Professione Responsabile del supporto regolatorio per la ricerca
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Professione Responsabile del supporto regolatorio per la ricerca
Professione Responsabile del supporto regolatorio per la ricerca clinica L’esperienza di Annalisa Bianco, 32 anni Prassi comune vuole che al termine dell’università ci sia un periodo di stage, e successivamente l’immissione nel mondo del lavoro. La storia di Annalisa Bianco è invece particolare: “Dopo la laurea in Biotecnologie all’Università di Bari sono riuscita subito ad ottenere una sostituzione di maternità, ed ho lavorato in un’azienda farmaceutica vicino Roma per un anno. Al termine di quell’esperienza però sentivo che qualcosa mancava nel mio percorso universitario, e così ho ottenuto un dottorato, e poi un post dottorato, e mi sono trasferita a Milano. Era il momento storico a cavallo tra il 2008 e il 2009, la crisi era appena scoppiata, e così ho pensato che era meglio continuare a formarsi piuttosto che rischiare di rimanere senza far niente. Lo stage mi è poi piombato addosso a trent’anni, a seguito di un master che ha rappresentato la chiave di volta per riorientarmi verso la professione che attualmente esercito”. Oggi Annalisa Bianco si occupa di ricerca clinica, fornisce supporto regolatorio agli studi clinici che si svolgono dopo l’immissione in commercio dei farmaci, per tenerne sotto controllo l’efficacia e la sicurezza. Per anni ha svolto ricerca di base in laboratorio, la sua giornata tipo consisteva nel pianificare gli esperimenti, svolgerli, analizzarne i risultati, pianificare altri esperimenti e scrivere delle pubblicazioni scientifiche. “Dopo diversi anni di esperienza di ricerca di base e meccanismo di azione dei farmaci a livello cellulare e molecolare – racconta Annalisa Bianco - avevo voglia di avvicinarmi di più alla realtà dei pazienti e di avere prospettive di crescita e di lavoro migliori rispetto a quelle che offre la ricerca di base in Italia”. Nasce da qui l’idea di iscriversi ad un master, e successivamente lo stage presso un’azienda nella quale ha potuto apprendere tutte le basi di ricerca clinica. “Si è trattato di uno stage di ottima qualità, talmente formativo che mi è stato fatto valere come esperienza sul campo”. Oggi Annalisa Bianco si occupa principalmente di requisiti di legge, le sue giornate sono incentrate sullo studio delle linee guida che variano da Paese a Paese, per fornire supporto ai gruppi locali delle varie nazioni che a lei fanno capo: “C’è una grossa parte del lavoro che poco ha a che vedere con la scienza , io pensavo di fare la scienziata a vita, e mi ritrovo oggi a dovere studiare e conoscere molto bene le normative vigenti, che variano da Paese a Paese, quasi come se fossi un avvocato”, spiega sorridendo. Volgendo lo sguardo agli anni di ricerca , Annalisa Bianco ricorda i congressi internazionali a cui è stata chiamata: “Sono stata in Giappone a presentare i miei dati, ma ho tenuto un intervento anche al Congresso Mondiale delle Epatite C che si è svolto in Italia. Avevo davanti una platea ampia con i maggiori esperti del settore, riuscire a suscitare il loro interesse, ed a rispondere alle loro domande è stata una bella soddisfazione”. Parla però con rammarico della condizione della ricerca di base in Italia: “Andavamo avanti di pubblicazione in pubblicazione, avevo la percezione di lavorare incessantemente e riuscire ad avere una soddisfazione ogni 2-3 anni. Oggi faccio parte di un team molto più grande, è una grande soddisfazione vedere funzionare tutto l’insieme, ma in questo caso sono soltanto un piccolo anello della catena. Devo ammettere però che esigenze di natura economica e contrattuale sono state soddisfatte soltanto adesso, dopo otto anni di esperienza lavorativa”. Per ricoprire il suo attuale ruolo, è necessaria una forte attenzione ai dettagli, una capacità di lavorare in team ma allo stesso tempo una grande autonomia: “Il team in cui lavoro è coordinato, ma siamo tutti professionisti indipendenti. Questo implica una forte capacità di autogestione, perché spesso si verificano delle priorità in conflitto, tutto è urgente, ma bisogna essere in grado cosa ha la precedenza. Inoltre la conoscenza della lingua è fondamentale, per il 90% del mio tempo io comunico esclusivamente in inglese”. Annalisa Bianco è riuscita ad avere accesso ad una posizione home based, lavora da casa attraverso teleconferenze sia con i diversi gruppi di lavoro dei paesi di cui si occupa, sia con le sue colleghe che risiedono in altre nazioni. Questo le ha permesso di lasciare Milano dopo otto anni e di tornare in Puglia, e ne è orgogliosa: “E’ emozionante pensare di poter svolgere questo lavoro internazionale dall’angolino remoto d’Europa in cui sono nata”.