27 aprile 2015 - Nediske Doline

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27 aprile 2015 - Nediske Doline
27 aprile 2015
“24 MAGGIO 2015. DIARIO DI TRINCEA” DISTRIBUITO IN EDICOLA
INTERVISTA CON IL REGISTA ALESSANDRO SCILLITANI
Perché avete scelto di parlare della Grande Guerra attraverso un viaggio? Cosa hanno
trasmesso quei luoghi a lei e cosa pensa possano trasmettere agli altri viaggiatori?
Sono sempre stato attratto dalla forza evocativa dei luoghi. Uno dei miei primi lavori
importanti è stato proprio sui luoghi abbandonati. Credo tantissimo nelle emozioni che si
possono suscitare attraversare un luogo con la consapevolezza che quello stesso luogo è
stato vissuto da altri, prima di te. Nel caso della Prima Guerra Mondiale è impossibile in
certi momenti non rimanere colpiti dall'idea che posti, tra l'altro così straordinariamente
belli, siano stati teatro di morte e di distruzione.
Nel film si riflette sui modi diversi di custodire la memoria di quella Guerra, dai cimiteri
dei caduti alle trincee; lei pensa sia ancora importante ricordare?
Prima di fare questo viaggio pensavo che i custodi della memoria della Grande Guerra
potessero essere "guerrafondai". Mi sbagliavo, fortemente. Il valore di quello che fanno
coloro che a distanza di 100 anni ricordano quella storia è enorme. Lavorano per la pace,
non per la guerra. La memoria forse è l'unica cosa che può permetterci di continuare a
essere in pace.
Nell’Europa di Schengen sembra impensabile che sulle nostre montagne si sia morti per
spostare un confine di pochi metri. Quelle trincee cento anni dopo sono ancora un confine
o un ricordo comune che ci può unire?
Quando si sentono i racconti e le storie dei soldati, quando si leggono i loro diari, ci si
rende conto della profonda umanità che quegli uomini ostinatamente cercavano nel fango
della trincea, in un mondo folle e assurdo in cui la vita contava pochissimo. Ebbene, quei
pensieri sono inevitabilmente identici da una parte e dall'altra del fronte. Qualcuno dice
che l'Europa si è fatta proprio lì, in trincea, nel rendersi conto che si era tutti "uguali".
Certo, oggi i confini ci sono ancora, è molto evidente, e non si può certo parlare di Europa
unita, sono tanti gli scricchiolii della nostra fragile democrazia. E certamente l'occasione
del centenario non è stata sfruttata per rafforzare l'idea di Europa. Sostanzialmente, ogni
Paese ha agito un po' per conto proprio, ci sono stati solo timidi tentativi di un coro
comune, ma prevale ancora l'idea di raccontare la storia nella logica dei vincitori e dei
vinti. Sono convinto che se si guardasse a quella guerra da un punto di vista europeo, se la
si considerasse una ferita all'interno di un unico grande Paese, allora potremmo davvero
parlare di un segno positivo.
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27 aprile 2015
Dopo questo viaggio sul fronte italiano e su quelli europei raccontati nei dieci film del
Ricordo della Grande Guerra è cambiato il suo modo di sentirsi europeo o la sua idea di
Europa?
Indubbiamente. Questo viaggio tra i confini ha fatto sviluppare in me una fortissima
identità europea. Nonostante tutto quello che non funziona, credo molto di più adesso
nell'Europa, proprio grazie a quello che ho visto nei miei viaggi.
Lei ha realizzato anche uno spettacolo “Dalla parte sbagliata” in cui si parla, ad esempio,
degli italiani che combatterono dal 1914 sotto le bandiere austroungariche. Questi due
anni di viaggio hanno cambiato la sua idea sulla Guerra?
Senza dubbio. Prima di partire sapevo poco più di quello che si legge nei libri di scuola:
l'Impero Austro-Ungarico viene dipinto sempre come il regno del male e le gesta italiane
vengono spesso narrate come imprese eroiche. Nulla sapevo degli italiani andati in guerra
nel 1914. E tanti, tantissimi in Italia ignorano questa cosa. Ecco, guardare a quella guerra
attraverso gli occhi di quei soldati che andarono in guerra con la divisa “sbagliata” mi ha
permesso di comprendere quanto diversa sia stata la realtà delle cose, quante
contraddizioni ci sono nella storia della Guerra come spesso viene narrata.
In una Guerra che in trincea o sulle cime più alte imponeva sforzi e perdite disumani,
colpisce come i soldati cercassero di mantenere la loro umanità con la musica, scrivendo
diari, portando in quota pianoforti o tavoli da ping pong…
È incredibile l'umanità che si è rivelata tra le trincee, gli innumerevoli racconti di tregue, di
ricerca di fratellanza con i soldati dall'altra parte. Mi ha colpito molto vedere lettere
mandate alle proprie fidanzate con spartiti di musica scritti a mano, inventando melodie a
memoria, o con strumenti costruiti con materiale di recupero. Di fronte al fango, agli
odori, ai rumori di quella guerra che portava alla pazzia, ecco che questi piccoli uomini
cercavano qualcosa che li rendesse grandi.
C’è un luogo o un incontro che più di altri per lei racchiude il senso di questo viaggio?
Ogni viaggio che mi capita di compiere è costellato di imprevisti meravigliosi. Realizzare
un film, per me, è sempre un viaggio pieno di sorprese. Così, del viaggio complessivo
compiuto con Paolo Rumiz lungo i fronti europei, mi viene subito in mente la donna
inglese incontrata fortuitamente a Péronne, che ci ha raccontato del nonno salvatosi in
guerra grazie alla musica, oppure Jacki, che tra i boschi vicino a Verdun ci ha mostrato gli
orrori chimici lasciatici in eredità dalla guerra di 100 anni fa.
Ma tornando al fronte italo-austriaco, l'incontro più forte è stato quello con Franz Pozzi
Brunner e Luca Turchetto. Sono due rievocatori storici, uno si veste da alpino, l'altro da
Schützen, e camminano l'uno di fianco all'altro. Il giorno in cui li abbiamo incontrati c'era
un sole splendido, ma nel pomeriggio è arrivata una nevicata fortissima, imprevista, che
magicamente ha coperto i baraccamenti e le trincee. E Franz ha cominciato a raccontarci
storie.
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