La fine della democrazia: per legge

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La fine della democrazia: per legge
La fine della democrazia:
per legge
Claudia Cernigoi
– Operazione
Foibe
Capita che un partito che ha nel nome il termine “Democratico” e che tragga
la
sua storia da quella di un partito che nacque per l’emancipazione e la
libertà delle classi subalterne, nello specifico il Partito Comunista
Italiano, quello di Gramsci per intenderci; capita, dicevo, che questo partito faccia passare due leggi, nel giro di pochi giorni, che – di fatto –
danno un colpo se non definitivo sicuramente serissimo alla categoria stessa di “democrazia” a cui eravamo abituati fin’ora.
Il principale artefice di tanto successo è il migliore alleato di questo
partito, si chiama Alfano ed è Ministro degli Interni, nonché (se non ricordo male) Segretario del PDL, il partito di Silvio Berlusconi.
La prima legge in questione è quella cosiddetta su femminicidio. Leggiamo
cosa dice il manifesto, da cui traggo queste informazioni:
Chi viola il divieto di entrare in siti
protetti da interesse militare dello
Stato è punito con detenzione da tre
mesi a un anno. Era così da tempo, a
norma di art. 682 del Codice penale. Ma
solo da pochi giorni il divieto, e la
pena, si estendono a qualsiasi sito o
edificio sia in quel momento considerato
off limits «per ragioni di sicurezza
pubblica». Non è un nuovo pacchetto
ordine
pubblico.
femminicidio,
È
quella
la
legge
salutata
sul
come
conquista di libertà e di civiltà.
È
la
stessa
legge
che
moltiplica
l’impegno dell’esercito a protezione
degli impianti Tav della val di Susa,
equiparati chissà come a una donna in
pericolo. O che, con una serie di salti
mortali fatta apposta per rendere oscuro
il testo, prima equipara di fatto alla
rapina l’ingresso in luoghi come i
cantieri Tav, poi dispone una maxi
aggravante se il fattaccio avviene in
presenza di minori, inclusi quelli che
manifestano e magari anche il reprobo in
questione.
La legge sul femminicidio è discutibile
anche nella sua prima parte, quella
propriamente detta. La seconda parte,
fortemente voluta dal ministro Alfano,
nuovo idolo del centrosinistra, campione
della bella destra che il Pd ha sempre
sognato, sarebbe più onesto definirla
legge «anti No Tav». A Montecitorio, tra
i piddini che hanno votato la legge
senza fingere anche con se stessi di non
sapere di cosa si trattava, c’è chi
racconta che lo stesso Alfano volesse la
legge in tempi così contingentati per
averla pronta il 19 ottobre. Come gli
chiedevano, e anzi gli intimava, il
Siap, Sindacato di polizia dei reparti
mobili, in un comunicato diramato pochi
giorni
prima
dell’approvazione
del
decreto.
Le
giornate
dal
17
al
19
ottobre a Roma venivano definite come
«il nuovo G8». Il testo lamentava quindi
il fatto che «con le attuali leggi chi
sarà
incriminato
saranno
solo
i
poliziotti che sconteranno tutte le
pene, e non i «terroristi delle piazze».
Profetizzava poi lo «sfruttamento», da
parte
dei
manifestanti,
della
«stanchezza psico-fisica dei “celerini”,
aggredendoli
solo
dopo
le
“solite
dieci/dodici ore” di servizio, così da
potere avere quelle reazioni di difesa,
appesantite da un eccessivo stress, che
possano dar loro tanta visibilità» E se
a qualcuno la frasetta pare minacciosa,
si vede che soffre di acuta paranoia. Il
comunicato concludeva invocando nuove
leggi. Arrivate a stretto giro.
Il femminicidio, in questo caso, è stato
adoperato come alibi e strumento di
facile
ricatto.
Come
ci
si
poteva
sottrarre a una legge che contrasta uno
dei
reati
effetti,
più
anche
odiosi
chi
e
odiati?
voleva
In
bocciare
questo nuovo «pacchetto sicurezza »
travestito,
lo
ha
comprensibilmente
fatto, al Senato, sottraendosi al voto
invece
che
adottata
votando
da
Sel,
contro,
M5S
e
scelta
Lega.
Soprattutto, il ricatto ha funzionato a
livello mediatico, con tutti i fari
puntati sulla prima parte del decreto e
il resto coperto da una comoda oscurità.
La stragrande maggioranza, delle forze
politiche, peraltro, ha votato senza
esitare. Così nella stessa settimana, si
sono moltiplicati segnali che dovrebbero
inquietare i democratici ben più della
sorte
semicarceraria
Berlusconi.
La
levata
di
di
Silvio
scudi
di
Grillo, uno che capta gli umori popolari
al volo, contro l’abolizione del reato
di clandestinità. Il successivo blog del
medesimo in cui, titillando di nuovo
l’ideologia del bar, spiegava che in
questo Paese tutti si preoccupano dei
diritti
delle
minoranze
ma
alla
maggioranza non ci pensa nessuno. La
sortita di Matteo Renzi, un altro che sa
compiacere la pancia di un elettorato
gonfio di risentimento e rancore, contro
l’amnistia e indulto, messi addirittura
in contrasto secco con «la legalità».
Forse è vero che stiamo uscendo dal
berlusconismo.
Ma
non
è
detto
che
l’orizzonte che si sta profilando sia
migliore. Anzi.
Quindi, ricapitolando: chi, durante una manifestazione di protesta, entra
in siti protetti da interesse militare dello Stato, o in qualsiasi sito o
edificio che sia in quel momento considerato off limits «per ragioni di sicurezza pubblica» sarà punito con detenzione da tre mesi ad un anno. Chi lo
decide che siti o edifici hanno quelle caratteristiche? Lo Stato stesso, arbitrariamente. Quindi zitti e mosca, se protesti occhio che finisci al gabbio dai tre mesi all’anno.
La seconda NON è ancora legge, ma poco ci manca. Leggiamo cosa scrive Il
Piccolo di Trieste:
Chi negherà il dramma delle Foibe, così
come la Shoah, rischierà oltre 7 anni di
carcere. Lo prevede la nuova norma anti
negazionismo approvata dalla Commissione
Giustizia del Senato, che ora dovrà
essere esaminata dall’aula. Chi istiga o
fa apologia relativa a «delitti di
terrorismo,
crimini
di
genocidio,
crimini contro l’umanità o crimini di
guerra, la pena è aumentata della metà.
La stessa pena si applica a chi nega
l’esistenza di crimini di genocidio o
contro
l’umanità».
Poche
righe
che
vengono associate comunemente alla Shoah
ma che vanno a coinvolgere anche altre
realtà. Foibe comprese.
Per chi non l’ha capito si tratta di reato d’opinione. Se pensi – chessò –
che quella delle Foibe è una panzana e lo scrivi, per dire, su un blog –
come questo per esempio – rischi 7 anni di galera. Che poi, per restare sull’esempio, sulle Foibe il dibattito storiografico sia ancora aperto, pazien-
za: la verità di Stato© è indiscutibile, e se la discuti vai al gabbio,
come sopra. A questo punto è meglio se, sempre per esempio, Claudia Cernigoi sta attenta: in quanto autrice di parecchi libri sulle Foibe – libri
non in linea con la verità di Stato© – rischia seriamente di finire in
galera.
Su questo punto non posso fare a meno di lasciare la parola a chi di storia
ne mastica quotidianamente, le/gli storiche/ci, come ci ricordano i Wu Ming
proprio oggi, riprendendo un appello del 2007, quando un altro Ministro alleato del Partito “Democratico”, l’allora Ministro della Giustizia (nientemeno), Clemente Mastella, voleva fare una legge analoga a quella che presto
verrà presentata alle Camere:
Contro il negazionismo, per la libertà della ricerca storica
Il Ministro della Giustizia Mastella,
secondo quanto anticipato dai media,
proporrà
un
disegno
di
legge
che
dovrebbe prevedere la condanna, e anche
la reclusione, per chi neghi l’esistenza
storica della Shoah. Il governo Prodi
dovrebbe presentare questo progetto di
legge il giorno della memoria.
Come storici e come cittadini siamo
sinceramente preoccupati che si cerchi
di affrontare e risolvere un problema
culturale e sociale certamente rilevante
(il negazionismo e il suo possibile
diffondersi soprattutto tra i giovani)
attraverso la pratica giudiziaria e la
minaccia
di
reclusione
Proprio
negli
e
ultimi
condanna.
tempi,
il
negazionismo è stato troppo spesso al
centro
dell’attenzione
dei
media,
moltiplicandone inevitabilmente e in
modo controproducente l’eco.
Sostituire a una necessaria battaglia
culturale, a una pratica educativa, e
alla tensione morale necessarie per fare
diventare
coscienza
comune
e
consapevolezza etica introiettata la
verità
storica
della
Shoah,
una
soluzione basata sulla minaccia della
legge,
ci
sembra
particolarmente
pericoloso per diversi ordini di motivi:
1) si offre ai negazionisti, com’è già
avvenuto, la possibilità di ergersi a
difensori della libertà d’espressione,
le cui posizioni ci si rifiuterebbe di
contestare
e
smontare
sanzionandole
penalmente.
2) si stabilisce una verità di Stato in
fatto di passato storico, che rischia di
delegittimare
quella
stessa
verità
storica, invece di ottenere il risultato
opposto sperato. Ogni verità imposta
dall’autorità statale (l’“antifascismo”
nella DDR, il socialismo nei regimi
comunisti, il negazionismo del genocidio
armeno in Turchia, l’inesistenza di
piazza Tiananmen in Cina) non può che
minare la fiducia nel libero confronto
di posizioni e nella libera ricerca
storiografica e intellettuale.
3) si accentua l’idea, assai discussa
anche tra gli storici, della “unicità
della Shoah”, non in quanto evento
singolare, ma in quanto incommensurabile
e non confrontabile con ogni altro
evento storico, ponendolo di fatto al di
fuori della storia o al vertice di una
presunta classifica dei mali assoluti
del mondo contemporaneo.
L’Italia, che ha ancora tanti silenzi e
tante omissioni sul proprio passato
coloniale,
dovrebbe
impegnarsi
a
favorire con ogni mezzo che la storia
recente e i suoi crimini tornino a far
parte
della
coscienza
collettiva,
attraverso le più diverse iniziative e
campagne educative.
La strada della verità storica di Stato
non ci sembra utile per contrastare
fenomeni,
molto
spesso
collegati
a
dichiarazioni negazioniste (e certamente
pericolosi e gravi), di incitazione alla
violenza,
all’odio
razziale,
all’apologia
di
reati
ripugnanti
e
offensivi per l’umanità; per i quali
esistono già, nel nostro ordinamento,
articoli
di
legge
sufficienti
a
perseguire i comportamenti criminali che
si
dovessero
manifestare
su
questo
terreno.
È la società civile, attraverso una
costante battaglia culturale, etica e
politica, che può creare gli unici
anticorpi capaci di estirpare o almeno
ridimensionare
ed
emarginare
le
posizioni negazioniste. Che lo Stato
aiuti
la
società
civile,
senza
sostituirsi ad essa con una legge che
rischia di essere inutile o, peggio,
controproducente.
22 gennaio 2007
Marcello Flores, Università di Siena
Simon
Levis
Sullam,
University
of
California, Berkeley
Enzo Traverso, Università de Picardie
Jules Verne
David Bidussa, Fondazione Giangiacomo
Feltrinelli
Bruno Bongiovanni, Università di Torino
Simona Colarizi, Università di Roma La
Sapienza
Gustavo Corni, Università di Trento
Alberto
De
Bernardi,
Università
di
Bologna
Tommaso Detti, Università di Siena
Anna Rossi Doria, Università di Roma Tor
Vergata
Maria Ferretti, Università della Tuscia
Paul Ginsborg, Università di Firenze
Carlo
Ginzburg,
Scuola
Normale
Superiore, Pisa
Giovanni Gozzini, Università di Siena
Andrea Graziosi, Università di Napoli
Federico II
Mario Isnenghi, Università di Venezia
Fabio Levi, Università di Torino
Giovanni Levi, Università di Venezia
Sergio Luzzatto, Università di Torino
Paolo
Macry,
Università
di
Napoli
Federico II
Giovanni Miccoli, Università di Trieste
Claudio Pavone, storico
Paolo Pezzino, Università di Pisa
Alessandro Portelli, Università di Roma
La Sapienza
Gabriele Ranzato, Università di Pisa
Raffaele Romanelli, Università di Roma
La Sapienza
Mariuccia Salvati, Università di Bologna
Stuart Woolf, Istituto Universitario
Europeo, Firenze