farinata degli uberti

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farinata degli uberti
INFERNO CANTO X
FARINATA
DEGLI UBERTI
ITS “TITO ACERBO”
Amos Nattini
Capitolo 1
IL CANTO X IN HD
Filmato 1.1 INFERNO, canto X (archivio Youtube)
Il capolavoro di Dante Alighieri IN ANIMAZIONE 3D!
Inferno, decimo canto: commento e riassunto in prosa.
Farinata e Cavalcanti, «La gente che per li sepolcri giace».
Gustavo Doré
Capitolo 2
INFERNO
CANTO X
Farinata degli Uberti Enrico Guerrini
SEZIONE 1
Inferno canto X
Ora sen va per un secreto calle,
tra ’l muro de la terra e li martìri,
Suo cimitero da questa parte hanno
lo mio maestro, e io dopo le spalle. 3
con Epicuro tutti suoi seguaci,
che l’anima col corpo morta fanno. 15
"O virtù somma, che per li empi giri
mi volvi", cominciai, "com’a te piace,
Però a la dimanda che mi faci
parlami, e sodisfammi a’ miei disiri. 6
quinc’entro satisfatto sarà tosto,
e al disio ancor che tu mi taci". 18
La gente che per li sepolcri giace
potrebbesi veder? già son levati
E io: "Buon duca, non tegno riposto
tutt’i coperchi, e nessun guardia face". 9
a te mio cuor se non per dicer poco,
e tu m’ hai non pur mo a ciò disposto". 21
E quelli a me: "Tutti saran serrati
quando di Iosafàt qui torneranno
"O Tosco che per la città del foco
coi corpi che là sù hanno lasciati. 12
vivo ten vai così parlando onesto,
3
piacciati di restare in questo loco. 24
Com’io al piè de la sua tomba fui,
guardommi un poco, e poi, quasi sdegnoso,
La tua loquela ti fa manifesto
mi dimandò: "Chi fuor li maggior tui?". 42
di quella nobil patrïa natio,
a la qual forse fui troppo molesto". 27
Io ch’era d’ubidir disideroso,
non gliel celai, ma tutto gliel’apersi;
Subitamente questo suono uscìo
ond’ei levò le ciglia un poco in suso; 45
d’una de l’arche; però m’accostai,
temendo, un poco più al duca mio. 30
poi disse: "Fieramente furo avversi
a me e a miei primi e a mia parte,
Ed el mi disse: "Volgiti! Che fai?
sì che per due fïate li dispersi". 48
Vedi là Farinata che s’è dritto:
da la cintola in sù tutto ’l vedrai". 33
"S’ei fur cacciati, ei tornar d’ogne parte",
rispuos’io lui, "l’una e l’altra fïata;
Io avea già il mio viso nel suo fitto;
ma i vostri non appreser ben quell’arte". 51
ed el s’ergea col petto e con la fronte
com’avesse l’inferno a gran dispitto. 36
Allor surse a la vista scoperchiata
un’ombra, lungo questa, infino al mento:
E l’animose man del duca e pronte
credo che s’era in ginocchie levata. 54
mi pinser tra le sepulture a lui,
dicendo: "Le parole tue sien conte". 39
Dintorno mi guardò, come talento
avesse di veder s’altri era meco;
4
e poi che ’l sospecciar fu tutto spento, 57
Ma quell’altro magnanimo, a cui posta
restato m’era, non mutò aspetto,
piangendo disse: "Se per questo cieco
né mosse collo, né piegò sua costa; 75
carcere vai per altezza d’ingegno,
mio figlio ov’è? e perché non è teco?". 60
e sé continüando al primo detto,
"S’elli han quell’arte", disse, "male appresa,
E io a lui: "Da me stesso non vegno:
ciò mi tormenta più che questo letto. 78
colui ch’attende là, per qui mi mena
forse cui Guido vostro ebbe a disdegno". 63
Ma non cinquanta volte fia raccesa
la faccia de la donna che qui regge,
Le sue parole e ’l modo de la pena
che tu saprai quanto quell’arte pesa. 81
m’avean di costui già letto il nome;
però fu la risposta così piena. 66
E se tu mai nel dolce mondo regge,
dimmi: perché quel popolo è sì empio
Di sùbito drizzato gridò: "Come?
incontr’a’ miei in ciascuna sua legge?". 84
dicesti "elli ebbe"? non viv’elli ancora?
non fiere li occhi suoi lo dolce lume?". 69
Ond’io a lui: "Lo strazio e ’l grande scempio
che fece l’Arbia colorata in rosso,
Quando s’accorse d’alcuna dimora
tal orazion fa far nel nostro tempio". 87
ch’io facëa dinanzi a la risposta,
supin ricadde e più non parve fora. 72
Poi ch’ebbe sospirando il capo mosso,
"A ciò non fu’ io sol", disse, "né certo
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sanza cagion con li altri sarei mosso. 90
Però comprender puoi che tutta morta
fia nostra conoscenza da quel punto
Ma fu’ io solo, là dove sofferto
che del futuro fia chiusa la porta". 108
fu per ciascun di tòrre via Fiorenza,
colui che la difesi a viso aperto". 93
Allor, come di mia colpa compunto,
dissi: "Or direte dunque a quel caduto
"Deh, se riposi mai vostra semenza",
che ’l suo nato è co’ vivi ancor congiunto; 111
prega’ io lui, "solvetemi quel nodo
che qui ha ’nviluppata mia sentenza. 96
e s’i’ fui, dianzi, a la risposta muto,
fate i saper che ’l fei perché pensava
El par che voi veggiate, se ben odo,
già ne l’error che m’avete soluto". 114
dinanzi quel che ’l tempo seco adduce,
e nel presente tenete altro modo". 99
E già ’l maestro mio mi richiamava;
per ch’i’ pregai lo spirto più avaccio
"Noi veggiam, come quei c’ ha mala luce,
che mi dicesse chi con lu’ istava. 117
le cose", disse, "che ne son lontano;
cotanto ancor ne splende il sommo duce. 102
Dissemi: "Qui con più di mille giaccio:
qua dentro è ’l secondo Federico
Quando s’appressano o son, tutto è vano
e ’l Cardinale; e de li altri mi taccio". 120
nostro intelletto; e s’altri non ci apporta,
nulla sapem di vostro stato umano. 105
Indi s’ascose; e io inver’ l’antico
poeta volsi i passi, ripensando
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a quel parlar che mi parea nemico. 123
Elli si mosse; e poi, così andando,
mi disse: "Perché se’ tu sì smarrito?".
E io li sodisfeci al suo dimando. 126
"La mente tua conservi quel ch’udito
hai contra te", mi comandò quel saggio;
"e ora attendi qui", e drizzò ’l dito: 129
"quando sarai dinanzi al dolce raggio
di quella il cui bell’occhio tutto vede,
da lei saprai di tua vita il vïaggio". 132
Appresso mosse a man sinistra il piede:
lasciammo il muro e gimmo inver’ lo mezzo
per un sentier ch’a una valle fiede, 135
che ’nfin là sù facea spiacer suo lezzo.
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SEZIONE 2
Sintesi del canto X
Nel canto X della Divina Commedia Dante e Virgilio si
aggirano tra sepolcri infuocati della città di Dite, dove si
trovano le tombe degli eretici. Dante domanda alla sua guida
se è possibile vedere qualcuno dei peccatori, Virgilio, dopo
aver spiegato che le anime dei dannati potranno tornare
definitivamente con i loro corpi nei luoghi della loro pena
soltanto dopo il giudizio universale, e che solo in quel
momento le arche saranno serrate per sempre, promette a
Dante che il suo desiderio sarà presto soddisfatto e anche
l’ altro che ancora non gli ha svelato, ovvero di sapere se lì vi
è l’anima di Farinata degli Uberti.
emerge dal sepolcro infuocato e chiede a Dante notizie di
suo figlio Guido, grande amico di Dante. La risposta del
poeta fa credere a Cavalcati che il figlio è morto e lui afflitto
si lascia cadere di nuovo nella tomba. Così Farinata riprende
subito la parola e prima di congedarsi profetizza a Dante un
oscuro futuro.
All’improvviso una di questa anime si rivolge a Dante, di cui
riconosce l’accento fiorentino, invitandolo a parlare con lui.
Virgilio capisce subito che si tratta di Farinata degli Uberti,
capo dei ghibellini fiorentini, e invita Dante ad andare verso
di lui. Farinata si erge nella tomba dalla cinta in sù, Dante
così riconosce subito il suo rivale politico e nasce un primo
vivace scambio di battute, interrotto da un terzo
interlocutore: Cavalcante de’ Cavalcanti, che per un attimo
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SEZIONE 3
Riflessioni
Nel decimo canto dell’inferno, Dante, che aveva già
manifestato a Virgilio il suo desiderio di incontrare Farinata,
si trova finalmente difronte il suo fiero avversario politico.
Appare sollevato in una delle tombe mentre si erge con il
petto e con la fronte, mostrando tutto il suo disprezzo per
l’inferno. La descrizione di Farinata esprime una grandezza
tanto più evidente quanto meno misurabile. Quella del
ghibellino è un’immagine statuaria che assume i connotati
della persona che a “viso aperto” difende la propria libertà di
azione anche all’inferno. Farinata è quindi dipinto quasi
come un precursore dell’umanesimo, pronto a ergersi titanico
sul podio delle proprie vittorie, quanto a chinarsi dinanzi al
peso delle proprie sconfitte. Dante difronte alla personalità di
questo gigante sembra quasi rimpicciolirsi, come travolto da
questa sua forte personalità di chiaroscuri. Farinata, erge
davanti al poeta, sprezzante delle fiamme che lo lambiscono,
sembra squadrare l’inferno con sdegno e superiorità,
nell’atteggiamento di chi ritiene di trovarsi in una situazione
troppo volgare per confacersi a lui, e orgogliosamente si
mostra più nobile elevandosi, rispetto alla massa dei dannati.
Dalle parole e dal tono usato durante il dialogo, emerge la
rivalità politica del ghibellino Farinata e del guelfo Dante, ma
anche Nel decimo canto dell’inferno, Dante, che aveva già
manifestato a Virgilio il suo desideri di incontrare Farinata, si
trova finalmente difronte il suo fiero avversario politico. Appare sollevato in una delle tombe mentre si erge con il petto e
con la fronte, mostrando tutto il suo disprezzo per l’inferno.
La descrizione di Farinata esprime una grandezza tanto più
evidente quanto meno misurabile. Quella del ghibellino è
un’immagine statuaria che assume i connotati della persona
che a “viso aperto” difende la propria libertà di azione anche
all’inferno. Farinata è quindi dipinto quasi come un precursore dell’umanesimo, pronto a ergersi titanico sul podio delle
proprie vittorie, quanto a chinarsi dinanzi al peso delle proprie sconfitte. Dante difronte alla personalità di questo gigante sembra quasi rimpicciolirsi, come travolto da questa sua
forte personalità di chiaroscuri. Farinata, erge davanti al poeta, sprezzante delle fiamme che lo lambiscono, sembra squadrare l’inferno con sdegno e superiorità, nell’atteggiamento
di chi ritiene di trovarsi in una situazione troppo volgare per
9
confacersi a lui, e orgogliosamente si mostra più nobile elevandosi, rispetto alla massa dei dannati. Dalle parole e dal tono usato durante il dialogo, emerge la rivalità politica del ghibellino Farinata e del guelfo Dante, ma anche il loro amore
per la città di Firenze. Durante il dialogo viene a galla tutto
l’orgoglio del potente ghibellino, che nonostante sia all’inferno non manca di rispondere a Dante con tono pronto e fiero.
Tra i due giganti vi è grande stima e rispetto nonostante le
differenti idee politiche. Il duello verbale si conclude con
un’ultima sferzata di Farinata, che lascia Dante nell’angoscia
perché gli predice che anche lui avrebbe subito l’esilio.
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Capitolo 3
VITA DI
FARINATA
! Farinata!degli!Uberti!(Andrea!!
del!Castagno!
SEZIONE 1
"O Tosco che per la città del foco
vivo ten vai così parlando onesto,
piacciati di restare in questo loco.
❖ La tua loquela ti fa manifesto
di quella nobil patria natio
a la qual forse fui troppo molesto".
❖ Subitamente questo suono uscìo
d'una de l'arche; però m'accostai,
temendo, un poco più al duca mio.
❖ Ed el mi disse: "Volgiti! Che fai?
Vedi là Farinata che s'è dritto:
da la cintola in sù tutto 'l vedrai".
❖ Io avea già il mio viso nel suo fitto;
ed el s'ergea col petto e con la fronte
com'avesse l'inferno a gran dispitto.
❖ E l'animose man del duca e pronte
mi pinser tra le sepulture a lui,
dicendo: "Le parole tue sien conte".
❖
❖
(Inferno, canto X)
Vita di Farinata
Manente degli Uberti, meglio noto come Farinata degli
Uberti per via dei suoi capelli biondo platino (Firenze, 1212 circa – Firenze, 11 novembre 1264), fu un nobile ghibellino,
ovvero sostenitore dell'impero, appartenente a una tra le
famiglie fiorentine più antiche e importanti, citato da Dante nel
VI canto dell'Inferno tra i fiorentini ch'a ben far puoser
li 'ngegni e incontrato successivamente nel canto X tra gli
eretici, in particolare tra gli epicurei che "l'anima col corpo morta fanno".
Farinata, figlio di Jacopo degli Uberti, visse a Firenze all'inizio
del XIII secolo, una delle epoche più difficili per la città
toscana, tormentata da discordie interne tra guelfi, i sostenitori
papali, e ghibellini, di cui Farinata faceva parte. Su questo
sfondo di divisioni politiche, vi era lo scontro molto feroce per il
governo della città fiorentina, e che vide alternarsi le due fazioni
al potere con reciproche violenze. Dal 1239 Farinata è a capo
della consorteria di parte ghibellina, e svolge un ruolo
importantissimo nella cacciata dei guelfi avvenuta pochi anni
12
dopo, nel 1248 sotto il regime del vicario imperiale Federico
d'Antiochia, figlio dell'imperatore Federico II.
difenderebbe. Veggendo ciò il conte Giordano, e l'uomo, e
dell'autoritade ch'era messer Farinata, e il suo gran seguito, e
come parte ghibellina se ne potea partire, e avere discordia, sì
si rimase, e intesono ad altro; sicché per uno buono uomo
cittadino scampò la nostra città di Firenze da tanta furia,
distruggimento, mina. Ma poi il detto popolo di Firenze ne fu
ingrato, male conoscente contra il detto messer Farinata, e
sua progenia e lignaggio, come innanzi faremo menzione. »
Gli Uberti, come parte dell'élite ghibellina, furono poi esiliati
quando al potere tornarono gli esponenti delle famiglie di
appartenenza guelfa (1251). La famiglia degli Uberti trovò
scampo a Siena nel 1258.
Farinata poi contribuì da protagonista alla vittoria ghibellina
di Montaperti (4 settembre 1260). Nella dieta di Empoli che
ne seguì, Farinata dimostrò nobilmente il suo grande amor di
patria, insorgendo a viso aperto contro la proposta dei
deputati di Pisa e di Siena, che avrebbero voluto radere al
suolo la città di Firenze.
(Giovanni Villani - Nuova Cronica, Libro VI, Capitolo
LXXXI)
Morì nel 1264 e fu sepolto nella Cattedrale di Santa
Reparata, dove successivamente fu costruito il Duomo di
Firenze.
« E nel detto parlamento tutte le città vicine, e' conti Guidi, e'
conti Alberti, e que' da Santafiore, e gli Ubaldini, e tutti i
baroni d'intorno proposono e furono in concordia per lo
migliore di parte ghibellina, di disfare al tutto la città di
Firenze, e di recarla a borgora, acciocché mai di suo stato
non fosse rinomo, fama, né podere. Alla quale proposta si
levò e contradisse il valente e savio cavaliere messer Farinata
degli liberti e nella sua diceria propose gli antichi due grossi
proverbi che dicono: com' sino sape, così minuzza rape; e
vassi capra zoppa, se 'I lupo non la 'ntoppa: e questi due
proverbi rimesti in uno, dicendo: com'asino sape, si va capra
zoppa; così minuzza rape, se 'I lupo non la 'ntoppa; recando
poi con savie parole esempio e comparazioni sopra il grosso
proverbio, com'era follia di ciò parlare, e come gran pericolo
e danno ne potea avvenire, e s'altri ch'egli non fosse, mentre
ch'egli avesse vita in corpo, colla spada in mano la
F o n t e : W i k i p e d i a
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Capitolo 4
L’ERETICO
© 2016 Fabrizio Di Baldo
SEZIONE 1
FARINATA ERETICO
Anche dopo morti gli Uberti dovettero subire un'ulteriore
vendetta da parte della fazione rivale dei guelfi: infatti nel 1283,
19 anni dopo la sua morte, i corpi di Farinata e sua moglie
Adaleta subirono a Firenze un processo pubblico per l'accusa
(postuma) di eresia. Per l'occasione i loro resti mortali, sepolti
all'epoca nella chiesa fiorentina di Santa Reparata, vennero
riesumati per la celebrazione del processo, conclusosi poi con la
condanna, da parte dell'inquisitore Salomone da Lucca. Quindi
tutti i beni lasciati in eredità da Farinata vennero confiscati agli
eredi.
❖
Stemma degli Uberti
La fondatezza dell'accusa d'eresia non è certa ancor oggi:
l'accusa mossa alla fazione ghibellina di Firenze, per la quale
vennero considerati eretici Farinata e sua moglie, in realtà
riguardava la contestazione della supremazia religiosa
della Chiesa. Ma la fazione cui Farinata apparteneva ne
contestava solamente l'ingerenza politica, reclamando una
suddivisione tra potere spirituale e potere temporale.
La confusione venne probabilmente aumentata dalla
propaganda della fazione guelfa di Firenze, pronta a sfruttare a
16
proprio vantaggio l'accusa d'eresia. Tuttavia alcuni studiosi
sostengono che Farinata fosse vicino all'eresia catara.
dispitto"), tanto che la sua guida Virgilio lo esorta a non
usare con lui parole comuni ma nobili ("conte").
Gli Uberti, comunque, vennero esclusi da qualsiasi amnistia e
l'odio dei guelfi fiorentini si focalizzò su di loro.
Fonte: Wichipedia
Infatti, nel canto X dell'Inferno, Farinata è collocato tra gli
eretici epicurei che l'anima col corpo morta fanno (v.15),
ovvero non credono nell'immortalità dell'anima. Tra lui e
Dante, avversario politico, si svolge un colloquio al cui centro
ricadono i temi della lotta politica e della famiglia
(in particolare quello delle colpe dei padri che ricadono sui
figli: un tema caro al poeta, che avrebbe potuto far revocare
l'esilio ai figli maschi se avesse voluto far ritorno, umiliandosi
e chiedendo perdono a Firenze). Dopo un alternarsi di
battute cariche di tensione, Farinata pronuncia una profezia
sull'esilio di Dante in cui è facile leggere l'amarezza del
poeta, già esule da qualche anno:
« M a n o n c i n q u a n t a v o l t e f i a r a c c e s a
la faccia della donna che qui reg ge, (la Luna)
che tu saprai quanto quell'arte pesa. »
(Dante Alighieri - Divina Commedia, Inferno, Canto X, versi
79-81)
A Farinata degli Uberti, personaggio importante del suo
tempo, Dante rese un grande omaggio, facendone uno dei
p r o t a g o n i s t i i n d i m e n t i c a b i l i d e l s u o I n f e r n o e
tratteggiandone una figura imponente e fiera, quasi omerica
nel contrastare le avversità ("com'avesse l'inferno a gran
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Capitolo 5
INTERVISTA
IMPOSSIBILE A
FARINATA
DEGLI UBERTI
In diretta dal Tito Acerbo di Pescara intervistiamo un fiero e orgoglioso guerriero politico del XIII secolo… Farinata degli Uberti !
Signor Farinata voi eretici non avete la possibilità di vedere il presente, ma il futuro sì. Quindi nonostante i secoli che ci separano conoscerà bene la realtà italiana odierna. Siamo curiosi di sapere cosa ne pensa.
Beh ragazzi l’Italia di oggi è fantastica! Non più lotte tra comuni o eserciti invasori, ma dal 1861 si è finalmente formato uno stato unito e libero.
Quella che voi chiamate Costituzione e che garantisce i diritti di tutti i cittadini ai miei tempi non era immaginabile neppure dai filosofi più utopisti…
certo ne avete fatta di strada! C’è di che essere soddisfatti.
Anche della fine del potere temporale della Chiesa, supponiamo
Ci potete scommettere! E’ una delle cose che mi piace di più dei vostri tempi! Come il mio fiero avversario politico, Dante Alighieri, anch’io pensavo che la Chiesa dovesse dedicarsi solo alle cose spirituali e non pensare ad intralciare noi ghibellini.
E del nostro Papa cosa pensa?
Mi piace questo Francesco! Come il santo di Assisi, molto venerato ai mie tempi, soprattutto dalla gente comune, lontana dagli intrighi dei palazzi, non è attaccato al poter terreno, ma bacchetta gli stessi prelati che dimenticano che il modello della chiesa è Gesù, vissuto in povertà
e pronto ad aiutare i più deboli.
Ma lei non è un eretico, ateo e miscredente?
19
Ai miei tempi, cari ragazzi, ci voleva poco per essere accusati di eresia, soprattutto da parte di qualche nemico politico privo di scrupoli, né tanto mento
esisteva la tolleranza dei vostri giorni. Tenetevela stretta è un bene prezioso.
Dante stesso, però, non ha esitato a metterla all’inferno tra gli eretici…
E’ vero, ma mi ha restituito, fermandosi a parlare con me ed evidenziando le mie qualità di cittadino che difende il proprio comune, quella dignità che i guelfi fiorentini mi avevano tolto, disseppellendo addirittura le mie spoglie e quelle di mia moglie per processarci con l’accusa di eresia.
Lei che è stato un politico appassionato, cosa pensa dei politici dei nostri giorni?
La democrazia è una cosa meravigliosa, come vi ho già detto. Ma quando da quassù butto di tanto in tanto lo sguardo a certe sedute del vostro Parlamento, mi sembra di rivedere la faziosità di guelfi e ghibellini, pronti a scontrarsi su tutto pur di far prevalere i loro interessi e quelli della loro parte, dimentichi del bene comune.
Stiamo per congedarci. Si sente di dare un consiglio a noi giovani?
Buttatevi nella mischia, agite, partecipate, non rimanete a guardare. Come il mi concittadino Dante disprezzo sopra ogni cosa gli ignavi, che vivono”
sanza ‘nfamia e sanza lodo” , che non hanno il coraggio di fare le loro scelte o peggio sono indifferenti a tutto. Ci vuole passione nella vita e il desiderio
di fare la propria parte per migliorare la società.
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Capitolo 6
IL CANTO X
NELLA
CRITICA
LETTERARIA
Gustavo Doré
SEZIONE 1
Dall’ Enciclopedia dantesca - Treccani
sull'Inferno che sembra fargli da piedistallo, per rendere poeticamente più grande la sua figura. L'analisi, tuttora fondamentale nelle sue particolari determinazioni, si sviluppa su questa
prospettiva, ferma il carattere, attraverso la monumentale plasticità, della magnanimità di F., invitto nel vigore delle sue
passioni, contrapposto, per l'umana e ferma consapevolezza
del suo agire, alla ribelle e furente animalità di Capaneo. Tale consapevolezza eroica si rivela e redime insieme, umanamente, nell'autorappresentazione della difesa a viso aperto
della patria, e nell'amore per i familiari. Dramma dunque politico e familiare, nel quale D. appare degno antagonista di F.,
non però il D. simbolico, che qui è scomparso, giacché egli "
non è qui l'anima umana peregrina per i tre stadi della vita,
ma è un Dante di carne e ossa, il cittadino di Firenze, che ammira il gran cittadino della passata generazione, e rimane come annichilito innanzi a tanta straordinaria grandezza "…
continua a leggere visitando il sito
www.treccani.it/enciclopedia/farinata
Primo il Foscolo rilevò l'importanza artistica del canto, ma in
realtà la sua scoperta, come momento della più alta poesia di
D., è dovuta al De Sanctis. Muovendo dall'idea, in lui fondamentale, dell'opposizione in D. di " due mondi irreconciliabili, un mondo teocratico-feudale, che ha per dogma l'annullamento della personalità, e il mondo del comune libero, dove
la personalità è tutto ", e dall'altra e correlativa che la poesia
moderna, di cui D. è il grande iniziatore, nasce dalla rappresentazione dell'uomo nella libertà delle sue passioni e della
sua coscienza, egli vide in F. l'uomo sorgere " per la prima volta nel moderno orizzonte poetico ". La contrapposizione dei
due mondi, quello teocratico e intenzionale, religioso e penitenziale, e l'altro umano e moderno si realizza pienamente
nell'episodio dove " l'Inferno ci sta non per sé stesso, nel suo
significato diretto e morale " e " il peccato è menzionato unicamente a dare spiegazione, perché in questo cerchio si trovino Farinata e Cavalcante ", e dove " ciò che ti colpisce non è
certo Farinata peccatore, Farinata in quanto eretico ", ma F.
che si leva come una statua solitaria sopra il suo martirio e
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Capitolo 7
TROPPO DANTE A
SCUOLA?
È proprio il caso di studiare la Divina Commedia per
ben tre anni scolastici?
Nella trasmissione “Lo stato dell’arte” il filosofo Maurizio
Ferraris discute con Giulio Ferroni, storico della
letteratura italiana, e Claudio Giunta, docente di
letteratura italiana, sullo studio di Dante e della Divina
Commedia a scuola.
Video
DISEGNO
Disegno realizzato da: Artur Shvets
24

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