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Extrait de la publication Extrait de la publication Eugène Sue ATAR-GULL LA VENDETTA DELLO SCHIAVO Prefazione di Goffredo Fofi DONZELLI EDITORE Titolo originale: Atar-Gull Traduzione di Alfredo Pisati © 2011 Donzelli editore Roma, via Mentana 2b INTERNET www.donzelli.it E-MAIL editore@donzelli. it ISBN 978-88-6036-539-2 Extrait de la publication Indice p. VII La vendetta dello schiavo Prefazione di Goffredo Fofi 3 Al signor Fenimore Cooper Libro primo 13 21 29 37 I. La Catherine L’uragano III. Il mediatore IV. La vendita II. Libro secondo 49 57 65 71 81 I. La sconosciuta La Jena III. Il signor Brulart IV. Arthur e Marie V. Che il buon Dio vi punisca perché fate la tratta II. Libro terzo 93 101 111 117 I. Il falso ponte Atar-Gull III. Mistero IV. Oppio II. Libro quarto 127 135 143 151 I. La fregata Un’astuzia III. Il colono IV. Il padre e il figlio II. V Extrait de la publication Libro quinto 161 169 177 187 193 201 I. II. III. IV. V. VI. Festa Gli avvelenatori La vigilia delle nozze La partenza Incontro Sogno Libro sesto 213 221 229 237 I. La rue Tirechape Atar-Gull III. Il battesimo IV. Il premio di bontà II. VI Extrait de la publication La vendetta dello schiavo Prefazione di Goffredo Fofi In memoria di Martin Luther King e di Malcolm X Gli effetti della Rivoluzione francese non si fecero attendere, nel secolo che da essa si dipartiva, e seppero essere sconvolgenti. Uno dei risultati non secondari dell’89 fu la nuova sensibilità nei confronti delle culture e dei popoli detti primitivi – annunciata dalle notizie o dalle fantasticherie sugli indiani d’America, nate dalla lettura de L’ultimo dei Mohicani di James Fenimore Cooper del 1826, o di Atala (1801) e della parte finale di René di Chateaubriand, che fu pubblicata, da questa sponda dell’oceano, nel medesimo anno, con il titolo Les Natchez. Ma i pellerossa godevano in Europa – e, grazie ai missionari, perfino in Spagna – di una considerazione culturale ben diversa, anche quando venivano sterminati, da quella degli abitanti della vicina Africa, verso i quali gli interessi economici avevano promosso da tempo un ampio e terribile mercato di esseri umani, sollecitati dalle richieste di manodopera delle colonie americane per le grandi piantagioni degli Stati nordamericani e del Brasile, di cotone o caffè. La figura del nero simpatico, e più ancora del nero intelligente, fece molta fatica a farsi strada, e questo avvenne grazie a tre giovani scrittori destinati a diventare, con Balzac, tra i grandi narratori dell’Ottocento: Victor Hugo, autore a sedici anni di Bug-Jargal che rivide e migliorò sette anni dopo, nel 1825; Prosper Mérimée, nato nel 1803, autore del bel racconto lungo Tamango, edito nel 1829; e il nostro Eugène Sue, nato nel 1804 e autore di Atar-Gull, pubblicato nel 1831, certamente la più originale delle tre opere, una delle prime di questo autore, talvolta aspramente discusso, comunque tra VII Extrait de la publication i più noti, letti e amati. (Merita un ricordo, in questo contesto, il romanzo storico incompiuto di Puškin del 1828, Il negro di Pietro il Grande, sulla figura di un ingegnere etiope alla corte russa che fu un antenato dello stesso Puškin). Va ricordato che l’abolizione della schiavitù venne proclamata in Francia solo nel 1848, e chissà che in quella dichiarazione non abbiano avuto qualche influenza i tre romanzi citati… Inizialmente contagiato da Fenimore Cooper nell’avventura del romanzo marinaro, Sue mescolò sapientemente in Atar-Gull le influenze di questo genere con quelle del nascente «romanzo d’appendice», cui così tanto doveva contribuire, sì che il romanzo nelle sue traduzioni ebbe come sottotitolo ora «Racconto marinaro», ora «La vendetta dello schiavo». La fama dei suoi tre enormi «romanzi a puntate», I misteri di Parigi, L’ebreo errante e I misteri del popolo (l’edizione delle opere complete di Sue consta di 199 volumi), offuscò col tempo quella di Atar-Gull, che fu però amato dai surrealisti e prediletto dai cultori della letteratura popolare dell’Ottocento. In Italia, un recente ritorno d’interesse su I misteri di Parigi, cui non è corrisposta la conquista di nuovi lettori, è dovuto indubbiamente a Umberto Eco, che ne ha scritto e lo ha fatto ristampare negli anni sessanta dello scorso secolo, e che si è servito di quel modello per il suo recente e discusso Il cimitero di Praga. Prima di lui, il pessimo Dan Brown e tanti altri, nell’industria editoriale degli ultimi decenni, hanno rubato da Sue, coscientemente o senza rendersene conto, anche se non c’è in questo nulla di cui rallegrarsi: l’Ottocento non è il Duemila, e la cultura popolare autonoma, o in grado di decidere cosa doveva appartenerle o cosa no, è stata uccisa da tempo dai manipolatori del mercato editoriale considerato alla stregua di ogni altro mercato. Ma torniamo all’Ottocento e al tema dello schiavo nero; negli Stati Uniti si dovette attendere La capanna dello zio Tom di Beecher Stowe, del 1852, ma stavolta scritto secondo un progetto specificamente sociale, quello dell’abolizione della schiavitù cui il romanzo contribuì enormemente, risvegliando e sensibilizzando alla questione la popolazione degli Stati del Nord. Di tre anni successivo è il racconto lungo Benito Cereno di Herman Melville, su cui ha scritto pagine acutissime il nostro Beniamino Placido: Babo l’africano è il terzo dei tre protagonisti del racconto, con l’infido spagnolo Benito Cereno e l’incerto e ingenuo ma alla fine deciso Amasa Delano del New England; Babo è lo schiavo ribelle, astuto e malvagio, ma con un fondo di «necessità», vendicativo nei confronti dei bianchi. VIII Extrait de la publication È con il romanzo di Sue, e più tardi con il racconto di Melville, che si afferma per la prima volta nella coscienza letteraria e di conseguenza in quella civile dell’Occidente la convinzione che «anche i neri pensano», che non sono una via di mezzo tra le scimmie e gli uomini, che non sono dei sub-umani da trattare allo stesso modo in cui venivano trattati, là dove c’era bisogno della loro fatica, i buoi e i cavalli. Per chi voglia capire cos’è stato il mercato degli schiavi dall’Africa alle Americhe, consiglio caldamente la lettura di un capolavoro della seconda metà del Novecento tradotto in Italia solo di recente presso la casa editrice Iperborea, la Trilogia degli schiavi comprendente La costa degli schiavi, Le navi degli schiavi e Le isole degli schiavi (1967-70) del danese Thorkild Hansen (1927-1989), a cavallo tra storia, documento, romanzo. Una prima presa di coscienza collettiva dei propri diritti si ebbe ad Haiti nel 1791 con la rivolta degli schiavi che credettero nelle dichiarazioni dei diritti dell’uomo della Rivoluzione francese, e fecero la loro rivoluzione capitanati da Toussaint l’Ouverture e successivamente da Henri Christophe, poi divenuto re, ma dovettero tragicamente disilludersi verificando quanto fossero distanti le parole dai fatti e cioè le dichiarazioni di intenti e gli interessi economici dei coloni francesi nelle «loro» isole del Caribe, che ancora oggi vengono chiamate in Francia «territori d’oltremare» invece che, con parola più veritiera e meno ipocrita, colonie. Alle vicende haitiane ha dedicato una trilogia romanzesca più abile che convinta lo statunitense Madison Smartt Bell (iniziata con Quando le anime si sollevano, 1995, poi edita in Italia da Alet). Senza alcun dubbio, è stata la storia tragica di Toussaint l’Ouverture, sconfitto, catturato, avvilito in una lunga prigionia in Francia, a colpire la fantasia dei giovanissimi Hugo, Mérimée e Sue, spingendoli a porre al centro delle loro opere giovanili i personaggi di tre schiavi ribelli. Il più eroico, il più decisamente romantico, è quello di Hugo, che prende le mosse dalla rivolta di Haiti e narra della rivalità in amore tra un bianco e un nero amici di nobile animo, con la generosa rinuncia del nero a favore del bianco. Il più complesso è quello di Mérimée: Tamango è un capo africano che vende schiavi ai mercanti europei e, obnubilato dall’alcol, finisce col perdere al gioco anche la sposa; quando rinsavito la reclama, è fatto schiavo a sua volta ma organizza, sulla nave che lo porta nelle Americhe insieme agli uomini che ha egli stesso venduto, una rivolta che riesce vincitrice, ma che sarà destinata a una finale sconfitta perché, uccisi i bianchi, Tamango non saprà governare la nave nella tempesta. IX Il più paradossale e originale è quello di Sue. Atar-Gull è un giovane africano di grande corporatura e di forza erculea che, ridotto in schiavitù, vede distrutta la sua vita dagli schiavisti così come quella dei suoi cari, della sua amata. Sulla nave che lo porta in Giamaica e nelle ricche dimore coloniali dove è chiamato a servire, egli elabora una sua strategia, un suo modo di comportarsi: si imporrà all’affetto dei padroni, farà sembiante di amarli e di proteggerli e non solo di servirli, conquisterà la loro totale fiducia, e lentamente, con astuzie e veleni, li compenserà come meritano del male che essi hanno fatto – alcuni di loro con pretesa innocenza – a lui e alle migliaia di schiavi suoi compagni di disgrazia. Atar-Gull non praticherà la rivolta «armata», e neanche la lenta pazienza di chi spera in un domani migliore, ma una sottile, inedita maniera di farsi amare, di rendersi indispensabile per distruggere gli oppressori e sfruttatori, giocando la carta dell’adesione apparente al loro sistema di valori, alla loro cultura, alle loro ipocrisie. Atar-Gull si presenta come un perfetto «zio Tom», un «nero da cortile»: così l’avrebbero infatti chiamato un secolo e qualche decennio dopo i militanti statunitensi del Black Power. Ma è nella realtà un vendicatore terribile, lucido, conseguente, spietato. La sua recita verrà premiata infine in due modi: render noto il suo lungo operato all’ultimo rappresentante, paralitico, muto, affidato alle sue mani, della famiglia che Atar-Gull ha ridotto in miseria e sterminato con la dolcezza; venire premiato dalla Repubblica come servitore dedito al bene dei suoi padroni, modello ineguagliabile di servitù, di servilismo. Tali le armi del povero, dell’indifeso, del senza diritti, dello schiavo, nella società dominata da pochi e dalla loro distruttiva e diabolica sete di denaro e potere. Quali altri mezzi, oltre la resistenza passiva e il doppio gioco, avevano gli schiavi nella società capitalistica dell’Ottocento, il cui vanto è stato un grande movimento operaio, peraltro bianco e non sempre sensibile alle istanze degli schiavi, nonostante che il suo eroe conclamato fosse Spartaco, lo schiavo tracio? Non so se Marx ha avuto modo di leggere Atar-Gull, lui che ebbe un genero meticcio, e che infierì, esagerando, contro I misteri di Parigi. Forse avrebbe potuto intuire qualcosa di più dei conflitti che sarebbero esplosi più avanti, nel mondo. Roma, gennaio 2011 G. F. X Extrait de la publication Atar-Gull La vendetta dello schiavo Extrait de la publication Extrait de la publication Al signor Fenimore Cooper Mi scuserete, Signore, se rispondo pubblicamente alla lettera così lusinghiera che avete avuto la cortesia di scrivermi in merito al mio romanzo? Questa vanità, di giovane impaziente di informare tutti del suo successo letterario, è senz’altro biasimevole; ma, sentendo il bisogno di dare qualche delucidazione su questo nuovo libro, ho pensato che le mie spiegazioni avrebbero acquistato maggiore risonanza e valore se personalmente rivolte a voi, Signore, che avete creato il «romanzo marittimo», con tanta originalità e potenza, e che condividete con Goethe e Scott il raro e prezioso privilegio di essere uno dei «personaggi» della letteratura straniera contemporanea. Sono persuaso, come voi, Signore, che, se lo spirito generale della nostra nazione potesse a poco a poco arrivare a comprendere quanta forza, quante energie, e quanti mezzi di difesa o di conquista sono inerenti alla marina, la Francia potrebbe eguagliare qualsiasi potenza europea nell’Oceano. È anche in grazia di questa profonda convinzione, Signore, che mi sono indotto a pubblicare qualche racconto di ambiente marino; poiché, venendo dopo di voi, occorreva un motivo di tale portata per osare intraprendere un compito così rischioso. A lungo sono stato tormentato dall’assillo se non fosse per me più opportuno scegliere come argomento dei miei romanzi alcuni di quei meravigliosi eventi d’arme, così numerosi negli annali marittimi; ma ho ritenuto che fosse meglio iniziare più modestamente con un’avventura più generica. Dato che il pubblico, inoltre, più familiarizzato con l’idioma, la lingua, le abitudini dei marinai dai miei primi bozzetti, avrebbe 3 potuto interessarsi meno distrattamente, a causa della singolarità dei costumi, a un racconto totalmente storico, di più spiccato interesse nazionale. Forse, Signore, osserverete che in Atar-Gull ho abusato della benevolenza da voi accordatami di descrivere delitti flagranti e atroci per eccitare la sensibilità del lettore; ma invano ho tentato di sottrarmi alla fatale influenza dello spaventoso soggetto che avevo prescelto, e come Macbeth di Shakespeare, la mia «ferocia» non ha avuto limiti, poiché un delitto era la conseguenza, la deduzione logica di un altro delitto. Perciò, Signore, temo assai di essere considerato «uomo abominevole» che gode di provocare l’altrui orrore. E tuttavia, realizzando la descrizione perfin troppo esatta (credo) della tratta dei negri, della loro schiavitù e delle sue risultanze, ho voluto non tanto provocare una polemica inutile e sorpassata riguardo a certi diritti che molti contestano, quanto stabilire precisi fatti, elencare delle cifre, con cui le due parti avverse possano misurarsi. Resta solo trarne le conseguenze. Ora, Signore, vi delineerò lo schema che ho inteso seguire nel realizzare questo libro. Permettetemi un’unica domanda. Non vi è forse spesso capitato di incontrare casualmente, qua e là per il mondo, un uomo che non conoscevate, e che avete osservato con incuriosita attenzione, tanto vi aveva colpito la sua fisionomia? Vi stupiva in lui un certo modo originale, incisivo, di pronunciare qualche frase, e lo ascoltavate con avidità… Allora preso dal fascino di una conversazione rapida, brillante, animata, non avete provato non so qual simpatia per quella persona così singolare, che, come isolata in mezzo alla moltitudine brulicante e tumultuosa, sembrava quasi fantastica, tanto era imprevisto, affascinante e misterioso quell’incontro?… E poi, maledizione! Un importuno vi ha toccato una spalla, avete girato la testa indispettito, e maledizione… poiché lo sconosciuto poteva essere forse Byron, Chateaubriand, Bonaparte! Ed era scomparso… E non lo avete più rivisto… mai più… Così avete pensato sempre con un misto di tristezza dolce e di rimpianto… In una parola, quella sera, quell’ora di conversazione aveva fatto epoca nella vostra vita, non è così? Permettetemi, Signore, di raccontare due fatti accaduti a me in aggiunta al vostro: non si tratta né di Byron, né di Chateaubriand, né di Bonaparte, ma di uomini che certo non mancavano di qualità superiori. 4 Extrait de la publication Un giorno, mi trovavo a Saint-Pierre (Martinica) e dato che la nostra fregata sarebbe salpata solo il giorno dopo, mi recai, la sera stessa, a salutare un’eccellentissima e degna famiglia, le cui premure commoventi e affettuose mi avevano sottratto a una morte crudele. Arrivai, e dopo alcuni istanti di amichevole conversazione, venne annunciato il curato di ***. Immaginatevi, Signore, un uomo ancora giovane, pallido, la fronte prominente, gli occhi vivaci e neri, un tono di voce brusco, un parlare scarno e rapido, e l’espressione, l’atteggiamento affabili. Parlammo di politica. Mi aspettavo una discussione serrata e astiosa, oppure un mutismo sdegnoso da parte del sacerdote. Nient’affatto: il sacerdote parlò a lungo, e la sua conversazione aspra e nervosa, le sue idee chiare, precise e nuove, mi stupirono completamente. Parlammo di arte, di musica, di pittura: la stessa superiorità, sempre la stessa cultura lineare, semplice e robusta… Mi rammento che, tra le altre cose, ci deliziò con una curiosa e poetica dissertazione sull’influenza del politeismo e del cristianesimo sulle arti, a tutto vantaggio di quest’ultima religione. Parlammo di statica, di geometria, di meccanica: ragionò come un abile tecnico, e il colono accanto a cui mi trovavo gli chiese anche perché non faceva realizzare in grande il mulino da zucchero che aveva inventato. Infine, Signore, vinto dalle sollecitazioni del mio ospite che si stava godendo tutto il mio stupore, ci recammo al presbiterio. Era, credo, mezzanotte. Qui, il sacerdote ci cantò qualcosa di suo, ci mostrò dei quadri che aveva dipinti, e ci volle leggere un manoscritto assai interessante sulla libertà religiosa, ci spiegò i congegni molitori per la canna da zucchero, di semplicissima struttura. Che dirvi ancora, Signore? Quel sacerdote riassumeva in sé tutti i prodigi dell’intelligenza e del sapere. Semplice, povero e buono, di instancabile vivacità di spirito, non dormiva quasi mai, e trascorreva la sua vita a scavare le radici dell’albero della scienza; in breve era quasi un Faust prossimo alla dannazione (almeno suppongo). Infine, Signore, il tempo passò rapidamente: rimasi come incantato fino alle tre del mattino; alle cinque, ero in rotta per la Giamaica e non dovevo più rivedere quel singolare sacerdote, non l’ho più rivisto infatti, forse ha concluso la sua vita sotto il cielo torrido dei Tropici, giacché la sua salute era fragile e logorata dallo studio… forse quel genio ardente e sconosciuto è sepolto sotto una pietra sconosciuta. 5 Extrait de la publication Un’altra volta, in Grecia, alcuni giorni prima della battaglia di Navarino, per circa un’ora, a Antiparos, vidi un discendente del celebre Panajotti, favorito del visir Kropoli; quell’intrepido vegliardo aveva potentemente contribuito al riscatto del suo paese, aveva conosciuto Byron, eguagliato Canaris; spirito raffinato, intelletto retto e sperimentato, mi parlò a lungo della Grecia, e mai la posizione reale di quel disgraziato paese, il suo avvenire, le sue risorse, sono state più poeticamente esposte, che da quel vecchio greco dai lunghi capelli bianchi, dall’abbigliamento pittoresco, seduto su un pezzo di marmo dai bassorilievi soleggiati, che profetava il futuro di quella nazione, da sempre uno strumento o un pretesto per le lotte delle potenze europee. Me ne andai, e non vidi più quell’uomo straordinario se non una volta, e questo accadde il giorno dopo la battaglia del 20 ottobre; stava passando rapidissimo in una lancia lungo la fiancata del nostro vascello, per recarsi, credo, dall’ammiraglio, come inviato del governo greco. Questa lunga e faticosa digressione, Signore, tende a dimostrare che spesso delle persone notevoli per capacità organizzative o per vizi o virtù portate all’eccesso… ma sempre affascinanti, eminenti, di un genere particolare, traversano la nostra esistenza, rapide ed effimere, come quelle meteore che vediamo solo per un attimo, e poi si spengono per l’eternità. Ora, Signore, mi sono chiesto perché, nei romanzi di mare, soprattutto, di ambientazione variatissima in cui le scene si trovano spesso separate tra di loro da migliaia di miglia, non si possano introdurre queste apparizioni improvvise che brillano per un istante e scompaiono per non più riapparire. Perché, invece di seguire quella severa unità di interesse distribuito su un numero voluto di personaggi che, dall’inizio, devono, comunque, arrivare alla fine, per contribuire all’epilogo ognuno per la parte che gli spetta. Perché, dico, ammettendo un’idea filosofica, o un fatto storico che attraversi tutto il racconto, non si possono raggruppare attorno ai personaggi centrali altri personaggi che, non servendo di obbligato corteggio all’idea astratta che è il perno dell’opera, possono anche essere abbandonati per via, a seconda dell’opportunità o della logica degli avvenimenti. In tal caso, Signore, il lettore proverebbe forse questa impressione che ho cercato di rendere sensibile, impressione che risulta dall’improvvisa comparsa di un uomo straordinario che si vede una volta e di cui ci si rammenta sempre. 6 Extrait de la publication So, Signore, che bisognerebbe avere un talento prodigioso per arrivare a tanto, cioè ad accalappiare l’attenzione del lettore su un personaggio per un terzo dell’azione, suppongo, e poi far sparire questo personaggio e riversare l’interesse su quello che lo sostituisce, allo scopo di pervenire in tal modo all’epilogo del racconto. Ma se fosse possibile riuscirvi, credo che si potrebbe sormontare lo scoglio inevitabile che i romanzi di argomento marittimo sembrano rappresentare a causa delle distanze e degli avvenimenti che rendono piuttosto difficile l’unità di interesse e di luogo. Giacché infine, Signore, una nave in rotta, prima di arrivare al porto di destinazione, toccherà dieci paesi diversi: là, costumi stranieri, insoliti, senza alcun rapporto tra di loro, e forse dieci azioni, dieci potenti motivi di interesse, di che fare un bel libro; la nave parte, non ci si rivede più, le amicizie appena abbozzate sono dissolte, l’amore bruscamente interrotto, alla prima fase. Addio unità di interesse. Insomma, come ho già detto, c’è forse migliore unità di interesse di quella data da un fatto o da un’idea morale che traversi l’opera dall’inizio alla fine, e che serva da perno, da legame agli avvenimenti o ai personaggi che le gravitano attorno? E il romanzo di mare, soprattutto, non può forse vivere di episodi dislocati in un genere di composizione completamente diverso? So che solo un talento come il vostro, Signore, può inquadrare, rinserrare nel ciclo dell’unità le scene immense che avete descritto, e risolvere un problema insolubile per qualsiasi altro; ma è proprio perché vi riconosco la capacità di arrivare a tali impossibili altezze che cercherò di farmi scusare il metodo completamente inverso che ho adottato. Oso pensare, Signore, che in tutto questo non vorrete riscontrare nemmeno lontanamente il proposito di formulare una qualsiasi teoria; cerco solo di precedere la critica che a giusto titolo potreste farmi, per rimproverarmi di aver tentato di mettere in risalto in questo libro tre personaggi invece di uno, sul quale dovrebbe essere concentrata tutta l’attenzione del lettore. Non terminerò questa mia lunga, troppo lunga, lettera, Signore, senza esprimervi ancora la mia riconoscenza per gli incoraggiamenti che Vi siete degnato di rivolgere a dei tentativi certamente molto imperfetti. Eugène Sue Parigi, 15 maggio 1831 7 Extrait de la publication Extrait de la publication Libro primo Extrait de la publication