cultura e comunicazione d`impresa in tempo di crisi

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cultura e comunicazione d`impresa in tempo di crisi
182 | rapporto annuale federculture 2012
Anni
variazione
2008-2011
2008200920102011
cultura e comunicazione d’impresa in tempo di crisi
numero personale dipendente (totale) 621 622 672 6809,5%
numero collaboratori (totale)
% collaboratori su totale
età media personale 253
256
Francesco Moneta*, Laura Cantoni**
278 28914,2%
28,9%
29,2%
29,3%
29,8%
38,9
38,1
38,9
38,9
Un ultimo dato interessante riguarda l’età media del personale che è sostanzialmente
giovane, non superando i 40 anni, a fronte di un’età media dei dipendenti del Ministero
per i beni e le attività culturali pari a 53 anni.
Si delinea così un settore culturale delle aziende analizzate più giovane, dinamico,
orientato al rinnovamento e all’innovazione.
alcune conclusioni
Nonostante le enormi difficoltà del settore cultura nel corso degli anni considerati, testimoniate dalla riduzione dei bilanci comunali, cui si associa la diminuzione delle spese
specificamente destinate alla cultura, questo settore rimane più che mai vivo e vivace,
attirando una domanda crescente pur in presenza di una riduzione delle iniziative proposte.
Al calo dei contributi pubblici, cui si è associato in maniera per certi versi inattesa
anche quello dei contributi privati, si è fatto fronte senza gravare in maniera eccessiva
sugli utenti e non ricorrendo ad aumenti significativi dei prezzi dei biglietti.
Le scelte di autonomia aziendale sembrano aver avuto, dunque, ottimi risultati, se si
considerano le performance realizzate pur in presenza di una situazione tanto complessa
come quella degli ultimi anni.
Il ruolo del personale, più giovane che non nell’amministrazione statale, non meriterebbe quella precarizzazione a cui si assiste anno dopo anno.
Si tratta di un quadro fatto di luci e ombre; queste ultime da imputare alla miopia di
quanti, decisori pubblici e privati, troppo spesso dimenticano il contributo fondamentale del settore culturale all’export nazionale, ai flussi di turismo culturale in direzione e
all’interno del Paese e, più in generale, alla competitività di un territorio.
1 questa ricerca: perché, e come
In queste pagine presentiamo i risultati della Ricerca condotta nel mese di Febbraio da
The Round Table – Progetti di Comunicazione – e da Astarea-Ricerche di marketing
– in collaborazione con 24 Ore Cultura sul tema ‘Cultura e Comunicazione d’Impresa,
in tempo di crisi’.
La Ricerca, anticipata parzialmente il 23 Febbraio al Summit ‘Arte e Cultura’ organizzato dal Gruppo 24 Ore – è la quarta edizione di un Osservatorio iniziato nel
2006, a cadenza biennale, con l’obiettivo di monitorare le dinamiche di investimento
delle Imprese e delle Fondazioni erogative a favore della Cultura, allo scopo di fornire
strumenti, informazioni e soluzioni operative per rendere più efficace il rapporto tra
‘Sistema Cultura’ e ‘Sistema Impresa’.
Il momento storico rende necessaria questa relazione: da una parte, le Istituzioni pubbliche centrali e locali non riescono a garantire agli operatori culturali le risorse per lo
sviluppo, o addirittura per la sopravvivenza; dall’altra, la Cultura assume un ruolo sempre
più rilevante nella vita quotidiana di consumatori e cittadini, esprimendo quindi nuove
potenzialità per rientrare a pieno titolo nelle strategie di comunicazione delle Imprese.
Diventa quindi necessario favorire ogni possibile contributo economico e professionale
alla nostra produzione culturale, e in questo il ruolo delle Imprese private può essere
determinante.
* Fondatore di The Round Table e Cultura + Impresa
** Presidente di Astarea – Solutions for management
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La Ricerca del 2012 è stata condotta con un metodo di tipo qualitativo, coinvolgendo
un duplice panel: 8 Imprese (Bigmat, BTicino, Edison, Paglieri, Pernod Ricard Italia,
Polenghi Group, Pompea, Riso Scotti) hanno partecipato a un Forum on-line di una
settimana basato sulla piattaforma proprietaria di Astarea, e sviluppato in quattro temi;
15 Imprese e Fondazioni erogative hanno risposto a interviste one-to-one attraverso un
questionario di dieci domande (Accenture, Campari, Credit Suisse, Enel, eni, Fondazione Bracco, Fondazione Cariplo, ibm, Intesa San Paolo, Levoni, Pernigotti, Philips,
Telecom, ubi Banca, Vodafone).
L’insieme delle imprese intervistate – che ringraziamo per la collaborazione - rappresenta
uno spettro ben articolato di diversi settori merceologici, di imprese nazionali e gruppi internazionali, di consolidata familiarità con la cultura, e con rapporti invece episodici o nulli.
2 cultura e comunicazione corporate
Opinione condivisa da quasi tutte le Imprese, e generalizzata tra quelle che investono in
Cultura, è che questa sia da considerare parte integrante delle strategie di comunicazione
corporate, oltre che uno dei canali più efficaci per trasferirla.
La possibilità per l’Impresa di aumentare la propria reputazione grazie alla Cultura è
una motivazione ricorrente all’investimento, riconoscendole la capacità di qualificarla
nei confronti delle Istituzioni e dell’Opinione pubblica.
Le consuete forme della Comunicazione di Impresa (off o on-line, mono piuttosto
che bidirezionali), sono costituite essenzialmente dalla diffusione dei propri messaggi.
Investendo in Cultura, invece, l’Impresa agisce nell’interesse collettivo offrendo un contributo economico o di servizio, ed è quindi percepita come ‘socialmente responsabile’,
un’impresa etica.
Emergono altre argomentazioni connesse ad istanze più specifiche e a nuove esigenze
oggi caratterizzanti la relazione tra l’Impresa ed i suoi diversi stakeholder.
In primo luogo, la prossimità. L’Impresa, grazie alla Cultura, afferma la propria presenza
con un contributo concreto offerto al territorio, aprendo o stabilendo un dialogo fattivo
con le Istituzioni e gli Opinion Leader, con target diretti come quelli btb, e in genere
con la Comunità Locale.
Secondo argomento rilevante: la condivisione dei valori.
Investire in Cultura significa in primo luogo investire in un sistema complessivo di valori
– l’arte, la crescita intellettuale, l’acquisizione di competenze, l’apertura di orizzonti mentali – condivisi dalla collettività. Ma significa anche scegliere e associarsi ai valori specifici
che caratterizzano il singolo progetto/evento, e che questo trasferisce a sua volta ai propri
fruitori diretti e indiretti. Localismo e/o Internazionalità, Multiculturalità, Eccellenza nel
proprio ambito di intervento, Multidisciplinarietà, Innovazione e/o Tradizione, Tecnologia
sono alcuni messaggi che l’Impresa può desiderare trasferire attraverso la Cultura.
Infine, l’Impresa può affermare la propria cultura d’impresa, tra cui il suo saper fare, quello
radicato nel dna piuttosto che quello proiettato nel futuro. Ciò accade quando contribuisce
al progetto/evento culturale apportando non solo contributi economici, ma anche servizi,
competenze manageriali, spazi e opportunità di comunicazione, relazioni, progettualità.
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Un’area critica, invece, è rappresentata dalla convinzione che con la Cultura non si
abbia certezza di ritorno sugli investimenti. Lo sostengono ad esempio alcune Aziende
mass market che non riscontrano nella Cultura i numeri di audience tali da assicurare
una comunicazione efficiente ai propri target. I benchmark di riferimento sono le modalità canoniche di misurazione degli investimenti in comunicazione pubblicitaria: per
questo si richiedono agli Operatori culturali informazioni precise e strumenti di misurazioni condivisibili. Questa carenza viene avvertita anche dalle Imprese più propense
agli investimenti in Cultura: gli Operatori culturali che sapranno attrezzarsi in tal senso
beneficeranno di un vantaggio competitivo.
3 i target dell’investimento in cultura
Le Imprese che non investono in Cultura percepiscono il loro pubblico come un target
indistinto, poco focalizzabile rispetto a obiettivi di comunicazione specifici, con uno scarso
interesse verso tematiche culturali; o, al contrario, percepiscono il target della cultura
come numericamente troppo limitato per garantire adeguati ritorni di comunicazione.
Le Imprese che investono in Cultura le attribuiscono invece la caratteristica vincente
di essere una modalità di comunicazione ‘multiTarget’, capace di coinvolgere Stampa e
Opinion Leader (primari pubblici-obiettivo) ma anche i Clienti Business to Consumer e
i Consumatori, i Clienti Business to Business, gli Stakeholder del territorio, i Dipendenti
e i Collaboratori, oltre che l’Opinione pubblica in genere.
La possibilità di un contatto qualificato con la stampa e, direttamente o attraverso di essa
con gli Opinion Leader, viene estremamente valorizzata, per la possibilità di trasmettere
contenuti che non risultino apologetici per l’Impresa, ma informazioni su azioni concrete,
a beneficio della comunità.
La comunicazione BtoC nei confronti della clientela diffusa trova nella Cultura un
canale efficace – ad esempio per le banche – quando consente di affermare la propria
presenza qualificata e memorabile nel territorio.
Se l’obiettivo sono i business partner in chiave di comunicazione BtoB - interlocutori
diretti o indiretti dell’Impresa nel ruolo di influencer in filiere sempre più complesse ed
altamente specialistiche - la Cultura apporta non solo reputazione, ma anche e soprattutto diventa opportunità di relazione finalizzata sia a obiettivi di fidelizzazione che di
conquista, dove l’Evento culturale – più che il Progetto culturale – rappresentano un
efficace strumento anche di tipo tattico.
La comunità territoriale rappresenta per le Imprese di ogni dimensione un pubblico
imprescindibile. In questa Ricerca emerge come l’investimento in Cultura per la comunità locale offra anche opportunità progettuali e strategiche, specie per le Imprese
italiane, per le quali il radicamento nel proprio territorio è sovente parte intrinseca
del business: ad esempio quando si è impegnati in una produzione tipica della zona.
In questi casi investire in Progetti ed Eventi culturali locali rafforza l’integrazione
impresa-territorio: l’impresa promuove la cultura locale che coincide con la propria
identità e cultura originaria.
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La Cultura nel contesto del mix della Comunicazione d’Impresa, in tempo di crisi
Nel 2012 prevedete una variazione negli investimenti di Comunicazione nella Cultura?
Verso che tipo di Target è più funzionale?
Stampa e Opinion Leader
60%
47%
Opinione pubblica in genere
36%
Stabilità
Stabilità
64%
40%
Clienti BtoC, Consumatori
40%
Decremento
64%
36%
Stakeholder del Territorio
33%
Clienti BtoB
Decremento
Dipendenti e Collaboratori
20%
Base 23 casi – dati in percentuale
Business Partner
7%
Base 23 casi – dati in percentuale [risposte multiple]
L’adozione della Cultura è funzionale a che tipo di Comunicazione?
Come giudicate l’efficacia degli investimenti in Comunicazione con la Cultura effettuati
di recente?
7%
7%
Ottima
Corporate
65%
Buona
CSR
17%
Sufficiente
Marketing
17%
Insufficiente
BtoB
29%
57%
Ottima
Buona
13%
Sufficiente
Insufficiente
Base 23 casi – dati in percentuale [risposte multiple]
Base 23 casi – dati in percentuale
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Alcune grandi Aziende che detengono una leadership imprenditoriale nel territorio, diventano anche i referenti principali della sua produzione culturale, assumendo un ruolo quasi
istituzionale con la selezione dei progetti e l’erogazione dei contributi che li rendono realtà.
4 gli investimenti in comunicazione culturale, in tempo di crisi
Contrariamente alle aspettative dovute alla difficile contingenza economica, la maggioranza
delle Imprese abituate ad investire in Cultura tendono a mantenere la stabilità dei propri investimenti culturali. Questa indicazione non può essere considerata un dato statisticamente
rappresentativo, data la natura qualitativa di questa Ricerca; tuttavia, sia la tipologia delle
Imprese intervistate (per lo più attori significativi nel mercato culturale), sia le argomentazioni
fornite in proposito (molto chiare e precise), appaiono indicative di una tendenza significativa.
La maggioranza di queste Imprese, infatti, affermano che la cultura è un investimento
efficace, e per questo cercano di “mantenere le posizioni”, piuttosto rammaricandosi di non
potere incrementare gli investimenti, consapevoli del valore che questo rappresenterebbe
proprio in tempo di crisi.
I motivi per cui si cerca di non ‘tagliare’ la Cultura sono molteplici. In primo luogo
l’abbandono dell’investimento appare disfunzionale quando si colloca in una strategia
di medio-lungo termine, continuativa nel tempo, che costituisce una parte integrante
della tradizione aziendale.
A maggior ragione in tempo di crisi, disinvestire significa rinunciare ai benefici sociali e
alla reputazione acquisiti nel tempo: nel nostro panel è diffusa la convinzione che proprio
in una situazione d’emergenza sociale le Imprese devono dimostrare la loro partecipazione
alle esigenze della collettività. Peraltro gli interventi in Cultura effettuati a livello locale
sempre più spesso non hanno solo una generica valenza sociale, che contribuisce alla
qualità della vita della comunità, ma generano anche ritorni economicamente apprezzabili
quando coincidono con progetti di marketing territoriale.
Per le Imprese già fidelizzate alla Cultura, la riduzione di questi investimenti coincide
con tagli lineari ai budget di comunicazione.
Per le Imprese che invece vi investono in maniera non sistematica, la riduzione ha
essenzialmente due altri motivi: la Cultura non garantirebbe ritorni sull’investimento
(una precondizione quando qualsiasi tipo di spesa viene strettamente controllata); il
‘Sistema Cultura’ mostra inoltre diverse carenze nel rapporto con i Privati, dall’efficacia
della relazione alla qualità della gestione di alcuni Progetti, fino alla scarsa valorizzazione
fiscale del loro impegno. Se questi limiti possono essere accettati in presenza di risorse
sufficienti, diventano invece pregiudiziali quando queste scarseggiano.
5 cultura e corporate social responsibility
La corporate sociale responsibility, o csr, è stata sempre interpretata come la presa in carico
da parte dell’Impresa di problematiche di carattere sociale, che le permettono di qualificarsi
come ‘soggetto di cittadinanza’ oltre che come ‘soggetto economico’. Le attività di csr
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dell’Impresa per convenzione vanno oltre gli obblighi di legge, ed intervengono su base
volontaria a favore di situazioni di disagio, o di carenze a livello individuale o collettivo.
Da qualche tempo, e questa Ricerca lo conferma in maniera esplicita, sta cambiando
il paradigma della csr. Da problem solver di situazioni critiche, diventa impegno per
migliorare la qualità della vita e sostenere lo sviluppo di una comunità, più o meno
allargata che sia.
Questo slittamento di significato si associa ad esempio alla definizione del pil di
un Paese: da mero indicatore della ricchezza economica si sta trasformando in un
indicatore dl benessere, che integra variabili anche qualitative che rilevano il livello
di qualità della vita.
La Cultura diventa una componente cruciale del benessere individuale, fattore integrante della qualità della vita, e volano importante di sviluppo anche economico della
comunità: in quanto tale, quindi, è un bene sociale da tutelare e incrementare. Allo stesso
tempo cresce l’interesse nei confronti delle attività e degli eventi culturali da parte di
fasce sempre più ampie e numerose di popolazione.
Ma nell’attuale contesto economico ed istituzionale, la Cultura può essere definita un
bene sociale ‘povero’, e destinato ad impoverirsi sempre di più soprattutto considerando i
recenti e continui tagli delle erogazioni pubbliche. Le Imprese possono in questo assumere
un ruolo vicariante, attraverso investimenti che a questo punto vengono concepiti a tutti
gli effetti in un quadro di csr. La maggior parte delle Imprese che abbiamo intervistato
conviene con questa affermazione: attraverso il loro intervento vengono restituiti o forniti
alla Comunità beni considerati rilevanti, altrimenti non disponibili.
Questa è per il ‘Sistema Cultura’ una opportunità molto rilevante, se ben gestita, anche
perché la csr ha spesso budget diversi e indipendenti da quelli di Comunicazione.
6 la ‘pianificabilità’ della cultura
Le Imprese sono convinte che gli investimenti in Cultura abbiano le caratteristiche per
essere gestiti in maniera strategica, come tutti gli investimenti in Comunicazione ben
governati.
La Cultura è infatti assimilabile a un canale di comunicazione, quindi ad un medium: ha
un pubblico (come si è visto, una serie variegata di pubblici); propone contenuti (progetti
ed eventi culturali con le loro diverse discipline di riferimento); trasmette valori (il valore
della Cultura in senso lato, i valori legati ai diversi eventi e discipline).
Le Imprese con una maggiore familiarità nei confronti dell’investimento in Cultura
sottolineano la capacità della Cultura di soddisfare un ampio range di obiettivi: oltre alla
comunicazione corporate in senso stretto, anche quella di prodotto, di marca o di marchi.
In questo contesto alcuni ambiti di intervento vengono considerati più efficaci rispetto
ad altri. Primeggiano le Mostre ed i Musei, la Musica (di ogni genere: classica, leggera,
jazz, etc…), i Festival Culturali e Scientifici.
Ma per ‘pianificare una strategia culturale’ devono essere garantite alcune condizioni: il
raggiungimento dei target desiderati; la creazione di sinergie con le strategie di marca; la
coerenza diretta od indiretta con il settore merceologico/l’area di business dell’Impresa;
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la connotazione territoriale; la rilevanza del progetto/evento culturale in sé; il ruolo che
può svolgervi l’Impresa (ad esempio con interventi strutturali anziché di tipo tattico).
Come emerso anche nella Ricerche precedenti del 2008 e del 2010, nel gioco tra domanda e offerta di Cultura, i contenuti e le caratteristiche disciplinari dell’Evento spesso
passano in secondo piano rispetto alle modalità relazionali nella gestione del rapporto e
del progetto, che devono essere garantite al meglio.
Se infatti le Imprese affermano la ‘pianificabilità’ della Cultura come medium di comunicazione, elencando le relative condizioni, è altrettanto diffusa la consapevolezza
che nella prassi quotidiana l’Impresa incontri molte difficoltà a perseguirla, a causa
dell’incapacità del ‘Sistema Cultura’ nel suo complesso di sviluppare ed implementare le
necessarie competenze e i relativi strumenti per facilitare gli investimenti delle Imprese.
7 dalla sponsorizzazione alla partnership
Le Imprese, soprattutto quelle con una storia rilevante di investimenti in Cultura, criticano
la persistenza del concetto di “Sponsorizzazione Culturale” vecchio stile: erogazione di
risorse economiche agli enti/operatori della Cultura in cambio della visibilità del marchio.
È ampiamente condivisa l’opinione che si tratti di un punto di vista arretrato rispetto
alle attuali esigenze delle Imprese. Se svolto in questa logica, l’intervento in Cultura
ridurrebbe notevolmente le sue potenzialità – ad esempio, quelle di lavorare a livello
corporate, o di brand communication – per diventare un puro canale di awareness, peraltro
incapace per sua natura di garantire l’impatto offerto da altri media, a partire dall’advertising e dalle media relations.
Si vuole invece lavorare in un’ottica di partnership tra Imprese e Operatori della Cultura,
realizzando progetti integrabili nelle strategie globali dell’Impresa, nel rispetto dei ruoli
e della missione degli Operatori culturali pubblici e privati.
Questa integrazione dovrebbe avvenire secondo diverse modalità: l’ideazione stessa
dell’evento culturale, o la sua messa in opera, in modo che l’Impresa possa portare valore
aggiunto al Progetto/Evento culturale grazie alle proprie competenze e professionalità,
conferendo non solo contributi economici ma prodotti e servizi (tecnologia, relazioni,
spazi, opportunità di comunicazione, etc); progetti culturali affini ai valori di un’ Impresa
o di una Marca; fino arrivare ad una gestione partecipata dell’intero Progetto culturale,
ove l’Impresa assuma il ruolo di project financing.
8 il deficit di cultura professionale
Le esigenze di efficienza manifestate dalle Imprese si scontrano, a loro parere, con una
carenza complessiva di adeguata cultura professionale da parte degli Operatori culturali,
che porta sostanzialmente a una latente difficoltà di comunicazione e interazione tra il
‘Sistema Impresa’ e il ‘Sistema Cultura’.
In particolare, si lamenta l’assenza di un percorso formativo che permetta lo sviluppo
di competenze per la migliore relazione tra Imprese ed Operatori della Cultura. Alcuni
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intravvedono però cambiamenti positivi in questo rapporto, attribuendoli all’evoluzione
professionale di referenti esterni. Viene citata l’importanza del ruolo di (rare) agenzie
di comunicazione specializzate nel campo degli Investimenti in Cultura, che possono
mediare questo rapporto in modo più pertinente rispetto alle classiche agenzie di
comunicazione.
Scarse inoltre le informazioni a disposizione delle Imprese non solo per decidere al
meglio dove orientarsi nella scelta di Progetti culturali, ma anche per misurare l’efficacia
dell’investimento effettuato.
Le Imprese invitano quindi gli Operatori culturali a fornire informazioni pertinenti e
più dettagliate sulle diverse caratteristiche della loro ‘offerta’: dalla mission dell’Ente culturale alla tipologia delle proprie manifestazioni, dalla stagionalità alla qualità e quantità
dei pubblici di riferimento, solo per citare alcuni esempi. È ricorrente la richiesta di una
più completa analisi del profilo e dei comportamenti del pubblico della cultura, diretto
e indiretto, per poter fondare le scelte dell’Impresa sulla piena coerenza tra strategie e
caratteristiche dell’offerta culturale.
Si lamentano infine la scarsa fluidità della normativa vigente a sostegno dell’impegno
delle Imprese; la mancanza di punti di riferimento in grado di sintetizzare la domanda di
opportunità con l’offerta di progetti culturali; l’assenza di occasioni di relazione e di incontro
tra Cultura e Impresa; l’esilità di best practices italiane e internazionali; l’asistematicità
delle diverse iniziative di Partnership culturale che comporta il rischio di duplicazione.
Si auspica in sostanza il passaggio da una dinamica di casualità – l’intercettazione occasionale di interventi coerenti con le esigenze, sovente dichiarate genericamente, delle
Imprese – a un processo consapevole, capace di consentire all’Impresa gli interventi più
rispondenti ai suoi valori e alla sua identità, alle sue strategie e quindi ai relativi obiettivi.
9 la relazione con gli operatori culturali: plus e minus
Dalle testimonianze delle Imprese, il rapporto-confronto con gli Operatori culturali
appare ambivalente.
Da una parte risulta arricchente: i manager delle Imprese accolgono con favore i contributi degli Operatori culturali, portatori di punti di vista e competenze diverse dalla
Cultura d’Impresa.
Esiste inoltre una componente psicologica e personale: per alcuni uomini d’impresa
interagire direttamente con soggetti che ricoprono cariche istituzionali e ruoli pubblici
a volte di spicco, in un settore aspirazionale come quello della Cultura nei suoi diversi
ambiti, è un’esperienza gratificante. Il prestigio della Cultura si trasferisce, simbolicamente,
sugli interlocutori che in Azienda si occupano di Cultura.
Diversi però gli elementi critici: la diversità di questi due ‘mondi’ si declina in differenze che molte Imprese considerano disfunzionali: l’assenza di un linguaggio comune, la
difficoltà del porsi in sintonia, ‘ritmi’ professionali e relazionali non sintonici con quelli
dell’ Impresa.
In primo luogo, le Imprese attribuiscono ad alcuni Operatori culturali ancora un
atteggiamento (se pure implicito, sovente malcelato) contrario di principio all’ab-
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binamento tra immagine dell’Impresa ed Evento culturale. Gli Operatori culturali
ancora percepirebbero questi due comparti come antitetici: la mission economica
dell’Impresa risulterebbe difforme rispetto alla mission civica della Cultura. Di
conseguenza, la presenza dell’Impresa nell’ambito dell’Evento culturale viene assunta come una contaminazione commerciale che anziché valore porta disvalore
per l’Evento stesso.
In secondo luogo, sembrerebbe permanere un retaggio dell’ideologia filantropica, che
attribuisce all’investimento in Cultura da parte delle Imprese motivazioni puramente
donative, indifferenti a obiettivi di resa dell’investimento stesso. In questo schema l’Offerta culturale diventa rigida, non negoziabile, ‘un assoluto valoriale’; e di conseguenza,
il contributo dell’Impresa viene scambiato con contropartite considerate minimali, standardizzate, una sorta di catalogo di do-ut-des tra diritto all’associazione di immagine e
contributo possibilmente economico.
In terzo luogo, agli Operatori culturali si attribuisce un approccio poco marketing oriented
nel senso classico del termine, che pone come condizioni basiche la conoscenza del ‘Cliente’ da una parte, e la capacità di azione mirata, dall’altra. Come in qualsiasi transazione
commerciale, le Imprese si aspettano di accogliere un interlocutore informato sull’identità
aziendale in generale, sulle modalità di comunicazione dell’Impresa, e se possibile su
eventuali sue vocazioni basate su tradizione o business (ad esempio, la presenza a livello
territoriale o nazionale).
Invece l’offerta di Cultura è ancora standardizzata, poco mirata sulle esigenze specifiche
dell’Impresa cui viene sottoposta. Si presenta la stessa proposta o lo stesso documento
indifferentemente a una banca o a una casa automobilistica, o a due banche diverse per
identità e strategie di comunicazione.
Queste sono issues di sostanza, la cui risoluzione consentirebbe agli Operatori culturali di assicurarsi rapporti con le Imprese assai più positivi. A fronte di queste appaiono
dopotutto abbastanza secondari rilievi quali i tempi (veloci, quelli dell’Impresa; lenti,
quelli degli Operatori), la burocrazia (complicata, quella degli Operatori; semplice,
quella dell’Impresa), le dinamiche relazionali (egoriferimento da parte degli Operatori;
pragmatismo e semplificazione, da parte delle Imprese).
10 in sintesi, le raccomandazioni delle imprese
Per tradizione le Ricerche ‘Cultura + Impresa’ si concludono con la richiesta alle Imprese
di suggerimenti e raccomandazioni agli Operatori culturali per rendere più frequente ed
efficace la relazione tra i due ‘Sistemi’ e, in buona sostanza, per incrementare i contributi
delle Imprese a favore della Cultura.
La richiesta di fondo è quella di superare la formula classica della sponsorizzazione
culturale come mera erogazione di risorse economiche in cambio della esposizione del
logo aziendale e di pochi servizi standardizzati. Tutte le ulteriori esigenze espresse dalle
Imprese sono corollari di questo assunto.
Le Imprese vogliono lavorare sulla base di una condivisione progettuale, non di scambio tra ‘pacchetti di contenuti’, uguali per tutti, e un controvalore cash (non sempre
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ben quantificabile peraltro, e spesso variabile a secondo dei tempi della richiesta, degli
interlocutori, delle contingenze dello stesso Operatore).
Per gli Operatori culturali questo significa, innanzitutto, assicurare informazioni adeguate ed esaustive sulle caratteristiche della propria Offerta. Ma anche essere propositivi,
proattivi, stimolare l’impresa anche facendo leva sulle proprie peculiarità artistiche e creative.
Si ribadisce quindi la necessità che gli Operatori culturali quando cercano o avviano il
dialogo con l’Impresa si presentino informati sulle sue caratteristiche, sulla sua identità,
i suoi corporate values, le sue scelte di comunicazione. E quindi adeguino la propria
proposta a questi elementi, personalizzandola in funzione dell’interlocutore prescelto.
È un cambio di prospettiva, culturale e professionale, che deve considerare tre esigenze
chiave.
In primo luogo, la flessibilità: l’Offerta di Cultura deve poter essere modificabile anche
rispetto a piani originari, in funzione della presenza di quella specifica Impresa. Questo
non significa snaturare l’identità del Progetto o dell’Evento culturale, ma poterlo modulare,
ad esempio con integrazioni che siano in linea con l’identità aziendale.
In secondo luogo, la creatività, che significa abbinare la propria propositività con la
conoscenza dell’Impresa: proporre progetti originali, capaci di rendere l’intervento dell’
Impresa non solo coerente con i suoi obiettivi, ma anche distintivo nel quadro competitivo e comunicativo.
Infine, la trasparenza: all’Operatore culturale si chiede di lavorare in una chiara ottica
win-win, basata sul rapporto tra reciproci investimenti e ritorni, ove siano chiari gli
obiettivi e le aspettative di entrambe le parti, e sia intento comune il soddisfarli.