“Se non vi è risurrezione dei morti, neanche Cristo è risorto! Ma se

Transcript

“Se non vi è risurrezione dei morti, neanche Cristo è risorto! Ma se
XXXII DOMENICA, Anno c
Dal 2 Libro dei Maccabei 7, 1-2. 9-14
2 Lettera ai Tessalonicesi 2,16-3,5;
Dal Vangelo secondo Luca 20, 27-38
“Se non vi è risurrezione dei morti, neanche Cristo è risorto! Ma se Cristo non è
risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la nostra fede” (cfr. 1
Cor 15, 13-14).
L’annuncio della Pasqua è la risurrezione di Cristo!
Cristo infatti “compiendo la volontà del Padre e acquistandogli un popolo santo,
stese le mani nella passione, al fine di liberare dal patire coloro che avevano
creduto in lui. E si è consegnato alla volontaria passione, al fine di sciogliere la
morte, spezzare le catene del diavolo, calpestare l’inferno, illuminare i giusti,
fissare un termine e manifestare la resurrezione” (cfr. Anafora della Traditio
Apostolica, attribuita ad Ippolito).
Non si può parlare di risurrezione senza prima parlare di morte. “Ma qualcuno
dirà: «Come risorgono i morti? Con quale corpo verranno?». Stolto! Ciò che tu
semini non prende vita, se prima non muore. Quanto a ciò che semini, non
semini il corpo che nascerà, ma un semplice chicco di grano o di altro genere. E
Dio gli dà un corpo come ha stabilito, e a ciascun seme il proprio corpo […] Così
anche la risurrezione dei morti: è seminato nella corruzione, risorge
nell’incorruttibilità; è seminato nella miseria, risorge nella gloria; è seminato
nella debolezza, risorge nella potenza; è seminato corpo animale, risorge corpo
spirituale” (1 Cor. 15, 35-44).
Ma cosa vuol dire credere nella risurrezione?
“La morte non era insita nella natura umana, ma divenne connaturale solo dopo.
Dio infatti non ha stabilito la morte da principio, ma la diede come rimedio,
affinché la morte restituisse quello che la vita aveva perduto” (cfr.
sant’Ambrogio, Sulla morte del fratello Satiro). Perciò oso dire che credere nella
risurrezione è credere nella vita, in quella custodita dal Padre dei vivi e non dei
morti, dall’autore stesso della vita e della risurrezione. La risurrezione di Cristo ci
garantisce che la vita non è solo quella che vediamo, quella che viviamo nel
corpo, ma la vita vera, la vita dei risorti in Cristo è una vita redenta: la vita
vissuta nella fede che “Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché
noi avessimo la vita per mezzo di lui. In questo sta l’amore: non siamo stati noi
ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima
di espiazione per i nostri peccati” (1 Gv. 4, 9-10).
E poiché noi restiamo nel mondo pur non essendo del mondo, siamo custoditi da
Cristo (cfr. Gv. 17, 11-17) affinché i giorni che viviamo qui sulla terra continuino a
venir innalzati alla gloria di Dio da Cristo, primizia dei risorti.
Nulla della nostra vita allora resta banale: tutto ha senso, valore, spessore,
perché dice quanto Dio ci ama. Forse i sette fratelli Maccabei sono stati così
intrepidi perché sapevano che ciò che erano per Dio non dipendeva dal corpo
fisico, ma la loro vita era legata alla vita stessa di Dio attraverso la fedeltà di Dio
all’Alleanza.
La sete di infinito è inscritta in noi. Abbiamo bisogno di credere che qualcosa di
noi continui dopo la concretezza della vita terrena, dopo la nostra morte, perciò è
facile credere che non finisce tutto con la morte del corpo, che non siamo tutto
qui. Forse è più difficile credere che già la vita presente può essere risorta,
vissuta da figli di Dio: per Cristo e con Cristo, a gloria di Dio Padre.
Santa Teresina di Lisieux ha definito la vita nel mondo come la sappiamo noi “un
istante tra due eternità” e il cardinal Newman ha definito la morte una seconda
nascita. Come quando nasciamo al mondo non sappiamo cosa sarà, così quando
nasciamo al cielo. Di una cosa però possiamo essere certi: “adesso noi vediamo
in modo confuso, come in uno specchio; allora invece vedremo faccia a faccia.
Adesso conosciamo in modo imperfetto, ma allora conosceremo perfettamente,
come anche noi siamo conosciuti. Ora dunque rimangono queste tre cose: la
fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità!” (1 Cor. 13, 1213).
Il Dio che “non è Dio dei morti, ma dei vivi; perché tutti vivono per lui” (Lc. 20,
38), “è fedele: ci confermerà e custodirà […] dirigendo i nostri cuori nell’amore di
Dio e nella pazienza di Cristo” (cfr. 2 Ts 2, 3-5), perciò “questa vita, che noi
viviamo nel corpo, la viviamo nella fede del Figlio di Dio, che ci ha amato e ha
consegnato se stesso per noi. Dunque non rendiamo vana la grazia di Dio” (cfr.
Gal 2, 20-21), cercando di dedicarci liberamente al suo servizio (cfr. Colletta
XXXII Domenica T.O.) nella fede, nella speranza e nella carità, morendo ogni
giorno al nostro egoismo per risorgere alla gratuità dei figli nel Figlio.