilare costantemente e concretamente sul generale andamento della gestione sociale, diversamente può incorrere nella responsabilità anche solidale, qualora si tratti di organo amministrativo collegiale. …e quella dei sindaci sotto il duplice profilo della responsabilità esclusiva e di quella concorrente I sindaci sono responsabili dell’inosservanza ai compiti previsti dalla legge cristallizzati nell’art. 2407 c.c. I e II co.; tale responsabilità viene comunemente definita esclusiva con riferimento al rilascio di 28 Cass. sez. I, 23.06.2008, n. 17033 in Fallimento, 2009, 565; Cass., sez. I, 24-08-2004, n. 16707 in Foro it., 2005, I, 1844, n. NAZZICONE in tema di responsabilità degli amministratori di società di capitali verso la società stessa, appartenente ad un gruppo societario; 29 sul punto Cass. civ., Sez. I, 23/02/2005, n. 3774 in Società, 2006, 2, 188, GHIGLIONE; nel merito cfr. tra le tante Trib. Como, 10-06-1998 in Giur. it., 1999, 1459, n. MAINETTI; 30 Cass. 11.07.2008, n. 19235 in Mass. 2008, 1319; 31 in questo senso Cass. civ., Sez. I, 27/02/2002, n. 2906 in Fallimento, 2003, 3, 366, GAFFURI, SPINETTI; 32 Trib. Roma 23.02.2009 In Le Società 2010, 97 n. BONAVERA; Trib. Genova 17.03.2008 In Le Società 2010, 246 n. RONCO 33 così Cass. 06.09.2007 n. 18724 in Le Società 2009, 190, n. GAETA; nel merito Trib. Marsala 23.05.2005 in Le Società 2007,83 n. REDEGHIERI BARONI; 64 La responsabilità degli amministratori e dei sindaci nella gestione della crisi false attestazioni e/o alla violazione del segreto professionale; viene definita responsabilità concorrente, invece, quella condivisa con gli amministratori. La responsabilità esclusiva che è generata dal rilascio di false attestazioni ha una sua particolare valenza nell’ambito dei comportamenti da assumere nella gestione della crisi, considerato il potenziamento che il ruolo rivestito da sindaci e revisori riceve proprio dalle linee guida al finanziamento delle imprese in crisi che, in più punti, presuppongono che i sindaci: • rilascino dichiarazioni in ordine alla insussistenza di cause di scioglimento della società • rilascino dichiarazioni di insussistenza delle condizioni di cui agli art. 2446 e 2447 c.c., • si rendano parte attiva nel monitoraggio dei piani di risanamento e/o degli accordi di ristrutturazione; E’ stato espressamente sancito poi, che l’esperto chiamato ad attestare un piano di risanamento ex art. 67 III co. lett. D) L.F. o un accordo di ristrutturazione ex art. 182 bis L.F. possa effettuare la verifica in ordine alla attendibilità dei dati contabili resi dalla società, con un rimando alla verifica fatta dai revisori ed alle loro osservazioni sul punto, di talché, omissioni o errate valutazioni in tale ambito condotte, riverbereranno i loro effetti sulla pianificazione, compromettendola e, nell’ambito di una ricostruzione volta ad individuare responsabilità, tali fatti potranno essere imputati esclusivamente a chi era deputato a tali analisi34. Le false attestazioni quindi, possono riguardare anche tutte quelle dichiarazioni che devono essere rilasciate in ottemperanza ai principi di revisione che governano l’esame sui criteri di redazione del bilancio, o quelle che vengono usualmente rese nell’esercizio delle verifiche proprie di tale organo. La violazione del segreto professionale, invece, si concretizza tutte le volte in cui si rivelino fatti o si divulghino documenti di cui si è avuta conoscenza nell’esercizio delle proprie funzioni e che non sono destinati ad avere una qualsivoglia forma di pubblicizzazione; tale violazione comporta anche la configurazione del reato di cui all’art. 622 c.p. La responsabilità concorrente, si concretizza tutte le volte in cui si ometta al dovere di vigilanza sugli atti commessi dagli amministratori e quindi il controllo non sia stato svolto o, se svolto, si sia rivelato inadeguato. Riguardo alla prestazione che viene richiesta ai sindaci, la Corte di Cassazione ha avuto modo di specificare che essa risulta connotata da un così elevato grado di discrezionalità tecnica da farla rientrare nelle c.d. obbligazioni di diligenza, intese come quelle nelle quali la strumentalità della prestazione, riferita alla possibilità di pervenire ad un certo tipo di risultato, comporta che il criterio della diligenza a tal fine occorrente serva a determinare, anche sotto il profilo oggettivo, l’area del comportamento dovuto da parte del soggetto obbligato.35 Nel valutare il grado di diligenza devono essere poste in relazione la natura dell’incarico ed il grado di professionalità del sindaco. V’è da dire che, essendo i sindaci dei professionisti, sono tenuti all’adempimento di una obbligazione di mezzi e non di risultato tant’è che, proprio sulla scorta di tale tipo di obbligo, rispondono solo per fatto proprio e quindi non per ogni fatto commesso dagli amministratori che possa generare un danno, ma solo per quello che loro avrebbero potuto concretamente evitare esercitando correttamente e concretamente gli obblighi riguardanti il corretto esercizio della loro funzione, tutti riconducibili alla vigilanza sull’osservanza della legge e dello statuto, sul rispetto dei principi di corretta amministrazione, sull’adeguatezza del sistema organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società nel suo ordinario e concreto andamento.36 34 Trib. Milano 15.11.2009 in Il Fallimento 2010, 195 in tal senso Cass. Civ. Sez.I, 08.02.2005, n. 2538 in Giur. It., 2005, 1637 con nota di IOZZO ; nonché Cass. Civ. Sez. I, 15.02.2005, n. 3032 in Giust. Civ. 2005, 96; 36 Trib. Milano, 17-05-2007 in Resp. e risarcimento, 2007, fasc. 10, 57, n. BALADDA; Trib. Milano 18.07.2006 in Le Società 2007, 875; 35 65 La responsabilità dei sindaci dunque, non viene configurata automaticamente rispetto a quella degli amministratori, da cui deve rimanere sempre distinta anche e soprattutto sul piano della valutazione delle rispettive condotte; essi rispondono solo qualora sia configurabile a loro carico uno specifico obbligo che sia correlabile al corretto esercizio della loro funzione. L’esercizio delle proprie funzioni, in ottemperanza a tali prescrizioni, impone la costante e diligente vigilanza, impone l’adozione dei poteri - doveri propri della funzione esercitata secondo quanto statuito dall’art. 2403 bis c.c., ed esonera i sindaci da qualsivoglia imputabilità a loro carico di profili di responsabilità nonostante il danno si sia ugualmente prodotto.37 Pertanto, la scorrettezza gestionale degli amministratori che non possa essere percepita dai sindaci attraverso le usuali operazioni di controllo e vigilanza della gestione della società, non può comportare la responsabilità di questi ultimi per il conseguente danno al patrimonio sociale.38 L’esercizio dei poteri riconosciuti al collegio sindacale comporta che essi, soprattutto nell’ambito delle srl, laddove non è più ammissibile il ricorso al tribunale ex art. 2409 c.c. – potere oggi attribuito solo ai controllori nelle s.p.a. - siano legittimati a convocare l’assemblea tutte le volte in cui si ravvisi inerzia o rifiuto dell’amministratore alle richieste avanzate dai soci o dal collegio sindacale stesso.39 La funzione del collegio sindacale, impone, dunque, il compimento di atti incidenti; tali non possono essere ritenuti gli avvisi o le lettere, o, in caso di riluttanza dell’organo amministrativo a raccogliere le annotazioni del collegio, le dimissioni di quest’ultimo, atteso che, la diligenza che impermea l’operato dei sindaci richiede che essi pongano in atto tutte le condotte possibili per impedire o attenuare le conseguenze dannose per la società che possano scaturire dall’operato degli amministratori.40 Gli obblighi che caratterizzano la funzione dei sindaci sovrintendono alla tutela dei soci e dei creditori sociali. In tale ottica, appare più che evidente che l’indipendenza dei componenti del collegio sindacale rappresenti il requisito indispensabile al corretto esercizio delle funzioni di controllo. 3. Il danno risarcibile La responsabilità presuppone l’esistenza di un comportamento illegittimo, la sussistenza di un danno ed il nesso di causalità tra condotta e danno41; tali elementi integrano la responsabilità e non vi si può prescindere nell’esame delle potenziali condotte generatrici di responsabilità e/o passibili di censura. Questi postulati però, non sono stati utili nella determinazione del danno, soprattutto nei casi in cui, intervenuto il fallimento, risulti che la contabilità non è stata tenuta regolarmente e che l’amministratore ha compiuto operazioni dalle quali doveva astenersi.42 Sul punto si sono avvicendati due differenti orientamenti giurisprudenziali; il più datato riteneva che il danno risarcibile potesse identificarsi con la differenza tra l‘attivo ed il passivo accertati in sede fallimentare; tale orientamento però, confliggeva con la necessità di ricondurre il danno al compimento di specifici atti illegittimi, riconducibili agli amministratori, con la conseguenza che essi venivano annoverati nel risultato negativo della gestione patrimoniale della società. L’orientamento successivo e più recente ha affermato invece, la necessità di verificare il risultato economico delle singole operazioni pregiudizievoli per la società, poste in atto dall’amministratore e/o dai componenti del collegio sindacale per poi verificare il nesso causale con il pregiudizio 37 Trib. Milano 17.01.2007, in Le Società, 2007, 1372; Trib. Milano, 13-11-2006 in Società, 2008, 79, n. BRUTTI; in tal senso Trib. Cosenza 19.06.2007 in Giur. It. 2008, 668; 40 in tal senso cfr. Tribunale di Tortona 10.03.2008 in Il Corr. Del Merito 2008, 816; 41 sul nesso di causalità in particolare cfr. App. Milano 11.07.2007 in Le Società 2008, 590 n. SIGNORELLI; 42 Trib. Napoli 31.05.006 in Le Società 2007,11 n. SIGNORELLI; 38 39 66 La responsabilità degli amministratori e dei sindaci nella gestione della crisi reclamato43, motivo per cui, solo qualora risulti impossibile determinare in modo specifico il nesso esistente tra le singole violazioni e la concreta misura del danno a causa della cattiva tenuta o della inesistenza delle scritture contabili, e quindi sia inattuabile una ricostruzione degli eventi che hanno concorso alla definizione dei profili di responsabilità, potrà farsi ricorso al criterio della differenza tra attivo e passivo. In merito, la Cassazione, in maniera incisiva, ha affermato che il danno va determinato in relazione alle conseguenze immediate e dirette delle violazioni contestate, ragione per la quale la liquidazione in via equitativa del danno sarà possibile, ma solo allorquando non sussistano elementi sufficienti ad individuare gli effetti lesivi delle violazioni contestate per l’impossibilità o l’estrema difficoltà di fornire adeguata prova e che tale liquidazione, in ogni caso, debba essere ancorata a ragionevoli criteri.44 Indispensabile quindi è la sussistenza della prova del pregiudizio sofferto.45 La determinazione del danno infatti, alla luce dell’orientamento menzionato deve essere condotta avendo riguardo al caso concreto ed alla lesione effettivamente prodotta nel patrimonio sociale da ciascuna violazione compiuta; in tal senso ad esempio, è stato affermato che l’amministratore della società fallita che abbia distrutto, distratto, sottratto, dissipato, abbandonato od occultato una cospicua parte delle immobilizzazioni materiali iscritte dallo stesso in bilancio è tenuto al risarcimento in favore della stessa nella misura pari alla differenza tra il valore delle immobilizzazioni materiali iscritte in bilancio e quello delle immobilizzazioni materiali inventariate dal curatore oppure che il danno al patrimonio di società dichiarata fallita, cagionato dagli amministratori che, in sede di redazione del bilancio, violano l’obbligo di valutare secondo criteri prudenziali il rischio di inesigibilità futura dei crediti della società da inserire nel fondo rischi, non può essere determinato nella semplice differenza tra attivo e passivo fallimentare, bensì va determinato solo in quella parte di passivo che ha prodotto la sopravvalutazione delle perdite ed il venir meno del capitale sociale.46 Il risarcimento del danno pertanto deve scaturire in via diretta ed immediata dalla condotta dolosa o colposa che vuoi gli amministratori, vuoi i sindaci, abbiano posto in essere; entro tale limite esso comprende tanto il danno emergente quanto il lucro cessante.47 4. Regole di comportamento La crisi e le modalità da assumere per affrontarla, i rimedi da intraprendere per comporla e le valutazioni sottese alla metodologia da seguire, sono tutte riposte in chi di fatto gestisce la realtà imprenditoriale; le scelte da prendere, quindi, diventano ardue poiché il termine “crisi” è sinonimo di pericolo incombente sulla continuazione della attività aziendale e connota sempre situazioni border line che, nell’ambito di una valutazione posteriore, possono trovare un ampio ventaglio interpretativo. Per tale ragione, con particolare riferimento alla assunzione della carica di amministratore, l’accettazione dell’incarico, allorquando già si siano manifestate avvisaglie sullo stato di crisi della realtà imprenditoriale della quale si voglia far parte, impongono che sia condotta una analitica verifica della situazione pregressa, quali iniziative e rimedi si manifestino opportuni e necessari per 43 Trib. Milano 18.07.2006 in Le Società 2007,875; Trib. Milano 19.12.2006 in Le Società 2008, 333, n. SPORTA CAPUTI; Cass. 08.02.2005 n. 2538 in Foro It. 2006, I, 1898; App. Milano 11.07.2007 in Le Società 2008,590; Trib. Napoli 31.05.2006 in Le Società 2007, 1125; Trib. Milano 23.10.2006 in Le Società 2007, 657; 45 Cass. sez. I, 29.10.2008 n. 25977 in Mass. 2008, 1481 e, nel merito Trib. Milano 18.10.2007 in Le Società 2008, 1521, n. REDEGHIERI BARONI; 46 Trib. Napoli 24.01.2007 in Fallimento 2007, 946; Trib. Salerno 25.10.2006 in Corriere merito, 2007, 74, n. DE RENTIIS ; 47 così Cass. sez. I 23.07.2007 n. 16211 in le Società 2008, 1364, nonché App. Torino 12.01.2009 in il Fallimento 2010, 35; 44 67 impedire che eventuali precedenti irregolarità continuino a gravare sull’amministrazione, di quali mezzi finanziari e patrimoniali la gestione possa usufruire e disporre.48 Tali valutazioni hanno poi un altro risvolto, che trova le sue radici nell’art. 2381 c.c. il quale contempla tra i compiti fondamentali dell’amministratore di società, quello di prendersi cura dell’adeguatezza dell’assetto amministrativo, organizzativo e contabile della società; la adeguatezza di tali divisioni deve essere stabilita in rapporto alla natura ed alle dimensioni dell’impresa stessa e non essere né sovrabbondante, né deficitaria. La corretta osservanza di condotte che siano ascrivibili ad una strategia gestoria ben precisa, la cognizione delle funzioni che si esercitano in osservanza alle prescrizioni normative del caso, rendono le scelte da compiere soprattutto nella gestione della crisi, sempre più consapevoli, attutendo la assunzione di decisioni che possano essere oggetto di distorta interpretazione ex post. Questo atteggiamento ha recentemente ricevuto un riconoscimento esplicito in giurisprudenza laddove, ad esempio, è stato affermato che è carente dei requisiti di dannosità ed attualità l’operazione di affitto di rami d’azienda e di alienazione dei relativi magazzini quando è posta in essere in un piano di dismissioni funzionali a porre rimedio ad un andamento negativo della società e sia stata adottata dal consiglio di amministrazione nell’ambito dei propri poteri discrezionali di gestione, resi noti alla società.49 La verbalizzazione di tutte le scelte da compiere in un momento anteriore alla loro realizzazione, la condivisione con l’assemblea e la circostanziata giustificazione ad esse, in un quadro che appaia ragionevole e coerente con la realtà aziendale del momento, difficilmente potranno essere oggetto di distorte interpretazioni. Quanto alla funzione dei sindaci, la griglia riportata nell’articolo “Azioni e reazioni del Collegio sindacale in caso di crisi d’impresa” redatto dal dott. Alessandro Corsini e pubblicata nel numero di febbraio 2010 di questa rivista, riepiloga le condotte che il collegio sindacale dovrebbe assumere nell’esercizio corretto e puntuale di propri poteri – doveri. A tali prescrizioni occorre aggiungere che, nella gestione della crisi d’impresa all’organo di controllo è richiesta una presenza più costante ed incidente, vuoi al fine di tutelare i terzi sull’andamento della realtà aziendale rappresentata, vuoi al fine di veicolare la correttezza delle informazioni alle quali un qualunque imprenditore in ristrutturazione è tenuto nei confronti dei suoi creditori. Il monitoraggio della esecuzione di un piano, sia esso sotteso ad un risanamento ex art. 67 III co. lett. d) L.F. o ad un accordo di ristrutturazione ex art. 182 bis L.F., è rimesso in prima istanza all’impresa ed al suo organo amministrativo, ma considerata la necessità di ricevere garanzie in ordine alla correttezza del flusso informativo da rendere ai creditori, il collegio sindacale o il revisore contabile sono chiamati ad esercitare un controllo anche su di esso. La spiegazione resa alla best practice n. 13 delle linee guida afferma esplicitamente che “La prosecuzione nella esecuzione di un piano non più idoneo al risanamento può essere fonte di responsabilità della società (oltre che degli amministratori) verso i terzi. Di conseguenza, in adempimento al loro generale dovere di vigilanza ex art. 2407 c.c. anche i sindaci (o l’organo di controllo) devono partecipare al monitoraggio sull’esecuzione del piano nella prospettiva della vigilanza sull’efficacia del monitoraggio eseguito dagli amministratori”. Inoltre, in realtà particolarmente articolate, dalle linee guida è prospettata la opportunità di nominare nella fase di esecuzione del piano e per il monitoraggio dello stesso un comitato tecnico che si rapporti, per la valutazione critica e la gestione delle informazioni, sia all’organo 48 49 in tal senso cfr, Cass., sez. I, 04-04-1998, n. 3483 in Giur. it., 1999, 324; App. Torino, 29-05-2007 in Le Società, 2008, 1245, n. MARCHISIO 68 La responsabilità degli amministratori e dei sindaci nella gestione della crisi amministrativo che a quello di controllo, sollecitando l’adozione di provvedimenti opportuni a tutela dell’impresa e dei creditori. L’articolata gestione dei dati contabili, sia nella fase di elaborazione di un piano che in quella di esecuzione impone, di fatto, l’esercizio di tutta quella diligenza e professionalità che già ordinariamente, nell’ottica del legislatore della riforma, devono caratterizzare l’assunzione della carica di amministratore e di sindaco. Pertanto, la consapevolezza delle responsabilità che incombono su tali figure è sicuramente un valido supporto alla elusione dalla assunzione di condotte censurabili. 69 LA CONVOCAZIONE DELL’ASSEMBLEA SU RICHIESTA DELLA MINORANZA DEI SOCI: CONTENUTO DEL DIRITTO E APPLICABILITÀ ALLA SRL a cura di Flavia Silla e Giulia Verrecchia* Si chiede se la disposizione contenuta nell’art. 2367 c.c. per la Spa, relativa alla convocazione dell’assemblea su richiesta della minoranza dei soci è applicabile in via analogica alla Srl e/o se sia ammessa una regolamentazione statutaria. Quali sono, inoltre, i limiti di questo diritto ed, in particolare, è possibile da parte degli amministratori accedere ad una richiesta dei soci di convocazione dell’assemblea avente ad oggetto l’andamento della società ed in special modo alcuni dati di bilancio? 1. La convocazione dell’assemblea dei soci da parte dell’organo amministrativo In via generale, la delibera assembleare rappresenta l’atto finale di un complesso procedimento caratterizzato da una serie di passaggi tra loro collegati e concatenati. Si tratta, più precisamente, della convocazione, della riunione, della discussione, della votazione, della proclamazione del risultato e della relativa verbalizzazione. Quanto al primo degli atti indicati, si segnala che, nella società per azioni, la competenza a convocare l’assemblea spetta tipicamente all’organo amministrativo rappresentato, nel sistema tradizionale, dall’A.U. o dal Consiglio di Amministrazione, in quello dualistico dal Consiglio di gestione ed infine in quello monistico dal Consiglio di Amministrazione. L’organo amministrativo, ad esclusione dell’Amministratore Unico, agisce in forma collegiale; ne discende che il singolo amministratore o consigliere di gestione non è legittimato di sua iniziativa a convocare l’assemblea. La possibilità in parola è peraltro ammessa se il componente dell’organo amministrativo viene delegato in base all’art. 2381 c.c.50, poiché il potere di convocare l’assemblea non è compreso tra le materie di competenza esclusiva collegiale51. Se, dunque, nessun problema investe la delega del potere in parola, in passato è stata invece dibattuta la legittimità di clausole statutarie che attribuissero ad un soggetto nell’ambito del Consiglio (es. Presidente o Vicepresidente) o a soggetti estranei (es. il Collegio sindacale), il potere di convocare l’assemblea. In generale, la dottrina ha sempre ritenuto inammissibili clausole di tal genere; la motivazione trovava origine nel principio secondo il quale il potere di convocazione è un potere esclusivo degli amministratori, loro attribuito direttamente dal Legislatore. Se così è, in assenza di specifiche deroghe normative, sarebbe stato impensabile procedere ad una modifica statutaria. Il medesimo indirizzo è stato considerato valido anche alla luce della Riforma52, stante l’assenza di cambiamenti legislativi sul punto. Va peraltro evidenziato che, una clausola siffatta, ha superato di recente il vaglio di legittimità della Commissione Società del Consiglio Notarile di Milano; tale organo si è infatti espresso53 nel modo seguente: * Pezzo aggiornato al 27/02/2012 (Sesta giornata del Master Breve 2011/2012 – Area approfondimento) ** Articolo tratto da “Bilancio, Vigilanza e Controlli” Euroconference. 50 Principio consolidato in dottrina e in giurisprudenza. Va tuttavia segnalato che la dottrina sull’argomento richiede da sempre la delega espressa poiché il potere di convocazione non è considerato riconducibile agli atti amministrativi in senso tecnico. Sulla delegabilità dell’atto di convocazione si veda Trib. Udine 16 marzo 1982, Cass. sent. n. 2295 del 7 ottobre 1967. 51 Si veda art. 2381, co. 4, c.c.. 52 Si veda C.Clerici, F.Laurini, Il procedimento assembleare nella Spa: ipotesi applicative, in La riforma delle società. Aspetti applicativi, a cura di A.Bortoluzzi, Torino 2004, pag. 96. 53 Si veda massima n. 82. 70 “Ferma restando la competenza collegiale attribuita dalla legge all’organo amministrativo e, nei casi previsti, all’organo di controllo, lo statuto della Spa può attribuire il potere di convocazione dell’assemblea anche al presidente e/o a singoli componenti degli organi di amministrazione e controllo”. 2. I casi di convocazione obbligatoria dell’assemblea Come è noto, il potere di convocare l’assemblea viene esercitato tutte le volte che l’organo amministrativo ritiene opportuno interpellare i soci su materie di loro competenza. La legge, tuttavia, rende obbligatoria la convocazione dell’assemblea della società per azioni nei seguenti casi: 1) almeno una volta all’anno, entro il termine indicato dallo statuto e comunque non superiore a centoventi giorni dalla chiusura dell’esercizio sociale (art. 2364 e art. 2364-bis, ultimo comma); 2) quando ne sia fatta richiesta da parte di tanti soci che rappresentino almeno il decimo del capitale sociale o la minore percentuale stabilita dallo statuto, e nella domanda siano indicati gli argomenti da trattare (art. 2367); 3) qualora venga meno la maggioranza degli amministratori (art. 2386, co. 2 e art. 2409novesdecies); 4) quando, essendo venuto meno taluno dei sindaci, non sia possibile completare il collegio con i sindaci supplenti (art. 2401, co. 3) e quando, nel corso dell’esercizio, vengano a mancare uno o più membri del consiglio di sorveglianza (art. 2409-duodecies); 5) nel caso in cui occorra procedere alla riduzione obbligatoria del capitale per perdite (artt. 2446 e 2447); 6) qualora si sia verificata una causa di scioglimento della società (art. 2487); 7) laddove si renda necessaria l’alienazione o l’annullamento di azioni proprie acquistate o mantenute in violazione dei limiti contemplati dalla legge (artt. 2357 e 2357-bis). Con riferimento all’ipotesi evidenziata al numero 2, vale a dire in caso di richiesta da parte dei soci che rappresentino almeno un decimo del capitale sociale, è bene segnalare che la riforma ha proceduto ad alcune modifiche del testo dell’art. 2367 c.c.. La disposizione non è stata però riprodotta nell’ambito della società a responsabilità limitata; da qui la domanda se, in assenza di una simile disciplina positiva, sia possibile l’applicazione analogica dell’art. 2367 e/o se sia ammessa una regolamentazione statutaria. 3. La convocazione dell’assemblea a richiesta dei soci ai sensi dell’art. 2367 Con il nuovo testo dell’art. 2367 c.c., il Legislatore ha preso atto dei risultati della giurisprudenza di merito relativa ai casi non infrequenti di abuso del diritto dei soci di chiedere la convocazione dell’assemblea. Inoltre, ha stabilito che il Presidente del Tribunale provvede dopo aver sentito i componenti degli organi amministrativi e di controllo, e ordina la convocazione dell’assemblea solo se il rifiuto dell’organo amministrativo risulta giustificato. Ha poi precisato, in attuazione dell’art. 4, co.8, lett. c) della legge delega, che per determinate materie l’iniziativa della convocazione dell’assemblea compete ai soli amministratori e non può essere devoluta ai soci. La norma, per espressa indicazione della relazione, è destinata ad applicarsi anche alle società quotate e dunque sostituisce l’art. 125 del Tuf. Venendo ad esaminare più da vicino le modifiche, l’art. 2367 presenta ora una nuova rubrica: l’espressione “Convocazione su richiesta della minoranza” è infatti mutata in “ Convocazione su 71 CONTRIBUTI DI APPROFONDIMENTO La convocazione dell’assemblea su richiesta della minoranza dei soci: contenuto del diritto e applicabilità alla SRL richiesta dei soci”. Contestualmente è stato poi ridotto il quorum previsto per la richiesta che, da almeno un quinto del capitale sociale, è passato ad un decimo del medesimo. La nuova rubrica, non esprime una modifica solo lessicale: il quorum precedente contrastava infatti con l’espressione “ minoranza” poiché un quinto del capitale sociale era ed è considerato elevato e forse irraggiungibile nelle grandi società con un azionariato diffuso e frammentato54. Vuole anche dimostrare che il legislatore ha fatto propria l’interpretazione giurisprudenziale secondo cui il rimedio del ricorso al giudice, ai sensi dell’art. 2367 c.c., non doveva riservarsi alla sola minoranza, ma poteva essere esperito anche dai soci di maggioranza, se non addirittura dall’unico azionista55. È inoltre da notare che la soglia del 10% può essere ridotta (ma non elevata) in via statutaria56. La riduzione non soggiace peraltro ad alcun limite, il che consente di riconoscere il diritto a chiedere la convocazione dell’assemblea a ciascun socio indipendentemente dalla misura della sua partecipazione azionaria57. Con l’attuale disposizione, dunque, si consente ai soci “indistintamente”58 di chiedere la convocazione dell’assemblea: sia che si tratti della sola minoranza qualificata (nella misura legale o statutaria) sia dei soci in genere, compresi quelli di maggioranza , o dell’unico socio. In merito poi al calcolo del quorum, la dottrina precedente riteneva di far riferimento al capitale sociale corrispondente alle azioni con diritto di voto.59 Tale indirizzo va ribadito anche dopo la riforma in base all’interpretazione coordinata degli artt. 2368 e 2370 c.c.. Secondo la prima delle due norme, per la regolare costituzione dell’assemblea occorre escludere dal computo le azioni prive del diritto di voto nell’assemblea stessa; per la seconda il diritto di intervento in assemblea spetta solo agli azionisti cui compete il diritto di voto. Ne discende che sarebbe illogico prevedere la richiesta dell’assemblea da parte di soggetti cui è precluso il diritto di voto nonché quello di intervento in assemblea. Il Legislatore ha, infine, risolto positivamente i dubbi del passato circa la legittimazione del creditore pignoratizio e dell’usufruttuario a chiedere la convocazione dell’assemblea60. L’art. 2367 va infatti letto in rapporto con l’art. 2352, per il quale: “Salvo che dal titolo o dal provvedimento del giudice risulti diversamente, i diritti amministrativi diversi da quelli previsti nel presente articolo spettano, nel caso di pegno o usufrutto, sia al socio sia al creditore pignoratizio ed all’usufruttuario; nel caso di sequestro sono esercitati dal custode”. Ora, poiché con il nuovo assetto il diritto a chiedere la convocazione dell’assemblea ha natura sociale-amministrativa, si ritiene che anche il creditore pignoratizio e l’usufruttuario possano avvalersi dello strumento convocativo apprestato dall’art. 2367 c.c..61 4. Applicazione analogica dell’art. 2367 c.c. alla Srl? Il quesito relativo all’applicabilità o meno dell’art. 2367 c.c. alla Srl, tocca uno dei punti nodali della riforma che, come è noto, ha introdotto una disciplina autonoma per tale società. 54 Tale circostanza era stata peraltro evidenziata nel 1998 quando il TUF fissò per le società quotate la percentuale del 10 per cento, salvo che lo statuto non prevedesse un ammontare più basso (art. 125, co. 1, D.Lgs. n.58/98). 55 Si veda A.Coppola, Commento all’art. 2367 c.c., in La riforma delle società, a cura di M.Sandulli e V. Santoro, Torino, 2003, pag. 284. 56 Possibilità non contemplata prima della Riforma. 57 Si veda C.Di Bitonto, op. cit., pag. 25. 58 Vedi nota precedente. 59 Si veda A.Serra, L’assemblea, in Trattato delle società per azioni, diretto da G.E. Colombo, G.B. Portale, Torino, 1993, pag. 73. 60 Secondo alcuni la risposta doveva essere affermativa in virtù del fatto che ad essi il Legislatore aveva riconosciuto il diritto di voto; altri invece ritenevano il contrario poiché la norma letteralmente faceva riferimento ai soli soci. 61 Si veda C.Di Bitonto, op.cit. pag. 25 ; C.Clerici, F.Laurini, op. cit., pag. 98. 72 La convocazione dell’assemblea su richiesta della minoranza dei soci: contenuto del diritto e applicabilità alla SRL In questa prospettiva, parte della dottrina esclude che esista una lacuna normativa da colmare mediante l’applicazione analogica dell’articolo in esame. Le regole previste in materia di decisione dei soci ( e secondo le quali questi ultimi “…decidono…sugli argomenti…che tanti soci che rappresentano almeno un terzo del capitale sociale sottopongono alla loro approvazione”- art. 2479, co. 1, c.c.), consentirebbero infatti l’attivazione del processo decisionale assembleare direttamente da parte dei soci senza la necessaria mediazione dell’organo amministrativo. Più precisamente, l’art. 2479, co. 1 svolgerebbe nella disciplina della Srl un ruolo equivalente a quello giocato dall’art. 2367c.c. nell’organizzazione della Spa e ciò in coerenza ad “un modello (societario) nel quale risultano ampliate le forme di auto-tutela del singolo socio e della minoranza, nel quadro di un’accentuata privatizzazione dei controlli e dei rimedi alle situazioni conflittuali endosocietarie”62. Stante il potere di sollecitazione diretta da parte dei soci, non ci sarebbe dunque motivo di procedere ad una applicazione analogica dell’art. 2367 alla Srl. Per altri, invece, tale modalità interpretativa servirebbe semplicemente ad integrare la disciplina recata dall’art. 2479 c.c., con riguardo al margine di discrezionalità riservato agli amministratori e al rimedio esperibile in caso violazione del diritto. Se così fosse, l’esercizio del diritto di richiedere la convocazione resterebbe tuttavia subordinato alla detenzione di una quota pari al 33% del capitale sociale, anziché del 10% contemplato, invece, per le società per azioni. Nella Srl vi sarebbe dunque un quorum rafforzato, circostanza che rappresenta “il punto critico della soluzione interpretativa. In un contesto normativo in cui viene rivalutata la posizione contrattuale del socio uti singulus, si fatica” infatti “a comprendere le ragioni dell’elevazione della quota di rappresentatività del capitale richiesta al fine di esercitare un diritto invocabile, tra l’altro, a garanzia del controllo sull’operato della maggioranza e degli amministratori”63. Per superare l’incongruenza precedentemente rilevata, altri concludono infine per l’applicazione analogica tout court dell’art. 2367 c.c.64. Tale procedimento risulterebbe infatti applicabile a causa delle caratteristiche tipiche delle società di capitali e del diffuso convincimento per il quale l’art. 2367 c.c. rappresenterebbe una norma atta a regolare una modalità di convocazione dell’organo assembleare comune a vari tipi sociali. Del resto, solo in questo modo si riconoscerebbe al singolo socio il diritto di chiedere la convocazione dell’assemblea, diritto che risulterebbe invece compresso qualora si adottasse una delle tesi precedentemente esposte. 5. Autonomia statutaria della Srl e convocazione dell’assemblea su richiesta dei soci In via generale, la previsione di ampi spazi di autonomia lasciati ai soci, caratterizza la redazione dell’atto costitutivo della nuova Srl.65 Con riferimento all’amministrazione della società, è consentito ora di sopprimere il ricorso alla nomina degli amministratori e quindi di eliminare la distinzione tra qualità di socio e qualità di amministratore, così come avviene nelle società di persone.66 62 Sul punto si veda C.Di Bitonto, op.cit., nota 36, pag. 24. Sul punto si vedano le osservazioni di C.Pecoraro, Richiesta di convocazione dell’assemblea e tutela dei soci nella s.r.l., in Giur. Comm. 2006, pagg. 657 e ss.. 64 Trib. Napoli, decr. n. 208 del 20 maggio 2005; Trib. Brescia, 8 marzo 2005. 65 Si veda O.Cagnasso, Ambiti e limiti dell’autonomia concessa ai soci della “nuova” società a responsabilità limitata , in Le Società, 2003, pag. 368 e ss.. 66 Si veda P.Benazzo, Competenze di soci e amministratori nelle s.r.l.: dall’assemblea fantasma all’ anarchia?, in Le Società, 2004, pag. 808 e ss.. 63 73 Rispetto al previgente art. 2484 c.c., che imponeva la convocazione assembleare da parte dell’amministratore unico o, in caso di organo collegiale, dell’intero consiglio, attualmente nulla viene detto a proposito del soggetto al quale spetti la relativa competenza. L’atto costitutivo può, dunque, attribuire l’onere in parola a singoli componenti del Consiglio di Amministrazione, all’organo nella sua collegialità, a una minoranza qualificata di soci o addirittura a ciascun socio. Quanto alla specifica possibilità di chiedere la convocazione dell’assemblea da parte dei soci, si discute se sia ammissibile una clausola statutaria che deroghi al quorum previsto dal co. 1 dell’art. 2479 e che richiami inoltre la regolamentazione dell’art. 2367. In via generale è da ritenere che non vi siano valide ragioni per vietare tale inserimento: la posizione di rilevanza assunta dal singolo socio nel nuovo assetto, l’ampia autonomia statutaria dettata per la Srl, la scelta della via privilegiata rappresentata dall’ assemblea in luogo di una modalità decisionale non collegiale ed, infine, la tendenza della giurisprudenza (al momento a favore dell’ applicazione analogica tout court alla Srl dell’art. 2367 c.c.), inducono a sostenere questa conclusione. 6. Le materie all’ordine del giorno e il diritto dei soci alla convocazione dell’assemblea I soci, nella loro richiesta agli amministratori, devono indicare gli argomenti da trattare (art. 2367, co. 1) in modo da individuare se siano di competenza dell’assemblea, ordinaria o straordinaria, e se siano leciti e possibili67. L’ordine del giorno rappresenta, infatti, “il primo mezzo di informazione attraverso il quale i soci che non hanno assunto l’iniziativa della convocazione sono messi a parte degli oggetti posti in deliberazione, sì da non ingannare la buona fede di quelli che abbiano deciso di non intervenire dopo aver preso visione degli argomenti all’ordine del giorno”68. Dispone peraltro il co. 3 dell’art. 2367 c.c. che “La convocazione su richiesta dei soci non è ammessa per argomenti sui quali l’assemblea delibera, a norma di legge, su proposta degli amministratori o sulla base di un progetto o di una relazione da essi predisposta”. Dunque, se in via generale è garantita ai soci indistintamente la possibilità di chiedere all’organo amministrativo la convocazione dell’assemblea, tuttavia non tutte le materie possono essere poste all’ordine del giorno della stessa. La preclusione, introdotta con la riforma, trova origine nella necessità di limitare la facoltà del socio alla richiesta in parola per “garantire l’esclusività dell’esercizio della funzione di gestione degli amministratori, senza indebite intromissioni dell’assemblea”69. Più volte, la giurisprudenza aveva infatti evidenziato nel passato regime il rischio che il rimedio della richiesta di convocazione dell’assemblea da parte dei soci fosse strumentalmente utilizzato in danno della società e per finalità contrastanti con quelle di legge70, tanto da qualificare la richiesta come abuso del diritto riconosciuto alla minoranza assembleare dall’art. 2367 c.c., “qualora lo stesso diritto venga esercitato al solo fine di perseguire intenti dilatori o di disturbo, e di conseguenza una funzione disgregatrice all’interno della compagine sociale”71. In tale prospettiva, aveva anche ritenuto che l’organo amministrativo non dovesse accogliere richieste che potessero risultare illegittime, immotivate o inutilmente ripetitive e pretestuose o che potessero dar luogo probabilmente a situazioni e deliberazioni in grado di recare danno alla società72. 67 Si veda C.Di Bitonto, op.cit.; A.Coppola, op. cit., pag. 286. Si veda A.Coppola, op. cit., pag. 286. 69 Vedi nota precedente. 70 Così Trib. Milano 21 novembre 1994. 71 Trib. Aosta 12 aprile 1994. 72 Trib. Milano 21 novembre 1994. In ogni caso era inammissibile un rifiuto per semplici motivi di opportunità o di convenienza economica. Vedi sul punto Trib. Monza 14 febbraio 1983. 68 74 La convocazione dell’assemblea su richiesta della minoranza dei soci: contenuto del diritto e applicabilità alla SRL Alla luce della riforma, tali conclusioni sono state da alcuni contestate73. Il rifiuto degli amministratori alla richiesta dei soci andrebbe infatti valutato entro limiti oggettivi e ancorato ad un semplice controllo di legalità; di conseguenza l’eventuale diniego fondato su valutazioni diverse risulterebbe ingiustificato e potrebbe dare adito all’iniziativa giudiziale prevista dal co. 2 dell’art. 2367 c.c.. Né secondo tale dottrina la semplice convocazione dell’assemblea potrebbe mai recare pregiudizio alla società dal momento che il danno si concretizzerebbe solo con l’assunzione della delibera, vale a dire con “l’unico atto davvero decisivo”.74 Altri, invece, ritengono che il nuovo assetto confermi pienamente l’orientamento giurisprudenziale precedente ed escluda che “i soci abbiano un vero e proprio diritto ad ottenere la convocazione, subordinato solamente al mero riscontro dell’esistenza dei (..) requisiti, soggettivo ed oggettivo, minimi (…)”.75 Va comunque segnalato che la convocazione dell’assemblea, alla luce della riforma, non può certo considerarsi atto dovuto da parte degli amministratori. Così come è configurata la normativa, questi ultimi godono pienamente della possibilità di valutare la richiesta potendola rigettare in presenza di un giustificato motivo. L’automatismo e la doverosità nella convocazione assembleare da parte dell’organo amministrativo, si scontrano infatti con il limite legale indicato – oggi – nel co. 3 dell’art. 2367. Sulla base di tale norma, introdotta dal D.Lgs. n. 6/03, molti argomenti non potranno essere più discussi su istanza dei soci. Così sono da ritenersi escluse tutte le questioni riguardanti la predisposizione del bilancio, le autorizzazioni agli amministratori per il compimento degli atti di gestione, le proposte di aumento di capitale con esclusione del diritto di opzione, di distribuzione di acconti sui dividendi e di riduzione del capitale sociale per perdite, i progetti di fusione, scissione e trasformazione. L’iniziativa dei soci sembrerebbe, infatti, circoscritta alle sole delibere riguardanti: 1. la struttura e l’operatività dell’organo assembleare (es. quorum costitutivi e deliberativi, assunzione di regolamento); 2. la struttura e l’operatività dell’organo amministrativo, di controllo e di revisione ( nomina, revoca, compenso, azione di responsabilità); 3. le questioni di diretto interesse dei soci ( regole relative alla circolazione delle azioni); 4. le questioni attinenti all’esistenza della società (es. liquidazione volontaria)76. In questa prospettiva ci si è domandato se, oggi, sia possibile da parte degli amministratori accedere ad una richiesta dei soci di convocazione dell’assemblea avente ad oggetto l’andamento della società ed in particolare alcuni dati di bilancio. La risposta è da ritenersi negativa perché l’ipotesi rientra nella preclusione indicata dal co. 3 dell’art. 2367 c.c.. È durante l’assemblea di approvazione del bilancio che, infatti, si discute dei dati di bilancio e che gli amministratori forniscono le notizie relative all’andamento della società; è sempre in quella sede che i soci possono intervenire chiedendo le informazioni relative alla gestione della società. Il rifiuto alla richiesta dei soci opposto dall’organo amministrativo sarebbe dunque legittimo e pienamente giustificato dalla normativa. In particolare, l’istanza verterebbe su un oggetto impossibile, trattandosi di argomento per il quale la legge prevede la predisposizione di una relazione e di un progetto da parte degli amministratori stessi. In presenza di un atteggiamento negativo da parte dell’organo amministrativo ci si è poi chiesti come debba comportarsi il Collegio sindacale e, precisamente, se tale organo debba procedere in via surrogatoria alla convocazione dell’assemblea. 73 Si veda F.Di Girolamo, Brevi osservazioni sull’applicabilità dell’art. 2367 c.c. alle società a responsabilità limitata, in Giur. Comm. 2006, pag. 332 e ss.. 74 Si veda F.Di Girolamo, op. cit., pag. 334. 75 Si veda Di Bitonto, op. cit., pag. 27. 76 Si veda C.Di Bitonto, op. cit. pag. 26. 75 Orbene, in via generale è da ritenere che nessun obbligo di convocazione gravi su quest’ultimo organo se il rifiuto degli amministratori risulta conforme alla normativa ed è quindi giustificato. Né - è bene notare - il Tribunale interverrà a sua volta in sostituzione in modo automatico. L’organo giudiziario non convocherà direttamente l’assemblea solo perché i soci non hanno trovato riscontro alla loro richiesta negli amministratori o nel Collegio sindacale, ma dovrà sentire prima “… i componenti degli organi amministrativi e di controllo…” ai sensi dell’art. 2367, co. 2 c.c., in modo che essi “…possano esporre le ragioni per le quali non hanno ottemperato alla richiesta dei soci”. Con ciò è venuto meno il rischio di un automatismo in base al quale ogni volta che la minoranza dei soci si rivolgeva al tribunale per chiedere la convocazione dell’assemblea, il giudice si vedeva costretto a constatare semplicemente l’inerzia degli amministratori ed ad emanare l’ordinanza di convocazione77. Con la nuova disposizione, dunque, il Tribunale non provvederà “più sulla base del solo accertamento della mancata convocazione, ma solamente ove il rifiuto di provvedere risulti ingiustificato78”. 7. Richiesta dei soci di integrazione delle materie all’ordine del giorno Per completezza, si segnala che, in materia, la dottrina si è posta un ulteriore quesito; si tratta del seguente: esiste per i soci, accanto al potere di chiedere direttamente la convocazione dell’assemblea, anche quello consistente nella semplice richiesta di integrazione dell’ordine del giorno all’assemblea già convocata dagli amministratori (in via generale o su richiesta dei soci)? Tale possibilità non è contemplata al momento dal codice civile, ma è stata di recente prevista per le società quotate tramite il nuovo art. 126 bis del TUF79. La norma stabilisce, infatti, che i soci che rappresentano, anche congiuntamente, il 2,5% del capitale sociale possano chiedere entro cinque giorni dalla pubblicazione dell’avviso di convocazione dell’assemblea l’integrazione delle materie da trattare indicandole nella domanda stessa. Si noti peraltro che l’integrabilità è esclusa per quegli argomenti “sui quali l’assemblea delibera, a norma di legge, su proposta degli amministratori o sulla base di un progetto o di una relazione da essi predisposta”80 . Rispondendo al quesito, è da ritenere che nulla osti ad ammettere la facoltà in parola per le società non quotate anche se nello statuto non fosse presente una specifica disciplina. Si ritiene infatti che il potere di chiedere la convocazione dell’assemblea dovrebbe “… automaticamente contenere in sé quello, di minore ampiezza, della semplice integrazione dell’ordine del giorno di un’assemblea già convocata dagli amministratori”81. In assenza di clausola, qualche problema potrebbe tuttavia nascere in sede di concreta regolamentazione poiché l’unica normativa in vigore è quella prevista per le società quotate; per evitare l’insorgenza di questioni è dunque preferibile ricorrere ad un’apposita previsione statutaria. 77 In tal senso si era espresso il Trib. Como 2 agosto 1999. Si veda C.Di Bitonto, op. cit., pag. 28, nonché art. 2367, co. 2. 79 Introdotto dalla L. n. 262/05, c.d. Legge sul risparmio. 80 Disposizione simile a quella prevista dal terzo comma dell’art. 2367 c.c. per le società non quotate. 81 Si veda C.Di Bitonto, op. cit. pag. 26. 78 76 LE AZIONI DI DISTURBO DELLA MINORANZA Il nostro Legislatore si è preoccupato di prevedere e regolamentare strumenti di tutela che attribuiscono ai detentori di determinate percentuali partecipative – sul presupposto che esse solitamente corrispondano a partecipazioni di minoranza – la legittimazione all’esercizio di particolari diritti sociali. Attraverso l’attivazione di tali strumenti di tutela delle minoranze azionarie, i soci esterni al nucleo di coloro da cui la società è controllata sono in grado di esercitare dei condizionamenti sul potere dei soci detentori del controllo stesso e, per tale via, di avere voce in capitolo nell’ambito degli organi societari: non a caso si parla a riguardo di azioni di disturbo della minoranza. È stato, peraltro, opportunamente osservato da autorevole dottrina che tali strumenti assumono maggiore rilevanza nell’ambito delle società non quotate, dove, a differenza di quanto accade naturalmente nelle società quotate, le possibilità per l’azionista di minoranza, insoddisfatto della gestione della società, di dismettere la propria partecipazione sociale sono assai minori o, comunque, possono risultare alquanto penalizzanti82: è soprattutto nelle società c.d. chiuse, dunque, che si pone come fondamentale l’esigenza di assicurare alle minoranze adeguati strumenti di tutela. Si propone di seguito – attraverso la disamina delle disposizioni contenute nel codice civile – un breve quadro degli strumenti di autotutela diretta degli azionisti di minoranza, ovvero di quei poteri che consentono alle c.d. minoranze qualificate di agire esse stesse in modo da condizionare il maggiore potere dell’azionista o degli azionisti di maggioranza, avvertendo sin d’ora che il tema della tutela della minoranza riguarda in maniera trasversale sia la società per azioni che la società a responsabilità limitata. 1. Società per azioni Art. 2367 - Convocazione su richiesta di soci La disposizione in commento attribuisce ai soci che rappresentino almeno il ventesimo del Capitale sociale nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio (c.d. Spa aperte) ed il decimo del Capitale sociale nelle altre (c.d. Spa chiuse) il diritto di chiedere la convocazione dell’assemblea, indicando gli argomenti da trattare, con correlativo dovere per gli amministratori di provvedere alla convocazione senza ritardo. Deve ritenersi, peraltro, che l’inciso di cui al primo comma dell’art.2367, relativo alla minore percentuale che lo statuto ha facoltà di indicare, vada riferito ad entrambe le categorie di Spa e non solo a quelle chiuse. Secondo taluni l’istituto in esame va inquadrato nell’ambito della dialettica sociamministratori più che nell’ambito della tutela della minoranza qualificata, in quanto risulta azionabile anche da soci appartenenti al gruppo di comando83. Ai fini del computo della quota di capitale legittimata a chiedere la convocazione dell’assemblea, devono essere prese in considerazione esclusivamente le azioni aventi diritto di voto nella singola assemblea in relazione alle materie per cui la convocazione è richiesta. le azioni prive di voto; * Vanno, pertanto, escluse: le azioni di risparmio; le azioni di godimento. Pezzo aggiornato al 27/02/2012 (Sesta giornata del Master Breve 2011/2012 – Area approfondimento) ** Articolo tratto da “La Circolare Tributaria” Euroconference n.10/2011 82 R. Rordorf, “Le minoranze azionarie tra autotutela ed etero tutela”, in Le Società, n. 3/02, pag.286 e ss.. 83 Cariello, Rivista delle società, 1992, I, 610. 77 CONTRIBUTI DI APPROFONDIMENTO a cura del Comitato Scientifico Centro Studi Tributari Euroconference* La domanda di convocazione deve essere indirizzata agli organi di cui ai co.1 e 2 dell’articolo in commento e deve contenere l’indicazione delle materie da trattare. Peraltro, la legge non prescrive il rispetto di alcuna formalità, essendo sufficiente il rispetto dei requisiti di chiarezza richiesti per l’avviso di convocazione ex art.2366 c.c. L’iniziativa dei soci è comunque preclusa, ex art.2367, co.3, per gli argomenti sui quali l’assemblea delibera “su proposta degli amministratori o sulla base di un progetto o di una relazione da essi predisposta”. Ne discende che: la norma in commento va riferita alla sola assemblea ordinaria, atteso che raramente operazioni di carattere straordinario possono essere decise in mancanza di un’attività preparatoria e informativa da parte degli amministratori; la richiesta di convocazione dell’assemblea si circoscrive alla proposta di nomina e di revoca degli amministratori e dei Sindaci o del Revisore contabile ed alla proposta di liquidazione della società. Sulla base del dato letterale della norma in commento, ricorrendo i presupposti di legge, la convocazione dell’assemblea da parte degli organi della società rappresenta un atto dovuto, di talché l’omissione o l’illegittimo rifiuto: si configura quale grave irregolarità ai sensi dell’art.2409; può dar luogo ad azione di responsabilità anche ai sensi dell’art. 2393 bis; è sanzionata come illecito amministrativo dall’art.2631. La domanda potrà, dunque, essere rigettata solo qualora verta su argomenti illeciti, impossibili o estranei alla competenza dell’assemblea. Art. 2374 – Rinvio dell’assemblea In base al dettato dell’art.2374 c.c., i soci che riuniscono un terzo del Capitale sociale rappresentato nell'assemblea possono avanzare la richiesta di rinvio dell’assemblea “a non oltre cinque giorni”, qualora dichiarino di non essere sufficientemente informati sugli oggetti posti in deliberazione. Si tratta, dunque, di uno strumento a tutela della minoranza azionaria, alla quale la norma in commento garantisce il diritto di acquisire le informazioni necessarie ad esprimere un orientamento documentato, nonché un voto meditato sugli argomenti posti all’ordine del giorno. La richiesta di rinvio non è soggetta al rispetto di alcuna formalità, essendo sufficiente una mera dichiarazione diretta al presidente dell’assemblea e motivata dalla insufficienza di informazioni. Si tratta, comunque, di una dichiarazione unilaterale che l’assemblea non può né sindacare né sottoporre a delibera, avendo solamente la possibilità di verificare la sussistenza: della provenienza della richiesta di rinvio da parte di tanti soci che riuniscano almeno un terzo del capitale rappresentato nell’assemblea; della non sufficiente informazione sulle materie oggetto di deliberazione; della circostanza che tale richiesta sia stata esercitata per la prima volta. Si badi che, per quanto qui interessa, al fine di scongiurare un abuso dell’esercizio del rinvio da parte della minoranza con fini ostruzionistici, una parte della dottrina ritiene che la richiesta del rinvio debba essere esaminata dal presidente dell’assemblea - rientrando fra le sue competenze esclusive quelle dirette a disciplinare il dibattito in maniera tale che l’ostruzionismo dei soci non danneggi la speditezza dei lavori assembleari - il quale sarà, quindi, chiamato a valutarne la serietà. Peraltro, può verificarsi anche il caso che un solo socio, portatore di una quota di capitale inferiore a quella minima prevista dalla legge, domandi al presidente dell’assemblea di accertare se in assemblea vi siano soci rappresentanti un capitale sufficiente per domandare il rinvio. 78 Le azioni di disturbo della minoranza Art. 2377 – Annullabilità delle deliberazioni Si tratta di un importante strumento a tutela della minoranza qualificata che consente l’impugnazione delle delibere assembleari non conformi alla legge o allo statuto. Sono legittimati all’azione i soci assenti, dissenzienti od astenuti che possiedano tante azioni – aventi diritto di voto in relazione alla delibera impugnata – che rappresentino, anche congiuntamente: l’uno per mille del Capitale sociale il cinque per cento del Capitale sociale nelle società aperte; nelle società chiuse. La norma in commento fa salva la possibilità, ad opera di apposite clausole statutarie, di eliminare o ridurre il limite di sbarramento ma non di ampliarlo. Stando alla Relazione che accompagna la riforma del 2003, la finalità dello sbarramento introdotto nel co.3 della norma in esame sarebbe quella “di ovviare all’inconveniente, troppe volte manifestatosi nell’esperienza, di impugnative ispirate da intenti meramente ricattatori”. Parte della dottrina ritiene che lo sbarramento sia stato introdotto, piuttosto, al solo fine di limitare il potere di intervento della minoranza in modo da garantire così una maggiore stabilità alle decisioni assunte dalla maggioranza. Ad ogni modo, ai soci che non rappresentano il quorum del 5% o che sono privi del diritto di voto e, dunque, non legittimati a proporre l’impugnativa, la norma riconosce il diritto al risarcimento del danno eventualmente subito in conseguenza di deliberazioni illegittime. L’impugnazione o la domanda di risarcimento del danno devono essere proposte, a pena di decadenza, entro il termine di 90 giorni, decorrente: per le delibere non soggette ad iscrizione nel registro delle imprese, dalla data della loro deliberazione; per le delibere soggette ad iscrizione, dalla data dell'effettiva iscrizione; per le delibere soggette a semplice deposito presso il registro delle imprese, dal giorno del deposito stesso. Va evidenziato, peraltro, che la previsione di un termine di decadenza così breve si dimostra piuttosto penalizzante per il socio danneggiato, in quanto il danno potrebbe ben verificarsi decorsi i tre mesi dalla delibera invalida. L’annullamento della delibera ha efficacia sia verso tutti i soci della società, sia verso gli amministratori, sia verso il consiglio di sorveglianza e di gestione, fatta eccezione per i terzi che in buona fede hanno compiuto atti in esecuzione della deliberazione. Art. 2393 bis – Azione sociale di responsabilità esercitata dai soci La norma in commento è stata introdotta dalla riforma del 2003 per consentire agli azionisti di minoranza che rappresentino nelle Spa chiuse “almeno un quinto del Capitale sociale o la diversa misura prevista dallo statuto, comunque non superiore al terzo” di esercitare l’azione sociale di responsabilità nei confronti degli amministratori della società, così superando l’eventuale inerzia del gruppo di comando. Nelle società aperte è sufficiente che l’azione sia promossa dai soci che rappresentano un quarantesimo del Capitale sociale o la minore percentuale prevista dallo statuto. Con l’introduzione di tale strumento a tutela della minoranza si è così posto rimedio all’inconveniente rappresentato dall’assegnazione all’assemblea, e quindi alla stessa maggioranza di cui gli amministratori sono espressione, della competenza in merito alla promozione dell’azione medesima. 79 Con la proposizione dell’azione, i soci di minoranza fanno valere in nome proprio, ma nell’interesse della società, un diritto di cui rimane titolare la società medesima. Ne discende che ogni vantaggio economico derivante dall’emissione della sentenza o da un’eventuale rinuncia o transazione dovrà necessariamente andare a favore della società. Una delle questioni lasciate aperte dalla norma – che si contraddistingue per la sua laconicità - è se la titolarità della percentuale di Capitale sociale legittimante debba essere adottata e provata solo in limine litis ovvero se, al contrario, debba essere mantenuta per l’intera durata del processo e, in questo secondo caso, se siano ammesse o no soluzioni di continuità nel possesso azionario qualificato. Su tale questione, tuttavia, non è dato rinvenire un orientamento univoco. Infatti, secondo taluni la disponibilità della percentuale di Capitale sociale legittimante rappresenta una condizione dell’azione e, come tale, deve perdurare lungo tutto il corso del giudizio84. Secondo un’altra tesi, per contro, il requisito de quo rappresenta un mero presupposto processuale, con conseguente non necessaria dimostrazione della titolarità della percentuale di Capitale sociale richiesta per l’intera durata del processo85. Ad ogni modo, i soci che intendono agire ex art.2393-bis c.c. devono legittimarsi nelle modalità previste dall’art.2355 c.c.: iscrizione nel libro soci in caso di mancata emissione dei titoli azionari; possesso delle azioni qualificato da una serie continua di girate; doppia intestazione nell’azione e nel libro soci; scritturazione sui conti dell’intestatario in caso di dematerializzazione. Art. 2408 – Denunzia al Collegio sindacale La denunzia al Collegio sindacale rappresenta uno strumento di tutela della minoranza azionaria di fronte a fatti censurabili posti in essere dagli amministratori. Un primo problema si pone, quindi, in relazione all’individuazione dei fatti che possono essere oggetto di denunzia da parte dei soci, in quanto l’espressione “fatti censurabili” è sempre stata fonte di incertezze. Secondo una parte della dottrina, essi certamente non si identificano con le gravi irregolarità cui si riferisce l’art.2409 c.c. 86. Altra dottrina, per contro, ritiene che la locuzione deve intendersi di ampia portata e, quindi, comprendere sia i fatti che possono essere oggetto di denuncia al tribunale ex art.2409, sia quelli di cui all’art.2406, ed in generale le violazioni di legge, dello statuto, nonché gli atti gestori contrari alla razionalità economica ed alle logiche aziendalistiche di gestione87. Legittimati a proporre la denunzia sono i soci, e poiché il ruolo propulsivo di questi ultimi si esaurisce con la denunzia, deve ritenersi che la qualità di socio debba sussistere solo al momento della proposizione88. 84 A. Picciau, “Amministratori” (a cura di Ghezzi), sub art. 2393 bis, in Commentario alla riforma delle società, Milano, 2005, pag.613. E. Dalmotto, “Il nuovo diritto societario”, in commentario diretto da G. Cottino, G. Bonfante, O. Cagnasso, P. Montalenti, vol. I, sub art. 2393 bis, Bologna 2004, pag.812. 86 G.U.Tedeschi, “Il Collegio sindacale”, Comm. Schlesinger, 416; Cavalli, Trattato Colombo Portale, 122; Mainetti, Commentario Cottino, 920. 87 Sul tema v. F.Ghezzi, Commento sub art. 2408, in AA.VV., Commentario alla riforma delle società (Collegio sindacale – Controllo contabile, a cura di F. Ghezzi), diretto da Marchetti, Bianchi, Ghezzi e Notari, Milano, 2005, 284 e ss.. 88 V. tra gli altri G. Domenichini, “Commentario Niccolini Stagno d’Alcontres”, 776; F. Ghezzi, “Commento sub art. 2408", cit., 281. 85 80 Le azioni di disturbo della minoranza La dottrina ritiene, peraltro, che, ai fini dell’attivazione di tale strumento di tutela, possano essere conteggiate le azioni di qualsiasi tipo, fatta eccezione per quelle di godimento cui non corrisponde una quota di capitale89. La caratteristica della norma in commento è quella di prevedere conseguenze diverse a seconda che la denunzia sia effettuata da tanti soci che raggiungano o non raggiungano una determinata aliquota del capitale. Così, quando la denunzia sia effettuata da tanti soci che rappresentino il 5% del Capitale sociale o il 2% del capitale nelle società chiuse nelle società aperte, il Collegio sindacale è tenuto: ad indagare senza ritardo sui fatti denunziati e a a convocare l’assemblea qualora ricorrano presentare le proprie conclusioni e proposte le ipotesi di cui all’art.2406, co.2, c.c.. all’assemblea; Diversamente, e quindi in assenza del requisito della maggioranza qualificata, è prescritto unicamente che il Collegio sindacale debba tenere conto della denunzia nella relazione annuale che accompagna il bilancio. È comunque opinione comune che, in entrambi i casi, il Collegio dovrà, oltre che fare menzione della denunzia nella relazione, prendere posizione sui fatti denunziati. Art. 2409 – Denunzia al tribunale La norma in esame prevede un intervento dell’Autorità Giudiziaria nella vita della società, volto a verificare la correttezza e la regolarità dell’attività di amministrazione. In particolare, ai sensi del primo comma dell’art.2409, qualora vi sia il fondato sospetto che gli amministratori abbiano compiuto gravi irregolarità nella gestione, i soci che rappresentano il 10% del Capitale sociale, nelle società chiuse, ed il 5% del Capitale sociale, nelle società aperte, possono denunziare i fatti al tribunale; lo statuto può prevedere percentuali minori di partecipazione. Anche la norma in commento, dunque, costituisce un importante strumento di tutela della minoranza qualificata, in quanto consente di aggirare lo sbarramento della maggioranza assembleare attivando un soggetto esterno. Per quanto concerne i presupposti della denuncia, la disposizione in esame prevede che le gravi irregolarità siano commesse dagli amministratori “in violazione dei loro doveri” e che le stesse “possano arrecare danno alla società o ad una o più società controllate”. Ne discende, in primo luogo, che la denuncia non può avere ad oggetto censure di merito che riguardino l’opportunità o la convenienza delle operazioni poste in essere degli amministratori, ma solo censure di legittimità concernenti il rispetto delle norme di legge e dello statuto che regolano la gestione della società, quali, ad esempio: la violazione dei principi di redazione del bilancio di esercizio; la lesione dei diritti dell'assemblea a seguito di mancata o incompleta informazione dei soci; l’esistenza di un conflitto di interesse in capo agli amministratori. 89 G.U.Tedeschi, op. ult. cit., 424; F.Ghezzi, op. ult. cit., 279. 81 Quanto al riferimento alla potenzialità di danno per la società, tale requisito, se, da un lato, preclude la possibilità di denunce pretestuose o dettate da meri motivi di disturbo da parte della minoranza, dall'altro lato, vale a circoscrivere l'ambito di applicazione del controllo giudiziario e, dunque, la sfera di tutela della minoranza. Per quanto concerne i soggetti legittimati a proporre la denuncia, deve ritenersi che la legittimazione spetti anche ai soci titolari di azioni prive del diritto di voto, posto che la norma si limita a richiedere che i soci siano in possesso di azioni in misura tale da rappresentare la frazione di capitale stabilita. Vi è, peraltro, unanimità nel riconoscere che: possano concorrere a costituire la percentuale di capitale legittimante i soci possessori di azioni privilegiate, di azioni a voto limitato, di azioni con prestazioni accessorie e quelle a favore dei prestatori di lavoro; vengono esclusi, per contro, i soci possessori di azioni di godimento, non rappresentando tali azioni una frazione del Capitale sociale. Nelle società aperte al mercato del capitale di rischio è pure prevista la legittimazione dei Pubblici Ministeri in funzione di garanzia degli interessi dei piccoli risparmiatori. L’ultimo comma dell’art.2409 estende, altresì, la legittimazione alla denunzia al Collegio sindacale e, nel sistema dualistico o monostico, al consiglio di sorveglianza e al comitato per il controllo sulla gestione. Va rilevato, da ultimo, che il procedimento in esame non ha natura contenziosa ma di volontaria giurisdizione, di talché il tribunale può far uso dei più ampi poteri inquisitori senza essere condizionato dall’iniziativa delle parti. Art. 2434 bis – Invalidità della deliberazione di approvazione del bilancio L’articolo 2434 bis è uno strumento a tutela della minoranza qualificata che contiene regole di caducazione invalidativa peculiari con riferimento alle delibere di approvazione del bilancio. In particolare, la norma in commento prevede che: nei confronti delle deliberazioni di approvazione del bilancio, le azioni previste dagli artt. 2377 e 2379 c.c. non possono essere proposte dopo l’approvazione del bilancio dell’esercizio successivo; la legittimazione ad impugnare le delibere in esame su cui il soggetto incaricato di effettuare la revisione legale dei conti ha emesso un giudizio privo di rilievi spetta a tanti soci che rappresentino almeno il 5% del Capitale sociale; in caso di caducazione della delibera invalida, il bilancio dell’esercizio nel corso del quale viene dichiarata l’invalidità deve tenere conto delle ragioni di questa. È stato opportunamente osservato che la presunzione sottesa alla norma muove dalla considerazione che il bilancio successivo o ha sanato l’irregolarità precedente e, dunque, non residuano motivi per l’impugnazione, ovvero mantiene l’irregolarità: in tal caso si riaprono i termini per l’impugnazione dell’ultimo bilancio90. La ratio della norma è chiaramente quella di tutelare l’interesse alla stabilità ed alla certezza giuridica, con riguardo all’attività della società, e soprattutto l’affidamento che il mercato ripone sull’informazione offerta dalla contabilità dell’ente. Per quanto concerne la legittimazione all’impugnazione, si è già rilevato che l’azione può essere promossa da tanti soci che rappresentino il 5% del Capitale sociale: la limitazione persegue il chiaro 90 G. Bianchi, “Amministrazione e controllo delle nuove società di capitali”, Milano, 2003, pag.45. 82 Le azioni di disturbo della minoranza scopo di sottrarre la delibera ad impugnazioni strumentali provenienti da una minima parte del capitale sociale. Peraltro, il quorum richiesto non è derogabile né in aumento, né in diminuzione. L’impugnazione della delibera di approvazione del bilancio è volta a chiederne la nullità o l’annullabilità secondo le regole ed il procedimento previsti per l’impugnazione delle delibere assembleari. In particolare, ai fini dell’annullabilità delle deliberazioni in esame, l’interesse ad agire può derivare dalla qualità di socio al momento in cui è proposta l’impugnazione (anche se difettava al momento della deliberazione) e deve persistere per tutta la durata del processo. Sussiste concreto pregiudizio per gli interessi tutelati dei soci quando questi siano indotti dalla scorretta informazione ad essi fornita sulla consistenza patrimoniale e finanziaria della società, o quando, per la incompletezza o scorrettezza dei dati di bilancio, derivi o possa derivare un pregiudizio economico concreto destinato a riflettersi sul valore della singola quota di partecipazione o sull’entità degli utili da spartire91. In caso di azione di nullità, colui che impugna la deliberazione in esame chiedendone la nullità deve dimostrare di avervi interesse, ai sensi dell’art.2379 c.c., e dunque di avere l’esigenza di rimuovere una situazione che va ad incidere negativamente nella sua sfera giuridica. Ai fini del riconoscimento dell’interesse ad agire è ritenuta sufficiente la mera potenzialità del danno, non essendo necessario che il danno si sia verificato o si verifichi effettivamente, né che sia necessariamente di natura patrimoniale92. 2. Società a responsabilità limitata Art. 2476 – Responsabilità degli amministratori e controllo dei soci L’articolo 2476 c.c. prevede, al suo secondo comma, uno strumento di tutela individuale che consente al socio non amministratore di effettuare un controllo diretto sullo svolgimento degli affari sociali. A mente della disposizione in commento, infatti, il singolo socio ha il diritto di chiedere agli amministratori notizie non solo sull’andamento generale della gestione ma anche su singoli affari, nonché di controllare, anche tramite un professionista di sua fiducia,i libri sociali ed i documenti relativi all’amministrazione ogni qual volta lo ritenga opportuno. I diritti di informazione e di ispezione sono personali e spettano al socio in quanto tale, anche se privo del diritto di voto. Tra i soggetti legittimati vanno ricompresi anche l’usufruttuario ed il creditore pignoratizio della quota (artt.2471-bis e 2352, co.6, c.c.). Le funzioni fondamentali di tali diritti sono state tradizionalmente individuate: in quella di consentirgli l’esercizio in quella di permettere al socio di esercitare un consapevole di tutti i diritti che derivano certo controllo sulla gestione societaria; dalla sua qualità di socio. Ma i diritti di informazione e di consultazione del socio assolvono anche ad un’altra fondamentale funzione che è quella di consentire al socio di svolgere una verifica sulla gestione strumentale all’eventuale esercizio dell’azione di responsabilità. 91 92 M. Silvetti, “La legittimazione dei soci all’impugnazione”, in AA.VV., Codice commentato delle nuove società, Milano, 2004, pag.821. G. Bianchi, sub art. 2434 bis, in Codice commentato della Spa diretto da G. Fauceglia e G. Schiano di Pepe, Torino, 2007. 83 Il terzo comma della norma in commento consente, infatti, al singolo socio di promuovere l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori e di chiederne la revoca. La società può transigere o rinunciare all’azione di responsabilità se vi consente la maggioranza qualificata dei due terzi dei soci e purché non si oppongano tanti soci che rappresentano almeno un decimo del Capitale sociale. In questo caso, tuttavia, è fatto salvo il diritto di ciascun socio di tutelare il proprio patrimonio, chiedendo il risarcimento del danno sofferto a seguito degli atti colposi o dolosi posti in essere dagli amministratori. Art. 2479 – Decisioni dei soci La disciplina codicistica delle decisioni dei soci di Srl è improntata ad un’ampia autonomia statutaria. Tuttavia, a prescindere da quale sia l’assetto dei poteri decisionali delineato nello statuto - fermo restando il nucleo minimo di materie riservate ex art.2479, co.2 - la norma in esame attribuisce ai soci la competenza a decidere sulle materie che vengono di volta in volta sottoposte alla loro approvazione da parte di uno o più amministratori ovvero da tanti soci che rappresentano almeno un terzo del Capitale sociale. Tale quorum, secondo la dottrina maggioritaria, può essere sia innalzato che abbassato. Taluni, peraltro, ritengono che il diritto di sollecitare una decisione dei soci può essere escluso o comunque convenzionalmente ridotto, ad esempio circoscrivendolo a determinate materie. Altri sostengono, invece, la inderogabilità assoluta della norma in commento. Si ritiene, inoltre, che possano essere devolute alle decisioni dei soci anche le materie attribuite alla competenza di altro organo societario finché lo stesso non abbia deliberato, fatte salve le materie di cui all’art. 2475, ultimo comma, c.c., di esclusiva competenza dell’organo amministrativo, nonché le materie che la legge riserva alla competenza di altri organi a tutela dei terzi. 84 RECESSO DEL SOCIO ED EFFETTI SULLE RISERVE DELLA SOCIETÀ a cura del Comitato Scientifico Centro Studi Tributari Euroconference* Il recesso tipico, vale a dire quello che presuppone l’annullamento della partecipazione e il pagamento della somma spettante al recedente con l’utilizzo del patrimonio netto della società, proprio per questo ha un effetto rilevante sulle riserve. Il contributo si preoccupa di indagare alcuni di questi aspetti. 1. Lo scarico delle riserve nel recesso tipico del socio Dal punto di vista economico, per un socio, recedere da una società significa domandare il rimborso anticipato della propria partecipazione in proporzione al valore di mercato del patrimonio sociale. Nel caso di recesso tipico, effettuato cioè mediante la riduzione del patrimonio netto della società, si origina così un debito della società verso il socio uscente (Cass. n. 291/2000) corrispondente ad una porzione del suo intero valore economico. Per la società, la somma dovuta al socio recedente andrà imputata a riduzione delle poste del proprio patrimonio (capitale e riserve) e, per l’eventuale eccedenza, al conto economico. A seconda della composizione del patrimonio netto della società nell’importo da liquidare al socio uscente possono quindi confluire valori patrimoniali di natura diversa: il capitale iniziale, riserve di capitale, riserve di utili indivisi, riserve formate con utili già tassati per trasparenza, e anche riserve in sospensione d’imposta. Non si rinviene nel Tuir una norma che obbliga la società a ridurre pro-quota tutte le componenti disponibili del suo patrimonio netto in caso di esecuzione del recesso del socio; tuttavia, la dottrina (Assonime 38/2005) tende a preferire la tesi della riduzione proporzionale, oltre che del capitale, anche di tutte le riserve della società, in rapporto alla quota di partecipazione del socio uscente. A questa impostazione che privilegia lo scarico proporzionale delle riserve presenti nel patrimonio della società sembra orientarsi indirettamente anche l’Amministrazione Finanziaria nella risp. 1.5.6 della CM 98/2000, ed in seguito nella Ris. 58/2007 (riferita al tema della ricostituzione delle riserve nella scissione). Si pone poi l’ulteriore questione dell’applicazione, nel caso del recesso tipico, delle presunzioni che governano la distribuzione di utili e riserve: i) la presunzione ex art. 47, co. 1, Tuir, sulla prioritaria distribuzione delle riserve (disponibili) di utili rispetto a quelle di capitale, escluse quelle in sospensione d’imposta e quelle di utili prodotti in regime di trasparenza ex artt. 115 e 116; ii) la presunzione ex art. 1, DM 2/4/2008, sulla prioritaria distribuzione di utili prodotti ante 2008. Autorevole dottrina (Assonime 32/2004) si era espressa in senso affermativo con riguardo alla presunzione ex art. 47, Tuir, quando il socio recedente è un soggetto Ires; tuttavia, la stessa dottrina ha osservato in seguito (Assonime 38/2005) che l’applicazione di questa presunzione potrebbe condurre a risultati non del tutto congrui, anche per i soci superstiti. Sembra poi preferibile ritenere non applicabile al recesso la presunzione ex DM 2/4/2008 poiché ne deriverebbe che tutte le riserve a tassazione minore (40%) verrebbero “consumate” al servizio del socio recedente, lasciando sui soci superstiti le riserve di utili a tassazione più elevata (49,72%). Quando poi nel patrimonio della società vi sono anche riserve in sospensione d’imposta, si pone l’ulteriore questione della riduzione o meno di queste poste, un fatto che ne determina il concorso a tassazione per la società (variazione in aumento dell’imponibile). In conclusione, pur nel silenzio della norma, pare allora ragionevole optare nei casi di recesso tipico del socio per una logica di utilizzo proporzionale delle diverse componenti del patrimonio netto in * Pezzo aggiornato al 27/02/2012 (Sesta giornata del Master Breve 2011/2012 – Area approfondimento) 85 relazione alla quota di partecipazione posseduta dal socio recedente; una logica che sarebbe quindi libera sia da scelte discrezionali della società, e sia da presunzioni fiscali che causerebbero poi la gestione di un complesso doppio binario civilistico-fiscale. 2. Il recesso da parte di soggetti imprenditori Uno dei punti critici che riguarda l’istituto del recesso quando è azionato da società di capitali, società di persone ma anche imprenditori individuali che detengono la partecipazione in regime d’impresa è la natura delle riserve che vengono utilizzate per pagare la somma da recesso. Come detto in precedenza, il recesso tipico implica che la partecipazione del recedente sia liquidata utilizzando il patrimonio netto della società che subisce il recesso. Quindi potrà essere ridotto il capitale sociale, e utilizzate le riserve, tanto di capitale quanto di utili. La prassi diramata dalle Entrate, poco dopo l’entrata in vigore della riforma del 2004, in particolare con la Circolare 36/E/2004, ha aiutato a chiarire una questione che, normativamente, era piuttosto complessa: - Per le persone fisiche, è irrilevante stabilire la provenienza delle somme che finanziano il recesso. Per questi soggetti, infatti, il differenziale positivo tra somma complessivamente ricevuta e costo della partecipazione segue comunque il regime dei dividendi. - Per i soggetto che recedono possedendo la partecipazione in regime d’impresa, il caso è molto diverso. In tal caso, infatti, è di tutto rilievo stabilire se la somma da recesso proviene da riserve di utili, di capitale, oltre al caso in cui vi sia una combinazione di utilizzo. Secondo l’Agenzia – paragrafi 5.1 e 5.2 della circolare 36/E prima richiamata – a seguito del combinato disposto degli artt. 89 co. 2 per i soggetti Ires, 58 co. 2 per i soggetti Irpef, e 87 co. 7 del TUIR, le somme attinte dalle riserve di utili vanno in ogni caso trattate come dividendi, mentre quelle attinte da riserve di capitali prima riducono il costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione e, se vi è un’eccedenza, questa genera una plusvalenza. Alla plusvalenza, se ne ricorrono i presupposti, sarà applicabile il regime dell’esenzione. Per chiarire quello che abbiamo detto relativamente al secondo caso, possiamo riprendere l’esempio fatto dall’Amministrazione, ampliandolo per affrontare anche altri aspetti della problematica. L’ipotesi è che a recedere sia una società di capitali che detiene una partecipazione il cui costo fiscalmente riconosciuto è pari a 3.000. La somma complessivamente ricevuta ammonta a 4.500, di cui 4.000 da riserve di capitale e 500 da riserve di utili. Quest’ultima somma deve essere trattata in ogni caso come dividendo, e quindi concorrerà alla formazione dell’imponibile per il 5%, vale a dire 25. La somma di 4.000 costituisce reddito per 1.000, cioè la parte eccedente il costo della partecipazione. Questo reddito si qualifica come plusvalenza e, conseguentemente, si dovrà verificare se sussistono i requisiti per accedere al regime di esenzione disciplinato dal’art. 87 del TUIR. Se sì, il suo concorso al reddito sarà limitato al 5% (50). Qualora il percettore sia una società di persone o un imprenditore individuale, il concorso al reddito è pari al 49,72%. Diversamente, se la partecipazione non presenta i requisiti per rendere esente la plusvalenza da realizzo, questa dovrà essere assoggettata integralmente a tassazione. Se si combina in modo diverso la formazione della somma di 4.500, nel senso che per 4.000 proviene da riserve di utili, e per 500 da riserve di capitale, si verifica questa situazione: la prima quota rappresenta un dividendo, da assoggettare a tassazione secondo le regole già viste. Il confronto tra il costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione – 3.000 – e la somma ricevuta utilizzando riserve di capitale – 500 – quindi 2.500, rappresenta una minusvalenza che, se la partecipazione è esente, si renderà indeducibile, mentre se tale requisito non sussiste, sarà ordinariamente deducibile. 86 IL RECESSO TIPICO DEL SOCIO DA SRL: PROFILI FISCALI E PROBLEMATICHE NELLA SUA CORRETTA RAPPRESENTAZIONE CONTABILE La riforma del diritto societario ha profondamente innovato la disciplina del recesso del socio da Srl, che oggi, diversamente che in passato, è maggiormente orientata alla tutela degli interessi del socio uscente rispetto a quelli della società e dei suoi creditori. L’ampliamento dei presupposti che legittimano il recesso e il maggior appeal per l’istituto, derivante dalla liquidazione della quota receduta in ragione del suo valore corrente di mercato, e non sulla base del suo mero valore contabile, hanno determinato un utilizzo sempre più frequente di tale istituto, che, tuttavia - come si avrà modo di analizzare di seguito - comporta alcune difficoltà interpretative sotto il profilo fiscale ed alcune problematiche nella sua corretta rappresentazione contabile. 1. Le problematiche Il nuovo articolo 2473, c.c. - che disciplina l’istituto in esame – ha, come noto, notevolmente ampliato il novero dei presupposti che legittimano il socio ad avvalersi della facoltà di recedere e ha modificato i criteri di determinazione del valore della quota per cui il recesso viene esercitato, che passano da una logica “a valori contabili” ad una logica “a valori correnti di mercato”, dove assumono rilievo anche quei valori che non trovano una diretta espressione nel bilancio d’esercizio e nelle scritture contabili, come, in particolare, i plusvalori latenti, le attività intangibili e l’avviamento. La centralità che gli interessi del socio recedente assumono nella nuova disciplina del recesso da Srl pone tuttavia problemi di tutela dell’integrità del capitale sociale, garanzia per i creditori sociali e presupposto necessario alla continuazione nel tempo dell’attività d’impresa. Proprio per questo, il Legislatore della riforma ha previsto una sequenza cogente di tecniche di liquidazione della quota receduta, miranti - in prima istanza - ad allocare il peso economico del recesso su economie terze rispetto alla società, tramite la vendita delle quote agli altri soci o a terzi individuati da questi ultimi (c.d. “recesso atipico”); in seconda istanza, la liquidazione della quota receduta deve avvenire attingendo da riserve disponibili, in modo tale da non intaccare la consistenza del capitale sociale; solo in ultima istanza, quindi - e solo in caso di improcedibilità delle altre modalità propedeutiche - si potrà procedere all’annullamento della partecipazione receduta mediante riduzione del capitale sociale, nei limiti comunque previsti dall’art. 2482, c.c.. Benché, quindi, il recesso tipico sia subordinato a quello “atipico” - che si sostanzia, come visto, in una compravendita di quote sociali (la quale non comporta particolari problematiche né dal punto di vista fiscale né da quello della sua rappresentazione contabile) - non può essere sottaciuto il fatto che le quote di Srl non siano sempre facilmente alienabili. 2. La disciplina fiscale del surplus da recesso Il recesso rileva, dal punto di vista reddituale, in una duplice prospettiva. Per la società, che a fronte del recesso riduce il proprio patrimonio, si tratta di inquadrare la natura e la qualificazione fiscale delle somme erogate al socio recedente; nella misura in cui la “differenza da recesso” (cioè, il maggior valore della quota rispetto ai valori contabili del patrimonio che la stessa rappresenta) misura ed anticipa le plusvalenze e gli avviamenti latenti, appare corretto considerarla una distribuzione di utili, in quanto tali indeducibili per la società. * Pezzo aggiornato al 27/02/2012 (Sesta giornata del Master Breve 2011/2012 – Area approfondimento) ** Articolo tratto da “Bilancio, Vigilanza e Controlli” Euroconference. 87 CONTRIBUTI DI APPROFONDIMENTO a cura di Dario Stevanato e Mattia Varesano* 3. Quanto al socio recedente, le somme ricevute in parte abbattono il valore della partecipazione posseduta e, per l’eccedenza, rappresentano una “nuova ricchezza”, che appare corretto assoggettare a tassazione, secondo le modalità che descriveremo in seguito. Riflessi in capo al socio recedente Partendo dal punto di vista del socio recedente ed ipotizzando, in prima battuta, che questo sia una persona fisica che non detiene la partecipazione in regime di impresa, la fattispecie del recesso tipico viene esplicitamente disciplinata dall’art. 47, comma 7, del Tuir. La norma testé citata stabilisce che: “le somme o il valore normale dei beni ricevuti dai soci in caso di recesso (….) costituiscono utile per la parte che eccede il prezzo pagato per l’acquisto o la sottoscrizione delle azioni o quote annullate”. La differenza tra quanto ricevuto a fronte del recesso ed il costo fiscalmente riconosciuto delle quote annullate costituirà, perciò, reddito di capitale nella misura del 49,72%, nel caso di partecipazione qualificata, mentre sarà assoggettata all’imposta sostitutiva del 12,5%, in caso contrario. Quando a recedere sia, invece, una persona fisica che detiene la partecipazione in regime di impresa, oppure una società di persone, si applica l’art. 59 del Tuir, che esplicitamente rimanda all’art. 47. La differenza tra il costo fiscale della partecipazione e la somma liquidata in conseguenza del recesso verrà, perciò, tassata nel limite del 49,72% del suo ammontare, quale componente positiva del reddito di impresa, indipendentemente dall’entità della partecipazione detenuta. In ultimo, quando il socio recedente sia, invece, un soggetto Ires (diverso dagli enti non commerciali, che non detengono la partecipazione in seno all’attività commerciale eventualmente svolta), la differenza, come sopra determinata, costituisce componente positiva di reddito. In questo caso, tuttavia, si riscontra un apparente conflitto tra due diverse disposizioni che risultano applicabili alla fattispecie in esame: l’art. 86, comma 5-bis dispone, infatti, che la differenza tra il costo fiscale della partecipazione e “le somme o il valore normale dei beni ricevuti a titolo di ripartizione del capitale e delle riserve di capitale” debba essere qualificata come plusvalenza, mentre l’art. 89, comma 4 - rimandando esplicitamente all’art. 47 - qualifica la differenza da recesso alla stregua di un dividendo. Come chiarito dall’Agenzia delle Entrate93, per poter superare il potenziale conflitto tra le due norma testé citate, la differenza tra le somme liquidate (o il valore normale dei beni assegnati) e il costo fiscale della partecipazione, deve essere “scomposta” in due componenti distinte: • una prima, corrispondente alla quota parte relativa alla restituzione del capitale e delle riserve di capitale, che dovrà essere qualificata quale plusvalenza ai sensi dell’art. 86, comma 5-bis, e che, quindi, verrà esentata dalla tassazione solo se saranno verificati i requisiti della Pex (art. 87, comma 6)94; • ed una seconda, che costituisce, invece, utile assoggettato al regime proprio di cui all’art. 89 e, quindi, sempre tassato nel limite del 5% 95. 93 94 95 88 C.M. n.26/E/04. Esenzione del 95%. Com’è noto, prima del 2008, la qualificazione di una componente reddituale quale plusvalenza piuttosto che quale utile (o dividendo) era rilevante anche in relazione alla percentuale di esenzione: i dividendi, infatti, erano soggetti, come ora, all’esenzione del 95%, mentre le plusvalenze erano esentate nella misura del 91%, prima, e del 84%, poi. Per meglio chiarire la fattispecie in esame, si permetta di riprendere l’esempio riportato nella C.M. n.26/E/04, già citata. Valore Fiscalmente riconosciuto della partecipazione = € 3.000; Somma liquidata in seguito al recesso tipico = € 4.500; Somma ricevuta a titolo di ripartizione del capitale e di riserve di capitale = € 4.000; Plusvalenza esente (se ricorrono le condizioni di cui all’art. 87 del Tuir), pari alla differenza tra somma ricevuta a titolo di capitale o di riserve di capitale (€ 4000) e valore fiscale della partecipazione (€ 3.000) = € 1.000; Utile da partecipazione (ex art. 89), pari alla differenza tra il surplus complessivo da recesso (€ 1.500, pari a € 4.500 - € 3.000) e la plusvalenza esente (€ 1.000) = € 500. Il recesso tipico del socio da srl: profili fiscali e problematiche nella sua corretta rappresentazione contabile Si vede in ciò il riflesso della natura composita della fattispecie “recesso”, la quale può sottendere sia l’incasso di utili che un atto di disinvestimento patrimoniale assimilabile al realizzo della partecipazione. Al tempo stesso, torna ad assumere rilevanza non già - in quanto tale ed in modo indifferenziato - la “differenza imponibile” percepita dal socio, quanto l’etichetta contabile-fiscale delle riserve da cui la società attinge per attuare il recesso. Infatti, la differenza tra le somme attinte da poste aventi la natura di “capitale” ed il costo fiscale della partecipazione del socio, non avendo “oggettivamente” natura di utile, viene qualificata dalla legge come plusvalenza, assecondando il profilo dismissivo del recesso. 4. Riflessi in capo alla società da cui si recede Passando ora ad esaminare i profili fiscali che eventualmente rilevano in capo alla società da cui si recede, si deve innanzitutto chiarire che il recesso costituisce un’operazione sul capitale netto e, quindi, non ha di per sé effetti reddituali. Questa affermazione è evidente se riferita alla somma corrispondente alla quota di patrimonio netto (come risultante dal bilancio), spettante al socio in proporzione alla quota di partecipazione detenuta (rimborso del valore contabile della partecipazione), mentre abbisogna di qualche ulteriore riflessione in riferimento al c.d. “surplus” (o differenza da recesso), e cioè alla maggior somma liquidata al socio recedente in ragione del maggior valore economico della partecipazione annullata rispetto al suo valore contabile, che viene spesso ritenuta, erroneamente, una componente reddituale negativa per la società e, quindi, deducibile dal reddito di impresa della stessa. Il convincimento, da parte di taluni contribuenti e da una parte minoritaria della dottrina, sulla deducibilità fiscale del surplus da recesso è rafforzata dalla posizione assunta dall’Amministrazione Finanziaria 96, che sostiene la rilevanza fiscale della medesima componente, nel caso di recesso da società di persone. Per i sostenitori di questa tesi, non del tutto a torto, la natura reddituale del surplus non può, infatti, dipendere dalla forma giuridica della società e, quindi, se questa componente viene ritenuta deducibile per le società personali, lo dovrebbe essere, per coerenza, anche nel caso di recesso da società di capitali97. A sconfessare questa tesi, come sottolineato tra l’altro da una risoluzione della DRE dell’Emilia Romagna 98, è tuttavia la formulazione stessa delle norme del Codice civile e, in particolare, dell’art.2473, c.c., che prevedono, per la liquidazione della somma al socio recedente, l’utilizzo esclusivo di poste del patrimonio netto, che codificano, in un certo senso, l’intangibilità del Conto economico. Testualmente, il procedimento di liquidazione della partecipazione receduta per le Srl.:“Può avvenire anche mediante acquisto da parte degli altri soci proporzionalmente alle loro partecipazioni oppure da parte di un terzo concordemente individuato dai soci medesimi. Qualora ciò non avvenga, il rimborso è effettuato utilizzando riserve disponibili o, in mancanza, corrispondentemente riducendo il capitale sociale; in quest’ultimo caso si applica l’art. 2482 e, qualora sulla base di esso non risulti possibile il rimborso della partecipazione del socio receduto, la società viene posta in liquidazione” (art. 2473, comma 4, secondo e terzo periodo). 96 97 98 Si veda la recente R.M. n.64/E/08. Come si avrà modo di illustrare nel prosieguo, non si concorda con la posizione assunta dall’Amministrazione Finanziaria in riferimento alla deducibilità fiscale del surplus nel caso di società di persone, riconoscendo anche in tal caso la natura meramente patrimoniale dell’operazione. Risoluzione n. 11489/07 della DRE Emilia Romagna. 89 Per evitare l’addebito del conto economico e la rilevazione di un costo, occorrerebbe poter anticipare l’emersione di quei plusvalori/avviamenti che si intendono corrispondere al socio, alimentando così le riserve disponibili. Ciò si scontrerebbe, però - salvo quanto diremo nel prosieguo - col tendenziale sfavore delle norme sul bilancio delle società di capitali nei confronti di fenomeni di evidenziazione di utili meramente stimati o sperati, e richiederebbe l’adozione di un bilancio a valori correnti, anziché storici. 5. La rappresentazione contabile del recesso tipico di un socio La norma stabilisce, perciò, una modalità obbligatoria per contabilizzare il recesso tipico di un socio, mediante l’imputazione, in contropartita al debito verso il socio recedente, di riserve disponibili ed eventualmente del capitale sociale, che andrà perciò corrispondentemente ridotto. d d Riserve disponibili (per la loro l’intera capienza e fino a concorrenza della somma xxx liquidata) d Capitale Sociale (in caso di in capienza delle riserve disponibili e nei limiti dell’art. 2482, xxx c.c.) @ Debiti vs. Socio xxx recedente L’imputazione del surplus quale componente negativa del conto economico risulterebbe perciò contraria alla norma testé richiamata. Inoltre, ammettere la deducibilità della differenza da recesso significherebbe - a ben vedere - ammettere un palese salto di imposta, contrario ai principi sistematici dell’ordinamento fiscale, in particolare in un contesto, quale quello dei rapporti tra società di capitali e soci, caratterizzato piuttosto da una doppia imposizione parziale (si pensi alla modalità di tassazione in capo ai soci percepenti dei dividenti, dei capital gain e, da ultimo, delle somme eccedenti il costo fiscale della partecipazione annullata a causa del recesso). Se, infatti, il surplus rappresenta, come detto, il maggior valore economico della partecipazione rispetto al suo valore contabile, esso è costituito - a ben vedere - da utili in corso di formazione, da plusvalori latenti sui beni aziendali, da avviamento autogenerato e, quindi, in genere, da futuri utili, che verranno prima o poi realizzati (e, quindi, tassati) in capo alla società (il plusvalore del bene verrà realizzato al momento della cessione del bene, l’avviamento autoprodotto sarà realizzato quando verrà ceduta l’azienda sociale o tramite il conseguimento di maggiori utili rispetto alla media di settore, e così via). Ammettere, quindi, la deducibilità fiscale del surplus significherebbe neutralizzare, di fatto, l’imposizione che questi utili futuri subiranno in capo alla società: il surplus attribuito al socio – che, per semplicità, ipotizziamo essere uguale alle somme eccedenti al valore fiscale della partecipazione - sconterebbe, perciò, un unico livello di imposizione (quella in capo al socio percipiente), peraltro esentata, come visto, nella misura del 50,28 o del 95%. In un sistema che prevede una parziale doppia tassazione sugli utili distribuiti ai soci di società di capitali (onde mantenere, nei riguardi di soci persone fisiche, la progressività dell’imposta personale), con il recesso, invece, si otterrebbe una distribuzione di utili al socio recedente, che sconterebbe, di fatto, una tassazione agevolata (parzialmente esentata), senza peraltro nessuna ragione giustificatrice di un siffatto trattamento fiscale di favore. 90 Il recesso tipico del socio da srl: profili fiscali e problematiche nella sua corretta rappresentazione contabile È evidente, perciò, che la tesi della deducibilità del surplus da recesso debba essere rigettata, soprattutto in virtù delle distorsioni che essa genererebbe nel sistema. A ben vedere - e alla luce delle considerazioni appena svolte - la problematica rilevante in caso di recesso è rappresentata dal differente criterio valutativo che le due grandezze in gioco manifestano al momento dello scioglimento del rapporto: • da una parte, infatti, il patrimonio netto della società - che deve essere ridotto per effetto dell’annullamento delle quote - è rappresentato in bilancio a valori storici, senza quindi l’emersione dei plusvalori latenti e dell’avviamento in generale; • dall’altra parte, la partecipazione annullata viene, invece, valorizzata al valore corrente di mercato, con emersione perciò dei valori correnti non espressi in contabilità. In un sistema contabile a valori correnti, l’annullamento delle quote sociali per effetto del recesso non comporterebbe alcuna problematica, in quanto si otterrebbe semplicemente addebitando, in contropartita all’uscita finanziaria per la liquidazione del socio uscente, i conti di patrimonio netto (sufficientemente capienti vista l’omogeneità dei criteri valutativi), senza quindi avere nessuna influenza sul Conto economico. In un sistema a valori storici - com’è il nostro - il recesso pone, invece, una seria problematica in quanto il patrimonio netto tende a non essere sufficientemente capiente da poter sostenere la riduzione dello stesso per effetto dell’annullamento delle quote, in primis per la forte differenza che di solito c’è tra valore contabile e valore di mercato delle quote e, in secondo luogo, perché le percentuali di quote sociali “in gioco” in un recesso sono generalmente piuttosto rilevanti, soprattutto, nell’ipotesi di Srl a ristretta compagine sociale (per le quali è più frequente l’utilizzo del recesso tipico), dove ogni socio detiene partecipazioni significative. In questo panorama, contabilizzare l’operazione di recesso solo mediante la riduzione del patrimonio netto per l’intera somma liquidata al socio uscente porterebbe a ridurre in maniera abnorme il fondo patrimoniale della società, con il concreto rischio che questo non sia sufficientemente capiente. Tale ipotesi - tutt’altro che improbabile - potrebbe avere conseguenze assurde, in quanto comporterebbe l’obbligo di ricostituzione del fondo patrimoniale da parte dei soci superstiti (aumento del capitale sociale ridotto a causa del recesso o apporto di riserve di capitale in misura sufficiente a coprire la somma liquidata al socio recedente) o, in mancanza di ciò, la messa in liquidazione della stessa società, in ragione di un’incapienza patrimoniale solo formale (perché espressa a valori storici magari del tutto diversi dai valori correnti di mercato della società) e non certo economicamente giustificata, posto che il patrimonio netto espresso a valori correnti sarebbe certamente sufficiente per poter continuare l’attività sociale 99. Per evitare queste distorsioni, la rappresentazione contabile che appare più corretta, quantomeno da un punto di vista teorico, sarebbe, quindi, quella in cui emerga la differenza tra il valore di mercato della quota ed il suo valore contabile. Ciò potrebbe avvenire iscrivendo nell’attivo della società le “attività” che giustificano il maggior valore di mercato, che - come già detto - sono costituite in sostanza da plusvalenze latenti (ed allora l’iscrizione sarebbe una parziale rivalutazione dei cespiti già presenti), da alcuni beni intangibili non iscritti a bilancio perché autogenerati dall’impresa sociale (marchi e brevetti) e, in generale, da avviamento. Anche se, va detto, al momento ciò richiederebbe di superare il divieto di iscrizione dell’avviamento autoprodotto (art. 2426, n. 6, c.c., espressione del più generale divieto di iscrivere in bilancio utili non 99 Il valore economico della società, dopo il recesso, viene ridotto solo proporzionalmente alla quota detenuta dal socio uscente. Se esso, ad esempio, deteneva, prima del recesso, una partecipazione del 30%, il valore della società che residua dopo il recesso, sarà inevitabilmente pari al 70% di quella pre-recesso e, quindi, non certamente un valore inidoneo alla continuazione dell’attività sociale (salvo che tale valore sia inferiore ai minimi legali del capitale sociale, previsti in ragione della forma giuridica della società). 91 realizzati alla data di chiusura dell’esercizio, come prescrive l’art. 2423-bis, n. 2, c.c.). Per una possibile prospettiva di superamento del detto limite, si veda infra. In contropartita alla variazione positiva dell’attivo (o negativa del passivo), si potrebbe accreditare o un conto di ricavo (soluzione che influenzerebbe però positivamente il risultato economico, in contrasto con il postulato della prudenza amministrativa) oppure, forse preferibilmente, direttamente un conto di patrimonio netto100. In questo modo, si otterrebbe l’incremento del capitale netto sociale propedeutico alla variazione in diminuzione dovuta al recesso, che, a questo punto, non comporterebbe alcuna distorsione, avvenendo di fatto a valori omogenei a quelli che hanno determinato la somma da liquidare al socio recedente. d Differenza da recesso @ Riserva per “recesso tipico” d ≠ d Riserve disponibili (per il valore contabile della quota receduta) d Capitale sociale (per l’importo eccedente il valore contabile della quota receduta e nei limiti dell’art. 2482) d Riserva per “recesso tipico” (per il valore del surplus da recesso) xxx ≠ xxx xxx xxx @ Debiti recedente d ≠ d Immobili d Avviamento d Marchi xxx vs. Socio 0 @ Differenza da recesso xxx xxx xxx xxx xxx L’iscrizione nell’attivo della “differenza da recesso” (tesi già sostenuta tra gli altri da Assonime), potrebbe omogeneizzarsi con i postulati di bilancio e, in particolare, con il criterio del costo come criterio di valutazione base del sistema: infatti, l’iscrizione dell’attivo avviene, nel recesso, in base ad un’operazione a titolo oneroso tra due soggetti, il socio uscente e la società, che si può presumere abbiano interessi configgenti (il socio di sopravalutare le quote in suo possesso la società di sottovalutarle). Potrebbero, dunque, cadere le residue remore per l’iscrizione di detti valori nell’attivo patrimoniale. 100 92 Accreditando direttamente il patrimonio netto in contropartita all’emersione, nell’attivo patrimoniale, della differenza da recesso, si dovrebbe utilizzare un metodo di contabilizzazione simile a quello che si utilizza per valutare al fair value gli strumenti finanziari classificati come “available for sale”, secondo quanto previsto dallo IAS 39. In sostanza, perciò, la rivalutazione dell’attivo dovuta all’emersione della differenza dal bilancio, non transiterà per il conto economico fino a quando i beni rivalutati o i valori iscritti a fronte del surplus da recesso non vengano effettivamente realizzati: al momento del realizzo, perciò, si dovrebbe utilizzare il cosiddetto metodo del “recycling”, ovvero imputando la plusvalenza realizzata sul bene, calcolata tenendo traccia del valore contabile precedente alla rivalutazione, e accreditando il conto di patrimonio netto utilizzato originariamente in contropartita alla rivalutazione effettuata. Il recesso tipico del socio da srl: profili fiscali e problematiche nella sua corretta rappresentazione contabile 6. Le possibili soluzioni dell’emersione contabile della “differenza da recesso” Dal punto di vista fiscale, l’emersione contabile della “differenza da recesso” potrebbe comportare due opposte soluzioni. Secondo quella che è stata sostenuta da Assonime101, la componente reddituale positiva, registrata in contropartita all’iscrizione nell’attivo dei plusvalori latenti, dovrebbe essere tassata in capo alla società e, di contro, i plusvalori iscritti dovrebbero avere piena rilevanza fiscale secondo la loro propria natura. Come sottolineato dalla dottrina102, pertanto, “vi sarebbe una tassazione immediata in capo alla società, a fronte di un recupero differito nel tempo”. L’altra soluzione prospettabile - che si preferisce - è quella della irrilevanza fiscale della rivalutazione, ovvero della sua valenza solo sul piano civilistico-contabile: si avrebbe, in tal modo, un’ennesima situazione di disallineamento tra valori civili e fiscali, non diversa da quella che si ha, ad esempio, con l’emersione delle differenza da annullamento, nelle operazioni di fusione per incorporazione e in tutte le altre operazioni straordinarie. 101 102 Circolare n. 32 del 14 luglio 2004. Luca Miele e Gian Paolo Ranocchi, “Sul recesso differenza a deducibilità incerta”, Il Sole24Ore del 15 ottobre 2005. 93 REDDITO D’IMPRESA DEDUCIBILITA’ DELLA DIFFERENZA DA RECESSO DEL SOCIO DI SRL a cura di Massimo Conigliaro* Abstract L’Osservatorio dei distretti notarili riuniti di Firenze, Pistoia e Prato, con la massima n. 19 del 13 luglio 2009, è intervenuto sul “Recesso del socio e la riduzione del capitale sociale”. L’opinione espressa ed i principi affermati consentono una nuova lettura, in ambito fiscale, della questione relativa alla deducibilità in capo alla società della differenza da recesso, in caso di liquidazione della quota del socio. Il tema, già affrontato e risolto per le società di persone, presenta ancora margini di opinabilità per le società a responsabilità limitata. 1. Premessa Il nuovo diritto societario prevede la possibilità per il socio di società di capitali di recedere dal contratto sociale e chiedere la liquidazione della quota. L’art. 2473 del codice civile, così come modificato dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 - D.Lgs. 6 febbraio 2004, n. 37, prevede i casi in cui il socio può esercitare tale diritto. Tra questi ricordiamo: - cambiamento dell'oggetto o del tipo di società; - fusione o scissione; - revoca dello stato di liquidazione; - trasferimento della sede all'estero; - nel caso di società contratta a tempo indeterminato; I soci che recedono dalla società hanno diritto di ottenere il rimborso della propria partecipazione, in proporzione del patrimonio sociale; tale rimborso è determinato tenendo conto del valore di mercato della società al momento della dichiarazione di recesso; in caso di disaccordo la determinazione è rimessa all’equo apprezzamento di un esperto nominato dal tribunale, che redige apposita relazione giurata. La legge prevede che il rimborso delle partecipazioni deve essere eseguito entro 180 giorni dalla comunicazione di recesso del socio. Esso può avvenire anche mediante acquisto da parte degli altri soci proporzionalmente alle loro partecipazioni oppure da parte di un terzo concordemente individuato da soci medesimi. Qualora ciò non avvenga, il rimborso è effettuato utilizzando riserve disponibili o, in mancanza, corrispondentemente riducendo il capitale sociale; altrimenti, la società viene posta in liquidazione. Il valore della quota sociale va determinato secondo l’effettiva consistenza economica del patrimonio ed occorre tenere conto delle operazioni in corso, dei valori effettivi dei vari beni e dei c.d. intangibili. Il riferimento non va inteso a una situazione patrimoniale predisposta secondo le ordinarie regole di redazione del bilancio annuale (artt. 2423 e seguenti, c.c.) bensì ad una situazione che evidenzi il valore effettivo della società, conteggiando quindi anche eventuali plusvalori latenti su beni aziendali nonché l’avviamento 103. * Pezzo aggiornato al 27/02/2012 (Sesta giornata del Master Breve 2011/2012 – Area approfondimento) 103 Così P. MENEGHETTI-C. DE LUCA, in “Focus Fiscali” n. 4/2008 pag. 46. Per la determinazione del valore della quota spettante al socio in sede di recesso occorre procedere alla redazione di una situazione contabile che evidenzi l’effettivo valore economico del complesso aziendale comprensivo altresì della quota parte degli utili in corso di formazione al momento del recesso. L’importo della quota così determinato, corrispondente ad una frazione del capitale economico della società, risulta solitamente superiore al valore della corrispondente quota del patrimonio netto contabile. Tale differenza che può derivare dall’esistenza di plusvalenze latenti sui beni dell’attivo, da valori di avviamento e dalla quota parte degli utili in corso di maturazione alla data del recesso viene generalmente definita “differenza da recesso”. In sostanza, l’importo corrisposto al socio in occasione del recesso risulta costituito da due componenti - la prima (afferente alla quota di patrimonio netto spettante al socio in proporzione alla quota di partecipazione detenuta) risulta costituita dal rimborso della quota di capitale sociale versato dal socio e dalla distribuzione delle riserve sia di utili che di capitale eventualmente esistenti; 94 Una recente presa di posizione dell’Osservatorio del consiglio notarile dei distretti di Firenze, Pistoia e Prato104 resa in ordine alle modalità di rimborso della valore della partecipazione a favore del socio di SRL che recede apre più di uno spiraglio alla eventualità di potere attribuire rilevanza reddituale al debito gravante in capo alla società. 2. Orientamento del notariato toscano E’ noto che il valore nominale della partecipazione posseduta dai soci di società commerciali profittevoli è spesso inferiore al corrispondente valore di mercato perché il patrimonio aziendale misurato dai principi di redazione del bilancio d’esercizio non contempla l’esistenza di plusvalori latenti sui beni, nonché la capacità di produrre utili definita come avviamento. E qualora tali soci intendano recedere dalla società partecipata sorge la necessità di individuare le modalità attraverso cui trattare le somme da rimborsare che eccedano il valore nominale della partecipazione. Comodità espositive suggeriscono, a questo punto, di avvalerci della seguente esemplificazione: • Capitale sociale della società ALFA SRL: Euro 50.000, • n. 5 Soci (A, B, C, D, E) ognuno possessore di una quota di partecipazione pari al 20% del capitale sociale, • Riserve di utili al 31.12.2008: 50.000. • Utili in corso di formazione al 30.11.2009: Euro 70.000. • Utile d’esercizio stimato al 31.12.2009 : Euro 80.000. • Valore di mercato della società ALFA SRL: Euro 300.000. Ora supponiamo che i soci A e B esercitino (nel mese di dicembre 2009) il diritto di recesso dalla società ALFA e si pone il problema di come rimborsare ad ognuno dei recedenti il valore di mercato della (propria) partecipazione pari ad Euro 60.000. Sulla questione si è espresso, di recente, l’Osservatorio del consiglio notarile dei distretti di Firenze, Pistoia e Prato 105 con lo studio n. 19 del 13 luglio 2009 rubricato “Recesso del socio e riduzione del capitale sociale”, assumendo una posizione diversa da chi, sulla scorta di una interpretazione letterale della disciplina dettata dall’art. 2473, c. 4 cc, aveva circoscritto alla sola sfera patrimoniale della società le conseguenze (civilistico – contabili) derivanti dalla liquidazione al socio recedente di una somma eccedente il valore nominale della partecipazione posseduta. Nello specifico, falliti i tentativi di acquisto delle quote del recedente da parte degli altri soci o di soggetti terzi, il Notariato toscano contempla le varie modalità di liquidazione in base al seguente ordine di priorità: • preliminarmente, il debito di liquidazione assorbe (interamente) le riserve (disponibili) di bilancio, analogamente a quanto sostenuto in vigenza delle regole ante riforma Vietti; • il debito residuo riduce quindi il capitale sociale per un importo pari al valore nominale della quota del socio che recede (e non per l’importo effettivamente liquidato); • l’ulteriore eccedenza viene trattata come una perdita gravante sul conto economico106, tale da costringere ad un’ulteriore riduzione del capitale sociale (per perdite) solo qualora non - la seconda relativa, invece, al riconoscimento dell’eventuale maggior valore economico del complesso aziendale alla data dello scioglimento del rapporto sociale rispetto ai valori contabili del patrimonio e che costituisce la cosiddetta “differenza da recesso” (cfr. Ris. 64/E del 25 Febbraio 2008). 104 Massima n. 19 del 13 luglio 2009 rubricata “Recesso del socio e riduzione del capitale sociale”, reperibile su http://www.consiglionotarilefirenze.it/Files/117/Recesso%20e%20riduzione%20del%20capitale.pdf.. 105 Cfr. sul punto P. MENEGHETTI ”La quota al socio in uscita segue il valore nominale” in Il sole 24 ore del 14.9.2009 pag. 5; l’argomento è ripreso da F. CORNAGGIA – N. VILLA, “SRL, il recesso ha impatto fiscale”, in Italia Oggi del 2.11.2009 pag. 22 – 23 106 Nel documento n. 28, (paragrafo 3 nota 13), l’Organismo italiano di contabilità afferma che se il rimborso avviene per un valore superiore al nominale la differenza va a gravare sulle riserve disponibili e se queste sono insufficienti, la differenza graverà sul conto economico. 95 CONTRIBUTI DI APPROFONDIMENTO Reddito d’impresa. Deducibilità della differenza da recesso del socio di srl compensata nel corso dell’esercizio sociale (in cui si perfeziona il recesso) da riserve ulteriori o dagli utili. L’obbligo di corrispondere al socio il valore di mercato della quota posseduta rappresenta una passività aziendale e – precisa il Notariato toscano – “…non è detto che essa si traduca necessariamente in una perdita di esercizio che imponga alla società di operare <nuovamente sul capitale >. Ciò avverrà solo se tale perdita risulterà in via definitiva sul capitale residuo e solo nei limiti in cui ciò dovesse effettivamente avvenire, con applicazione delle regole di cui agli artt. 2446 e 2447 del cc…”107. Alla luce di quanto sopra esposto ed ove si privilegi la tesi dell’Osservatorio dei Notai toscani sin qui sinteticamente riportata, la esemplificazione riportata condurrebbe alle seguenti conclusioni: - Rimborso (a favore di A e B) delle partecipazioni al valore di mercato: Euro 120.000 - Riduzione valore nominale capitale sociale per recesso: Euro (20.000) - Riduzione (integrale) delle riserve disponibili al 31.12.2008: Euro (50.000) - Eccedenza (differenza da recesso) Euro 50.000 Il valore di liquidazione eccedente quello nominale, pari ad Euro 50.000, troverà dunque spazio tra i componenti negativi di reddito dell’esercizio nel corso del quale è stato perfezionato il recesso dei soci, ma ciò potrebbe non comportare alcuna ulteriore perdita patrimoniale che imponga il ricorso alla procedura di riduzione di cui agli artt. 2446 e 2447 del cc.108. Anzi, si può fondatamente ritenere, già in sede di atto di recesso, che il maggior aggravio reddituale pari ad Euro 50.000 sarà interamente assorbito dagli utili di periodo. Anteriormente alla pubblicazione dello studio dei Notai toscani era, invece, oltremodo diffusa l’opinione che, in casistiche analoghe a quella esposta, per la società si sarebbe aperta la sola strada della messa in liquidazione. 3. Conseguenze in ambito fiscale dell’orientamento del notariato toscano Le conclusioni cui giunge lo studio del notariato toscano assumono una certa valenza anche per i risvolti fiscali intimamente collegati agli atti recesso di soci di SRL caratterizzati da valori di liquidazione delle quote di partecipazione superiori ai corrispondenti valori nominali. In concreto, in casi del genere, si pone il problema di stabilire se la “differenza da recesso” possa o meno essere considerata un componente negativo che riduce il reddito imponibile della società erogante. La tesi della indeducibilità del surplus da recesso è stata, nel passato, sostenuta dalla Direzione regionale delle Entrate della Emilia Romagna109, sulla scorta di una interpretazione letterale dell’art. 2473 cc volta a circoscrivere le conseguenze dell’atto di recesso da SRL direttamente ed 107 Segnala M.S. AVI “Le cause giuridiche di liquidazione delle società di capitali: analisi degli aspetti civilistici” in Il fisco n. 37/2005 pag. 5760 come “… malgrado da una prima lettura dell'articolo (art. 2473, c.4 cc NdA), il dettato della norma possa apparire imperativo nel precludere all'assemblea dei soci la facoltà di scegliere tra ridurre il capitale sociale oppure sciogliere la società ci sembra ragionevole ritenere, condividendo quanto evidenziato da autorevole dottrina (A. PACIELLO, in AA. VV., "La riforma delle società, commentario del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6", a cura di M. SANDULLI e V. SANTORO, volume 3, Società a responsabilità limitata - liquidazione - gruppi trasformazione - fusione - scissione, artt. 2462-2510 cod. civ., cit., pag. 236), che, alla luce dell'espresso richiamo allo scioglimento effettuato dal successivo comma 5 della medesima norma, ai sensi del quale <Il recesso non può essere esercitato e, se già esercitato, è privo di efficacia ... se è deliberato lo scioglimento della società>, non esista alcun motivo per escludere, in via di interpretazione della disposizione contenuta nell’ art. 2473, comma 4, del codice civile, la possibilità per l'organo assembleare di deliberare, in alternativa alla riduzione del capitale sociale, il dissolvimento del rapporto di società …”. 108 La Corte di Cassazione (sentenza 4.5.1994 n. 4326 in Le società n. 10, 1994, pag. 1335) ha ritenuto che la procedura di riduzione del capitale ex art. 2446 cc sia finalizzata a rimediare alle perdite verificatesi nel periodo, con la conseguenza che, qualora dalla situazione patrimoniale aggiornata a data recente l’atto di recesso, l’eccedenza gravante sul conto economico risulti ampiamente compensata da utili in corso di formazione maturati nel medesimo periodo (e ciò trovi, ovviamente, conferma al termine dell’esercizio), non vi sarà obbligo per la società di assumere alcun provvedimento di cui al citato art. 2446 cc. 109 Nota DRE Emilia Romagna 6.3.2007 n. 11489/2007 in Bollettino tributario d’informazioni, 2007, pag. 1539. 96 Reddito d’impresa. Deducibilità della differenza da recesso del socio di srl esclusivamente nella sfera patrimoniale della società e nei rapporti tra i soci110, perciò negando natura reddituale al rimborso erogato ai soci recedenti. Tale impostazione deve oggi essere rivista. L’autorevole opinione espressa dal consiglio notarile dei distretti di Firenze, Pistoia e Prato impone una nuova e diversa riflessione, perché dalla riconosciuta, piena, liceità civilistica dell’addebito a conto economico della differenza da recesso, consegue la legittima deduzione dell’onere111 in applicazione del principio di derivazione112 del reddito imponibile dell’utile civilistico, salva l’applicazione di specifici criteri fiscali sanciti dal TUIR. Per la verità, la DRE Emilia Romagna, ha intravisto nel disposto dell’art. 109, comma 9, lettera a) del TUIR uno di quei criteri fiscali in grado comunque di sbarrare la strada alla deducibilità della differenza da recesso, posta la natura di utile delle somme riscosse dal socio recedente; tuttavia, tale impostazione, trascura (più o meno consapevolmente) l’intenzione manifesta del Legislatore di circoscrivere il regime indeducibilità ivi contemplato alle remunerazioni spettanti ai detentori di titoli obbligazionari e/o strumenti finanziari comunque denominati113, restando perciò estranee al predetto regime remunerazioni di tutt’altra natura, quali le differenze da recesso114. Sotto un diverso profilo, la mancata deduzione del surplus da recesso imputato potrebbe verosimilmente comportare un fenomeno di doppia imposizione115 dello stesso reddito - seppur nei confronti di soggetti diversi - in violazione dell’art. 163 del Tuir. Vi è pertanto la ragionevole certezza che la differenza da recesso, intesa quale sommatoria positiva di plusvalori latenti ed avviamento del complesso aziendale, costituirà, all’atto del realizzo, componente positivo del reddito imponibile116 della SRL. In tal caso, detto surplus sarà oggetto di tassazione IRPEF: 1. una prima volta in capo ai soci che recedono dalla SRL secondo le regole dettate dal Legislatore per gli utili derivanti dalla partecipazione in società di capitale dall’art. 47, comma 7 del TUIR, 2. una seconda volta in capo ai soci superstiti della SRL, laddove i plusvalori realizzati cui si è fatto cenno, saranno a questi trasferiti sotto forma di dividendi. Quanto sopra, rende necessaria in capo alla società erogante (nel corso dell’esercizio in cui sorge il diritto alla liquidazione della quota) la deduzione del surplus da recesso, proprio al fine di escludere il sorgere dell’anomalia segnalata. In tale prospettiva, pur nella consapevolezza117 della asimmetria che si viene a creare in ragione del regime di detassazione parziale del surplus in capo al socio recedente (che, percependo un dividendo sconta l’IRPEF solo sul 49,72% dell’ammontare, ovvero l’imposta sostitutiva del 12,5%), si ritiene che negare la deduzione in capo alla società erogante118 significa porsi in contrasto con il divieto di doppia imposizione sancito dal Legislatore del TUIR e fatto proprio 110 Una posizione analoga era stata condivisa dalla DRE Lombardia nel maggio 2005 (cfr. Il sole 24 ore del 24.10.2005, pag. 31) seppur con riguardo al recesso di socio da società personale. 111 Il transito a conto economico dovrebbe dunque condurre a considerare spesabile fiscalmente il surplus da recesso, cfr. P. MENEGHETTI, “Così si apre la strada alla deducibilità della posta”, in Il sole 24 ore del 14.9.2009 pag. 5. 112 Cfr. art. 83 del TUIR. 113 ciò al fine di evitare la distribuzione occulta di utili sotto forma di interessi ed altri proventi deducibili Cfr. Commissione di adeguamento al TUIR alla riforma di diritto societario (cd. Commissione Gallo). 114 Di diverso avviso sembra essere MONTUORI “La collocazione sistematica del surplus da recesso alla luce di una recente risoluzione della DRE Emilia – Romagna” in Il fisco n. 20/2007, pag. 2939, secondo il quale il disposto dell’art. 109, comma 9 lettera a) è considerato “… espressione di un principio generale dell’ordinamento che, trascendendo i rapporti cui si riferisce di sola natura sinallagmatica, vieterebbe la deduzione di qualsiasi provento <partecipativo>, quale è anche quello da recesso …”. 115 Cfr. TORELLI, ROSSI “Il recesso di un socio da SRL e la liquidazione della relativa quota: aspetti civilistici e fiscali” in Azienda & Fisco n. 18/2006, pag. 41. 116 L’affermazione è contenuta in RM 25.2.2008 n. 25 con cui l’Agenzia delle entrate ha riconosciuto la deducibilità del surplus da recesso liquidato a favore di soci di SNC, facendo, appunto, leva sul divieto di doppia tassazione. 117 Asimmetria che rileva ASSONIME Circolare n. 32 del 2004 a pag. 61. 118 Come sostiene MONTUORI, op. cit. secondo il quale non ci sarebbe da scandalizzarsi per la parziale doppia imposizione economica sui dividendi, perché – a suo dire – “… essa rappresenta un connotato strutturale del nostro ordinamento …” 97 dalla stessa Agenzia delle Entrate 119. A ciò si aggiunga che la indeducibilità delle somme erogate dalla società quale surplus da recesso, unita alla successiva tassazione dei medesimi valori quali plusvalenze latenti ed avviamento, provocherebbe un ulteriore fenomeno di doppia imposizione (IRES), stavolta in capo alla medesima società erogante. 4. Osservazioni conclusive La tematica oggetto di queste brevi notazioni presenta margini di complessità ed opinabilità da più parti segnalati120. Se, infatti, per le società di persone la questione della deducibilità della “differenza da recesso” appare ormai risolta, in tema di società di capitali non si è ancora fatta del tutto chiarezza. I recenti ed autorevoli orientamenti dottrinali espressi portano alla naturale e ragionevole conseguenza del riconoscimento a favore della deducibilità del surplus da recesso; pur tuttavia, è facile prevedere che, rebus sic stantibus, in caso di verifica fiscale possano sorgere contestazioni sul punto e si debba ricorrere al contenzioso tributario; circostanza questa che potrebbe essere evitata con un chiarimento dell’Agenzia delle Entrate volto a confermare anche per le S.r.l. quanto già precisato per le società di persone. 119 120 Cfr. nota 14. Opportunamente ammoniti da ASSONIME, Circ. cit. 98 TRATTAMENTO FISCALE DEL RECESSO PER I SOCI DI SOCIETÀ DI PERSONE ALLA LUCE DELLE NOVITÀ INTRODOTTE DAL CORRETTIVO IRES (DLGS 247/2005) Non di rado può accadere nella pratica di dover risolvere la questione del corretto trattamento, ai fini delle imposte sui redditi, delle somme corrisposte al socio che recede da una società di persone. In particolare, il problema si profila laddove, in sede di liquidazione della quota al socio uscente, in base a valori effettivi l’importo da rimborsare sia superiore al corrispondente valore di patrimonio netto a causa di plusvalori latenti sui beni d’impresa e/o dell’avviamento. Oggi nell’ordinamento tributario non è presente alcuna norma che disciplini il trattamento della differenza da recesso in capo alla società. La prassi, al riguardo, ha assunto nel corso degli anni posizioni divergenti. Sul piano contabile i principi contabili nazionali (PC. n. 28) propongono una soluzione solo nel caso di società di capitali e limitatamente all’ipotesi in cui siano presenti riserve di capitale disponibili per coprire la differenza da recesso: quest’ultime, infatti, devono essere utilizzate per rimborsare la differenza superiore al valore nominale della quota, onde tutelare l’integrità del capitale ed evitare una riduzione dello stesso eccedente i limiti di Legge. 1. Soluzioni contabili alternative Nell’ipotesi di recesso da società di persone la dottrina ha peraltro formulato ipotesi alternative riguardo al trattamento contabile della differenza da recesso quali: l’iscrizione di un valore di avviamento; l’iscrizione di un costo a conto economico; la rivalutazione economica di un cespite dell’attivo. Una prima soluzione contabile, quindi, sarebbe quella di iscrivere un costo pluriennale nell’attivo del bilancio della società che, alla stregua di una valore di avviamento, rappresenterebbe i plusvalori emergenti al momento della fuoriuscita del socio dall’impresa. La logica di tale imputazione risiederebbe nel fatto che il maggior costo pagato a seguito del rimborso della quota, in quanto eccedente il patrimonio netto contabile, rappresenterebbe l’effettivo valore dei beni di impresa che assumere natura di costo ammortizzabile. Tale soluzione è criticata da chi vi vede un sostanziale contrasto con i principi contabili nazionali (PC. 24), secondo cui l’imputazione di un valore a fecondità pluriennale è legittimato solo se, da una parte, l’onere sostenuto garantisce benefici futuri all’impresa e, dall’altra, esso è quantificabile. Appare evidente, infatti, che la liquidazione del socio soggiace ad un imperio di legge volto a regolare la fuoriuscita dello stesso dalla compagine dell’impresa senza che ciò garantisca, necessariamente, una maggiore redditività futura dei maggiori valori riconosciuti. Inoltre vi è da dire che, se da un lato è vero che la differenza da recesso è rappresentativa di un’entità economica latente ma reale, è altrettanto vero che la transazione società/socio non pare possa configurarsi come un’operazione con soggetti propriamente definibili come “terzi”. Una seconda soluzione alla problematica in commento è quella di imputare a conto economico il componente negativo di reddito rappresentato dall’eccedenza dell’importo liquidato rispetto al valore patrimoniale netto della quota. Tale costo assumerebbe la veste di onere straordinario (sopravvenienza passiva) con conseguente collocazione nella voce E 21 del Conto economico (componente economica estranea alla gestione ordinaria d’impresa). Tale impostazione ci sembra convincente avendo riguardo alla liquidazione al socio recedente per la quota di utili della società in * Pezzo aggiornato al 27/02/2012 (Sesta giornata del Master Breve 2011/2012 – Area approfondimento) 99 CONTRIBUTI DI APPROFONDIMENTO a cura Gian Paolo Ranocchi* corso di formazione all’atto del recesso, opinabile riguardo alla quota idealmente riferita alla valorizzazione dei plusvalori latenti esistenti nell’ambito del patrimonio della società. Una terza via consiglia di “rivalutare” preventivamente l’attivo patrimoniale del maggior valore scaturito dal rimborso rispetto al patrimonio netto contabile della quota, iscrivendo in contropartita del maggior valore attribuito alle poste dell’attivo, una riserva di capitali. All’atto della fuoriuscita del socio recedente verrebbe azzerata tale riserva. Tale soluzione, peraltro non molto dissimile dalla prima analizzata, sembrerebbe in contrasto con il comma 4 dell’art. 2423 c.c. che, come noto, consente di derogare ai principi di redazione del bilancio solo in casi eccezionali e qualora sia compromessa la rappresentazione veritiera e corretta della situazione patrimoniale ed economica della società e comunque con una sostanziale chiusura a tutti i casi di rivalutazione volontaria. Ora, la rivalutazione economica dell’attivo, nella procedura del rimborso della quota del socio recedente, non sembrerebbe sufficiente a giustificare il concretizzarsi di un caso eccezionale a deroga della valutazione dei beni d’impresa al costo di acquisto o di produzione, come disposto dall’art. 2426, comma 1 n. 1, del c.c.. Entra quindi ancora in gioco la questione inerente al fatto se la liquidazione “interna” possa configurare una sorta di “acquisto anomalo” che possa legittimare l’iscrizione del nuovo valore del bene. La risposta, per chi scrive, non può che essere negativa. Ulteriore soluzione è quello di trattare la liquidazione della differenza da recesso alla stregua di un’anticipazione da parte della società per conto dei soci superstiti, dei mezzi necessari per liquidare il recedente. In questo caso, ovviamente, la partita contabile da accendere è quella di un “credito” verso i soci superstiti. E’ chiaro che tale tipo di impostazione riveste implicazioni solo di natura finanziaria ma anche delicatissime questioni sul piano societario. Prima di passare al comparto fiscale segnaliamo quanto sia delicato l’approccio contabile al problema de quo stante gli inevitabili addentellati che vi sono con le problematiche tributarie. Tanto per fare un esempio: la scelta della società di “capitalizzare” la differenza da recesso (senza entrare nel merito della sua correttezza) travolge o meno l’eventuale possibilità di dedurre fiscalmente la stessa differenza (ammesso che sia possibile)? E se la risposta fosse negativa allora vorrebbe dire che lo strumento per fruire dei “benefici” fiscali connessi all’integrale deducibilità dell’onere sarebbe il quadro EC? 2. Trattamento fiscale La modalità di tassazione della cd. eccedenza da recesso in capo al socio non è mai stata di facile identificazione. Per il recesso da società di persone, infatti, non era riscontrabile a sistema una norma regolatrice specifica, dovendosi riferire infatti, alle disposizioni contenute all’art. 47 del Tuir in quanto compatibili121. Ripercorriamo l’evoluzione della problematica in oggetto anche se oggi, come vedremo, la questione è stata risolta definitivamente dal recente Correttivo Ires. Per taluni il rimando all’art. 47 del Tuir non doveva intendersi come limitato alle modalità di quantificazione del reddito da recesso ma bensì anche alla sua “qualificazione”, con la conseguenza che tali redditi sarebbero stati inquadrabili, comunque, nella categoria dei redditi di capitale, pur trattandosi di un recesso da un soggetto “ire” ed in quanto tale “trasparente”. L’Agenzia, infatti, sembrava aver sostenuto questa interpretazione nella Circolare del 19 giugno 2002 , n. 54, precisando che a seguito della mancata ricostituzione della pluralità dei soci, la somma attribuita al fuoriuscito, per la parte che eccede il costo di acquisto è reddito “tassabile ai sensi dell’art. 44, comma 3 del Tuir”. 121 Si fa riferimento all’abrogato art. 6 del DPr n. 42/1988, vale a dire delle disposizioni attuative del Tuir. 100 Trattamento fiscale del recesso per i soci di società di persone alla luce delle novità introdotte dal correttivo Ires (D.Lgs 247/2005) Secondo un’interpretazione maggioritaria e certamente più corretta, invece, il rinvio all’art. 44 del Tuir doveva intendersi limitato sola alla “modalità di quantificazione” del reddito in capo al socio, mentre la natura di tale reddito rimaneva confinata nella categoria dei redditi da partecipazione. Quest’ultima, non essendo espressamente prevista dal Tuir, riconduceva quindi il reddito da recesso nell’alveo del reddito d’impresa. A sostegno di questa interpretazione anche alcuni pronunciamenti di prassi secondo cui le somme imputate al socio recedente manterrebbero la stessa natura dei redditi percepiti in virtù della partecipazione alla società122. Stante il (più o meno) medesimo trattamento fiscale del reddito (di capitali rispetto a quello d’impresa123) in capo al recedente, prima del D.Lgs 344/2003 non comportava una grandissima differenza l’aderire alla prima o alla seconda tesi. Lo scenario, invece, è radicalmente cambiato dopo la riforma del 2004, in quanto i due redditi assumono ora connotati ben distinti. I redditi di capitale, infatti, sono tassabili, nel caso di partecipazione qualificata, solo nel limite del 40% o sono assoggettati ad un’imposta sostitutiva del 12,5% nel caso di partecipazioni non qualificate. Quelli di impresa, invece, sono imponibili integralmente. Come già anticipato, la questione in commento è stata definitivamente risolta dal Decreto Legislativo 247/2005 (correttivo Ires), che, abrogando l’art. 6 del Dpr n. 42/1998, ha introdotto nel Tuir un nuovo articolo 20/bis124 che attribuisce senza tema di smentite, operando “a sistema”, natura di reddito di partecipazione (e quindi d’impresa) agli utili realizzati dai soci di società di persone in sede di recesso. In tal senso, quindi, alla luce del nuovo art. 20/bis del Tuir, il reddito da recesso da società di persone sarà assoggettato a tassazione per il suo intero ammontare. Permane, peraltro, il regime di tassazione separata del reddito in questione laddove si configurino le condizioni previste dall’articolo 17, comma 1, lettera l)125. Vale la pena osservare il diverso trattamento nel caso di recesso da società di capitali. La differenza tra la somma ricevuta (o il valore normale dei beni ricevuti) ed il valore fiscalmente riconosciuto alla partecipazione, costituisce, infatti, reddito di capitali ed è dunque tassato: al 12,50%, a titolo definitivo sull’intero valore, nel caso in cui la partecipazione oggetto di recesso non sia qualificata; concorre al reddito per il 40% del suo ammontare laddove, invece, la partecipazione sia qualificata. Regole specifiche che non sono oggetto del presente lavoro riguardano il caso in cui il socio recedente operi in regime di impresa. 122 In tal senso si veda la C.M. n. 98 del 17 maggio del 2000 che, intervenuta nel caso del recesso di un socio di uno Studio professionale affermava che: “le eventuali somme liquidate all'associato nei cui confronti si scioglie il rapporto associativo, a titolo di indennità di recesso, costituiscono, invece, un componente negativo deducibile ai fini della determinazione del reddito prodotto dall'associazione e, per il percipiente, indennità da assoggettare a tassazione separata a norma dell'articolo 16, comma 1, lettera l), del TUIR se tra la data di costituzione dell'associazione e quella di comunicazione del recesso e' trascorso un periodo di tempo superiore ai cinque anni. Le somme vanno indicate nel quadro RM del modello Unico persone fisiche. Qualora tra la costituzione dell'associazione e la comunicazione del recesso dell'associato intervenga un periodo di tempo inferiore, le somme percepite devono essere assoggettate a tassazione ordinaria e vanno indicate nel quadro RE del modello Unico persone fisiche”. Sul tema si veda, inoltre, la RM 24 maggio 1995 n. 127. 123 L’unico caso di differenziazione prima della riforma era l’ipotesi di partecipazione non qualificata che, come oggi, prevedono una tassazione sostitutiva a titolo d’imposta con aliquota del 12,5%. 124 Il testo del nuovo articolo è il seguente: “Dopo l’articolo 20 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, di seguito denominato “testo unico”, è inserito il seguente: “Art. 20-bis (Redditi dei soci delle società personali in caso di recesso, esclusione, riduzione del capitale e liquidazione) 1. Ai fini della determinazione dei redditi di partecipazione compresi nelle somme attribuite o nei beni assegnati ai soci o agli eredi, di cui all’articolo 17, comma 1, lettera l), si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dell’articolo 47, comma 7, indipendentemente dall’applicabilità della tassazione separata”. 125 Il comma citato, infatti, dispone che i “redditi compresi nelle somme attribuite o nel valore normale dei beni assegnati ai soci delle società indicate nell'art. 5 nei casi di recesso, esclusione e riduzione del capitale o agli eredi in caso di morte del socio, e redditi imputati ai soci in dipendenza di liquidazione, anche concorsuale, delle società stesse, se il periodo di tempo intercorso tra la costituzione della società e la comunicazione del recesso o dell'esclusione, la deliberazione di riduzione del capitale, la morte del socio o l'inizio della liquidazione e' superiore a cinque anni”. 101 3. La determinazione del reddito Come detto i redditi erogati da società di persone ai soci recedenti scontano una tassazione integrale. Ad essere sottoposta a tassazione è la differenza tra la somma liquidata in sede di recesso ed il costo fiscale della partecipazione. In particolare, per la determinazione del costo fiscale delle partecipazioni trasparenti ricordiamo che occorrerà considerare anche i redditi imputati ai soci (ad aumento del costo fiscale della partecipazione – segno quindi positivo ), gli utili distribuiti dalla società e le perdite imputate per trasparenza (che ridurranno entrambi il costo fiscale della partecipazione di pari importo – segno quindi negativo). A seguito del varo del Dlgs 344/2003, si rammenta che le regole suddette sono applicabili anche alle partecipazioni detenute in società immobiliari o finanziarie anche se ancora non è chiara con quale decorrenza. Rimane da osservare che qualora la procedura di recesso prescelta fosse quella “atipica”126, il recedente realizzerebbe, sulla plusvalenza da cessione. Il capital gain, sarebbe diversamente tassato a seconda del fatto che la quota detenuta fosse qualificata o meno. C’è da segnalare, inoltre, che sulla differenza da recesso non influisce sul piano fiscale l’eventuale rideterminazione del valore operata ai sensi dell’art. 5 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Legge Finanziaria 2002) e successive proroghe. 4. La questione della deducibilità del costo per società Resta invece irrisolta la questione del trattamento fiscale delle somme pagate a titolo di eccedenza da recesso da parte della società di persone. Al riguardo preliminarmente occorre distinguere tra: la somma erogata fino a concorrenza della quota di patrimonio netto della società (con riferimento l’ultimo esercizio chiuso prima della comunicazione di recesso); la somma eccedente il corrispondente importo di patrimonio netto. Il primo importo concretizza in una mera “restituzione” di quote di capitale o di distribuzione di utili già tassati (per trasparenza). Redditualmente, quindi, è posta neutrale. Il dubbio, invece, rimane per la somma eccedente che, idealmente, è costituita da elementi di natura diversa quali: la quota di utile di competenza del socio maturata dalla società nell’esercizio in corso al momento della comunicazione di recesso; le plusvalenze latenti riferibili ai beni dell’impresa (ivi compreso l’avviamento). Relativamente alla deducibilità in capo alla società della quota di utili in corso di formazione e riconosciuta al socio receduto, è opportuno rimandare alla Risoluzione ministeriale n. 9/318 del 12 giugno 1978 che, intervenuta a proposito della liquidazione della quota all’erede del socio deceduto chiariva che il “reddito sociale è imputabile ai soci che rivestivano tale qualità alla fine del periodo di imposta, in proporzione alle rispettive quote di partecipazione agli utili, alla cui determinazione concorre come costo fiscalmente deducibile l’importo degli utili inerenti alle operazioni in corso corrisposte all’erede del socio deceduto”. Resta quindi da esaminare il trattamento della residua differenza da recesso liquidata dalla società. La posizione più intransigente sposa la tesi della indeducibilità dal reddito d’impresa di tale entità, ancorandosi alla circostanza che il recesso del socio costituirebbe una mera operazione sul capitale che, in quanto tale, non potrebbe influenzare il conto economico della società interessata né avere effetti reddituali. Più in generale, si afferma che il recesso non rientra tra le operazioni di scambio con terze economie destinate a produrre l’ordinario profitto sociale; il recesso, quindi, darebbe luogo ad 126 Vale a dire che la quota erogata al recedente non è liquidata dalla società bensì dai soci superstiti. 102 Trattamento fiscale del recesso per i soci di società di persone alla luce delle novità introdotte dal correttivo Ires (D.Lgs 247/2005) un esborso di somme non inquadrabile nell’attività ordinaria dell’impresa. Questa tesi è stata espressa dalla Direzione regionale della Lombardia con due risposte ad altrettanti interpelli. La tesi opposta sostiene, invece, la conclusione più favorevole per l’impresa che è quella di considerare deducibile la citata differenza da recesso. Questa conclusione ha trovato, nel corso del tempo, diversi motivi a supporto. Al riguardo citiamo: un passaggio delle istruzioni alla dichiarazione dei redditi (Unico 2001 SC – quadro RK) ed alcuni precedenti di prassi delle Entrate (le risoluzioni n. 127/E/2005, 9/318/1978, la circolare 98/E/2000 e una risposta ad una domanda di interpello data dalla Direzione regionale della Campania nell’ottobre 2003). La tesi che inquadra la differenza da recesso tra i costi deducibili dal reddito della società si basa sul presupposto che questa è costituita da utili in corso di formazione e da plusvalenze latenti, tutti valori che risultano tassabili in capo al socio. Ne deriva che, sulla base del principio di simmetria, ciò che viene tassato in capo al socio uscente (utili in corso di formazione, avviamento e plusvalori latenti) deve essere dedotto dalla società che eroga la somma; in caso contrario, si configurerebbe una doppia imposizione economica che il sistema disapprova. Segnaliamo, peraltro, che in dottrina si sta profilando una terza possibile soluzione127 al problema de quo. In considerazione del fatto che, con il pagamento del maggior valore della quota al socio recedente, la società consolida nel proprio patrimonio la plusvalenza riconosciuta a favore dei soci superstiti, potrebbe essere logico consentire alla società l’iscrizione di tale eccedenza nell’attivo dello stato patrimoniale, alla stregua di ciò che avverrebbe per l’avviamento nell’ambito di un’operazione tra soggetti terzi. In pratica, quindi, le plusvalenze latenti andrebbero rappresentate nell’attivo patrimoniale, in modo non dissimile da ciò che accadrebbe ove la società acquisisse un bene da terzi. Specularmene le correlate plusvalenze, alla stregua dell’ipotesi di un realizzo, verrebbero tassate. Questo sistema, peraltro, evidenzia pro e contro: a) vi sarebbe in capo alla società il beneficio, negli anni successivi, di spesare i maggiori oneri correlati al processo di ammortamento dei cespiti plusvalenti o di realizzare minori plusvalenze o maggiori minusvalenze sulla cessione degli stessi; b) vi sarebbe comunque uno sfasamento nel “recupero” del costo in capo alla società che liquida il socio recedente, visto il tempo che intercorre tra il momento in cui la stessa società tassa le plusvalenze emerse all’atto del realizzo “interno” (salvo regolare eventuali ipotesi di rateazione di tali plusvalenze) e quello del recupero fiscale connesso ai maggiori costi recuperati nell’ambito del processo di ammortamento dei cespiti. La tesi in questione, invero, è stata prospetta per il recesso da società di capitali ed è noto che per il recesso da soggetti Ires vigono regole di carattere e civilistico e fiscale diverse rispetto a quelle proprie del recesso nelle società di persone. Ora, visto che, alla luce delle modifiche introdotte dal correttivo Ires con l’aggiunta dell’articolo 20-bis nel Tuir, si evidenzia in capo al socio, una “congrua” tassazione degli utili realizzati, ci sembrerebbe opportuno riconoscere un correlato e istantaneo effetto sui costi di impresa per la società. Ciò in virtù di un principio di simmetria che vuole, come regola generale, deducibili in capo all’impresa i fatti economici che la vedono come soggetto passivo e che generano reddito tassabile in capo al beneficiario. Forse, in proposito, l’ennesimo chiarimento dell’Agenzia non è sufficiente. Forse la “soluzione finale” è un intervento normativo ad hoc. 127 Assonime, circolare 32 del 14 luglio 2004, par. 5.4. 103 LA VALUTAZIONE DELLA PARTECIPAZIONE DEL SOCIO RECEDENTE NELLA SRL * a cura di Antonio Ruotolo 1. Premessa Il recesso nella nuova Srl Nel ridisegnare la facoltà di exit nelle società di capitali, il Legislatore della riforma si è trovato a mediare, come sempre avviene in questa materia, fra le contrapposte esigenze di tutela delle ragioni dell’organizzazione, comprensive della conservazione dell’integrità patrimoniale e della tutela dei creditori sociali, e quelle del singolo socio, o della minoranza, dissenziente128. La scelta, sotto tale profilo, è stata nel senso di un’accentuazione, più o meno marcata, della tutela di questi ultimi, e ciò tanto nelle Spa, quanto nelle Srl. Ne sono dimostrazione l’ampliamento delle cause inderogabili di recesso, nell’uno (art. 2437 c.c.), come nell’altro tipo (art. 2473 c.c.), nonché, più in generale, il più ampio spazio concesso all’autonomia privata nel prevedere statutariamente ulteriori ipotesi. Sennonché, mentre per le società azionarie la disciplina si presenta completa sotto vari aspetti (dalla previsione delle ipotesi di recesso inderogabile e derogabile, al riconoscimento della possibilità di contemplare ulteriori fattispecie per le società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, alla regolamentazione del recesso per le società costituite a tempo indeterminato – pur residuando qualche perplessità in ordine alla inderogabilità o meno dell’istituto e alla sua estensione alle ipotesi in cui la società sia contratta per un tempo eccedente quello della vita umana – alla previsione del recesso parziale, alla procedimentalizzazione dell’esercizio del diritto129 nonché ai criteri di determinazione del valore delle azioni – art. 2437 ter), nella disciplina delle Srl gli ampi margini riconosciuti all’autonomia statutaria, si riflettono anche su una minore puntualizzazione delle regole, fra le quali anche quella relativa alla valutazione della partecipazione del socio recedente, che si traducono anche in maggiori incertezze interpretative. In ordine a tali profili si terrà conto, in questa sede, delle questioni concernenti l’ammissibilità di un recesso parziale anche nelle Srl, i criteri legali per la determinazione del valore della partecipazione, quelli c.d. integrativi, nonché la possibilità di derogare statutariamente ai criteri legali di valutazione. 2. Le questioni interpretative Ammissibilità del recesso parziale anche nella nuova Srl A fronte di un’espressa previsione del recesso parziale nella disciplina delle Spa (art. 2437: “hanno diritto di recedere, per tutte o parte delle loro azioni …”), manca, nelle Srl, una disposizione analoga, il che fa sorgere un duplice ordine di interrogativi: se, cioè, la possibilità di un recesso parziale possa desumersi, anche nel silenzio dello statuto, dal sistema; e se, data una risposta negativa alla prima questione, rientri nell’autonomia statutaria la possibilità di stabilire la facoltà di recesso parziale. In ordine alla prima questione, la dottrina prevalente è orientata in senso negativo130, con varietà di * Pezzo aggiornato al 27/02/2012 (Sesta giornata del Master Breve 2011/2012 – Area approfondimento) ** Articolo tratto da “La Circolare Tributaria” Euroconference n.10/2011 128 Si veda Venturozzo, Recesso da società a responsabilità limitata e valutazione della partecipazione del socio recedente, in Nuova giur. civ comm., 2005, II, 440;. 129 Si vedano artt. 2437 bis e 2437 quater c.c.. 130 Si veda S.Richter, Diritto di recesso e autonomia statutaria, in Riv. Dir. comm., 2004, 410; Magliulo, Il recesso e l’esclusione, in Caccavale – Magliulo – Maltoni – Tassinari, La riforma della società a responsabilità limitata, Milano, 2004, 225; Maltoni, Il recesso e l’esclusione nella società a responsabilità limitata, in Notariato, 2003, 310; Zanarone, Introduzione alla nuova società a responsabilità limitata, in Riv. Soc., 2003, 79; Venturozzo, op. cit., 456. Contra, Rosapepe, Appunti su alcuni aspetti della nuova disciplina della partecipazione sociale nella Srl, in Giur. it., 2003, I, 499; Busani, Sul recesso procedure a misura di Spa, in Il Sole 24 Ore del 23.04.03, che ritiene possibile l'applicazione in via analogica del quadro procedurale che la riforma dedica alle norme sul recesso in tema di Spa, inclusa la possibilità per il socio di una Srl, mutatis mutandis, di esercitare il diritto di recesso non per l'intera sua posizione societaria, bensì con riguardo ad una parte delle partecipazioni possedute dal medesimo. 104 argomentazioni che vanno dal silenzio del Legislatore sul punto (in contrapposizione all’espressa previsione contenuta nella disciplina delle Spa), al carattere unitario che connota la partecipazione nella Srl e alla rilevanza della persona del socio, elementi, questi ultimi, che non consentirebbero una conservazione parziale del rapporto sociale; alla configurazione del recesso, in generale, come un’ipotesi di risoluzione del rapporto sociale e della posizione contrattuale del socio nella sua interezza. Tanto che la stessa disposizione dettata per le Spa costituirebbe una eccezione a tale configurazione, non estensibile ad altre ipotesi (citandosi a conferma, in proposito, il disposto dell’art. 2532 c.c. che, in tema di cooperative, esclude esplicitamente il recesso parziale con norma che trova applicazione anche per l’ipotesi in cui la società sia regolata dalle norme sulle società per azioni). Se, quindi, non sembra possibile desumersi dal sistema che, nel silenzio dell’atto costitutivo, il socio possa recedere anche solo parzialmente, resta da valutare invece se sia legittima la clausola statutaria che consenta al socio di esercitare il recesso solo per una porzione della propria partecipazione al capitale. Ed al riguardo l’opinione maggiormente convincente appare quella liberale131, la quale trae le proprie argomentazioni anzitutto dalla stessa formulazione dell’art. 2473 che rimette all’atto costitutivo, e quindi all’autonomia statutaria, non solo la determinazione delle ipotesi in cui il socio possa recedere (salve, ovviamente, le fattispecie di recesso inderogabile) ma anche la definizione delle relative modalità. Con il che sembra evidente lo spazio lasciato alla volontà contrattuale per la previsione di un recesso anche parziale. All’argomento testuale, desumibile dalla norma codicistica, se ne affiancano altri, che tendono a ridimensionare il principio della unitarietà della partecipazione alla Srl e la rilevanza della composizione degli assetti proprietari in tale tipo sociale, elementi entrambi considerati disponibili rispetto alla volontà dei soci di acconsentire al recesso parziale, il quale può invece rispondere all’interesse della compagine sociale di giungere ad assetti proprietari più rispondenti alle mutate esigenze dei soci132. A ciò aggiungasi che l’esercizio del diritto di recesso limitatamente ad una porzione della propria partecipazione, non contrasta neppure con esigenze inderogabili legate alla tutela dei creditori o alla conservazione della consistenza patrimoniale della società, che anzi potrebbe vedere in tale facoltà un antidoto verso il rischio di un suo scioglimento anticipato dovuto alla mancanza negli altri soci di risorse sufficienti per rilevare l’intera partecipazione del recedente, al disinteresse di eventuali terzi ad entrare a far parte della compagine e alla conseguente necessità di ridurre il capitale al di sotto del minimo legale. 3. Il criterio legale per la determinazione del valore della partecipazione Come si è in precedenza accennato, la disciplina del recesso nella Srl è molto meno minuziosa di quella contenuta negli artt. 2437 e ss. per la Spa. Tanto che, sul piano del procedimento, è discusso se la successione temporale delle varie fasi che costituiscono le modalità di liquidazione debbano esser strettamente osservate (come avviene nelle Spa ove è consentito il passaggio alla modalità successiva solo dopo aver esperito quella precedente: l’eventuale acquisto di azioni proprie deve seguire l’offerta a terzi che a sua volta deve seguire l’offerta in opzione e la prelazione dei soci restanti e via dicendo). 131 Sostenuta, fra gli altri, da S.Richter, op. cit., 410; Venturozzo, op. cit, 456 ss.; De Angelis, Dichiarazione di recesso e credito per la liquidazione della quota, in Società, 2004, 1368 ss.. 132 Venturozzo, op. cit, 457. 105 CONTRIBUTI DI APPROFONDIMENTO La valutazione della partecipazione del socio recedente nella Srl I margini di incertezza lasciati aperti dal Legislatore sono di tutta evidenza anche per ciò che concerne le modalità di determinazione del valore della partecipazione. Deve anzitutto rilevarsi come, nella società per azioni, l’art. 2437-ter preveda un vero e proprio diritto del socio a conoscere anticipatamente il valore di liquidazione delle azioni, determinato dagli amministratori, sentito il parere del Collegio sindacale e del soggetto incaricato della revisione contabile, valore che deve essere reso noto ai soci nei quindici giorni precedenti alla data fissata per l'assemblea. Analoga disposizione non si riscontra nella disciplina del recesso nelle Srl, sebbene parte della dottrina abbia sottolineato l’applicabilità in via analogica del disposto del co. 5 dell’art. 2437-ter, configurandosi anche per tale tipo sociale il diritto del socio a conoscere anticipatamente alla decisione che legittima il recesso il valore della propria partecipazione133. Si è peraltro suggerito che lo statuto possa comunque prevedere meccanismi simili a quelli contemplati nell’art. 2437-ter134. Quanto, invece, ai criteri per la determinazione del valore della partecipazione, l’art. 2473 c.c. si limita a stabilire che i soci che recedono dalla società hanno diritto di ottenere il rimborso della propria partecipazione in proporzione del patrimonio sociale che è a tal fine determinato tenendo conto del suo valore di mercato al momento della dichiarazione di recesso; in caso di disaccordo la determinazione è compiuta tramite relazione giurata di un esperto nominato dal tribunale, che provvede anche sulle spese, su istanza della parte più diligente, applicandosi l’art. 1349 c.c.. Di tutta evidenza la differenza rispetto ai criteri legali di valutazione nelle Spa, laddove per le società “chiuse” il valore di liquidazione delle azioni è determinato dagli amministratori, sentito il parere del Collegio sindacale e del soggetto incaricato della revisione contabile, tenuto conto della consistenza patrimoniale della società e delle sue prospettive reddituali, nonché dell'eventuale valore di mercato delle azioni; mentre nelle società per azioni quotate in mercati regolamentati, il valore di liquidazione delle azioni è determinato facendo esclusivo riferimento alla media aritmetica dei prezzi di chiusura nei sei mesi che precedono la pubblicazione ovvero ricezione dell'avviso di convocazione dell'assemblea le cui deliberazioni legittimano il recesso (art. 2437-ter, c.c.). Il c.d. criterio legale di valutazione della partecipazione del socio recedente nella Srl lascia peraltro aperti ampi spazi di discrezionalità agli amministratori135 – che potrebbero anche avvalersi dell’ausilio di terzi esperti - sui quali incombe il compito di effettuare tale valutazione, e soprattutto, anche qui, alcuni punti incerti136. Ci si chiede, anzitutto, se il “suo valore di mercato al momento della dichiarazione di recesso” vada riferito al patrimonio della società (cioè all’azienda sociale, formata da attività e passività) nel suo complesso, dal quale poi risalire al valore della singola partecipazione; ovvero se esso debba porsi in diretta relazione al rimborso della partecipazione (e quindi si debba intendere la norma come riferita direttamente al valore di mercato della partecipazione). L’alternativa, segnalata da molti autori in dottrina137, può portare a risultati diversi, tenuto conto del fatto che nel primo caso si dovrebbe procedere alla stima del valore di mercato del patrimonio per poi frazionarlo calcolando il valore della singola partecipazione; nel secondo caso, essendo il valore di 133 Si vedano S.Richter, op. cit., 412; Magliulo, op. cit., 226. Si veda Maltoni, op. cit, 311. 135 Si veda Venturozzo, op. cit, 457. 136 Sottolinea l’incongruità della norma De Angelis, op. cit., atteso, intanto, che è improprio parlare di un valore di mercato del patrimonio sociale in quanto tale, giacché questo valore può tutt'al più esistere per le partecipazioni, che ne costituiscono porzioni ideali; ed inoltre, in considerazione della circostanza che le quote di Srl possono non avere alcun mercato e - a differenza delle azioni, che possiedono il requisito della destinazione alla circolazione, per quanto questo possa essere soggetto ad eventuali limitazioni - possono addirittura essere non trasferibili per disposizione dell'atto costitutivo. 137 V.Venturozzo, op. cit, 465, specie nt. 103. Morano, Analisi della clausole statutarie in tema di recesso alla luce della riforma della disciplina delle società di capitali, in Riv. Not., 2003, 303 ss.. 134 106 La valutazione della partecipazione del socio recedente nella Srl mercato riferito direttamente alla partecipazione, si deve tener conto anche di eventuali compravendite che sono state poste in essere e dei relativi prezzi che hanno registrato. Fra le due possibili soluzioni sembra da preferirsi la prima, e non solo per la maggiore coerenza con il dato testuale, ma soprattutto considerando che non esiste un mercato regolamentato di partecipazioni in società a responsabilità limitata, e quindi è difficile conoscere a quale prezzo vengano scambiate partecipazioni similari; pertanto, il valore della partecipazione deve essere ottenuto valutando l'intero patrimonio sociale e dividendo tale importo per la percentuale di partecipazione spettante al socio recedente138. L’opzione per tale ultima soluzione è decisiva, come si vedrà, per la questione attinente alla possibilità di escludere l’avviamento per la determinazione del valore della partecipazione. 4. I criteri c.d. integrativi per la determinazione del valore del patrimonio ed il momento al quale riferire la valutazione Precisato, quindi, che la determinazione della quota da liquidare al socio recedente deve avvenire tenuto conto del valore di mercato del patrimonio della società, dal cui ammontare si ricava poi il valore della singola partecipazione mediante una mera operazione aritmetica, occorre ora stabilire se gli amministratori – cui, come detto, incombe tale compito - siano tenuti a ricorrere a particolari criteri di valutazione per determinare il valore base, quello del patrimonio sociale, dal quale partire, posto che raramente è possibile riscontrare un valore di mercato del patrimonio di tale tipo sociale. A differenza di ciò che avviene nelle Spa, per le quali il Legislatore si preoccupa di individuare vari criteri (la consistenza patrimoniale della società, le sue prospettive reddituali, nonché l'eventuale valore di mercato delle azioni) per le Srl si ritiene possibile percorrere diverse vie per giungere alla determinazione del valore di mercato del patrimonio sociale, corrispondenti ai vari criteri elaborati dalla scienza aziendalistica (finanziari, patrimoniali, reddituali, misti) che meglio esprimono il suo valore “effettivo”139. Sennonché, tale risultato, così come determinato dagli amministratori, proprio perché necessariamente collegato alla metodologia utilizzata, postula che sullo stesso si pervenga poi ad un accordo con il socio recedente. In tal senso deve intendersi il riferimento, contenuto nello stesso art. 2473 c.c., all’ipotesi di disaccordo, nella quale la determinazione è compiuta tramite relazione giurata di un esperto nominato dal tribunale, che provvede anche sulle spese, su istanza della parte più diligente con applicazione del co. 1 dell'art. 1349 c.c.. Deve peraltro ricordarsi come la norma imponga il riferimento del valore di mercato del patrimonio (e conseguentemente della partecipazione) al momento della dichiarazione di recesso (in cui la stessa perviene alla società, dato il suo carattere recettizio). Si pongono a tale riguardo diverse questioni, di cui si può dare solo sommariamente conto in questa sede. 138 In questo senso, recentemente, Salafia, Il recesso dei soci nelle società di capitali, in Società, 2006, 417 ss.; Agrusti – Marcello, Il recesso del socio nelle Srl: modalità, termini, efficacia e liquidazione della quota, ibidem, 569 ss.. 139 In questi termini Venturozzo, op. cit., 466. Sul punto anche Maltoni, op. cit., 311; S.Richter, op. cit., 411, Magliulo, op cit., 227. 107 Anzitutto vi può esser il caso del recesso ad efficacia differita (è l’ipotesi della società contratta a tempo indeterminato, in cui il socio può esercitare il recesso in ogni momento con un preavviso di almeno centottanta giorni, statutariamente prorogabile sino ad un anno) nella quale il recedente resta socio ed eventualmente anche amministratore della società: sicché si potrebbe ingenerare il timore di un comportamento del recedente amministratore non dettato dall’interesse sociale, posto che il valore della sua partecipazione è cristallizzato ad un momento anteriore. A fronte di questa eventualità si pongono due alternative: o riferire, in questi casi, il momento della valutazione non già alla dichiarazione di recesso ma alla sua efficacia; oppure riconoscere al termine di centottanta giorni il carattere della disponibilità140 da parte del soggetto nel cui interesse esso è posto (la società) che potrebbe rinunciarvi e liberare immediatamente il socio recedente dai suoi obblighi verso la società141. In secondo luogo, vi può essere l’ipotesi che più soci esercitino il recesso in dipendenza di una stessa decisione, ma in momenti diversi: sicché si pone il problema di una eventuale diversificazione delle valutazioni laddove, fra i vari momenti in cui pervengono le dichiarazioni di recesso, si verifichi un evento societario rilevante ai fini della consistenza patrimoniale della Srl Si è al riguardo suggerito l’adozione di una clausola statutaria che, chiarendo le modalità di liquidazione della quota, riferisca il procedimento di stima al momento nel quale s’è verificato l’evento legittimante il recesso142. E, soprattutto, si ritiene che un ruolo decisivo possa svolgere, in questo ambito, il ricorso a quei criteri integrativi di determinazione del valore del patrimonio che tengano conto delle prospettive reddituali e finanziarie della società, del valore della azienda sociale determinato con metodi patrimoniali, non limitandosi a calcolare il valore delle singole attività e passività che la compongono ma tenendo anche conto dell’avviamento, positivo o negativo, nonché delle aspettative di sua futura redditività143. 5. Derogabilità del criterio legale e sue limitazioni Si pone, infine, il problema della derogabilità del criterio legale di valutazione della partecipazione del socio recedente (desumibile dal valore di mercato del patrimonio della società, determinato però il più delle volte facendo ricorso ai criteri integrativi di cui si è sopra dato conto). La questione involge, più in generale, gli spazi concessi all’autonomia statutaria in questa materia. Deve, in primo luogo, rilevarsi come pare certamente consentito ai soci di limitare preventivamente, in sede statutaria, la discrezionalità degli amministratori in ordine alla scelta del criterio integrativo (finanziario, patrimoniale, reddituale, misto) da adottare per determinare il valore del patrimonio della società: purché ciò non implichi, di fatto, l’irrilevanza del valore di mercato della partecipazione sociale, si tratta semplicemente di una specificazione del criterio che dovrà essere seguito dagli amministratori144. 140 D’altra parte si tratta di termine che prevede una limitata possibilità di procrastinarlo, (sino ad un anno) ma non prevede limiti in ordine alla sua riduzione. 141 Così Maltoni, op. cit., 312. 142 Così Venturozzo, op. cit., 467; Galletti, sub art. 2473, in Maffei – Alberti, Il nuovo diritto delle società. Commentario, Padova, 2005, III, 1911. 143 Ancora Venturozzo, op. cit., 467; Ritengono necessario comprendere nella valutazione anche l’avviamento, Magliulo, op cit., 226, Maltoni, op. cit., 312; Fagarazzi, S.r.l.:il nuovo diritto di recesso del socio, in Pratica fiscale e professionale, 17/04, 38 ss.. 144 Si veda Venturozzo, op. cit., 470; Magliulo, op cit., 227. 108 La valutazione della partecipazione del socio recedente nella Srl Diversamente è a dirsi per quelle clausole che escludano del tutto il riferimento al valore di mercato del patrimonio della società, tenendo conto, ad esempio, esclusivamente dei valori contabili o del valore nominale. Si deve, infatti, operare al riguardo una distinzione. La legittimità di siffatta clausola è da escludere se riferita alle ipotesi di recesso inderogabile (cambiamento dell'oggetto o del tipo di società, fusione o scissione, revoca dello stato di liquidazione trasferimento della sede all'estero, eliminazione di una o più cause di recesso previste dall'atto costitutivo, compimento di operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell'oggetto della società determinato nell'atto costitutivo o una rilevante modificazione dei diritti attribuiti ai soci a norma dell'art. 2468, co. 4). Manca, infatti, una disposizione che consenta all’autonomia statutaria di stabilire criteri diversi di determinazione del valore di liquidazione (che nella Spa è, invece, rappresentata dal co. 4 dell’art. 2437-ter). Manca, inoltre, una norma che tuteli il socio a fronte della modifica dei criteri di determinazione del valore dell'azione in caso di recesso (che nella Spa è invece essa stessa causa di recesso ai sensi della lett. f) del co. 1 dell’art. 2437)145. Ciò, peraltro, potrebbe tradursi, da un lato, in un pregiudizio del socio, ove si adottasse un criterio di valutazione penalizzante, che di fatto darebbe luogo ad un vero e proprio impedimento all’esercizio del diritto di recesso146. E, dall’altro lato, ove invece si trattasse di un criterio più favorevole per il recedente, ciò implicherebbe un pregiudizio per il patrimonio della società e, in definitiva, per gli stessi creditori sociali, i cui interessi sono sempre tenuti presenti e tutelati dalla riforma anche in tema di recesso dalle società di capitali147. Di conseguenza, se nel criterio legale si ritiene rientri anche la considerazione del valore dell’avviamento148, non sembra consentito all’autonomia statutaria di inserire clausole che consentano agli amministratori di prescindervi. Queste considerazioni valgono, tuttavia, per le sole ipotesi di recesso inderogabile. Per le ipotesi di recesso statutariamente previste si ritiene infatti che l’autonomia statutaria possa far riferimento a criteri di valutazione che prescindano del tutto dal valore di mercato149. 145 Si veda Venturozzo, op. cit., 470. Si vedano Magliulo, op cit., 228; Galletti, op. cit., 1909; S.Richter, op. cit., 411. 147 Si veda Salafia, Statuti e riforma societaria, in Società, 2003, 414. 148 Sempre Magliulo, op cit., pag. 227 ss., considera implicito l’inserimento dell’avviamento nella determinazione del valore di mercato del patrimonio. 149 Si veda Venturozzo, op. cit., 472. 146 109 LA VALUTAZIONE DELLA QUOTA DEL SOCIO DI SOCIETÀ DI PERSONE IN CASO DI RECESSO a cura di Enrico Fossa* Si analizzano i criteri da adottare per la determinazione del valore da liquidare al socio per la sua partecipazione in una società di persone in ipotesi di recesso. L'art.2289 del Codice civile si occupa della liquidazione della quota, diritto che spetta al socio che decide di interrompere il rapporto sociale. In particolare al verificarsi di tale ipotesi il socio ha diritto di ricevere una somma di denaro che rappresenti il valore della quota. Viene determinato il valore della società attraverso una situazione patrimoniale redatta alla data in cui si verifica lo scioglimento, in modo tale che il socio partecipi agli utili e alle perdite relative alla frazione d'esercizio in corso alla data di scioglimento del rapporto. In merito alla valutazione della quota da liquidare al socio “uscente” è opportuno considerare che il valore deve essere determinato non solo con riferimento ai valori contabili della situazione patrimoniale redatta a tal scopo, ma deve tener conto anche dell'eventuale avviamento. Il comma 2 del medesimo art.2289 del Codice civile prevede anche che il pagamento della quota spettante al socio uscente deve avvenire entro sei mesi dal giorno in cui si verifica l'interruzione del rapporto sociale. 1. Il criterio legale di liquidazione della quota nelle società personali L'articolo 2289, co.2, c.c., prevede che il calcolo del valore della quota spettante al socio recedente da una società di persone debba essere determinato facendo riferimento alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo scioglimento del vincolo sociale. Tra gli elementi che concorrono alla determinazione della quota di liquidazione del socio uscente debbono essere considerati e calcolati gli utili e le perdite sulle operazioni in corso, come dispone il co.3 dell'art.2289, c.c., e, si ritiene, anche il valore dell'avviamento (positivo o negativo, come si illustra più sotto). Occorre tener conto anche di quest’ultimo valore in quanto, come noto, si concretizza nella “capacità” che determina i futuri rendimenti e maggiori profitti per i soci superstiti derivanti, fra gli altri, anche dall’apporto conferito dal socio recedente. Quanto ai criteri di valutazione dell’avviamento, essi sono individuati nella concreta attitudine produttiva dell'azienda e nella sua realtà dinamica esistente alla data dello scioglimento del rapporto sociale, senza necessariamente fare riferimento unicamente all’ultimo reddito societario, che pure potrà costituire elemento di valutazione presuntiva di tale avviamento. Anche nel caso di recesso del socio di società di persone, si ritiene ormai pacifico che per il calcolo della liquidazione della quota debba tenersi conto dell’effettiva consistenza economica dell’azienda sociale all’epoca dello scioglimento del rapporto, comprendendovi quindi anche il fattore di redditività prospettica dell’azienda stessa, che deve derivare da un complesso di elementi che, se pur cronologicamente attualizzati al momento dello scioglimento del rapporto, si fondano sui risultati economici delle passate gestioni e sulle (prudenti) previsioni dei futuri rendimenti. 2. L’avviamento L'avviamento, pertanto, come valore computabile nella liquidazione del socio uscente, si traduce nella probabilità, fondata su elementi presenti o passati ma proiettata eminentemente nel futuro, di maggiori profitti per i soci superstiti derivanti dall'apporto conferito dal socio recedente e consolidatosi come componente del patrimonio sociale150. Sembra invece doveroso escludere il valore di avviamento nel liquidare la quota al socio recedente quando, subito dopo il recesso la * Pezzo aggiornato al 27/02/2012 (Sesta giornata del Master Breve 2011/2012 – Area approfondimento) ** Articolo tratto da “Operazioni Straordinarie” Euroconference 150 Cfr. M. Monti, “Liquidazione della quota di recesso del socio: aspettative di valore e controversie”, in Le Società, n.11/2007, pag.1340. 110 società di persone, cessi in concreto l'attività e ciascuno dei due soci ne intraprenda singolarmente una analoga. Infine l’ammissibilità di deroghe convenzionali (statutarie) ai criteri di liquidazione fissati dalla legge pone ulteriori questioni rappresentate principalmente dallo stabilire se (ed eventualmente quali) limiti siano posti dal Legislatore all'autonomia contrattuale dei soci. Questione di natura strettamente giuridica che esula dalla presente trattazione151. A questo punto un esempio può chiarire meglio quanto sopra illustrato in termini teorici. Esempio Si supponga la società di persone “A”, costituita in data 1° febbraio 2003 con versamento in denaro dei soci per i seguenti importi: Socio Rossi Per € 5.000 pari al 50% Socio Verdi Per € 2.500 pari al 25% Socio Bianchi Per € 2.500 pari al 25% Il giorno 15 febbraio 2010 il Socio Bianchi decide di recedere dalla società, per effetto di un insanabile dissidio con gli altri soci, dando comunicazione ai soci e alla società per mezzo di lettera raccomandata. Gli amministratori provvedono a redigere una situazione patrimoniale alla data del 15 febbraio 2010, dalla quale risulta un valore della società pari a € 30.000 così suddiviso: Capitale Quota utili esercizi precedenti Quota utile dell’esercizio Avviamento Totale € 10.000 € 3.000 € 500 € 16.500 € 30.000 Il valore della quota liquidata al socio risulta così composto: Capitale Quota utili esercizi precedenti Quota utile dell’esercizio Avviamento Totale € 2.500 € 750 € 125 € 4.125 € 7.500 Pertanto, a fronte di una quota nominale del socio di € 2.500 si viene a determinare una quota liquidata al socio di € 7.500. 3. Cenni pratici sugli aspetti metodologici Sotto il profilo metodologico, l'adesione alla tesi maggioritaria per la quale la somma da liquidare al socio receduto deve essere determinata non in proporzione al patrimonio netto (d'ora in poi “PN”) ma al capitale economico (d'ora in poi “CE”) della società, impone di analizzare gli aspetti economicocontabili dell’operazione distinguendo fra le tre diverse situazioni che potrebbero manifestarsi: Patrimonio netto coincidente con il capitale economico Si tratta, senza dubbio, dell'ipotesi più semplice ma anche più difficilmente riscontrabile nella realtà. In tale circostanza la liquidazione della quota al socio receduto comporta esclusivamente una 151 Cfr. P. Molino, “Liquidazione della quota al socio receduto da Snc”, Ipsoa, luglio 2003. 111 CONTRIBUTI DI APPROFONDIMENTO La valutazione della quota del socio di società di persone in caso di recesso corrispondente riduzione del capitale netto. La riduzione del capitale netto deve essere effettuata mediante una riduzione proporzionale del capitale sociale e la distribuzione delle eventuali riserve (di capitale o di utili), senza quindi andare a incidere in alcuna misura sul Conto economico. Patrimonio netto inferiore al capitale economico Si tratta dell'ipotesi più frequente nella realtà, ed è quella che pone le questioni più rilevanti sia sotto il profilo economico-aziendale, contabile ed anche fiscale. Prima di analizzare in dettaglio gli aspetti più problematici connessi alla situazione qui esaminata, sembra opportuno procedere ad una breve individuazione delle principali cause della differenza positiva tra CE e PN. La differenza può, in primo luogo, derivare dall'esistenza di plusvalenze latenti sui beni dell'attivo dello Stato patrimoniale. I maggiori valori potrebbero essere meramente nominali, ossia derivanti esclusivamente dalla perdita di potere d’acquisto della moneta causata dal fenomeno dell'inflazione, ovvero reali nel caso in cui i beni abbiano effettivamente subito un incremento di valore per particolari situazioni di mercato. Ancora, il maggior valore del CE potrebbe derivare dal valore che, nel bilancio straordinario redatto ai fini della determinazione del valore della quota, è stato attribuito a beni e diritti che, pur non essendo iscritti nell'attivo dello Stato patrimoniale della società, hanno comunque un valore economico rilevante (ad es. i beni immateriali). Tuttavia, nella stragrande maggioranza delle ipotesi, comunque, il maggior valore del CE rispetto al PN è attribuibile all'esistenza di avviamento positivo (c.d. “goodwill”) connesso alla capacità della società di generare flussi di reddito positivi nei futuri esercizi. Fatte queste necessarie premesse, si può passare all'analisi degli aspetti economici e contabili della liquidazione nell’ipotesi qui considerata, caratterizzata da un maggior valore della quota da liquidare al socio receduto rispetto alla corrispondente frazione del PN della società. Fino a concorrenza del valore della corrispondente frazione del PN, la liquidazione non presenta particolari problemi atteso che risulta sufficiente ridurre il capitale sociale e distribuire una parte delle eventuali riserve. Le difficoltà più rilevanti insorgono per la differenza residua alla quale deve necessariamente attribuirsi un appropriato trattamento contabile, previa individuazione della sua natura economica. Le soluzioni proposte in merito sono molteplici e, talvolta, tra loro divergenti. Alla differenza tra il valore della quota liquidata al socio e la corrispondente frazione del PN è stata spesso attribuita la natura di costo da addebitare al Conto economico della società, o da iscrivere come “costo sospeso”, da ripartire in più esercizi, nell'attivo dello Stato patrimoniale152. Tuttavia, nelle società di persone occorre considerare la diversa natura del rapporto tra i soci e l’ente societario che può, in realtà, suggerire un’applicazione rigida del principio di irrilevanza dei componenti positivi, o negativi, di reddito derivanti dai rapporti sociali. Dal punto di vista strettamente economico, per i soci superstiti la liquidazione della quota al socio receduto è un’operazione sostanzialmente analoga all’acquisto delle quote dallo stesso possedute. In entrambe le ipotesi, i soci superstiti rimangono gli unici proprietari dell'intero patrimonio sociale, a fronte di un sacrificio economico che nel caso di acquisto è da loro, personalmente e direttamente, sostenuto mediante il pagamento del “prezzo”, mentre con il recesso il sacrificio è indiretto in quanto sopportato dalla società che, a causa della liquidazione, vede diminuire proporzionalmente il proprio valore. 152 Questo è quanto si è verificato per finalità pratiche derivanti anche da quanto chiarito in ambito fiscale dalle istruzioni Ministeriali (le Istruzioni al quadro RK del Mod. UNICO/2000 “Dichiarazione dei redditi delle società di persone” per l’anno 1999 affermano che: “Le eventuali somme liquidate al socio o associato nei cui confronti si scioglie il rapporto sociale o associativo costituiscono un componente negativo deducibile dal reddito della società o associazione”). 112 La valutazione della quota del socio di società di persone in caso di recesso In altri termini, sembrano più i soci superstiti, e non la società, chiamati ad “acquistare” dal socio uscente la quota di sua pertinenza del maggior valore del CE rispetto alla corrispondente frazione del PN. Esempio Un’esemplificazione numerica può chiarire meglio la questione: Attività Capitale sociale Riserve disponibili Debiti Valore “corrente” della società € 400.000 € 200.000 € 30.000 € 170.000 € 300.000 Il socio che recede ha una quota del 20% del capitale sociale e, pertanto, gli viene liquidato € 60.000 a fronte della sua quota. In base a quanto sopra illustrato, sul punto si possono sviluppare tre diversi approcci: 1. se ed in quanto esistenti le riserve di patrimonio netto, possono essere utilizzate con precedenza rispetto al capitale, procedendo alla riduzione di quest’ultimo solo ove si renda necessario (nell’esempio di cui sopra per € 30.000,00); 2. seguendo, invece, l’impostazione adottata dal Principio OIC 28 (30 maggio 2005) per le società di capitali153, occorre procedere comunque riducendo il capitale sociale per il valore nominale (€ 40.000) e per il valore residuo utilizzare le riserve (€ 20.000). Il principio 28 precisa altresì che: “Se le riserve sono insufficienti la differenza grava sul Conto economico. Nell'ipotesi in cui il corrispettivo del recesso sia inferiore al valore nominale la differenza verrà accreditata alle perdite a nuovo o a riserva”; 3. seguendo, infine, la sopra illustrata impostazione più aderente all’effettiva rappresentazione economica dell’operazione di recesso del socio di società di persone, ossia volendo dare prevalenza alla minore “alterità” del socio recedente rispetto alla sua posizione nelle società di capitali, nessun aggravamento del Conto economico può derivarne, allorquando le riserve risultino insufficienti. In base a tale ultima tesi la società di persone, diversamente dalla società di capitali, assumendo l'onere della liquidazione, svolge sostanzialmente il ruolo di mandataria dei soci superstiti per conto dei quali, in ultima analisi, l’operazione è effettuata e può, pertanto, legittimamente vantare nei loro confronti un diritto di credito per la parte della somma liquidata che eccede l'importo del capitale annullato e delle riserve distribuite154. Patrimonio netto superiore al capitale economico La differenza negativa tra il valore del CE e quello del PN della società può derivare da una pluralità di cause. In primo luogo, la stessa potrebbe essere causata da minusvalenze o perdite durevoli di valore su elementi dell'attivo patrimoniale che non sono mai state rilevate nei bilanci d'esercizio. In tali ipotesi, il valore di iscrizione in bilancio degli elementi dell’attivo patrimoniale è superiore a quello risultante dal bilancio straordinario redatto in occasione del recesso esclusivamente a 153 154 Principio n.28 del 30 maggio 2005 sul patrimonio netto precisa altresì che: “Se le riserve sono insufficienti la differenza grava sul Conto economico. Nell’ipotesi in cui il corrispettivo del recesso sia inferiore al valore nominale la differenza verrà accreditata alle perdite a nuovo o a riserva”. Cfr. A. Ricci, “Note controcorrente sugli aspetti contabili e fiscali del recesso del socio nelle società di persone”, in Il Fisco, n.18/2000, pag.6132. 113 causa di una mancata o non del tutto corretta applicazione dei criteri di valutazione fissati dall'art.2426 del Codice civile. Ben diversa da quella precedente è l’ipotesi in cui il minor valore degli elementi dell'attivo rispetto al loro valore di iscrizione in bilancio, determinato secondo corretti criteri di valutazione, sia attribuibile esclusivamente alla loro valutazione in base a prezzi correnti o di realizzo diretto. Tale tipo di differenza è sostanzialmente fisiologica atteso che il patrimonio netto risultante dal bilancio è capitale di funzionamento, e non un capitale di cessione, ed i criteri di valutazione adottati per la sua determinazione divergono sostanzialmente da quelli utilizzati per la determinazione del valore corrente degli elementi dell'attivo. Un’altra possibile causa della differenza negativa in argomento può essere individuata nell'esistenza di un avviamento negativo (c.d. “badwill”) dovuto alle prospettive di perdite future o, comunque, a prospettive di redditività futura inferiori al reddito medio atteso da investimenti alternativi del capitale. Delineate le possibili cause della differenza negativa tra CE e PN, è possibile procedere all'individuazione dei riflessi contabili della liquidazione della quota del socio receduto. Infine, qualche complicazione di ordine giuridico può, tuttavia, emergere nel caso, peraltro assai frequente, in cui il capitale netto sia superiore al capitale sociale a causa dell'esistenza di riserve. Le difficoltà sono riconducibili alla circostanza per cui il PN, se dal punto di vista economico-aziendale è un valore unitario ed inscindibile (pari alla differenza tra attività e passività), dal punto di vista giuridico l’articolazione del PN in capitale sociale e riserve (di utili o di capitale) assume un rilievo particolare attesa la specifica funzione svolta dal capitale sociale. Non sussistono particolari questioni, invece, se il valore attribuito alla quota da liquidare, pur se inferiore alla corrispondente frazione del PN, risulti superiore od uguale alla corrispondente frazione del capitale sociale. In tale ipotesi, infatti, il capitale sociale verrà ridotto per la quota di partecipazione del socio receduto e le riserve saranno distribuite fino a concorrenza dell'importo della somma liquidata (è ovvio che se il CE risulti uguale al solo capitale sociale, non vi sarà distribuzione di riserve ma solo riduzione del capitale sociale). 3. Considerazioni finali Le presenti note tentano di fornire un contributo operativo volto ad introdurre l’interprete sotto il profilo squisitamente pratico, esponendo possibili soluzioni alternative elaborate e generalmente utilizzate nella prassi. In assenza di riferimenti normativi sicuri ed univoci sulla questione, si viene chiamati a fornire una versione che risulti, di volta in volta, conforme ad un approccio metodologico coerente e ragionevole. 114 GESTIONE DEI RISCHI D’IMPRESA: INDICAZIONI OPERATIVE Rappresentazione schematica a cura di Claudio Ceradini* n. 1 Operazione normalità tensione finanziaria dissesto non programmata imminente selezione dei pagamenti sulla base della 1 relativa strategicità rispetto alla conduzione dell'impresa lecito ma inutile lecito prevale par condicio - rischio bancarotta preferenziale atti dispositivi sui beni aziendali (magazzino, 2 cespiti, etc.) anche a prezzi inferiri al mercato, funzionali a finalità di impresa lecito ma inutile lecito - pericolo revocatoria per terzi lecito - elevato rischio revocatoria per terzi atti dispositivi sui beni aziendali (magazzino, 3 cespiti, etc.) anche a prezzi inferiri al mercato, non funzionali a finalità di impresa contrario alle disposizioni C.C. -interesse sociale- 4 concessione garanzie a terzi possibile contrasto con C.C. -verifica interesse sociale- possibile bancarotta fraudolenta per distrazione possibile bancarotta fraudolenta per distrazione SUPPORTI OPERATIVI IN AULA 1 indicazione procedura concorsuale bancarotta fraudolenta per distrazione bancarotta fraudolenta per distrazione n. 2 2 indicazione Operazione 5 rimborso finanziamenti soci normalità 6 omissione versamento oneri contributivi 7 * omissione versamento ritenute previdenziali e assistenziali normalmente lecito, possibile contrasto con C.C. postergazioneinutile e costoso tensione finanziaria dissesto non programmata imminente possibile bancarotta fraudolenta per distrazione bancarotta fraudolenta per distrazione utile ma costoso inutile + rilievo rilievo penale DL penale DL 463/83 463/83 8 omissione versamento ritenute fiscali inutile + rilievo penale DLgs 74/2000 rilievo penale DLgs 74/2000 9 omissione versamento IVA inutile + rilievo penale DLgs 74/2000 rilievo penale DLgs 74/2000 procedura concorsuale utile ma costoso prevale par condicio - rischio bancarotta preferenziale prevale par condicio - rischio bancarotta preferenziale prevale par condicio - rischio bancarotta preferenziale Pezzo aggiornato al 27/02/2012 (Sesta giornata del Master Breve 2011/2012 – Area approfondimento) 115 n. 3 3 indicazione Operazione 10 tensione finanziaria dissesto non programmata imminente lecito lecito,con attenzione per possibile bancarotta semplice pericolo bancarotta semplice aggravamento del dissesto lecito, ma possibile contrasto con C.C. -verifica interesse sociale- possibile bancarotta fraudolenta per distrazione bancarotta fraudolenta per distrazione normalità esecuzione di finanziamenti da parte dei soci a favore della società esecuzione di finanziamenti a favore delle società 11 del gruppo 12 cessione di beni o servizi a prezzi inferiori al mercato a favore delle società del gruppo inclusione di costi estranei all'interesse sociale 13 (tipicamente quelli rientranti nell'alveo personale dell'imprenditore) 14 116 ricorso al credito finanziario per ottenimento nuova finanza possibile contrario alle bancarotta disposizioni C.C. fraudolenta per -interesse socialedistrazione possibile contrario alle bancarotta disposizioni C.C. fraudolenta per interesse socialedistrazione lecito, ma accompagnato da lecito strumenti idonei (artt. 67 - 182bis L.F.) bancarotta fraudolenta per distrazione bancarotta fraudolenta per distrazione pericoloso, possibile attivazione 218 L.F. o 641 c.p. procedura concorsuale GESTIONE DEI RISCHI D’IMPRESA: RESPONSABILITÀ DEGLI ORGANI SOCIETARI LA BANCAROTTA FRAUDOLENTA Rappresentazione schematica a cura di Claudio Ceradini* n. 1 • Imprenditore commerciale (216 L.F.) • Socio illimitatamente responsabile di Snc e Sas (221 L.F.) SUPPORTI OPERATIVI IN AULA IL SOGGETTO ATTIVO DEL REATO BANCAROTTA PROPRIA • Amministratore, Direttore Generale Sindaco e Liquidatore (223 L.F.) • Institore dell’imprenditore (227 L.F.) BANCAROTTA IMPROPRIA • Amministratore di fatto (Cass. Pen. sez. I, n. 18464/2006), (in concorso con l’amministratore di fatto risponde anche l’amministratore in carica per omesso controllo – responsabilità di tipo omissivo: art. 40 c. 2 c.p.) • Soggetti terzi (ai sensi dell’art. 110 c.p. - casistica valutata caso per caso) n. 2 LE SINGOLE FATTISPECIE (ART 216 L.F.) 1 distrazione, occultamento, dissimulazione, distruzione, dissipazione di beni; esposizione e riconoscimento di passività inesistenti 2 sottrazione, distruzione, falsificazione di libri o altre scritture contabili; tenuta degli stessi volta a rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari 3 esecuzione di pagamenti o simulazione di titoli di prelazione volte a favorire uno dei creditori alla distribuzione dell’attivo SENTENZA DICHIARATIVA DI FALLIMENTO: presupposto formale e condizione di esistenza DECRETO DI AMMISSIONE ALLA PROCEDURA DI AMMINISTRAZIONE CONTROLLATA 1. Bancarotta fraudolenta patrimoniale (c. 1, n. 1) 2. Bancarotta fraudolenta documentale (c. 1, n. 2) 3. Bancarotta preferenziale (c. 3) * Pezzo aggiornato al 27/02/2012 (Sesta giornata del Master Breve 2011/2012 – Area approfondimento) 117 n. 3 BANCAROTTA FRAUDOLENTA PATRIMONIALE PER DISTRAZIONE Si configura quando un bene è destinato ad uno scopo diverso rispetto all’interesse dell’impresa: reato “a condotta libera”. Alcuni esempi tratti dall’ampia casistica giurisprudenziale: • Appropriazione di beni della società da parte dell’amministratore; • Vendite sottocosto, se non rispondenti ad esigenze dell’impresa; • Spendita o sottrazione di denaro ottenuto con attività delittuose; • Fidejussione, quando utilizzata in modo anomalo (Cass. Pen. n. 6462/05); • Pagamento dei debiti di una società del gruppo senza compenso fattispecie residuale rispetto alle altre condotte tipizzate. n. 4 118 Momento in cui è posta in essere la figura criminosa: Momento consumativo: Prima della procedura concorsuale (bancarotta pre-fallimentare) Coincide temporalmente con la sentenza dichiarativa di fallimento Durante la procedura concorsuale (bancarotta post-fallimentare) Coincide temporalmente con le condotte vietate poste in essere Gestione dei rischi d’impresa: responsabilità degli organi societari la bancarotta fraudolenta n. 5 L’ELEMENTO SOGGETTIVO DEL REATO È necessario il dolo generico: consapevolezza e volontà di porre in essere la condotta; consapevolezza di poter ledere la garanzia dei creditori, dando al patrimonio sociale una destinazione diversa NON è invece necessario il dolo specifico (Cass. Pen. 11899/10): consapevolezza di portare al dissesto la società Corollario: NON rileva ai fini della sussistenza del reato contestato la mancanza del nesso causale con il pregiudizio ai creditori (salvo che nell’ipotesi di cui all’art. 233 c. 2 L.F.) n. 6 IL RICORSO ABUSIVO AL CREDITO Reato fallimentare previsto dall’art. 218 L.F.: Ricorrere o continuare a ricorrere al credito, dissimulando il dissesto o lo stato di insolvenza. reato a condotta libera: è necessaria solo la consapevolezza dello stato di dissesto, ma non la “volontà di non adempiere”. • Tutelare il patrimonio del creditore e l’interesse generale alla sicurezza del traffico giuridico • Impedire l’aggravamento del dissesto 119 GESTIONE DEI RISCHI D’IMPRESA: RESPONSABILITÀ DEGLI ORGANI SOCIETARI REATI SOCIETARI E OMISSIONE DI VERSAMENTI Rappresentazione Schematica a cura di Claudio Ceradini* n. 1 I REATI SOCIETARI COMMISSIVI • • • • reato di false comunicazioni sociali (2621 C.C.) reato di false comunicazioni sociali in danno (2622 C.C.) reato di impedito controllo (2625 C.C.) reati costituiti da manovre fraudolente sul patrimonio della società (26262629 C.C.) n. 2 I REATI SOCIETARI COMMISSIVI False comunicazioni sociali fatto dolo specifico fine fine esposizione di fatti materiali non rispondenti al vero al fine di ingannare i soci o il pubblico, inducendoli in errore e al fine di procurare alla società o a terzi un profitto ingiusto arresto fino a 2 anni (2621 C.C.) se tale comportamento arreca danno alla società * Reclusione da 6 mesi a 2 anni (2622 C.C.) Pezzo aggiornato al 27/02/2012 (Sesta giornata del Master Breve 2011/2012 – Area approfondimento) 120 Gestione dei rischi d’impresa: responsabilità degli organi societari reati societari e omissione di versamenti n. 3 SUPPORTI OPERATIVI IN AULA I REATI SOCIETARI COMMISSIVI Impedito Controllo occultamento documenti / altri artifici impediscono ostacolano attività di controllo dolo generale effetto fatto Collegio Sindacale Revisore legale Sanz. Amm. fino € 10.329 se tale comportamento arreca danno alla società Reclusione fino 1 anno, procedendosi a querela n. 4 I REATI SOCIETARI COMMISSIVI Manovre fraudolente sul patrimonio della società (2626-2629 C.C.) 1. indebita restituzione di conferimenti - 2626 2. illegale ripartizione degli utili - 2627 3. illecite operazioni sulle azioni - 2628 4. Operazioni in pregiudizio ai creditori - 2629 121 n. 5 I REATI SOCIETARI OMISSIVI • omessa comunicazione di conflitto di interessi (2629bis C.C.), • omessa esecuzione di denunce, comunicazioni o depositi (art. 2630 C.C.) • omessa convocazione dell’assemblea (art. 2631 C.C.). n. 6 OMISSIONE DI VERSAMENTI • Art. 1Obis D.Lgs 74/2000 – omessi versamenti • di ritenute fiscali certificate • entro il termine di presentazione della dichiarazione del sostituto di imposta • Per importi superiodi ad € 50.000 Arresto ………. Multa …… 122 Gestione dei rischi d’impresa: responsabilità degli organi societari reati societari e omissione di versamenti n. 7 OMISSIONE DI VERSAMENTI • Art. 1Oter D.Lgs. 74/2000 – omessi versamenti • di I.V.A. • entro il termine di versamento dell’acconto per il periodo di imposta successivo • Per importi superiodi ad € 50.000 Arresto ………. Multa …… n. 8 OMISSIONE DI VERSAMENTI • Art. 1Oquater D.Lgs 74/2000 – compensazione • di I.V.A. e/o ritenute • entro i termini di cui agli artt. 10bis e 10ter • per importi superiori ad € 50.000 (artt. 10bis e 10ter) • con crediti non spettanti Arresto ………. Multa …… 123 n. 9 OMISSIONE DI VERSAMENTI • Art. 2 D.Lgs. 463/1983 – omissione versamento • di ritenute previdenziali e assistenziali • non eseguito entro tre mesi dall’accertamento della violazione Reclusione fino a 3 anni e multa fino a € 1.033 n. 10 Cassazione 20845/2011 in caso sia ragionevolmente impossibile pagare integralmente i debiti RELAZIONE TRA NORME TRIBUTARIE E FALLIMENTARI 124 omissione versamenti (D.Lgs. 74/2000 e D.Lgs. 463/1983) Vs pagamento in violazione dell’ordine delle prelazioni – bancarotta preferenziale (art. 216 L.F.) periodo immediatamente antecedente la procedura: prevale par condicio mesi precedenti: prevale obbligo di versamento RUOLO E ATTIVITA’ DEL COLLEGIO SINDACALE NELLA CRISI D’IMPRESA ALLA LUCE DELLA NORMA n.11 Rappresentazione schematica a cura di Marcello Pollio e Pietro Paolo Papaleo* n. 1 1. Valutare permanenza going concern 2. Valutare – prevenire cause/rischi di crisi 3. Osservare la prassi professionale SUPPORTI OPERATIVI IN AULA A cosa serve il controllo del Collegio sindacale nella crisi? Principio di revisione n. 570 Attenzione e capacità Utilizzo idonei strumenti di analisi Norma di comportamento C.S. n. 11 e Linee guida al finanziamento imprese in crisi Evitare responsabilità in caso di crisi irreversibile n. 2 Quale ruolo degli organi di controllo nelle società in crisi? - Tenere sotto controllo la CONTINUITA’ AZIENDALE - Favorire l’emersione della CRISI - Suggerire l’utilizzo di idonei STRUMENTI PER IL SUPERAMENTO - monitorare il corretto UTILIZZO di tali strumenti … ma quali regole per tutelare l’organo di controllo ed evitare responsabilità in caso di crisi irreversibili e/o manifestazione d’insolvenza??? * Pezzo aggiornato al 27/02/2012 (Sesta giornata del Master Breve 2011/2012 – Area approfondimento) 125 n. 3 Quadro di riferimento Non esiste normativa specifica in tema di crisi d’impresa rivolta direttamente al COLLEGIO SINDACALE Il vuoto normativo è stato “coperto” dalla PRASSI emanata dal CNDCEC attraverso le nuove NORME DI COMPORTAMENTO DEL COLLEGIO SINDACALE Norma 11. Attività del collegio sindacale nella crisi d’impresa n. 4 La norma n. 11 - oggetto La norma di comportamento n. 11 si focalizza su 3 aspetti : 1) Vigilanza nella PREVENZIONE ed EMERSIONE DELLA CRISI: - monitorare going concern - sollecitare organo amministrativo utilizzo strumenti/provvedimenti anti crisi, ovvero emersione della crisi 2) Vigilanza durante la COMPOSIZIONE DELLA CRISI: - monitorare corretto utilizzo istituti per il superamento della crisi 3) Ruolo ed attività in caso di FALLIMENTO - “congelamento funzioni di vigilanza 126 Ruolo e attivita’ del collegio sindacale nella crisi d’impresa alla luce della norma n.11 n. 5 La norma n. 11 - il corretto utilizzo Necessaria la previa conoscenza da parte dell’organo di controllo di: A. Strumenti per VERIFICA e MONITORAGGIO della CONTINUITA’ AZIENDALE (going concern) B. Concetto di (stato di) CRISI C. Istituti per il superamento della crisi d’impresa ALTERNATIVI AL FALLIMENTO D. Linee Guida per il Finanziamento delle imprese in Crisi (www.cndec.it) n. 6 A. Monitoraggio del going concern (1) profitto insolvenza Il C.S. deve monitorare l’intero ciclo di vita dell’impresa 127 n. 7 A. Monitoraggio del going concern (2) Rilevanza normativa e principi di riferimento - Art. 2423 bis, c.c. - Principio contabile OIC n. 5 - Principio di Revisione n. 570 Il venir meno del going concern implica il cambio dei criteri di valutazione nella rappresentazione dei bilanci e l’utilizzo dei criteri di “liquidazione” La responsabilità investe organo amm.vo (in fase di redazione bilancio) ed organo di controllo (in fase di vigilanza su bilancio e operato amm.ri) n. 8 A. Monitoraggio del going concern (3) Principio di revisione 570 Individua gli indicatori “convenzionali” di DISCONTINUITA’, quali: - indicatori di TIPO FINANZIARIO - indicatori di TIPO GESTIONALE - indicatori di ALTRO GENERE Tali indicatori rappresentano la SINTESI delle principali cause di crisi e di dissesto delle imprese 128 Ruolo e attivita’ del collegio sindacale nella crisi d’impresa alla luce della norma n.11 n. 9 A. Monitoraggio del going concern (4) Principio di revisione 570 - indicatori di TIPO FINANZIARIO - deficit patrimoniale e capitale circolante netto negativo - prestiti a scadenza fissa o prossima a scadenza senza possibilità di rimborso o di rinnovo - cessazione di sostegno finanziario di terzi finanziatori - cash flow negativi - incapacità di saldare i debiti alla scadenza - incapacità di rispettare i covenants - incapacità di ottenere finanziamenti per lo sviluppo dei prodotti n. 10 A. Monitoraggio del going concern (5) Principio di revisione 570 - indicatori di TIPO GESTIONALE - perdita di amministratori o di dirigenti chiave - perdita di mercati fondamentali, di contratti di distribuzione, di licenze o di concessioni - difficoltà nel trattenere il proprio organico - difficoltà nel mantenere il normale flusso di approvvigionamento da fornitori importanti 129 n. 11 A. Monitoraggio del going concern (6) Principio di revisione 570 - ALTRI INDICATORI - C.C.N. sotto il limite legale - tutela ambientale non osservata con possibili sanzioni - contenziosi legali o fiscali che, in caso di soccombenza, l’impresa non potrebbe assolvere come impegni di spesa - modifiche legislative o fiscali con effetti sfavorevoli all’impresa n. 12 A. Monitoraggio del going concern (7) Ulteriori “indicatori” di perdita (o dubbi) di going concern: - perdita di importanti mercati, licenze o fornitori principali; - possibilità di revoca di fidi concessi o linee di credito; - l’intenzione degli istituti bancari di non rinnovare i fidi o di acconsentire ad una loro richiesta di ampliamento; - il maggior ricorso a garanzie, fideiussioni; - perdite su crediti e/o difficoltà nell’incasso dei crediti; - azioni esecutive e/o minacce dei creditori; - esistenza di atti impositivi e/o attività di riscossione di crediti erariali. 130 Ruolo e attivita’ del collegio sindacale nella crisi d’impresa alla luce della norma n.11 n. 13 B. Il concetto di STATO DI CRISI (1) - pdv aziendale Crisi finanziaria Crisi economica Crisi economicofinanziaria Impresa economicamente sana ma in squilibrio finanziario: difficoltà ad essere adempiente e rischio di deterioramento di tutti gli indici di bilancio e di crack finanziario Impresa in squilibrio economico (perdite operative): incapacità della gestione tipica a remunerare con i ricavi i fattori produttivi impiegati (compreso il capitale) Impresa in squilibrio economico per eccessivo indebitamento: il peso eccessivo degli oneri finanziari azzera le performance della gestione tipica (margini operativi) n. 14 B. Il concetto di STATO DI CRISI (2) - pdv aziendale CRISI DI BUSINESS CASH FLOW OPERATIVO Negativo CRISI FINANZIARIE CRISI AZIENDALI Positivo Negativo REDDITO OPERATIVO In diminuzione Negativo Negativo CAPITALE NETTO Ancora sufficiente In diminuzione Insufficiente 131 n. 15 B. Il concetto di STATO DI CRISI (1) - legge fall. STATO DI CRISI: comprensivo, ma diverso da insolvenza Situazione patologica anche meno grave dell’insolvenza. DIFFICOLTA’ E SQUILIBRIO FINANZIARIO E/O ECONOMICO Incapacità di far fronte alle obbligazioni, crisi finanziaria: stato di dissesto, crisi irreversibile n. 16 B. Il concetto di STATO DI CRISI (3) – i suoi stadi SQUILIBRI ED INEFFICIENZE DECLINO PERDITE ECONOMICHE INSOLVENZA CRISI DISSESTO 132 Ruolo e attivita’ del collegio sindacale nella crisi d’impresa alla luce della norma n.11 n. 17 GLI ELEMENTI COSTITUTIVI LO STATO DI CRISI (si veda anche definizione di crisi finanziaria dell’ 6 stato di illiquidità eccedenza contabile passivo su attivo perdite di commesse e/o mancate consegne dei fornitori squilibrio finanziario e/o cessazione sostegno bancario crisi sindacali e/o salariali paralisi operative di carattere societario impedimenti di carattere produttivo contenzioso giudiziario passivo n. 18 C. Istituti per il superamento della crisi (1) Nuovi strumenti di soluzione della crisi (ALTERNATIVI al fallimento): 1) piano attestato di risanamento (ex art. 67 l.f.) per fronteggiare crisi reversibile nella quale l’insolvenza non si è ancora manifestata ed esiste going concern 2) accordi di ristrutturazione dei debiti (ex art. 182 bis l.f.), adatti a fronteggiare crisi patrimoniali e finanziarie, con la semplice omologa dell’accordo da parte del tribunale 3) il (nuovo) concordato preventivo (ex art. 160 l.f.), più flessibile e adatto alla regolazione di crisi anche più gravi, con l’intervento più invasivo del tribunale fallimentare; 133 n. 19 C. Istituti per il superamento della crisi (2) declino 1 Piano attestato crisi Accordi Ristruttur. 2 3 Transazione fiscale Concordato Preventivo Fallimento + Conc. Fall. Insolvenza n. 20 C. Istituti per il superamento della crisi (3) TRATTI COMUNI AI NUOVI strumenti di soluzione della crisi redazione di un PIANO (anche essere liquidatorio nel caso degli accordi di ristrutturazione e del concordato preventivo) validazione del piano e dello strumento da parte di un esperto indipendente (professionista attestatore) con GIUDIZIO su FATTIBILITA’ PIANO e VERIDICITA’ dati aziendali su cui si fondano piano e strumento esonero da revocatoria (in caso di successivo fallimento del debitore) degli atti posti in essere in esecuzione di ciascuno strumento, sempre che i detti atti siano espressamente previsti nel piano sottostante copertura da taluni reati fallimentare, e segnatamente bancarotta preferenziale (art. 216, co. 3, l.f.) e bancarotta semplice (art. 217 l.f.) 134 Ruolo e attivita’ del collegio sindacale nella crisi d’impresa alla luce della norma n.11 n. 21 C. Istituti per il superamento della crisi (4) TRATTI COMUNI AD ACCORDI 182 BIS E CONCORDATO PREVENTIVO STAND STILL, negli accordi (con possibilità di ottenerlo anche nella fase di trattative coi creditori) e dalla data di presentazione sino all’omologa nel caso di concordato preventivo; possibilità TRANSAZIONE FISCALE ex art. 182 ter, l.f.) PREDECIBILITA’ (in caso di successivo fallimento) FINANZA PONTE e NUOVA FINANZA PREDUCIBILITA’ (in caso di successivo fallimento) compensi del professionista attestatore n. 22 C. Istituti per il superamento della crisi (5) QUALI DIFFERENZE NORMATIVE Piano attestato Accordi Ristruttur. Concordato Preventivo (art. 67) … in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria … e ad assicurare il riequilibrio dell’esposizione finanziaria la cui ragionevolezza sia attestata … (art. 182 bis) … una relazione … sull’attuabilità dell’accordo stesso, con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori … (art. 161) … il piano e la documentazione … devono essere accompagnati dalla relazione di un professionista … che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano medesimo . 135 n. 23 D. Linee guida per il finanz. imprese in crisi (1) Istruzioni operative e prassi virtuosa per l’assistenza alle imprese nei processi di ristrutturazione e risanamento La versione vigente (2010) contiene in particolare n. 15 Raccomandazioni relative al FINANZIAMENTO DELLE IMPRESE IN CRISI che utilizzano i nuovi strumenti anti crisi previsti dalla legge fallimentare (vd infra) Sono espressamente richiamate nella NORMA DI COMPORTAMENTO N. 11 n. 24 D. Linee guida per il finanz. imprese in crisi (2) 136 In presenza di un’impresa a rischio di insolvenza, l’erogazione di nuovi finanziamenti, la concessione di garanzie e il compimento di atti potenzialmente revocabili è opportuno che siano effettuati nell’ambito di un piano attestato o di un accordo di ristrutturazione n. 1 Contesto del risanamento e percorsi protetti n. 2 Indipendenza del Il professionista non deve trovarsi in una delle situazioni di attestatore nel piano ex incompatibilità previste per le società di revisione . E’ art. 67, co. 3, lett. d), l. fall. opportuno che l’attestatore non sia il consulente della società. n. 3 Attendibilità dati aziendali Il professionista, tanto nel piano attestato quanto nei accordi di partenza nel giudizio di di ristrutturazione, deve verificare l’attendibilità dei i dati di attestazione/fattibilità del partenza su cui si basa il piano piano Ruolo e attivita’ del collegio sindacale nella crisi d’impresa alla luce della norma n.11 n. 25 D. Linee guida per il finanz. imprese in crisi (3) Esplicitazione delle n. 4 ipotesi e delle metodologie Il piano deve contenere l’esplicitazione delle ipotesi poste a base dell’analisi, delle fonti informative utilizzate nonché i riferimenti metodologici che consentono di verificare la correttezza e la congruità dei calcoli posti in essere per l’elaborazione quantitativa del piano n. 5 Arco temporale del piano n. 6 Risanamento aziendale In presenza di causa di scioglimento per perdita del capitale, il e corretta gestione piano può essere messo in esecuzione solo se il capitale sociale è societaria stato riportato al minimo legale Non deve estendersi oltre i 3/5 anni n. 26 D. Linee guida per il finanz. imprese in crisi (4) n. 7 Esplicitazione del grado di solidità dei risultati Il piano deve contenere l’analisi di sensitività per valutare la solidità dei risultati indicati n. 8 Esplicitazione degli obiettivi intermedi Il piano deve contenere un dettagliato diagramma di flusso indicante “milestones” qualitative e quantitative n. 9 Indicazione degli atti da compiere in esecuzione del piano Il piano deve indicare espressamente gli atti, i pagamenti e le garanzie che verranno posti in essere in esecuzione dello stesso. 137 n. 27 D. Linee guida per il finanz. imprese in crisi (5) n. 10 Struttura dell’attestazione Deve avere la struttura di una relazione di verifica effettuata su un piano già fatto, e non ripetere il contenuto del piano n. 11 Motivazione dell’attestazione La dichiarazione di attestazione deve indicare metodologie utilizzate e attività svolte dal professionista per giudicare idoneità e ragionevolezza del piano n. 12 Indicazioni cautelative, oggetto dell’attestazione e condizioni sospensive dell’attestazione L’attestazione non può essere sottoposta a riserve o indicazioni cautelative che ne limitino la portata, ma può essere condizionata ad un evento iniziale che deve verificarsi in tempi prossimi e che renda il piano ragionevole n. 28 D. Linee guida per il finanz. imprese in crisi (6) 138 n. 13 Monitoraggio dell’esecuzione del piano L’andamento del piano deve essere costantemente monitorato dall’imprenditore n. 14 Effetti degli scostamenti e meccanismi di aggiustamento Significativi scostamenti comportano la non eseguibilità del piano e il venir meno degli effetti protettivi n. 15 Riattestazione del piano divenuto ineseguibile In caso di modifica del piano è necessario procedere alla redazione di un nuovo piano Ruolo e attivita’ del collegio sindacale nella crisi d’impresa alla luce della norma n.11 n. 29 La norma di comportamento n. 11 - struttura Norma 11.1 Prevenzione ed emersione della crisi Norma 11.2 Segnalazione all’assemblea e denunzia al tribunale Norma 11.3 Vigilanza del collegio sindacale in caso di adozione di piano attestato di risanamento ex art. 67, co. 3, lett. d), l.f. Norma 11.4 Vigilanza del collegio sindacale in caso di accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis, l.f. Norma 11.5 Vigilanza del collegio sindacale in caso concordato preventivo ex art. 160, l.f. Norma 11.6 Ruolo del collegio sindacale durante il fallimento n. 30 La norma di comportamento n. 11 – rif. di legge Codice civile Legge fallimentare Art. 2381 – Presidente, comitato esecutivo e amministratori delegati Art. 28, comma 1, lett. a) e lett. b) – Requisiti nomina professionista attestatore Art. 2403 - Doveri del collegio sindacale Art. 67 – Atti a titolo oneroso, pagamenti, garanzie Art. 2403 bis, comma 2 – Poteri del collegio sindacale Art. 67, comma 3, lett. d) – Piani di risanamento attestati Art. 2406 – Omissione degli amministratori Art. 118 – Casi di chiusura (del fallimento) Art. 2409 – Denunzia al tribunale Art. 124 – Proposta di concordato (fallimentare) Art. 2409 septies – Scambio di informazioni Art. 152 – (sottoscrizione) Proposta di concordato (fallimentare e preventivo) Art. 160 ss – Concordato preventivo Art. 161 – Domanda di concordato preventivo Art. 167 – Amministrazione dei beni durante la procedura (di concordato preventivo) Art. 182 bis – Accordi di ristrutturazione dei debiti Art. 185 – Esecuzione del concordato (preventivo) 139 n. 31 La norma 11.1 – prevenzione ed emersione crisi (1) Il collegio sindacale, se nello svolgimento della funzione di vigilanza rilevi la sussistenza di fatti idonei a pregiudicare la continuità dell’impresa, sollecita gli amministratori a porvi rimedio”. Finalità di prevenire e/o far emergere la crisi attraverso: 1) Monitoraggio (permanenza) going concern 2) Monitoraggio attività amm.ri per garantire going concern n. 32 La norma 11.1 – prevenzione ed emersione crisi (2) Quali strumenti/poteri: 1) controlli ed ispezioni periodiche e tanto più “mirate” quanto “maggiori” sono i segnali di crisi 2) vigilanza ex art. 2403 c.c.: osservanza leggi, statuto, rispetto principi corretta amm.ne, adeguatezza assetto organizzativo, amm.vo e contabile 3) utilizzo poteri informativi ex art. 2403 bis c.c.: richiesta notizie andamento sociale/specifiche operazioni 4) Scambio informazioni con revisore legale ex art. 2409 septies c.c. 140 Ruolo e attivita’ del collegio sindacale nella crisi d’impresa alla luce della norma n.11 n. 33 La norma 11.2 – segnalazione all’assemblea e denuncia al tribunale (1) Nel caso in cui gli amministratori omettano l’adozione di opportuni provvedimenti, il Collegio sindacale può convocare l’assemblea ai sensi dell’art. 2406 c.c.”, e “Nei casi in cui l’assemblea non abbia avuto luogo o i suoi esiti non siano ritenuti adeguati il collegio sindacale, qualora la condotta degli amministratori integri anche i presupposti di gravi irregolarità, ove consentito dalla legge, può proporre la denunzia al tribunale ex art. 2409 c.c.”. Finalità di utilizzo poteri “reattivi/sostitutivi” davanti inerzia e/o non correttezza operato amministratori n. 34 La norma 11.2 – segnalazione all’assemblea e denuncia al tribunale (2) Quali strumenti/poteri: 1) convocare assemblea ex art. 2406 c.c.* : informare su inerzia amm.ri e stato di crisi 2) Proporre denunzia al tribunale ex art. 2409 c.c.: in caso di inerzia assemblea all’uopo convocata ed esistenza GRAVI IRREGOLARITA’ di gestione in capo agli amministratori 3) Intervenire in caso di cause di scioglimento non tempestivamente accertate: istanza al tribunale * circoscrivere o.d.g. alla situazione di crisi predisporre relazione su fatti censurabili ed informazioni acquisite allegare documentazione di supporto 141 n. 35 La norma 11.3 – vigilanza in caso di utilizzo di un PIANO ATTESTATO DI RISANAMENTO (1) Il collegio sindacale: - “vigila che il professionista incaricato di attestarne la ragionevolezza sia in possesso dei requisiti di professionalità previsti dall’art. 28, lett. a) e lett. b), l.f. e sia iscritto nel registro dei revisori legali”; - “vigila sulla corretta esecuzione del piano da parte degli amministratori”. Finalità vigilare su fase prodromica ed esecutiva del Piano, senza entrare nel merito n. 36 La norma 11.3 – vigilanza in caso di utilizzo di un PIANO ATTESTATO DI RISANAMENTO (2) Quali strumenti/poteri: 1) fase prodromica : accertare requisiti di professionalità dell’attestatore (nonché adeguatezza competenze tecniche e struttura 2) fase esecutiva: vigilare sulla corretta esecuzione del piano, richiedere informazioni agli amm.ri, nonché (in caso di scostamento) richiedere di predisporre nuovo piano da sottoporre a nuova attestazione Il collegio sindacale, ancorché non previsto, dovrebbe estendere il proprio controllo anche all’attività dell’advisor (soggetto che assiste l’organo amministrativo nella redazione del piano) 142 Ruolo e attivita’ del collegio sindacale nella crisi d’impresa alla luce della norma n.11 n. 37 La norma 11.4 – vigilanza in caso di adozione di un ACCORDO DI RISTRUTTURAZIONE DI DEBITI (1) Il Collegio sindacale: - “vigila che il professionista incaricato di attestarne l’attuabilità sia in possesso dei requisiti di professionalità previsti dall’art. 28, lett. a) e lett. b), l.f. e sia iscritto nel registro dei revisori legali”; - “dopo l’omologazione da parte del tribunale (…) vigila sulla corretta esecuzione dell’accordo da parte degli amministratori”. Finalità vigilare su fase prodromica ed esecutiva dell’accordo, senza entrare nel merito n. 38 La norma 11.4 – vigilanza in caso di adozione di un ACCORDO DI RISTRUTTURAZIONE DI DEBITI (2) Quali strumenti/poteri: 1) nelle trattative con i creditori : ricevere informativa su (intenzione di deposito del) ricorso per lo stand still ed accertare possesso requisiti di legge in capo al soggetto che fornisce la pre opinion 2) fase prodromica: accertare possesso requisiti di legge in capo al professionista attestatore 3) fase esecutiva: dopo l’omologazione vigilare su puntuale esecuzione dell’accordo, estende vigilanza su intero periodo di ristrutturazione e focalizzare controllo su regolare pagamento creditori estranei Se rilevati significativi scostamenti rispetto alle previsioni, può chiedere chiarimenti agli amm.ri e (se omessi o insufficienti) convocare l’assemblea (ricorrendone i presupposti) per la debita informativa 143 n. 39 La norma 11.5 - vigilanza in caso di adozione di un CONCORDATO PREVENTIVO (1) Il collegio sindacale: - “vigila che il professionista incaricato di attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano sia in possesso dei requisiti di professionalità previsti dall’art. 28, lett. a) e lett. b), l.f. e sia iscritto nel registro dei revisori legali”; - “In caso di ammissione alla procedura (…) e anche successivamente alla omologazione (…) continua a svolgere le funzioni ad esso attribuite dalla legge” Prendere conoscenza della procedura, vigilare sulla sua esecuzione, senza entrare nel merito n. 40 La norma 11.5 - vigilanza in caso di adozione di un CONCORDATO PREVENTIVO (2) Quali strumenti/poteri: 1) fase prodromica: accertare possesso requisiti di legge in capo al professionista attestatore 2) fase esecutiva: permanenza nelle proprie funzioni e prosecuzione attività di vigilanza sulla società La vigilanza sulla corretta esecuzione del concordato è svolta dal commissario giudiziale e dal liquidatore professionale (in caso di concordato con cessioni di beni ai creditori) Il collegio sindacale, inoltre, non è neppure tenuto a controllare l’operato del liquidatore giudiziale, spettando tale funzione al tribunale e al commissario giudiziale 144 Ruolo e attivita’ del collegio sindacale nella crisi d’impresa alla luce della norma n.11 n. 41 La norma 11.6 – ruolo in caso di FALLIMENTO La norma di comportamento in oggetto conferma che “Durante la procedura di fallimento le funzioni del collegio sindacale sono sospese” L’apertura del fallimento determina la “sospensione” delle funzioni del collegio sindacale sino al chiusura della procedura Potrebbe “riattivarsi” solo nel caso (infrequente) di chiusura del fallimento con ritorno in bonis della società 145 CONTINUITÀ AZIENDALE E AZIONI DEL COLLEGIO SINDACALE Rappresentazione schematica a cura di Alessandro Corsini e Andrea Soprani* n. 1 CONTINUITÀ AZIENDALE Definisce la capacità dell’impresa di operare come una entità in funzionamento, facendo fronte normalmente alle proprie obbligazioni, in un arco temporale di almeno 12 mesi a partire dalla data di chiusura del bilancio È il presupposto civilistico per la predisposizione del bilancio di esercizio Amministratori Revisori Hanno la responsabilità di applicare o Devono verificare se la scelta è meno il principio appropriata n. 2 LA VERIFICA DELLA CONTINUITÀ AZIENDALE Art. 2423-bis, co. 1, n. 1), c.c.: “valutazione... secondo prudenza e nella “prospettiva della continuazione dell’attività” Punti di riferimento dell’analisi della continuità aziendale: 1. Requisito di permanenza futura dell’impresa come organismo attivo e funzionante 2. Continuazione della attività aziendale ordinaria escludendo eventi straordinari che ne modificano l’assetto esistente 3. Esame prospettico dei programmi dell’impresa circa l’attività principale ed ordinaria svolta L’importanza dell’informativa della Relazione sulla gestione * Pezzo aggiornato al 27/02/2012 (Sesta giornata del Master Breve 2011/2012 – Area approfondimento) 146 Continuità aziendale e azioni del collegio sindacale n. 3 SUPPORTI OPERATIVI IN AULA CONTINUITA’ AZIENDALE Responsabilità della direzione aziendale e del revisore ISA 570: ribadisce l’obbligo per la direzione aziendale, in sede di redazione del bilancio, di effettuare una valutazione della validità e della sussistenza del presupposto di continuità aziendale con riferimento ad un arco temporale non inferiore ai dodici mesi successivi alla data di riferimento del bilancio. Il revisore deve valutare l’adeguatezza dell’utilizzo del presupposto della continuità aziendale, inclusa la considerazione della valutazione effettuata dalla direzione della capacità dell’impresa di continuare ad operare come entità in funzionamento. Durante la pianificazione e lo svolgimento delle procedure di revisione, e nella valutazione dei relativi risultati, il revisore deve sempre tenere conto del presupposto della continuità che sottende alla preparazione del bilancio. n. 4 CONTINUITA’ AZIENDALE Responsabilità della direzione aziendale e del revisore Durante l’intero processo di revisione, il revisore deve: Prestare attenzione agli elementi probativi relativi a eventi o circostanze ed ai rischi ad essi connessi che possano far sorgere dei dubbi significativi sulla capacità dell’impresa di continuare ad operare come una entità in funzionamento. In altri termini procedere anche in via autonoma alla ricerca di indici che possano far emergere dubbi sulla sussistenza della continuità 147 n. 5 IL CONTROLLO SULLA GESTIONE Periodico e Finale 1. Esame dei dati contabili, confrontati con i valori alla stessa data del precedente esercizio (analisi comparativa); 2. Rielaborazione dei dati contabili per verificare variazioni percentuali da un anno all’altro; 3. Esame dei dati contabili nell’ottica di un’analisi comparata per margini, indici e flussi; 4. Confronto dei dati infrannuali effettivi con i dati del budget riferiti allo stesso periodo; 5. Altre analisi finanziarie, indagini e raccolta di informazioni. n. 6 IL CONTROLLO SULLA GESTIONE OBIETTIVI 1. Esame andamento della gestione 148 Innesco 2446 - 2447 2. Emersione perdite in corso di esercizio 3. Continuo monitoraggio dell’efficienza del sistema amministrativo contabile 4. Verifica sul rispetto dei principi di corretta amministrazione e valutazione delle eventuali reazioni che deve adottare il collegio sindacale Continuità aziendale e azioni del collegio sindacale n. 7 IL CONTROLLO SULLA GESTIONE 1. Questi controlli sono obbligatori? • Non sono previsti da alcuna specifica norma di legge, ma si deve valutare la situazione specifica 2. Esiste una periodicità minima? • Alcuni propongono 2 volte all’anno (30.6 – 31.12), ma si deve valutare la situazione specifica 3. La loro mancata esecuzione genera responsabilità? • La loro mancata esecuzione non genera di per sé responsabilità, ma si deve valutare la situazione specifica n. 8 Tribunale di Milano 11586 del 1.10.2011 Cosa deve fare il sindaco per non incorrere in responsabilità? “deve comportarsi come un avveduto controllore ed applicare, là dove manchino disposizioni di legge, le norme di comportamento proprie della professione svolta, in relazione alle funzioni concretamente esercitate, così come elaborate, ad esempio, dagli ordini professionali” 149 n. 9 Norme comportamento in vigore da 1.1.2012 Norma 11.1 Norma 11.2 Prevenzione ed emersione della crisi Segnalazione all’assemblea e denunzia al tribunale Riferimenti normativi • 2403: vigilanza generale • 2403 bis: assunzione informazioni • 2409 septies: scambio informazioni RL • 2406: omissioni amministratori • 2409: denunzia al tribunale n. 10 Norma 11.1 1. Azione continua di controllo sulla continuità aziendale in ottica sia di prevenzione che di pronta emersione 2. Richiesta all’organo amministrativo di adozione delle opportune misure per garantire la continuità 3. Monitoraggio sull’azione dell’organo amministrativo in ordine alla concreta applicazione delle misure di composizione della crisi Il collegio sindacale non è tuttavia tenuto a indicare termini ultimativi per l’adozione delle misure da parte dell’organo amministrativo 150 Continuità aziendale e azioni del collegio sindacale n. 11 Norma 11.2 In caso di inerzia dell’organo amministrativo: • Mancata adozione misure • Adozione misure ritenute non adeguate Il collegio sindacale può: 1. convocare l’assemblea – previa comunicazione all’organo amministrativo – per informarla sia dell’inerzia degli amministratori sia dello stato di crisi; 2. presentare, sussistendone i relativi presupposti, denunzia al tribunale ai sensi dell’art. 2409 c.c., 151 AZIONI E REAZIONI DEL COLLEGIO SINDACALE Rappresentazione schematica a cura di Alessandro Corsini* n. 1 CODICE CIVILE – ART. 2406 (Omissioni degli amministratori) Norma di comportamento 9 1. In caso di omissione o di ingiustificato ritardo da parte degli amministratori, il collegio sindacale deve convocare l’assemblea ed eseguire le pubblicazioni prescritte dalla legge. 2. Il collegio sindacale può altresì, previa comunicazione al presidente del consiglio di amministrazione, convocare l’assemblea qualora nell’espletamento del suo incarico ravvisi fatti censurabili di rilevante gravità e vi sia urgente necessità di provvedere. Leggasi: richiesta di convocazione - Inerzia provvede collegio sindacale n. 2 PROCEDURA DI CONVOCAZIONE DELL’ASSEMBLEA DA PARTE DEL COLLEGIO SINDACALE Delibera collegiale del Collegio Sindacale 1 2 Convocazione richiesta all’O. A. Convocazione diretta comunicata all’O. A. Il collegio sindacale presenta all’assemblea apposita relazione descrittiva dei fatti censurabili * Pezzo aggiornato al 27/02/2012 (Sesta giornata del Master Breve 2011/2012 – Area approfondimento) 152 Azioni e reazioni del collegio sindacale n. 3 SUPPORTI OPERATIVI IN AULA AZIONI DEL COLLEGIO SINDACALE DI FRONTE A IRREGOLARITÀ DEGLI AMMINISTRATORI INIZIATIVE e COMPORTAMENTI che il collegio sindacale PUÒ o, in taluni casi, DEVE adottare PER NON INCORRERE IN RESPONSABILITÀ allorché verifichi la sussistenza di irregolarità nella gestione Sono comportamenti di fatto tutti desumibili dalle norme di comportamento in vigore da 1.1.2012 n. 4 AZIONI DEL COLLEGIO SINDACALE DI FRONTE A IRREGOLARITÀ DEGLI AMMINISTRATORI Assunzione di informazioni Azione in proprio È una costante in giurisprudenza Richiesta convocazione C.d.A. con fissazione Odg 153 n. 5 1 Partecipazione alle riunioni degli organi sociali Collegio sindacale C.d.A. Assemblee 2 Precisa verbalizzazione nel libro dei verbali dei fatti ritenuti censurabili e conservazione della documentazione di supporto; in caso di richiesta di chiarimento all’O. A. appropriata verbalizzazione delle risposte ricevute La verbalizzazione dei c.d. fatti significativi (N.C. 2.3): il verbale va notificato 3 per estratto all’O. A. ed eventualmente fatto sottoscrivere per ricevuta n. 6 Il dissenso del C. S. nei confronti di delibere illegittime dell’O. A. 4 5 6 Far constare il dissenso nel verbale del C.d.A. che contiene la delibera ritenuta illegittima Omissioni degli amministratori – Richiesta all’O. A. di convocare l’assemblea – Provvedere in proprio in caso di inerzia Impugnazione delle delibere illegittime o viziate da interesse degli amministratori – delibere O. A. e assemblea 154 Azioni e reazioni del collegio sindacale n. 7 7 L’inerzia dell’assemblea di fronte a gravi irregolarità dell’O. A. (P.M.I.) Innescare il controllo giudiziario azionando l’art. 2409 c. c. Individuazione di elementi penalmente rilevanti 8 – Possibilità di fare esposto al P. M; non vi è tuttavia obbligo poiché il collegio sindacale non è pubblico ufficiale 9 Invitare l’assemblea a non approvare il bilancio in caso di rilevanti deviazioni dai principi contabili o carenza di informativa in relazione allo stato di crisi n. 8 Due casi di società fallita I sindaci hanno verbalizzato irregolarità, I sindaci hanno compiuto tutte le azioni hanno chiesto chiarimenti agli amministratori ma non hanno attuato previste dalla legge, anche se non sono riusciti a evitare il danno altre azioni incisive Sindaci responsabili risarcimento del danno e richiesta di Sindaci NON responsabili e NESSUNA richiesta di risarcimento del danno 155 CONTROLLO DEL SOCIO E DISCIPLINA DEL DIRITTO Rappresentazione schematica a cura di Alessandro Corsini e Fabio Landuzzi* n. 1 CONTROLLO Verifica sulla correttezza dell’amministrazione / gestione Controllo diretto e individuale del socio Controllo indiretto Autotutela 2408 - 2409 Uso distorto = abuso di minoranza (art. 2476) n. 2 S.p.a. Controllo diretto del socio Art. 2422 Diritto d’ispezione dei libri sociali [1] I soci hanno diritto di esaminare i libri indicati nel primo comma, numeri 1) e 3) dell’art. 2421 e di ottenerne estratti a proprie spese. 1) Libro soci 3) Libro assemblee * Quindi: vietato l’accesso ai documenti di amministrazione Pezzo aggiornato al 27/02/2012 (Sesta giornata del Master Breve 2011/2012 – Area approfondimento) 156 Controllo del socio e disciplina del diritto SUPPORTI OPERATIVI IN AULA n. 3 Struttura capitalistica Comprime controllo individuale Prevede controllo collettivo Controllo giudiziario Collegio sindacale n. 4 S.r.l. Controllo individuale del socio Vecchio 2489 [1] Nelle società in cui non esiste il collegio sindacale, ciascun socio ha diritto di avere dagli amministratori notizia dello svolgimento degli affari sociali e di consultare i libri sociali. I soci che rappresentano almeno un terzo del capitale hanno inoltre il diritto di far eseguire annualmente a proprie spese la revisione della gestione. [2] È nullo ogni patto contrario. 1. Diritto di informazione 2. Diritto di ispezione (accesso ai soli libri sociali) 3. No scritture contabili (Trib. Roma 7.12.2000) 4. Accesso scritture contabili solo con quorum elevato e una volta l’anno 5. Diritto inderogabile 157 n. 5 S.r.l. Controllo individuale del socio Nuovo 2476 [2] I soci che non partecipano 1. all'amministrazione hanno diritto di avere dagli amministratori notizie sullo 2. svolgimento degli affari sociali e di 3. consultare, anche tramite professionisti di loro fiducia, i libri sociali ed i documenti relativi all'amministrazione. Diritto di informazione Accesso ai libri sociali Accesso ai documenti contabili Indipendentemente da presenza collegio sindacale n. 6 Alcune questioni • Soci che non all’amministrazione • Notizie sugli affari sociali partecipano Non rileva l’attribuzione di particolari diritti di amministrazione Non notizie vaghe ma precise e puntuali • Opposizione in base a esigenze di Irrilevante: v. professionista di fiducia e riservatezza differenze art. 2261 158 • Professionista Da intendere in senso tecnico (segreto professionale) • Patti limitativi del diritto Compressione o soppressione ? V. oltre Controllo del socio e disciplina del diritto n. 7 LA LIMITAZIONE DEL DIRITTO DI CONTROLLO - LE DUE TESI 1. L’assenza della previsione di nullità di un patto contrario legittima l’introduzione di una disciplina del diritto 2. La mancata previsione di una formula “salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo” non legittima l’introduzione di una disciplina del diritto n. 8 DISCIPLINA DEL DIRITTO Non è possibile sopprimerlo È possibile regolamentarlo Trib. Bari (ord.), 10 maggio 2004, il diritto di controllo del socio … deve ritenersi inderogabile, se non mediante clausola che preveda un trattamento più favorevole per il socio • Non in ordine alla sua estensione (es.: non opponibile riservatezza) • Ma in ordine alle modalità di esercizio 159 n. 9 PERIMETRO DI APPLICAZIONE Tribunale Bari – 27 settembre 2004 … prevedendo che il socio, oltre ai libri sociali obbligatori previsti dall’art. 2421 c.c. (libro dei soci, libro verbale delle assemblee, libro verbali del consiglio e, ove esistente, libro verbali del comitato esecutivo e libro verbale del collegio sindacale), possa richiedere agli amministratori informazioni relative all’andamento della gestione sociale, possa consultare tutta la documentazione che contenga dati utili in ordine all’amministrazione sociale, ivi inclusi i contratti, la corrispondenza, gli atti giudiziari e amministrativi, i libri e le scritture contabili. n. 10 MODALITÀ DI ESERCIZIO Tribunale Milano – 23 settembre 2004 Ordina alla WWZZ s.r.l. in persona del legale rappresentante di consentire a XXYY, anche tramite il professionista di sua fiducia dott. AABB, di consultare i libri sociali ed i documenti relativi all’amministrazione, ivi compresi i documenti e le scritture contabili, i documenti fiscali e quelli riguardanti singoli affari, senza diritto di estrarre copia dei documenti o riprodurli con altri mezzi, con modalità di accesso concordate in giorni ed orari lavorativi e senza diritto di richiedere informazioni al personale. 160 Controllo del socio e disciplina del diritto n. 11 MODALITÀ DI ESERCIZIO Tribunale Biella – 18 maggio 2005 Ordina a GG, in qualità di amministratore unico della HH s.r.l.: 1) di consentire in qualsiasi momento durante i normali orari di lavoro ai ricorrenti o a soggetti dai medesimi incaricati la consultazione dei libri sociali nel luogo in cui essi sono custoditi, mettendo a loro disposizione tutta la documentazione contabile richiesta; 2) Di consentire altresì ai ricorrenti o ai soggetti dai medesimi incaricati nell’espletamento della citata consultazione di effettuare estratti a proprie spese; n. 12 RICONOSCIMENTO TUTELA DEL SOCIO Tribunale S. Maria Capua Vetere – 10 giugno 2011 Nel caso in cui l’esercizio di tale diritto da parte del socio, finalizzato alla tutela di una sua singola posizione soggettiva, venga impedito od ostacolato, il socio può fare ricorso alla tutela cautelare atipica di cui all’art. 700 c.p.c.. Il provvedimento d’urgenza di cui all’art. 700 c.p.c. è attivabile ricorrendo il periculum in mora nella lesione del diritto di controllo del socio, il cui mancato e tempestivo adempimento potrebbe precludere al medesimo l’esercizio dei poteri di reazione, sia all’interno della società che attraverso azioni giudiziarie (ad es.: azione di responsabilità contro gli amministratori) . 161 n. 13 LA CLAUSOLA STATUTARIA La consultazione dei libri sociali e dei documenti relativi all’amministrazione può avvenire nei giorni lavorativi, in orario di ufficio, mediante accesso di non più di due persone per volta e salvo preavviso scritto da comunicarsi alla società almeno 10 (dieci) giorni lavorativi antecedenti all’accesso con qualsiasi mezzo che garantisca prova dell’avvenuto ricevimento, contenente indicazione nominativa dei soggetti che procederanno alla consultazione. n. 14 LA CLAUSOLA STATUTARIA Gli amministratori della società hanno facoltà facoltà di domandare che la consultazione richiesta dal socio venga rinviata di un periodo massimo di un mese rispetto alla data indicata dal socio, qualora lo richiedano particolari esigenze della società o del proprio personale, in connessione alla attività ed agli impegni lavorativi. 162 Controllo del socio e disciplina del diritto n. 15 LA CLAUSOLA STATUTARIA Ciascun socio non potrà avanzare più di quattro richieste di accesso nel corso di ciascun esercizio sociale; ciascun accesso non potrà protrarsi per un periodo superiore a tre giornate lavorative. La consultazione dovrà svolgersi esclusivamente in un luogo all’uopo attrezzato dalla società ed è espressamente inibita qualsiasi forma di controllo di natura non documentale, quale, a titolo meramente esemplificativo, la richiesta di informazioni al personale dipendente della società. 163 RESPOSNSABILITÀ E FUNZIONI DEGLI ORGANI AMMINISTRATORI NELLE S.P.A. E NELLE S.R.L. – Rappresentazione schematica a cura di Andrea e Flavia Silla* n. 1 RESPONSABILITÀ E FUNZIONI RICOPERTE • In via generale, l’amministrazione può essere unipersonale (A.U.) o pluripersonale (CdA) • La scelta nell’uno o nell’altro senso dipende da una serie di fattori: - frammentazione del capitale sociale - entità delle risorse conferite in comune - minore o maggiore volume d’affari delle attività esercitate dall’impresa n. 2 RESPONSABILITÀ E FUNZIONI RICOPERTE • In via generale, il regime di responsabilità non può diversamente applicarsi a seconda che si tratti di A.U. o di C.d.A. • Tuttavia vi sono alcune peculiarità nel concreto atteggiarsi del regime di responsabilità che danno luogo ad una graduazione di intensità tra A.U. e C.d.A * Pezzo aggiornato al 27/02/2012 (Sesta giornata del Master Breve 2011/2012 – Area approfondimento) 164 Resposnsabilità e funzioni degli organi amministratori nelle S.P.A. e nelle S.R.L. n. 3 SUPPORTI OPERATIVI IN AULA GRADO DI RESPONSABILITÀ (IN ORDINE DECRESCENTE) AMMINISTRATORE UNICO AMMINISTRATORE DELEGATO COMITATO ESECUTIVO CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE n. 4 LA POSIZIONE DI AMMINISTRATORE UNICO In via generale • il grado di responsabilizzazione è il più elevato • la presenza di un A.U. esclude: - qualsiasi problema in tema di delega ad amministrare, - di collegialità della gestione, - di solidarietà tra gli amministratori 165 n. 5 LA POSIZIONE DI AMMINISTRATORE UNICO • l’A.U. è direttamente responsabile nei confronti: - della società; - dei creditori sociali; - dei singoli soci; - di altri terzi poiché a quest’ultimo spetta l’esclusiva gestione dell’impresa. n. 6 LA POSIZIONE DI AMMINISTRATORE UNICO • La responsabilità è di carattere esclusivo come previsto dall’art. 2364 c. 1, n. 5 che recita (Assemblea ordinaria nelle società prive di consiglio di sorveglianza) “Nelle società prive di consiglio di sorveglianza, l'assemblea ordinaria: (omissis) 5) delibera sugli altri oggetti attribuiti dalla legge alla competenza dell'assemblea, nonché sulle autorizzazioni eventualmente richieste dallo statuto per il compimento di atti degli amministratori, ferma in ogni caso la responsabilità di questi per gli atti compiuti”; 166 Resposnsabilità e funzioni degli organi amministratori nelle S.P.A. e nelle S.R.L. n. 7 LA POSIZIONE DI AMMINISTRATORE UNICO • In via generale l’assemblea ordinaria può liberare gli amministratori dalla responsabilità nei confronti della sola società deliberando: - il pagamento delle spese legali per procedimenti intentati contro gli amministratori per fatti inerenti all’esercizio delle loro funzioni; - la rinuncia la regresso nei confronti dell’amministratore anche se il fatto produttivo di danno sia dovuto a dolo o colpa grave dell’amministratore; - la stipulazione di una polizza assicurativa in favore dell’amministratore. n. 8 LA POSIZIONE DI AMMINISTRATORE UNICO • Non si applica l’esimente prevista dall’art. 2392 c.c. (annotazione per iscritto del dissenso e notizia al presidente del Collegio sindacale), non essendoci soggetti concorrenti nell’atto da cui dissentire • L’alto tasso di responsabilizzazione è in particolare evidente quando si tratta di adempiere ad obblighi specifici (ad esempio, approvazione tempestiva della bozza di bilancio; divieto di uso di informazioni riservate; conflitto di interessi con la società) • Tale situazione fa da contrappeso al più ampio potere gestionale conferito alla discrezione del singolo 167 n. 9 LA POSIZIONE DELL’AMMINISTRATORE DELEGATO In via generale • A differenza dell’A.U., i singoli consiglieri non si trovano mai “soli con le proprie responsabilità” se non (e con precisi limiti) in caso di amministrazione delegata. • L’amministrazione delegata, pur rimanendo in ambito pluripersonale, rappresenta la fattispecie di maggiore responsabilizzazione del consigliere di amministrazione. n. 10 LA POSIZIONE DELL’AMMINISTRATORE DELEGATO • La norma applicabile per la s.p.a. è l’art. 2381 c.c., comma 2, secondo cui “ se lo statuto o l’assemblea lo consentono, il Consiglio di amministrazione, può delegare le proprie attribuzioni ad un comitato esecutivo composto di alcuni suoi componenti o a uno o più dei suoi componenti.” • Le funzioni delegate (sia a soci che non soci, purché Consiglieri) possono essere le più varie. • Hanno il limite rappresentato dall’art. 2381 c.c.. • La delega può investire un solo amministratore o un numero più ampio, fino alla totalità meno uno dei Consiglieri di amministrazione. 168 Resposnsabilità e funzioni degli organi amministratori nelle S.P.A. e nelle S.R.L. n. 11 LA POSIZIONE DELL’AMMINISTRATORE DELEGATO • Il C.D.A. può sempre liberamente revocare la delega o restringerne o ampliarne l’ambito ovvero fornire direttive all’organo delegato o controllarne l’attività. • L’organo delegato, per escludere o attenuare la responsabilità, deve comunicare con regolare periodicità al consiglio delegante adeguate informazioni sull’attività svolta in adempimento della delega (v. art. 2381 comma 4, c.c.). n. 12 LA POSIZIONE DELL’AMMINISTRATORE DELEGATO • Per la s.p.a., l’art. 2381 c.c. ha espressamente regolato i rapporti tra C.d.A. e A.D.. • L’A.D. è componente del C.d.A. per le materie non delegate (con vincoli derivanti dal metodo collegiale) e contestualmente gode di un amplio potere di gestione nelle materie delegate (la cui fonte è nella delega del C.d.A.). • In tale ultimo caso, sotto il profilo pratico, è assimilato all’A.U.(è direttamente responsabile solo per le materie delegate). 169 n. 13 LA POSIZIONE DEL COMITATO ESECUTIVO In via generale • È collocato in posizione intermedia tra l’Amministratore delegato e il CdA. • Il consigliere che fa parte del comitato esecutivo occupa il gradino immediatamente inferiore rispetto al singolo amministratore delegato. • È diversa la situazione che si determina in presenza di un Comitato esecutivo rispetto a quella che vede la presenza di più amministratori delegati. Infatti: n. 14 LA POSIZIONE DEL COMITATO ESECUTIVO • la responsabilità di chi partecipa al Comitato esecutivo può interessare anche aree più estese di quelle previste in caso di A.D., ma è limitata dall’applicazione del metodo collegiale (quindi, scelta della maggioranza e responsabilità in concorso con gli amministratori). 170 Resposnsabilità e funzioni degli organi amministratori nelle S.P.A. e nelle S.R.L. n. 15 LA POSIZIONE DEL C.D.A. • • - In via generale Costituisce l’ultimo gradino della scala di responsabilizzazione. Il consigliere non operativo (o non esecutivo) a seguito di atti commissivi o omissivi dell’organo amministrativo risponde in solido con gli altri amministratori dei danni arrecati: alla società; ai creditori sociali; n. 16 LA POSIZIONE DEL C.D.A. - ai singoli soci; - o ai terzi. • Le responsabilità degli amministratori non operativi saranno minori per gli atti di esecuzione ma in tutto simili a quelle dei consiglieri delegati per l’ineludibile onere del dovere di agire in modo informato (art. 2381 u.c., c.c.). Tale comma specifica, infatti, “Gli amministratori sono tenuti ad agire in modo informato; ciascun amministratore può chiedere agli organi delegati che in consiglio siano fornite informazioni relative alla gestione della società”. 171 n. 17 LA POSIZIONE DEL PRESIDENTE E DEL VICE PRESIDENTE DEL CDA In via generale • I compiti e i poteri del Presidente del C.d.A. sono di tipo ordinatorio. • L’art. 2381 c. 1 specifica che “Salvo diversa previsione dello statuto, il presidente convoca il consiglio di amministrazione, ne fissa l'ordine del giorno, ne coordina i lavori e provvede affinché adeguate informazioni sulle materie iscritte all'ordine del giorno vengano fornite a tutti i consiglieri”. n. 18 LA POSIZIONE DEL PRESIDENTE E DEL VICE PRESIDENTE DEL CDA • La responsabilità potrà emergere solo in dipendenza del verificarsi dei danni causati da negligente o scorretto esercizio di tali poteri • Il compito che dà luogo alla maggiore responsabilizzazione riguarda l’obbligo previsto dall’art. 2381 comma 1, c.c. ( dovere di fornire ai consiglieri adeguate informazioni sulle materie all’o.d.g.) 172 Resposnsabilità e funzioni degli organi amministratori nelle S.P.A. e nelle S.R.L. n. 19 LA POSIZIONE DEL PRESIDENTE E DEL VICE PRESIDENTE DEL CDA • Possono essere delegati al Presidente anche incombenti di tipo gestionale: in tal caso la sua responsabilità ha la medesima ampiezza ed estensione di un A.D.. • Analoghe considerazioni valgono per il Vice Presidente (ha gli stessi compiti del Presidente, ma li può esercitare in caso di assenza o di impedimento di questi). n. 20 LA POSIZIONE DEL CONSIGLIO DI GESTIONE • Sostanziale assimilazione della funzione di componente del consiglio di gestione a quella di consigliere di amministrazione • In tal senso l’art. 2380, ultimo comma, c.c. specifica che “Il consiglio di amministrazione sceglie tra i suoi componenti il presidente, se questi non è nominato dall'assemblea”. 173 n. 21 LA RESPONSABILITÀ SOLIDALE • • a) b) L’art. 2392 c.c. dispone che gli amministratori “sono solidalmente responsabili” La solidarietà va vista secondo due modalità: compimento degli atti in base a specifiche delibere adottate dall’organo collegiale; omissione di attività correlate all’inadempimento degli obblighi informativi circa l’esercizio di attribuzioni delegate; n. 22 LA RESPONSABILITÀ SOLIDALE • In tema di solidarietà si deve ricordare il possibile concorso di altre categorie: - Collegio sindacale (art. 2407c.c.) - Direttori generali della società (art. 2396 c.c.) 174 Resposnsabilità e funzioni degli organi amministratori nelle S.P.A. e nelle S.R.L. n. 23 LA RESPONSABILITÀ SOLIDALE • Accertata la responsabilità civile degli amministratori, chi agisce per i danni può rivolgersi per l’intero nei confronti anche di uno dei consiglieri • Nel rapporto interno tra i singoli responsabili può essere esercitata l’azione di regresso, sia per il riconoscimento della gradazione dei rispettivi profili di colpa, che per ottenere la restituzione di quanto pagato in esubero rispetto alla propria quota di responsabilità • Qualora non sia possibile accertare un diverso grado di responsabilità, tutti i consiglieri devono ritenersi solidalmente responsabili per l’intero e tra di essi per uguale frazione non essendo rilevanti eventuali deleghe atipiche o di fatto. • L’attribuzione di poteri delegati avviene infatti solo secondo le modalità tassative di legge. n. 24 LA RESPONSABILITÀ SOLIDALE RILASCIO DI DELEGA AL COMITATO ESECUTIVO O A UNO O PIÙ CONSIGLIERI • Se la violazione riguarda atti compiuti dall’organo delegato occorre distinguere se si tratta: - di materie delegate; - di materie non delegate; - di materie non delegabili. • Nel caso di materie delegate, salva l’ipotesi della colpevole ignoranza del delegante, tutte le responsabilità ricadono sul delegato. 175 n. 25 LA RESPONSABILITÀ SOLIDALE • Art. 2392, comma 3 - Esenzione da responsabilità dell’amministratore immune da colpa • “ La responsabilità per gli atti o le omissioni degli amministratori non si estende a quello tra essi che, essendo immune da colpa, abbia fatto annotare senza ritardo il suo dissenso nel libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio dandone immediata notizia per iscritto al presidente del collegio sindacale” n. 26 LA RESPONSABILITÀ SOLIDALE • Il consigliere non operativo deve esercitare i doveri di informazione e di controllo attivo. • Ad esempio, nel corretto adempimento della propria funzione non sarà tollerata la reticenza dell’A.D. a fornire chiarimenti sulle operazioni delegate; tanto meno potrà limitarsi ad un atteggiamento acquiescente o remissivo. • L’amministratore che voglia rimanere immune da colpa deve investire di ogni eventuale problematica l’organo collegiale (CdA o Comitato esecutivo) che, a propria volta, potrà assumere iniziative istruttorie o ispettive (ad esempio nominando una commissione interna di verifica). 176 Resposnsabilità e funzioni degli organi amministratori nelle S.P.A. e nelle S.R.L. n. 27 LA RESPONSABILITÀ SOLIDALE • Se vi è il rifiuto dell’organo collegiale ad attivarsi (mediante ratifica o tacito avallo dell’operazione dell’organo delegato) ovvero, nonostante l’accertamento della violazione, il Consiglio o il Comitato perseveri nell’irregolarità, il consigliere può esonerarsi da responsabilità con l’osservanza della procedura ex art. 2392, comma 3, che servirà a precostituire la prova documentale della propria dissociazione. n. 28 LA RESPONSABILITÀ SOLIDALE • a) b) Due sono gli elementi che devono concorrere affinché il Consigliere di amministrazione possa ritenersi esentato da responsabilità: annotazione senza ritardo del suo dissenso nel libro delle adunanze e delle delibere del Consiglio; immediata notizia per iscritto al presidente del Collegio sindacale. 177 n. 29 LA RESPONSABILITÀ SOLIDALE • Con riferimento alla lettera a) (annotazione senza ritardo del suo dissenso) si deve escludere la necessaria presenza di una delibera dell’organo collegiale rispetto alla quale far constare a verbale il proprio dissenso • L’annotazione potrà farsi a seguito della richiesta in apertura o in chiusura della seduta, in sede di trattazione dei punti all’o.d.g. nelle “comunicazioni” o nelle “varie ed eventuali” n. 30 LA RESPONSABILITÀ SOLIDALE • Il dissenso deve essere motivato; la motivazione dovrà peraltro evidenziare la circostanza dell’incolpevolezza, sufficiente a distinguere la posizione dell’amministratore dissenziente rispetto agli altri consiglieri. • L’annotazione va effettuata “senza ritardo”, in modo da consentire in tempi ridotti anche il controllo istituzionale del collegio sindacale. 178 Resposnsabilità e funzioni degli organi amministratori nelle S.P.A. e nelle S.R.L. n. 31 LA RESPONSABILITÀ SOLIDALE • Con riferimento alla lettera b) (notizia per iscritto al presidente del Collegio sindacale), la notizia della manifestazione del dissenso al presidente del collegio sindacale deve essere immediata e comunicata per iscritto. • La comunicazione per iscritto deve essere effettuata anche quando alla seduta consiliare partecipa il presidente del collegio sindacale? La risposta è SI, stante l’espresso dettato della norma n. 32 LA RESPONSABILITÀ SOLIDALE ASSENZA DELL’AMMINISTRATORE ALLA SEDUTA CONSILIARE • In via generale non c’è esenzione da responsabilità, poiché il consigliere assente è tenuto a prendere visione successivamente del verbale della riunione e ad assumere, se del caso, ulteriori informazioni e a valutare l’opportunità di chiedere l’annotazione e di compiere la comunicazione al presidente del Collegio sindacale. 179 n. 33 LA RESPONSABILITÀ SOLIDALE - SPA ASSENZA DELL’AMMINISTRATORE ALLA SEDUTA CONSILIARE • Nel caso concreto si deve distinguere tra due ipotesi: 1) consigliere assente per causa maggiore; 2) consigliere assente ma privo di giustificazione. n. 34 LA RESPONSABILITÀ SOLIDALE -SPA CASO 1 – Il consigliere è in via generale considerato immune da colpa. Per adempiere al dovere di agire informato deve peraltro prendere in esame il verbale della riunione cui fu assente e se possibile si deve attivare per impedire il compimento dell’atto o limitarne gli effetti dannosi. Non c’è bisogno dell’annotazione e della comunicazione scritta al presidente del Collegio sindacale, se egli è venuto a conoscenza della delibera censurabile quando è troppo tardi ovvero quando l’atto dannoso è stato già compiuto. 180 Resposnsabilità e funzioni degli organi amministratori nelle S.P.A. e nelle S.R.L. n. 35 LA RESPONSABILITÀ SOLIDALE - SPA CASO 2 - L’amministratore non è immune da colpa e la possibilità di essere esonerato è strettamente subordinata alla residua possibilità di intervento operoso, in modo da impedire il compimento dell’atto pregiudizievole o da limitarne gli effetti dannosi. n. 36 LA RESPONSABILITÀ SOLIDALE - SPA • In ogni caso, secondo alcuni autori l’adempimento delle formalità indicate all’art. 2392, comma 3, non può mai esonerare dalla responsabilità solidale l’amministratore quando l’atto deliberativo pregiudizievole si sia già compiuto e tuttavia l’impugnazione dell’amministratore assente o dissenziente sia idonea ad eliminare o attenuare le conseguenze dannose. 181 n. 37 LA RESPONSABILITÀ SOLIDALE - SPA In tal caso, per liberarsi da responsabilità solidale l’amministratore assente o dissenziente ( o che si è dissociato al momento della votazione su una delibera che ha determinato o concorso a determinare o successivamente) deve impugnare la delibera consiliare n. 38 AMMINISTRATORE CESSATO DALLA CARICA • In via generale, la cessazione dalla carica comporta per l’amministratore che: - non è più legittimato a compiere alcun atto che vincoli la società; - non è più responsabile per gli ulteriori atti pregiudizievoli di gestione (anche se posti in essere da nuovi amministratori la cui nomina non è ancora stata iscritta; l’iscrizione ha infatti natura dichiarativa e non costitutiva). 182 Resposnsabilità e funzioni degli organi amministratori nelle S.P.A. e nelle S.R.L. n. 39 AMMINISTRATORE CESSATO DALLA CARICA • Permane la responsabilità dell’amministratore cessato per i fatti riconducibili al periodo in cui ha esercitato le funzioni amministrative fino ad avvenuto decorso dei termini prescrizionali. • Se l’amministratore cessato dall’incarico continua a ingerirsi nell’attività amministrativa della società risponde per gli eventuali danni quale amministratore di fatto, in concorso con l’amministratore subentrante. n. 40 AMMINISTRATORE DIMISSIONARIO • Qualsiasi sia la motivazione delle dimissioni, l’amministratore non è esente da responsabilità. • Secondo alcuni giudici di merito prima di abbandonare la carica, l’amministratore deve adoperarsi per il risanamento della situazione. 183 n. 41 AMMINISTRATORE DIMISSIONARIO • In via generale si ritiene che non sussista un tale obbligo; a carico dell’amministratore dimissionario resta infatti il dovere di porre in essere tutti i comportamenti indispensabili a garantire il normale proseguimento dell’attività sociale, per il periodo di tempo fisiologicamente necessario perché l’assemblea dei soci deliberi la sostituzione dell’amministratore dimissionario e i nuovi amministratori possano insediarsi. n. 42 AMMINISTRATORE SUBENTRANTE • a) b) 184 Non interviene in una situazione neutra: potrebbe subentrare in una situazione che gli amministratori uscenti abbiano gestito con estrema oculatezza; potrebbe subentrare in una situazione nella quale sia problematico assumere informazioni sulla gestione passata o comunque l’organizzazione societaria sia così poco strutturata da non disporre di personale idoneo ad assicurare una transizione indolore. Resposnsabilità e funzioni degli organi amministratori nelle S.P.A. e nelle S.R.L. n. 43 AMMINISTRATORE SUBENTRANTE • • a) b) In nessun caso l’amministratore subentrante potrà omettere l’adempimento dei propri obblighi di controllo. Quindi: l’amministratore cessato dalla carica, prima delle dimissioni dovrà assicurarsi di aver agito nella prospettiva di corretta continuazione dell’attività l’amministratore subentrante non potrà omettere il rilievo di eventuali responsabilità della gestione passata n. 44 AMMINISTRATORE SUBENTRANTE In caso di violazione, sussiste una responsabilità concorrente per i danni tra a) l’amministratore cessato, che risponde per le attività correlativamente compiute nel pregresso periodo di gestione; b) l’amministratore subentrante, che risponde per la violazione degli obblighi di controllo. 185 n. 45 AZIONI DI RESPONSABILITÀ – S.P.A. 1) Azione sociale di responsabilità in base a delibera dei soci (art. 2393 c.c.) 2) Azione di responsabilità promossa dai soci (art. 2393 bis c.c.) 3) Azione di responsabilità promossa dai creditori sociali (art. 2394 c.c.) 4) Azione di responsabilità del singolo socio o terzo (art. 2395 c.c.) • In caso di fallimento, liquidazione coatta amministrativa e amministrazione straordinaria le azioni ai nn. 1, 2 3 sono esercitate dal curatore, dal commissario liquidatore e dal commissario straordinario. n. 46 AZIONE SOCIALE DI RESPONSABILITÀ S.P.A • L’art. 2393 - Azione sociale di responsabilità – specifica: “1. L'azione di responsabilità contro gli amministratori è promossa in seguito a deliberazione dell'assemblea, anche se la società è in liquidazione. 2. La deliberazione concernente la responsabilità degli amministratori può essere presa in occasione della discussione del bilancio, anche se non è indicata nell'elenco delle materie da trattare, quando si tratta di fatti di competenza dell'esercizio cui si riferisce il bilancio. 3. L'azione di responsabilità può anche essere promossa a seguito di deliberazione del collegio sindacale, assunta con la maggioranza dei due terzi dei suoi componenti. 186 Resposnsabilità e funzioni degli organi amministratori nelle S.P.A. e nelle S.R.L. n. 47 AZIONE SOCIALE DI RESPONSABILITÀ S.P.A 4. L'azione può essere esercitata entro cinque anni dalla cessazione dell'amministratore dalla carica. 5. La deliberazione dell'azione di responsabilità importa la revoca dall'ufficio degli amministratori contro cui è proposta, purché sia presa con il voto favorevole di almeno un quinto del capitale sociale. In questo caso, l'assemblea provvede alla sostituzione degli amministratori. n. 48 AZIONE SOCIALE DI RESPONSABILITÀ S.P.A 5 La società può rinunziare all'esercizio dell'azione di responsabilità e può transigere, purché la rinunzia e la transazione siano approvate con espressa deliberazione dell'assemblea, e purché non vi sia il voto contrario di una minoranza di soci che rappresenti almeno il quinto del capitale sociale o, nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, almeno un ventesimo del capitale sociale, ovvero la misura prevista nello statuto per l'esercizio dell'azione sociale di responsabilità ai sensi dei commi primo e secondo dell'articolo 2393-bis”. 187 n. 49 RESPONSABILITÀ CIVILE Azioni di responsabilità S.P.A 1. Azione sociale di responsabilità in base a delibera dei soci (art. 2393) - E’ deliberata dall’assemblea dei soci - E’ introdotta con atto di citazione - Può essere in qualsiasi momento interrotta per transazione tra le parti o per rinuncia da parte della società - Si prescrive in 5 anni dalla cessazione dalla carica n. 50 RESPONSABILITÀ CIVILE 1. Azione sociale di responsabilità S.P.A • La transazione può riguardare anche la posizione di un solo amministratore. • Si riferisce alla sua quota e non all’intero debito. Gli amministratori estranei alla transazione non possono dichiarare di volerne approfittare • La transazione o la rinuncia può essere bloccata nelle SPA (modello base) dal voto contrario di almeno 1/5 del capitale sociale o dalla diversa misura, comunque non superiore a 1/3, prevista dalla statuto per l’azione di responsabilità esercitata dai soci 188 Resposnsabilità e funzioni degli organi amministratori nelle S.P.A. e nelle S.R.L. n. 51 AZIONI DI RESPONSABILITÀ S.P.A. 1) AZIONE SOCIALE DI RESPONSABILITÀ • La delibera che decide per l’azione di responsabilità non deve essere iscritta al registro delle imprese • L’assemblea che delibera l’azione di responsabilità può essere la stessa che discute il bilancio di esercizio • L’azione può essere deliberata anche se non è stata inserita nell’avviso di convocazione purché riguardi fatti di competenza dell’esercizio stesso cui si riferisce il bilancio n. 52 AZIONI DI RESPONSABILITÀ S.P.A. • La prescrizione rimane sospesa - quando l’amministratore occulti dolosamente le consegunze del proprio inadempimento (art. 2941, n. 8, c.c.); - nei confronti dell’amministratore unico dimissionario fino a quando il nuovo amministratore non accetti la carica (art. 2941, n. 7, c.c.). • La rinuncia alla prescrizione dichiarata da un amministratore non produce effetti nei confronti degli altri amministratori. 189 n. 53 AZIONI DI RESPONSABILITÀ S.P.A. • La delibera assembleare viene considerata come una condizione dell’azione ma è sufficiente che esa sia assunta nel corso del giudizio ma prima della sentenza (Cass. 10.9.2007 n. 18939). • La delibera può essere assunta anche se l’assemblea abbia già espresso un giudizio positivo sul merito della gestione o abbia approvato il bilancio di esercizio. n. 54 AZIONI DI RESPONSABILITÀ S.P.A. • In sede di assemblea, nel caso di amministratore socio, la partecipazione viene computata ai fini della formazione del quorum costitutivo ma non viene considerata nel calcolo del quorum deliberativo. • L’amministratore socio non può votare nella delibera che riguarda la sua responsabilità (art. 2373, c. 2, c.c.). 190 Resposnsabilità e funzioni degli organi amministratori nelle S.P.A. e nelle S.R.L. n. 55 AZIONI DI RESPONSABILITÀ S.P.A. • L’art. 2393 bis - Azione sociale di responsabilità esercitata dai soci specifica che: “1. L'azione sociale di responsabilità può essere esercitata anche dai soci che rappresentino almeno un quinto del capitale sociale o la diversa misura prevista nello statuto, comunque non superiore al terzo. 2. Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, l'azione di cui al comma precedente può essere esercitata dai soci che rappresentino un quarantesimo del capitale sociale o la minore misura prevista nello statuto. n. 56 AZIONI DI RESPONSABILITÀ S.P.A. 3. La società deve essere chiamata in giudizio e l'atto di citazione è ad essa notificato anche in persona del presidente del collegio sindacale. 4. I soci che intendono promuovere l'azione nominano, a maggioranza del capitale posseduto, uno o più rappresentanti comuni per l'esercizio dell'azione e per il compimento degli atti conseguenti. 5. In caso di accoglimento della domanda, la società rimborsa agli attori le spese del giudizio e quelle sopportate nell'accertamento dei fatti 191 n. 57 AZIONI DI RESPONSABILITÀ S.P.A. che il giudice non abbia posto a carico dei soccombenti o che non sia possibile recuperare a seguito della loro escussione. 6. I soci che hanno agito possono rinunciare all'azione o transigerla; ogni corrispettivo per la rinuncia o transazione deve andare a vantaggio della società. 7. Si applica all'azione prevista dal presente articolo l'ultimo comma dell'articolo precedente”. n. 58 AZIONI DI RESPONSABILITÀ S.P.A. 2. Azione sociale di responsabilità esercitata dai soci (art. 2393 bis) - Richiesta da parte dei soci che rappresentano nel modello SPA base almeno 1/5 del capitale sociale ovvero la diversa misura prevista dallo statuto, purché mai superiore a 1/3 del capitale sociale - Nomina di un rappresentante comune - Rimborso delle spese di giudizio ai soci in caso di accoglimento - Rinuncia o transazione (necessita la delibera assembleare) 192 Resposnsabilità e funzioni degli organi amministratori nelle S.P.A. e nelle S.R.L. n. 59 AZIONI DI RESPONSABILITÀ S.P.A. • L’art. 2394 - Responsabilità verso i creditori sociali recita: “1. Gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per l'inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell'integrità del patrimonio sociale. 2. L'azione può essere proposta dai creditori quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti. 3. La rinunzia all'azione da parte della società non impedisce l'esercizio dell'azione da parte dei creditori sociali. La transazione può essere impugnata dai creditori sociali soltanto con l'azione revocatoria quando ne ricorrono gli estremi”. n. 60 AZIONI DI RESPONSABILITÀ S.P.A. 3. Azione di responsabilità promossa dai creditori sociali (art. 2394) - E’ esperibile da ogni creditore o in caso di procedure concorsuali dall’organo della procedura - È azione autonoma da quella sociale e diretta nei confronti dei sindaci - Si prescrive in 5 anni decorrenti dal momento in cui risulta che il patrimonio sociale è insufficiente a soddisfare le ragioni dei creditori 193 n. 61 AZIONI DI RESPONSABILITÀ S.P.A. • I presupposti per l’azione in giudizio sono: • Violazione degli obblighi di conservazione del patrimonio sociale (art. 2394, c. 1); • Insufficienza patrimoniale (art. 2394, c. 2). n. 62 AZIONI DI RESPONSABILITÀ S.P.A. ONERE DELLA PROVA - A carico dei creditori che devono provare: - Credito vantato nei confronti della società - comportamento specifico dell’amministratore - nesso causale tra tale comportamento e l’insufficiente patrimonio sociale 194 Resposnsabilità e funzioni degli organi amministratori nelle S.P.A. e nelle S.R.L. n. 63 AZIONI DI RESPONSABILITÀ S.P.A. • L’art. 2395 - Azione individuale del socio e del terzo specifica che: “1. Le disposizioni dei precedenti articoli non pregiudicano il diritto al risarcimento del danno spettante al singolo socio o al terzo che sono stati direttamente danneggiati da atti colposi o dolosi degli amministratori. 2. L'azione può essere esercitata entro cinque anni dal compimento dell'atto che ha pregiudicato il socio o il terzo”. n. 64 AZIONI DI RESPONSABILITÀ S.P.A. 4. Azione di responsabilità promossa dal socio o dal terzo (art. 2395) - E’ proposta mediante atto di citazione in caso di danno direttamente patito dal socio o dal terzo - Si prescrive in 5 anni dal compimento dell’atto che ha pregiudicato il socio o il terzo - E’ esperibile in via autonoma dalle altre azioni anche in pendenza di procedure concorsuali 195 n. 65 AZIONI DI RESPONSABILITÀ S.P.A. • Il presupposto dell’azione si configura in un comportamento illecito degli amministratori sia di carattere doloso che colposo a seguito della violazione dei doveri specifici inerenti la carica ricoperta. n. 66 RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI – S.R.L. • E’ stata introdotta una nuova norma (art. 2476 c.c.) recante i seguenti principi: - solidarietà tra amministratori per i danni alla società derivanti dall’inosservanza dei doveri imposti da legge e atto costitutivo. - nessuna estensione di responsabilità a coloro che dimostrino di essere esenti da colpa e, essendo a cognizione che l’atto si stava per compiere, abbiano fatto constare il proprio dissenso. 196 Resposnsabilità e funzioni degli organi amministratori nelle S.P.A. e nelle S.R.L. n. 67 RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI – S.R.L. • A differenza della s.p.a. non sono previste soglie di diligenza minima ma si ritiene che essa rimanga il parametro generale di valutazione del corretto adempimento delle obbligazioni degli amministratori. n. 68 RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI • Il c. 1 dell’art. 2476 c.c. specifica che “Gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall'inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dall'atto costitutivo per l'amministrazione della società. Tuttavia la responsabilità non si estende a quelli che dimostrino di essere esenti da colpa e, essendo a cognizione che l'atto si stava per compiere, abbiano fatto constare del proprio dissenso”. 197 n. 69 RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI • L’art. 2476 c.c. dispone che gli amministratori “sono solidalmente responsabili” verso la società per i danni derivanti dall’inosservanza dei doveri lori imposti dalla legge e dall’atto costitutivo e verso il singolo socio e il terzo per i danni che sono stati direttamente causati da loro atti dolosi o colposi. n. 70 RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI • Non è più prevista la responsabilità verso i creditori sociali per inosservanza degli obblighi di conservazione del patrimonio sociale. • La responsabilità degli amministratori può essere fatta valere promuovendo una azione giudiziale ma è possibile risolvere stragiudizialmente la lite tramite un arbitrato o una conciliazione se nell’atto costitutivo sono inserite apposite clausole compromissorie o di conciliazione. 198 Resposnsabilità e funzioni degli organi amministratori nelle S.P.A. e nelle S.R.L. n. 71 RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI • Per la responsabilità risarcitoria è necessario provare che vi siano stati specifici inadempimenti da parte degli amministratori ai doveri loro incombenti per legge o statuto e provare il danno concretamente cagionato al patrimonio sociale (Trib. Milano 24.10.2008 n. 12568). n. 72 LA RESPONSABILITÀ SOLIDALE • a) b) La solidarietà va vista secondo due modalità: compimento degli atti in relazione a specifiche delibere adottate dall’organo collegiale omissione di attività correlate all’adempimento degli obblighi informativi circa l’esercizio di attribuzioni delegate 199 n. 73 RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI • In tema di solidarietà si deve ricordare il possibile concorso di tre altre categorie: - Collegio sindacale (art. 2407c.c.) - Direttori generali della società (art. 2396 c.c.) - I soci che hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, per i soci o per i terzi (art. 2476, c. 7, c.c.) n. 74 RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI • L’ amministratore della s.r.l. è di fronte a un’alternativa svincolata da eccessivi formalismi: a) può DIMOSTRARE di essere immune da colpa, anche se non ha mai avuto occasione di manifestare la propria contrarietà all’atto pregiudizievole compiuto in violazione della legge o dell’atto costitutivo 200 Resposnsabilità e funzioni degli organi amministratori nelle S.P.A. e nelle S.R.L. n. 75 RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI • b) Se a preventiva conoscenza dell’imminente compimento dell’atto pregiudizievole deve avvalersi, per essere esonerato da responsabilità, di una FORMALE MANIFESTAZIONE con la quale fa constare il suo dissenso. n. 76 MODALITÀ ESERCIZIO DEL DISSENSO CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE • Non essendo prevista una specifica modalità è possibile utilizzare qualsiasi mezzo di informativa purché sia garantita la certezza della data della comunicazione (verbale c.d.a., fax, raccomandata, e.mail certificata, ecc.). • Se il C.d.A. ha delegato le proprie attribuzioni ad alcuni dei suoi membri, gli amministratori delegati diventano 201 n. 77 MODALITÀ ESERCIZIO DEL DISSENSO solidalmente responsabili con gli amministratori esecutivi se, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non abbiano fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose in base all’applicazione analogica dell’art. 2392, c. 2, c.c. previsto per le S.p.a.. n. 78 MODALITÀ ESERCIZIO DEL DISSENSO AMMINISTRAZIONE DISGIUNTIVA O CONGIUNTIVA • Si ritiene che l’annotazione del dissenso non assuma rilievo in quanto: - in caso di amministrazione disgiuntiva: l’amministratore può esercitare preventivamente il diritto di opposizione al compimento dell’operazione; - in caso di amministrazione congiuntiva: l’amministratore può impedire l’operazione opponendo in proprio veto. 202 Resposnsabilità e funzioni degli organi amministratori nelle S.P.A. e nelle S.R.L. n. 79 AZIONE SOCIALE DI RESPONSABILITÀ • Il c. 3 dell’art. 2476 c.c. precisa che “L'azione di responsabilità contro gli amministratori è promossa da ciascun socio, il quale può altresì chiedere, in caso di gravi irregolarità nella gestione della società, che sia adottato provvedimento cautelare di revoca degli amministratori medesimi. In tal caso il giudice può subordinare il provvedimento alla prestazione di apposita cauzione”. • Il successivo c. 4 specifica che “In caso di accoglimento della domanda la società, salvo il suo diritto di regresso nei confronti degli amministratori, rimborsa agli attori le spese di giudizio e quelle da essi sostenute per l'accertamento dei fatti”. n. 80 AZIONI DI RESPONSABILITÀ - SRL AZIONE PROMOSSA DA CIASCUN SOCIO • Ciascun socio, indipendentemente dal valore della sua partecipazione, può chiedere, in caso di gravi irregolarità nella gestione della società, che sia adottato un provvedimento cautelare di revoca degli amministratori stessi (art. 2476 c. 3, c.c.). • In caso di accoglimento della richiesta, il socio otterrà il rimborso delle spese da parte della società. 203 n. 81 AZIONE CAUTELARE TERMINI E PRESUPPOSTI DELL’AZIONE CAUTELARE 1^ tesi: la qualificazione “cautelare” deve essere intesa nel senso strumentale e quindi anticipatoria dell’azione di responsabilità degli amministratori a seguito delle “gravi irregolarità” perché sorge il pericolo di danno per la società (Corte Cost. 29.12.2005, n. 481). Sarà possibile chiedere la revoca cautelare solamente dopo aver intentato l’azione di responsabilità e quindi contestualmente all’atto di citazione o in corso di causa (Trib. Ravenna 3.2.2006, Trib. Milano 12.1.2006, Trib. Milano 27.4.2005). n. 82 AZIONE CAUTELARE 2^ Tesi: è possibile promuovere una richiesta di revoca in via autonoma senza, quindi, avere preventivamente iniziato l’azione di responsabilità e questo perché non esiste una norma di legge che esclude tale possibilità (Trib. Napoli 5.5.2008, Trib Salerno 4.7.2006; Trib. Milano 18.1.2006). • Il procedimento è disciplinato dalle norme relative ai provvedimenti cautelari. 204 Resposnsabilità e funzioni degli organi amministratori nelle S.P.A. e nelle S.R.L. n. 83 AZIONE CAUTELARE • Nell’ipotesi di revoca degli amministratori da parte del Tribunale, i soci devono nominare nuovi amministratori. • Il tribunale, revocando gli amministratori può nominare un curatore speciale ex art. 78 c.p.c.. • Il tribunale NON PUÒ, in quanto la normativa non applicabile é alle s.r.l.: - nominare un amministratore giudiziario; - disporre l’ispezione della società; - porre in essere altri rimedi previsti in caso di controllo giudiziario sulla gestione ex art. 2409 c.c.. n. 84 AZIONE SOCIALE DI RESPONSABILITÀ • Si ritiene ammissibile sia la legittimazione diretta o di riflesso ed eventualmente in via concorrente con il socio anche di altri soggetti quali: - il rappresentante comune in caso di comunione o comproprietà di partecipazione; - il creditore pignoratizio e l’usufruttuario (in via concorrente con il socio debitore o il socio nudo proprietario) - il custode in caso di sequestro. 205 n. 85 AZIONE SOCIALE DI RESPONSABILITÀ • In caso di fallimento l’azione è esercitata dal curatore fallimentare (Cass. 21.7.2010 n. 17121, Trib. Milano 10.10.2007; Trib. Nola 18.6.2009). • L’azione non può essere esercitata in via surrogatoria dai creditori del singolo socio (Trib. Macerata 22.3.2010). n. 86 AZIONE SOCIALE DI RESPONSABILITÀ • La società può essere legittimata a promuovere l’azione sociale di responsabilità? 1^ tesi: viene esclusa tale ipotesi in quanto è legittimato a promuovere l’azione esclusivamente il socio (App. Milano 28.5.2008, Trib. Milano 12.4.2006); 2^ tesi: è ammissibile applicando per analogia la norma delle s.p.a. (art. 2393, c. 1, c.c.) relativa all’azione sociale di responsabilità (Trib. Milano 17.12.2005, n. 13572). Altri Tribunali (Marsala 1.4.2005; Roma 25.5.2007) ritengono che, come 206 Resposnsabilità e funzioni degli organi amministratori nelle S.P.A. e nelle S.R.L. n. 87 AZIONE SOCIALE DI RESPONSABILITÀ previsto dall’art. 2476 c.c. gli amministratori sono in primo luogo responsabili “verso la società” e quindi è stata data “una legittimazione concorrente e disgiuntiva alla società ed ai soci in ordine alla stessa azione”. • Il Tribunale di Milano ha un costante e consolidato orientamento contrario (sent.12.4.2006, 21.11.2006, 27.2.2008). n. 88 AZIONE SOCIALE DI RESPONSABILITÀ • La società per esercitare l’azione di responsabilità deve adottare una delibera ex art. 2479 c.c. con le maggioranze previste dalla legge o dall’atto costitutivo. • Quindi: - non si applicano quorum speciali, salva la previsione statutaria in ordine alla contestuale revoca dall’incarico; - la decisione può essere presa in occasione dell’approvazione del bilancio benché non figuri all’Ordine del Giorno (Trib. Termini Imerese 21.12.2006). 207 n. 89 AZIONE SOCIALE DI RESPONSABILITÀ • L’azione di responsabilità non implica la revoca dall’incarico. Si ammette che la società deliberi l’azione di responsabilità e contestualmente la revoca dell’amministratore (trib. Bologna 12.9.2005, Trib. Verona 9.3.2007). • È improcedibile l’azione che non risulta essere stata deliberata o autorizzata dai soci (Trib. Milano 30.6.2008, n. 8611). n. 90 AZIONE SOCIALE DI RESPONSABILITÀ • È possibile prevedere statutariamente la clausola che preveda una legittimazione ad agire anche degli amministratori. In tale caso la decisione circa l’azione di responsabilità può comunque essere sottoposta, su impulso degli amministratori o del terzo del capitale, ex art. 2479 c.c.. 208 Resposnsabilità e funzioni degli organi amministratori nelle S.P.A. e nelle S.R.L. n. 91 AZIONE SOCIALE DI RESPONSABILITÀ • L’azione di responsabilità intentata dalla società, pena la duplicazione dei danni e dei risarcimenti e sempre che ricorra identità di petitum e causa petendi, preclude l’azione individuale del socio. • Le due azioni possono coesistere per effetto di un intervento adesivo in giudizio da parte del socio nell’ambito dell’azione sociale ma deve esserci un apprezzabile interesse in capo al socio stesso o quest’ultimo faccia valere titoli di responsabilità ulteriori rispetto a quelli invocati dalla società. n. 92 AZIONE SOCIALE DI RESPONSABILITÀ • L’art. 2373 c.c. che vieta nelle s.p.a. all’amministratore di votare nella delibera relativa all’azione di responsabilità nei suoi confronti non è applicabile alle s.r.l. (Trib. Verona 9.3.2007). • L’azione sociale di responsabilità si prescrive in cinque anni che decorrono dalla verificazione del pregiudizio del patrimonio sociale cagionato dagli amministratori e rimane sospeso fino a quando gli amministratori restano in carica (Trib. Biella, 21.10.2008). 209 n. 93 AZIONE SOCIALE DI RESPONSABILITÀ • L’azione è di competenza del Tribunale e la società è litiscosorte necessario ed è necessaria, prima dell’azione, la richiesta della nomina di un curatore speciale ex art. 78, c. 2, c.p.c.. • I soci hanno l’onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni ed il nesso di causalità tra queste ed il danno verificatosi. • Sugli amministratori ed i sindaci spetta l’onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva con n. 94 AZIONE SOCIALE DI RESPONSABILITÀ riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro imposti (Cass. 11.11.2010 n. 22911). • La sentenza di accoglimento e di condanna al risarcimento del danno È PRONUNCIATA A FAVORE DELLA SOCIETÀ E NON DEL SOCIO in quanto si tratta di azione giudiziale destinata alla reintegrazione del patrimonio sociale. 210 Resposnsabilità e funzioni degli organi amministratori nelle S.P.A. e nelle S.R.L. n. 95 AZIONE SOCIALE DI RESPONSABILITÀ La società deve rimborsare ai soci che hanno promosso l’azione: - le spese di giudizio; - le spese di accertamento dei fatti salvo l’azione in via di regresso nei confronti degli amministratori soccombenti. • Per le spese si ritiene che: - spese di giudizio: la società è tenuta al rimborso in solido con gli amministratori responsabili: ciò permette al socio di aggredire anche il patrimonio dell’amministratore. - spese sostenute dal socio per l’accertamento dei fatti: solamente la società ha l’obbligo di rimborsare le spese sostenute dal socio. n. 96 TRANSAZIONE O RINUNCIA ALL’AZIONE • Il c. 5 dell’art. 2476 c.c. prevede la possibilità di transazione o rinuncia circa l’azione di responsabilità e prevede che “Salvo diversa disposizione dell'atto costitutivo, l'azione di responsabilità contro gli amministratori può essere oggetto di rinuncia o transazione da parte della società, purché vi consenta una maggioranza dei soci rappresentante almeno i due terzi del capitale sociale e purché non si oppongano tanti soci che rappresentano almeno il decimo del capitale sociale”. 211 n. 97 TRANSAZIONE O RINUNCIA ALL’AZIONE • È la sola società che detiene la piena disponibilità del diritto fatto valere in giudizio e quindi le facoltà di rinuncia e transazione sono espressamente riconosciute alla stessa e non al socio attore, al quale compete la sola rinuncia agli atti del giudizio ex art. 306 c.p.c.. • La rinuncia o la transazione ad opera della società produce effetti preclusivi di ogni altra azione promossa individualmente dal singolo socio, per i medesimi titoli. n. 98 TRANSAZIONE O RINUNCIA ALL’AZIONE • Per la transazione e la rinuncia all’azione devono ricorrere le seguenti condizioni: - la decisione deve essere presa da una maggioranza dei soci che rappresenti almeno i 2/3 del capitale sociale; - alla decisone NON DEVONO avere espresso voto negativo tanti soci che rappresentano almeno 1/10 del capitale stesso (c.d. minoranza di blocco). L’astensione o l’assenza non valgono a formalizzare una opposizione. 212 Resposnsabilità e funzioni degli organi amministratori nelle S.P.A. e nelle S.R.L. n. 99 TRANSAZIONE O RINUNCIA ALL’AZIONE • In altre parole: - il socio può promuovere da solo l’azione di responsabilità anche se possiede una partecipazione minima della società. Dipenderà dagli altri soci. - non sarà possibile rinunciare all’azione o transigerla se il socio/soci è/sono titolare/i di una partecipazione pari ad almeno il 10%. n. 100 TRANSAZIONE O RINUNCIA ALL’AZIONE • La norma è derogabile e quindi l’atto costitutivo può modificare le maggioranze prescritte dalla legge: - sia aumentandole (es. > dei 4/5) del capitale per l’approvazione; - sia diminuendole (es. prevedendo la maggioranza del capitale per l’approvazione e 1/20 del capitale per l’opposizione). 213 n. 101 AZIONE PER DANNO DIRETTO DIRITTO AL RISARCIMENTO DEL DANNO PER IL SOCIO O IL TERZO DANNEGGIATI DIRETTAMENTE • Il c. 6 dell’art. 2476 c.c. recita “Le disposizioni dei precedenti commi non pregiudicano il diritto al risarcimento dei danni spettante al singolo socio o al terzo che sono stati direttamente danneggiati da atti dolosi o colposi degli amministratori”. n. 102 AZIONE PER DANNO DIRETTO • Nel caso in cui gli amministratori abbiano nell’esercizio del loro incarico, dolosamente o colposamente cagionato un danno diretto ai singoli soci o ai terzi, questi ultimi, anche individualmente e indipendentemente dalla misura della partecipazione al capitale sociale, possono esercitare un’azione di responsabilità. • È una azione diretta al risarcimento direttamente dei soci o dei terzi che abbiano subito un danno che non rappresenti un mero riflesso di quello subito dal patrimonio sociale. 214 Resposnsabilità e funzioni degli organi amministratori nelle S.P.A. e nelle S.R.L. n. 103 AZIONE PER DANNO DIRETTO • La norma è equivalente a quella di cui all’art. 2395 c.c. per le s.p.a.. • L’azione individuale si promuove avanti il tribunale e si prescrive in cinque anni dal giorno in cui si è verificato l’evento dannoso. • Il socio, in caso di gravi irregolarità, può richiedere il provvedimento cautelare di revoca degli amministratori. n. 104 CREDITORI SOCIALI AZIONE DI RESPONSABILITÀ DEI CREDITORI SOCIALI • Si configurano 2 tesi: • 1^ tesi (minoritaria): la mancanza di qualsiasi riferimento normativo non è una precisa scelta del legislatore ma una lacuna colmabile in via interpretativa con l’applicazione della disciplina dettata per le s.p.a. (art. 2394 c.c.) (Trib. Milano 18.1.2011 n. 501; Trib. Udine 11.2.2005; Trib. Napoli 11.11.2004. 215 n. 105 CREDITORI SOCIALI • L’art. 2394 c.c. è espressione di un principio generale che era superfluo richiamare in quanto meritevole di tutela anche nell’ambito delle s.r.l. (Galgano). • 2^ tesi (maggioritaria): i creditori sociali NON possono agire contro gli amministratori in quanto la normativa delle s.p.a. è inapplicabile alle s.r.l.. (Trib. Milano 27.2.2008 n. 2589; Trib. Milano 25.1.2006). n. 106 CREDITORI SOCIALI • I creditori possono tutelare i propri interessi contro gli amministratori tramite l’azione extracontrattuale per lesione del credito (art. 2043 c.c.) con l’onere di provare il dolo o la colpa e il danno arrecato (Trib. Verona 27.2.2008; Trib. Novara 12.1.2010). • Il creditore può agire nei confronti degli amministratori: - in caso di ritardo od omissione negli adempimenti successivi allo scioglimento (art. 2485 c.c.); - a seguito del compimento di nuove operazioni (art. 2486, c. 2, c.c.); - per abuso di attività di direzione e coordinamento (art. 2497 c.c.). 216 Resposnsabilità e funzioni degli organi amministratori nelle S.P.A. e nelle S.R.L. n. 107 FALLIMENTO • Se la società è fallita è legittimato il curatore ex art. 146 L.F. (Cass. 21.7.2010 n. 17121) e l’azione si prescrive nel termine di 5 anni dal momento in cui lo stato di insufficienza del patrimonio sociale a soddisfare le loro pretese è divenuta oggettivamente percepibile dai creditori di ordinaria diligenza. In caso di mancata individuazione di tale momento, il termine decorre dalla data di dichiarazione di fallimento (Trib. Biella 21.10.2008). n. 108 PROCEDIMENTO EX ART. 2409 C.C. • La normativa vigente non prevede la possibilità per le S.r.l. di denuncia al tribunale. • La dottrina e la giurisprudenza nel tempo sono state contrastanti ma la Cassazione, Sez. 1, con la Sentenza 13 gennaio 2010, n. 403 ha stabilito che “si deve dunque concludere che per le società a responsabilità limitata non vi è alcun richiamo al procedimento di cui all'art. 2409 c.c., e che detto mancato richiamo è riferibile ad una chiara opzione del legislatore, esplicitamente motivata con l'esigenza di adottare 217 n. 109 PROCEDIMENTO EX ART. 2409 C.C. soluzioni in sintonia con il nuovo più articolato sistema societario delineato. Dunque per le società a responsabilità limitata in cui la nomina del collegio sindacale sia facoltativa il procedimento ex art. 2409 c.c., è certamente precluso”. • In caso di s.r.l. con nomina del collegio sindacale obbligatoria l’art. 2477 c.c. u.c., specifica che “si applicano le disposizioni dettate in tema di società per azioni" La Cassazione ha stabilito che “Il rinvio alle disposizioni in tema di n. 110 PROCEDIMENTO EX ART. 2409 C.C. società per azioni dettato dall'art. 2477 c.c., u.c., in tema di società a responsabilità limitata, va quindi interpretato come richiamo ai requisiti professionali, alle cause di ineleggibilità, decadenza ed incompatibilità dei sindaci stabilite dall'art. 2397 c.c., e segg., nonché alle rispettive funzioni e ai poteri indicati dall'art. 2403 c.c., e segg., ma non può certamente valere ad assegnare loro il potere di sollecitare il controllo giudiziario in relazione a ravvisate irregolarità gestionali, a ciò ostando, come sopra detto, la formulazione letterale delle disposizioni vigenti, l'intenzione del legislatore, i diversi connotati attribuiti alle dette società rispetto a quelle per azioni, con la riforma organica delle società di capitali di cui al D.Lgs. n. 6 del 2003”. 218 Resposnsabilità e funzioni degli organi amministratori nelle S.P.A. e nelle S.R.L. n. 111 RESPONSABILITÀ DEI SOCI • Il c. 7 dell’art. 2476 c.c. precisa che “Sono altresì solidalmente responsabili con gli amministratori, ai sensi dei precedenti commi, i soci che hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi”. • Si rinvia a specifiche precisazioni. n. 112 APPROVAZIONE DEL BILANCIO • Il c.8 dell’art. 2476 c.c. precisa che “L'approvazione del bilancio da parte dei soci non implica liberazione degli amministratori e dei sindaci per le responsabilità incorse nella gestione sociale”. • La responsabilità per l’attività di gestione, quindi, permane anche se il bilancio è stato approvato dai soci. 219 n. 113 RISARCIMENTO DEL DANNO • In via generale l’obbligo del risarcimento sorge in presenza di un nesso di causalità tra l’inadempimento dell’amministratore e la conseguenza dannosa per la società, o per il singolo socio o per il terzo. • Il danno è la “conseguenza immediata e diretta” di tale inadempimento in base all’art. 1223 c.c.. • Sono risarcibili sia il danno emergente che il lucro cessante. • Esempio di danno emergente: amministratore che omette di presentazione di una dichiarazione fiscale. • Esempio di lucro cessante: amministratore che agisce in concorrenza con la società e ne storna la clientela. n. 114 RISARCIMENTO DEL DANNO • I principi normativi relativi al risarcimento del danno sono contenuti: - negli artt. 1218 c.c. e ss. relativamente alle obbligazioni e la conseguente responsabilità contrattuale. Tale responsabilità è quella connessa al “danno prevedibile”. In tale caso la colpa non deve essere provata dall’attore e spetta all’amministratore provare che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile. - negli artt. 2043 c.c. e s.s. per il danno derivante da fatto illecito e quindi da responsabilità extracontrattuale in cui incorre l’amministratore per danni provocati colpevolmente a terzi. - Si ritiene che tale responsabilità si estenda al “danno non prevedibile”. 220 IL RECESSO DEL SOCIO Rappresentazione schematica a cura di Alessandro Corsini e Paolo Meneghetti* n. 1 SUPPORTI OPERATIVI IN AULA Recesso del socio DEFINIZIONE Diritto concesso alla minoranza di modificare lo status di socio in quello di creditore a fronte di determinate decisioni assunte dalla maggioranza cui il socio recedente non ha consentito La cessazione del rapporto sociale consente al recedente di ottenere la liquidazione della propria partecipazione secondo un valore di mercato n. 2 Recesso del socio VALUTAZIONE PARTECIPAZIONE Ai fini della valutazione si tiene conto 1. della consistenza patrimoniale 2. delle prospettive reddituali 3. dell’eventuale valore di mercato delle azioni Relazione governativa: “si è fatto riferimento alla <<consistenza patrimoniale>>, volendo così indicare la non vincolatività dei dati contabili, ed alle <<prospettive reddituali>>, come elemento correttivo della situazione patrimoniale; il riferimento ad un valore di mercato è eventuale.” * Pezzo aggiornato al 27/02/2012 (Sesta giornata del Master Breve 2011/2012 – Area approfondimento) 221 n. 3 Recesso del socio DISCIPLINA S.R.L. - SINTESI Il recesso può avvenire per acquisto della partecipazione del recedente da parte degli altri soci, oppure con annullamento della partecipazione mediante riduzione del capitale della società Procedura La quota, valutata al valore di mercato, va liquidata al recedente entro 180 giorni dalla comunicazione La società prioritariamente utilizza le riserve, poi riduce il capitale (2482), e se anche tramite tali riduzioni il rimborso è impossibile, la società si pone in liquidazione n. 4 Recesso del socio LE MASSIME DEI NOTAI DEL TRIVENETO I.H.2 Procedura: in assenza di indicazione nell’atto costitutivo, si applica quella prevista da SPA (2437 bis) > entro 15 giorni da delibera o entro 30 gg da evento > lettera di recesso I.H.11 I.H.11 Ammesso il recesso parziale Valutazione della partecipazione: valore di mercato è dato inderogabile, I.H.13 tuttavia si possono individuare metodologie per determinare il valore di mercato 1. I.H. 10 2. I.H.5 222 Efficacia: 1. scelta irrevocabile una volta inviata la comunicazione 2. i diritti del recedente sono sospesi dalla comunicazione Il recesso del socio n. 5 Recesso del socio RECESSO: QUESTIONI APERTE 1. Qual è la posizione che il socio assume una volta che la dichiarazione di recesso esplica efficacia? 2. Può il socio esercitare ancora i diritti connessi a questo status? 3. Il socio ha la possibilità di revocare successivamente la dichiarazione di recesso? n. 6 Recesso del socio RECESSO E STATUS DI SOCIO PERDITA STATUS DI SOCIO - Dal momento in cui la società ha ricevuto la comunicazione di recesso, il recedente non può più essere considerato socio potendo pretendere solamente la liquidazione della partecipazione non può intervenire alle assemblee, né può esprimere il proprio voto in tale sede (Massima I.H.5 TriVeneto - Tribunale di Roma sez. III, 11 maggio 2005 - Tribunale di Napoli Ord. 14 gennaio 2011) MANTENIMENTO STATUS DI SOCIO - Il recedente, mantiene comunque tutti i diritti e i doveri di socio fino al momento della liquidazione della partecipazione può quindi intervenire a successive assemblee, votare e impugnare le deliberazioni assunte senza il suo assenso (Tribunale di Tivoli - Ord. 14 giugno 2010 - Decr. 19 gennaio 2011) 223 n. 7 Recesso del socio REVOCABILITÀ DICHIARAZIONE DI RECESSO Per ammissibilità della revoca: se la società può incidere sulla volontà di recedere quando revoca la delibera che ha causato il recesso, su quella stessa volontà può incidere colui che l’ha espressa. Dunque, la revoca della dichiarazione di recesso può avvenire oltre che per iniziativa della società anche ad opera del socio (Trib. Roma 11 maggio 2005) Per inammissibilità della revoca: la natura recettizia della dichiarazione di recesso comporta che questa non possa venir revocata dall’emittente una volta che sia pervenuta alla società (Cass. 20544/2009 – Trib. Trapani 21 marzo 2007 – Trib. Tivoli 14 giugno 2010) n. 8 Recesso del socio IL SURPLUS DA RECESSO Partecipazione PN società Valutata a valori correnti Valutato a valori contabili Il surplus da recesso può derivare dalla interrelazione di entità valorizzate con criteri eterogenei 224 Il recesso del socio n. 9 IL SURPLUS DA RECESSO LA TESI LEGALE: In caso di incapienza delle riserve si utilizza il patrimonio netto e il capitale sociale con sua possibile riduzione al di sotto del minimo e conseguente scioglimento della società (ipotesi prevista all’art. 2484 c. 1 n. 5) LA TESI OIC 28 1. si deve ridurre il capitale sociale in funzione del valore nominale delle azioni (quote) del socio recedente 2. in caso di valore di rimborso superiore al valore nominale, la differenza deve gravare sulle riserve disponibili; 3. se le riserve non sono sufficienti, l’ulteriore eccedenza deve gravare sul conto economico (anche Consiglio Notarile Fi-Po-Pt) n. 10 Recesso del socio IL SURPLUS DA RECESSO Una possibile soluzione Gli aspetti critici L’espressione di maggiori valori nel bilancio della società che subisce il recesso (tesi sostenuta in dottrina e Assonime n. 32 del 14.7.2004) La rilevazione di utili non realizzati La gestione fiscale del disallineamento 225 n. 11 Recesso del socio IL SURPLUS DA RECESSO Il problema della deducibilità fiscale della maggiore somma pagata al socio recedente transitata a conto economico Società di persone Società di capitali Sì No R.M. 64 del 25.2.2008 DR ER 11489 6.3.2007 Necessità di evitare doppia in posizione in capo al recedente e ai soci superstiti Il recesso interessa solo i rapporti patrimoniali dei soci cui la società è estranea n. 12 Recesso del socio FISCALITÀ DEL SOCIO – RECESSO DA SOCIETÀ DI PERSONE 1.Determinazione del reddito: art. 47 co. 7 TUIR – differenza tra somma percepita e prezzo pagato per l’acquisto o la sottoscrizione della partecipazione 2.Natura del reddito: art. 20 bis TUIR: è reddito di partecipazione e quindi d’impresa 3.Tassazione del reddito alternative: • Art. 17 co. 1 lett. l) TUIR: separata se trascorsi 5 anni tra costituzione società e comunicazione recesso • Ordinaria: indicazione in quadro RH per competenza (C.M. 47/E/2008) 226 Il recesso del socio n. 13 Recesso del socio RECESSO DA SOCIETÀ DI PERSONE SNC Alfa ha capitale sociale pari a € 90.000 e riserve di utili pari a € 30.000. Tre soci al 33,33%. Un socio recede e pattuisce per il recesso una somma pari a € 50.000. La società riduce il capitale e le riserve per il 33,33% di € 120.000 e iscrive tra i costi € 10.000 Riduzione capitale sociale € 30.000 e attribuzione riserve per 10.000 Iscrizione di un costo a conto economico per € 10.000 n. 14 Recesso del socio FISCALITÀ DEL SOCIO – RECESSO DA SOCIETÀ DI CAPITALI 1.Recede non imprenditore: art. 47 co. 7 TUIR – differenza tra somma percepita e prezzo pagato per l’acquisto o la sottoscrizione della partecipazione è sempre e comunque considerato dividendo 2.Recede imprenditore necessità di distinguere provenienza somme • Da riserve di utili dividendo • Da riserve di capitale: riducono costo fiscalmente riconosciuto partecipazione e per eccedenza plusvalenza eventualmente esente 227 n. 15 Recesso del socio RECESSO DA SOCIETA’ DI CAPITALE SOCIO PERSONA FISICA ARTICOLO 47 COMMA 7 TUIR Differenza tra somma erogata o valore normale del bene ricevuto e costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione REDDITO DA CAPITALE (DIVIDENDO) QUINDI: Socio non qualificato > ritenuta d’imposta 20% Socio qualificato > imponibile come dividendo n. 16 Recesso del socio RECESSO DA SOCIETA’ DI CAPITALE SOCIO PERSONA GIURIDICA ARTICOLO 87 COMMA 6 E 89 7 TUIR 1) Differenza tra somma erogata o valore normale del bene ricevuto PER ATTRIBUZIONE DI RISERVE DI CAPITALE e costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione PLUSVALENZA (PEX O MENO A SECONDA DEI CASI) 2) Somme o valore normale dei beni ricevuti in contropartita ATTRIBUZIONE DI RISERVE DI UTILE REDDITO DA CAPITALE (DIVIDENDO) E QUINDI: IMPONIBILE AL 5% A PRESCINDERE DALLA TIPOLOGIA DI RISERVE DI UTILE ATTRIBUITE 228 Il recesso del socio n. 17 Recesso del socio LE QUESTIONI APERTE 1.Le modalità di riduzione del patrimonio netto: • se si possa ridurre il patrimonio in modo non proporzionale 2.Applicabilità presunzione ex art. 47 co. 1 u. p TUIR: • se si possano considerate distribuite per prime le riserve di utili in luogo di quelle di capitale 3.Applicabilità presunzione art. 1 co. 2 D.M. 2.4.08 • Se in caso di utili prodotti fino al 2007 e dal 2008 si considerino distribuiti per primi quelli più vecchi 229 Fac simili e carte di lavoro FORMULA UTILIZZABILE PER LA COMUNICAZIONE DI RECESSO DEL SOCIO EX ART. 2473 C.C. file A Raccomandata r.r. All’Amministratore unico (oppure al Presidente del Consiglio di amministrazione) (oppure all’Amministratore sig. <……>) della ___________________________ srl via _____________ n. ____ __________________ Il sottoscritto ______________________, quale titolare di quota della _________________________ s.r.l. di ammontare pari a complessive nominali euro _________________, corrispondenti al __________% del capitale sociale, premesso caso a) - che non ha prestato il proprio consenso a __________________________, come risulta 1) dal verbale dell’assemblea dei soci del ____________________; 2) come risulta dalla copia della comunicazione conservata agli atti della società in base alla procedura di decisione dei soci previa consultazione scritta; 3) come risulta dalla comunicazione trasmessa alla società in data __________ a mezzo __________ in base alla procedura di decisione dei soci previo consenso scritto; (oppure) caso b) – che in data __________________, in seguito a ________________, è venuto a conoscenza che _________________; – che il sottoscritto, conseguentemente, non ritiene più opportuno proseguire il rapporto di socio che lo lega alla ___________________ s.r.l., dichiara che intende recedere da codesta società e per l’effetto chiede che gli venga rimborsata la propria quota di partecipazione ai sensi dell’art. 2473 cod. civ. ________________, lì _____________________ Firma __________________________ Disponibile il documento nella Professional Library – sito www.euroconference.it WWW 230 VERBALE CDA PRESA D’ATTO RECESSO SOCIO (1) _______________S.R.L., con sede legale in _______________________ – Via ________________ – capitale sociale Euro _______, interamente versato – iscritta presso l’Ufficio del Registro delle Imprese di _______ al n.___________, iscritta presso il R.E.A. di _______ al n.______ ********** L’anno ___________________ addì __ del mese di ______, alle ore _____ presso ______________________________________in _______, Via_______________ n. _, come da avviso di convocazione, si è riunito il Consiglio di Amministrazione della società con il seguente Ordine del Giorno 1. Recesso del socio Sig. _________: provvedimenti e deliberazioni conseguenti. Assume la presidenza, ai sensi di statuto, il presidente del Consiglio di Amministrazione, Sig. ___________, il quale, su designazione unanime degli intervenuti, chiama a fungere da segretario il Sig. ______________ e constata che sono presenti: - tutti i componenti del Consiglio di Amministrazione, nelle persone dei Signori: - ___________, Presidente del Consiglio di Amministrazione; - ______________, Amministratore Delegato; - ______________, Consigliere; - _____________ , Consigliere; - tutti i componenti del Collegio Sindacale, nelle persone dei Signori: - Dottor______________, Presidente; - Dottor______________, Sindaco Effettivo; - Rag. _________________, Sindaco Effettivo. E’ inoltre presente l’avv. ___________________, legale di fiducia della società. (ovvero il dott. ____________________, commercialista di fiducia della società) In ordine al primo punto posto all’ordine del giorno, riprende la parola il Presidente, il quale informa i signori Consiglieri che con raccomandata datata _________________ e spedita il __________________, pervenuta alla società soltanto il successivo giorno _____________, il socio Sig. ____________, proprietario di una quota del 25 per cento del capitale sociale ha espresso la volontà di recedere dalla società tenuto conto di quanto deliberato dall’assemblea dei soci in data _____________, la cui trascrizione presso il registro imprese di Bologna è avvenuta in data ________________. Il Presidente, proseguendo la trattazione, specifica che – come già comunicato ai professionisti di fiducia del sig. _______________ (avv. __________________ e Rag. ________________) con fax del ____________ da parte dell’avv. __________ - la dichiarazione di recesso pervenuta è da ritenersi atto unilaterale recettizio, già debitamente pervenuto a conoscenza della società e per essa dell’organo amministrativo, e come tale inequivoca ed irrevocabile, e che in dipendenza di essa è pertanto necessario liquidare al socio receduto la propria partecipazione, tenendo conto del valore di mercato del patrimonio sociale al momento della dichiarazione di recesso così come chiaramente dispone l’articolo 2473 c.c.. Il rimborso della partecipazione a favore del socio deve essere eseguito, come per legge, entro il termine di centottantagiorni dalla comunicazione di recesso e pertanto entro la data del __________________. L’obbligo di rimborso si sostanzia con l’acquisto della quota del socio recedente da parte degli altri soci, proporzionalmente alle loro partecipazioni (salvo l’ingresso di soggetto terzo concordemente individuato dai soci restanti), oppure con assolvimento dell’obbligazione da parte della società mediante riduzione del 231 FAC SIMILI E CARTE DI LAVORO file B patrimonio sociale. Si rende pertanto necessario procedere alla valorizzazione del patrimonio sociale della società alla data del __________________ ed a tale scopo, ultimando la trattazione, ritiene opportuno che il consiglio sia chiamato a determinare tale valore con tempestività e propone, per la definitiva determinazione di detto valore, di riconvocare sin da ora il consiglio per la data del ________________________ alle ore ________ presso la sede sociale. Il consiglio, dopo ampia discussione, con il voto favorevole dei componenti del consiglio di amministrazione nelle persone di ____________________________, delibera 1. di acquisire agli atti della società la dichiarazione di recesso del socio Sig. ___________ con efficacia dal __________________ e con tempi di rimborso da perfezionarsi entro il __________________; 2. di convocare il consiglio per la definitiva determinazione del valore di mercato del patrimonio sociale alla data del ________________ per il giorno ________________________ alle ore________ presso la sede sociale con il seguente ordine del giorno: 1) determinazione del valore di mercato del patrimonio sociale alla data del _________________ in conseguenza della dichiarazione di recesso del socio Sig. _______________ ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2473 C.c. e provvedimenti conseguenti. Nulla più essendovi da deliberare e nessuno avendo chiesto la parola, la seduta viene tolta alle ore ___,00 circa, previa redazione, lettura ed approvazione del presente verbale. IL PRESIDENTE (Sig.______________) IL SEGRETARIO (Sig.__________________) Disponibile il documento nella Professional Library – sito www.euroconference.it WWW 232 VERBALE C.D.A. DETERMINAZIONE VALORE RECESSO (2) file C ____________s.r.l. con sede legale in __________________ – Via ____________________n.______ – capitale sociale Euro __________, interamente versato – iscritta presso l’Ufficio del Registro delle Imprese di ________ al n. ___________, iscritta presso il R.E.A. di _______ al n.______ ********* L’anno _____________ addì __ del mese di _________, alle ore _____ presso la sede legale, come da avviso di convocazione, si è riunito il Consiglio di Amministrazione della società con il seguente Ordine del Giorno: Recesso del socio Sig. _________: determinazione del valore di mercato del patrimonio sociale ai sensi e per gli effetti dell’art. 2473 c.c. e provvedimenti conseguenti. Assume la presidenza, ai sensi di statuto, il presidente del Consiglio di Amministrazione, Sig. ___________, il quale, su designazione unanime degli intervenuti, chiama a fungere da segretario il Sig. ______________ e constata che sono presenti: - tutti i componenti del Consiglio di Amministrazione, nelle persone dei Signori: - ___________, Presidente del Consiglio di Amministrazione; - ______________, Amministratore Delegato; - ______________, Consigliere; - _________, Consigliere; - tutti i componenti del Collegio Sindacale, nelle persone dei Signori: - Dottor_____________________, Presidente; - Dottor_______________________, Sindaco Effettivo; - Rag. ____________, Sindaco Effettivo. È inoltre presente l’avv. ________________, legale di fiducia della società. (ovvero il dott. __________________, commercialista di fiducia della società). In ordine al primo ed unico punto posto all’ordine del giorno, riprende la parola il Presidente, il quale richiama il contenuto del verbale della riunione del C.di A. della società tenutasi in data ___________________, a seguito dell’avvenuto ricevimento di lettera raccomandata datata __________, spedita il ___________________ e pervenuta alla società soltanto il successivo giorno ___________, con la quale il socio Sig. _______________ - proprietario di una quota del 25 per cento del capitale sociale - ha espresso la volontà di recedere dalla società tenuto conto di quanto deliberato dall’assemblea dei soci in data ____________________, la cui trascrizione presso il registro imprese di ___________ è avvenuta in data _____________. Il Presidente ricorda che la dichiarazione di recesso pervenuta è stata ritenuta inequivoca ed irrevocabile, come confermato dai pareri assunti dal legale e dal commercialista di fiducia della società. In dipendenza di tale recesso si è pertanto avviata la procedura prevista negli atti sociali e per legge, per la liquidazione al socio receduto della partecipazione, tenendo conto del valore di mercato del patrimonio sociale al momento della dichiarazione di recesso così come chiaramente dispone l’articolo 2473 c.c. Ricorda inoltre che, come già fu chiarito nella precedente riunione citata del C. di A., il rimborso della partecipazione a favore del socio receduto deve essere eseguito entro il termine di centottantagiorni dalla comunicazione di recesso e pertanto entro la data del __________________. L’obbligo di rimborso, nel caso di specie, si sostanzierà nell’acquisto della quota del socio recedente da parte degli altri soci, proporzionalmente alle loro partecipazioni, essendosi in tal modo manifestata la 233 concorde volontà degli stessi soci rimanenti. Si è reso pertanto necessario procedere alla valorizzazione del patrimonio sociale della società alla data del __________________, ed oggi il C. di A. è chiamato a formalizzare la determinazione di tale valore. Il Presidente, pertanto, illustra ai presenti i criteri alla stregua dei quali si è pervenuti alla determinazione del valore della quote di che trattasi, ed in particolare espone quanto segue. La determinazione del valore di mercato al momento della dichiarazione di recesso della partecipazione del socio receduto Sig. _________________, tenuto conto di quanto dispone la norma applicabile – art. 2473 C.c. terzo comma Codice Civile – e le disposizioni statutarie – articolo ____ – è effettuata con l’applicazione del metodo della stima autonoma dell’avviamento positivo o negativo per un limitato numero di esercizi sociali, in quanto ritenuto dall’organo amministrativo nella prassi professionale il metodo più diffusamente applicato. Il valore del patrimonio sociale dell’azienda è quindi determinato dalla sommatoria del valore del “patrimonio netto rettificato” e del “valore dell’avviamento” considerato con durata limitata e mediante attualizzazione dei “sovraredditi” o dei “sotto-redditi”. La formula del valore dell’azienda per la determinazione del valore di rimborso della quota di partecipazione del socio receduto Sig. _____________ è la seguente: V=K+A intendendosi per A = (R-Ki) a __ n| i dove: V = valore dell’azienda A = valore dell’avviamento R = reddito medio prospettico K = patrimonio netto rettificato i = tasso di valutazione normale i’ = tasso di valutazione finanziario n = numero di anni di prevedibile durata dell’avviamento (con valori positivi o negativi) a __ | indica il valore attuale di una rendita con durata definita Il valore di K = patrimonio netto rettificato, è riferita alla data del 30 giugno 2005, tiene conto del patrimonio netto contabile sulla base di situazione patrimoniale redatta con i criteri di osservanza delle norme valevoli per la redazione del bilancio di esercizio, è rettificato dei plus/minus valori conseguenti alla valutazione corrente di talune voci di bilancio e tenuto conto della residua utilità futura, tiene conto del risultato di periodo della frazione di esercizio 01 gennaio 2005 – 30 giugno 2005 al netto delle imposte di competenza con stima approssimata. Il valore di A = valore dell’avviamento, ai fini della determinazione del reddito medio prospettico, tiene conto del risultato degli esercizi sociali dal ____ al ____ compresi, tenuto conto dei bilanci oggetto di approvazione e del risultato di periodo della frazione di esercizio _______________ – ______________ al netto delle imposte di competenza con stima approssimata depurati delle componenti di natura straordinaria / non inerenti l’ordinaria attività sociale. Più precisamente ed in particolare è considerata componente aumentativa del risultato di esercizio sopravvenienze passive sopportate nell’esercizio sociale ____ e riguardanti la definizione di controversie con personale dimissionario per complessive euro ______ ed è considerata componente diminuitiva del risultato di 234 Verbale C.D.A. determinazione valore recesso (2) esercizio sopravvenienze attive e passive sopportate nell’esercizio sociale _____e riguardante l’iscrizione/l’eliminazione di partite contabili in virtù della legge sul condono fiscale e relative imposte conseguenti per complessive euro ______. Dall’elaborazione delle componenti reddituali che hanno interessato gli esercizi sociali emerge un risultato negativo medio di euro _____ per il periodo ____-___ compresi, un risultato negativo medio di euro _____ per il periodo ____-____ e tenuto conto della frazione di esercizio __________ ____ – ______________. Il valore di A = valore dell’avviamento, ai fini della determinazione del tasso di valutazione normale è stato quantificato nel 8% ritenuto applicabile per aziende industriali di piccola media dimensione con elevata concorrenza e con indispensabile qualificazione della direzione nelle scelte produttive e commerciali. Nella determinazione di tale tasso si è altresì fatto riferimento alla dottrina più autorevole in materia e vedasi, per tutti, L. Guatri Valutazione di azienda. Il valore di A = valore dell’avviamento, ai fini della determinazione del tasso di valutazione finanziario , quantificato in 3% per n=5 e 2,75% per n= 3 tiene conto del tasso di inflazione che a giugno-luglio 2005 si è assestato sul 1,8%-2,1% e dei rendimenti di titoli di stato poliennali (BTP) il cui rendimento lordo nelle ultime aste a 3 anni è quantificato nel 2,34% e a 5 anni è quantificato nel 2,69%. Il valore di A = valore dell’avviamento, ai fini della determinazione di n è quantificato in 5 anni tenuto anche conto del trend storico dei redditi su cui poggia la determinazione dell’avviamento. Il consiglio, dopo ampia discussione, con il voto favorevole dei componenti del consiglio di amministrazione nelle persone di ______________________________________________________, delibera 3. 4. 5. di determinare - in conseguenza della dichiarazione di recesso del socio Sig. _________ ai sensi e per gli effetti articolo 2473 C.c. - il valore di mercato del patrimonio sociale alla data del ______________ nel complessivo ammontare di Euro _______________________, e conseguentemente il valore della quota di capitale sociale della ________ pari al 25 % posseduta dal socio receduto sig. _________ nel complessivo ammontare di Euro _______________________; di fissare che il rimborso al socio receduto sig. _________ del valore di detta quota da parte dei rimanenti soci, proporzionalmente alla quota di capitale posseduta, avvenga per contanti, ovvero con altra modalità concordemente pattuita tra gli interessati, entro e non oltre il termine di legge, che scadrà in data ______________________; di convocare il consiglio per la verifica del puntuale adempimento di tali incombenti e la presa d’atto della nuova ripartizione del capitale sociale tra i soci per data da determinarsi entro la seconda metà del successivo nese di _________________________. Nulla più essendovi da deliberare e nessuno avendo chiesto la parola, la seduta viene tolta alle ore ___,00 circa, previa redazione, lettura ed approvazione del presente verbale. IL SEGRETARIO IL PRESIDENTE (Sig. __________) (Sig.__________________) Disponibile il documento nella Professional Library – sito www.euroconference.it WWW 235 FAC SIMILE TESTO LETTERA RACCOMANDATA CON AVVISO DI RICEVIMENTO DA SOTTOSCRIVERE E INVIARE AL SOCIO RECEDUTO, PER L’OFFERTA DELLE SOMME CORRISPONDENTI ALLA LIQUIDAZIONE DELLA QUOTA A SEGUITO DI RECESSO file D Oggetto : Liquidazione quote socio receduto ex art. 2473 cod. civ. Formuliamo la presente, ai sensi e per gli effetti di legge, per confermarLe la nostra piena ed immediata disponibilità a corrisponderLe, ciascuno per quanto di spettanza, il complessivo importo di € _______ (_____________________), a titolo di liquidazione della quota di partecipazione nella società ___________ Srl da Lei detenuta, e pari al 25% del capitale sociale, per effetto del recesso manifestato con raccomandata datata __________, ed in conformità alle deliberazioni del Consiglio di Amministrazione della società, adottate in data _________________ e ______________. A tal fine Le rammentiamo il contenuto del verbale della riunione del C.di A. della società tenutasi in data _____________, a seguito dell’avvenuto ricevimento di Sua lettera raccomandata datata _________, spedita il ______________ e pervenuta alla società soltanto il successivo giorno _________, con la quale nella sua qualità di socio - proprietario di una quota del 25 per cento del capitale sociale - ha espresso con chiarezza la volontà di recedere dalla società tenuto conto di quanto deliberato dall’assemblea dei soci in data ______________, la cui trascrizione presso il registro imprese di _______ è avvenuta in data _____________. Il C.d.A. della società ha ritenuto inequivoca ed irrevocabile la Sua comunicazione di recesso, anche alla stregua degli autorevoli pareri assunti dal legale e dal commercialista di fiducia della società. In dipendenza di tale recesso si è pertanto regolarmente avviata la procedura prevista negli atti sociali e per legge, per la liquidazione in Suo favore, quale socio receduto, della partecipazione, tenendo conto del valore di mercato del patrimonio sociale al momento della dichiarazione di recesso così come chiaramente dispone l’articolo 2473 c.c. L’obbligo di rimborso, come risulta dalle più volte richiamate deliberazioni, si sostanzia, nel caso di specie, nell’acquisto della quota del socio recedente da parte degli altri soci, proporzionalmente alle loro partecipazioni, essendosi in tal modo manifestata la concorde volontà degli stessi soci rimanenti. Come Lei ben sa, si è quindi reso necessario procedere alla valorizzazione del patrimonio sociale della società alla data del ______________, ed il C. di A. è stato in seguito chiamato a formalizzare la determinazione di tale valore nella sessione del _________________. In tale occasione, il consiglio ha deliberato di determinare - in conseguenza della Sua dichiarazione di recesso ed ai sensi e per gli effetti articolo 2473 C.c. - il valore di mercato del patrimonio sociale alla data del ______________ nel complessivo ammontare di Euro ______ (________________________________________), e conseguentemente il valore della quota di capitale sociale della ____ Srl pari al 25 % posseduta dal socio receduto sig. _________ nel complessivo ammontare di Euro ______ (____________________________). Ha poi deliberato di fissare che il rimborso al socio receduto sig. _________ del valore di detta quota da parte dei rimanenti soci, proporzionalmente alla quota di capitale posseduta, avvenga per contanti, ovvero con altra modalità concordemente pattuita tra gli interessati, entro e non oltre il ________________, in conformità del termine di legge, di centottantagiorni dalla comunicazione di recesso. 236 Fac simile testo lettera raccomandata con avviso di ricevimento da sottoscrivere e inviare al socio receduto Poiché intendiamo rispettare il predetto termine di legge, La invitiamo a voler provvedere all’incasso del predetto complessivo importo, mediante accesso presso la sede della società, previo cortese preavviso, al fine di ricevere dagli interessati i singoli importi di spettanza, a mezzo assegno circolare a Lei intestato e non trasferibile, entro e non oltre il giorno ___________ p.v.. Naturalmente, in tale occasione, dovrà essere da Lei rilasciata quietanza per gli importi ricevuti a titolo di liquidazione quota di partecipazione. In attesa di sollecita e positiva conferma, porgiamo cordiali saluti. ____ Srl – Il Presidente (___________)____________________________ i Soci (Sig. ________________) _______________________________________ (Sig. ________________) _____________________________________ (Sig. ________________) _____________________________________ Disponibile il documento nella Professional Library – sito www.euroconference.it WWW 237 FAC SIMILE TESTO DI SECONDA LETTERA RACCOMANDATA CON AVVISO DI RICEVIMENTO DA SOTTOSCRIVERE E INVIARE AL SOCIO RECEDUTO, NEL CASO DI MANCATO INCASSO IMPORTO LIQUIDAZIONE QUOTE file E Oggetto : Liquidazione quote socio receduto ex art. 2473 cod. civ. Formuliamo la presente, ai sensi e per gli effetti di legge, a seguito della ns. precedente raccomandata r.r. del ___________________, per ribadire nuovamente la nostra piena ed immediata disponibilità a corrisponderLe, ciascuno per quanto di spettanza, il complessivo importo di € (_________________________), a titolo di liquidazione della quota di partecipazione nella società ___________Srl da Lei detenuta, e pari al 25% del capitale sociale, per effetto del recesso manifestato con raccomandata datata _________________, ed in conformità alle deliberazioni del Consiglio di Amministrazione della società, adottate in data ________________ e ______________________. Preso atto che non ha ritenuto di provvedere entro la giornata di ieri ________________, al ritiro della somma presso la sede sociale, come richiestoLe, Le precisiamo di seguito la ripartizione delle Sue quote, quale socio receduto, in proporzione alle quote già possedute dai rimanenti soci, come da deliberazioni assunte, e la conseguente ripartizione tra i soci dell’onere economico conseguente la liquidazione del relativo valore. Liquidazione socio Receduto Dati società Socio receduto: Sig._____ Soci Sig. ______ Sig. _________ Sig. _________ Sig. __________ Sig._____________ Totale Quote ante recesso 25% 25% 20% 20% 5% 5% Valore di mercato al __________ 000000000 Quota socio receduto ======,0 8,33% 6,67% 6,67% 1,67% 1,67% Ripartizione soci ======== ======== ======== ====== ====== 25% ========= La informiamo pertanto che, ciascuno per quanto di spettanza, abbiamo provveduto a richiedere assegno circolare della Banca __________________________, a Lei intestato e non trasferibile, n. _______________, del complessivo importo dovuto, di € ____________, di cui alleghiamo copia fotostatica, e che tale assegno circolare già nel pomeriggio di oggi verrà da noi depositato presso e nello studio dell’Avv. ___________________, nostro legale di fiducia (o del Dott. ____________________ nostro commercialista di fiducia), a Sua disposizione per il ritiro, previa sottoscrizione per quietanza e liberazione, in esito al procedimento di liquidazione della quota, conseguente la Sua manifestazione di recesso. 238 Fac simile testo di seconda lettera raccomandata con avviso di ricevimento da sottoscrivere e inviare al socio receduto In tal modo formalmente e ad ogni effetto La invitiamo a procedere all’incasso di detta complessiva somma, ciascuno per quanto di spettanza, avendo manifestato con la precedente ed anche con la presente comunicazione a Lei diretta chiara ed inequivoca volontà di eseguire il pagamento di quanto è risultato dovuto, accompagnata dalla concreta offerta delle somme, espressa in modo piu’ che idoneo ad escludere ogni perplessità sulla nostra concreta intenzione di adempiere. Tanto dovevamo e porgiamo distinti saluti. __________________Srl – Il Presidente ________________________________ (Sig.__________________) _______________________________________ (Sig. __________________) _____________________________________ (Sig. __________________) _____________________________________ (Sig. __________________) _____________________________________ (Sig. __________________) _____________________________________ (Sig. __________________) _____________________________________ Allegata Copia assegno circolare di cui al testo. Disponibile il documento nella Professional Library – sito www.euroconference.it WWW 239 FORMULA PER COMUNICARE L’AVVISO DI OFFERTA IN OPZIONE DELLE AZIONI DEL SOCIO RECEDENTE DA DEPOSITARSI PRESSO IL REGISTRO DELLE IMPRESE ex art. 2437 quater c.c. file F Il sottoscritto ________________________, in qualità di Amministratore unico (oppure Il Consiglio di amministrazione oppure Il Consiglio di gestione) della ___________________ s.p.a. con sede in ______________, via _______, n. _______, capitale sociale di euro __________ interamente versato, (oppure versato per euro _______), iscritta al Registro delle imprese di _________ al n. __________, premesso – che il sig. _________________ (oppure la società ________________), socio titolare di n. ________ azioni della predetta _____________ s.p.a., ha esercitato il diritto di recesso con riferimento a tutte le azioni possedute (oppure con riferimento a n. ________ azioni) in data _____________; (n.b. specificare tipo azioni) – che, ai sensi dell’art. 2437-quater cod. civ., “Gli amministratori offrono in opzione le azioni del socio recedente agli altri soci in proporzione al numero delle azioni possedute […]” e che a tal fine“[…] Per l’esercizio del diritto di opzione deve essere concesso un termine non inferiore a trenta giorni dal deposito dell’offerta”; tutto ciò premesso, offre in opzione agli altri soci della___________________ Spa n. ___ azioni del socio recedente in ragione di un’azione ogni ________ azioni possedute al valore di euro ____________ ciascuna. Evidenzia che, ai sensi di legge, il diritto di opzione può essere esercitato esclusivamente dal _________________ e fino al _____________ compreso. ____________________, lì __________________ L’amministratore ________________________ Disponibile il documento nella Professional Library – sito www.euroconference.it WWW 240 Note: Note: Note: La settima giornata del Master Breve – Area approfondimento, affronterà il seguente argomento: Passaggio generazionale e tutela dei patrimoni Secondo il seguente calendario: ALESSANDRIA 03 aprile 2012 CREMONA 17 aprile 2012 GENOVA 03 aprile 2012 BRESCIA 17 aprile 2012 SAVONA 03 aprile 2012 VERONA 17 aprile 2012 MODENA 04 aprile 2012 PESARO 18 aprile 2012 TRENTO 04 aprile 2012 ANCONA 18 aprile 2012 MILANO I^ed. 11 aprile 2012 NAPOLI 19 aprile 2012 TORINO 11 aprile 2012 SASSARI 19 aprile 2012 MILANO II^ed. 12 aprile 2012 CAGLIARI 20 aprile 2012 BERGAMO 12 aprile 2012 ROMA 20 aprile 2012 FIRENZE 13 aprile 2012 CATANIA 23 aprile 2012 BOLOGNA 13 aprile 2012 TREVISO 24 aprile 2012 PADOVA 16 aprile 2012 PORDENONE 24 aprile 2012 VICENZA 16 aprile 2012 Master Breve • Inviare i propri suggerimenti all’organizzazione. • Compilare le schede valutative relative ad ogni giornata e lasciare i propri commenti. • Inviare contributi, tavole, fac simili e altro materiale relativi alle tematiche trattate in aula QUESITI: pre-aula: possibilità di inviare preventivamente i propri quesiti che verranno analizzati in aula. post-aula: raccolta degli audioquesiti più interessanti selezionati dal Comitato Scientifico Accedi all’area dedicata sul nostro sito www.euroconference.it – Master Breve Per ulteriori informazioni telefonare allo 045/8201828 o consultare il sito www.euroconference.it