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VENTO DI PRIMAVERA
Vento di primavera (La rafle) è un film francese del 2010, diretto da Roselyne Bosch
e prodotto da Alain Goldman. Il film racconta la retata del Velodromo d'Inverno
(Parigi,15 luglio 1942), nella quale ci fu un arresto di massa degli ebrei, effettuato
dalla polizia francese, complice dei nazisti. Il titolo italiano si riferisce al nome
dell'operazione della retata.
A Parigi, nell'estate del 1942, la Francia è sotto l'occupazione tedesca e gli ebrei
sono tenuti ad indossare la stella gialla. Nel quartiere della Butte Montmartre, due
famiglie ebree vivono come gli altri abitanti del quartiere, fatta eccezione per gli
ebrei che temono l'arrivo della Gestapo. A Parigi, i pareri sono divisi, alcuni vogliono
proteggere gli ebrei nascondendoli, mentre altri come la fornaia, preferiscono
insultarli.
Nella notte fra il 15 e il 16 luglio, il loro destino subisce un repentino cambiamento in
seguito ad un accordo tra i nazisti e le autorità francesi per l'arresto e la deportazione
di 15.000 ebrei, accordo che porta al rastrellamento del Velodromo d'Inverno
(Vélodrome d'Hiver). Il quartiere della Butte Montmartre non sfugge a questa sorte,
anzi la famiglia di Joseph Weissmann, un bambino ebreo di dieci anni, ed i loro vicini
vengono arrestati dopo aver provato a fuggire in diversi modi.
A seguito di questo rastrellamento vengono portati nel Vél d'Hiv, dove Joseph e
Nono, il fratello minore del suo migliore amico, incontrano un'infermiera, Annette
Monod, che farà tutto il possibile per aiutare loro e gli altri bambini ebrei. Nel
velodromo le condizioni sono precarie e malsane: non hanno acqua, sono ammassati
e costretti a fare i loro bisogni dove c'è spazio. Il cibo scarso deve essere diviso in
modo che ognuno di loro abbia qualcosa da mangiare. Una mattina, mentre i detenuti
sono assetati, i pompieri danno loro da bere. Essi accettano inoltre di "passare" le
lettere a loro consegnate. Il colonnello Pierret dei vigili del fuoco di Parigi, usando la
sua influenza (è il più alto in grado tra tutti i presenti nel Velodrome d'Hiver,
Gendarmeria e vigili del fuoco) ne approfitta per prendere il comando del Vel d'Hiv
mettendo a tacere la rabbia dei poliziotti con l'atteggiamento generoso ed eroico dei
suoi uomini e di sé stesso.
Dopo due giorni, i prigionieri vengono portati in un campo di transito a Beaune-laRolande nel dipartimento della Loira. Affamati e deboli, gli ebrei affrontano
condizioni durissime, Annette dimostra un grande coraggio perché cerca di
denunciare le condizioni degli ebrei (segue per esempio la dieta dei prigionieri e dopo
qualche giorno si presenta debole e stanca dal prefetto a cui aveva più volte reso nota
la situazione attraverso le sue lettere senza risposta riuscì ad avere per i ragazzi più
piccoli dei dolcetti). Pochi giorni dopo, i genitori ed i bambini più grandi vengono
deportati nel campo di sterminio di Auschwitz, solo i più giovani rimangono con la
speranza di un loro ritorno che non si verificherà. Annette deve raddoppiare gli sforzi,
nonostante la fatica, per prendersi cura di loro.
Mettendo in atto gli ultimi consigli di sua madre, Joseph ed un suo compagno si
danno alla fuga grazie all'aiuto dei loro compagni. Joseph non può portare con sé il
suo migliore amico perché è malato: ha una brutta ernia che gli impedisce di
camminare. Tranne lui e un compagno tutti i bambini vengono caricati sul treno che li
porterà nel campo di sterminio da dove non faranno mai più ritorno. Vana l'ultima
corsa della febbricitante Annette per fermare il convoglio, dopo che il medico
gaullista che la sta curando le ha rivelato la verità su quei trasferimenti. Nel 1945, alla
fine della guerra, Joseph ritrova Annette all'Hotel Lutetia, un albergo parigino dove
vengono accolti i sopravvissuti dei campi di concentramento. Lì Annette incontra
anche il piccolo Nono, fuggito dal treno e salvato da una coppia di anziani.
Regia
La regista Rose Bosch ha deciso di creare un film sulla retata del Vel' d'Hiver dato
che la famiglia del marito, di origine ebraica, ha vissuto a Montmatre vicino alla
famiglia di Weisman (il bambino protagonista del fim). Inoltre, suo padre fu detenuto
in uno dei campi di internamento di Francisco Franco. La fase di documentazione che
ha permesso di portare sullo schermo la retata del Vélodrome d'Hiver ha occupato un
lungo periodo di intenso lavoro, in cui la Bosch ha visionato materiale video,
trasmissioni radiofoniche e libri e archivi. La ricerca è durata circa tre anni, tra le 7 e
le 9 ore al giorno, cinque giorni a settimana.
LA ROSA BIANCA
La Rosa Bianca - Sophie Scholl (Sophie Scholl - Die letzten Tage) è un film del 2005 diretto da
Marc Rothemund. Narra, in maniera aderente alla realtà dei fatti accaduti, la cattura, la breve
prigionia, il processo e la condanna alla pena capitale subìti da Sophie Scholl e da suo fratello
maggiore, oltre che da un loro amico, accusati di cospirazione contro il regime del Führer perché
facenti parte del gruppo clandestino di opposizione denominato Rosa Bianca.
Sophie Scholl è una studentessa universitaria che vive con il fratello maggiore, Hans Scholl, in un
appartamento a Monaco di Baviera durante la seconda guerra mondiale. La disfatta di Stalingrado
ha dato un brusco scossone al consenso nazista, e sono in molti ora tra la popolazione tedesca a
desiderare la resa.
Sophie aderisce all'associazione studentesca La Rosa Bianca, per la quale nottetempo scrive sui
muri frasi contro il nazismo e la guerra, insieme al fratello e agli altri membri dell'organizzazione.
Nel tentativo di distribuire volantini all'università per diffondere le idee del gruppo, viene notata e
condotta in una caserma della Gestapo assieme al fratello, dal quale viene peraltro subito separata.
In caserma Sophie viene interrogata dall'investigatore Robert Mohr che, malgrado le resistenze
della ragazza, riesce a farle confessare - anche grazie ad un'indagine nel suo appartamento - la sua
appartenenza alla "Rosa Bianca", ma non i nomi degli altri membri dell'organizzazione clandestina.
Un altro ragazzo della Rosa Bianca viene però trovato e anche lui interrogato.
Poco dopo la firma della confessione, la giovane viene condotta in tribunale, presieduto da Roland
Freisler, noto giurista del Terzo Reich, che prima era un commissario sovietico e adesso deve
riabilitarsi.
Il processo si rivela una farsa. Condannati a morte, i tre vengono giustiziati con la ghigliottina lo
stesso giorno, dopo un ultimo saluto ai genitori, sconvolti ma fieri dell'operato dei figli.
Operativo a Monaco di Baviera, il gruppo pubblicò 6 opuscoli, che chiamavano i tedeschi a
ingaggiare la resistenza passiva contro il regime nazista. Un settimo opuscolo, che potrebbe essere
stato preparato, non venne mai distribuito perché il gruppo cadde nelle mani della Gestapo. Il
gruppo era composto da cinque studenti: i fratelli Hans e Sophie Scholl, Christoph Probst,
Alexander Schmorell e Willi Graf, tutti poco più che ventenni. A essi si unì un professore, Kurt
Huber, che stese gli ultimi due opuscoli.
Sebbene i membri della Rosa Bianca fossero tutti studenti all'Università Ludwig Maximilian di
Monaco, avevano anche partecipato alla guerra sul fronte francese e su quello russo, dove furono
testimoni delle atrocità commesse contro gli ebrei e sentirono che il rovesciamento delle sorti che la
Wehrmacht soffrì a Stalingrado avrebbe alla fine portato alla sconfitta della Germania. Essi
rigettavano la violenza della Germania nazista di Adolf Hitler e credevano in un'Europa federale
che aderisse ai principi cristiani di tolleranza e giustizia. Citando estensivamente la Bibbia,
Sant'Agostino, Rilke, Laozi, Aristotele e Novalis, così come Goethe e Schiller, si appellarono a
quella che consideravano l'intellighenzia tedesca, credendo che si sarebbe intrinsecamente opposta
al Nazismo. La loro ideologia si era formata seguendo le tesi del Quickborn (Sorgente di vita), un
movimento cattolico guidato dal sacerdote d'origine italiana Romano Guardini [1] ed era stata
influenzata oltre che dal parroco di Söflingen (un quartiere di Ulm in cui era presente una forte
resistenza cattolica al nazismo) Franz Weiss anche da Carl Muth e Theodor Haecker, due
intellettuali cattolici anti-nazisti, il cui pensiero influenzerà molto le scelte di resistenza pacifica del
gruppo.[2] Questa, secondo i loro piani, doveva attuarsi attraverso la distribuzione di volantini in
luoghi pubblici, il cui contenuto avrebbe dovuto risvegliare la coscienza del popolo tedesco.
« Fate resistenza passiva, resistenza ovunque vi troviate; impedite che questa atea macchina da
guerra continui a funzionare, prima che le città diventino un cumulo di macerie... »
(dal primo volantino della "Rosa Bianca".)
In un primo momento, gli opuscoli vennero spediti in massa verso differenti città della Baviera e
dell'Austria, poiché i membri ritenevano che la Germania meridionale fosse più ricettiva nei
confronti del loro messaggio antimilitarista. In seguito a un lungo periodo di inattività, dopo il
luglio 1942, la Rosa Bianca prese una posizione più vigorosa contro Hitler nel febbraio 1943,
distribuendo gli ultimi due opuscoli e dipingendo slogan anti-hitleriani sui muri di Monaco, e
addirittura sui cancelli dell'università. Lo spostamento delle loro posizioni risulta ovvio dalla lettura
dell'intestazione dei loro nuovi opuscoli, sui quali si leggeva "Il movimento di resistenza in
Germania".
Il sesto opuscolo venne distribuito nell'università il 18 febbraio 1943, in coincidenza con la fine
delle lezioni. Quasi tutti i volantini vennero distribuiti in luoghi frequentati, Sophie Scholl prese la
coraggiosa decisione di salire in cima alle scale dell'atrio e lanciare da lì gli ultimi volantini sugli
studenti sottostanti. Venne individuata da un bidello nazista che la bloccò e la consegnò assieme al
fratello alla polizia di regime. Gli altri membri attivi vennero subito fermati e il gruppo, assieme a
tutti quelli a loro associati, venne sottoposto a interrogatorio da parte della Gestapo. Gli Scholl si
assunsero immediatamente la piena responsabilità degli scritti sperando, invano, di proteggere i
rimanenti membri del circolo; i funzionari della Gestapo che li interrogarono rimasero stupiti per il
coraggio e la determinazione dei due giovani (la Gestapo torturò Sophie Scholl per quattro giorni,
dal 18 al 21 febbraio 1943[3]).
I fratelli Scholl e Probst furono i primi ad affrontare il processo, il 22 febbraio 1943 presso il
Volksgerichtshof («tribunale del Popolo»), un tribunale politico speciale presieduto da Roland
Freisler. Nel corso di un breve dibattimento, durato cinque ore, furono reputati colpevoli e
ghigliottinati il giorno stesso. Le guardie del carcere e lo stesso boia dissero che mai avevano visto
morire tanto coraggiosamente dei giovani, in particolare la ragazza.Qualche giornale di Monaco
portò in breve la notizia. Le motivazioni della sentenza furono le seguenti:
« Gli accusati hanno, in tempo di guerra e per mezzo di volantini, incitato al sabotaggio dello sforzo
bellico e degli armamenti, e al rovesciamento dello stile di vita nazionalsocialista del nostro popolo,
hanno propagandato idee disfattiste e hanno diffamato il Führer in modo assai volgare, prestando
così aiuto al nemico del Reich e indebolendo la sicurezza armata della nazione. Per questi motivi
essi devono essere puniti con la morte.[4] »
Dalla testimonianza dei secondini del carcere di Monaco:
« Si sono comportati con coraggio fantastico. Tutto il carcere ne fu impressionato. Perciò ci siamo
accollati il rischio di riunire i tre condannati un momento prima dell'esecuzione capitale. Volevamo
che potessero fumare ancora una sigaretta assieme. Non sapevo che potesse essere così facile
morire, disse Christoph. E poi: Fra pochi minuti ci rivedremo nell'eternità. Poi vennero condotti al
supplizio. La prima fu la ragazza. Andò senza battere ciglio. Noi tutti non riuscivamo a credere che
ciò fosse possibile. Il boia disse di non aver mai veduto nessuno morire così.[5] »
Gli altri membri chiave del gruppo, processati il 19 aprile 1943, furono anch'essi trovati colpevoli e
decapitati nei mesi successivi. Amici e colleghi della Rosa Bianca, che aiutarono nella preparazione
e distribuzione degli opuscoli e raccolsero fondi per la vedova e il giovane figlio di Probst (Probst
aveva tre figli, di cui uno appena nato), vennero condannati al carcere con una pena oscillante tra i
sei mesi e i dieci anni. Nel complesso a Monaco e Amburgo furono condannati a morte quindici
appartenenti al gruppo e trentotto alla carcerazione. Questi ultimi alla fine della guerra furono
liberati dalle truppe americane. Durante il nazismo il Volksgerichtshof da solo condannò a morte
cinquemilatrecento persone.[3]