da “ausiliari” a professione intellettuale: il percorso
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da “ausiliari” a professione intellettuale: il percorso
DA “AUSILIARI” A PROFESSIONE INTELLETTUALE : IL PERCORSO DEGLI INFERMIERI ITALIANI Sommario: 1. Una storia che parte da lontano… - 2. La costituzione dell’organismo di rappresentanza professionale – 3. Dall’Accordo di Strasburgo alla “prima” riforma della formazione infermieristica e dell’esercizio professionale – 4. La definizione degli ambiti di competenza infermieristica e il ruolo del personale di supporto – 5. Il passaggio della formazione degli infermieri in Università – 6. Dal “mansionario” al riconoscimento della responsabilità e dell’autonomia professionale. 1. UNA STORIA CHE PARTE DA LONTANO … Nei primi decenni del Novecento la professione infermieristica si presentava come un’occupazione costituita da compiti in parte di natura domestica, in parte tecnica ed esecutiva, in parte di “accudimento materno”1, il cui svolgimento era affidato, per predisposizione naturale e per spirito di carità, a personale femminile e subalterno, o a personale religioso. Oggi gli infermieri sono diventati una “professione intellettuale”, cioè un gruppo di persone che possiede un titolo di studio, che ha seguito un corso di formazione e che ha quindi acquisito l’abilitazione all’esercizio. Ma come è avvenuto questo percorso di sviluppo, in un arco di tempo relativamente breve? In una prima fase fu soprattutto grazie alla Croce Rossa, ad alcuni movimenti femminili e all’interesse per alcune esperienze straniere che maturò la convinzione che l’infermiera dovesse avere una formazione specifica che le consentisse di svolgere un’attività che non poteva più basarsi esclusivamente sul supporto della fede o dell’obbedienza a ordini e decisioni superiori, medici o religiosi che fossero. Nel nostro Paese le prime esperienze di formazione risalgono ai primi anni del Novecento e si strutturano nella forma di corsi interni agli ospedali, di profilo piuttosto basso, ma anche di iniziative illuminate, molto avanzate, mutuate dal modello anglosassone che prevedeva già all’epoca vere e proprie scuole di durata biennale: sorsero così la Scuola convitto Regina Elena di Roma (1910), l’Ambulatorio-Scuola San Giuseppe di Roma (1906), la Scuola convitto Principessa Jolanda di Milano (1912), la Scuola convitto annessa all’Ospedale Civile di Firenze (1914), la Scuola Croce Azzurra di Napoli (1896). In Italia le Scuole per infermiere professionali sono formalmente istituite nel 1925, sotto la pressione di diverse Associazioni femminili, di alcuni enti di beneficenza, della stampa e dell’opinione pubblica che denunciavano le deplorevoli condizioni dell’assistenza, confermate anche da un’inchiesta parlamentare condotta nel 1919 dalla Commissione per lo studio della riforma dell’assistenza infermieristica. Il Rd 15 agosto 1925, n. 1832, accogliendo i suggerimenti della Commissione, si pone come unica direttiva valida su tutto il territorio nazionale ed è il primo riconoscimento ufficiale della professione infermieristica da parte dello Stato. Stabilisce che la formazione teorico-pratica dell’infermiere professionale, di durata biennale e con programmi ministeriali, si concluda, previo superamento di un esame di Stato, con il conseguimento del diploma di Infermiere professionale che costituisce titolo obbligatorio (solo per i primi anni titolo preferenziale) per l’esercizio della professione. Inevitabilmente, il Regio decreto del 1925 risente dei valori politico-sociali del fascismo, allora al potere, assegnando alle infermiere il ruolo di donne sottomesse al medico (all’epoca professione quasi totalmente maschile). Significativi sono i tratti della personalità che doveva avere l’infermiera professionale: vocazione, entusiasmo, bontà spirito di sacrificio, coraggio, disciplina, pazienza, ubbidienza, silenzio, discrezione, V. l’introduzione di Giuseppe Marmo al volume, La storia nascosta. Gli infermieri si raccontano, edito dalla Federazione nazionale dei Collegi Ipasvi, Roma 2004. 1 1 dignità professionale, tatto, garbatezza, buon umore; fattori di tipo umano, “costituzionali” della natura stessa della donna. 2. LA COSTITUZIONE DELL ’ORGANISMO DI RAPPRESENTANZA PROFESSIONAL E All’indomani del secondo conflitto mondiale l'Europa deve affrontare moltissimi problemi, primo fra tutti una profonda ricostruzione materiale e morale. Nell’ambito dell’Onu, il 7 aprile 1948, è costituita l’Oms, che lancia agli Stati, con la sua famosa definizione del concetto di salute, una sfida ambiziosa nel governo delle politiche sanitarie: l’orientamento non solo più a evitare le patologie (…la salute non è solo assenza di malattia), ma anche, e soprattutto, a sviluppare il benessere della popolazione dal punto di vista fisico, psichico, sociale, spirituale. Comincia così a porsi la consapevole esigenza di un’assistenza più qualificata. Ma in Italia le infermiere diplomate, seppure aumentate nel numero, non bastano a rispondere alla domanda e rappresentano una piccola minoranza degli organici ospedalieri addetti all’assistenza; infatti la maggior parte del personale è costituito da infermiere e infermieri generici che spesso non hanno nemmeno seguito un corso di istruzione interno agli ospedali e da personale praticante senza titolo. Da questa situazione scaturisce la sensibilità professionale a regolamentare tali figure. Vede così la luce, dopo un lungo iter parlamentare, la legge 29 ottobre 1954, n. 1046, che istituisce le scuole per infermiere e infermieri generici. Negli anni Cinquanta si diffonde un fervente associazionismo, rappresentato prevalentemente dalla Cnaioss (associazione apartitica e aconfessionale nata nel 1946, affiliata al Cii, il Consiglio Internazionale delle Infermiere, e con stretti rapporti con la Croce Rossa Internazionale), dalla Acipasv (Associazione Cattolica Infermiere Professionali e Assistenti Sanitarie Visitatrici) e dalla Firo (Federazione Italiana Religiose Ospedaliere). L’intensa attività associativa prende di petto il tema della lotta all’abusivismo professionale esercitando forti pressioni per ottenere la creazione del Collegio professionale, con il relativo Albo professionale. Le Associazioni infermieristiche agiscono in sinergia con alcune organizzazioni sindacali e con la Fimi (Federazione Italiana Medici Igienisti). Il 29 ottobre 1954 la battaglia è vinta: la legge 1049 istituisce i Collegi. Il 15 giugno 1956 viene eletto il primo Comitato centrale della Federazione Ipasvi (la sigla sta per Infermieri professionali, Assistenti sanitari e Vigilatrici d’infanzia). 3. DALL’ACCORDO DI STRASBURGO ALLA “ PRIMA” RIFORMA DELLA FORMAZIONE INFERMIERISTICA E DELL’ESERCIZIO PROFESSIONALE Negli anni Sessanta in tutti i paesi della Comunità Economica Europea si registra un forte interesse a riformare la formazione infermieristica. Nel 1957 sulla spinta del Trattato di Roma relativo al diritto di libera prestazione dei servizi, viene siglato a Strasburgo l’Accordo europeo sull’istruzione e sulla formazione dell’infermiere, che si pone l’obiettivo di uniformare la preparazione dell’infermiere. Il nostro Governo aderisce a questa impostazione apponendo la propria firma il 15 novembre 1968, con riserva di ratifica da parte del Parlamento. Questa, però, avverrà solo nel 1973. Per tutti gli anni Sessanta in ambito infermieristico persiste una contraddizione: da una parte la ricerca di emancipazione culturale e di percorsi di carriera più avanzati (ne è testimonianza la nascita delle prime Scuole universitarie per dirigenti dell’assistenza infermieristica), dall’altra il carattere marginale che la “mano d’opera infermieristica” continua a rivestire nell’immaginario collettivo, nelle amministrazioni e nella stessa legislazione. Nel 1968 viene emanata la legge 132 di riforma ospedaliera, passata alla storia come “legge Mariotti”, e nel 1969 vedono la luce i suoi tre decreti applicativi (128,129 e 130). Gli infermieri sono delusi: i suggerimenti proposti dalla professione, infatti, non risultano recepiti. 2 I commenti infermieristici dell’epoca sottolineano in particolare la mancanza del concetto di autonomia funzionale delle professioni sanitarie non mediche, che avrebbe portato ad un appiattimento dell’intera categoria, tanto più che a tale carenza si associa la mancanza di una chiara distinzione giuridica tra infermieri professionali, infermieri generici e, persino, ausiliari. Viene addirittura soppressa la dipendenza dell’infermiere generico dall’infermiere professionale, passandola direttamente alla caposala. Vengono formalizzate la figura della capo servizi sanitari ausiliari e della direttrice didattica, ma non viene per loro richiesta, come requisito, alcuna preparazione specifica superiore. Eppure, già da alcuni anni questa preparazione si stava realizzando con le Scuole universitarie per dirigenti dell’assistenza infermieristica. Sul finire del decennio si manifestano anche i primi fermenti di un movimento che pone il grande tema dell’emancipazione femminile, i cui riflessi sono destinati a pesare nell’ambito di una professione, come quella infermieristica, fino a quel momento interamente costituita da donne. Infatti l’ingresso degli uomini nella professione si realizza solo nel 1971, con la legge 124 sull’Estensione al personale maschile dell’esercizio della professione di infermiere professionale, organizzazione delle relative scuole e norme transitorie per la formazione del personale di assistenza diretta. Questa legge, inoltre, prevede, a partire dall’anno scolastico 1973-74, che per accedere ai corsi i candidati abbiano un certificato di ammissione al terzo anno di scuola secondaria superiore e un’età minima di 16 anni. Nel 1972, in applicazione ai D.P.R. 4 e 10, la gestione delle scuole per infermieri professionali viene attribuita alle Regioni, mentre lo Stato mantiene la definizione dei requisiti di ammissione ai corsi, degli esami, dei programmi, del titolo di studio, dei rapporti internazionali in materia di formazione. Il 15 novembre 1973, la legge 795 ratifica il citato Accordo europeo sull’istruzione e formazione delle infermiere. Si tratta di un atto importante per l’evoluzione infermieristica, sia dal punto di vista concettuale che giuridico. Infatti per la prima volta si riconoscono agli infermieri una competenza sulla salute delle persone secondo un approccio olistico, una fondamentale responsabilità diagnostica, la capacità di lavorare in équipe e, oltre alla competenza assistenziale, anche quelle formativa e organizzativa nei confronti del personale ausiliario. Anche dal punto di vista formativo le novità sono sostanziali. Tra queste, l’inserimento ex novo delle Scienze umane e la denominazione di “Assistenza infermieristica” all’insegnamento professionale; la definizione di alcuni requisiti di qualità delle sedi formative e degli ambiti di tirocinio; la possibilità di realizzare tirocini al di fuori delle strutture ospedaliere e nel campo della prevenzione; l’introduzione della figura del tutor (allora in Italia denominato monitore/monitrice); l’allungamento del ciclo formativo a 4.600 ore; l’obbligatorietà di docenze infermieristiche e di una direzione infermieristica. Questi cambiamenti in ambito formativo si riflettono necessariamente anche sulla regolamentazione dell’esercizio professionale: infatti il Rd del 2 maggio 1940, n. 1310, sulle mansioni degli infermieri professionali viene modificato con il D.P.R. 14 marzo 1974, n. 225. Ma a fronte della dirompente evoluzione preconizzata dall’Accordo, le modifiche introdotte nel “mansionario” risultano irrisorie e legate essenzialmente a nuove pratiche tecniche (il prelievo di sangue e l’iniezione endovenosa). 4. LA DEFINIZIONE DEGLI AMBITI DI COMPETENZA INFERMIERISTICA E IL RUOLO DEL PERSONALE DI SUPPORTO Gli anni Ottanta ereditano il lungo, acceso e controverso dibattito politico, sindacale e professionale sul concetto di “infermiere unico e polivalente”. Il confronto poggia sul principio, dimostratosi poi non così vero, che avere nei servizi tutti infermieri professionali avrebbe automaticamente determinato un aumento della qualità dell’assistenza. Nel 1980 lo Stato approva la legge 243 sulla “straordinaria riqualificazione professionale degli infermieri generici e degli infermieri psichiatrici”, che ne consente, in via straordinaria e per non oltre cinque anni, la riqualificazione, ammettendoli ai corsi di infermiere professionale. Contestualmente la stessa legge sopprime tutti i corsi di formazione del personale infermieristico generico e psichiatrico. 3 Questo atto normativo, che si connota come una vera e propria sanatoria, determina una moltiplicazione del numero delle scuole, che proliferano per far fronte all’aumentata richiesta. Le conseguenze di tipo organizzativo e didattico che ne derivano finiscono con l’influire sulla qualità formativa, generando negli anni una situazione in cui, non potendo più disporre di un numero consistente di infermieri generici, gli infermieri professionali devono sobbarcarsi in prima persona di tutta una serie di attività a minor qualificazione, comunque indispensabili per il comfort dei ricoverati. Lo Stato cerca, nel 1984, di correre ai ripari creando la figura dell’ausiliario socio-sanitario specializzato, che ha la funzione di essere di supporto alle attività infermieristiche. Ma anche questo intervento risulterà insufficiente, tanto che, dieci anni dopo la “straordinaria riqualificazione”, verrà istituita la figura dell’Operatore Tecnico addetto all’Assistenza (Ota). La formazione dell’Ota, inserita nel contratto di lavoro per il personale del comparto del Ssn, approvato con D.P.R. 341/90, verrà regolamentata con un decreto del 1991. L’Ota nasce, quindi, come compromesso tra la necessità di formare personale di supporto e l’evidente timore che questo possa in seguito rivendicare provvedimenti di sanatoria simili a quelli che hanno caratterizzato la professione infermieristica degli anni Settanta e Ottanta. 5. IL PASSAGGIO DELLA FO RMAZIONE DEGLI INFERMIERI IN UNIVERSITÀ Gli anni Novanta sono caratterizzati da importanti provvedimenti legislativi che hanno notevoli ripercussioni sulla formazione e sull’esercizio professionale dell’infermiere. Con la legge 341/90 viene istituito un nuovo livello formativo che riforma gli ordinamenti didattici universitari: il Diploma Universitario triennale (Du) che, interponendosi tra la scuola secondaria superiore e i corsi di laurea, rappresenta la soluzione a un’esigenza sempre più sentita nel mondo del lavoro. Così, a seguito della riforma, con un decreto del Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica viene istituito anche il Du in Scienze infermieristiche. La formazione in ambito universitario è comunque una realtà presente fin dal 1965 per i quadri dirigenti e i docenti infermieristici. Ma già da parecchi anni la professione spinge per adeguare anche il ciclo di base agli standard europei: è infatti chiaro che per sostenere la complessità degli studi e le impegnative responsabilità connesse alle competenze da acquisire non siano sufficienti né il livello culturale del biennio di scuola media superiore richiesto per l’ammissione, né la maturità di un ragazzo di 16 anni. La professione, quindi, continua a richiedere che anche la formazione infermieristica sia di tipo universitario. Ad aprire finalmente le porte dell’Università agli infermieri è il decreto 2 dicembre 1991 che istituisce il Diploma universitario in Scienze infermieristiche. Dopo un periodo di prima applicazione in cui i corsi universitari coesistono con quelli regionali del precedente ordinamento, nel 1996 la formazione infermieristica passa definitivamente ed esclusivamente sotto l’ordinamento didattico degli atenei. Con il successivo decreto 509/1999 giunge a compimento, dopo gli Accordi europei di Parigi e di Bologna, il cammino della riforma degli studi universitari, iniziato negli anni Ottanta, e si definisce un sistema basato sulla libertà degli atenei di darsi uno statuto, un’autonomia amministrativa e finanziaria e un autonomo ordinamento dei corsi di studio. Il nuovo sistema, basato sui crediti formativi, istituisce le lauree triennali e prevede la possibilità di iscriversi successivamente ai corsi di perfezionamento universitario, ai master di primo livello, alla laurea specialistica biennale, ai master di secondo livello, al dottorato di ricerca. Per gli infermieri quest’opportunità, lungamente attesa, trova piena applicazione con l’emanazione del decreto del Ministro dell’Università del 2 aprile 2001. Un elemento importante, fortemente presidiato dagli organi rappresentativi della professione, è il riconoscimento dei titoli pregressi, che già la legge 42/99 aveva definito. La legge 1/2002 all’articolo 1, comma 10, sceglie comunque di ribadirlo con molta chiarezza: “I diplomi conseguiti in base alla normativa precedente dagli appartenenti alle professioni sanitarie di cui alle leggi 26 febbraio 1999, n. 42, e 10 agosto 2000, n. 251, e i diplomi di assistente 4 sociale sono validi ai fini dell’accesso ai corsi di laurea specialistica, ai master ed agli altri corsi di formazione post base di cui al D.lgs. 509/99.” Viene così offerta a tutti gli infermieri (possibilità non prevista nella tradizione universitaria) la possibilità di partecipare alle selezioni per l’accesso ai corsi universitari post laurea, confrontandosi alla pari con altri aspiranti. Un altro passo fondamentale verso il rafforzamento dell’autonomia del sistema professionale è determinato dai primi concorsi universitari per professore associato nel settore scientifico-disciplinare (Med/45) proprio dell’Infermieristica, a cui partecipano con successo diversi docenti infermieri. Infine, nell’anno accademico 2004-2005, decollano finalmente anche le lauree specialistiche in Scienze infermieristiche, che vengono attivate in 15 Atenei italiani. 6. DAL “MANSIONARIO ” AL DELL’AUTONOMIA PROFESSIONALE RICONOSCIMENTO DELLA RESPONSABILITÀ E E’ il D.lgs. 502/92 che pone le premesse della riforma dell’esercizio professionale. Esso stabilisce che il Ministro della Sanità debba individuare con proprio decreto le figure professionali da formare e i relativi profili, e che la formazione del personale sanitario (infermieristico, tecnico e della riabilitazione) debba avvenire in sede ospedaliera e secondo ordinamento didattico universitario. Questa affermazione ribadisce il legame indissolubile che deve esistere tra l’utilità sociale di un profilo professionale (definita dalle competenze proprie) e il corrispondente livello formativo universitario. In altri termini, lo Stato, garante del rispetto dell’articolo 32 della Costituzione, commissiona all’Università la specifica formazione di un professionista di cui esso stesso ha stabilito il campo proprio di attività e responsabilità. Tra l’altro il D.lgs. 502/92 e i successivi 517/93 e 229/99 di riordino del sistema sanitario nazionale affermano il principio dell’educazione continua in medicina (Ecm), in base al quale nel 2002 la formazione continua del personale sanitario diventerà obbligatoria. L’emanazione del decreto sul profilo previsto dal D.lgs. 502/92 incontra, comunque, notevoli difficoltà e suscita controversie, anche aspre, ingenerate dalla preoccupazione di una possibile invasione nella sfera di competenza di altre professioni o di un eccesso di autonomia che, in particolare per gli infermieri, avrebbe potuto metterli nella condizione di prescindere dagli atti e dalla primazia del medico. Per sbloccare la situazione, si impone la scelta di una grande manifestazione degli infermieri, che scendono in piazza il 1° luglio 1994 per sostenere l’emanazione del profilo professionale. La pressione risulta vincente: il decreto che definisce il nuovo profilo viene approvato il 14 settembre 1994 e pubblicato in Gazzetta il 9 gennaio 1995. La promulgazione della legge 42/99 pone un’altra pietra miliare nel processo di crescita dell’infermiere. Togliere vincoli ormai anacronistici e inopportuni che obbligavano la presenza del medico anche per svolgimento di attività che in realtà l’infermiere già esercitava in autonomia, rappresenta una fondamentale premessa per far decollare l’assistenza infermieristica in tutti gli ambiti dell’esercizio professionale. La semplice ma basilare eliminazione dell’aggettivo “ausiliaria” alla denominazione “professione sanitaria ausiliaria”, che dal 1934 gli infermieri si trascinavano dietro, è la premessa giuridica indispensabile per l’abolizione del mansionario, per affrancare l’infermiere dal rango della subalternità, per far assurgere a valore normativo più elevato le tre coordinate entro cui si ridefinisce il campo proprio delle attività e responsabilità dell’infermiere: il D.M. sul profilo, quello sull’ordinamento didattico e il Codice deontologico, che assurge a regola giuridica proprio perché recepito da una legge dello Stato. La 42/99 introduce un’altra novità: il riconoscimento della formazione post base come ulteriore strumento per la definizione delle competenze. Non più l’infermiere unico e polivalente, ma un infermiere che in base all’esperienza professionale e al suo curriculum formativo si assume una reale responsabilità nell’esercizio delle proprie competenze. Sul versante gestionale, nel 2000 interviene la legge 251, che riconosce l’efficacia di un’organizzazione autonoma dell’assistenza infermieristica attraverso la realizzazione dei servizi 5 infermieristici nelle aziende sanitarie al fine di migliorare l’assistenza e per la qualificazione delle risorse, prevedendo la possibilità di attribuire l’incarico di dirigente del medesimo servizio. La 251, inoltre, riordinando le professioni in quattro categorie (infermieristiche e ostetriche, riabilitative, tecnico-sanitarie, tecniche della prevenzione), permette l’ancoraggio, sul piano formativo, al Dm 2 aprile 2001, che a sua volta determina le omologhe quattro classi delle lauree specialistiche delle professioni sanitarie. Poiché la carenza di personale infermieristico costituisce un elemento di criticità strutturale degli organici ospedalieri, aggravato, inoltre, dalla costante utilizzazione di questi professionisti per mansioni improprie, il legislatore torna ad intervenire a più riprese sulla regolamentazione delle figure di supporto: con un provvedimento della Conferenza Stato-Regioni del 22 febbraio 2001 individua la figura dell’operatore socio-sanitario (Oss) e con la legge 1 del 2002 (un accordo della Conferenza StatoRegioni del gennaio 2003 ne sviluppa successivamente la disposizione) quella di “Oss Specializzato” (Osss). La possibilità per l’infermiere di avvalersi, ove necessario, dell’opera di personale di supporto, già prevista nel D.M. 739/94, viene qui rafforzata dalla “supervisione” che deve esercitare nei suoi confronti. L’inserimento di tali operatori, quindi, se correttamente realizzato, può costituire oggi per la professione un’opportunità sul piano della riorganizzazione del lavoro e dell’effettivo rafforzamento dell’esercizio delle specifiche competenze infermieristiche. In conclusione, nell’arco di un cinquantennio all’evoluzione delle proprie competenze, caparbiamente perseguita dalla professione infermieristica, si è accompagnato un progressivo adeguamento del quadro normativo di riferimento, che in questo settore pone oggi l’Italia in una posizione di avanguardia nel contesto europeo. Uno sviluppo a cui l’organismo ordinistico ha dato un contributo determinante in termini di progettualità, di contenuti e di rappresentatività. Annalisa Silvestro Presidente della Federazione nazionale Collegi Infermieri (Ipasvi) 6