VIII - L`IPOCRISIA DELL`OMOSESSUALITA`

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VIII - L`IPOCRISIA DELL`OMOSESSUALITA`
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VIII - L’IPOCRISIA DELL’OMOSESSUALITA’
Una teorica del “lesbo-femminismo”, agli inizi degli anni Ottanta, sostenne che l’idea di “donna” non è naturale,
arrivando a sostenere che la “donna” è un’invenzione sociale e politica: “Una società lesbica rivela
pragmaticamente che la divisione dagli uomini di cui le donne sono state l’oggetto è di natura politica..Nel caso
delle donne l’ideologia ha avuto successo giacché i nostri corpi al pari delle nostre menti sono il prodotto di
questa manipolazione. Noi siamo state costrette nei nostri corpi e nelle nostre menti per corrispondere..all’idea di
natura che è stata stabilita per noi” (M. Wittig - “Donna non si nasce”).
nasce”) Per quanto gli individui di scarsa
personalità assumano comportamenti socialmente prestabiliti e quindi tendano a “conformarsi” a regole sociali di
comportamento, questo condizionamento non è mai né totale e né assoluto, appunto perché la società non è un
assoluto. Ciò soprattutto a livello biologico, che è il luogo dove, principalmente, si trova la differenza tra maschio e
femmina. Ora è pur vero che la differenza tra “uomo” e “donna” non corrisponde esattamente a quella tra
“maschio” e “femmina” e che, quindi, maschi e femmine assumono, in società, comportamenti difformi pilotati
dall’educazione, ma rimane il fatto che la differenza biologica maschio-femmina rimanga lì assolutamente
immutabile. La società non è così onnipotente da poter impedire ad un maschio di essere maschio e ad una
femmina di essere femmina, così come non può impedire agli individui di avere una bocca e di mangiare con la
bocca. La società può “reprimere” la natura, non “abolirla” del tutto. Se qualcuno dicesse, come fa la nostro lesbofemminista a proposito del corpo della donna, che mangiare con la bocca è una creazione di “natura politica”, che
la nostra bocca è “il prodotto di questa manipolazione”, che noi siamo stati “costretti” ad avere una bocca “per
corrispondere..all’idea di natura che è stata stabilita per noi”, dovremmo pensare che costui è pazzo. Appare
evidente che la lesbo-femminista non distingue bene ciò che è naturale da ciò che è sociale e, facendo una gran
confusione, ritiene che quanto si trova in una donna è solo un prodotto culturale, quindi di una manipolazione,
facendo, tra l’altro, in questo modo della società un Dio onnipotente che decide tutto, perfino la natura delle
persone attraverso “l’idea di natura stabilita per noi”. Questo modo di ragionare è inaccettabile, la società non è
Dio onnipotente che può tutto, nell’uomo e nella donna c’è un corpo che sussiste in maniera del tutto
indipendente dai pregiudizi sociali e politici, se chiamiamo maschio e femmina ciò che è pertinente al corpo, vale
a dire alla natura umana precedente al condizionamento sociale, occorre dire che la differenza sessuale tra
maschio e femmina non ha nulla di ideologico e di sociale. Se così non fosse, dovremmo ammettere che la nascita
mediante il parto non esiste e che la nascita avviene piuttosto nelle biblioteche, nei municipi, nei giornali, ecc.. Nel
discorso della lesbo-femminista sono impliciti tre pregiudizi: il primo, che fonda gli altri due, è che l’uomo è scisso
in due, mente e corpo, e che la mente ha valore, mentre il corpo è insignificante. Dal primo pregiudizio consegue
che tutto ciò che è mentale ha valore assoluto e che, quindi, gli individui sono solo quello che l’idea vuole. Da ciò
consegue il terzo pregiudizio, quello per cui la società, essendo ideologia (il che è certo vero), è assoluta e quindi
gestisce le idee e le stabilisce, stabilendo perfino “l’idea di natura” che ci è pertinente. L’ideologia, cioè la società,
non ha il potere di “creare” la natura e la “seconda natura”, di cui tanto si parla, non solo è il segno di una
spersonalizzazione, ma rimane pur sempre qualcosa di “ibrido” tra natura e condizionamento sociale. Se così forte
fosse il potere della società, tanto varrebbe ammettere che non abbiamo un corpo e che esso è insignificante, in
quanto maschio e femmina, nello stabilire i comportamenti degli uomini e delle donne. Si ha perfino il coraggio di
considerare “materialista” un approccio che considera il corpo insignificante ai fini dei comportamenti umani: “Un
approccio femminista materialista mostra che quella che consideriamo la causa e l’origine dell’oppressione <la
differenza biologica, in aggiunta a quella storica> è di fatto il segno imposto dall’oppressore” (M. Wittig - “Donna
non si nasce”).
nasce”) Che la differenza biologica non giustifichi, contro quanto sosteneva la De Beuavoir, una vera o
presunta oppressione storica delle donne, in quanto oppressione sociale, è senz’altro vero, ma ciò non vuol dire
che tutti i comportamenti degli uomini e delle donne siano esclusivamente sociali e quindi frutto di una
costruzione ideologica imposta. Esistono anche comportamenti naturali: di certo si seguiterebbe a mangiare con la
bocca anche se l’ideologia sociale dicesse che non si deve fare. Esistono delle attitudini naturali sessuali, che
fanno capo al maschio e alla femmina, che provengono direttamente dalla natura e non sono affatto conseguenza
di imposizioni dell’ideologia politica e sociale. Insomma credere che tutto è politico è stata una vera ossessione di
quella ideologia olistica che ha fatto da base a tanti atteggiamenti rivoluzionari, ma non certo autenticamente
anarchici. L’anarchico, infatti, è così attaccato alla libertà perché essa rappresenta il modo in cui viene tutelata e
difesa la “propria individualità naturale” dai comportamenti socialmente imposti. L’anarchia deve dare per
scontata questa base naturale posta al di là delle manipolazioni politiche e sociali, altrimenti non ha motivo di
sussistere. E i veri anarchici, da Stirner a Nietzsche (chi non reputa anarchico Nietzsche ha capito poco di lui),
hanno sempre ammesso un’individualità “propria” al di là dei costumi sociali, un’individualità “propria” che ha una
base materialistica, avendo per fondamento certo proprio il “corpo”. Nulla determina esattamente l’individualità
“propria” quanto il corpo naturale. Chi non riconosce il “proprio” corpo naturale, non riconosce la sua “individualità
propria”, non riconosce la parte essenziale della sua “personalità”, vive nel pregiudizio di origine cristiana di cui
abbiamo già detto, cioè che l’individuo sia, non quello che il corpo naturale è, ma quello che l’idea vuole. Dato che
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l’idea è l’assunzione mentale di qualcosa di esteriore, ecco che identificarsi con un’idea, equivale a “sbarazzarsi
di”, come diceva Stirner, cioè a “sbarazzarsi di se stesso”. L’idea di gazzella gli esseri umani l’assumono
dall’esterno, non è l’individualità propria di un essere umano. Se un cretino dicesse “io mi sento una gazzella”,
non solo userebbe il verbo sentire in modo improprio, perché solo un alienato può “sentire” di essere quello che
non è, ma avrebbe assunto come sua “individualità propria” un’idea assunta da una realtà esterna. Ciò è
esattamente quella che viene chiamata “alienazione”, infatti, per un essere umano, dire “mi sento una gazzella”,
equivale a dire “non mi sento essere umano”, significa essersi reso estraneo a se stesso per quanto è pertinente
alla differenza biologica tra esseri umani e gazzelle. In pratica tale cretino si è “sbarazzato della sua corporeità da
essere umano”. Ma di se stessi non ci si sbarazza, ci si sbarazza sempre di qualcosa di esterno che ci opprime, ci
si sbarazza delle catene messe ai piedi, non dei piedi. Chi dice “mi sento una gazzella”, al contrario, invece di
sbarazzarsi delle catene, si sbarazza dei piedi. Soffre di catene mentali e non ha un buon rapporto con la realtà.
Perché è chiaro che credersi una gazzella non significa esserlo realmente, significa solo non riconoscere una parte
fondamentale della propria personalità, dell’individualità propria, quella di essere un “umano” e non una
“gazzella”, con tutto il rispetto per le gazzelle. Con tutto il rispetto per gli altri, se non ci si sente orgogliosi di quello
che si è, vuol dire che non si ha personalità. Chi si priva del sé naturale, cioè il corpo, è un uomo senza
individualità, giacché l’idea non può sostituire il corpo, non è che se penso di essere una gazzella, poi sono
fisicamente una gazzella. Né ho diritto di pretendere che gli altri vedano in me una gazzella, anziché quello che
realmente vedono, cioè un essere umano. Ciò nemmeno se venisse stabilito dalle istituzioni sociali. Con quale
diritto, dunque, un transessuale pretende che lo si ritenga una donna dopo un’operazione e solo perché dice “mi
sento una donna”? Con l’operazione si è soltanto “sbarazzato di” una parte di sé, quindi è un uomo mutilato,
quanto al fatto che pensi di essere una donna, non significa che, poi, sia fisicamente una donna. Non ha alcun
diritto di pretendere che gli altri vedano in lui una donna, anziché quello che realmente vedono, cioè un uomo
mutilato. Questo neppure se le istituzioni decidono di dargli una carta d’identità al femminile. Il sesso appartiene
al corpo, vale a dire a ciò che precede la società, non è qualcosa di cui possono disporre le istituzioni e le autorità
sociali. Se si pretendesse di stabilire che un transessuale è una donna in base all’autorità, ci sarebbe solo un
tentativo immorale e illegittimo di autoritarismo, come a dire “è così perché lo stabilisce l’autorità”, il che sarebbe
la stessa cosa del regime militare che imponeva Ignazio di Loyola, il quale ha avuto la faccia tosta di scrivere una
cosa che fa del gesuita l’alienato per definizione: “bisogna sempre ritenere che ciò che vedo bianco davanti a me
sia invece nero, se la Chiesa gerarchica decide così” (Ignazio di Loyola - “Esercizi spirituali” (Regole da osservare
per avere in nostro vero ruolo nella Chiesa militante
militante - tredicesima regola)).
regola)) Se la carta d’identità dice che ciò che
vedo come un uomo (bianco), è invece una donna (nero), si butta la carta d’identità, non la propria vista. Bisogna
credere a quello che si vede, non a quello che dice l’autorità. Altrimenti non si è un uomo libero. Il transessuale
non è un uomo libero, perché si è sbarazzato, in parte, di se stesso: come dice Stirner, la libertà è l’“individualità
propria”, non lo “sbarazzarsi di”: “‘Essere libero da qualcosa’ significa soltanto ‘essere privo’ o ‘essersene
sbarazzato’. ‘Egli è libero dal mal di testa’ è lo stesso che: ‘se ne è sbarazzato’..Che differenza fra la libertà <presa
in astratto come ‘liberarsi di’> e l’individualità propria <fondamento della personalità, a partire dal corpo>! Ci si
può sbarazzare di moltissime cose..La mia propria individualità, invece, è tutto me stesso:..sono io stesso. Io sono
libero da ciò di cui mi sono sbarazzato..ma sono proprietario di ciò che è in mio potere o di ciò che
posso..L’individualità creò una nuova libertà; l’individualità, infatti, è la creatrice di tutto..La libertà <sarebbe più
esatto dire la ‘falsa libertà’> v’insegna soltanto a sbarazzarvi, a disfarvi di tutto ciò che vi pesa, ma non v’insegna
chi siete” (M. Stirner - “L’Unico e la sua proprietà”)
proprietà”).
”) Chi si mette in contrasto con il proprio corpo non sa chi è. Il
transessuale, materialmente, l’omosessuale, psicologicamente, non sanno chi sono, per questo non possono
essere liberi. Non si è mai nulla al di là del proprio corpo naturale. Il transessuale e l’omosessuale ignorano di
essere, non “uomo” e “donna”, ma “maschio” e “femmina”. Ignorano quel “saggio ignoto” che è il fondamento
della nostra personalità, cioè il corpo: “Dietro i tuoi pensieri <la tua stessa ‘idea’ di te stesso>..sta un possente
sovrano, un saggio ignoto - che si chiama Sé. Abita nel tuo corpo, è il tuo corpo” (F. Nietzsche - “Così parlò
Zarathustra” - Dei dispregiatori del corpo).
corpo) Ovviamente in una società di derivazione gnostica e cristiana, in cui si è
“anima” e non “corpo”, appare ovvio che si abbia, poi, la pretesa di essere quel che si pensa di essere, anziché
essere quel che si è. Si fa il contrario di quel che si dovrebbe fare, perché, se ci si attiene alla realtà, é il pensiero
che deve adeguarsi all’essere, non l’essere al pensiero, è il pensiero che deve adeguarsi al corpo, non il corpo al
pensiero. E’ chiaro che il transessuale tenta, senza riuscirci (perché è impossibile, bisognerebbe distruggere per
intero il proprio corpo e rifarlo da capo), di adeguare il suo corpo al suo pensiero. In questo modo si aliena, perde
l’“individualità propria”, quello che viene fuori è un artificio, una mutilazione, un tentativo di essere quello che
“non si è”, si tenta di essere l’idea di quello che si pensa di essere, facendo finta di ignorare che l’idea viene
sempre da qualcosa di esterno e che quindi identificarsi con un’idea significa perdere se stesso. Che tutto questo
possa essere considerato ovvio e naturale solo perché c’è la moda dell’omofilia appare del tutto inaccettabile. Non
ci si rende neppure conto che questo modo alienato di ragionare rispetto al corpo nasce dalla tradizione cristiana:
dalla distinzione tra “uomo interiore” e “uomo esteriore” di Lutero: “L’uomo ha una natura duplice, spirituale e
corporea: secondo quella spirituale, che dicono anima, è chiamato uomo spirituale, interiore, nuovo, tenendo
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conto di quella corporea, che chiamano carne, lo si definisce uomo carnale, esteriore, antico” (M. Lutero - “Della
libertà del cristiano”).
cristiano”) Secondo questa prospettiva, è libero solo l’uomo spirituale e l’uomo corporeo è sottoposto
all’autorità della spada perché corrotto o comunque insignificante. E’ evidente che una mentalità, come quella
cristiana, da cui deriva la modernità stessa, finisce per considerare come verità di se stessi quello che si pensa di
sé, non quello che il Sé è a priori come corpo. Il pensiero, infatti, appartiene alla regione dell’anima e non a quella
del corpo. Identificare la libertà con l’anima, anziché con il corpo, significa identificare la libertà con l’arbitrio. E’
esattamente questo che si ritrova tanto nel transessuale che nell’omosessuale. Il corpo di un transessuale e di un
omosessuale parla in modo diverso rispetto a quello che il transessuale e l’omosessuale dicono di se stessi:
bisogna credere sempre a ciò che si vede e non a quello che si dice o a quello che l’autorità stabilisce.
L’innaturalezza del transessuale e dell’omosessuale è fuori discussione. E’ evidente che una cultura di derivazione
cristiana, come quella moderna occidentale, non riesce più a prendere il corpo per quello che è e soprattutto non
riesce a stimarlo e a considerarlo come il fattore basilare della personalità. Ciò appare ovvio se imbecilli come
Cartesio e Kant hanno ridotto il fisico o ad un “automa” (Cartesio) o ad un “fenomeno” (Kant): “Suppongo che il
corpo non sia altro che una macchina di terra” (R. Descartes - “L’uomo”),
“L’uomo”) poi: “L’oggetto indeterminato d’una
intuizione empirica prende il nome di fenomeno” (I. Kant - “Critica della ragion pura” - Estetica trascendentale 1).
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In realtà, Cartesio e Kant dicono la stessa cosa, perché Cartesio, considerando il corpo un “automa”, lo considera
anche un “oggetto” privo di soggettività e di vita propria, allo stesso modo Kant, considerando il corpo, quale
fenomeno empirico, un “oggetto”, non solo, anche lui, lo considera privo di soggettività e di vita, ma, come
Cartesio, lo considera un “automa” costituito dalle parti funzionali a cui l’analisi lo riduce. Appare evidente che, là
dove il corpo non viene ritenuto cosa pertinente alla persona, esso non viene neppure preso in considerazione
come fonte primaria della personalità. Per cui il corpo diventa semplice materiale a disposizione della mente che,
con il suo arbitrio, pretende di forgiarlo secondo i modelli ideali che si costruisce sulla base dei pregiudizi sociali di
moda. Dal tatuaggio al percing, fino a giungere all’omosessualità e a quell’orrore che è la transessualità, il corpo
diventa la vittima dell’arbitrio mentale, il quale, non possedendo niente di “proprio”, perché la mente prende
“idee” solo dall’esterno (non si può confondere una personalità che si manifesta nel pensiero, con una semplice
assunzione di idee), non fa altro che assimilare l’Io a qualcosa di esterno, con la pretesa che il corpo si adatti a
questa degenerata immaginazione. In realtà ci si priva dell’unico fondamento solido della propria personalità, cioè
il corpo così come è alla nascita. Sulla stessa linea di Cartesio e Kant si trova Heidegger, allorché pone il corpo
nell’ambito della “semplice presenza”, giacché per lui la verità è l’interiorità (Essere, Esserci) e non la “presenza”,
la quale ultima, di per sé, è insignificante. Heidegger considera il corpo insignificante, perché ciò che conta,
individualmente, è l’Esserci e quest’ultimo, in virtù della “differenza ontologica” tra essere, o spirito informale, ed
ente, non ha certo la dimensione determinata del corpo: “Esistenza significa, per l’ontologia tradizionale, qualcosa
come la semplice-presenza, modo di essere, questo, essenzialmente estraneo a un ente che ha il carattere
dell’Esserci” (M. Heidegger - “Essere e tempo”).
tempo”) Questo significa che l’Esserci è del tutto immateriale, in quanto il
corpo è, prima di tutto, una presenza, anzi la presenza fondamentale grazie alla quale ci siamo e siamo venuti alla
vita. Una cosa tanto fondamentale per la nostra vita e per la nostra esistenza, come il corpo, non può essere
estraneo alla nostra personalità. Questo vuol dire che, nella filosofia di Heidegger, il corpo è sostanzialmente
insignificante, perché i valori esistenziali sono posti al di fuori della “presenza”, dal che deriva che il corpo, così
come in Lutero, in Cartesio e in Kant, finisce per trovarsi collocato all’interno di beni “strumentali”, i quali non
hanno valore per se stessi, ma hanno valore solo per chi ne usufruisce. Dopo l’alienazione cristiana nello spirito
riesce difficile all’uomo moderno in generale capire che l’individuo non “ha” un corpo, ma “è” un corpo. Dato che
la modernità, sulla scia del cristianesimo, ritiene il corpo un bene “strumentale”, ne deriva che può diventare
oggetto di disegni, di simboli, di modificazioni genitali (transessualità), ne deriva che una mente tutta psichica si
ritiene giustificata nel considerare il proprio corpo come non adatto alla mente stessa, in fondo di tratta solo di
rifiutare uno “strumento” (omosessualità: l’omosessuale si comporta, sessualmente, in modo del tutto incongruo
rispetto al suo corpo) o addirittura di modificarlo (transessualità). Questo considerare il proprio corpo come un
semplice “strumento” è del tutto innaturale ed è la conseguenza dell’altissimo livello di alienazione cui spinge la
civiltà. L’omosessualità è più diffusa nei paesi civili che in quelli primitivi. Non che i primitivi non avessero dei
possibili sviluppi omosessuali, ma il fatto stesso che la ritenessero una manifestazione strana, quasi simbolo di
una elezione divina, dimostra che essa non era ritenuta appartenente del tutto al mondo naturale che gli era
proprio. L’improprio secondo natura viene ritenuto dai primitivi un segno di elezione divina, cioè di superiorità, ma
non di naturalezza. C’era, contemporaneamente, l’onore verso l’omosessuale e il suo rifiuto nel momento stesso
in cui gli veniva assegnato tale ruolo. Questo comportamento mostra l’innaturalezza dell’omosessualità anche nel
giudizio dei primitivi, ma aveva il pregio di evitare che ci potesse essere violenza nei confronti degli omosessuali. Il
fatto che l’omosessualità sia e resti innaturale, ovviamente, non giustifica la violenza contro l’omosessuale,
violenza fatta da persone che o ritengono la società un “ordine” da imporre con la violenza (fascisti) o che
ritengono di essere dei giustizieri che agiscono in nome della natura. Che l’omosessualità sia fisicamente
innaturale non significa che bisogna lapidare gli omosessuali, infatti chi, nella civiltà moderna, è del tutto esente
da qualche comportamento innaturale? Chi è senza peccato scagli la prima pietra. Il che, poi, non vuol dire
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neppure che tutti i comportamenti dell’uomo civile debbano essere per forza innaturali. Quelli che palesemente
derivano dal corpo, come essere o maschio o femmina, non sono innaturali in alcun modo. Il corpo è la modalità
con la quale veniamo al mondo ed è quindi precedente ad ogni forma di condizionamento sociale dovuta
all’educazione, all’ideologia, alla politica. Insomma, è un diritto considerare innaturale l’omosessualità (e
ovviamente ancora di più la transessualità, una vera mostruosità estetica, un pugno nello stomaco), ma non è un
diritto essere intollerante verso gli omosessuali. Stabilito questo, appare ovvio che oggi si sia superato il limite
anche nella critica a coloro che non accettano, sul piano naturale, l’omosessualità e la transessualità, dalla lotta
all’omofobia si passa, in tal modo, all’obbligo dell’omofilia. Ciò è del tutto inaccettabile. E’ quello che fa Onfray nei
confronti di Freud (e che qualche cretino potrebbe fare anche nei confronti di chi scrive, in piena libertà di
coscienza, queste pagine), immaginando l’ipotesi assurda di un’“omofobia ontologica”, come se chiunque non si
adegua all’opinione pubblica, oggi favorevole a sostenere che l’omosessualità sia una sessualità come un’altra,
debba essere demonizzato come “omofobo”. Non esistono più tipi di sessualità, almeno dal punta di vista fisico, le
variazioni psicologiche dell’eccitazione sono un’altra cosa rispetto alla verità ontologica del corpo. La sessualità è,
in natura, solo la distinzione di maschio e femmina, chi non si comporta da maschio, essendo maschio, e chi non
si comporta da femmina, essendo femmina, si comporta in modo innaturale. Il corpo non dice altro. Le varianti
psicologiche del piacere e dell’eccitazione possono seguire qualunque fantasia, ma non sono la sessualità dal
punto di vista fisico. L’importanza esclusiva che si attribuisce al piacere e all’eccitazione, senza le quali,
ovviamente, l’atto sessuale non viene compiuto, dipende da quell’eccessiva importanza che viene oggi data
all’interiorità psicologica. E’ la conseguenza del culto dell’interiorità di tipo cristiano e protestante. In questo modo
si finisce per non riconoscere più la dimensione fisica della sessualità e quindi neppure l’innaturalezza
dell’omosessualità e della transessualità. C’è chi equipara l’artificiale e il naturale (seni “rifatti”, operazioni genitali
ecc.) con una superficialità sconcertante. Ciò appare ovvio in una società che ha stabilito che è importante solo
quello che si pensa. Il fattore soggettivo, come il piacere e l’eccitazione, sono diventati qualcosa che hanno vita
propria, indipendentemente dalla natura del corpo che si possiede. Se qualcuno si eccita e prova piacere facendo
una specie di atto sessuale con un lampione, ciò viene preso semplicemente come una forma di sessualità
“uguale” ad un'altra. Non si dice che è innaturale. L’importante è affermare l’“uguale”, come se tutti i
comportamenti sessuali fossero equivalenti e non ci fosse un corpo naturale. Questo perché l’arbitrio regna
sovrano e ad ogni arbitrio, sul piano sessuale, viene a priori assegnato valore equivalente (ad esempio si fa finta di
non notare l’innaturalezza del sadismo e masochismo sessuale). In tal modo regna sovrana anche l’ipocrisia, in
virtù della quale si è accondiscendi con qualsiasi innaturalezza perché si è schiavi del gruppo sociale che impone
come prima regola l’“uguale”. Onfray, che accusa Freud di “omofobia ontologica”, neppure si rende conto del fatto
che la sua affermazione è la conseguenza del più stupido “conformismo sociale”, il quale oggi ha stabilito che la
sessualità è un fatto mentale e interiore (eccitazione e piacere avulsi da ogni natura fisica) e che, quindi, ci sono
più forme di sessualità e che ogni forma di sessualità vale l’altra, mentre, nella realtà fisica, c’è solo una
sessualità, quella che distingue i corpi in maschio e femmina, così che, nella realtà naturale, solo il
comportamento eterosessuale è naturale e coerente con la distinzione dei corpi in maschio e femmina. Dice
Onfray: “La fallocrazia e la misoginia di Freud si accompagnano a una omofobia ontologica. L’onestà impone di
segnalare che nel 1897 Freud firma la petizione del sessuologo tedesco Magnus Hirschfeld in cui si chiedeva di
abrogare un articolo del codice tedesco che puniva l’omosessualità maschile. E che nel 1905 in ‘Tre saggi sulla
teoria sessuale’ afferma chiaramente: ‘Gli invertiti non sono degenerati’..il che ha il merito di essere chiaro. Ecco
perché parlo di omofobia ontologica e non di omofobia politica e militante. Quale è la differenza? L’omofobia
politica pratica la discriminazione, o la criminalizzazione di questa pratica sessuale; l’omofobia ontologica la
considera in relazione a una norma rispetto alla quale essa appare come anormale o perversa..In questo caso la
perversione non è morale, ma topica: come già abbiamo avuto modo di ricordare, Freud pensa la sessualità come
unione di due esseri di sesso diverso in vista di una copulazione genitale’ (M. Onfray - ‘Crepuscolo di un idolo’
(Smantellare le favole freudiane)).
freudiane)) Che la sessualità non abbia niente a che fare con una copulazione genitale chi
lo stabilisce? Si può discutere se la copulazione genitale debba essere o no finalizzata alla procreazione (anche se
appare certo disposta a tale scopo), ma dire che la sessualità è estranea alla copulazione genitale equivale a dire
che la sessualità è estranea al corpo. Cioè equivale a dire una bestialità. Freud ‘omofobo teorico’? O
semplicemente Freud moralista dell’età vittoriana? Che non è la stessa cosa. Anche perché, sapendo quanta
importanza ha la bisessualità nell’omosessualità, non si può accusare Freud di ‘omofobia teorica’ quando Freud
ha teorizzato l’idea di una ‘bisessualità originaria’ del genere umano, ciò in contrasto evidente con la realtà
corporea e ricorrendo ad un’idea mitica sulla base di un’arbitraria analogia tra clitoride e pene, assimilati,
appunto, nell’idea mitica. Quanto affermato da Onfray chiarisce la differenza tra ‘omofobia ontologica’ e ‘omofobia
politica’ molto di più di quanto chiarisca che cos’è l’‘omofobia ontologica’. Essa sarebbe un’omofobia legata ad
una ‘norma’, la norma sarebbe il fatto che Freud ‘pensa la sessualità come unione di due esseri di sesso diverso
in vista di una copulazione genitale’. Occorre essere ciechi per non vedere che la sessualità è legata ad una
diversità sessuale. E’ vero che Freud appare legato al pregiudizio della donna madre e quindi al sesso come
semplice procreazione, ma da ciò all’omofobia c’è ancora un abisso, procreazione per la quale gli omosessuali
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sono comunque fuori gioco, ciò sebbene gli omosessuali sembra lo accettino poco (ma quel che pensano gli
omosessuali non è la Bibbia), visto il modo insistente con il quale cercano, contro natura, di eguagliarsi in tutto e
per tutto agli eterosessuali (vedi l’esigenza di avere un figlio mediante le adozioni: come nasce questo bisogno di
essere genitori senza avere la possibilità ‘in proprio’ di procreare? Il che, sia ben chiaro, appare anomalo anche
nelle coppie eterosessuali sterili. Chi desidera quello che non può fare, sta prendendo a modello l’altro e non se
stesso). Il fatto che gli omosessuali desiderino dei figli, nonostante la loro scelta sessuale, dimostra,
inequivocabilmente, che essi ignorano la corporeità, perché vorrebbero essere procreativi anche come
omosessuali e non potendo esserlo ricorrono all’artificio delle adozioni. L’omosessualità rientra nella più generale
lotta contro il corpo che la civiltà sta compiendo da duemila anni a questa parte. Il solo far notare queste cose e
queste differenze naturali appare ai sostenitori dell’uguaglianza assoluta come un atteggiamento ‘omofobo’,
perché ragionano come se fosse ‘relativa’ anche la realtà e il corpo e vivono chiusi nella loro mente, nella quale
c’è solo una stagnante palude fatta di ‘uguaglianza’. Viene veramente da irritarsi e da rispondere in modo
maleducato quando alla realtà viene contrapposta continuamente un’astrazione intellettuale, cioè quella del tutto
uguale, come se tutto fosse da misurare in termini di uguaglianza sociale. Questa gente è incapace di liberarsi
dell’opinione pubblica, che, è bene segnalarlo, oggi come oggi non è certo omofoba, almeno tra le classi
intellettuali. Anche svincolando il sesso dalla procreazione, a cui Freud sembra ancora legato, è la natura, non una
norma sociale, non un’opinione soggettiva, che mostra i corpi come eterosessuali. Che ci si debba adeguare alle
mode sociali fino a negare la realtà e la natura è veramente inaccettabile, è un tentativo di violenza e come tale va
denunciato. Non esiste l’obbligo di ritenere che l’omosessualità sia naturale quanto l’eterosessualità e, se la
società ponesse tale obbligo, sarebbe un diritto e un dovere ben preciso trasgredirlo e ignorarlo. Considerare
l’opinione sociale come Dio è tipico dei vermi. L’eccitazione sessuale negli omosessuali genera reazioni genitali
involontarie eterosessuali, questo lo dice il corpo, mentre Onfray sembra ragionare per uguaglianze astratte,
ignorando il corpo. Solo i mediocri filosofi ignorano il corpo. Più che da Freud, che pure qui erra meno di chi lo
accusa di ‘omofobia’, occorre prendere lezioni da Nietzsche: ‘Disprezzano il corpo: lo hanno lasciato fuori del
calcolo’ (F. Nietzsche - ‘Frammenti postumi’ 1888 - 14 (96)).
(96)) E’ Nietzsche, prima ancora di Freud, che condanna
come assurdo il concetto di ‘omofobia ontologica’, perché, quando si parla di ontologia, o si ‘mostra’, visivamente
e materialmente, che le cose non stanno così o è meglio tacere. Mostrare sta per ‘vedere’, non per ragionare in
astratto, cioè in termini di uguaglianza, rispetto al corpo. Se è vero che, nel passato e non sempre, molte società
hanno assunto atteggiamenti ‘omofobi’ e del tutto arbitrari nei confronti degli omosessuali (che, in fondo, stavano
solo gestendo la loro vita privata sessuale, distorta naturalmente sì, ma in fondo la “loro” vita privata), se è vero
cioè che sia sussistito e talvolta sussista ancora un pregiudizio sociale di ‘omofobia’ (specialmente in certi
ambienti dove regna il culto dell’‘ordine’, ambienti cristiani e gerarchici o fascisti; considerare ‘contro natura’
l’omosessualità, però, non si richiama al culto dell’ordine, che è un fenomeno sociale, ma alla necessità naturale:
vedere in proposito la distinzione nietzscheana tra ‘necessità’ - natura - e ‘ordine’ - società -), è indubbio che, dopo
gli anni Sessanta, sulla scia di uno psicologismo dilagante e di un egualitarismo sempre più astratto, la società ha
finito con l’assumere un altro tipo di pregiudizio sociale, cioè il pregiudizio sociale di ‘omofilia’. Di questa ‘opinione
pubblica’, drogata di psicologismo, Onfray si fa forza come se fosse, per il solo fatto di essere ‘opinione pubblica’,
depositaria della verità. La verità non sta mai nell’opinione pubblica di per sé, non sta mai nell’esigenza
psicologica di per sé, sta nel ‘corpo’ e nel modo in cui reagisce il corpo all’eccitazione, ci sia o non ci sia l’atto
procreativo (comunque la funzione procreativa non può non essere considerata un indizio ben preciso di cosa sia
fisicamente la sessualità). Insomma bisogna vedere se il pregiudizio consista nell’‘omofobia ontologica’ o non
consista, invece, nello psicologismo ed egualitarismo astratto, se consista nel non partire dal corpo nelle
considerazioni sessuali o nel partire dal corpo, se consista nel considerare l’omosessualità naturale o contro
natura. Il corpo, nella sua oggettiva differenza tra maschio e femmina, nella reazione fisica susseguente
all’eccitazione (anche mettendo tra parentesi la procreazione, il che si può fare rispetto al fine, non rispetto al
mezzo, perché il mezzo, comunque, rivela la struttura eterosessuale della sessualità), non lascia dubbi sulla sua
natura ontologicamente eterosessuale. Freud, quindi, ha perfettamente ragione nel ritenere ‘la sessualità come
unione di due esseri di sesso diverso’, e, quando si fa sesso, bene o male, prima o poi, i genitali vengono coinvolti.
Il corpo è ‘omofobo’? Se è così, in nome del corpo è perfettamente legittimo essere ‘omofobi’ in senso ontologico,
anzi è l’unica posizione corrispondente alla verità, che Onfray e l’opinione pubblica di oggi lo vogliano o no. Un
consiglio per i genitori che non vogliono favorire la nascita dell’omosessualità nei loro figli (anche se, una volta
divenuti tali, occorre accettarli come figli, ma anche ricordare loro che qualcosa non funziona nella loro psiche): la
madre deve evitare di mostrare, fin dalla nascita, un eccessivo interesse verso il figlio maschio; per la femmina
occorre vigilare sulle frustrazioni dell’età puberale e post-puberale e sulle delusioni amorose.
Se ci crediamo uguali
qui, nella coscienza,
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nel corpo, invece,
il sesso è differenza.
Solo maschio o femmina
è il neonato tra le fasce,
può apparire strano:
omosessuali non si nasce.
Se davvero ci fosse
il famoso terzo sesso,
anche un terzo corpo
ne verrebbe appresso:
nessuno ha visto mai
un neonato omosessuale:
ché neppure esiste
un corpo come tale.
Tempo e rapporti
ti deviano nel sesso,
ma l’artificio poi
ti fa perdere te stesso.
Solo maschio e femmina
possono far figli,
altri non son fecondi
là, nei lor giacigli.
Eppure gay e lesbiche
vogliono aver figlie
e come tutti gli etero
far delle famiglie,
vogliono essere
quello che non sono
e l’ipocrisia sociale
l’ammette come buono.
(10/6/1982)