1 RILEVANZA PENALE DELLA PRODUZIONE DI MATERIALE

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1 RILEVANZA PENALE DELLA PRODUZIONE DI MATERIALE
RILEVANZA PENALE DELLA PRODUZIONE DI MATERIALE PEDOPORNOGRAFICO AD USO PRIVATO
DELL’AUTORE
L’ART. 600 TER NELLA LEGGE 269/1998
Prima dell’entrata in vigore della legge 38 del 2006, i delitti legati alla pedopornografia erano
regolamentati dalla legge 269 del 19981.
L’art. 600 ter co. 1, in particolare, puniva: “ chiunque sfrutta minori degli anni diciotto al fine di
realizzare esibizioni pornografiche o di produrre materiale pornografico”.
La norma de qua, quindi, richiedeva che la realizzazione di esibizioni pornografiche e la produzione di
materiale pornografico costituissero il fine (c.d. dolo specifico) dello sfruttamento di minori degli anni
18, che rappresentava, perciò, la condotta base e segnava anche il momento consumativo del reato.
La formulazione della norma in questione, tuttavia, risultò infelice, tanto è vero che dottrina e
giurisprudenza sollevarono dubbi interpretativi sul significato di “pornografia” e di “sfruttare”. Ciò
perché il legislatore utilizzò il termine “pornografico” senza darne una definizione positiva, né
specificò se per avere sfruttamento fosse necessaria o meno una finalità di lucro da parte
dell’agente.
A placare i contrasti intervenne la Corte di Cassazione a S.U.2 che escluse, diversamente da quanto
sostenuto dalla dottrina dell’epoca3, che ai fini della realizzazione del reato, fosse necessario sia la
sussistenza di un fine lucrativo in capo allo sfruttatore del minore, sia che vi fosse un’organizzazione
di tipo imprenditoriale. Ciò in quanto il termine “sfruttare” doveva essere inteso nel significato di
utilizzare a qualsiasi fine, non necessariamente di lucro e voleva dire impiegare i minori come mezzo,
anziché rispettarli come fine e come valore in sé.
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Il legislatore italiano, per contrastare, da un lato, il fenomeno sempre più allarmante dell’abuso e dello sfruttamento sessuale in danno
dei minori e dall’altro, per uniformarsi alle normative comunitarie ed internazionali che regolamentano la materia, qualche anno dopo
l’entrata in vigore della legge 66/1996, con la quale ha introdotto nuove disposizioni in materia di violenza sessuale, è tornato sul tema
dell’abuso sessuale in danno dei minori approvando la legge del 3 agosto 1998 n. 269.
Questa legge, con riferimento ai minori, ha inserito una serie di reati del tutto nuovi nel nostro sistema penale, quali: il delitto di
prostituzione minorile (art. 600 bis c.p) ed i delitti legati alla pedopornografia, quali la pornografia minorile (art. 600 ter c.p.); la detenzione
di materiale pornografico (art. 600 quater c.p.), le iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile (art. 600
quinquies c.p.).
La legge 268/1998, segnalata come una delle prime leggi in Europa in materia di abuso sessuale sui minori, scaturiva da alcuni documenti
internazionali, quali la Convenzione sui diritti del fanciullo dell’ONU (20 novembre 1989), ratificata in Italia con la legge 176/1991 e la
Conferenza di Stoccolma contro lo sfruttamento sessuale dei bambini ai fini commerciali, svoltasi nell’agosto 1996. La sua finalità era quella
di varare una normativa volta a tutelare lo “sviluppo fisico, psicologico, spirituale, morale e sociale” dei minori, attraverso la repressione di
comportamenti ritenuti in grado di attentare all’integrità di tali beni.
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Cass. S.U. 13/2000, in Cass. pen. 2000, 2983; Riv. Polizia 2000, 658, CED RV 216337.
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La dottrina era intervenuta sulla questione ritenendo che per l’integrazione del reato de quo fosse necessaria l’utilizzazione di più minori
con finalità lucrativa o commerciale o comunque con ricaduta economica. Sicchè, esulava il reato se la condotta mirava solo al
soddisfacimento della lussuria privata dell’agente, ovvero, se veniva utilizzato un solo minore.
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Ne conseguì che per il perfezionamento della fattispecie, necessitava che la condotta dell’agente
avesse una consistenza tale da implicare il concreto pericolo di diffusione del materiale pornografico
prodotto4.
In altre parole, secondo i giudici, l’intentio legis era di reprimere, predisponendo una tutela
anticipata e complementare a quella della libertà sessuale, condotte prodromiche che mettevano a
repentaglio lo sviluppo del minore, mercificando il suo corpo ed immettendolo nel circuito della
pedofilia e la ratio della norma era di impedire la visione del minore ad una cerchia indeterminata
di pedofili. Di conseguenza, non configurava l’ipotesi di reato la produzione pornografica destinata
a restare nella sfera strettamente privata dell’autore5, ma era necessario che sussistesse il concreto
pericolo di diffusione del materiale pornografico prodotto, il cui accertamento era demandato al
giudice6.
LA RIFORMA DEL 2006 (LEGGE 38/2006) E LA NUOVA FORMULAZIONE DELL’ART. 600 TER
Nel 2006, il legislatore italiano da un lato per risolvere i dubbi interpretativi che si erano creati sul
significato di “sfruttare” e di “pornografico” e dall’altro per uniformarsi alla decisione quadro emessa
dall’Unione Europea nel 20037, ha rimodellato l’art. 600 ter c.p. apportando due modifiche di rilievo.
La prima è stata l’impiego della locuzione “utilizzando minori degli anni 18 realizza esibizioni
pornografiche o produce materiale pornografico” in luogo di quella: “sfrutta minori degli anni 18 al
fine di realizzare esibizioni pornografiche o di produrre materiale pornografico”, con conseguente
trasformazione della norma de qua da reato a dolo specifico a reato a dolo generico. L’attività che
prima era descritta quale secondo atto non compiuto (“chiunque…al fine di realizzare esibizioni
pornografiche o produrre materiale pornografico”) oggetto, solo, del dolo specifico dell’agente è
stata trasformata in condotta consumativa del reato. La seconda è stata l’introduzione della nuova
ipotesi delittuosa dell’induzione del minore a partecipare ad esibizioni pornografiche.
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Cass., S.U. 13/00 op. cit.“….oltre alla preesistente tutela penale della libertà ( di autodeterminazione e maturazione) sessuale del minore,
viene introdotta una tutela penale anticipata volta a reprimere quelle condotte prodromiche che mettono a repentaglio il libero sviluppo
personale del minore, mercificando il suo corpo ed immettendolo nel circuito perverso della pedofilia. Il criterio teleologico consente così
all’interprete di qualificare la fattispecie di cui al primo comma dell’art. 600 ter c.p. come reato di pericolo concreto. Per conseguenza il
reato è integrato quando la condotta dell’agente che sfrutta il minore per fini pornografici abbia una consistenza tale da implicare concreto
pericolo di diffusione del materiale pornografico prodotto”.
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Cass. S.U. 13/00 op. cit.“…non appare possibile realizzare esibizioni pornografiche, cioè spettacoli pornografici, se non offrendo il minore
alla visione perversa di una cerchia indeterminata di pedofili; così come, per attrazione di significato, produrre materiale pornografico
sembra voler dire produrre materiale destinato ad essere immesso nel mercato della pedofilia…”.
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Secondo i giudici di Cassazione, il giudice doveva accertare di volta in volta se ricorresse il concreto pericolo di diffusione del materiale
pornografico, facendo ricorso ad elementi sintomatici della condotta, quali: l’esistenza di una struttura organizzativa anche rudimentale,
atta a corrispondere alle esigenze del mercato dei pedofili; il concreto collegamento dell’agente con soggetti pedofili, potenziali destinatari
del materiale pornografico; la disponibilità materiale di strumenti tecnici (di produzione e/o di trasmissione, anche telematica) idonei a
diffondere il materiale pornografico in cerchie più o meno vaste di destinatari, l’utilizzo, contemporaneo o differito nel tempo, di più minori
per la produzione del materiale pornografico; i precedenti penali, la condotta antecedente e le qualità soggettive del reo, quando fossero
connotati dalla diffusione commerciale di pornografica minorile; altri indizi significativi che l’esperienza poteva suggerire.
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Decisione quadro 2004/68/GAI del 22 dicembre 2003 relativa alla lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pornografia
infantile. Conf. PISTORELLI L., colmate le lacune della pregressa disciplina, in Guida dir. N. 9, 2006, 45; PISTORELLI L., Attenzione spostata
sulla perversione del reo, in guida dir. N. 9, 2006, 51; DI DONATO S., la legge 6 febbraio 2006 n. 38, “ disposizioni in materia di lotta contro
lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia anche a mezzo internet” tra esigenze reali di tutela e offese virtuali, in Crit. dir.
2006, 68 ss..
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È chiaro che il legislatore ha sostituito il termine “sfruttamento” con il termine “utilizzazione”per
fugare, una volta per tutte, le incertezze circa la necessità che la condotta, per integrare la fattispecie
penale, dovesse essere connotata da un ritorno economico per l’agente, ossia da una finalità
lucrativa o commerciale8. È oramai in equivoco che, la semplice utilizzazione del minore per la
produzione di esibizioni o di materiale pedopornografico, a prescindere da qualsiasi finalità lucrativa
o commerciale, è sufficiente ad integrare la fattispecie tipica.
Ad essere rimasto irrisolto è, invece, il dubbio interpretativo sul significato di “pornografico” posto
che il legislatore ha nuovamente omesso di fornirne una definizione.
La consapevole omissione sarebbe dovuta all’estrema difficoltà di darne una definizione , ragione per
la quale il legislatore ha pensato di fare riferimento alla pornografia come elemento elastico della
fattispecie, definito attraverso un concetto normativo extragiuridico e suscettibile di essere riempito
di contenuto nel caso concreto9-10.
Altro quesito rimasto aperto è se l’art. 600 ter 1 co c.p., abbia natura di reato di pericolo concreto o
di danno. Dottrina e giurisprudenza continuano a chiedersi, infatti, se il produrre il materiale
pornografico richieda anche il pericolo concreto di diffusione del materiale prodotto o se, invece, sia
sufficiente soltanto la creazione del materiale pornografico, senza preoccuparsi di accertare se detto
materiale sia riservato all’uso esclusivo del produttore o sia destinato ad essere distribuito a terzi. A
seconda di come si interpreta la norma, peraltro, la produzione di materiale pornografico ad uso
domestico, costituisce reato di danno o fatto atipico di reato11.
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LUPO M., I reati sessuali sui minori a seguito delle leggi di riforma in materia. La nuova disciplina sulla pedopornografia alla luce della legge
38/2006: disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia a mezzo internet, a cura di
LORUSSO S., MANNA A., Milano 2007, 21 ss..
“La dottrina prevalente e parte della giurisprudenza ritenevano che la condotta di sfruttamento fosse orientata necessariamente in termini
di lucro o di fine commerciale, circoscrivendo l’applicabilità della fattispecie solo a quei comportamenti tesi a trarre un’utilità economica
dalla produzione del materiale o dalle esibizioni pornografiche. Questo orientamento comportava l’esclusione della fattispecie penale di
tutte quelle ipotesi in cui il materiale fosse di produzione artigianale, ipotesi che secondo i dati statistici sono di frequentissima
consumazione. La dottrina minoritaria, per converso, optava per una lettura più ampia del concetto di “sfruttamento”, che prescindesse dal
ritorno economico all’agente, identificando la condotta in chi effettivamente approfitti di minori per realizzare spettacoli e pubblicazioni a
carattere pornografico”.
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La dottrina continua ad essere divisa sul significato di “pornografia minorile”. Secondo un’interpretazione più restrittiva, vi sarebbe
pornografia minorile solo quando vi è la realizzazione di atti sessuali da parte del minore o sul minore, in quanto solo in questo caso esiste
un effettivo pericolo per lo sviluppo psicofisico del minore, bene giuridico tutelato già dalla legge del 1998. Secondo un’interpretazione più
estensiva, si considera pornografico ogni oggetto o spettacolo consistente essenzialmente in manifestazioni dell’istinto sessuale espresso
con la riproduzione, rappresentazione o l’esibizione di organi genitali.
Contrasti interpretativi sono emersi anche in giurisprudenza, in particolar modo si è discusso se nella nozione di "materiale pornografico"
potesse rientrarvi anche la sola raffigurazione del nudo, dal momento che, secondo alcuni, il nudo, in assenza di qualsivoglia rapporto
sessuale in atto, rientra nel concetto di erotismo e non in quello di pornografico. Da ultimo, tuttavia, i giudici di legittimità si sono espressi
nel senso che possono definirsi pornografiche immagini aventi ad oggetto minori ripresi in pose che ne lascino scoperti anche parzialmente
la zona mammaria e la zona pubica, atteso che ai fini di una corretta applicazione dell’art. 600 ter, rileva la valutazione della natura erotica
delle pose assunte o dei movimenti del minore. La natura pornografica di un’immagine, secondo la Corte, deve essere individuata in base
all’accertamento della destinazione della rappresentazione ad eccitare la sessualità altrui e della sua idoneità a detto scopo. Ne consegue
che un’ immagine potrà definirsi pornografica non soltanto quando i soggetti rappresentati compiano atti sessuali, ma anche quando i
soggetti siano rappresentati o ripresi in tutto o in parte nudi, purchè l’immagine ritratta sia idonea ad eccitare la sessualità altrui. Sembra
allora potersi concludere che ciò che è erotico e, quindi, idoneo a stimolare la sessualità altrui, può essere ricondotto nella categoria del
pornografico. Confr. Cass. III, aprile 2004 (dep. 8 giungo 2004) n. 2546 in Cass. pen. 2005, 1585.
10
Conf. Relazione introduttiva del D.l. n. 4599 presentato il 13 gennaio 2004.
11
Cass. III, 20.11.2007, n. 2781, dep. 14.01.2008, con nt. di LA ROSA M. “pornografia minorile e pericolo concreto un discutibile binomio” ,
in Cass. Pen., n.11, 2008, 4169 ss e in CED RV 238567.
3
Dopo la riforma del 2006,12 i giudici di legittimità hanno ribadito e con ciò non discostandosi da
quanto sancito dalla sentenza delle S.U 13/2000, che il reato di pedopornografia minorile ha natura
di reato di pericolo concreto. La ratio della norma, infatti, sarebbe quella di impedire che il materiale
pornografico prodotto venga visto da un numero indeterminato di pedofili. E’ necessario, quindi, ai
fini della sussistenza del reato, che il giudice, di volta in volta, accerti il concreto pericolo di diffusione
del materiale. Di conseguenza, non configura l’ipotesi di reato la produzione pornografica destinata
a restare nella sfera strettamente privata dell’autore13.
LA PORNOGRAFIA MINORILE QUALE REATO DI PERICOLO CONCRETO. CRITICA
Già prima della novella del 2006, attenta dottrina aveva evidenziato come il riferimento alla presenza
del pericolo concreto di diffusione delle immagini pornografiche, diveniva ultroneo, rispetto allo
“sfruttamento” dei minori perchè l’offensività del fatto era in re ipsa. Pertanto, secondo la dottrina in
esame, infondata e contraddittoria era la tesi del reato di pericolo, mentre era da condividere la
soluzione che qualificava la pornografia minorile ex. art. 600 ter comma 1, come reato di danno14.
Rivolgendo, infatti, l’attenzione al tema del pericolo concreto nella struttura del reato, secondo la
dottrina citata, si coglieva la caratterizzazione del pericolo come relazione tra un fatto considerato
pericoloso ed un fatto ipotizzato come possibile, rectius probabile, risultato lesivo. Ne discendeva che
il pericolo è un concetto vuoto se manca di un altro termine di riferimento. Nel caso di specie era
evidente come “il concreto pericolo di diffusione” del materiale pornografico finiva con il risolversi, in
termini di danno, con l’incremento del mercato illegale basato sullo sfruttamento sessuale. L’offesa,
invece, si esauriva già nella lesione del corretto sviluppo psico-fisico del minore. Per tale ragione,
12
Nella sentenza sopra richiamata, si trattava di giudicare per i reati di cui agli artt. 81 cpv, 609 quater, 600 ter, 600 quater c.p. tizio,
personaggio noto per l’organizzazione di sfilate e manifestazioni mondane, per l’essersi messo in contatto con numerose minorenni
desiderose di sfondare nel settore della moda e dello spettacolo allo scopo di fare provini. Le ragazze erano fotografate anche in
atteggiamenti di chiara valenza sessuale e provocanti.
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Nel caso di specie, i giudici del merito accertarono che l’imputato, almeno in alcuni casi, aveva mostrato il materiale prodotto a terzi e
che deteneva in auto una cartella di foto pornografiche, in tal modo dimostrando che era pronto ad esibirle. Sicchè, tanto i giudici del
merito che quelli di legittimità, hanno ritenuto tale circostanza sintomatica del concreto pericolo di diffusione del materiale pornografico
prodotto e pertanto integrato il reato di cui all’art. 600 ter 1 co c.p.. Tuttavia, qualora l’imputato, avesse utilizzato detto materiale per
scopo esclusivamente privato, secondo i giudici, sarebbe andato esente da condanna per il reato di pornografia minorile.
Nessun problema si è posto, invece, per il delitto di cui all’art. 609 quater c.p. che i giudici tanto del merito che di legittimità hanno ritenuto
sussistesse in capo all’imputato sulla base delle risultanze processuali.
Per quel che, infine, riguarda il reato di detenzione di materiale pornografico (art. 600 quater c.p.), la Corte di legittimità ne ha
condivisibilmente escluso la configurazione. Benché, infatti, il delitto di detenzione di materiale pornografico può essere commesso da
chiunque, l’espressa clausola di riserva ivi inserita, seleziona la cerchia dei soggetti attivi al di fuori delle ipotesi previste dall’art. 600 ter
c.p.. Ne consegue che se taluno produce e poi detiene il materiale pornografico, non sarà punibile per il delitto di cui all’arat. 600 quater,
poiché, in tal caso la detenzione costituisce l’ultimo anello di una catena di variegate condotte antigiuridiche, di lesività decrescente, vale a
dire un post factum non punibile. V. Cass. III, 2781/2007, op. cit. con nt. di NATALINI A., Chi produce materiale pedopornografico non è
punibile per la successiva detenzione. In guida dir. n. 14, 2008, 66.
14
MARRA, pornografia minorile: contenuti e limiti di una definizione, nota a Cass., III, 22 aprile 2004, n. 25464, in Cass. pen., 2005 p. 3878;
MONACO, sub art. 600 – ter, in Commentario breve al codice penale, a cura di Crespi – Stella – Zuccalà, 4 ed., Cedam, 2003 p. 1956 s., F.
MANTOVANI, Diritto Penale. Parte Speciale, vol. I, 2 ed. CEDAM, 2005, p. 402 ss.; PECCIOLI A., Lotta contro lo sfruttamento sessuale dei
minori e pedopornografia, in Dir. Pen. Proc., 2006, II, 945; PALUMBIERI S.R., Introduzione, in AA.VV. / reati contro lo sviluppo psicofisico dei
minori, Cadoppi A., Canestrari S., (a cura di) vol. III, Torino 2006, 337. In questo senso nella giurisprudenza di merito si segnale Trib. Milano,
ord. 21 dicembre 2006, cit., per il quale il reato di cui all’art. 600 ter c.p. si configura indipendentemente dal pericolo di diffusione del
materiale prodotto; PECCIOLI A., Le norme penali, in Dir. Pen e proc., n. 8, 2006, 939.
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secondo la dottrina in esame, con un’inversione di piani di tutela, si spostava il disvalore primario dal
fatto dello sfruttamento concreto, alla diffusione, eventuale, del materiale pornografico15.
Del resto, ricostruire una fattispecie incriminatrice come reato di pericolo concreto, significa
considerare fatto tipico di reato, anche quelle condotte che pur non offendendo il bene giuridico
tutelato dalla norma nella forma del danno, lo offendono nella forma del pericolo.
Ora, nel caso dell’art. 600 ter 1 co c.p., il bene giuridico tutelato è la “libertà sessuale” del minore ed
“il suo corretto sviluppo psicofisico”. Leggere, quindi, questa norma come reato di pericolo concreto,
significa reprimere tutte quelle condotte in grado di ledere, anche solo potenzialmente, tale bene.
Si pensi, allora, al caso di un pedofilo che, per uso puramente privato, scatta delle foto ad un minore
in pose ed atteggiamenti di valenza sessuale.
Come si può sostenere che tale condotta non altera il corretto sviluppo psicofisico del minore e non
lede, almeno potenzialmente la sua libertà sessuale, per il solo fatto che le foto scattate sono rimaste
nella esclusiva disponibilità di chi le ha fatte e non sono state mostrate a terzi?
Nello stesso istante in cui la foto è stata scattata, infatti, e per ciò solo, la libertà sessuale del minore
e la sua integrità psicofisica sono stati compromessi.
Sulla scorta della sentenza a S.U. n. 13/2000, invece, non solo una tale condotta non era idonea a
ledere, nella forma del danno, il bene giuridico tutelato dalla norma, ma nemmeno era in grado di
metterlo in pericolo, in quanto mancava il concreto pericolo di diffusione del materiale
pedopornografico realizzato, condicio sine qua non, secondo i giudici, senza la quale la libertà
sessuale del minore ed il suo corretto sviluppo psicofisico, non potevano correre alcun pericolo di
lesione!
I giudici di legittimità, quindi, nella sentenza 13/2000, se pur animati dall’intento di interpretare la
volontà del legislatore del ’98, in modo estensivo e, quindi, punire anche le condotte prodromiche
che mettono a repentaglio lo sviluppo del minore, mercificando il suo corpo ed immettendolo nel
circuito della pedofilia, finirono per restringere l’ambito di applicazione della norma, in quanto il
pericolo concreto di lesione del bene giuridico protetto, fù ancorato arbitrariamente, senza che il
legislatore si fosse espresso in tal senso, al pericolo di diffusione del materiale pornografico prodotto.
Così facendo, quindi, venne creato un pericoloso vuoto di tutela dell’integrità psicofisica del minore e
della sua libertà sessuale, posto che la produzione pornografica per uso domestico non costituisce
reato!
Ancora meno condivisibile è l’interpretazione fatta dai giudici di legittimità dell’art. 600 ter 1 co c.p.,
come reato di pericolo concreto ancorato al pericolo di diffusione del materiale pornografico, dopo la
novella del 2006 e dopo che nel nostro Ordinamento penale è stato introdotto l’art. 600 quater1.
15
MANTOVANI F., Diritto Penale - parte speciale, Padova, CEDAM 2009, 438.
5
A seguito delle modifiche apportate dalla legge 38/2006 all’art. 600 ter 1 co c.p., il reato si consuma
nel momento in cui l’esibizione pornografica viene realizzata, o il minore viene indotto a parteciparvi,
o il materiale pornografico viene prodotto.
C’è da chiedersi, allora, se le nozioni di “produzione” e di “esibizione” richiedano l’inserimento della
condotta in un contesto di organizzazione almeno embrionale e di destinazione, anche potenziale,
del materiale pornografico alla successiva fruizione da parte di terzi.
Se così fosse, infatti, la produzione di materiale pornografico destinato a restare nell’uso
strettamente personale del pedofilo ed a non essere divulgato, non integrerebbe alcuna figura di
reato.
A tal fine, sembra non inutile operare un confronto tra il primo ed il terzo comma dell’art. 600 ter.
Con riferimento al primo comma dell’art. 600 ter, i giudici di legittimità sostengono che per il
perfezionamento della fattispecie e, cioè, “la produzione del materiale pornografico”, occorre che la
condotta dell’agente abbia una consistenza tale da implicare il concreto pericolo di diffusione di
detto materiale. Pertanto, la produzione del materiale pornografico non si “perfeziona” e, quindi, il
reato non si configura, se non in presenza della destinazione, almeno potenziale, dello stesso ad un
numero indeterminato di persone. La giurisprudenza dominante, quindi, amplia la nozione di
“produzione” perché ricomprende nella stessa il momento della “diffusione” del materiale. Questo
spiega perché anche se, ad esempio, la foto pornografica è stata scattata, il reato non si è
perfezionato se non sussiste il pericolo concreto che quella foto giunga nella disponibilità di un
numero indeterminato di pedofili. In altre parole, è come se senza il “pericolo di diffusione” si avesse
una “produzione incompleta”.
Con riferimento al terzo comma dell’art. 600 ter, le condotte di “distribuzione”, “divulgazione”,
“diffusione” o “pubblicizzazione2 del materiale si perfezionano nel momento in cui sussiste la
possibilità concreta di diffusione del materiale pornografico. I giudici di legittimità, infatti,
sostengono che per il perfezionamento di tutte le condotte contemplate dal comma terzo dell’art.
600 ter c.p., è necessaria la concreta possibilità di diffusione del materiale pornografico. In
particolare, occorre che l’agente ponga in essere le condizioni che consentano la propagazione del
materiale interessando un numero indeterminato di persone.
La giurisprudenza, quindi, interpreta anche il terzo comma dell’art. 600 ter come reato di pericolo
concreto. Ai fini della consumazione del reato, infatti, non è richiesta l’ effettiva divulgazione o
diffusione del materiale, quanto che sussistano le condizioni che consentano la propagazione dello
stesso.
La norma in parola, inoltre, contiene una clausola di riserva che sembra confermare che la diffusione,
almeno potenziale, del materiale pornografico, rientra nell’idea di produzione dello stesso.
Solo se il produrre, infatti, contiene in sé, almeno potenzialmente, il diffondere, si comprende perché
chi produce materiale pornografico e poi lo diffonde, risponde, in forza del principio di sussidiarietà,
solo del reato di cui al primo comma dell’art. 600 ter, in quanto l’offesa che egli arreca al bene
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giuridico con il secondo reato (la diffusione) è meno grave e, quindi, assorbita nell’offesa più grave
arrecata al bene giuridico con il primo reato (la produzione).
Tuttavia, se il “produrre” contiene già in sé la “diffusione” o “divulgazione”, almeno potenziale, del
materiale e se per avere “divulgazione” o “diffusione” dello stesso è sufficiente, avendo il reato
natura di pericolo concreto, che sussistano le condizioni perché ciò accada, il terzo comma dell’art.
600 ter, relativamente alle condotte di “distribuzione”, “divulgazione”, “diffusione” o
“pubblicizzazione” del materiale pornografico, diviene ultroneo, perché già contenuto nel primo
comma dello stesso articolo.
L’art. 600 ter 1 co, sul piano soggettivo, inoltre, è stato costruito dal legislatore come reato a dolo
generico. Per l’integrazione della fattispecie, quindi, è richiesta la rappresentazione e volontà
dell’agente di realizzare un’ esibizione pornografica o di produrre materiale pornografico utilizzando
minori di anni diciotto.
Sembra, allora, possibile dedurre che, poiché la norma non recita: “chiunque realizza esibizioni
pornografiche o produce materiale pornografico al fine di metterlo in circolazione”, del tutto
irrilevante è che nell’intenzione dell’agente, “l’esibizione o il materiale pornografico prodotto”, non
siano destinati ad essere divulgati.
Ne consegue anche sul piano probatorio che, una volta accertato che l’imputato ha creato il
materiale pedopornografico, superfluo diviene qualunque accertamento sui comportamenti
successivi alla realizzazione del prodotto pornografico e sintomatici della destinazione della res
all’esterno.
Si può allora concludere che, sia sul piano oggettivo che soggettivo, la norma in esame è stata,
condivisibilmente, costruita dal legislatore del 2006 come reato di danno.
Ciò comporta l’impossibilità di inserire nell’idea di “produrre” la “divulgazione”, quanto meno
potenziale, del materiale prodotto ad un numero indeterminato di terzi, e, quindi, ravvisare un fatto
tipico di reato nella produzione di materiale pornografico per uso domestico. Ne consegue, anche,
che se taluno produce e divulga materiale pornografico, dovrà rispondere di concorso nei reati di cui
all’art. 1 e 3 co art. 600 ter c.p.. Se, invece, taluno non “produce” ma “diffonde”, “divulga”,
“distribuisce” o “pubblicizza” il materiale, dovrà rispondere del reato di cui all’art. 600 ter co 3. ,
ferma restando la possibilità di ravvisare un concorso ex. art. 110; 600 ter 1 co c.p., con il produttore
dello stesso.
Ciò perché la produzione del materiale pornografico, lede ex se il bene giuridico “integrità psicofisica
del minore e libertà sessuale dello stesso”, con la conseguenza che se il materiale dopo essere stato
prodotto viene anche distribuito, o meglio, qualora dopo la produzione del materiale l’agente ponga
in essere le condizioni che consentono la propagazione del materiale ad un numero indeterminato di
persone, l’offesa già arrecata al bene giuridico con il primo reato (la produzione) diviene più grave
con la commissione del secondo (la diffusione, divulgazione, distribuzione e pubblicizzazione non
necessariamente concreta ma anche solo potenziale ).
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In altre parole se c’è “produzione” e “divulgazione” del materiale pedopornografico, da parte di uno
stesso soggetto, non è condivisibile sostenere che il primo reato assorbe l’offesa contenuta nel
secondo reato, perché il secondo reato aggrava l’offesa arrecata al bene giuridico dal primo reato.
Sembra possibile, allora, procedere ad una sorta di scomposizione interna alla previsione in tema di
pornografia minorile che, quando si realizza secondo le note tipiche descritte dal comma 1 dell’art.
600 ter c.p. e 600 quater1 comma 1 relativamente all’ipotesi di cui al 600 ter primo comma, guarda
direttamente alla salvaguardia dell’integrità fisico psichica del minore e deve essere letta come reato
di danno, diversamente quando assume le altre forme di manifestazione (commercio, distribuzione,
divulgazione, diffusione, pubblicizzazione, offerta o cessione a titolo gratuito, di materiale
pornografico), riacquista la sua proiezione originaria, congenita, di fattispecie di pericolo concreto
volta a contenere il rischio che le rappresentazioni pornografiche divengano oggetto di un mercato
illecito (art. 600 ter commi 2,3,4 e 600 quater1 relativamente alle ipotesi di cui al 600 ter commi
2,3,4, c.p.).
Ritenere, invece, il primo comma dell’art. 600 ter reato di pericolo concreto, ma ciò nella sua corretta
accezione, cioè punire ogni lesione potenziale al bene giuridico “integrità psicofisica e corretto
sviluppo sessuale del minore”, disancorata dal pericolo di diffusione del materiale prodotto ad un
numero indeterminato di pedofili, significherebbe punire, a titolo di delitto consumato, tutte quelle
condotte suscettibili di produrre materiale pornografico e, per ciò solo, offensive, nella forma del
pericolo, del bene giuridico tutelato dalla norma. Significherebbe, anche, ampliare notevolmente
l’area del penalmente rilevante, o meglio punire a titolo di reato consumato, condotte che qualora il
reato de quo, fosse letto come reato di danno, dovrebbero essere punite a titolo di delitto tentato,
ferma restando la necessità che gli atti posti in essere dall’agente siano idonei e diretti in modo non
equivoco a commettere il delitto.
Che l’art. 600 ter 1 co c.p., debba essere letto come reato di danno e non di pericolo concreto, trova
anche conferma nell’introduzione nel nostro Ordinamento, della “pedopornografia virtuale” prevista
e regolamentata dall’art. 600 quater 1 c.p.16.
16
L’art. 600 quater 1 c.p. stabilisce che: “le disposizioni di cui agli articoli 600 ter e 600 quater si applicano anche quando il materiale
pornografico rappresenta immagini virtuali realizzate utilizzando immagini di minori degli anni 18 o parti di esse”. Il legislatore, al secondo
comma della norma de qua, definisce la locuzione immagini virtuali stabilendo che per esse debbono intendersi immagini realizzate con
tecniche di elaborazione grafica non associate in tutto o in parte a situazioni reali, la cui qualità di rappresentazione fa apparire come vere
situazioni non reali. Tale estensione della punibilità, attua una scelta di politica criminale risalente alla Convenzione Cybercrime del
Consiglio d’Europa, sottoscritta dall’Italia già nel 2001, poi fatta propria e meglio puntualizzata dalla Decisione Quadro dell’Unione europea
del 2003 nella quale viene fornita la definizione di pornografia minorile come il materiale che ritrae e rappresenta visivamente:
1.
2.
3.
Un bambino reale coinvolto in una condotta sessualmente esplicita, fra cui l’esibizione lasciva dei genitali o della zona pubica;
Una persona reale che sembra essere un bambino coinvolta nella suddetta condotta;
Le immagini realistiche di un bambino inesistente coinvolto nella suddetta condotta.
La Decisione Quadro ha previsto tre cause di esclusione della punibilità, che lo Stato membro può riservarsi di inserire:
1.
2.
Quando la persona ritratta nell’opera aveva compiuto 18 anni o aveva un’età superiore al momento della realizzazione
dell’immagine;
Quando le immagini, che ritraggono minori hanno raggiunto l’età del consenso sessuale, siano prodotte e detenute con il
consenso degli stessi (tranne nel caso in cui il consenso sia stato ottenuto dall’agente avvalendosi della sua condizione di
superiorità in termini di età, maturità, stato sociale, posizione, esperienza, ovvero abusando dello stato di dipendenza che lega
la vittima all’autore) e unicamente per loro uso privato;
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La ratio di tale scelta legislativa trova giustificazione non solo nell’idoneità delle immagini virtuali di
minorenni a determinare un concreto incremento, arricchimento e diversificazione anche qualitativa
dell’offerta sull’unico mercato della pedofilia, producendo identici effetti di capillare pubblicità,
incentivazione e stimolo della domanda di rapporti sessuali con fanciulli nonché, indirettamente della
loro prostituzione17, ma anche nel rendere effettiva la tutela del bene giuridico “libertà psicofisica e
autodeterminazione del fanciullo” nelle proprie scelte ed esperienze che riguardano la sua sfera
sessuale.
Tuttavia, anche per la norma in esame si ripropone il problema se la produzione del materiale
pornografico virtuale per uso privato, integri o meno, il reato di pedopornografia virtuale, o se a tal
fine dovrà sussistere la possibilità concreta che il materiale prodotto venga divulgato ad un numero
indeterminato di terzi.
La decisione quadro 2004/68/GAI, aiuta a trovare una soluzione al quesito sopra esposto.
Tale decisione quadro, infatti, ha creato, accanto alla “pornografica reale”, una nuova figura di
“pornografia”, quella “virtuale”. Ha definito, infatti, la “pornografia infantile” come il materiale che
ritrae e rappresenta visivamente sia “un bambino reale implicato o coinvolto in una condotta
sessualmente esplicita”, sia una persona reale che sembra essere un bambino”, nonché “immagini
realistiche di un bambino inesistente”. La decisone quadro, inoltre, ha previsto tre cause di
esclusione della punibilità che i singoli Stati membri possono riservarsi di inserire nell’ambito della
propria legislazione.
3.
Quando il produttore o detentore di immagini pedopornografiche “realistiche” di bambini inesistenti dimostri che si tratti di
utilizzo privato delle stesse e a condizione che non vi sia il rischio di diffusione di tali opere.
La Decisione Quadro in parola, pertanto, ha obbligato gli Stati membri a dare rilevanza penale, accanto alla pedopornografia
“reale”, a quella virtuale che può consistere o nella rappresentazione di una persona reale che sembra essere un bambino,
implicata o coinvolta in una condotta sessualmente esplicita, fra cui l’esibizione lasciva dei genitali o della zona pubica, o
consistere in immagini realistiche di un bambino inesistente implicato o coinvolto nel medesimo genere di condotta
sessualmente esplicita.
Il legislatore italiano dà rilevanza penale alla pornografia virtuale attraverso l’art. 600 quater. 1 c.p., e la nozione di pornografia virtuale che
emerge dal dettato della norma in parola, sembra essere più ampio rispetto a quello delineato dalla decisione quadro e ciò per due ordini
di idee: la prima è che il legislatore, così come nell’art. 600 ter e quater, parla di materiale pornografico senza definire che cosa si debba
intendere per pornografia. Pertanto, di sicuro nel termine pornografia tanto reale che virtuale, sono da ricomprendere condotte
sessualmente esplicite fra cui l’esibizione lasciva dei genitali o della zona pubica, ma anche tutte quelle altre condotte, non menzionate
dalla Decisione Quadro, ma che sono riconducibili al concetto normativo extragiuridico di pornografico utilizzato dal legislatore per
descrivere un elemento del reato in parola.
Il legislatore tuttavia, dà al secondo comma dell’art. 600 quater 1, una definizione di immagini virtuali, per esse intendendo immagini
realizzate con tecniche di elaborazione grafica non associate in tutto o in parte a situazioni reali, la cui qualità di rappresentazione fa
apparire come vere situazioni reali.
Da una prima lettura si potrebbe sostenere che il legislatore italiano sia limitato ad introdurre una circostanza attenuante, applicabile ai
reati di cui agli artt. 600 ter e quater c.p., essendo la diminuzione di pena, non eccedente un terzo, conforme a quanto previsto dal codice
penale per le attenuanti comuni. Conseguentemente sii dovrebbe applicare la relativa disciplina, compresa quella del giudizio di prevalenza
od equivalenza con eventuali circostanze aggravanti concorrenti (art. 69 c.p.). tale interpretazione però non convince, innanzitutto per un
dato letterale. Il rinvio contenuto nell’art. 600 quater 1 c.p., è alle molteplici incriminazioni distintamente tipizzate, trasformate così in
altrettante fattispecie autonome nascenti dalla combinazione con la norma estensiva, non essendo scritto che alle condizioni tipizzate si
applichi ad esse il trattamento attenuato, bensì che esse si applicano anche alle situazioni descritte dalla nuova norma.
In secondo luogo vi è un rilievo sistematico: tutte le nuove ipotesi meno gravi non sarebbero altrimenti punibili, essendo da escludere un
rapporto di specialità con le norme richiamate, che non delineano, quindi, altrettante fattispecie base, attenuate nei casi indicati, bensì
ipotesi eterogenee rispetto a quelle che divengono ora punibili.
17
PETRUCCELLI I., Pedofilia e valutazione del danno psicologico della vittima, in AA.VV., La pedofilia, 2003, 155; NIGRO M., Lotta contro lo
sfruttamento sessuale dei minori e pedopornografia, in Dir. Pen. Proc., 2006, II, 820; PICIOTTI L., I delitti di sfruttamento sessuale dei
bambini, la pornografia virtuale e l’offesa dei beni giuridici, in AA.VV., Scritti per Federico Stella, Milano 2007, 1268 ss..
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Tali sono, per ciò che riguarda la pornografia reale, “quando la persona rappresentata sembri essere
un bambino, ma abbia in realtà 18 anni o un’età superiore ai 18 anni nel momento in cui è stata
ritratta” e “quando, trattandosi di produzione e possesso, le immagini di bambini che abbiano
raggiunto il consenso sessuale siano prodotte e detenute con il loro consenso e unicamente a loro
uso privato”.
Con riferimento alla “pornografia virtuale”, invece, “quando il materiale in cui sono contenute le
immagini realistiche di un bambino inesistente sia prodotto e posseduto unicamente ad uso privato e
purchè l’atto non comporti rischi quanto alla diffusione del materiale”.
Iniziando dalla “pornografia virtuale”, dalla decisione quadro, si evince che qualora uno Stato
membro, inserisca nel proprio Ordinamento la causa di non punibilità all’uopo prevista, la
produzione di materiale pedopornografico virtuale non sarà punibile, qualora detto materiale sia
posseduto esclusivamente ad uso privato e purchè non sussista il rischio di diffusione del materiale in
questione. Qualora, invece, la causa di non punibilità de qua, venga omessa, sarà punibile anche la
produzione di materiale pornografico virtuale ad uso meramente privato.
In altre parole, la regola è che la produzione di materiale pornografico virtuale sia esso ad uso privato
oppure destinato ad essere divulgato a terzi, per ciò solo costituisce reato, a meno che lo Stato
membro, non decida di inserire quale causa di non punibilità, la produzione privata di detto
materiale realizzato con il consenso del minore la cui sussistenza esclude non il reato ma la punibilità
dello stesso.
Con riferimento alla legislazione italiana, poiché il Legislatore nel dare attuazione alla decisione
quadro sopra richiamata, non ha introdotto cause di non punibilità in materia di pedopornografia
virtuale, volendo e dovendo leggere in modo conforme alla legislazione europea, la legislazione
interna, è doveroso concludere che, nel nostro Ordinamento, in mancanza di diversa ed espressa
disposizione di legge, la produzione di materiale “pornografico virtuale”, anche a scopo
esclusivamente domestico, costituisce reato ed è punibile.
Se così è per la produzione di “materiale pornografico virtuale”, a fortiori lo sarà per la produzione di
materiale “pornografico reale”, posto che, in tale seconda ipotesi, l’offesa al bene giuridico tutelato
dalla norma è più grave rispetto alla prima. Cosa, del resto, condivisa dal legislatore che per le
ipotesi di reato di cui all’art. 600 quater 1 ha previsto una diminuzione della pena di un terzo rispetto
a quelle di cui agli articoli 600 ter e quater.
Il legislatore italiano, inoltre, anche in relazione alla “pornografia reale”, non ha introdotto, quale
causa di non punibilità la produzione di immagini di bambini che abbiano raggiunto il “consenso
sessuale” qualora vi sia il loro consenso alla produzione e qualora il materiale prodotto sia destinato
unicamente a loro uso privato. Ne consegue, da un lato, che anche qualora il legislatore italiano
avesse introdotto la causa di non punibilità sopra descritta, comunque la stessa non si sarebbe
applicata ai minori al di sotto dei 14 anni. Pertanto, in ogni caso, avrebbe costituito reato e sarebbe
stata punibile la sola e semplice produzione, quindi, anche quella a scopo privato, di materiale
pornografico realizzato con minori degli anni 14. Dall’altro che in assenza di causa di non punibilità,
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costituisce reato ed è punibile la produzione ad uso domestico di materiale pornografico dei minori
di età ricompresa tra i 14 ed i 18 anni18.
Tuttavia, se per le ragioni esposte del tutto corretta, non solo dal punto di vista giuridico ma anche
da quello etico, appare la qualificazione del reato di pornografia minorile “reale” come reato di
danno, eccessive sono le conseguenze penali in materia di pornografia minorile virtuale. Interpretare,
infatti, la norma in parola come reato di danno, significherebbe punire, a titolo di delitto consumato,
anche chi disegna immagini realistiche di bambini inesistenti per uso esclusivamente privato.
Irragionevole sarebbe, infatti, considerare l’art. 600 ter 1 co come reato di danno e l’art. 600 quater1
come reato di pericolo concreto, posto che tale ultima norma richiama espressamente il disposto
degli artt. 600 ter e quater e li applica alla “pornografia virtuale”.
Sarebbe, pertanto, auspicabile un intervento legislativo volto ad introdurre la causa di non punibilità
prevista dalla decisione quadro in materia di pedopornografia virtuale.
Al termine di questo breve lavoro e a supporto delle conclusioni raggiunte, riporto le parole scritte da
Sabine Dardenne, la ragazzina che riuscì a salvarsi nel 1996 dal “mostro di Marcinelle” dopo 80 giorni
di prigionia durante i quali subì abusi da Marc Dutroux. Sabrine scrive: “avevo 12 anni, ho preso la
mia bici e sono partita per andare a scuola…è in quel momento che un mostro ha rubato la mia
infanzia….Quello schifoso esercitava sin dagli anni ottanta. Era stato condannato a 13 anni di prigione
per stupro e numerosi misfatti ma era stato liberato nel 1992 per buona condotta, contro il parere
dello psicologo del carcere e della pubblica accusa. E aveva giurato a se stesso di ricominciare, ma
questa volta senza farsi prendere… Sono una delle ragazze sopravvissute, che hanno avuto la fortuna
di sfuggire a questo assassino, questo racconto mi era necessario, perché si smetta di guardarmi in
maniera “strana” e perché nessuno mi faccia più domande in futuro. Ma se ho avuto il coraggio di
ricostruire questo calvario, è soprattutto perché nessun giudice rilasci più i pedofili a metà della loro
pena per buona condotta e senza altre forme di precauzione. Alcuni di loro sono stati dichiarati
responsabili delle loro azioni e in possesso delle proprie facoltà mentali. Li si considera capaci di
intendere e di volere, quindi psicologicamente normali. Questo atteggiamento è di un’ingenuità
spaventosa….E’ la recidiva che mi fa arrabbiare….La giustizia può dotarsi di strumenti adeguati e
spetta al governo deciderlo. Per favore, in futuro non dimenticatelo”19.
Dott.ssa Adelinda Moretti
ARTICOLO PUBBLICATO SULLA RASSEGNA GIURIDICA UMBRA EDIZIONE 2009
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Contra CADOPPI A., l’assenza delle cause di non punibilità mette a rischio le buone intenzioni, in Guida dir., n.9, 2006, 42. In particolare
“….l’acquisizione della libertà sessuale, nel nostro Paese la sia ha ai 14 anni e che, sebbene si possa diversificare la libertà sessuale dalla
libertà di farsi fotografare nudi dal fidanzatino è anche vero che un conto è riconoscere una tale libertà come tale, un conto, è all’opposto,
affibbiare come minimo sei anni di galera a un ragazzino che ha fatto una foto osè alla partner quasi diciottenne con il telefonino e con il
suo pieno consenso”.
19
SABINE DARDENNE, il diario degli 80 giorni con il mostro di Marcinelle, Milano, 2004.
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