La scuola deve ripartire da D`Annunzio per capire il MEMENTO

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La scuola deve ripartire da D`Annunzio per capire il MEMENTO
La scuola deve ripartire da D’Annunzio per capire il
MEMENTO AUDERE SEMPER della Grande
Guerra in un centenario da celebrare ­ di Pierfranco
Bruni
Luigi Palamara
about 15 hours ago
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La scuola deve ripartire da D'Annunzio per capire ilMEMENTO AUDERE
SEMPER della Grande Guerra in un centenario da celebrare
La sintesi tra letteratura e trincea sino al sentimento di Italianità
di Pierfranco Bruni
La scuola tra D'Annunzio sino a Seneca "spiega" MEMENTO AUDERE
SEMPER partendo dagli scrittori che hanno fanno la guerra e hanno vissuto la
trincea. In fondo per capire la Grande Guerra la scuola deve ripartire da
D'Annunzio. Letteratura in Trincea. È uno dei temi fondamentali che, all'interno
di una dialettica tra impegno, interventismo e irredentismo, "smobilita" il
pensiero tra storia e linguaggi nei processi del Novecento.
Nel dibattito, che non si è mai assopito nel corso di questi anni, su letteratura e
Grande Guerra Gabriele D'Annunzio resta, comunque, un protagonista tra
pensiero e azione. Infatti nella tragedia della Prima guerra mondiale
D'Annunzio trova uno spirito profondamente nobile. Lo trova nei momenti
dell'interventismo, ma anche successivamente sino al sorgere del fascismo
stesso. Ma vive con intensità quegli anni tanto che fu artefice di numerosi
discorsi il cui punto nevralgico era il nazionalismo. Volle partecipare alla guerra
da protagonista. Di questo parleremo in Campidoglio, il 13 febbraio prossimo, a
Roma io e Neria De Giovanni in un dibattito sul nostro: "Gabriele D'Annunzio.
Io ho quel che ho donato" (Nemapress).
Per le autorità militari, invece, D'Annunzio doveva rappresentare un
simbolo, un emblema, una bandiera, considerata soprattutto la sua età. Nel
1915 il poeta aveva già 52 anni. D'Annunzio non accetta questa "immaginetta"
e chiede addirittura di essere impegnato come soldato. "Diari di guerra 1914 ­
1918" di D'Annunzio costituiscono un punto di riferimento non solo del rapporto
tra il Vate e la trincea, ma si scava in una esistenza di letterato tra il pensiero, il
pensare e il combattere.
Presidente del Consiglio dei Ministri era Antonio Salandra e a lui
D'Annunzio il 29 luglio del 1915 scrive una lettera, nella quale si legge: "Io non
solo un letterato dello stampo antico, in papalina e pantofole. Io sono un
soldato. Ho voluto essere un soldato, non per stare al caffè o a mensa, ma per
fare semplicemente quel che fanno i soldati. Ho una situazione militare in
perfetta regola. Non soltanto ho la facoltà, ma ho l'obbligo di combattere".
In questa cesellatura c'è tutto il suo spirito, la sua esuberanza, il suo
protagonismo ma anche il suo aspetto profondamente "guerriero", i cui ideali
avevano quella caratterizzazione, appunto, superomistica la cui concezione
estetizzante veniva applicata completamente all'evento bellico. La guerra per
D'Annunzio era un fatto esaltante ma anche un gesto che doveva portare al
rinnovamento attraverso un impegno civile e spirituale. Era il poeta soldato. Il poeta della contemplazione e del "piacere", il poeta
del bello e dell'alcionico, il poeta sensuale e greco diventava così il poeta
dell'azione. La guerra era, per D'Annunzio, azione. Lo dimostra, d'altronde, la
lettera indirizzata ad Antonio Salandra.
Durante un azione D'Annunzio perse un occhio. Era il 16 gennaio del 1916.
Durante un'operazione di volo alla volta di Zara ebbe un incidente. La tempia
destra urtò violentemente contro la mitragliatrice di prua. Quel colpo gli causò
dei gravi disturbi tanto che fu costretto ad una pausa di riposo e a restare
bendato. Aveva perso la vista all'occhio destro. Ma questo non fermò la sua
attività militare. Riprese in pieno la sua attività e anche a volare.
C'è da dire che D'Annunzio è stato dentro le cause dell'interventismo della
Prima guerra mondiale (la sua battaglia per un'idea di nazionalismo resta una
testimonianza emblematica).
Fu, infatti, proprio la grande guerra a riempirlo di nuova vitalità. Infatti oltre
ad essere presente con discorsi che invitavano gli italiani ad entrare in guerra a
guerra scoppiata si arruola come Tenente dei Lancieri di Novara.
Nel 1916 venne, come si è detto, addirittura ferito ad un occhio. Questa
esperienza lo portò delle pagine importati alle quali diede il titolo di
"Notturno" (una vera e propria metafora che testimoniava il suo stato di salute
con la vista).
Subito dopo questo episodio D'Annunzio si contraddistinse per la "beffa di
Buccari" nel 1918 e il volo su Vienna dello stesso anno.
Cosa è stata, in realtà, la beffa di Buccari? La notte tra il 10 e l'11 febbraio
del 1918, insieme ad altri 20 compagni, portò a termine un azione di
siluramento di un piroscafo austriaco ancorato nelle vicinanze di Fiume, in una
baia denominata Buccari. Il comandante di questa azione era Costanzo Ciano.
Il volo su Vienna, invece, è stato un atto dimostrativo importante. Il 9 agosto
del 1918 volò su Vienna ammantando la città di manifestini che recavano dei
messaggi. Un atto dimostrativo di coraggio che rese popolare la figura militare
di D'Annunzio.
Egli è stato fautore delle istanze contro la "vittoria mutilata" alla fine della
guerra stessa e condusse quella "presa" di Fiume come un atto non solo
militare ma intriso di forti connotazioni ideologiche, spirituali e nazionalistiche.
D'Annunzio rivendicava all'Italia, dopo la fine della guerra, il diritto a tutto
l'Adriatico sino a Valona. In quel contesto numerosi furono le strategie
diplomatiche per raggiungere accordi su questo problema. Restava in piedi una
questione irrisolta: Fiume. A capo di un piccolo esercito D'Annunzio occupò, il
12 settembre del 1919, in nome dell'Italia, (pur contro gli accordi raggiunti dai
Governi), la città di Fiume. La si ricorda come l'impresa fiumana.
Qual era lo scopo di tale impresa? Era principalmente quello di creare,
nell'opinione pubblica, una sollevazione contro i patti della Conferenza di
Parigi. Nel settembre del 1920 venne proclamata dai legionari di D'Annunzio
l'indipendenza di Fiume e nella stessa occasione venne emanato un
"Ordinamento dello Stato libero di Fiume" (meglio conosciuto come la "Carta
del Carnaro").
L'occupazione della città e la cosiddetta "Reggenza del Carnaro" non
risolsero, comunque, il problema. Man mano D'annunzio venne lasciato solo
nonostante gli appoggi economici di molti industriali di quell'area geografica. La
questione si risolse nel dicembre del 1920 quando il Presidente del Consiglio
Giovanni Giolitti, in virtù del Trattato di Rapallo, ordinò di soffocare nel sangue
l'impresa dannunziana. Infatti, Fiume venne bombardata e i legionari lasciarono
ben presto la città.
D'Annunzio è stato, sostanzialmente, un precursore di quelle istanze di cui
si approprierà Benito Mussolini con la nascita del Fascismo (come Partito nel
1919 e successivamente con la Marcia su Roma nel 1922). Dopo l'impresa
fiumana D'Annunzio era ormai stanco della vita politica e delle azioni militari.
Aveva, comunque, creato le basi teoriche sulle quali il Fascismo iniziale era
nato.
L'impegno diretto politico, nonostante qualche altro tentativo, non lo
stimolava più. La stessa Marcia su Roma venne accettata con quasi
indifferenza. Rinunciò spontaneamente a qualsiasi altra azione anche durante i
primi anni del Regime.
Su Mussolini, nonostante la loro amicizia, nutriva anche molte diffidenze
pur condividendo alcune impostazioni ideali. Ma si allontanò completamente
dalla politica e il Fascismo lo rispettò proprio per la sua indifferenza e il suo
distacco dalla vita del Regime.
D'Annunzio, proprio negli ultimi anni della sua vita, aveva invitato Mussolini
a restare fedele all'amicizia con la Francia. In una lettera di D'annunzio al Duce
dell'11 aprile del 1935 si legge. "Tu sai ­ se ti ricordi d'altri nostri colloqui arcani
­ quanto mi sia cara la nostra rinnovellata o principiata amicizia con la Francia".
Mentre non condivideva la posizione della Germania e non condivideva un
accordo di Mussolini con Hitler, il quale, quest'ultimo, era definito, dal poeta,
l'"Attila imbianchino".
Tre momenti (l'interventismo, la battaglia per la vittoria mutilata e il
nazionalismo, la nascita del Fascismo), dunque, che lasceranno un segno in
quell'Italia che si prepara alla guerra e successivamente al Fascismo ma da
scrittore e da intellettuale non misura, in termini politici, le conseguenze.
Ecco perché resta, fino in fondo, un poeta. Un poeta con la sua quotidiana
tragedia del vivere che trasporterà completamente nei suoi scritti la sua
passione, la sua intemperanza e quel bisogno di sfuggire al tempo.
Non bisogna dimenticare un contesto storico ben preciso. Dal 1916 al 1920
sono gli anni della preparazione politica e militare. Sono gli anni che preparano
una ricca discussione sul nazionalismo, sul sindacalismo, sul socialismo, sul
fascismo. Da questa discussioni si innerva il D'Annunzio comandante, il
D'Annunzio che marcerà su Fiume.
Non c'è dubbio che il D'Annunzio di Fiume è un D'Annunzio anarchico ma
anche profondamente nazionalista. La sua rivolta fiumana è una
manifestazione di difesa del nazionalismo. Nella sua marcia e nei suoi legionari
c'è la testimonianza della guerra e con le conseguenze del dopoguerra e c'è
soprattutto la preparazione al fascismo che troverà in Fiume una prima prova.
C'è da dire che Gabriele D'Annunzio trasforma la retorica in estetica. I suoi
canti, i suoi versi, il suo atteggiarsi ci portano ad una cultura del movimento
della parola intesa anche come estetica della forma. L'idea di Patria in
D'Annunzio resta sempre centrale. Un'idea fondante che trova in un motto
antico innovato l'essere del pensare la vita come un combattimento sempre. La
Grande Guerra è anche quel suo MEMENTO AUDERE SEMPER.
­­ Luigi Palamara
Giornalista, Direttore Editoriale e Fondatore di MNews.IT
Cell.: +39 338 10 30 287
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