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La responsabilità sociale d’impresa:
strategia per l’impresa relazionale
e innovazione per la sostenibilità
FRANCESCO PERRINI* ANTONIO TENCATI**
Abstract
La Corporate Social Responsibility (CSR) è un concetto fortemente dibattuto e
variamente definito. Nella prospettiva adottata in questo articolo la CSR è intesa come un
nuovo approccio strategico alla gestione d’impresa, ossia come innovazione per la
sostenibilità dell’azienda e dello stakeholder network in cui questa è inserita. Una tale
impostazione cerca di cogliere le ampie e importanti implicazioni, a volte non pienamente
comprese, che la responsabilità sociale ha per la teoria e la pratica d’impresa.
Parole chiave: responsabilità sociale d’impresa, strategia, impresa relazionale, innovazione,
sostenibilità, stakeholder network, values creation, multiple bottom line
Corporate Social Responsibility (CSR) is a strongly debated and still ambiguous concept.
In this article we define CSR as a new strategic approach to management, that is, as
innovation for the sustainability of the firm and of the network of which the firm itself is a
member. This perspective tries to point out the important−and sometimes not completely
understood-implications that the CSR construct has for the theory of the firm and for business
practice.
Key words: Corporate Social Responsibility, strategy, relational view of the firm, innovation,
sustainability, stakeholder network, values creation, multiple bottom line
1. La responsabilità sociale d’impresa tra strategia, relazioni e value(s)
creation
Perché si parla tanto di Corporate Social Responsibility (CSR) ed è un
argomento così dibattuto in un confronto, che coinvolge Università, imprese,
soggetti pubblici e società civile?
*
**
Straordinario di Economia e Gestione delle Imprese - Università Bocconi
e-mail: [email protected]
Ricercatore di Economia e Gestione delle Imprese - Università Bocconi
e-mail: [email protected]
sinergie n. 77/08
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LA RESPONSABILITÀ SOCIALE D’IMPRESA
In realtà, se si analizza l’evoluzione di questa discussione soprattutto in Italia, si
può arrivare alla conclusione che spesso se ne parli per le ragioni sbagliate: questo
scritto vuole essere un tributo alla chiarezza.
Il ragionamento può allora partire da ciò che è, per noi, la responsabilità sociale
d’impresa. Nella nostra prospettiva, per CSR si intende un nuovo approccio
strategico alla gestione d’impresa, basato su una visione relazionale della stessa
(Perrini, Tencati, 2008). E’, in sintesi, innovazione per la sostenibilità dell’azienda
(corporate sustainability) e dello stakeholder network in cui questa è inserita.
Nell’attuale contesto sociale, ancor prima che economico, ogni organizzazione
ha bisogno di legittimazione e consenso per poter operare (Coda, 1988). Questo non
vale solo per le imprese, ma anche per la realtà politico-istituzionale, per la Pubblica
Amministrazione, per lo stesso Terzo Settore. Non esistono più soggetti che
traggono da se stessi la propria “licenza ad operare” (Tencati, Perrini, 2006), ma
ogni istituzione è parte di un network più ampio di relazioni da cui ottiene le ragioni
e le risorse per la propria esistenza e il proprio sviluppo.
Un buon esempio, al proposito, viene dalla crisi di rappresentanza dei modelli
politici tradizionali (Albareda, Tencati, Lozano, Perrini, 2006; Barnes, 2007;
Latouche, 2007, pp. 172-178; Scherer, Palazzo, 2007). L’esperienza dei bilanci
partecipati, le nuove forme di accountability e di coinvolgimento dei cittadini (dai
Forum per la realizzazione delle Agende 21 Locali, ai bilanci sociali, ambientali o di
sostenibilità applicati agli enti pubblici, ai Tavoli per la pianificazione strategica
territoriale, ai differenti modelli concertativi), che riguardano ormai tutti i sistemi
democratici tradizionali (Pieroni, Ziparo, 2007), costituiscono indicazioni chiare
della centralità delle relazioni come nuovo asset strategico per il successo e la
sopravvivenza duratura delle organizzazioni.
Le ragioni per questa evoluzione sono molteplici, ma certo la pervasività
dell’informazione come key factor dell’attuale paradigma tecno-economico è
l’elemento cruciale per leggere la condizione presente (Grando, Vicari, Verona,
2006). Non esistono più centri decisionali autonomi, estranei allo scrutinio dei
cittadini in quanto consumatori, clienti, elettori, collaboratori, fornitori, membri di
una comunità o di un gruppo di interessi, ecc. L’informazione è a disposizione di
tutti e tutti possono esercitare, in forme e in momenti diversi, il proprio diritto di
voto.
A questo processo non può essere estranea l’impresa, istituto sociale per
eccellenza. L’impresa affonda le sue radici nella società e, senza ripercorrere
l’analisi weberiana (Weber, 1991), ma focalizzando l’attenzione sulla realtà italiana,
l’interazione impresa-società è, ad esempio, alla base del modello imprenditoriale
della Terza Italia (Brusco, 1989), del successo delle piccole e medie imprese (PMI)
organizzate, in prevalenza, in distretti, in cluster, in sistemi territoriali (Becattini,
1987; Porter, 2001).
Ciò che noi vorremmo sottolineare è che quanto vale per le PMI è sempre più
applicabile ed evidente anche per le big corporation, per le grandi imprese
transnazionali. Se, in precedenza, l’impresa globale poteva ignorare o gestire in via
residuale i problemi generati dalle interazioni con le differenti comunità locali in cui
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operava, adesso e ancora di più in futuro le reti di informazione (da Internet ai mass
media) consentono di rendere una crisi puntuale un fenomeno di scala planetaria con
effetti dirompenti, e in alcuni casi addirittura esiziali, sulle relazioni dell’impresa
con i differenti mercati e i diversi stakeholder.
Il concetto di capitale sociale, ossia “l’insieme delle relazioni attive tra individui
ispirate ai principi della fiducia, comprensione reciproca, e valori e comportamenti
condivisi” (Lipparini, 2002, p. 30), alla base dei modelli imprenditoriali locali, è
sempre più in grado di spiegare il successo o la caduta delle grandi imprese.
In sintesi, se l’obiettivo finale dell’impresa è creare valore, i processi sottostanti
devono essere sostenibili, ossia durevoli nel tempo in quanto capaci di coinvolgere e
remunerare i vari stakeholder, che apportano risorse funzionali al successo duraturo
dell’organizzazione. Questo significa che tali processi devono valorizzare e
consolidare le relazioni, assicurandone la sostenibilità. Pertanto, la sostenibilità
dell’impresa dipende dalla sostenibilità delle sue relazioni con i differenti portatori
d’interessi.
Dunque, valore sostenibile per relazioni sostenibili. Ecco perché si parla di
stakeholder value (Figge, Schaltegger, 2000; Freeman, Harrison, Wicks, 2007), che
può assumere diverse forme1:
− adeguata remunerazione per soci e azionisti, garantita da un’attenta gestione del
profilo di rischio e associata a modelli di governo dell’impresa, che sappiano
coniugare efficienza con trasparenza, pluralità e tutela delle minoranze (Goldman
Sachs, 2006; AA.VV., 2008);
− migliori ed appaganti condizioni di lavoro per i collaboratori, che ne esaltino
skill e capabilities ed assicurino un ambiente organizzativo improntato a valori
alti e condivisi (protezione e promozione della persona e della sua integrità,
Sciarelli, 2007);
− sistemi d’offerta innovativi in grado di soddisfare appieno le esigenze, esplicite o
inespresse, della clientela (Pivato, Misani, Tencati, 2008);
− knowledge sharing e comakership con i fornitori per assicurare rapporti fondati
non su una logica di competizione, ma di co-evoluzione (Valdani, 1997);
− relazioni chiare e trasparenti con i partner finanziari (in particolare, banche e
assicurazioni);
− corretto e responsabile tax paying e collaborazione alle dinamiche di governo dei
processi di crescita in ambito locale e nazionale per ciò che riguarda lo Stato, gli
enti locali e la pubblica amministrazione in genere;
− ruolo propulsivo e innovativo nella (o nelle) comunità, da parte dell’impresa, in
quanto vero e proprio motore di sviluppo e luogo d’innovazione, pure in termini
sociali, con l’implementazione di processi ampi di accountability e stakeholder
engagement (Grayson, Dodd, 2007);
− attenzione all’ambiente (e ai diritti delle generazioni future) grazie a pratiche
1
Si può perciò ragionare in termini di values creation per l’intero sistema di stakeholder
(Tencati, Zsolnai, 2008).
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LA RESPONSABILITÀ SOCIALE D’IMPRESA
sostenibili orientate alla piena tutela delle risorse naturali (tra cui alcuni
fondamentali beni comuni, come l’acqua, l’aria, il suolo) attraverso una
minimizzazione dell’impronta ecologica complessiva e la capacità di lavorare in
chiave sistemica (chiusura, from cradle to cradle, dei cicli di trasformazione - di
produzione e consumo: Kelly, 1994; Hawken, Lovins, Lovins, 1999;
McDonough, Braungart, 2002).
In questa stakeholder/relational view l’impresa assume una connotazione estesa
che va oltre la costruzione tolemaica con l’organizzazione al centro del sistema, per
abbracciare, con una rivoluzione copernicana (Lozano, 2005), l’intero stakeholder
newtwork in un’innovativa articolazione a rete, di cui l’azienda è solo uno dei
possibili attori.
Nell’ottica delineata, il tradizionale paradigma industriale (Porter, 1980), la
resource-based view (Barney, 1986), lo stesso approccio relazionale orientato ai soli
linkages con i business partner (Dyer, Singh, 1998) e la logica socio-istituzionale
(Bruni, Zamagni, 2004) sono integrati in una visione più ampia, che vede nelle
stakeholder relationship le risorse strategiche fondamentali per il successo
dell’impresa (Lenssen, Perrini, Tencati, Lacy, 2007).
Se, nella definizione avanzata dalla UE, alla base del modello europeo di
responsabilità sociale, la CSR è “l’integrazione, su base volontaria, da parte delle
imprese, delle istanze sociali e ambientali nelle loro attività e nell’interazione con
gli stakeholder” (Commissione delle Comunità Europee, 2001, 2002, 2006), ecco
che, alla luce delle riflessioni svolte sin qui, la CSR diviene orientamento strategico
cruciale per gestire l’azienda. L’idea di fondo è che la sopravvivenza duratura della
stessa sia legata ad una duplice capacità: da un lato, attrarre, attraverso il proprio
sistema d’offerta complessivo, le risorse migliori per garantire continuità e sviluppo
alle attività; dall’altro, rispondere alle attese dei vari portatori d’interessi in maniera
coerente e consapevole, costruendo e rafforzando relazioni di mutua fiducia e
supporto.
La responsabilità, dunque, non si esaurisce in un rapporto di tipo utilitaristico
(Bowie, 1999), ma comporta la necessità di tenere in considerazione e far fronte
anche a quelle richieste provenienti da attori all’apparenza non critici, nella
convinzione che ogni relazione sia importante (Donaldson, Preston, 1995). Infatti,
ogni relazione con gli stakeholder può divenire saliente (Mitchell, Agle, Wood,
1997) in funzione del tempo e del tema da affrontare (Post, Preston, Sachs, 2002a,
2002b). Si tratta di una sorta di contratto sociale ampio (Donaldson, Dunfee, 1999),
in cui gli obblighi dell’impresa come membro di una comunità si estendono oltre i
tradizionali boundaries secondo una prospettiva di sistema aperto, a rete.
L’approccio strategico alla gestione d’impresa costituito da questa CSR
relazionale implica e richiede innovazione: innovazione al fine di rendere la value
proposition attrattiva per i portatori d’interessi e innovazione nella definizione e nel
consolidamento della stakeholder relationship. Innovazione, quindi, non solo di tipo
hardware/tecnologico, ma anche e soprattutto a livello software/organizzativomanageriale (Sterling, 2006). Sono, infatti, necessarie nuove forme di stakeholder
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engagement e di coinvolgimento (Stakeholder Research Associates Canada, United
Nations Environment Programme, AccountAbility, 2005; AccountAbility, United
Nations Environment Programme, Stakeholder Research Associates Canada, 2005),
orientate alla interazione partecipativa e alla collaborazione (Koblas, 2007), per
rafforzare gli intangible assets di conoscenza e fiducia (Vicari, 1995; Ghoshal,
Bartlett, 1997; Pozza, 1999; Vicari, Bertoli, Busacca, 2000; Lev, 2001; Castaldo,
2002), funzionali alla sostenibilità dell’intero set di relazioni e dell’impresa nel suo
complesso.
2. Cosa non è la CSR
L’estesa relational view of the firm appena presentata, che va ben oltre l’arena
competitiva, è e sarà sempre più il modello d’impresa necessario per affrontare le
mutate e sfidanti condizioni di contesto. Il mancato riconoscimento di questo
radicale cambiamento di prospettiva ha esposto numerose imprese (tra cui: Nestlé,
General Motors, Levi Strauss and Co., Gap, Shell, Nike, Reebok, McDonald’s,
Monsanto, Danone, Triumph, Del Monte, Starbucks, Coca-Cola, le Big Pharmas,
Microsoft, Mattel, Apple) di Paesi e settori diversi, a differenti tipi di rischi e
minacce (Klein, 2000; Hertz, 2001; Bandura, Caprara, Zsolnai, 2002; Bakan, 2004;
Rampini, 2007a, 2007b; Fabris, 2008):
−
−
−
−
crisi nella filiera di fornitura con pesanti impatti a valle nei mercati di sbocco;
proteste e perdite di consenso nelle comunità in cui operano;
campagne di boicottaggio realizzate dai consumatori finali;
valutazioni negative da parte della comunità finanziaria, con riduzione del
shareholder market value e conseguente lack of trust da parte degli investitori2;
− rilevanti liability sul fronte ambientale.
I manager di queste imprese hanno così dovuto cambiare le loro scelte
strategiche sotto la pressione di specifici gruppi di stakeholder e l’incapacità di
prevedere e identificare le richieste, anche implicite, dei vari portatori d’interessi ha
comportato, in alcuni casi, significative ripercussioni sulla reputazione
dell’organizzazione e sulle sue potenzialità di sviluppo.
La responsabilità sociale non consiste, quindi, in una moda effimera e
passeggera. Viene, perciò, proposto, non un approccio riduttivo alla responsabilità
sociale, ma estensivo, in cui la CSR:
− non risponde ad una logica add-on;
− non è filantropia (Friedman, 1962, pp. 133-136; Friedman, 1970; Porter, Kramer,
2002);
2
In tal senso, possono contribuire, spesso in maniera decisiva, gli operatori appartenenti al
sempre più importante comparto del Socially Responsible Investing.
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LA RESPONSABILITÀ SOCIALE D’IMPRESA
− non è un ambito residuale dell’attività d’impresa che si possa esternalizzare,
affidandolo, in particolare, al non-profit (Fiorentini, 2006);
− non può essere intesa unicamente come social entrepreneurship (Perrini, 2006b);
− non può essere limitata a tool e sistemi di gestione in chiave meramente
funzionale.
2.1 Non risponde ad una logica add-on
Nei contributi di Porter e Kramer (2002, 2006) la responsabilità sociale sembra
essere solo un elemento aggiuntivo all’interno delle strutture interpretative e
comportamentali tradizionali. Infatti, non è correlata a un profondo cambiamento
nell’assetto valoriale, nella prospettiva d’analisi e nell’orientamento strategico. La
CSR è vista solo come un ulteriore strumento a disposizione dell’impresa per
raggiungere una migliore posizione competitiva: “Not every company can build its
entire value proposition around social issues…, but adding a social dimension to the
value proposition offers a new frontier in competitive positioning” (Porter, Kramer,
2006, p. 91). Ad evidenza, questa impostazione non coglie appieno il portato
radicalmente innovativo della responsabilità sociale, soprattutto a livello delle rules
of the game nella tradizionale arena competitiva.
2.2 Non è filantropia
La responsabilità sociale non può essere ricondotta unicamente all’ambito della
corporate philanthropy. Scrivono Porter e Reinhardt (2007, p. 22), analizzando sotto
il profilo strategico l’emergenza del cambiamento climatico: “Companies that
persist in treating climate change solely as a corporate social responsibility issue,
rather than a business problem, will risk the greatest consequences. Of course, a
company’s climate policies will be affected by stakeholder expectations and
standards for social responsibility. But the effects of climate on companies’
operations are now so tangible and certain that the issue is best addressed with the
tools of the strategist, not the philanthropist”. La responsabilità sociale, in questa
impostazione porteriana, viene perciò considerata un fattore estraneo al business. Se
così fosse, allora Friedman avrebbe ragione nell’affermare che la sola responsabilità
sociale dell’impresa consiste nell’aumentare i suoi profitti (Friedman, 1970).
Ma è il valore strategico della CSR, della capacità relazionale dell’impresa che
non può più essere sottovalutato, proprio in riferimento alla possibilità di creare
ricchezza nel tempo: “The capacity of a firm to generate sustainable wealth over
time, and hence its long-term value, is determined by its relationships with critical
stakeholders” (Post, Preston, Sachs, 2002a, p. 9). Inoltre, “… any stakeholder
relationship may be the most critical one at a particular time or on a particular issue.
The key to solving the core strategic problem is to understand the firm’s entire set of
stakeholder relationships. These relationships are the essential assets that managers
must manage, and they are the ultimate sources of organizational wealth” (Post,
Preston, Sachs, 2002a, p. 8).
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2.3 Non è ambito residuale dell’attività d’impresa
Se la responsabilità sociale è un innovativo approccio strategico alla gestione
d’impresa, questo è, per definizione, sistemico e taglia trasversalmente tutta
l’organizzazione (Golinelli, 2000). Dunque, non è comprimibile in spin-off che
generino imprese sociali non-profit.
E’ stato già sottolineato che la CSR ha una valenza relazionale e collaborativa: le
interazioni tra imprese e Terzo Settore sono, quindi, cruciali, ma non possono
coincidere con l’impegno aziendale per la sostenibilità. Questo riguarda le scelte
strategiche fondanti, la cultura e le strutture organizzative, la complessiva value
proposition: l’impresa deve imparare a progettare, costruire e sviluppare l’insieme
delle relazioni con i differenti stakeholder. La dimensione sociale non si esaurisce
nei rapporti con una sola categoria di interlocutori, anche se in questa interazione
possono essere attivati e realizzati progetti imprenditoriali mirati.
2.4 Non può essere intesa unicamente come social entrepreneurship
Alcuni autori fanno coincidere la responsabilità sociale con la social
entrepreneurship (Brugmann, Prahalad, 2007). In realtà, il tema della CSR non si
applica solo all’imprenditoria a forte valenza sociale, ma ha un significato più
ampio. Tutte le imprese devono tenere conto di un mutato contesto sociale e di
aspettative in forte evoluzione. Inoltre, un’impresa non può essere definita
responsabile solo in virtù delle sue finalità, ma anche e soprattutto per come
persegue i suoi obiettivi.
Alcune iniziative imprenditoriali orientate a servire the bottom of the pyramid
possono essere socialmente importanti, ma appaiono ambientalmente non
sostenibili: i prodotti monodose, ad esempio, comportando modalità di consumo
usa-e-getta, hanno impatti, a livello ecologico, assai elevati. Una valutazione delle
loro performance lungo tutto il ciclo di vita (Life-Cycle Assessment) porterebbe a
risultati assai critici (IDEO, 2006).
Dunque, lo studio delle diverse forme di social entrepreneurship è rilevante ai
nostri fini, in quanto consente di individuare business model innovativi, coerenti con
un ruolo più avanzato e consapevole dell’impresa nella società (Perrini, 2007). Il
fenomeno, però, non esaurisce la CSR e andrebbe esaminato grazie ad una griglia di
lettura più ampia, che potrebbe essere definita sustainable entrepreneurship,
focalizzata su tutte le iniziative imprenditoriali realmente capaci di coniugare
valore economico e valori sociali, ambientali, umani, culturali, ecc.
2.5 Non può essere limitata a sistemi di gestione
La responsabilità sociale va oltre la semplice compliance normativa. Inoltre,
poiché è un orientamento cross-cutting che cambia in profondità le scelte strategiche
aziendali, non può essere trattata come una nuova funzione a prevalente carattere
tecnico. In breve, non può essere limitata a un nuovo sistema di gestione, che si
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LA RESPONSABILITÀ SOCIALE D’IMPRESA
aggiunga agli altri, pur importanti, management system sulla qualità, la gestione
ambientale, l’occupational health and safety, l’ethical sourcing, ecc.
Non a caso, nel percorso di elaborazione di ISO 26000, iniziato nel marzo 2005 e
destinato a concludersi indicativamente entro il 2010, dopo un acceso confronto che
ha condotto ad una soluzione fortemente innovativa, gli esperti provenienti da oltre
settanta Paesi e appartenenti a sei stakeholder group - Consumers; Government;
Industry; Labour; Non-Governmental Organizations (NGOs); Service, Support,
Research and Others - hanno optato per una norma internazionale che fosse una
guidance on social responsibility e non un management system standard.
Scopo di questo strumento, infatti, è aiutare tutte le organizzazioni, e in
particolare quelle piccole e medie, ad affrontare la responsabilità sociale, fornendo
un supporto terminologico, interpretativo, operativo. Un ulteriore sistema di gestione
non solo rischiava di disincentivare tutte le piccole e medie organizzazioni
(governative, non governative, private, pubbliche, a prevalente finalità economica o
sociale), che fondano le proprie attività su meccanismi di funzionamento e relazioni
in prevalenza informali (taciti/impliciti), ma non era nemmeno garanzia univoca di
superiori performance (Cerin, 2004). A questa posizione e al conseguimento di un
coerente orientamento internazionale, in linea anche con le specificità socioeconomiche nazionali, ha contribuito in maniera rilevante la delegazione italiana,
nominata dal Gruppo di Lavoro UNI sulla “Responsabilità Sociale delle
Organizzazioni (RSO)” e a cui abbiamo avuto l’onore di partecipare nei World
Meeting di Salvador (7-11 marzo 2005), Lisbona (15-19 maggio 2006) e Sydney (29
gennaio-2 febbraio 2007).
In sintesi, la responsabilità sociale riguarda le finalità, gli orientamenti e le scelte
di fondo di un’organizzazione e questi non possono essere imposti per legge o
regolati attraverso ulteriori modelli certificativi. Ridurre la multidimensionalità e la
rilevanza strategica della CSR a opportunità per nuovi standard certificabili e nuovi
sistemi di gestione fondati su requisiti minimi4, addirittura rivolti alle piccole e
medie imprese, significa non comprendere la valenza e le implicazioni della
responsabilità sociale e le esigenze delle aziende e degli stakeholder.
Al contrario, si può e si deve lavorare sulla diffusione di una cultura della
responsabilità sociale, favorendo l’individuazione di best practices, facilitando il
dialogo tra imprese, soggetti pubblici e società civile attraverso strumenti di
confronto e interpretativi comuni, valorizzando i comportamenti virtuosi già in
essere5 e alla base di tante esperienze condivise soprattutto a livello locale,
promuovendo una maggiore consapevolezza e un progressivo upgrading (Tencati,
Perrini, Pogutz, 2004).
La vera legittimazione sociale nasce dalla interazione e dalla collaborazione tra
imprese e stakeholder, non dalla imposizione, più o meno surrettizia, di nuove
4
5
Si veda, ad esempio, lo standard elaborato da Valore Sociale (2007).
Alcuni autori parlano, nello specifico, di sunk CSR (Perrini, 2006a; Perrini, Pogutz,
Tencati, 2006a; Perrini, Russo, Tencati, 2007; Russo, Tencati, 2008) o silent CSR
(Jenkins, 2004) per sottolineare il carattere informale, tacito, ma strutturale, delle attività
intraprese dalle PMI.
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norme e regole di comportamento (Sapelli, 2007). L’unico risultato di una scelta di
questo genere sarebbe quello di penalizzare le dinamiche realmente innovative
espresse dal sistema sociale ed economico con inevitabili effetti di ethical blowback
(Donaldson, 2007), derivanti da una perdita di fiducia nelle capacità di
autoregolazione delle imprese, veri e propri membri della comunità civile.
3. Cos’è la CSR
Dalle precedenti considerazioni discende un forte accento sulla valenza
strategica e trasversale della CSR come Corporate Strategic Responsibility (Perrini,
Tencati, 2007). In questa chiave, la responsabilità sociale, a seconda della modalità
interpretativa adottata e delle situazioni considerate, è:
− driver di pattern sostenibili di sviluppo a livello locale (Trigilia, 2005) e globale;
− fattore differenziale per superiori modelli competitivi;
− elemento alla base di rinnovate relazioni tra soggetti pubblici, imprese e società
civile.
3.1 Driver di pattern sostenibili di sviluppo a livello locale e globale
Al proposito, in Our Common Future, rapporto in cui la World Commission on
Environment and Development, presieduta da Gro Harlem Brundtland, elabora, nella
sua formulazione più nota, il concetto di sviluppo sostenibile, si legge: “Industry's
response to pollution and resource degradation has not been and should not be
limited to compliance with regulations.
It should accept a broad sense of social responsibility and ensure an awareness
of environmental considerations at all levels. Towards this end, all industrial
enterprises, trade associations, and labour unions should establish company wide or
industry-wide policies concerning resource and environmental management,
including compliance with the laws and requirements of the country in which they
operate” (WCED, 1987, p. 198).
La correlazione tra responsabilità e sviluppo è, pertanto, evidente. Già nel 1970
Confindustria, con il Rapporto Pirelli, riconosce che “gli imprenditori «devono
incoraggiare e sostenere con i fatti la domanda che si sviluppa nel paese per obiettivi
sociali» e collaborare con le altre forze sociali alla soluzione dei problemi «della
casa, dei trasporti e del territorio»…” (Doria, 1999, p. 681).
Modelli innovativi di sviluppo locale si sono affermati nel corso del tempo e
caratterizzano, ad esempio, un po’ tutta l’Europa, evidenziando la capacità del
tessuto imprenditoriale, e in particolare delle PMI, di collaborare con gli attori
pubblici e le comunità per coniugare benessere economico, coesione sociale e
attenzione alla tutela delle risorse naturali. Tuttavia, in un’ottica glocal, il contributo
delle imprese è essenziale pure per far fronte alle sfide globali.
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LA RESPONSABILITÀ SOCIALE D’IMPRESA
I Millennium Development Goals, che ricomprendono la sostenibilità ambientale
e il climate change, non possono essere conseguiti senza le capabilities e le risorse
delle aziende (United Nations Department of Economic and Social Affairs, 2007). In
questo quadro, le grandi imprese transnazionali sono primariamente chiamate a
partecipare, come influenti cittadini della società mondiale (corporate citizen:
Carroll, Buchholtz, 2008), alla riprogettazione dei pattern di sviluppo globali
(Stiglitz, 2006, pp. 213-241; Tomorrw’s Company, 2007; World Economic Forum,
BSR, AccountAbility, Harvard University, IBLF, 2008). Programmi come la Caux
Round Table, l’Aspen Institute’s Corporate Values Strategy Group (2007), la
Business Social Compliance Initiative (BSCI), la U.S. Climate Action Partnership
(USCAP) vanno, con modalità differenti, in questa direzione.
3.2 Fattore differenziale per superiori modelli competitivi
Al punto 6 dell’Executive Summary del Green Paper europeo sulla
responsabilità sociale si afferma: “The European Union is concerned with corporate
social responsibility as it can be a positive contribution to the strategic goal decided
in Lisbon: «to become the most competitive and dynamic knowledge-based
economy in the world, capable of sustainable economic growth with more and better
jobs and greater social cohesion»” (Commissione delle Comunità Europee, 2001, p.
3). E nella Comunicazione del 2006, la Commissione Europea sottolinea: “The
revised Lisbon strategy promotes growth and jobs in a manner that is fully
consistent with sustainable development, which remains an overarching long term
goal for the European Union. Enterprises, as the motor for economic growth, job
creation, and innovation, are key actors in delivering the Lisbon and sustainable
development objectives. Europe needs business to do what it does best: to provide
products and services that add value for society and to deploy entrepreneurial spirit
and creativity towards value and employment creation. However Europe does not
need just business but socially responsible business that takes its share of
responsibility for the state of European affairs” (Commissione delle Comunità
Europee, 2006, p. 3).
L’Unione Europea, dunque, punta sulla conoscenza e sulla sostenibilità come
driving forces per lo sviluppo, riconoscendo in tal modo che il futuro dell’Europa
risiede nella sua capacità innovativa e nel suo capitale umano, sociale, culturale e
ambientale. La dinamica concorrenziale non può essere affrontata al ribasso,
rimpiangendo interventi di svalutazione competitiva e puntando a rincorrere i
competitor asiatici sul terreno dei costi (cost-based competition). Si tratta di un
approccio perdente: ci sarà sempre qualcuno, nel mondo, in grado di produrre a costi
inferiori. Tale logica, perciò, non è coerente con le caratteristiche dell’area europea,
che deve fare della conoscenza, dell’intelligenza, della creatività, della componente
valoriale i fattori critici per il proprio successo duraturo [value(s)-based
competition].
Su questo punto, appare opportuno fare riferimento al contributo di Porter
relativo a The Competitive Advantage of Nations (Porter, 1998). Nel volume Porter
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sottolinea che, se i sistemi nazionali/regionali riescono a prevedere con un certo
anticipo quali saranno gli standard che si diffonderanno a livello internazionale, ciò
consente alle imprese domestiche di essere le prime a sviluppare prodotti e servizi
che saranno apprezzati anche negli altri Paesi. E gli ambiti su cui già ora si sta
giocando il confronto competitivo, che condizionerà le traiettorie di sviluppo futuro,
sono proprio quelli a più alto valore aggiunto, a più forte contenuto innovativo,
valoriale, simbolico, culturale, relazionale, caratterizzati da una superiore qualità
economica, sociale e ambientale.
La responsabilità sociale, pertanto, intesa come nuovo approccio strategico che
induce le imprese a un percorso volto a valorizzare le relazioni con lo stakeholder
network e a realizzare social, environmental and sustainable development
innovation (Hall, Vredenburg, 2003), porta le aziende a cogliere crescenti
opportunità imprenditoriali e di mercato nei developed and developing countries. In
particolare, Paesi come Cina, India, Brasile, lo stesso continente africano,
rappresentano realtà in cui la capacità di proporre soluzioni per coniugare efficienza
economica, coesione sociale e protezione ambientale (si pensi, ad esempio, al settore
energetico, ai trasporti e alla mobilità, alle infrastrutture e alla bio-edilizia, alla
micro-finanza e al community funding, ai servizi ambientali e così via) permette di
partecipare alla costruzione di mercati con formidabili prospettive di crescita. E’ la
frontiera della responsible competitiveness (MacGillivray, Begley, Zadek, 2007), dei
values-driven business (Cohen, Warwick, 2006), in cui responsabilità e sostenibilità
ridefiniscono i mercati, i processi di creazione di valore, lo stesso concetto di
successo imprenditoriale e, dunque, i meccanismi di gestione delle performance e di
accountability.
Pertanto, un quadro di politiche e di strumenti pubblici, tra cui la soft regulation,
e forme di collaborative governance (Zadek, 2006), che orientino e promuovano
l’innovatività delle imprese verso obiettivi di eco-efficienza, socio-efficienza e
corporate sustainability (Schaltegger, Herzig, Kleiber, Müller, 2002; Schaltegger,
Burritt, 2005) sono opportuni ed auspicabili3.
3.3 Elemento alla base di rinnovate relazioni tra soggetti pubblici, imprese e
società civile
La CSR diviene, dunque, opportunità e punto di partenza per la costruzione di
interazioni collaborative e di partnership tra soggetti pubblici e privati. Si tratta di
quella condizione definita da alcuni autori come stato relazionale (Mendoza, 1996;
Albareda, Ysa, Lozano, 2004; Midttun, 2005): le tradizionali e contrapposte forme
3
Al proposito, in riferimento al climate change, scrive Reinhardt: “Companies need to get
past the win-win rhetoric and move on to the tough trade-offs... Business leaders must be
courageous in betting on the long-term future that will benefit their companies the most –
that is, on a future where governments constrain, in transparent and reasonable ways, the
human impact on the climate… Strong business leaders should want a transparent system
that prices the right to generate carbon emissions as though it were any other scarce
resource and lets firms get on with the business of competing” (Reinhardt, 2007, p. 44).
34
LA RESPONSABILITÀ SOCIALE D’IMPRESA
di welfare e neo-liberal state sono progressivamente soppiantate da un modello in
cui, attraverso varie combinazioni, gli stessi attori sociali assumono maggiori
impegni nel tentativo di governare le complesse dinamiche innescate dalla
globalizzazione, secondo principi di co-responsabilità e sussidiarietà (Velo, 2003).
In questo contesto, le imprese sono in grado di svolgere un ruolo importante, inteso
anche quale contributo verso la modernizzazione dei meccanismi di welfare,
secondo soluzioni di welfare mix, che prevedano una compartecipazione dei soggetti
economici, non imposta loro dal regolatore, bensì conseguenza di progressive scelte
strategiche (Albareda, Lozano, Tencati, Midttun, Perrini, 2008; Welzel, Peters,
Höcker, Scholz, 2007).
Nello specifico, si possono classificare le partnership multi-stakeholder tra
operatori pubblici, imprese e organizzazioni della società civile in tre categorie
(Nelson, 2007):
− Agenda Setting Coalitions, volte a richiedere politiche pubbliche più avanzate
(come la Realizing Rights: the Ethical Globalization Initiative, la Global
Roundtable on Climate Change, o il Climate Group, partner dell’Alliance for
Climate Protection, presieduta dal Premio Nobel Al Gore e promotrice del Live
Earth);
− Accountability Coalitions, dirette a rafforzare le condizioni di trasparenza,
rendicontazione e disclosure (come il processo di elaborazione di ISO 26000, la
Extractive Industries Transparency Initiative - EITI -, o la stessa Global
Compact);
− Resource Mobilization Coalitions per attivare risorse al fine di affrontare sfide,
la cui dimensione richiede interventi di portata ampia e sistemica (come la
Global Environmental Facility - GEF - o la Clinton Global Initiative - CGI -).
4. Alcune riflessioni conclusive
Nella prospettiva delineata, la responsabilità sociale prefigura un nuovo modello
d’impresa per una nuova realtà sociale, molto più attiva, partecipativa, problematica
e sfidante. Si tratta, quindi, di promuovere una cultura d’impresa caratterizzata,
secondo uno stakeholder framework, da una logica olistica e multiple bottom line
(Perrini, Tencati, 2006), fondata su un genuine commitment (Zsolnai, 2002) e
diversa rispetto ai modelli apparentemente vincenti della finanziarizzazione e del
capitalismo d’alta quota (Ruffolo, 2006; Tencati, 2007). E’ un modello nuovo, che
ha forti legami con la parte migliore della nostra tradizione imprenditoriale:
bisogna riscoprire, infatti, i legami consapevoli ed essenziali col territorio, che tanta
parte hanno nello spiegare il successo dei più avanzati pattern di sviluppo locale6.
6
Scrive Becattini (2004, p. 244): “Il distretto industriale - autentica «piccola economia
sociale di mercato» - lungi dall’essere un residuo del passato precapitalistico o una
«mostruosità» del capitalismo italiano... è l’espressione paradigmatica, embrionale,
FRANCESCO PERRINI - ANTONIO TENCATI
35
In questo quadro, è la visione per stakeholder relationship il driver del
cambiamento secondo il conosciuto binomio strategia↔struttura (Chandler, 1962),
in cui è il cambio radicale di orizzonte strategico a prevalere e a determinare
imprescindibili mutazioni nella struttura organizzativa (Gerencser, Napolitano, Van
Lee, 2006; RESPONSE Research Team, 2007) e negli stessi meccanismi di
corporate governance (Bowie, 2006; Ghoshal, 2005; Kay, 2004), superando
insostenibili orientamenti al short-termism (Laverty, 1996), andando oltre apparenti
vincoli istituzionali e ampliando la considerazione e la rappresentanza delle
differenti constituencies.
Ciò non solo modifica l’impresa, ma, come in precedenza evidenziato, determina
inevitabili e auspicabili innovazioni di sistema (Tukker, Charter, Vezzoli, Stø,
Andersen, 2008), innescando partnership e alleanze per il cambiamento:
− tra imprese. Si pensi, al proposito, all’esperienza di CONAI - Consorzio
Nazionale Imballaggi -, che, nel corso di un decennio, ha consentito di costituire
in Italia un sistema di waste management in grado di garantire risultati di
riciclaggio e recupero superiori ai target fissati dalla Direttiva 94/62/CE, un
innovativo contributo alla riduzione delle emissioni nazionali di CO2 e bassi
costi di funzionamento rispetto agli altri compliance scheme europei (CONAI,
2007; Pogutz, Tencati, 2003);
− tra imprese e quei soggetti della società civile più attenti, pronti a variare le
proprie stesse attitudini. Ecco, allora, che anche Wal-Mart, discusso leader
mondiale della grande distribuzione (Fishman, 2006), nell’ambito del suo
ambizioso programma per la sostenibilità varato nel 2004, trova importanti
opportunità di collaborazione in funzione delle singole aree di intervento,
attraverso la costruzione di mirati sustainable value networks. Ad esempio, per
quanto riguarda i prodotti ittici, lavora con Marine Stewardship Council,
Conservation International e WWF per migliorare le pratiche manageriali,
ricostruire gli stock, ridurre gli impatti ambientali e promuovere più ampi sforzi
per la protezione e la gestione degli ecosistemi marini;
− tra imprese e soggetti pubblici. Rientrano in questa categoria esperienze molto
diffuse nel nostro Paese, come i patti territoriali e gli accordi di programma, volti
a conseguire obiettivi di maggiore sostenibilità;
− tra imprese, soggetti pubblici e società civile. E’ la condizione del relational
state, che si ritrova nell’impostazione dei CSR Laboratories, nell’ambito
dell’European Alliance for CSR promossa dalla Commissione Europea, e in tanti
interventi di sviluppo e riqualificazione territoriale, fra cui, ad esempio, quello
volto all’applicazione di EMAS (Eco-Management and Audit Scheme) nel
distretto ceramico reggiano-modenese.
simbolica di un capitalismo equilibrato... «dal volto umano»... Nel grembo del
capitalismo attuale ci sono almeno due (forse più) linee di sviluppo possibile. C’è la
linea ben nota agli economisti di una crescita vertiginosa, ancorché instabile
dell’accumulazione, e c’è quella di un matrimonio delle finalità di guadagno con le
esigenze dell’uomo”.
LA RESPONSABILITÀ SOCIALE D’IMPRESA
36
Solo attraverso questa logica relazionale e collaborativa ampia sarà possibile
assicurare la sostenibilità complessiva (Moon, 2007): solo, cioè, se la responsabilità
sociale è intesa come fattore di cambiamento sistemico, che riguarda certo le
imprese, ma pure i soggetti pubblici e le organizzazioni del Terzo Settore per
rispondere alle richieste diffuse e alle oggettive necessità di radical change,
partecipazione, coinvolgimento, maggiore trasparenza e accountability in tutti i
processi decisionali e attuativi. Pertanto, la responsabilità sociale non può essere
considerata semplice e strumentale belletto, window-dressing tattico, comodo per i
tanti interessi coinvolti, ma di cortissimo respiro. Si pensi ai drammatici effetti
backlash di tanta avventata comunicazione in questo campo, con effetti dirompenti
sullo sviluppo di imprese ed interi settori7. Se così fosse, se la CSR fosse
implementata in questo modo, avrebbe di nuovo pienamente ragione Friedman, che
parla di ipocrisia e frode (Friedman, 1970, p. 284).
In conclusione, la responsabilità sociale non può essere utilizzata quale
strumento per realizzare facili consensi o coltivare clientele e interessati sostegni
tramite focalizzati interventi di giving. Essa è, al contrario, innovazione radicale, di
cui solo adesso stiamo assistendo ai primi, importanti, effetti8.
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7
8
Nel nostro Paese, esempi confermativi di questa dinamica vengono dallo stato di alcuni
servizi (acqua, energia, rifiuti, trasporti) e dalla bassa reputazione che caratterizza talune
imprese dei settori bancario, assicurativo e delle telecomunicazioni. Queste situazioni
sono state determinate anche da sbagliate scelte comunicazionali e comportamentali
sotto il profilo della CSR e dell’accountability.
Si pensi, ad esempio, al significativo impatto che il concetto di responsabilità sociale,
assieme a quello di sviluppo sostenibile, sta avendo sulla realtà cinese in ambito politico,
sociale, economico, culturale, istituzionale, pur tra inevitabili difficoltà, resistenze,
scetticismi (AA.VV., 2007; Bianchi, 2007; MacGillivray, Begley, Zadek, 2007; Perrini,
Pogutz, Tencati, 2006b, pp. 3-4; Welzel, Peters, Höcker, Scholz, 2007, pp. 14-15).
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