La fine della democrazia: un esempio pratico,La fine

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La fine della democrazia: un esempio pratico,La fine
La fine della democrazia: un
esempio pratico
Sabato scorso si è tenuta a Roma una grande manifestazione – pare partecipata da 100.000 persone – dei movimenti extraparlamentari italiani, che sono
scesi in piazza per protestare contro le politiche sociali ed economiche
del governo italiano.
Come sempre accade in questi casi, almeno dal 2001 in poi, sulla stampa
nazionale – con rarissime ed ininfluenti eccezioni – si è scatenata il solito bailamme atto a costruire un clima di panico sociale: quindi “arrivano i
“black bloc”, i “giovani violenti”, “Attila”, “gli Unni”, “il sacco di Roma” e via discorrendo.
Un clima, però, che non ha senso se, a livello istituzionale, non si agisce
di conseguenza. Ecco, perciò, che a Roma vengono piazzati 1000 uomini e
donne delle forze dell’ordine e si predispongono posti di blocco – veri e
propri check point – tutt’intorno alla città, sul modello della Val Susa,
con una vera e propria militarizzazione.
Una militarizzazione ed un clima che si concretizza nei giorni precedenti
al manifestazione:
venerdì 18, mentre per le strade della città si svolge il pacifico corteo
dei sindacati di base,
un gruppo di giovani attivisti romani volantina nel
mercato che si svolge al Pigneto, popolare quartiere romano. Arrivano i polizia e carabinieri che, senza alcun motivo, caricano i presenti, attivisti,
commercianti e clienti del mercato.
Vedi
http://radio.rcdc.it/archives/polizia-e-carabinieri-al-mercato-del-pigneto126357/ per la cronaca di questa assurda mattinata.
Si arriva a sabato con, come si diceva prima, la città militarizzata e circondata dai check point. Ecco il racconto di quel che è successo ad un gruppo di attivisti fiorentini:
In uno dei tanti controlli viene fermata
una macchina con a bordo cinque persone
provenienti da Firenze. La pattuglia
della
stradale
spiega
che
devono
controllare “per ordini dall’alto” i
loro nomi e confrontarli con una specie
di lista degli indesiderati compilata in
base alle segnalazioni di tutte le
questure
d’Italia.
malcapitati
sfortuna
hanno
di
Questi
cinque
il
piacere
essere
attivi
e
la
sia
all’interno del Csa nEXt Emerson, sia
nel Movimento di lotta per la casa di
Firenze,
e
in
generale
di
essere
conosciuti nell’ambiente delle realtà
autorganizzate
cittadine.
Sono
così
scortati presso un commissariato, nel
quale verranno trattenuti fino a tarda
notte. Per giustificare l’operazione
vengono sequestrati i pochi oggetti nel
bagagliaio, non associabili però ad
alcun tipo di reato. Infine a beneficio
dei
media
e
delle
statistiche
ministeriali sugli interventi preventivi
effettuati viene notificato a ciascuno
un foglio di via per tre anni da Roma.
Una di loro avrebbe anche dovuto essere
nella capitale per lavoro il lunedì
successivo, cosa che evidentemente non
e’ potuta accadere.
Quindi, per sintetizzare, è stato impedito a cinque cittadini italiani di
manifestare il proprio pensiero – attività che, fino a prova contraria – è
tutelata espressamente dalla Costituzione italiana, NON perché hanno fatto
qualcosa, ma perché un funzionario di polizia – NON un magistrato – ha deciso, autonomamente, che loro, in base alla loro storia politica – NON giudiziaria – potevano IN TEORIA essere un pericolo per l’ordine pubblico.
Quindi NON solo li ha allontanati, ma gli ha pure vietato di tornare a Roma
per i successivi 3 anni. La stessa cosa è successo a dei giovani attivisti
napoletani e ad un gruppo di attivisti francesi.
Come è stata passata la cosa dai media nazionali?
Corteo degli antagonisti, fermati ed espulsi cinque black bloc francesi,
Corriere della Sera;
Cortei Roma, è allarme: fermati 5 black bloc francesi, il Messaggero;
Roma, foglio di via a quattro anarchici trentini, l’Adige
E si potrebbe continuare a lungo. Ma ridiamo la parola agli attivisti, per
le conclusioni:
Il foglio di via e’ una misura
arbitraria che non richiede alcun
processo, ma viene decisa da un semplice
funzionario, senza aver commesso alcun
tipo di reato: basta uno sguardo
sbagliato, una parola di troppo, la
frequentazione di ambienti non graditi
alla questura. In questi casi si tratta
di un vero e proprio daspo politico,
neppure troppo diverso
dall’accompagnamento al confino degli
elementi scomodi tanto caro al
ventennio.
Queste pesanti misure preventive si
inseriscono all’interno di un clima di
allarme e di intimidazione neppure
troppo velata nei confronti dei
manifestanti. Trovare gli autobus per
Roma diviene cosi’ una sorta di via
crucis, dal momento che le agenzie di
noleggio erano state preventivamente
“sconsigliate” dall’affittare mezzi per
la trasferta. Alle uscite
dell’autostrada gli autobus vengono
fermati e perquisiti: l’arrivo al corteo
e’ un percorso ad ostacoli
Il giochino ha funzionato fino ad un certo punto: in piazza sono comunque
arrivate migliaia di persone, mandando nel pallone la comunicazione mainstream, che pur di inventarsi scontri e problemi di ordine pubblico sono arrivati ad inventarsi cose MAI successe.
Ma alle persone cosa è arrivato? A chi a Roma non c’era, che informazione è
arrivata? Cosa sappiamo, noi che non eravamo a Roma, di quello che è successo?
Mi chiedo, non retoricamente: ma siamo sicuri che questa in cui viviamo possa sinceramente chiamarsi Democrazia?
La fine della democrazia:
per legge
Claudia Cernigoi
– Operazione
Foibe
Capita che un partito che ha nel nome il termine “Democratico” e che tragga
la
sua storia da quella di un partito che nacque per l’emancipazione e la
libertà delle classi subalterne, nello specifico il Partito Comunista
Italiano, quello di Gramsci per intenderci; capita, dicevo, che questo partito faccia passare due leggi, nel giro di pochi giorni, che – di fatto –
danno un colpo se non definitivo sicuramente serissimo alla categoria stessa di “democrazia” a cui eravamo abituati fin’ora.
Il principale artefice di tanto successo è il migliore alleato di questo
partito, si chiama Alfano ed è Ministro degli Interni, nonché (se non ricordo male) Segretario del PDL, il partito di Silvio Berlusconi.
La prima legge in questione è quella cosiddetta su femminicidio. Leggiamo
cosa dice il manifesto, da cui traggo queste informazioni:
Chi viola il divieto di entrare in siti
protetti da interesse militare dello
Stato è punito con detenzione da tre
mesi a un anno. Era così da tempo, a
norma di art. 682 del Codice penale. Ma
solo da pochi giorni il divieto, e la
pena, si estendono a qualsiasi sito o
edificio sia in quel momento considerato
off limits «per ragioni di sicurezza
pubblica». Non è un nuovo pacchetto
ordine
pubblico.
femminicidio,
È
quella
la
legge
salutata
sul
come
conquista di libertà e di civiltà.
È
la
stessa
legge
che
moltiplica
l’impegno dell’esercito a protezione
degli impianti Tav della val di Susa,
equiparati chissà come a una donna in
pericolo. O che, con una serie di salti
mortali fatta apposta per rendere oscuro
il testo, prima equipara di fatto alla
rapina l’ingresso in luoghi come i
cantieri Tav, poi dispone una maxi
aggravante se il fattaccio avviene in
presenza di minori, inclusi quelli che
manifestano e magari anche il reprobo in
questione.
La legge sul femminicidio è discutibile
anche nella sua prima parte, quella
propriamente detta. La seconda parte,
fortemente voluta dal ministro Alfano,
nuovo idolo del centrosinistra, campione
della bella destra che il Pd ha sempre
sognato, sarebbe più onesto definirla
legge «anti No Tav». A Montecitorio, tra
i piddini che hanno votato la legge
senza fingere anche con se stessi di non
sapere di cosa si trattava, c’è chi
racconta che lo stesso Alfano volesse la
legge in tempi così contingentati per
averla pronta il 19 ottobre. Come gli
chiedevano, e anzi gli intimava, il
Siap, Sindacato di polizia dei reparti
mobili, in un comunicato diramato pochi
giorni
prima
decreto.
Le
dell’approvazione
giornate
dal
17
al
del
19
ottobre a Roma venivano definite come
«il nuovo G8». Il testo lamentava quindi
il fatto che «con le attuali leggi chi
sarà
incriminato
saranno
solo
i
poliziotti che sconteranno tutte le
pene, e non i «terroristi delle piazze».
Profetizzava poi lo «sfruttamento», da
parte
dei
manifestanti,
della
«stanchezza psico-fisica dei “celerini”,
aggredendoli
solo
dopo
le
“solite
dieci/dodici ore” di servizio, così da
potere avere quelle reazioni di difesa,
appesantite da un eccessivo stress, che
possano dar loro tanta visibilità» E se
a qualcuno la frasetta pare minacciosa,
si vede che soffre di acuta paranoia. Il
comunicato concludeva invocando nuove
leggi. Arrivate a stretto giro.
Il femminicidio, in questo caso, è stato
adoperato come alibi e strumento di
facile
ricatto.
Come
ci
si
poteva
sottrarre a una legge che contrasta uno
dei
reati
effetti,
più
anche
odiosi
chi
e
odiati?
voleva
In
bocciare
questo nuovo «pacchetto sicurezza »
travestito,
lo
ha
comprensibilmente
fatto, al Senato, sottraendosi al voto
invece
che
adottata
votando
da
Sel,
contro,
M5S
e
scelta
Lega.
Soprattutto, il ricatto ha funzionato a
livello mediatico, con tutti i fari
puntati sulla prima parte del decreto e
il resto coperto da una comoda oscurità.
La stragrande maggioranza, delle forze
politiche, peraltro, ha votato senza
esitare. Così nella stessa settimana, si
sono moltiplicati segnali che dovrebbero
inquietare i democratici ben più della
sorte
semicarceraria
Berlusconi.
La
levata
di
di
Silvio
scudi
di
Grillo, uno che capta gli umori popolari
al volo, contro l’abolizione del reato
di clandestinità. Il successivo blog del
medesimo in cui, titillando di nuovo
l’ideologia del bar, spiegava che in
questo Paese tutti si preoccupano dei
diritti
delle
minoranze
ma
alla
maggioranza non ci pensa nessuno. La
sortita di Matteo Renzi, un altro che sa
compiacere la pancia di un elettorato
gonfio di risentimento e rancore, contro
l’amnistia e indulto, messi addirittura
in contrasto secco con «la legalità».
Forse è vero che stiamo uscendo dal
berlusconismo.
Ma
non
è
detto
che
l’orizzonte che si sta profilando sia
migliore. Anzi.
Quindi, ricapitolando: chi, durante una manifestazione di protesta, entra
in siti protetti da interesse militare dello Stato, o in qualsiasi sito o
edificio che sia in quel momento considerato off limits «per ragioni di sicurezza pubblica» sarà punito con detenzione da tre mesi ad un anno. Chi lo
decide che siti o edifici hanno quelle caratteristiche? Lo Stato stesso, arbitrariamente. Quindi zitti e mosca, se protesti occhio che finisci al gabbio dai tre mesi all’anno.
La seconda NON è ancora legge, ma poco ci manca. Leggiamo cosa scrive Il
Piccolo di Trieste:
Chi negherà il dramma delle Foibe, così
come la Shoah, rischierà oltre 7 anni di
carcere. Lo prevede la nuova norma anti
negazionismo approvata dalla Commissione
Giustizia del Senato, che ora dovrà
essere esaminata dall’aula. Chi istiga o
fa apologia relativa a «delitti di
terrorismo,
crimini
di
genocidio,
crimini contro l’umanità o crimini di
guerra, la pena è aumentata della metà.
La stessa pena si applica a chi nega
l’esistenza di crimini di genocidio o
contro
l’umanità».
Poche
righe
che
vengono associate comunemente alla Shoah
ma che vanno a coinvolgere anche altre
realtà. Foibe comprese.
Per chi non l’ha capito si tratta di reato d’opinione. Se pensi – chessò –
che quella delle Foibe è una panzana e lo scrivi, per dire, su un blog –
come questo per esempio – rischi 7 anni di galera. Che poi, per restare sull’esempio, sulle Foibe il dibattito storiografico sia ancora aperto, pazienza: la verità di Stato© è indiscutibile, e se la discuti vai al gabbio,
come sopra. A questo punto è meglio se, sempre per esempio, Claudia Cernigoi sta attenta: in quanto autrice di parecchi libri sulle Foibe – libri
non in linea con la verità di Stato© – rischia seriamente di finire in
galera.
Su questo punto non posso fare a meno di lasciare la parola a chi di storia
ne mastica quotidianamente, le/gli storiche/ci, come ci ricordano i Wu Ming
proprio oggi, riprendendo un appello del 2007, quando un altro Ministro alleato del Partito “Democratico”, l’allora Ministro della Giustizia (nientemeno), Clemente Mastella, voleva fare una legge analoga a quella che presto
verrà presentata alle Camere:
Contro il negazionismo, per la libertà della ricerca storica
Il Ministro della Giustizia Mastella,
secondo quanto anticipato dai media,
proporrà
un
disegno
di
legge
che
dovrebbe prevedere la condanna, e anche
la reclusione, per chi neghi l’esistenza
storica della Shoah. Il governo Prodi
dovrebbe presentare questo progetto di
legge il giorno della memoria.
Come storici e come cittadini siamo
sinceramente preoccupati che si cerchi
di affrontare e risolvere un problema
culturale e sociale certamente rilevante
(il negazionismo e il suo possibile
diffondersi soprattutto tra i giovani)
attraverso la pratica giudiziaria e la
minaccia
di
reclusione
e
condanna.
Proprio
negli
ultimi
tempi,
il
negazionismo è stato troppo spesso al
centro
dell’attenzione
dei
media,
moltiplicandone inevitabilmente e in
modo controproducente l’eco.
Sostituire a una necessaria battaglia
culturale, a una pratica educativa, e
alla tensione morale necessarie per fare
diventare
coscienza
comune
e
consapevolezza etica introiettata la
verità
storica
della
Shoah,
una
soluzione basata sulla minaccia della
legge,
ci
sembra
particolarmente
pericoloso per diversi ordini di motivi:
1) si offre ai negazionisti, com’è già
avvenuto, la possibilità di ergersi a
difensori della libertà d’espressione,
le cui posizioni ci si rifiuterebbe di
contestare
penalmente.
e
smontare
sanzionandole
2) si stabilisce una verità di Stato in
fatto di passato storico, che rischia di
delegittimare
quella
stessa
verità
storica, invece di ottenere il risultato
opposto sperato. Ogni verità imposta
dall’autorità statale (l’“antifascismo”
nella DDR, il socialismo nei regimi
comunisti, il negazionismo del genocidio
armeno in Turchia, l’inesistenza di
piazza Tiananmen in Cina) non può che
minare la fiducia nel libero confronto
di posizioni e nella libera ricerca
storiografica e intellettuale.
3) si accentua l’idea, assai discussa
anche tra gli storici, della “unicità
della Shoah”, non in quanto evento
singolare, ma in quanto incommensurabile
e non confrontabile con ogni altro
evento storico, ponendolo di fatto al di
fuori della storia o al vertice di una
presunta classifica dei mali assoluti
del mondo contemporaneo.
L’Italia, che ha ancora tanti silenzi e
tante omissioni sul proprio passato
coloniale,
dovrebbe
impegnarsi
a
favorire con ogni mezzo che la storia
recente e i suoi crimini tornino a far
parte
della
coscienza
collettiva,
attraverso le più diverse iniziative e
campagne educative.
La strada della verità storica di Stato
non ci sembra utile per contrastare
fenomeni,
molto
spesso
collegati
a
dichiarazioni negazioniste (e certamente
pericolosi e gravi), di incitazione alla
violenza,
all’odio
all’apologia
di
reati
razziale,
ripugnanti
e
offensivi per l’umanità; per i quali
esistono già, nel nostro ordinamento,
articoli
di
legge
sufficienti
a
perseguire i comportamenti criminali che
si
dovessero
manifestare
su
questo
terreno.
È la società civile, attraverso una
costante battaglia culturale, etica e
politica, che può creare gli unici
anticorpi capaci di estirpare o almeno
ridimensionare
ed
emarginare
le
posizioni negazioniste. Che lo Stato
aiuti
la
società
civile,
senza
sostituirsi ad essa con una legge che
rischia di essere inutile o, peggio,
controproducente.
22 gennaio 2007
Marcello Flores, Università di Siena
Simon
Levis
Sullam,
University
of
California, Berkeley
Enzo Traverso, Università de Picardie
Jules Verne
David Bidussa, Fondazione Giangiacomo
Feltrinelli
Bruno Bongiovanni, Università di Torino
Simona Colarizi, Università di Roma La
Sapienza
Gustavo Corni, Università di Trento
Alberto
De
Bernardi,
Università
di
Bologna
Tommaso Detti, Università di Siena
Anna Rossi Doria, Università di Roma Tor
Vergata
Maria Ferretti, Università della Tuscia
Paul Ginsborg, Università di Firenze
Carlo
Ginzburg,
Scuola
Normale
Superiore, Pisa
Giovanni Gozzini, Università di Siena
Andrea Graziosi, Università di Napoli
Federico II
Mario Isnenghi, Università di Venezia
Fabio Levi, Università di Torino
Giovanni Levi, Università di Venezia
Sergio Luzzatto, Università di Torino
Paolo
Macry,
Università
di
Napoli
Federico II
Giovanni Miccoli, Università di Trieste
Claudio Pavone, storico
Paolo Pezzino, Università di Pisa
Alessandro Portelli, Università di Roma
La Sapienza
Gabriele Ranzato, Università di Pisa
Raffaele Romanelli, Università di Roma
La Sapienza
Mariuccia Salvati, Università di Bologna
Stuart Woolf, Istituto Universitario
Europeo, Firenze