Cinema muto italiano: Gabriele D`Annunzio e «Cabiria».

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Cinema muto italiano: Gabriele D`Annunzio e «Cabiria».
Cinema muto italiano: Gabriele D'Annunzio e «Cabiria».
Una testimonianza inedita.
di Ferdinando Cordova
Il 28 febbraio del 1914, Gabriele D'Annunzio, intervistato dal «Corriere della Sera», prese a discorrere di cinematografo. "Or è parecchi anni dichiarò - a Milano, fui attratto dalla nuova invenzione che mi pareva
potesse promuovere una nuova estetica del movimento. Passai più ore in
una fabbrica di film per studiare la tecnica e specie per rendermi conto del
partito che avrei potuto trarre da quegli accorgimenti che la gente del
mestiere chiama "trucchi". Pensavo che dal cinematografo potesse nascere
un'arte piacevole il cui elemento essenziale fosse il «meraviglioso» ". Il
poeta colse, anzi, l'occasione, per annunziare che una casa torinese, diretta
da "un uomo colto ed energico", Giovanni Pastrone, aveva ricavato un film
da un suo soggetto inedito. "Si tratta - aggiunse - d'un disegno di romanzo
storico, delineato parecchi anni fa e ritrovato fra le mie innumerevoli
carte"1.
Cabiria, a cui egli alludeva, sarebbe stato proiettato, in tutta Italia, il
successivo 18 aprile. Il quotidiano milanese, nel darne - cosa, fino ad allora, mai successa ad un film - la cronaca della "prima", usò un tono divertito, in cui erano presenti ironia e scetticismo. "Tentato dal nuovo gioco scrisse - il Poeta si mette perfino a congegnare uno scenario per cinematografo aizzato da un'offerta che potrebbe sembrare pazzesca, ed ecco che
subito la ditta cinematografica spende un capitale per mettere in scena la
«visione storica» - si parla di un milione, di mezzo milione, a scelta - e
tappezza tutte le vie delle grandi città di manifesti colossali e diffonde
opuscoli stampati con un lusso sbalorditivo. Poi si prendono in affitto
grandi teatri, si completa la cinematografia con orchestre numerose, con
coristi; ci si mettono dentro anche delle sinfonie originali. E si fanno perfino
le prove generali. Le immaginate le prove generali di una pellicola di
cinematografo? Ebbene: si sono fatte venerdì.
E alla prima rappresentazione - ma non sentite che anche noi siamo
presi dall'ingranaggio e chiamiamo prima rappresentazione una proiezione
di film? - alla prima si mettono dei prezzi da grande teatro e il pubblico
accorre, dandole veramente l'importanza di una prima teatrale; e che fervore di commenti e di discussioni. A una proiezione di cinematografo!
Ah, quel d'Annunzio! E i giornali ne parlano: si tratta di lui"2.
In realtà, l'anonimo estensore della nota, la quale occupava circa tre
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quarti di una colonna del giornale, sembrava intuire che Cabiria , "visione
storica del III secolo a. C", con le sue tre ore di durata, le scene spettacolari,
gli accorgimenti tecnici e la capacità di riunire personalità eccellenti in arti
diverse3, rappresentava una svolta nella produzione cinematografica, ma non
riusciva a coglierne, fino in fondo, il significato. Lo spettacolo gli appariva
un evento pittoresco, senza dignità creativa, al punto da fargli scartare
l'ipotesi, pur balenatagli, che, in un futuro, più o meno vicino, potesse
nascere "un nuovo genere di critico: il critico delle pellicole"4.
La proiezione aveva visto, comunque, un grande concorso di pubblico,
attirato, anche, dal nome del poeta, che aveva contribuito non poco a farla
conoscere. Lo stesso D'Annunzio ne rimase impressionato, tanto da teorizzare una nuova arte "di trasfigurazione", che affiancasse il teatro e lo
liberasse dalla "ignobile decadenza", in cui era, a suo dire, caduto, fino a
permettergli di rigenerarsi5.
Tom Antongini, segretario ed amico, sostenne, molti anni più tardi,
che egli, in realtà, non aveva scritto il soggetto del film, ma si era limitato a
rivestire di forma letteraria i personaggi inventati da Pastrone ed a collegare
alcune scene, già girate. "Naturalmente - sostenne - come quei padri che
sanno che uno dei loro figli non è opera loro, ma di un amico premuroso che
veniva spesso a pranzo e che accompagnava qualche volta la moglie al
«dancing», e non riescono malgrado ogni lodevole sforzo a trattare quel figlio
come gli altri benché il poverino non abbia alcuna colpa. d'Annunzio non
amò mai «Cabiria» ed evitò sempre di vederla"6.
Noi oggi sappiamo, attraverso la corrispondenza scambiata tra il
produttore - regista ed il poeta, che le cose non stavano così e che la fantasia
dell'"immaginifico", sollecitata da un sostanzioso corrispettivo, contribuì in
maniera essenziale a determinare la storia ed i personaggi. Il film, inoltre,
venne girato solo dopo che la sceneggiatura era stata definita in maniera
scrupolosa ed erano stati ultimati i preparativi più minuziosi. Nessun
particolare venne lasciato al caso: tanto meno, furono abborracciate, tra di esse,
sequenze casuali, con altre, girate apposta per fungere da raccordo7.
L'unica verità, che sembra possibile condividere, dello scritto di
Antongini, é il sostanziale discredito che D'Annunzio nutrì verso il cinema,
da lui considerato, ancora, "en enfance" ed incapace, quindi, di restituire,
agli spettatori, le emozioni complesse di forme d'arte raffinate. Va precisato
che tale giudizio era comune - salvo casi rari8 - ai letterati italiani dell'epoca.
Basti pensare al Pirandello dei Quaderni di Serafino Gubbio operatore, il
quale, proprio nel 1915, scriveva che il cinema, in quanto "meccanismo",
non poteva essere, nel contempo, "vita" ed "arte'"*.
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La conferma di tale pregiudizio - comprensibile nello spirito del tempo ci viene dal documento, che, qui di seguito, pubblichiamo. Esso è tratto
dai Diari1" inediti di Gian Francesco Guerrazzi, nato a Livorno il 5 ottobre
del 1865 e nipote del più noto Domenico".
L'autore, educato nel culto del suo antenato e degli ideali risorgimentali,
fu un acceso irredentista. "I racconti - ricordò in età matura - che noi
fanciulli avevamo preferito, che aveano calmata spesso la nostra infantile
irrequietezza e che , più di ogni altra novella e di ogni fiaba, ci tenevano a
bocca aperta; e tanto ci rapivano ed appassionavano, eran quelli delle gesta
garibaldine e, più ancora, dei casi dell'occupazione austriaca. In tali racconti
rifulgeva tutta la fierezza dei nostri popolani nella diuturna, pertinace lotta
sostenuta con ogni mezzo - col dileggio e con la passiva resistenza, con
l'agguato e col pugnale, contro l'odiatissimo e spregiato dominatore
straniero. Ed anco i racconti delle dolorose vicende dei nostri maggiori ci
commovevano; poiché quasi ogni famiglia, umile o grande, aveva avuto la
sua vittima, il suo perseguitato o, quanto meno, qualche lamentevole incidente dalla straniera oppressione o dalla domestica tirannia a quella asservita.
E tanto più noi sentivamo il grande fascino di tali narrazioni che, il più
frequente, dei fatti narrati i narratori - bambinaie, domestici, artigiani,
maestri - erano stati o testimoni o protagonisti o vittime. Più d'uno portava
sul suo corpo gl'indelebili segni della barbarica brutalità. Così l'anima
nostra fanciulla dal diretto contatto con l'anima popolare era, con tali semplici ed ingenui racconti, educata all'amore ed all'odio; sconfinato amore per
l'Italia e la libertà, inesauribile odio contro ogni tirannia"12.
Cresciuto in tale temperie, egli fu tra i fondatori ed il primo segretario,
dal 1890 al 1894, della società "Dante Alighieri", la quale si proponeva la
propaganda e la difesa dell'italianità all'estero13.
Dismessa la carica, si dedicò in pieno alla professione di avvocato, che
esercitò in Roma, specializzandosi in vertenze ferroviarie e questioni
minerarie14. Nel contempo, prese a curare la tenuta di famiglia di Cisanello,
presso Pisa, e ad occuparsi di problemi agricoli. Fra il 1904 ed il 1905,
coadiuvò l'americano David Lubin nell'iniziativa di dar vita, sempre nella
capitale, all'Istituto Internazionale di Agricoltura, del cui Comitato Direttivo
permanente venne chiamato a far parte15.
Solo nell'agosto del 1914 ritornò alla politica attiva, con un'intensa
opera a favore dell'intervento nella "grande guerra", convinto che, partecipandovi, l'Italia potesse condurre a buon fine le aspirazioni degli irredentisti.
Organizzò, perciò, collette e dimostrazioni ed alimentò polemiche, che
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lo videro, sempre, in primo piano. Avendo, poi, il governo aderito al conflitto, iniziò, il 21 novembre del 1915, a pubblicare un giornale, "Il Fronte
Interno", dapprima settimanale e, in seguito, quotidiano, il quale prese a
diffondere e ad alimentare quel clima di sospetto e di intolleranza, che
avrebbe avuto pesanti riflessi sulla vita democratica del Paese. Non a caso, il
periodico invocò, dapprima, il "ritorno allo Statuto", che significava
maggiori poteri al re, in danno del Parlamento, e, nel gennaio del 1917,
perfino un dittatore, indicato, in maniera allusiva, nella persona di Cadorna16.
Con tali premesse, che miravano a dare alla guerra una svolta
nazionalista, si può comprendere, anche, come mai il Guerrazzi si adoperasse per l'edizione romana de "Il Popolo d' Italia", anche se non ci sono
noti i termini concreti del suo impegno'7.
Allorché, infine, il 12 settembre del 1919, D'Annunzio occupò Fiume,
egli appoggiò l'impresa. Suo figlio Guerrazzo, granatiere, fu tra i legionari,
che parteciparono, in novembre, alla spedizione su Zara, ed egli stesso si
recò, a Natale, nella città adriatica, ricevuto con familiarità dal poeta, il quale
lo volle, più volte, alla sua tavola e lo mise a parte - a quanto risulta dai
Diari - dei suoi progetti politici.
Tornato in Italia, si agitò molto in favore della " città olocausta " ,
attraverso una serie di rapporti personali - non sappiamo quanto proficui -con
esponenti del governo Nitti, a sostegno dell'annessione, e con la presenza
nella "Unione Nazionale Pro Fiume", che radunava, fra gli altri, alcuni
senatori e deputati18.
Contestualmente, da proprietario poco illuminato, incoraggiò l'Agraria
toscana ad assumere una linea intransigente nei confronti dei contadini e dei
socialisti, i quali si facevano portavoce delle loro richieste.
Il passo successivo fu l'adesione al fascismo, restauratore, ai suoi
occhi, d'un ordine sociale, messo in pericolo dagli odiati "sovversivi"19;
adesione persuasa, al punto da rinnegare il Comandante, quando gli parve
che, nel 1923, col suo "Patto Marinaro", si schierasse a fianco dei lavoratori
della marina mercantile, nel loro conflitto sindacale con gli armatori, e
guastasse la disciplina dell'incipiente regime20.
"L'intrusione di D'Annunzio nelle cose marinare - annotò nel suo Diario
- è irragionevole e sospetta. Esistono, fra armamento e gente di mare, patti
stipulati. Fra l'uno e gli altri tutto è in pace. Che centra, quindi,
D'Annunzio con il suo «pactum sine nomine»?".
Sull'onda del sospetto, giunse ad accusarlo, addirittura, di ""idee, mentalità anticapitaliste" ed a ricordare che fra il poeta ed :\ capo del governo
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non era mai - al di là delle apparenze - corso buon sangue. "Il dissidio scrisse - è nelle cose: è un arrivista mi diceva D'A[nnunzio] a Gardone 1921 - è uno squinternato semi comunista, ribattevami Mussolini pochi
giorni dopo a Milano. E le cose sono allo stesso punto... D'Annunzio fa di
necessità virtù; ma cerca di buggerar l'altro e mantenersi un prestigio ed un
potere che non vi ha ragione mantenga; anzi vi sono molte ragioni perché non
ne abbia ad aver più alcuno. Mussolini lavora, con modi che potranno
anche essere criticabili, per il paese; D'Annunzio lavora pro domo sua.
Mussolini mena il can per l'aia e lascia che il pallone finisca di sgonfiarsi. E
si sgonfierà !".
In settembre, perdurando il contrasto, giunse ad affermare che
"D'A[nnunzio] con la sua irragionevole intrusione continua ad essere elemento di disordine della vita nazionale [...] Questo non è solo indizio di
persistente demagogismo del Poeta, di sfrenata voglia di imporre la propria
volontà, senza riguardi agli interessi nazionali; ma questi tenaci suoi vincoli
con Giulietti2' danno ben altro carattere al suo intervento e ne precisan gli
scopi, i quali non sono affatto né la pace e la conciliazione fra armatori e
ciurme per il bene del paese e nemmeno la protezione della classe
marinara...
È notabile che D'A[nnunzio] profitti de' momenti più eccezionali per
imporre le sue capricciose pretese. L'altra volta era alla vigilia della adunata
di Napoli; stavolta si è in un momento critico nazionale...
Decisamente il Poeta è di inguaribile indole ricattatoria" n.
Malgrado questa sua fede inossidabile ed i buoni rapporti con alcuni
gerarchi - Giuriati, Buffarmi Guidi e Rossoni - il Guerrazzi non rivestì, nel
"ventennio", incarichi di particolare rilievo politico. "Ebbe parte - si legge in
un suo profilo biografico - nella fondazione a Firenze di un ente per
l'incremento agrario in Toscana e poi nella costituzione di corporazioni
agrarie di coloni e di proprietari per educar gli uni e gli altri e dare al
fascismo, nelle nostre province, una base solida e concreta. In seguito a
speciale designazione ministeriale venne anche eletto consigliere della
provincia di Pisa"21.
Visse, piuttosto, da notabile, occupandosi delle sue proprietà e di
mantenere accesa la memoria del nonno Domenico, attraverso la stampa
delle lettere inedite o la riedizione di alcune sue opere. Morì il 27 ottobre
del 1932 a Marina di Pisa.
Le confidenze su Cabiria - simili,nei contenuti, alla vulgata di Antongini
- gli vennero da D'Annunzio, quando egli andò a raggiungerlo, nel Natale
del 1919, a Fiume, e hanno necessità di alcuni, brevi, chiarimenti.
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In esse, infatti, il poeta dà una versione del tutto fantastica dei suoi rapporti
con Giovanni Pastrone - detto, dal Guerrazzi, in maniera errata, Masprone, a
segno della sua non elevata notorietà - che si svolsero, invece, in maniera
del tutto convenzionale. Lungi dall'irrompere in una camera d'albergo di
Parigi, senza essere annunciato, come un avventuriero romantico - ciò che
non rientrava nei suoi modi di imprenditore beneducato ed accorto - il
produttore e regista torinese si rivolse al poeta, il 6 giugno del 1913, con una
normale lettera. Consapevole, inoltre,che il prodotto, di cui si occupava,
non godeva di buona reputazione, dichiarò subito la sua professione ed allettò
il poeta con la proposta di un ottimo compenso. "A costo d'esser presi per un
orecchio e scaraventati nel cestino - scrisse, infatti -non possiamo indugiar
oltre a confessarci per CINEMATOGRAFAI"; e, dopo aver ammesso la
mediocre qualità della maggior parte delle pellicole, che si producevano a
quel tempo, ed averlo invitato a migliorarla, con la sua collaborazione
prestigiosa, aggiunse: "Breve, noi avremmo in mente un progetto di buon
profitto e di MINIMO disturbo per Lei ed in più tale da non recare alcuno
oltraggio al di Lei nome"24.
Il testo ed il tono accattivante della corrispondenza interessarono il
poeta, il quale, a quanto risulta, non scrisse di getto - come volle far credere al
Guerrazzi - la storia di Cabiria, ma vi impegnò, dietro la promessa di 50.000
lire, diverso tempo.
Perché, dunque, nel 1919, parlandone, egli si compiacque di dare,
dell'intera vicenda, una versione del tutto lontana dalla realtà e volle far
credere che, "per quanto sollecitato più volte", si era rifiutato di "vedere la
riproduzione sullo schermo di questo mio polpettone?".
A dire il vero, D'Annunzio soleva spesso circondare di un'atmosfera
surreale alcuni avvenimenti della sua vita. Rivolgendosi, ad esempio, alla
fine dell'Ottocento, al suo traduttore francese, Georges Hérelle, che gli
credette, aveva scritto: "Je suis né en 1864 à bord du brigantin Irene, dans les
eaux de l'Adriatique. Cette nativité marine a influé sur mon esprit. La mer
est, en effet, ma passion la plus profonde: elle m'attire vraiment cornine une
patrie"2*; mentre è noto che egli aveva visto la luce in una casa benestante
di Pescara.
Non era la prima volta, né sarebbe stata l'ultima, che il poeta ricorreva a
tali iperboli. Non si trattava - com'è ovvio - di verità, ma neanche di bugie.
Si può parlare, invece, di trasfigurazioni fantastiche, usate, con
paradossale consapevolezza, per accrescere la suggestione di una esistenza,
già di per sé - e per tanti versi - "inimitabile".
Ciò premesso, era pur vero che il cinema, agli inizi degli anni Venti,
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era uscito dalla sua minore età, ma è, anche, probabile che in D'Annunzio,
impegnato, dapprima, nella guerra e, subito dopo, nell'impresa di Fiume,
fosse sopravvissuto lo stereotipo d'uno spettacolo popolare, non degno
d'un letterato finissimo quale egli era. Proprio Antongini ha scritto che il
poeta ignorava - ancora dieci anni più tardi - le "recenti creazioni dell'arte
cinematografica ed [ i ] celebri interpreti il cui nome corre da anni per il
mondo intero, ma che egli non conosce se non vagamente di nome o di
fama". Solo in vecchiaia, nella indisturbata quiete del Vittoriale, vide
finalmente, con stupore pari all'interesse, alcune pellicole - una ventina,
circa - fra le più applaudite dagli spettatori di tutto il mondo26. C'è da
aggiungere, infine, che se Cabiria rappresentò - come oggi è riconosciuto un momento di crescita della cinematografia, non solo italiana, ciò
avvenne per la volontà di un uomo, Giovanni Pastrone, il quale intuì le
potenzialità di un mezzo espressivo e cercò, con tenacia, di realizzarle, ma
anche per l'ingegno letterario - in questo caso riluttante - di D'Annunzio: un
precedente illustre, che avrebbe dato, più tardi e con uomini diversi e
concordanti, risultati memorabili.
APPENDICE
"9 gennaio [1920]
Salgo al Comando. D'Annunzio mi rimprovera per la mia colpevole discrezione di
essermi fatto poco vedere in questi ultimi giorni. Mi trattiene a colazione [...] Il Comandante è di molto buon umore, lo siedo alla destra di De Ambri[s], che ha preso possesso
del suo posto di Capo Gabinetto. Ci sono due milanesi apportatori di forti somme (alla
signorina Porro un comm. Candiani ha contato in mia presenza 5 mila Lire). Si parla di
grandi concerti a Milano diretti da Toscanini a favore di Fiume. Avendo io ricordato tutti
gli ostacoli oppostimi a Livorno per la sottoscrizione e per le serate il Comandante mi dice
che ora tutto è mutato. Che c'è tanta buona relazione col governo che egli fu l'altra notte a
Volosca dando ramoscelli di lauro a tutti gli ufficiali che incontrava. [...] Racconta le
vicende della sua unica cinematografia.
Cabiria . "Ero a Parigi a darmi bel tempo dopo una non breve stagione di lavoro ad
Arcachon, sul principio della state, stagione che io preferisco per Parigi meno affollata,
perché é piacevole assai andare in comitiva nei dintorni. In pochissime settimane di questa
gaia vita mi ero ridotto completamente al verde, ciò che a me accade sovente. Allora - ero
proprio all'ultimo luigi - mi misi a letto. Soglio far così, quando mi trovo in bolletta, ad
attender a letto la fortuna, che sempre è venuta. Ed ancora quella volta venne!
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Aveva fatto da poco colazione; preso il caffè stava fumando una sigaretta pensando ai
casi miei, quando il domestico mi annunciò che un certo tale faceva le più grandi premure
per essere ricevuto da me. Io non aveva voglia di veder nessuno, beandomi nella mia
riposata solitudine. Ma lo sconosciuto insistè tanto che io mi risolsi a riceverlo. Ed entrò in
camera mia un singolarissimo tipo - con un grandissimo ciuffo di capelli crespi come quelli
dei negri ed un faccione tondo e due grossi occhi sporgenti. Era il signor Masprone, il
quale, come uomo che non ha tempo da perdere, entrò subito nell'argomento, che a me lo
menava. E disse:
- Sono arrivato ora e debbo ripartire stasera. Son venuto espressamente per proporle un
affare. Si tratta di cinematografo. Io ho già fatti un magnifico passaggio delle Alpi
dell'esercito di Annibale, una battaglia navale dell'epoca romana, una traversata del deserto
della stessa epoca... ho poi un atleta colossale, che è un facchino del porto di Genova.
Bisognerebbe che con tutto questo mi mettesse assieme una cinematografia, che col suo
nome andrebbe a gonfie vele... Per la sua parte ci sono qua centomila lire! e cavò un
pacchetto di biglietti da mille, che mi mise dinanzi.
- Però - proseguì - se io parto avanti e lo lascio non avrò mai nulla, malgrado ogni sua
promessa ed ogni sua migliore intenzione. Perciò Ella si dovrebbe mettere subito al lavoro,
io aspetto qui... ed appena finito il lavoro, le consegno il pacchetto e mi porto via il
lavoro!...
L'uomo ed il suo modo di fare tanto singolari mi divertirono. E per quanto le centomila
lire fossero per me una fortuna in quel momento, resistetti alle sue prime premure
dicendogli che io non me la sentivo affatto di mettermi a lavorare, che di lì a poco aspettavo
una deliziosa amica...
Ma egli roteava quei suoi grossi occhi così curiosamente ed insisteva con tanto calore
che, per questo e per il pacchetto magico, mi risolsi di alzarmi e pormi al lavoro ridendo
come un matto. Gli detti da leggere e da fumare e ridendo cominciai la Cabiria e ridendo la
compiei, gliela consegnai e ritirai il pacchetto. Questo misi in un cassetto ed ogni giorno vi
pescava per continuare la mia lieta vita parigina... Quando i biglietti si ridussero ad una
ventina me ne andai ad Arcachon a scrivere un altro libro. Per quanto sollecitato più volte
non volli mai vedere la riproduzione sullo schermo di questo mio polpettone. So che questo
valse a Masprone una fortuna. Mi dolse di non aver stipulato anche la percentuale che si
suole sugli incassi. Masprone mi ringraziò più volte di avere accolto il suo invito, come di
una ricetta che gli diedi per curare una sua nevrastenia... I! denaro ed io non ce la diciamo
ed io ho sempre fretta di separarmi da esso! ".
Note
1
«Corriere della Sera», 28 febbraio 1914.
La " Cabiria " di D'Annunzio al cinematografo, ivi, 19 aprile 1914.
'La musica di commento del film era stata commissionata, dopo lunghe trattative, ad
Ildebrando Pizzetti, il quale, però, compose solamente la "Sinfonia del Fuoco". 4 La
"Cabiria " di D'Annunzio al cinematografo, cit. 'Gabriele D'Annunzio, Del cinematografo
considerato come strumento di libera2
166
zione e come arte di trasfigurazione, in Giovanni Pastrone, Gli anni d'oro del cinema a
Torino, a cura di Paolo Chierchi Usai, Torino, 1986, pp. 115 - 22.
"Tom Antongini, Vita segreta di Gabriele D'Annunzio , Verona, 1957, p. 183.
7
Giovanni Pastrone, op. cit. , p. 64.
* Ad esempio, Roberto Bracco, che curò, fra le altre, assieme a Nino Martoglio, la
sceneggiatura di Sperduti nel buio (1914), di cui fu, anche, regista. Il film, interpretato da
Giovanni Grasso, Virginia Balistrieri e Maria Carmi, viene considerato, dalla critica, il
capostipite del neorealismo italiano. Pasquale laccio, L'intellettuale intransigente. Il
fascismo e Roberto Bracco, Napoli, 1992, p. 34.
'Luigi Pirandello, Quaderni di Serafino Gubbio operatore, Milano, 1992, p. 57.
'"I Diari avevano carattere strettamente privato e la loro stesura ebbe inizio il 24
dicembre 1900, in forma di lettera alla figlia primogenita, perché lei ed i suoi fratelli, da
grandi, sapessero ciò che i loro genitori avevano fatto. "Questo libro - scrisse l'autore -nel
quale sarà registrata la nostra vita ed i suoi casi potrà servirvi di conforto in momenti
difficili della vostra".
" Ersilio Michel, Gian Francesco Guerrazzi, estratto da "Liburni Civitas", 1941, n. 4,
p. 2. Ringrazio Amedeo Osti - Guerrazzi, che ha in custodia i Diari, per avermeli fatti
consultare.
l2
Gian Francesco Guerrazzi, Ricordi di irredentismo, Bologna, 1922, pp. 12 - 3.
"Beatrice Pisa, Nazione e politica nella Società "Dante Alighieri", Roma, 1995.
"Chi è? Dizionario degli italiani d'oggi, Roma, 1936, ad vocem .
"Ersilio Michel, op. cit, p. 5. Tentò anche, in questo periodo, alcune operazioni
commerciali in Libia. Assieme a Leopoldo Torlonia, Vittorio Bierenfeld, Maffeo Pantaloni,
Antonio De Viti De Marco, Giovanni Poli, il marchese Alberto Theodoli, Ercole Aymone e
Gastone Angeli, fratello dello scrittore Diego, costituì, a tal fine, una società con sede a
Bruxelles. Per trovare la somma di ventimila lire, necessaria ad ottenere concessioni
minerarie in Tripolitania, a costruire i necessari impianti di illuminazione ed idrici ed una
linea ferroviaria, si rivolse, tramite la principessa di Strangoli, al re, Vittorio Emanuele III,
che gli fece mettere a disposizione i soldi dal marchese, senatore, Luigi Medici del
Vascello. L'iniziativa non ebbe, tuttavia, per quel che sappiamo, seguito.
16
Renzo De Felice, Mussolini il rivoluzionario. 1883 -1920, Torino, 1965, pp. 338 - 9.
1
Chi è?, cit.
l8
Dell"'Unione Nazionale Pro Fiume" facevano parte i senatori Brazzà, Durante,
Melodia, Cassis, Frascara, De Cupis e Luigi Torrigiani ed i deputati Sandrini, Pancano,
D'Ayala, Guarino Amelia, Di Cesarò e Siciliani, a quanto risulta dal Diario inedito di Gian
Francesco Guerrazzi, alla data del 15 marzo 1919. Secondo la stessa fonte, l'associazione
deliberò di: "1° - formare un Comitato di Senatori e deputati per indire una gita a Trieste
per vedere i confini e di là scivolare a Fiume e Zara; 2° - tempestare il governo di
interpellanze per la proibizione del transito dei bambini di Fiume, opposta da Caviglia,
domandando risposta scritta; 3° - mandare un telegramma firmato da moltissimi
parlamentari al Senato americano, per ringraziarlo dell'atteggiamento assunto in questi
giorni, a favore dell'Italia e di Fiume contro Wilson" .
"Egli stesso racconta di aver contrastato il figlio, che deplorava, nell'agosto del 1923,
l'uccisione gratuita, a Cisanello, presso Pisa, di un giovane organizzatore comunista, ad
opera di alcuni fascisti, rimasti ignoti. Guerrazzo motivava le sue parole "col dan167
no che da queste esecuzioni può averne il Fascismo, ormai padrone del potere". 11 padre
replicò con i seguenti argomenti: "Quanto al danno al Fascismo non mi sembra che possa
essere molto. Le masse sono state avvezze dalle carneficine della guerra a non commuoversi per lo spargimento di sangue. Circa ai partigiani e fratelli di fede o la gente, non
molta, disposta ad ascoltare la propaganda del morto con compiacenza, al Fascismo è,
ugualmente, avversa; anzi questa misteriosa soppressione può essere, per essi, o molti di
essi - nella massima parte vili - un assai salutare avvertimento.
Resta la moralità dell'atto tragico; può essere maggiore o minore a seconda dell'entità
del male che la propaganda sovversiva del morto poteva fare.
Credo che questo possa, ad ogni modo, ritenersi: che, malgrado l'affluire degli operai
ne' sindacati fascisti, malgrado gli accostamenti, anche, de' capi della Conf. Generale del
Lavoro, le masse sieno ben lungi dall'essere guadagnate al Fascismo ed ai suoi principi;
che nelle masse debba tuttora fermentare la nostalgia del tempo in cui si strafottevano di
tutto ed ottenevano tutto; di più la disoccupazione infierisce... Tutto ciò fa che la
propaganda sovversiva possa attecchire [... ] Credo, per concludere, che, a giudicar
rettamente di certi fatti, non possiamo esimerci dal ricordare e dal riflettere come ci
troviamo, tuttora, nel ciclo della rivoluzione salvatrice del paese. Che questa rivoluzione
necessaria non ha ancora dato sufficiente prova di consolidamento, mentre che, quando ha
vinto, è stata di una incredibile longanimità ... Quindi...".
20
Per i contrasti tra la Federazione Italiana Lavoratori del Mare (F.I.L.M.) e gli
armatori e per le vicende del "Patto Marinaro", Ferdinando Cordova, Arditi e legionari
dannunziani, Padova, 1969, pp. 165 - 78.
21
Giuseppe Giulietti era segretario della F.I.L.M. ed aveva sostenuto, in maniera
concreta, l'impresa di Fiume, con armi e denari. L'insinuazione di Guerrazzi è evidente.
Per chi non avesse capito, sempre nel settembre, il nostro aggiunse, in tono esplicito, che
"le ragioni di questa sottomissione di D'A[nnunzio] alle volontà di Giulietti vengono
attribuite non solo a danaro che D'Afnnunzio] prenda o la sua ganza, ma anche a morbo
si rapporti con Giulietti [...] Non c'è mai stata vera grandezza, né vero amor di patria in
lui".
22
Già nel dicembre del 1922, allorché era circolata la voce di un nuovo quotidiano,
che si sarebbe ispirato al "poeta", Guerrazzi, temendo per il fascismo, aveva confessato
tutta la sua delusione: "Egli - annotò - se in politica è uno squinternato, sì come Musso
lini mi disse, moralmente è, anche, alquanto birbone; ma, soprattutto, è... un Rapagnetta... Dio sa s'io scriva volentieri queste cose... e com'io sarei, al contrario, contento di
esaltarlo. Credeva che la grande crisi nazionale lo avesse purificato e sublimato; ma
invece...".
2
'Ersilio Michel, op. cit. , p. 9. In realtà, come si legge nei suoi Diari, il Guerrazzi si
adoperò - contro il parere e le perplessità di alcuni soci, che temevano di perdere la loro
indipendenza - perché la Confederazione Generale dell'Agricoltura si trasformasse nella
fascista Federazione Italiana Sindacati Agricoltori (F. I. S. A.).
"Giovanni Pastrone, op. cyt., p. 73.
"D'Annunzio a Georges Hérelle. Correspondance présentée par Guy Tosi, Paris,
1946. Lettera del 14 novembre 1892.
26
Tom Antongini, op. cit., p.189.
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