affidamento condiviso

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affidamento condiviso
a cura della redazione di Lex24&Repertorio24
AFFIDAMENTO CONDIVISO
Aggiornamento: novembre 2007
Selezione della documentazione tratta dalla banca dati
SOMMARIO
Legge
pagina
Codice civile artt. 155, 155 bis
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Messaggio INPS 02.05.2006, n. 12791
Assegno per il nucleo familiare nel caso di affido condiviso. Legge 8 febbraio
2006, n. 54
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Prassi
Giurisprudenza
Corte Cassazione sez. I, civ., 03.04.2007, n. 8362
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Tribunale di Bologna sez. I, civ., 28.01.2007, n. 182
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Rassegna
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Commenti
Famiglia e Minori n. 7, 01.07.2007 pg. 70
Una scelta di buon senso che non intacca l'esercizio della potestà
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Guida al Diritto n. 10, 10.03.2007 pg. 10
Affido condiviso: un anno di vita tra difficoltà e scarsa conoscenza
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Ventiquattrore Avvocato n. 7/8, 10.07.2006 pg. 8 - Cerrai Cristina
Conflittualità genitoriale e affidamento dei figli tra vecchia e nuova disciplina:
l’affidamento condiviso
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Rassegna
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Quesiti dell’Esperto Risponde
L'Esperto Risponde n. 78, 08.10.2007 – Giuseppe Merlino
La detrazione per i figli al genitore affidatario
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L'Esperto Risponde n. 26, 02.04.2007 – Antonio Tangorra
L'affidamento congiunto non riguarda i maggiorenni
42
L'Esperto Risponde n. 49, 26.06.2006 – Gragnani Umberto
Con la nuova convivenza si perde l'ex casa coniugale
42
Libri di “Guida al Diritto”
L’affidamento condiviso dei figli – Marina Marino
Poteri del Giudice, ascolto del minore e indagini sugli aspetti economici,
capitolo 4
45
Codice Civile “I Commentati” – Art. 155
64
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LEGGE
Codice Civile [approvato con R.D. 16.03.1942, n. 262]
Libro primo. Delle persone e della famiglia - Titolo sesto. Del matrimonio - Capo quinto. Dello scioglimento
del matrimonio e della separazione dei coniugi
Articolo 155 - Provvedimenti riguardo ai figli
Anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto
equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di
conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.
Per realizzare la finalità indicata dal primo comma, il giudice che pronuncia la separazione personale dei
coniugi adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di
essa. Valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure
stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza presso
ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al
mantenimento, alla cura, all'istruzione e all'educazione dei figli. Prende atto, se non contrari all'interesse dei
figli, degli accordi intervenuti tra i genitori. Adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole.
La potestà genitoriale é esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative
all'istruzione, all'educazione e alla salute sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità,
dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione é rimessa al giudice.
Limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, il giudice può stabilire che i genitori
esercitino la potestà separatamente.
Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei
figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un
assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando:
1)
2)
3)
4)
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le attuali esigenze del figlio;
il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori;
i tempi di permanenza presso ciascun genitore;
le risorse economiche di entrambi i genitori;
la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.
L'assegno é automaticamente adeguato agli indici ISTAT in difetto di altro parametro indicato dalle parti o
dal giudice.
Ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate, il
giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione,
anche se intestati a soggetti diversi. (1)
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(1) Il presente articolo prima sostituito dall'art. 36 L. 19.05.1975, n. 151, è stato, poi, così sostituito dall'art. 1 L.
08.02.2006, n. 54, con decorrenza dal 16.03.2006. Si riporta di seguito il testo previgente:
" Il giudice che pronunzia la separazione dichiara a quale dei coniugi i figli sono affidati e adotta ogni altro
provvedimento relativo alla prole, con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di essa.
In particolare il giudice stabilisce la misura e il modo con cui l'altro coniuge deve contribuire al mantenimento,
all'istruzione e all'educazione dei figli, nonché le modalità di esercizio dei suoi diritti nei rapporti con essi. Il coniuge cui
sono affidati i figli, salva diversa disposizione del giudice, ha l'esercizio esclusivo della potestà su di essi; egli deve
attenersi alle condizioni determinate dal giudice. Salvo che sia diversamente stabilito, le decisioni di maggiore interesse
per i figli sono adottate da entrambi i coniugi. Il coniuge cui i figli non siano affidati ha il diritto e il dovere di vigilare sulla
loro istruzione ed educazione e può ricorrere al giudice quando ritenga che siano state assunte decisioni pregiudizievoli
al loro interesse.
L'abitazione nella casa familiare spetta di preferenza, e ove sia possibile, al coniuge cui vengono affidati i figli.
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Il giudice dà inoltre disposizioni circa l'amministrazione dei beni dei figli e, nell'ipotesi che l'esercizio della potestà sia
affidato ad entrambi i genitori, il concorso degli stessi al godimento dell'usufrutto legale.
In ogni caso il giudice può per gravi motivi ordinare che la prole sia collocata presso una terza persona o, nella
impossibilità, in un istituto di educazione.
Nell'emanare i provvedimenti relativi all'affidamento dei figli e al contributo al loro mantenimento, il giudice deve tener
conto dell'accordo fra le parti: i provvedimenti possono essere diversi rispetto alle domande delle parti o al loro accordo,
ed emessi dopo l'assunzione di mezzi di prova dedotti dalle parti o disposti d'ufficio dal giudice.
I coniugi hanno diritto di chiedere in ogni tempo la revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli,
l'attribuzione dell'esercizio della potestà su di essi e le disposizioni relative alla misura e alle modalità del contributo. ".
Articolo 155 Bis - Affidamento a un solo genitore e opposizione all'affidamento condiviso
Il giudice può disporre l'affidamento dei figli ad uno solo dei genitori qualora ritenga con provvedimento
motivato che l'affidamento all'altro sia contrario all'interesse del minore.
Ciascuno dei genitori può, in qualsiasi momento, chiedere l'affidamento esclusivo quando sussistono le
condizioni indicate al primo comma. Il giudice, se accoglie la domanda, dispone l'affidamento esclusivo al
genitore istante, facendo salvi, per quanto possibile, i diritti del minore previsti dal primo comma dell'articolo
155. Se la domanda risulta manifestamente infondata, il giudice può considerare il comportamento del
genitore istante ai fini della determinazione dei provvedimenti da adottare nell'interesse dei figli, rimanendo
ferma l'applicazione dell'articolo 96 del codice di procedura civile. (1)
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(1) Il presente articolo è stato inserito dall'art. 1 L. 08.02.2006, n. 54, con decorrenza dal 16.03.2006.
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Riferimenti di legge disponibili in banca dati
Art. 1/c.6 L. 296/2006; L. 54/2006; artt. . 155 ter, 155 quater, 155 quater C.C.; art. 12 DPR 917/1986.
PRASSI
Istituto Nazionale Previdenza Sociale
Messaggio 02.05.2006, n. 12791
Assegno per il nucleo familiare nel caso di affido condiviso. Legge 8 febbraio 2006, n. 54.
Assicurazioni sociali - Assegno nucleo familiare - Separazione - Affidamento condiviso - Richiesta della
prestazione
La legge 8 febbraio 2006, n. 54 pubblicata sulla G.U. n. 50 del 1° marzo 2006, all'art. 1, nel mutare l'art. 155
del codice civile, introduce modifiche circa i provvedimenti riguardo ai figli nel caso di separazione dei
genitori.
La norma, il cui dettato prevede quale fine primario il rispetto dell'interesse morale e materiale della prole,
stabilisce, tra l'altro, l'affidamento dei figli, in via prioritaria, ad entrambi i genitori.
Ai fini dell'erogazione dell'assegno per il nucleo familiare, nel rimandare a quanto indicato sull'argomento
nella circolare 7 dicembre 1999, n. 210, si ribadisce che, nel caso in cui i figli restino affidati ad entrambi i
genitori, essi hanno titolo entrambi a chiedere la prestazione. L'individuazione di chi tra i due effettuerà la
richiesta di autorizzazione alla corresponsione dell'assegno sarà determinata da un accordo tra le parti.
In mancanza di tale accordo l'autorizzazione alla percezione della prestazione familiare verrà accordata al
genitore con il quale il figlio risulta convivente in base a quanto previsto dall'art. 9 della legge 903/1977.
Qualora invece il giudice disponga l'affidamento dei figli ad uno solo dei genitori rimane applicabile la vigente
normativa secondo cui è il genitore affidatario il solo titolare del diritto all'assegno per il nucleo familiare.
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GIURISPRUDENZA
Corte Cassazione sez. I, civ., 03.04.2007, n. 8362
Capacità della persona fisica - Potestà dei genitori - Tribunale per i minorenni - Attribuzioni in materia civile Genitori non coniugati - Cessazione della convivenza - Provvedimenti in materia di affidamento del figlio
minore e di mantenimento del medesimo - Competenza a seguito della legge n. 54 del 2006 sull'affidamento
condiviso - Applicabile anche alla filiazione naturale - Competenza del Tribunale per i minorenni Affermazione - Fondamento
La legge 8 febbraio 2006, n. 54 sull'esercizio della potestà in caso di crisi della coppia genitoriale e
sull'affidamento condiviso, applicabile anche ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati, ha
corrispondentemente riplasmato l'art. 317 bis cod. civ., il quale, innovato nel suo contenuto precettivo,
continua tuttavia a rappresentare lo statuto normativo della potestà del genitore naturale e dell'affidamento
del figlio nella crisi dell'unione di fatto, sicché la competenza ad adottare i provvedimenti nell'interesse del
figlio naturale spetta al tribunale per i minorenni, in forza dell'art. 38, primo comma, disp. att. cod. civ., "in
parte qua" non abrogato, neppure tacitamente, dalla novella. La contestualità delle misure relative
all'esercizio della potestà e all'affidamento del figlio, da un lato, e di quelle economiche inerenti al loro
mantenimento, dall'altro, prefigurata dai novellati artt. 155 e ss. cod. civ., ha peraltro determinato - in
sintonia con l'esigenza di evitare che i minori ricevano dall'ordinamento un trattamento diseguale a seconda
che siano nati da genitori coniugati oppure da genitori non coniugati, oltre che di escludere soluzioni
interpretative che comportino un sacrificio del principio di concentrazione delle tutele, che è aspetto centrale
della ragionevole durata del processo - una attrazione, in capo allo stesso giudice specializzato, della
competenza a provvedere, altresì, sulla misura e sul modo con cui ciascuno dei genitori naturali deve
contribuire al mantenimento del figlio.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio per conflitto di competenza sollevato da Tribunale ordinario di Milano, con ordinanza in data 21
luglio 2006, nel procedimento civile iscritto al numero 39459del 2006 di registro generale, vertente tra:
Fa. Ma. E Ma.St. udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22 marzo 2007 dal
Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
Maurizio Velardi, che ha concluso perché la Corte, in camera di consiglio, in accoglimento della richiesta del
Tribunale di Milano, dichiari la competenza del Tribunale per i minorenni di quella stessa città.
Ritenuto in fatto
1. - Con ricorso in data 16 marzo 2006, Ma.Fa. - premesso di avere instaurato nel 1999 una convivenza
more uxorio con St.Ma. e di avere avuto da tale unione un figlio, An.Ma., nato a Mi. il (...) e riconosciuto da
entrambi i genitori - ha chiesto al Tribunale per i minorenni di Milano, essendo venuta meno la convivenza
tra i genitori, di disporre l' affidamento esclusivo del minore ad essa madre, prevedendo le modalità di
incontro tra il minore ed il padre, e di stabilire a carico di quest'ultimo ed in favore del minore un assegno a
titolo di mantenimento, da corrispondere mensilmente ad essa ricorrente.
Instauratosi il contraddittorio con il convenuto, il Tribunale per i minorenni di Milano, con decreto depositato
in data 15 maggio 2006, ha dichiarato non luogo a provvedere, essendo competente il Tribunale ordinario di
Milano Secondo il Tribunale per i minorenni, la legge 8 febbraio 2006, n. 54 (Disposizione in materia di
separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli) prevede una disciplina unitaria che si riferisce all'
affidamento dei figli, al diritto di visita nonché al mantenimento e all'assegnazione della casa, non
consentendo più la divisione delle competenze che, nel vigore della precedente normativa, costringeva i
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genitori naturali ad adire più istanze giurisdizionali, con evidente dilatazione di tempi e di costi, per le
decisioni relative all' affidamento e per quelle relative alle questioni economiche. La nuova legge,
prevedendo l'applicazione ai figli naturali delle «disposizioni della presente legge», si riferirebbe anche alle
norme processuali, che presuppongono l'applicazione delle norme di cui agli artt. 706 e ss. cod. proc. civ.,
incompatibili con il procedimento in camera di consiglio dettato dall'art. 38 disp. att. cod. civ. per il tribunale
per i minorenni. Il legislatore avrebbe inteso dare per la prima volta una disciplina unitaria ai procedimenti in
materia di filiazione naturale instaurati da uno dei genitori nei confronti dell'altro al fine di veder regolato, in
tutti i suoi aspetti, l'esercizio della potestà, parificando l'intervento giudiziario, sotto il profilo sostanziale,
processuale e di competenza, a quello previsto per i figli di genitori coniugati. La relativa disciplina non
rientrerebbe più nell'ambito dell'art. 317-2 bis cod. civ., che rimarrebbe in vigore per le parti residue.
2. - Il Tribunale ordinario di Milano dinanzi al quale la causa è stata tempestivamente riassunta, ha richiesto
d'ufficio, con ordinanza in data 21 luglio 2006, regolamento di competenza in merito alla controversia,
ritenendo la propria incompetenza per materia a conoscerne, prospettando, in relazione ad essa, la
competenza funzionale del giudice specializzato.
Ad avviso del Tribunale confliggente, la nuova legge non contiene alcuna disposizione espressa sulla
competenza in ordine alle controversie relative all' affidamento dei figli naturali, ma ha inteso estendere con
la massima ampiezza la portata sostanziale della riforma, senza tuttavia affrontare invece ambiti ben più
vasti ed impegnativi di intervento, relativi alla unificazione della competenza del giudice della famiglia, e
senza minimamente farsi carico della disciplina dei procedimenti specifici preesistenti, all'interno dei quali i
nuovi principi sulla potestà genitoriale e sull' affidamento condiviso dovranno trovare applicazione. In tale
prospettiva, il dato normativo dell'art. 317 bis cod. civ., sebbene radicalmente mutato nel suo portato
sostanziale in forza dell'estensione dei principi di cui alla legge n. 54 del 2006 alla filiazione naturale,
resterebbe pienamente vigente ai fini dell'individuazione di una categorie di controversie, in materia di
affidamento di figli naturali e gestione della potestà genitoriale rispetto alla prole naturale, devolute, ex art.
38 disp. att. cod. civ., alla competenza funzionale del tribunale per i minorenni. Soggiunge il giudice
confliggente che nessuna variazione vi sarebbe quanto alla competenza funzionale del Tribunale ordinario in
merito alle controversie ex art. 148 cod. civ. per quanto attiene agli obblighi economici dei genitori ai fini del
concorso al mantenimento dei figli naturali.
3. - Il pubblico ministero ha concluso affinché, in accoglimento della richiesta del Tribunale di Milano, sia
dichiarata la competenza del Tribunale per i minorenni di quella stessa città.
Premesso che nessuna abrogazione o modificazione espressa dell'art. 38 disp. att. cod. civ. sarebbe
contenuta nella legge n. 54 del 2006 ad avviso della Procura generale neppure ricorrerebbe un'ipotesi di
abrogazione tacita, perché la nuova legge non regola affatto la (intera) materia del riparto di competenza tra
giudice ordinario e giudice specializzato, già disciplinata dalla legge anteriore, non contenendo alcuna norma
al riguardo, né reca disposizioni incompatibili con quelle precedenti. Tale incompatibilità, in particolare, non
potrebbe indirettamente desumersi - come sostiene invece il Tribunale per i minorenni di Milano - dalle
modifiche sostanziali apportate dalla novella alle disposizioni di legge che disciplinano l' affidamento dei figli,
le modalità di visita ed il mantenimento (modificazioni applicabili, queste sì, indifferentemente sia ai figli
naturali che a quelli legittimi), perché la previsione di una disciplina uniforme sul piano sostanziale rispettosa del principio costituzionale di eguaglianza - non comporta necessariamente una uniformità anche
su quello processuale.
Nessuna valenza avrebbe il richiamo alla corte d'appello, e non anche alla sezione specializzata quale giudice
competente, a conoscere dell'introdotto reclamo avverso i provvedimenti provvisori adottati dal presidente
del tribunale (art. 2 comma 1, della legge n. 54 del 2006), atteso che il reclamo è inserito nell'ambito del
procedimento di separazione e quindi di un procedimento tipico del giudizio ordinario.
Considerato in diritto
1. - La questione di quale sia, a seguito dell'entrata in vigore della legge 8 febbraio 2006, n. 54 (Disposizioni
in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli), l'organo giudiziario competente a
conoscere dei procedimenti di affidamento dei figli naturali e ad emanare i provvedimenti di carattere
economico relativi al loro mantenimento - oggetto di divergenti decisioni presso i giudici di merito, anche al
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di là del caso che ha dato occasione al presente conflitto, e di controversie in dottrina - si presenta per la
prima volta a questa Corte di cassazione.
2. - Ai fini dell'esame della questione, occorre premettere che, fino all'entrata in vigore della citata legge n.
54 del 2006 il regime della competenza ad emanare i provvedimenti relativi ai figli naturali in caso di
cessazione della convivenza more uxorio dei loro genitori è stato organizzato secondo una regola di riparto
che distingueva a seconda che la controversia riguardasse l' affidamento dei figli stessi o concernesse gli aspetti patrimoniali relativi al loro mantenimento.
Il diritto vivente - nell'assenza di una disposizione espressamente rivolta a disciplinare un procedimento di
affidamento del figlio naturale, riconosciuto da entrambi i genitori, nel caso di rottura della convivenza tra
costoro - ha colto nell'art. 317 bis cod. civ., concernente l'esercizio della potestà sul figlio minore riconosciuto
da entrambi i genitori naturali, il referente normativo per giustificare l'intervento, sia pure eventuale e
successivo, del giudice in materia (Cass., Sez. Un., 25 maggio 1993, n. 5847, in motivazione). Infatti questa
disposizione non si limita a prevedere che la potestà è esercitata congiuntamente da entrambi i genitori,
qualora siano conviventi, e che, in caso di non convivenza, l'esercizio spetta al genitore con il quale il minore
convive o, se il figlio non convive con alcuno di essi, al genitore che per primo lo ha riconosciuto; essa
conferisce al giudice anche ampi poteri di disciplinare in concreto l'esercizio della potestà nel modo che
meglio corrisponde all'interesse del figlio. E tra questi poteri si è ritenuto compreso anche quello di disporre l'
affidamento in occasione della crisi dell'unione di fatto e di prendere gli altri provvedimenti inerenti
all'esercizio della potestà, all'educazione e all'istruzione, sul rilievo che la soluzione del conflitto tra i genitori
e la definizione di linee sulle quali organizzare i loro rapporti dopo la cessazione della convivenza corrisponde
ad un evidente interesse del figlio naturale, al pari di quanto accade in occasione della separazione e del
divorzio.
In questa prospettiva, il richiamo, da parte dell'art. 38, primo comma, disp. att. cod. civ., dei provvedimenti
contemplati dall'art. 317 bis cod. civ. tra quelli riservati alla competenza del tribunale per i minorenni, ha
indotto la giurisprudenza a ritenere i provvedimenti relativi all' affidamento dei figli naturali devoluti al
tribunale specializzato; mentre, non essendo i provvedimenti attinenti al mantenimento della prole nata da
genitori non coniugati (art. 261 cod. civ., in relazione all'art. 148 cod. civ.) attribuiti specificamente ad una
«diversa autorità giudiziaria», se ne è inferita l'attribuzione alla competenza del tribunale ordinario, ai sensi
del secondo comma del citato art. 38 disp. att. cod. civ. Si legge nella fondamentale pronuncia di questa
Sezione 20 aprile 1991, n. 4273: mancando, in caso di famiglia di fatto, la previsione legislativa di un
processo unitario, che coinvolga il momento della separazione della coppia, quello della sorte dei loro figli
comuni e quello della regolamentazione dei rapporti patrimoniali per quanto attiene al contributo per il
mantenimento dei figli, "ogni provvedimento eventualmente richiesto dovrà essere assunto dal giudice
competente per quel singolo provvedimento", sicché "il provvedimento circa il contributo di mantenimento,
spettante ... al tribunale ordinario in procedimento contenzioso, non potrà essere preso dal tribunale per i
minorenni adito ex art. 317 bis cod. civ. per stabilire a chi dei due genitori debba essere affidato il figlio". Più
di recente, nella stessa direzione, questa Corte ha ribadito che competente a conoscere delle domande del
genitore naturale di affidamento del figlio minore e di regolamentazione del diritto di visita dell'altro genitore
è il tribunale per i minorenni, mentre spetta al tribunale ordinario la competenza sulla domanda di contributo
al mantenimento e di rimborso delle spese sostenute per il mantenimento del minore: competenza che,
essendo di natura funzionale, è inderogabile, non trovando applicazione le norme sulla connessione (Sez. I,
8 marzo 2002, n. 3457; Sez. I, 15 marzo 2002, n. 3898).
Una tale ripartizione della competenza tra tribunale per i minorenni e tribunale ordinario nella crisi delle
unioni di fatto con riguardo ai provvedimenti relativi ai figli naturali ha superato lo scrutinio di legittimità
costituzionale, avendo la Corte costituzionale ravvisato nella duplicità di regime sopra descritta l'espressione
di una scelta di politica del diritto rientrante nella discrezionalità legislativa e non contrastante con il principio
di eguaglianza e con la garanzia del diritto di azione.
Con la sentenza n. 23 del 1996, il Giudice delle leggi - decidendo un dubbio di costituzionalità avente ad
oggetto il combinato disposto degli artt. 317 bis cod. civ. e 38 disp. att. cod. civ., sorto in fattispecie nella
quale la domanda di natura patrimoniale (contributo al mantenimento a carico del genitore non affidatario di
figlio naturale riconosciuto) era stata avanzata in un momento successivo rispetto alla richiesta di
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affidamento - è pervenuto alla declaratoria di non fondatezza, rilevando che in un simile caso si è di fronte
ad una lite tra i due genitori, per cui è del tutto ragionevole che la competenza spetti al tribunale ordinario.
Alla medesima soluzione di non fondatezza la Corte costituzionale è giunta nella successiva sentenza n. 451
del 1997, in un caso nel quale veniva in considerazione la contestualità della domanda di natura patrimoniale
con quella relativa all' affidamento; sottolineandosi che la divaricazione di competenze non si traduce in una
diminuzione di tutela, tanto più che, "qualora dovessero sussistere ragioni di urgenza tali da rendere
indifferibile l'adozione di provvedimenti di carattere economico, la pendenza del giudizio davanti al tribunale
per i minorenni non impedirebbe il ricorso agli strumenti cautelari".
Con la sentenza n. 166 del 1998, poi, la Corte costituzionale ha dichiarato manifestamente infondata una
questione di costituzionalità avente ad oggetto il combinato disposto degli artt. 151, primo comma, e 155
cod. civ., nella parte in cui non disciplina la crisi della convivenza di fatto con le stesse regole previste per la
famiglia legittima, impedendo di applicare il procedimento previsto dagli artt. 706 e ss. cod. proc. civ. ai
conviventi more uxorio con prole. Premesso che "la convivenza more uxorio rappresenta l'espressione di una
libera scelta di libertà dalle regole che il legislatore ha sancito in dipendenza del matrimonio", sicché
"l'estensione automatica di queste regole alla famiglia di fatto potrebbe costituire una violazione dei principi
di libera determinazione delle parti", i Giudici della Consulta hanno chiarito che "la inapplicabilità della
disciplina della separazione dei coniugi alla cessazione delle convivenze di fatto, nel cui ambito sia nata
prole, non equivale tuttavia ad affermare che la tutela dei minori, nati da quelle unioni, resti priva di
disciplina, essendo invocabile l'intervento del giudice, che nella pronuncia dei provvedimenti concernenti i
figli è tenuto alla specifica valutazione dell'interesse di questi", sottolineando che "l'assenza di un
procedimento specularmente corrispondente a quello di separazione dei coniugi involge questioni di politica
legislativa, ma certamente non determina la violazione dei principi costituzionali" di cui agli artt. 2, 3, 24 e 30
Cost.
3. - La legge n. 54 del 2006 contiene disposizioni sostanziali e processuali.
Le prime rinvengono nel novellato testo degli artt. 155 e ss. cod. civ., dedicati alla separazione dei coniugi,
una disciplina fondata sul principio della bigenitorialità, che trova attuazione, per un verso, attraverso
l'indicazione di una preferenza verso l' affidamento condiviso, e, per l'altro verso, in un modello di esercizio
della potestà, ancorato al principio di responsabilità genitoriale, il quale si specifica mediante la previsione di
una continuità di condivisione educativa. Nuove disposizioni sono dettate con riguardo all'obbligo di
mantenimento (con la possibilità per il giudice di stabilire, ove necessario, un assegno di natura
essenzialmente riequilibratrice, la cui entità deve essere determinata alla luce di parametri predefiniti) e in
relazione all'assegnazione della casa familiare, nonché alle misure in favore dei figli maggiorenni.
Con le seconde il legislatore è intervenuto: modulando, sul piano istruttorio, con l'art. 155, sesto comma, il
potere del giudice di disporre accertamenti di polizia tributaria, e prevedendo, con l'art. 155 sexies, primo
comma, il potere del giudice di assumere, anche d'ufficio, mezzi di prova; configurando la possibilità di
rinviare, sentite le parti ed ottenuto il loro consenso, l'adozione dei provvedimenti riguardo ai figli per
consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con
particolare riferimento alla tutela dell'interesse morale e materiale dei figli (art. 155 sexies, secondo comma);
imponendo l'audizione del figlio minore ultradodicenne o comunque capace di discernimento (art. 155
sexies, primo comma); inserendo la garanzia della reclamabilità in corte d'appello dell'ordinanza
presidenziale (art. 708, quarto comma, cod. proc. civ.); facendosi carico del problema dell'attuazione
coattiva dei provvedimenti di affidamento dei minori a contenuto non patrimoniale (art. 709 ter cod. proc.
civ.).
Tra le norme finali, la novella ha inserito una disposizione che disvela l'obiettivo del legislatore di rinvenire
nella separazione dei coniugi il modello per regolamentare i rapporti di filiazione nella crisi della coppia
genitoriale anche in caso di convivenza more uxorio. L' art. 4 comma 2, della legge n. 54 del 2006 prevede
infatti l'applicazione delle «disposizioni della presente legge», oltre che «in caso di scioglimento, di
cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio», anche ai procedimenti relativi ai figli di genitori non
coniugati».
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4. - La legge n. 54 del 2006 non contiene alcuna abrogazione espressa né dell'art. 38, primo comma, disp.
att. cod. civ., né del richiamo, in esso contemplato, ai provvedimenti di cui all'art. 317 bis cod. civ.
Occorre allora stabilire se l'attribuzione espressa, in forza del rinvio alla citata norma del codice contenuta
nelle disposizioni di attuazione, alla competenza per materia del giudice specializzato in ordine ai
procedimenti di affidamento dei figli naturali in caso di rottura della convivenza dei loro genitori, sia venuta
meno per incompatibilità con la nuova disciplina dell' affidamento condiviso.
Si tratta di un'indagine senz'altro consentita: sebbene infatti le norme sulla competenza siano di stretta
interpretazione, non può escludersi che una modifica della relativa disciplina, ancorché non espressamente
formulata dal legislatore, possa ricavarsi dall'interprete con gli ordinari strumenti ermeneutici. In questo
senso è, del resto, orientata, sia nel campo del processo civile che in quello del processo penale, la
giurisprudenza di questa Corte, la quale ammette ipotesi di modifica tacita della competenza. Lo stanno a
dimostrare i casi, recenti, concernenti la competenza territoriale nelle controversie avverso i provvedimenti di
diniego di asilo politico, in cui la Corte (Sez. I civ., 28 aprile 2006, n. 10028) ha ritenuto che la innovativa
previsione di più tribunali territorialmente competenti abbia implicitamente determinato l'abbandono del
criterio generale del foro erariale che avrebbe comportato la permanenza della competenza dei tribunali dei
distretti, in relazione alle sedi delle Commissioni territoriali, essendo indicativa della volontà di radicare il
contraddittorio - sempre nei riguardi della Amministrazione centrale dell'Interno - in più tribunali, e
segnatamente in quelli nel cui circondario la Commissione territorialmente competente ha adottato, sulla
domanda dello straniero, la contestata decisione; o quelli relativi al ritenuto sopravvenuto venir meno della
competenza del giudice di pace in ordine al reato di guida in stato di alterazione psico-fisica per uso di
sostanze stupefacenti (pur in assenza di un richiamo espresso, nell'art. 187 del codice della strada, alla
disposizione, relativa alla competenza del tribunale, prevista per il reato di guida sotto l'influsso dell'alcool)
(così Sez. IV pen., 28 marzo 2006, n. 17003; e cfr. Corte cost., ordinanza n. 47 del 2007).
Ciò posto, all'indicato quesito deve darsi risposta negativa.
4.1. - È da escludere che l' art. 4 comma 2, della legge n. 54 del 2006, con il prevedere l'applicazione, ai
procedimenti che riguardano i figli naturali, delle norme contenute in quella stessa legge, abbia abrogato la
parte dell'art. 317 bis cod. civ. in cui si stabilisce che il giudice, nell'esclusivo interesse del figlio, può
provvedere sull' affidamento in modo diverso rispetto ai criteri predeterminati dalla stessa norma, facendo
venir meno - con il sostituire i provvedimenti di cui all'art. 317 bis cod. civ. con quelli adottabili ai sensi
dell'art. 155 cod. civ. - il rinvio all'art. 317 bis contenuto nel primo comma dell'art. 38 delle disposizioni di
attuazione, così rendendosi applicabile anche a tali processi la competenza residuale del tribunale ordinario,
stabilita dal secondo comma del medesimo art. 38.
Come correttamente evidenziato dal Tribunale ordinario di Milano confliggente, l' art. 4 comma 2, della legge
n. 54 del 2006 ha il significato di estendere - all'evidente fine di assicurare alla filiazione naturale forme di
tutela identiche a quelle riconosciute alla filiazione legittima - i nuovi principi e criteri sulla potestà genitoriale
e sull' affidamento anche ai figli di genitori non coniugati, senza incidere sui presupposti processuali dei
relativi procedimenti, tra i quali la competenza.
L' art. 317 bis cod. civ. resta il referente normativo della potestà e dell' affidamento nella filiazione naturale,
anche in caso di cessazione della convivenza dei genitori naturali, e non viene meno, agli effetti della
competenza, il binomio costituito dagli artt. 317 bis, secondo comma, cod. civ. e 38, primo comma, disp. att.
cod. civ. Piuttosto, la disposizione del codice sull'esercizio della potestà nella filiazione naturale assume, per
effetto della legge n. 54 del 2006 un nuovo volto, perché - come è stato osservato in dottrina - si arricchisce
dei contenuti oggetto di quella legge. Inserendosi nell'ambito dell'art. 317 bis cod. civ., la novella del 2006
detta una compiuta disciplina dei provvedimenti che il giudice specializzato ben poteva anche prima
pronunciare nell'interesse del figlio, ma che in precedenza trovavano una regolamentazione minimale, esclusivamente affidata alla discrezionalità ed all'apprezzamento del giudice. Così, per un verso, la cessazione
della convivenza tra i genitori naturali non conduce più alla cessazione dell'esercizio della potestà, perché la
potestà genitoriale è ora esercitata da entrambi i genitori, salva la possibilità per il giudice di attribuire a
ciascun genitore il potere di assumere singolarmente decisioni sulle questioni di ordinaria amministrazione;
per l'altro verso, le regole sull' affidamento condiviso guidano la discrezionalità del giudice specializzato nel
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valutare l'«esclusivo interesse del figlio» allorché sia cessata la convivenza della coppia genitoriale,
indicandogli di prendere in considerazione prioritariamente, affinché il figlio naturale possa continuare a
mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, lo strumento che meglio assicura
la condivisione delle responsabilità nella cura, nella crescita, nell'educazione e nell'istruzione del minore.
Questa interpretazione trova sostegno nella lettera dell'art. 4, comma 2, della legge n. 54 del 2006: la quale,
prevedendo l'applicazione delle nuove disposizioni anche. ai procedimenti relativi ai figli di genitori non
coniugati», esprime chiaramente l'intenzione del legislatore di riferirsi ai procedimenti già esistenti aventi ad
oggetto l' affidamento e l'esercizio della potestà sui figli naturali e, quindi, ai procedimenti di cui all'art. 317
bis cod. civ., rientranti nella competenza del tribunale per i minorenni. Tali procedimenti vengono richiamati
per trapiantare in essi i nuovi principi e le nuove regole sull' affidamento condiviso, non già per modificarne i
presupposti processuali.
Il novellato art. 155 cod. civ. non si è totalmente sovrapposto all'art. 317 bis cod. civ., là dove questo
prevede l'intervento del giudice (anche) nella crisi della famiglia di fatto, perché diversi sono i presupposti
dell'intervento del giudice in ordine alla emanazione dei provvedimenti riguardo all' affidamento e al
mantenimento dei figli, a seconda che si tratti di crisi dell'unione dì fatto e di crisi della famiglia fondata sul
matrimonio.
Nella separazione dei coniugi l'intervento del giudice è immancabile. La coppia non si scioglie,
legittimamente, che a seguito di una pronuncia giudiziaria. Ugualmente, l' affidamento dei figli legittimi ed il
loro mantenimento è deciso dal giudice. Anche in caso di separazione consensuale, il codice garantisce
sempre un vaglio giurisdizionale volto a verificare che l'accordo dei coniugi relativamente all' affidamento e al
mantenimento dei figli non sia in contrasto con l'interesse di questi.
Viceversa, nella crisi della coppia di genitori naturali "non sussiste questa inevitabile necessità di un
intervento giudiziario": non solo lo scioglimento della famiglia di fatto "avviene senza alcun intervento del
giudice, essendo sufficiente, com'è logico, che i due si lascino", ma anche con riguardo all' affidamento e al
mantenimento dei figli l'intervento del giudice è previsto come indispensabile soltanto nel caso in cui i
genitori naturali, nella loro autonomia, non abbiano raggiunto tra loro un accordo (Cass., Sez. I, 20 aprile
1991, n. 4273, cit.), salva in ogni caso la possibilità per i genitori non coniugati di rivolgersi congiuntamente
al tribunale per i minorenni per la verifica della non contrarietà all'interesse dei figli di quanto tra loro
concordato.
Tale diversità di presupposti non è incisa dalla novella.
Non può parlarsi, pertanto, di parziale abrogazione per incompatibilità dell'art. 317 bis cod. civ. (che avrebbe l'effetto di determinare, per trascinamento, la caduta del richiamo, agli effetti della competenza,
contenuto nel primo comma dell'art. 38 delle disposizioni di attuazione e la riespansione della regola di
chiusura dettata dal secondo comma del medesimo art. 38), ma, al contrario, di riempimento del contenuto
precettivo di tale disposizione.
4.2. - Né può essere seguita la tesi, fatta propria dal Tribunale per i minorenni di Milano, secondo cui la
competenza del tribunale ordinario sarebbe imposta dall'applicazione, anche ai procedimenti relativi ai figli
naturali, delle norme processuali contenute nella legge n. 54 del 2006 alcune delle quali (si pensi al nuovo
art. 708, quarto comma, cod. proc. civ., che prevede la reclamabilità dell'ordinanza presidenziale),
innestandosi nella disciplina prevista per il processo di separazione giudiziale, presuppongono, per la loro
applicabilità, che il processo si svolga, dinanzi al tribunale ordinario, nelle forme di cui agli artt. 706 e ss.
cod. proc. civ., anziché in quelle camerali, tipiche dei processi minorili ai sensi del terzo comma del più volte
citato art. 38 disp. att. cod. civ.
Tale tesi, nel postulare una ricaduta sulla competenza per effetto delle norme sul rito, muove da un non
condivisibile presupposto ermeneutico, il quale è alla base della ritenuta attrazione della competenza al
tribunale ordinario: che cioè il legislatore, nel dettare le norme in materia di separazione dei genitori e dì
affidamento condiviso dei figli, abbia inteso disciplinare anche l'emanazione dei provvedimenti da
pronunciarsi nei confronti dei figli naturali con il rito tipico del procedimento di separazione, estendendo ai
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procedimenti che li riguardano le norme concernenti la crisi della coppia coniugale e la sua gestione
giudiziale.
Non v'è dubbio che alcune tra le norme processuali contenute nella legge n. 54 del 2006 siano applicabili
anche ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati. Sono applicabili - e compatibili con la
specialità del rito che governa il procedimento che si svolge dinanzi al tribunale per i minorenni - le norme:
sui poteri istruttori del giudice, ivi compreso - per ciò che si dirà infra - quello di disporre, ove le informazioni
di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate, un accertamento
della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi;
sui poteri di ascolto del minore; sui poteri del giudice del procedimento in corso, ai sensi dell'art. 709 ter
cod. proc. civ., in caso dì gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore o
ostacolino il corretto svolgimento delle modalità di affidamento, di ammonire il genitore inadempiente, di
infliggere una sanzione a suo carico, di disporre il risarcimento del danno in favore del genitore danneggiato
dal comportamento dell'altro e di disporre analogo risarcimento in favore dello stesso minore.
Ma non sono applicabili le disposizioni del nuovo art. 708, quarto comma, cod. proc. civ., introdotte dall'art.
2 comma 1, della legge n. 54 del 2006, sulla reclamabilità dell'ordinanza presidenziale, le quali
presuppongono che un'ordinanza presidenziale vi sia stata e che quindi il processo si sia svolto nelle forme di
cui agli art. 706 e ss. cod. proc. civ. Come è stato osservato in dottrina, la legge n. 54 del 2006 è infatti
priva di una valenza unificante sulla scansione dei procedimenti relativi alla coppia in crisi, e, nel richiamare,
all'art. 4, comma 2, i procedimenti relativi ai figli dei genitori non coniugati, ha inteso far salve anche le
regole processuali che li governano, e i diversi presupposti applicativi dell'intervento del giudice, senza
creare un modello processuale unico per i giudizi relativi all' affidamento.
Ciò si giustifica considerando - come già rilevato retro - i differenti ambiti dell'uno e dell'altro procedimento,
quello di separazione tra coniugi e quello rivolto alla tutela del figlio nella cessazione della convivenza dì fatto
dei loro genitori: perché mentre in presenza di persone unite in matrimonio l'intervento del giudice, con la
separazione, è previsto dal legislatore per dare rilevanza alla crisi della coppia, non potendosi altrimenti
allentare il legame giuridico che li unisce, e per disciplinare, in quella stessa sede, i rapporti tra i genitori e
figli, la convivenza more uxorio può interrompersi immediatamente sulla base della semplice decisione
unilaterale di ciascuno dei conviventi, sicché tale rapporto può venir meno senza che il giudice intervenga in
alcun modo, salvo, appunto, che per eventuali questioni relative ai figli naturali riconosciuti (Corte cost.,
sentenza n. 451 del 1997, cit.).
Del resto, diversamente opinando, ove si ritenesse applicabile il rito speciale ex art. 706 e ss. cod. proc. civ.
ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati, dovrebbe parimenti considerarsi applicabile il rito
della separazione anche ai giudizi dì nullità del matrimonio - pure richiamati dal comma 2 del citato art. 4, i
quali invece, secondo l'interpretazione corrente, sono soggetti al rito ordinario di cognizione civile.
4.3. - La dottrina più avvertita da tempo segnala l'opportunità, de iure condendo, di una unificazione delle
competenze in relazione alle vicende che riguardano l' affidamento e il mantenimento del figlio, a
prescindere dalla condizione giuridica dei genitori tra loro: non solo nell'interesse dì una razionalizzazione del
sistema e di una giustizia più accessibile, ma anche ad evitare che la diversità di competenza, e delle
connesse scansioni procedimentali, finisca con il rendere l'una forma di filiazione meno presidiata, sotto il
profilo processuale, rispetto all'altra.
La legge n. 54 del 2006 - che pure significativamente estende i nuovi principi ai figli di genitori non
coniugati, rendendo più precisa la normativa di settore anche al fine di rendere più sollecita la risposta
giudiziaria in controversie così delicate (v. la relazione in Aula del deputato Maurizio Paniz nella seduta del 10
marzo 2005) - non perviene all'unificazione delle competenze all'interno dei conflitti familiari: unificazione
che, involgendo profili di politica legislativa, non si presta a formare oggetto di un dubbio di legittimità
costituzionale (cfr. Corte cost., sentenza n. 166 del 1998, punto n. 5 del Considerato in diritto).
Il Collegio si limita a registrare che il tema è affiorato nel dibattito parlamentare che ha accompagnato
l'approvazione della legge sull' affidamento condiviso. Si è segnalato (nell'intervento in Aula della deputata
Carolina Lussana nella seduta del 10 marzo 2005) che "esiste un'ingiusta discriminazione tra figli nati dal
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matrimonio, sottoposti alla giurisdizione del giudice ordinario che nella maggior parte dei casi non è un
giudice specializzato, e figli nati fuori dal matrimonio, di cui si occupa il tribunale per i minorenni",
sottolineandosi la necessità di porre fine, attraverso "apposite proposte emendative", "a questa
discriminazione", attraverso la creazione di "un giudice unico per la famiglia e per i minori". Sennonché,
l'emendamento a tal fine proposto (il n. 2.0350), volto a modificare l'art. 38 disp. att. cod. civ. nel senso di
attribuire la competenza al tribunale ordinario anche in ordine all' affidamento dei figli nati fuori del
matrimonio, è stato ritirato dalla deputata presentatrice Carolina Lussana, su invito formulato dal deputato
relatore Maurizio Paniz e su parere conforme del Governo, nella seduta del 7 luglio 2005 (Atti Camera - XIV
Legislatura Discussioni - n. 652).
5. - Una volta assodato che, per i procedimenti riguardanti l' affidamento del figlio naturale, è rimasta ferma
la competenza del tribunale per i minorenni in forza dell'immutato rinvio all'art. 317 bis cod. civ. contenuto
nell'art. 38 disp. att. cod. civ., si tratta di stabilire se la legge n. 54 del 2006 abbia o meno comportato
un'innovazione rispetto alla precedente regola di riparto che, come si è visto retro, attribuiva la cognizione
della controversie concernenti il contributo al mantenimento del figlio naturale al tribunale ordinario, anche
in caso - come nella specie - di contestualità della domanda di natura patrimoniale con quella relativa all'
affidamento.
Il Collegio ritiene che tale innovazione vi sia stata, e che, per effetto di essa, il tribunale per i minorenni,
competente in ordine affidamento dei figli naturali, lo sia anche - contestualmente - a provvedere sul
contributo al mantenimento di essi.
5.1. - Ai sensi del novellato art. 155 secondo comma, cod. civ., il giudice, quando provvede sull' affidamento
dei figli minori, determina «altresì» la misura e il modo con cui ciascun genitore deve contribuire al
mantenimento, alla cura, all'istruzione e all'educazione dei figli. In particolare, il quarto comma della
medesima disposizione prevede che il giudice investito del procedimento stabilisce, ove necessario, la
corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare
considerando le attuali esigenze del figlio, il tenore di vita goduto dal figlio in costanza dì convivenza con
entrambi i genitori, i tempi di permanenza presso ciascun genitore, le risorse economiche dì entrambi i
genitori e la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitori.
La contestualità tra i provvedimenti sull' affidamento e quelli economici e l'intreccio delle relative statuizioni
non costituiscono certo una novità allorché si tratta di assumere i provvedimenti riguardanti i figli dì genitori
coniugati in crisi: il tribunale (ordinario) da sempre provvede ad emettere un'unica decisione recante tutti i
provvedimenti (dall' affidamento, al mantenimento, alla casa familiare) relativi alla sorte dei figli minori.
Ma, una volta che gli artt. 155 e ss. cod. civ. concorrono a plasmare - per effetto del più volte ricordato art.
4 comma 2, della legge n. 54 del 2006 - l' art. 317 bis cod. civ., quest'ultima disposizione si arricchisce di
nuovi contenuti: non solo quindi - per quanto già evidenziato retro - dei nuovi principi sulla bigenitorialità,
sull'esercizio della potestà genitoriale e sull' affidamento, ma anche della regola di inscindibilità della
valutazione relativa all' affidamento da quella concernente i profili patrimoniali dell' affidamento.
Il giudice specializzato, adito ai sensi dell'art. 317 bis cod. civ. e dell'art. 38 disp. att. cod. civ., è chiamato,
nell'«interesse» del figlio, ad esprimere una cognizione globale, estesa alla misura e al modo con cui
ciascuno dei genitori deve contribuire al mantenimento, alla cura, all'istruzione e all'educazione, e quindi
investente i profili patrimoniali dell' affidamento.
Da un punto di vista sistematico, tale soluzione non rappresenta una novità. Il giudice del reclamo della
paternità o della maternità naturale, ai sensi dell'art. 277 secondo comma, cod. civ., dà anche «i
provvedimenti che stima utili per il mantenimento, l'istruzione e l'educazione del figlio e per la tutela
dell'interesse patrimoniale di lui». E proprio in forza di tale disposizione, questa Corte da sempre individua
nel tribunale per i minorenni - il quale è competente, ai sensi del primo comma dell'art. 38 delle disposizioni
dì attuazione, a conoscere dell'azione per la dichiarazione di paternità o maternità naturale «nel caso di
minori» - l'organo giurisdizionale investito del potere di emettere altresì i provvedimenti opportuni per il
mantenimento, l'istruzione e l'educazione dei minori stessi e per la tutela dei loro interessi patrimoniali, quali
misure consequenziali («effetti della sentenza», secondo la rubrica dell'art. 277 cod. civ.) alla pronuncia
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dichiarativa del rapporto di filiazione, perfino quando essi riguardino il tempo anteriore alla sentenza, come
nell'ipotesi di rimborso prò quota delle spese di mantenimento in favore del genitore che le abbia sostenute
per intero (ex multis, Sez. I, 3 settembre 1994, n. 7629; Sez. I, 30 giugno 2005, n. 14029).
E si tratta di soluzione interpretativamente da preferire, perché maggiormente orientata alla realizzazione di
principi espressi dalla Costituzione.
Da un lato il principio di eguaglianza - al quale si è ispirato il legislatore con la norma di estensione dell'art.
4, comma 2, contenuta tra le disposizioni finali - esige che i minori non ricevano dall'ordinamento un
trattamento diseguale a seconda che siano nati da genitori coniugati oppure da genitori non coniugati. La
giurisprudenza costituzionale invita l'interprete a considerare "il matrimonio non ... più elemento dì
discrimine nei rapporti tra genitori e figli - legittimi e naturali riconosciuti - identico essendo il contenuto dei
doveri, oltre che dei diritti, degli uni nei confronti degli altri": "la condizione giuridica dei genitori tra loro, in
relazione al vincolo coniugale, non può determinare una condizione deteriore per i figli, poiché quell'insieme
di regole, che costituiscono l'essenza del rapporto di filiazione e che si sostanziano negli obblighi dì
mantenimento, di istruzione e di educazione della prole, derivante dalla qualità di genitore, trova
fondamento nell'art. 30 della Costituzione che richiama i genitori all'obbligo di responsabilità" (Corte cost.,
sentenza n. 166 del 1998, punto n. 3 del Considerato in diritto, in tema di assegnazione della casa familiare
nell'ipotesi di cessazione del rapporto di convivenza more uxorio).
Ritiene il Collegio che vi sarebbe un trattamento deteriore per il figlio naturale ove le sue esigenze di tutela,
in caso di crisi del rapporto di convivenza tra i suoi genitori naturali, ricevessero dall'ordinamento una
risposta frazionata, con la perdita di quella valutazione globale (tota regiudicanda perspocta) che soltanto
una cognizione estesa anche alle conseguenze patrimoniali dell' affidamento può assicurare.
Dall'altro lo sdoppiamento di competenze, con la necessità, per il genitore, di dovere separatamente adire un
giudice diverso per la cognizione di una domanda intrinsecamente connessa alle statuizioni che in concreto
sono state date sulla potestà e sull' affidamento, comporterebbe un evidente sacrificio del principio di
concentrazione delle tutele, che è aspetto centrale della ragionevole durata del processo. La
costituzionalizzazione del principio di ragionevole durata del processo impone all'interprete una nuova
sensibilità ed un diverso approccio ermeneutico, per cui ogni soluzione che si adotti nella risoluzione di
questioni attinenti a norme sullo svolgimento del processo deve essere verificata non solo sul piano
tradizionale della sua coerenza logico concettuale, ma anche, e soprattutto, per il suo impatto operativo nella
realizzazione di detto obiettivo costituzionale. A tale riguardo non può non ricordarsi che, proprio muovendo
da tale ricostruzione della valenza interpretativa, hic et nunc, dell'art. 111 Cost, recentemente le Sezioni
Unite di questa Corte (sentenza 28 febbraio 2007, n. 4636) sono pervenute, innovativamente, a stabilire che
"ove il lavoratore proponga, sulla base della esposizione dei medesimi fatti attinenti ad una stessa
prestazione lavorativa, due domande in via alternativa, la cui decisione dipenda dalla qualificazione giuridica
dei fatti emersi in causa, una principale, appartenente alla giurisdizione amministrativa (ex art. 1 legge 23
ottobre 1960, n. 1369 con ente pubblico ante 30 giugno 1998), ed una subordinata (ex art. 3 stessa legge)
in cui l'ente pubblico viene evocato non come datore di lavoro ma come coobbligato al rispetto dei minimi
retributivi, il principio di concentrazione delle tutele, insito nell'art. 111 Cost, impone di ritenere che il giudice
amministrativo avente giurisdizione sulla domanda principale possa e debba conoscere di tutte le pretese
originate dalla situazione lavorativa dedotta".
6. - Conclusivamente deve affermarsi il seguente principio di diritto: «La legge 8 febbraio 2006, n. 54
sull'esercizio della potestà in caso di crisi della coppia genitoriale e sull' affidamento condiviso, applicabile
anche ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati, ha corrispondentemente riplasmato l' art. 317
bis cod. civ., il quale, innovato nel suo contenuto precettivo, continua tuttavia a rappresentare lo statuto
normativo della potestà del genitore naturale e dell' affidamento del figlio nella crisi dell'unione di fatto,
sicché la competenza ad adottare i provvedimenti nell'interesse del figlio naturale spetta al tribunale per i
minorenni, in forza dell'art. 38, primo comma, disp. att. cod. civ., in parte qua non abrogato, neppure
tacitamente, dalla novella. La contestualità delle misure relative all'esercizio della potestà e all' affidamento
del figlio, da un lato, e di quelle economiche inerenti al loro mantenimento, dall'altro, prefigurata dai
novellati artt. 155 e ss. cod. civ., ha peraltro determinato - in sintonia con l'esigenza di evitare che i minori
ricevano dall'ordinamento un trattamento diseguale a seconda che siano nati da genitori coniugati oppure da
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genitori non coniugati, oltre che di escludere soluzioni interpretative che comportino un sacrificio del
principio di concentrazione delle tutele, che è aspetto centrale della ragionevole durata del processo - una
attrazione, in capo allo stesso giudice specializzato, della competenza a provvedere, altresì, sulla misura e
sul modo con cui ciascuno dei genitori naturali deve contribuire al mantenimento del figlio».
7. - La richiesta di regolamento è accolta, nei sensi di cui in motivazione.
Deve pertanto dichiararsi la competenza del Tribunale per i minorenni dì Milano a conoscere della domanda
proposta da Ma.Fa. nei confronti di St.Ma. per l' affidamento ed il mantenimento del loro figlio naturale
An.Ma.
P.Q.M.
La Corte dichiara la competenza del Tribunale per i minorenni di Milano a conoscere della domanda proposta
da Ma.Fa. nei confronti di St.Ma. per l' affidamento ed il mantenimento del loro figlio naturale An.Ma.; cassa
la pronuncia declinatoria del Tribunale per i minorenni di Milano.
Tribunale di Bologna sez. I, civ., 28.01.2007, n. 182
Famiglia - Divorzio - Giudizio divorzile - Provvedimenti riguardo ai figli - Disciplina del c.d. affido condiviso Processi pendenti alla data di entrata in vigore della legge 8 febbraio 2006, n. 54 - Applicabilità Fondamento
Operante, per espressa previsione normativa (art. 4, comma 2), anche nel giudizio divorzile, la disciplina del
c.d. affido condiviso, introdotta dalla legge 8 febbraio 2006, n. 54 si applica anche ai processi pendenti alla
data di entrata in vigore della medesima (16 marzo 2006). Ciò si desume agevolmente sia dalla natura e
dalla funzione dei provvedimenti relativi ad affidamento e mantenimento dei minori che dalle indicazioni
offerte dalla legge stessa: si tratta, infatti, di norme sostanziali che possono essere invocate dai genitori "in
ogni tempo" (così esplicitamente afferma il nuovo art. 155 ter c.c.) e che si applicano anche ai rapporti già
definiti con sentenza irrevocabile, come precisa l'art. 4, comma 1, della citata legge. Nè a ciò è di ostacolo il
fatto che manchi una esplicita richiesta ad opera delle parti, trattandosi pur sempre di materia relativa a
diritti indisponibili ed essendo comunque riservata al giudice la qualificazione giuridica dei rapporti regolati in
forza di provvedimento giurisdizionale. Inoltre, si osserva che il giudice deve valutare "prioritariamente", e
nell'interesse del figlio, l'affidamento del minore ad entrambi i genitori, affidamento al quale consegue non
tanto una parificazione circa modalità e tempi di svolgimento del rapporto tra il figlio e ciascuno dei genitori,
quanto piuttosto l'esercizio della potestà genitoriale da parte di entrambi i genitori ed una condivisione delle
decisioni di maggiore importanza, con possibilità di esercizio disgiunto per quanto riguarda le decisioni
relative alla vita quotidiana. La nuova legge, in altri termini, ispirata al principio della c.d. bigenitorialità, ha
come suoi primi destinatari i genitori e fa leva sulla responsabilità da ciascuno di essi assunta prima ancora
del (e indipendentemente dal) manifestarsi della crisi coniugale e del successivo intervento del giudice.
Famiglia - Divorzio - Giudizio divorzile - Provvedimenti riguardo ai figli - disciplina del c.d. affido condiviso Processi pendenti alla data di entrata in vigore della legge 8 febbraio 2006, n. 54 - Applicabilità Fondamento
ha pronunciato la seguente:
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI BOLOGNA
PRIMA SEZIONE CIVILE
SENTENZA
14
definitiva nella causa civile n. 8621/05 R. G.
promossa da
Br.Pa., nato il (...) a Im. (BO), ivi residente in via Vi. n. (...) (avv. Ro.Da.);
ATTORE contro Sa.St., nata il (...) a Im. (BO), ivi residente, via La.To. n. (...); CONVENUTA CONTUMACE
con l'intervento del Pubblico Ministero;
INTERVENUTO
Oggetto del processo: "cessazione effetti civili del matrimonio".
CONCLUSIONI
Per l'attore: Il procuratore del ricorrente precisa le conclusioni come da ricorso introduttivo (e cioè:
"Ottenere la sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario (...) alle seguenti
condizioni:
1) il figlio minore En. continuerà a vivere con la madre, in Im. (BO), via La.To. n. (...), la quale ne curerà
l'istruzione, l'educazione ed il mantenimento in accordo con il padre secondo gli obblighi di legge;
2) il padre trascorrerà con il figlio tutti i sabati del mese oltre a tre giorni infrasettimanali e comunque con
esclusione dei giorni domenicali in cui sarà sempre con la madre nonché almeno sette giorni consecutivi
durante il periodo estivo. Relativamente alle festività natalizie e quelle pasquali verrà concordato di volta in
volta fra i genitori con quale dei due En. passerà queste ricorrenze;
3) entrambi i genitori concorreranno, in parti uguali, a provvedere alle spese straordinarie quali scolastiche e
mediche, nonché a quelle sportive inerenti ad attività ricreative ed ad ogni altra eventuale occorrenda
nell'interesse e/o cura del minore En., da concordarsi di volta in volta;
6) il signor Br. ha già cominciato a versare a far data dal 1 aprile 2005 alla signora Sa., a titolo di concorso
nel mantenimento del figlio En., fino alla sua indipendenza economica, la somma di Euro 200,00 mensili da
rivalutarsi annualmente secondo gli indici ISTAT;
7) l'immobile, sito in Im. (BO), via Pi.La.To. b. (...), di proprietà dell'odierno ricorrente e della signora Sa.,
rimarrà in uso, insieme ai relativi arredi, a quest'ultima, fin tanto che il figlio En. avrà raggiunto la propria
indipendenza economica. Sino a tale momento la signora Sa. provvederà inoltre, in via esclusiva, ad ogni
spesa relativa alla gestione della ex casa coniugale»).
Per il Pubblico Ministero:
«Accoglimento della domanda».
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso datato 14 marzo 2005 ma depositato il 6 giugno 2005 l'attore ha chiesto pronunciarsi la
cessazione degli effetti civili del matrimonio alle condizioni di cui all'atto introduttivo ed in epigrafe trascritte
(collocazione del figlio preso la madre; assegno mensile di euro 200,00 a carico dal padre; concorso dei
genitori in parti uguali nelle spese straordinarie; casa familiare in godimento della madre).
Il ricorrente ha affermato tra l'altro che già nel dicembre 2004 era stata trasmessa alla signora Sa. copia del
ricorso per divorzio congiunto predisposto dall'avv. Ro.Da. (il cui contenuto è stato poi riprodotto nel ricorso
depositato il 6 giugno 2005, doc. 4) e che la signora Sa. aveva rispedito al mittente - senza sottoscriverlo quel ricorso accompagnato però da una lettera datata 15 gennaio 2005 e da lei sottoscritta per adesione alle
condizioni formulate nel ricorso stesso («dichiaro di accettare integralmente le condizioni esposte nel ricorso
... preciso inoltre che per motivi personal non intendo essere presente all'udienza presidenziale ... » doc. 6).
Ricorso e decreto sono stati ritualmente notificati ex art. 140 c. p. c. il 28 - 29 luglio 2005 (l'avviso inviato
per raccomandata è stato ricevuto il 30 luglio 2005).
All'udienza presidenziale 17 ottobre 2005 è personalmente comparso il solo ricorrente: il suo procuratore ha
prodotto dichiarazione scritta 15 gennaio 2005 con cui la convenuta dichiarava di accettare le condizioni di
cui al ricorso e in particolare l'assegno mensile di euro 200,00 a favore del figlio.
Fallita la conciliazione, il Presidente, mantenute «ferme le condizioni della separazione personale», ha
nominato il g. i. fissando la nuova udienza per comparizione davanti al g. i..
Il P. M. ha dichiarato di intervenire con riserva delle conclusioni.
15
Il verbale contenente l'ordinanza presidenziale è stato notificato alla convenuta il 5 novembre 2005.
All'udienza 16 febbraio 2006 la convenuta è stata dichiara contumace (come già nel giudizio di separazione).
All'udienza di trattazione ex art. 183 c.c. 10 marzo 2006 è comparso il procuratore del ricorrente che ha
chiesto l'ammissione dell'interrogatorio formale della convenuta a conferma di quanto da quest'ultima
dichiarato per iscritto il 15 gennaio 2005 (l'ordinanza ammissiva dell'interrogatorio formale è stata notificata
a mani proprie alla convenuta contumace il 21 marzo 2006).
All'udienza 3 aprile 2006 fissata per l'assunzione dell'interrogatorio formale la convenuta non è comparsa.
Con decreto presidenziale 27 aprile 2006 è stato designato un nuovo giudice istruttore.
Acquisiti i documenti prodotti e il parere del P. M., la causa viene m decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. La domanda di cessazione degli effetti civili del matrimonio è fondata.
Le parti hanno contratto matrimonio concordatario il 2 settembre 1990 a Bo..
Dalla loro unione il (...) 1992 è nato il figlio En., affidato alla madre già in occasione della separazione
giudiziale.
La famiglia abitava a Im. (BO) nella casa di via La.To. n. (...), assegnata alla moglie in sede di separazione
giudiziale.
Dai documenti prodotti risulta che tra le parti è intervenuta sentenza di separazione Trib. Bologna, 26
febbraio 2002, n. 709, non impugnata, emessa all'esito del giudizio promosso dal signor Br. e (come il
presente) svoltosi nella contumacia della signora Sa. (non sono emerse le ragioni per cui la signora Sa. non
si è presentata all'udienza presidenziale nel giudizio di separazione e nel presente procedimento, rimanendo
poi contumace in entrambe le cause).
Come pacifico in atti, e confermato dagli elementi raccolti, la separazione si è protratta ininterrottamente a
far tempo dall'avvenuta comparizione dei coniugi davanti al Presidente del Tribunale di Bologna (26 marzo
2001).
Il lungo periodo di separazione, le vicende intercorse, la condizione attuale delle parti (cfr. i certificati
anagrafici prodotti), dimostrano che la comunione spirituale e materiale tra i coniugi non può essere
ricostituita.
Ricorrono pertanto i presupposti richiesti dagli artt. 1 e 3, n. 2, lett. b), L. 1 dicembre 1970, n. 898 e
successive modificazioni.
2. Benché la convenuta non si sia costituita, può dirsi che vi sia sostanzialmente un accordo tra le parti.
In tal senso devono essere valutati, nel contesto mai conflittuale successivo alla crisi coniugale (la sentenza
di separazione non è stata impugnata né soggetta a revisione), da un lato, il contenuto del ricorso e le
conclusioni prese dal ricorrente; dall'altro, il comportamento della signora Sa. (alla quale sono stati notificati
il ricorso introduttivo, l'ordinanza presidenziale, l' ordinanza 10 marzo 2006 del giudice istruttore).
Come risulta dalla dichiarazione scritta 15 gennaio 2005 e dalla mancata comparizione della convenuta
all'udienza fissata per l'assunzione dell'interrogatorio formale (interrogatorio in realtà volto semplicemente ad
ottenere la conferma della provenienza e del contenuto della predetta dichiarazione scritta, portante la firma
della convenuta ma prodotta dal difensore dell'attrice all'udienza presidenziale), non vi è contrasto sulle
condizioni indicate nel ricorso.
3. Quanto all'affidamento del figlio, occorre applicare lo ius superveniens rappresentato dall'art. 155 c.c. nel
testo novellato dalla legge 8 febbraio 2006, n. 54 ed operante anche nel giudizio divorzile (art. 4, 2° c., L.
cit).
16
La disciplina del c.d. affido condiviso si applica anche ai processi pendenti alla data di entrata in vigore della
L. 8 febbraio 2006, n. 54 (16 marzo 2006). Ciò si desume agevolmente sia dalla natura e dalla funzione dei
provvedimenti relativi ad j affidamento e mantenimento dei minori (provvedimenti soggetti, persino dopo il
formale passaggio in giudicato della sentenza, alla clausola rebus sic stantibus: e le sopravvenienze possono
riguardare non solo circostanze di fatto ma anche novità a livello normativo) che dalle indicazioni offerte
dalla legge stessa: si tratta infatti di norme sostanziali che possono essere invocate dai genitori «in ogni
tempo» (così esplicitamente afferma il nuovo art. 115 ter c.c.) e si applicano anche ai rapporti già definiti
con sentenza irrevocabile, come precisa l'art. 4, 1° c., L. cit. («Nei casi in cui il decreto di omologa dei patti
di separazione consensuale, la sentenza di separazione giudiziale, di scioglimento, di annullamento o di
cessazione degli effetti civili del matrimonio sia già stata emessa alla data di entrata in vigore della presente
legge, ciascuno dei genitori può richiedere, nei modi previsti dall'articolo 710 del codice di procedura civile o
dall'articolo 9 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, e successive modificazioni, l'applicazione delle
disposizioni della presente legge»).
Né a ciò è di ostacolo il fatto che manchi un'esplicita richiesta ad opera delle parti, trattandosi pur sempre di
materia relativa a diritti indisponibili ed essendo comunque riservata al giudice la qualificazione giuridica dei
rapporti regolati in forza di provvedimento giurisdizionale (nel caso di specie, sono state richiamate le
conclusioni formulate nel ricorso introduttivo, ma al tempo dell'instaurazione del giudizio la nuova legge
neppure era stata approvata). Nel suo contenuto sostanziale, inoltre, l'accordo tra le parti, ossia la concreta
realtà dei rapporti quale rappresentata dal ricorrente e non contestata, appare del tutto riconducile alla
previsione del nuovo art. 155 c.c..
Come più volte osservato da questo Tribunale, oggi il giudice deve valutare «prioritariamente», e
nell'interesse del figlio, l'affidamento del minore ad entrambi i genitori, affidamento al quale consegue non
tanto una parificazione circa modalità e tempi di svolgimento del rapporto tra il figlio e ciascuno dei genitori,
quanto piuttosto l'esercizio della potestà genitoriale da parte di entrambi i genitori e una condivisione delle
decisioni di maggiore importanza, con possibilità di esercizio disgiunto per quanto riguarda le decisioni
relative alla vita quotidiana.
La nuova legge, ispirata al principio della c.d. bigenitorialità, ha come suoi primi destinatari i genitori e fa
leva sulla responsabilità da ciascuno di essi assunta prima ancora del (e indipendentemente dal) manifestarsi
della crisi coniugale e del successivo intervento del giudice.
Nel caso di specie, il semplice fatto della contumacia della convenuta non appare elemento significativo di
una situazione ostativa all'affidamento condiviso, da intendersi come esercizio della potestà da parte dei
genitori anche dopo il venir meno della convivenza.
Considerato l'assetto di rapporti instauratosi dal tempo della separazione (si tratta formalmente di una
separazione giudiziale pronunciata in contumacia della convenuta, ma di fatto neppure allora vi era stato
contrasto tra i coniugi - genitori), non vi è ragione per non applicare la nuova disciplina dell'affidamento
condiviso con la precisazione che il figlio continuerà ad abitare presso la madre.
Le decisioni di maggiori importanza saranno concordate tra i genitori.
En. è oramai quasi quindicenne: quanto alla disciplina dei tempi di permanenza del figlio presso i genitori,
possono essere accolte le condizioni proposte dal ricorrente ed accettate dalla convenuta.
In conformità a quanto richiesto dal ricorrente, la casa familiare, in comproprietà tra le parti, rimane
assegnata alla convenuta che vi abiterà sino al raggiungimento dell'indipendenza economica del figlio.
4. Anche l'accordo tra i genitori in ordine alle questioni economiche appare conforme all'interesse del minore
(dalla sentenza di separazione risulta che entrambi i genitori sono impiegati: la madre, a quel tempo,
lavorava part time).
Di fatto già dal 2005 il padre ha iniziato a pagare alla madre la somma mensile di euro 200,00 con
rivalutazione ISTAT.
Vi è accordo tra i genitori per la divisione in parti uguali, delle spese straordinarie.
5. Considerato l'esito della causa e l'adesione alla domanda da parte della convenuta, le spese processuali
17
vengono compensate.
P.Q.M.
Il Tribunale di Bologna in composizione collegiale, definitivamente pronunciando, nella contumacia della
convenuta e con l'intervento del P.M., ogni diversa domanda, istanza ed eccezione respinta:
- dichiara la cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio celebrato con rito
religioso in data 2 settembre 1990 a Im. (BO) da Br.Pa., nato il (...) a Im. (BO), e Sa.St., nata il (...) a Im.
(BO), trascritto nel registro degli atti di matrimonio del predetto Comune anno 1990 parte seconda serie A n.
137;
- ordina all'Ufficiale di stato civile del predetto Comune di procedere all'annotazione della sentenza;
- affida il figlio minore En. a entrambi i genitori che assumeranno di comune accordo le decisioni di maggior
interesse per il minore relative all'istruzione, all'educazione e alla salute tenendo conto delle capacità,
dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni del figlio;
- dispone che il figlio minore En. continui ad abitare con la madre;
- assegna la casa familiare a Sa.St. che vi abiterà sino al raggiungimento dell'indipendenza economica del
figlio;
- dispone che i genitori esercitino separatamente la potestà in ordine alle decisioni su questioni di ordinaria
amministrazione, decisioni che saranno assunte dal genitore durante il tempo di permanenza del figlio presso
di sé, e cioè dal genitore che in quel momento avrà con sé il figlio;
- dispone la seguente regolamentazione dei tempi di permanenza: salvo diverso accordo tra i genitori (i quali
dovranno tenere conto delle esigenze di studio e svago nonché delle richieste del minore), il padre
trascorrerà col figlio tutti i sabati del mese oltre a tre giorni infrasettimanali e comunque con esclusione della
domenica (giorno in cui il figlio sarà sempre con al madre) nonché almeno sette giorni consecutivi durante il
periodo estivo; i genitori concorderanno di volta in volta la regolamentazione dei periodi natalizio e pasquale;
- dispone che il padre a titolo di contributo al mantenimento del figlio En. versi alla madre la somma mensile
di Euro 200,00 oltre alla rivalutazione maturata da febbraio 2005 ad oggi, maggiorata di rivalutazione ISTAT
a decorrere da dicembre 2007, e concorra nella misura del 50% alle spese straordinarie quali scolastiche e
mediche nonché a quelle sportive inerenti ad attività creative ed ad ogni altra eventuale nell'interesse del
figlio En., da concordarsi tra i genitori di volta in volta;
- dichiara interamente compensate tra le parti le spese processuali.
Rassegna di giurisprudenza
Tribunale di Bologna sez. I, civ., 12.06.2007, n. 1470
Famiglia - Divorzio - Figli - Affidamento esclusivo - Configurabilità - Presupposti - Reiterata violazione da
parte dell'ex coniuge degli obblighi di mantenimento e di visita nei confronti della prole - Idoneità
all'affidamento esclusivo
Ai sensi dell'art. 155-bis, comma 1, c.c., "il giudice può disporre l'affidamento dei figli ad uno solo dei
genitori qualora ritenga con provvedimento motivato che l'affidamento all'altro sia contrario all'interesse del
minore". Sotto tale aspetto, si caratterizza come "contrario all'interesse del minore" il comportamento del
genitore gravemente nocivo sia in termini di sostentamento che di corretto sviluppo e formazione del minore
(nel caso di specie, il convenuto, rimasto contumace nel giudizio divorzile, si era reso in precedenza
inadempiente a tutti gli obblighi a lui imposti dalla separazione consensuale, omettendo di corrispondere le
somme dovute a titolo di mantenimento del minore e non ottemperando neppure agli obblighi di visita fissati
in sede di separazione). (Integrale disponibile in banca dati)
Tribunale per i Minorenni di Potenza decr. 30.05.2007
Filiazione naturale - Affidamento dei figli a entrambi i genitori - Forte conflittualità tra le parti - Irrilevanza Strumento di responsabilizzazione dei genitori - Configurabilità - Mancato superamento della conflittualità -
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Conseguenze
In presenza di una forte conflittualità tra i genitori, l' affidamento condiviso della minore, da un lato, tende a
riequilibrare una oggettiva situazione di svantaggio in cui versa la figura paterna (con rivalutazione della
stessa sul piano educativo e affettivo), e, dall'altro lato, deve essere di stimolo nei confronti di entrambe le
figure genitoriali (paritariamente responsabili di una sana ed equilibrata crescita psicofisica della figlia
minore) a mediare rispetto alle posizioni assunte. Ne discende che il mancato superamento della
conflittualità esistente, in quanto evidentemente pregiudizievole per la figlia minore, non potrà che
determinare l'autorità giudiziaria all'adozione, nei confronti di uno o di entrambi i genitori, di provvedimenti
ablativi o limitativi della potestà parentale (articoli 330 e 333 del codice civile). (1)
-----
(1) Con il provvedimento in esame, il tribunale per i minorenni di Potenza, pur disponendo l' affidamento condiviso della
minore, ha previsto, in via provvisoria, tempi di permanenza e di frequentazione della figlia con il genitore non
domiciliatario (nella specie: due ore a settimana presso la sede del servizio sociale territorialmente competente), propri
delle forme dell'affidamento esclusivo. Ne discende che, applicando i principi contenuti nell'articolo 2 del regolamento
(Ce) n. 2203/2003, non potrebbe neppure parlarsi di «diritti di affidamento» del padre nei confronti della figlia, bensì di
un mero diritto di visita (peraltro, fortemente limitato), nel senso esattamente del «diritto di condurre il minore in un
luogo diverso dalla sua residenza abituale per un periodo limitato di tempo». Deve rilevarsi, inoltre, la contraddittorietà
del citato provvedimento, che, da un lato, ha rilevato «il lungo lasso di tempo di totale mancanza di rapporti tra la
minore e il padre» (segno evidente di un difficile rapporto padre/figlia), e, dall'altro lato, ha disposto l' affidamento
condiviso della minore, con l'impropria finalità di «riequilibrare una oggettiva situazione di svantaggio in cui versa la
figura paterna, con rivalutazione della stessa sul piano educativo e affettivo». In fattispecie analoga a quella in esame, il
tribunale per i minorenni di Catania, con decreto del 19 marzo 2007 (in «www.affidamentocondiviso.it») ha disposto
l'affidamento esclusivo del figlio minore, sul rilievo che «proprio per le difficoltà padre-figlio... non appare al momento
realizzabile il suo diritto alla bigenitorialità». (C.Pad.)
Tribunale Bologna sez. I, civ., 27.03.2007, n. 654
Separazione e divorzio - Separazione - Affidamento condiviso dei figli minori
Nell'ambito di separazione personale di coniugi, osta all'applicazione dell'istituto dell'affidamento condiviso
dei figli minori, il comportamento tenuto dal padre, il quale non mostra di avere in gran cura gli interessi dei
minori, non ottemperando l'ordinanza presidenziale in punto di mantenimento dei minori medesimi.
Tribunale Napoli civ., 22.02.2007, n. 2839
Divorzio - Scioglimento del matrimonio - Requisiti - Sussistenza - Pronuncia - Affidamento condiviso - Facoltà
di scelta della residenza di riferimento
Nell'ipotesi di minore affidato di fatto, alternativamente, al padre e alla madre, per situazioni contingenti di
salute dei genitori stessi, il giudice del divorzio, in considerazione dell'età (minore quasi maggiorenne), nel
disporre l'affidamento condiviso non necessariamente deve indicare la residenza di riferimento, lasciando
libere le parti di sceglierla sull'accordo esistente e concreto, evidenziato anche dai servizi sociali. Si realizza in
tal modo anche a fronte del dissolvimento del nucleo coniugale quella solidarietà che caratterizza l'unione
familiare. (L.Err.)
Tribunale per i Minorenni di Napoli decr. 13.02.2007
Cessazione della convivenza more uxorio - Affidamento dei figli minori - Accordo raggiunto dai genitori Omologazione da parte del tribunale per i minorenni - Presupposti - Rispondenza agli interessi del minore conformità alla normativa sull' affidamento condiviso - Necessità
Allorché la coppia genitoriale, dopo la convivenza, ha visto cessare il proprio rapporto sentimentale e,
nonostante grandi difficoltà, ha trovato un accordo relativamente alle modalità di gestione della figlia
19
minore, è ammissibile e legittimo l'intervento del tribunale per i minorenni che, condividendo tale accordo, in
quanto in linea con gli interessi del minore e conforme alla nuova normativa sull' affidamento condiviso, ne
omologhi il contenuto. (Nella specie, l'accordo dei genitori prevedeva l' affidamento della figlia minore, di tre
anni, a entrambi, con collocazione privilegiata presso l'abitazione materna; mentre il padre avrebbe potuto
vedere e tenere con sé la figlia per due mattine alla settimana, nonché a week-end alternati dalle ore 16 del
sabato alle ore 20 della domenica).
Tribunale di Bologna sez. I, civ., 28.01.2007, n. 182
Figli - Affidamento condiviso - Processi pendenti - Applicabilità - Esplicita richiesta - Irrilevanza
Lo ius superveniens rappresentato dall'articolo 155 del c.c. nel testo novellato dalla legge 8/2/2006 n. 54 è
operante anche nel giudizio divorzile. La disciplina del cosiddetto affido condiviso si applica anche ai processi
pendenti alla data di entrata in vigore della legge 54/2006 (16/3/2006). Ciò si desume sia dalla natura e
dalla funzione dei provvedimenti relativi ad affidamento e mantenimento dei minori che dalle indicazioni
offerte dalla legge stessa: si tratta infatti di norme sostanziali che possono essere invocate dai genitori in
ogni tempo e si applicano anche ai rapporti già definiti con sentenza irrevocabile, come precisa l'articolo 4,
comma 1, della legge citata. Né a ciò è di ostacolo il fatto che manchi un'esplicita richiesta a opera delle
parti, trattandosi pur sempre di materia relativa a diritti indisponibili ed essendo comunque riservata al
giudice la qualificazione giuridica dei rapporti regolati in forza di provvedimento giurisdizionale.
Corte d'Appello Bari decr., 19.01.2007
Separazione personale - Affidamento dei figli a entrambi i genitori - Presupposti - Convergenza d'intenti dei
coniugi e consapevole adesione a un programma educativo - Necessità - Esasperata conflittualità tra i
coniugi - Motivi ostativi all'affidamento condiviso - Sussistenza
L'affidamento condiviso, pur in astratto possibile, per essere concretizzato richiede, da parte di entrambi i
genitori, una convergenza d'intenti e una consapevole adesione a un programma educativo comune,
difficilmente realizzabile tra chi ha scelto di porre termine al consorzio familiare con toni d'acceso conflitto.
Tribunale di Firenze sez. I, civ., 17.01.2007, n. 220
Cessazione degli effetti civili del matrimonio - Affidamento condiviso - Contrarietà all’interesse del minore Esclusione dell’ipotesi ordinaria di affidamento condiviso
In caso di cessazione degli effetti civili del matrimonio tra coniugi, genitori di una figlia minorenne, la totale
perdurante carenza di rapporti tra padre e figlia e l'assoluta motivata carenza di una richiesta della figlia di
avere rapporti con il padre, integra un motivo ostativo all' affidamento anche a quest'ultimo, cosicché va
esclusa l'ipotesi ordinaria di affidamento condiviso contemplata dalla legge. Infatti, se è vero, ai sensi
dell'art. 155 comma 2, c.c., che compito prioritario del giudicante è quello di valutare la possibilità che i figli
minori restino affidati ad entrambi i genitori, è pur vero, ai sensi dell'art. 155 bis c.c., che con provvedimento
motivato il medesimo giudicante, valutata la contrarietà all'interesse del minore dell' affidamento ad uno di
essi, possa disporre l' affidamento dei figli in via esclusiva all'altro genitore. (P.Russo) (Integrale disponibile
in banca dati)
Tribunale di Napoli sez. I, civ., 03.01.2007, n. 25
Famiglia - Separazione - Affidamento congiunto della prole - Obbligo del versamento di un assegno da
corrispondere al genitore con il quale i figli convivono - Compatibilità con l’istituto dell’affido condiviso
Nell'ipotesi in cui venga accolta la domanda di affido condiviso di un figlio minore ad entrambi i genitori, i
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quali decidano di comune accordo di concorrere al mantenimento del figlio con una somma mensile da
ripartirsi in eguale misura, il giudice, laddove ritenga tale somma palesemente incongrua, può anche
disporre tenuto conto della situazione reddituale dei genitori a carico di uno dei genitori un assegno mensile
di importo superiore. L'istituto dell'affidamento congiunto, infatti, è compatibile con la previsione di un
assegno di mantenimento in favore del genitore con il quale i figli convivono e a carico dell'altro (1).
(Integrale disponibile in banca dati)
----(1) In argomento, vedi Cass., sentenza n. 18187/2006: «L'affidamento congiunto, per le sue finalità riguardanti
l'interesse dei figli, non esclude l'obbligo del versamento di un contributo, ove ne sussistano i presupposti, a favore del
genitore con il quale i figli stessi convivono. È censurabile la decisione del giudice del merito che faccia erroneamente
derivare, come conseguenza «automatica», dall'affidamento congiunto il principio che ciascuno dei genitori provvede in
modo diretto e autonomo alle esigenze dei figli.
Tribunale per i Minorenni di Trento, civ., decr. 19.12.2006
Famiglia - Affidamento dei figli condiviso - Condizioni
Le nuove norme in materia di affidamento di figli in caso di cessazione della convivenza tra i genitori non
consentono di considerare la conflittualità o il disaccordo tra i genitori come causa di esclusione
dell'affidamento condiviso, in quanto il principio che si vuole salvaguardare è proprio quello del
coinvolgimento e della responsabilizzazione di tutte e due le figure genitoriali nella vita del figlio.
Tribunale per i Minorenni Milano civ., decr. 06.12.2006
Famiglia, maternità ed infanzia - Filiazione - Filiazione naturale - Affidamento di minori - Procedimento
pendente al 16.3.06 - Competenza del tribunale dei minori - Affidamento condiviso in caso di conflitto tra
genitori - Affidamento all'ente territoriale - Ammissibilità
L'affidamento condiviso non è impedito dal conflitto tra i genitori, laddove si intenda per affidamento
l'esercizio paritario della potestà e l'assunzione delle decisioni sull'educazione, istruzione, salute dei figli
minori. Il Giudice, comunque, tenendo in considerazione l'interesse primario dei figli può adottare differenti
soluzioni in relazione al comportamento dei genitori, potendo, ad esempio, affidare il minore al Comune di
residenza, in forza della previsione di cui all'art. 155 c.c. con affidamento ai genitori di una limitata potestà in
merito alle decisioni di ordinaria amministrazione.
Corte d'Appello Roma decr. 30.11.2006
Separazione - Presenza di figli minori - Distanza geografica tra i genitori - Affidamento condiviso - Esclusione
- Esercizio congiunto della potestà - Sussistenza - Atti di ordinaria amministrazione - Potestà del genitore con
il quale il minore dimora - Configurabilità
In tema di affidamento condiviso, la notevole distanza geografica tra i genitori può non giustificare la
concessione dell'affidamento del minore a entrambi i genitori, fermo restando l'esercizio della potestà da
parte di ambedue i genitori, ai quali spettano le decisioni di maggiore interesse per il minore, relative alla
sua istruzione, educazione e salute, da assumere di comune accordo tenendo conto dalle capacità,
dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni della figlia. Inoltre la notevole distanza esistente tra le residenze
dei genitori può determinare un esercizio separato della potestà parentale con riguardo alle sole decisioni su
questioni di ordinaria amministrazione nei tempi di permanenza della figlia presso ciascun genitore.
(Integrale disponibile in banca dati)
Tribunale di Bologna szi. I, civ., 24.11.2006, n. 2683
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Famiglia - Divorzio - Richiesta di affidamento congiunto della prole da parte del padre - Accesa conflittualità
nel rapporto fra i genitori - Ostacolo all’applicazione dell’affido condiviso - Esclusione
Anche in presenza di divergenze molto forti e di conflitti accesi fra i genitori divorziati, il Giudice può
decidere, su istanza di uno dei coniugi, l'affidamento condiviso della prole in quanto il principale interesse
perseguito dal legislatore mediante tale istituto è quello dell'interesse del minore. Quest'ultimo, infatti, deve
essere tutelato rispetto al comportamento irragionevole dei genitori che, al di là dei loro personali dissidi,
sono chiamati a mantenere separato il loro ruolo di membri di una coppia in crisi da quello di genitori,
assumendosi delle precise responsabilità nei confronti dei figli. (1)
-----
(1) In sede di divorzio, il disporre l'affidamento congiunto della prole anziché quello esclusivo è questione rimessa alla
valutazione discrezionale del giudice di merito il quale deve avere come parametro normativo di riferimento l'interesse
del minore ed, ove dia sufficientemente conto delle ragioni della decisione adottata, esprime un apprezzamento di fatto
non suscettibile di riesame in sede di legittimità ( in tal senso, Corte di Cassazione, sezione I civile, sentenza 20.01.2006,
n. 1202; Corte di Cassazione, sezione I civile, sentenza 27.06.2006, n. 14840)
Tribunale di Bologna sez. I, civ., 21.11.2006, n. 2637
Famiglia - Separazione - Legge 8 febbraio 2006, n. 54 - Disciplina del c.d. affido condiviso - Processi
pendenti alla data di entrata in vigore della legge - Applicabilità - Fondamento
La disciplina del c.d. affido condiviso si applica anche ai processi pendenti alla data di entrata in vigore della
legge 8 febbraio 2006, n. 54 (16 marzo 2006). Ciò si desume sia dalla natura e dalla funzione dei
provvedimenti relativi ad affidamento e mantenimento dei minori (provvedimenti soggetti, persino dopo il
formale passaggio in giudicato della sentenza, alla clausola rebus sic stantibus: e le sopravvenienze possono
riguardare non solo circostanze di fatto ma anche novità a livello normativo) che dalle indicazioni offerte
dalla legge stessa: si tratta, infatti, di norme sostanziali che possono essere invocate dai genitori "in ogni
tempo" (così esplicitamente afferma il nuovo art. 155 ter c.c.) e si applicano anche ai rapporti già definiti con
sentenza irrevocabile, come precisa l'art. 4, comma 1, della citata legge ("Nei casi in cui il decreto di
omologa dei patti di separazione consensuale, la sentenza di separazione giudiziale, di scioglimento, di
annullamento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio sia già stata emessa alla data di entrata in
vigore della presente legge, ciascuno dei genitori può richiedere, nei modi previsti dall'articolo 710 del codice
di procedura civile o dall'articolo 9 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, e successive modificazioni,
l'applicazione delle disposizioni della presente legge"). (1) (F.Cia)
-----
(1) A sostegno dell'assunto il giudice felsineo richiama una serie di precedenti della giurisprudenza di merito: vedi, ex
multis, Trib. Ascoli Piceno decreto 13 marzo 2006, Trib. Bologna 10 aprile 2006, n. 800, Trib. Catania 14 aprile 2006.
Corte d'Appello di Ancona civ., decr. 22.11.2006
Separazione personale - Mantenimento dei figli - Affidamento condiviso - Corresponsione dell’assegno
periodico al genitore convivente con i figli
Anche in caso di affidamento condiviso non viene meno l'obbligo di un genitore di versare all'altro, presso il
quale i figli vivono prevalentemente, l'assegno di mantenimento perché colui che tiene con carattere di
stabilità presso di sé i minori deve poter provvedere alla gestione delle somme.
Tribunale di Bologna sez. I, civ., 21.11.2006, n. 2637
Separazione dei coniugi - Conseguenze della separazione con riguardo alla prole - Affidamento condiviso
In tema di disposizioni in materia di separazione e divorzio, la legge 8/2/2006 n. 54 ha modificato, in modo
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sostanziale e processuale, la disciplina di dette materie. Tale normativa rimarca il principio secondo cui i
minori (legittimi e naturali) hanno diritto di conservare un rapporto continuativo e equilibrato con entrambe i
genitori, anche a seguito della rottura del rapporto di coniugio, di ricevere cura, educazione ed istruzioni da
entrambi, di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e i parenti di ciascun ramo genitoriale. In
particolare, la potestà genitoriale è esercitata da entrambe i genitori. Le decisioni di maggiore importanza
per i figli saranno assunte necessariamente in modo congiunto, mentre limitatamente alle questioni di
ordinaria amministrazione, il giudice può stabilire che i genitori esercitino la potestà separatamente.
Tribunale di Firenze sez. I, civ., decr. 15.11.2006
Separazione consensuale dei coniugi - Decreto di omologa emesso prima dell’entrata in vigore della l. n.
54/2006 - Ricorso per l’ottenimento dell’affidamento condiviso del minore - Eccezione di inammissibilità Infondatezza - Ammissibilità della domanda.
In caso di separazione consensuale dei coniugi, è del tutto infondata l'eccezione di inammissibilità formulata
rispetto alla domanda di affidamento condiviso avanzata dal padre di una bambina, considerato il chiaro
disposto in tal senso dell'art. 4 legge n. 54/2006 in base al quale «nei casi in cui il decreto di omologa dei
patti di separazione consensuale... sia già stato emesso alla data di entrata in vigore della presente legge,
ciascuno dei genitori può richiedere, nei modi previsti dall'art. 710 c.p.c. ... l'applicazione delle disposizioni
della presente legge» (1). (P.Russo) (Integrale disponibile in banca dati)
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(1) Nel merito, questo interessante provvedimento ha tra l'altro preso in considerazione il delicato tema del rapporto
collaborativo tra i coniugi separati nell'interesse del minore, stabilendo, nella fattispecie, «che poiché dagli atti emerge
evidente che non vi è ad oggi un clima di distesa collaborazione tra i genitori che il legislatore ha inteso richiedere agli
stessi quale indispensabile presupposto per una crescita serena dei minori e permane un clima conflittuale, sia opportuno
disporre che sulle questioni di ordinaria amministrazione la potestà sia esercitata separatamente allorché ciascuno avrà
la figlia presso di sé. Tale previsione appare necessaria al fine di evitare di esporre la figlia al conflitto genitoriale, su
questioni minute di limitato rilievo per la sua crescita ed educazione, per le quali non è imprescindibile un dialogo e un
confronto serrato tra i genitori, considerato che si tratta di questioni che non incidono sulle impostazioni di fondo della
vita della bambina».
Corte d'Appello Potenza civ., decr. 14.11.2006
Separazione dei coniugi - Affidamento dei figli - Affidamento condiviso - Conflittualità esistente tra i coniugi Rilevanza - Esclusione
L'esistenza di conflittualità tra i coniugi non costituisce ragione sufficiente per escludere l'affidamento
condiviso dei figli in caso di separazione. è compito degli stessi coniugi (ove non riescano a mantenere i loro
rapporti in limiti che la civiltà imporrebbe) far sì che la conflittualità non ridondi sul minore, il cui interesse è
quello di vivere quanto più possibile con entrambi i genitori, senza che nessuno di essi venga escluso dalla
sua vita quotidiana. Per escludere l'affidamento condiviso, occorre qualcosa di più profondo e dimostrato in
quanto se fosse sufficiente invocare l'esistenza di un contrasto tra genitori, verrebbe totalmente frustrata la
volontà della legge, certo essendo che non esiste separazione personale dei coniugi non accompagnata da
dissapori reciproci tra di loro. (Integrale disponibile in banca dati)
Tribunale di Napoli sez. I, civ., 02.11.2006, n. 119
Requisiti - Sussistenza - Affidamento condiviso - Diritto di visita libero
La presenza di una grossa conflittualità fra i coniugi, evidenziata anche dalla condotta processuale e dalle
ripetute e reciproche accuse, non ostacola l' affidamento condiviso, poiché lo stesso è previsto come regola
generale dalla legge 54/2006. Ne consegue che il parametro di riferimento del giudice è il rapporto padrefiglio o madrefiglio a nulla rilevando invece la reale portata dei rapporti fra i coniugi. La condivisione attiene
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allo spazio affettivo di ciascun genitore che deve essere reciprocamente garantito per l'equilibrato esercizio
della potestà. (L.Err.)
Tribunale di Napoli sez. I, civ., 02.11.2006, n. 90
Affidamento condiviso - Diritto di visita - Regolamentazione - Spese straordinarie
La bigenitorialità affermata dalla legge 54/2006 presuppone l'attuazione di un programma concordato per
l'educazione, la formazione, la cura e la gestione della prole nel rispetto delle esigenze e delle richieste dei
minori; di qui la necessità, in assenza di compiti prestabiliti, dello scambio continuo fra i genitori circa le
scelte operate nell'interesse degli stessi. Ne consegue che la presenza di un conflitto fra i genitori, palesato
anche dalla condotta processuale, non esclude la pronuncia di affido condiviso attenendo lo stesso
all'interesse del minore e alla ricaduta sull'esercizio della potestà genitoriale. (L.Err.)
Tribunale di Napoli sez. I bis, civ., 27.09.2006, n. 9562
Separazione - Pronuncia di separazione personale - Affidamento condiviso - Permanenza presso la madre diritto di visita liberamente concordato tra figlia e padre e comunicazione verbale alla madre – Assegni
familiari
In mancanza di ragioni ostative il tribunale affida la figlia minore a entrambe i genitori con permanenza
privilegiata presso la madre nella ex casa coniugale. Il diritto di visita, trattandosi di minore infra
quattordicenne, in considerazione del buon rapporto con il papà, non viene disciplinato lasciando ampi spazi
di incontro e di recupero ma, soprattutto, lasciando che le intese maturino direttamente fra le parti
interessate, informandone poi la madre. L'affido condiviso si propone come un'opportunità di relazione
affettiva, uno spazio in cui proteggere quanto c'è e farlo crescere nell'interesse di tutto il nucleo. La
contribuzione al mantenimento dei figli viene determinata tenendo conto delle rispettive capacità
economiche nonché del godimento della casa familiare quale maggiore utilità e al netto degli assegni
familiari. Ai sensi dell'articolo 211 della legge 151/1975, infatti, al coniuge cui sono affidati i figli ha diritto di
percepire gli assegni familiari per loro; l'affido condiviso non deroga a tale principio.
Corte di Cassazione sez. I, civ., 19.09.2006, n. 20256
Famiglia - Matrimonio - Separazione personale dei coniugi - Effetti - Legge n. 54 del 2006 - Efficacia
retroattiva - Esclusione - Decreto di omologa dei patti di separazione consensuale, sentenza di separazione
giudiziale (o di scioglimento, annullamento o cessazione degli effetti civili del matrimonio) già emessi alla
data di entrata in vigore della predetta legge - Richiesta da parte di ciascuno dei coniugi di applicazione delle
nuove disposizioni - ammissibilità - Modalità - Richiesta di modificazione di provvedimenti ex art. 710 cod.
proc. civ. (o art. 9 legge div.) - Necessità - Sussistenza
L'art. 4 comma primo, della legge n. 54 del 2006 stabilisce che nei casi in cui il decreto di omologa dei patti
di separazione consensuale, la sentenza di separazione giudiziale, di scioglimento, di annullamento o di
cessazione degli effetti civili del matrimonio siano già stati emessi al momento della entrata in vigore della
stessa legge, ciascuno dei coniugi possa richiedere nei modi previsti dall'art.710 cod. proc. civ., o dall'art. 9
della legge n. 898 del 1970, e successive modif., l'applicazione delle nuove disposizioni della citata legge n.
54 del 2006. Al di fuori di tali forme, dette disposizioni non possono trovare applicazione nei casi esaminati,
non contenendo la legge n. 54 del 2006 alcuna disposizione che deroghi al principio generale, sancito
dall'art. 11 delle preleggi, della irretroattività della legge. (Integrale disponibile in banca dati)
Corte di Cassazione sez. I, civ., 18.08.2006, n. 18187
Famiglia - Matrimonio - Separazione personale dei coniugi - Effetti - Provvedimenti per i figli - Affidamento
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dei figli - Affidamento congiunto - Ammissibilità - Effetti - Mantenimento dei figli - Obbligo di corresponsione
di un assegno da parte di uno dei genitori - Persistenza - Contribuzione paritaria dei genitori al
mantenimento - Conseguenza automatica dell'affidamento congiunto - Configurabilità - Esclusione.
L'affidamento congiunto dei figli ad entrambi i genitori - previsto dall'art. 6 della legge sul divorzio (1
dicembre 1970, n. 898, come sostituito dall'art. 11 della legge 6 marzo 1987, n. 74), analogicamente
applicabile anche alla separazione personale dei coniugi - è istituto che, in quanto fondato sull'esclusivo
interesse del minore, non fa venir meno l'obbligo patrimoniale di uno dei genitori di contribuire, con la
corresponsione di un assegno, al mantenimento dei figli, in relazione alle loro esigenze di vita, sulla base del
contesto familiare e sociale di appartenenza, rimanendo per converso escluso che l'istituto stesso implichi,
come conseguenza "automatica", che ciascuno dei genitori debba provvedere paritariamente, in modo
diretto ed autonomo, alle predette esigenze. (Nell'enunciare il principio in massima, la S.C. ha rilevato come
esso trovi conferma nelle nuove previsioni della legge 8 febbraio 2006, n. 54 in tema di affidamento
condiviso, peraltro successiva alla sentenza impugnata).
Famiglia - Separazione personale - Affidamento congiunto della prole -Mantenimento diretto e autonomo da
parte di ciascuno dei genitori quale conseguenza automatica dell'affidamento congiunto - Esclusione Obbligo del versamento di un contributo di mantenimento a favore del genitore con cui i figli convivono - In
relazione alle esigenze di vita della prole e sulla base del contesto familiare e sociale di appartenenza Sussistenza.
L'affidamento congiunto, per le sue finalità riguardanti l'interesse dei figli, non esclude l'obbligo del
versamento di un contributo, ove ne sussistano i presupposti, a favore del genitore con il quale i figli stessi
convivono. E' censurabile la decisione del giudice del merito che faccia erroneamente derivare, come
conseguenza «automatica», dall'affidamento congiunto il principio che ciascuno dei genitori provvede in
modo diretto e autonomo alle esigenze dei figli. (Integrale disponibile in banca dati)
Corte d'Appello di Bologna sez. I, civ., 03.07.2006, n. 745
Famiglia - Divorzio - affidamento del figlio minore alla madre - Appello - Richiesta di affidamento ad
entrambi i genitori - Deposito pronuncia impugnata prima dell'entrata in vigore della legge n.54/06 affidamento condiviso - Ammissibilità - Accoglimento della domanda
La pronuncia di primo grado che ha dichiarato il divorzio e disposto l' affidamento del figlio alla madre, pur
se emanata e depositata prima dell'entrata in vigore della legge n. 54/2006 (1), può essere riformata in sede
di appello nel senso di disporre l' affidamento della prole a entrambi i genitori. Invero, una tale disposizione,
indipendentemente dagli accordi raggiunti dalle parti deve essere adottata anche d'ufficio nel rispetto del
principio devolutivo qualora non risulti che l' affidamento ad uno dei genitori sia contrario all'interesse del
minore. Le modifiche normative, infatti, sono immediatamente applicabili ai rapporti giuridici quando non
venga in considerazione il loro momento genetico, ma la disciplina dei loro effetti (2). (L.Sca)
----(1) La riforma introdotta con la Legge n.54/2006 ha previsto, fra l'altro, come regola generale, salve ipotesi dettate a
favore dell'interesse del minore, l'istituto dell' affidamento condiviso
(2) Inoltre, osserva la Corte felsinea, la norma contenuta nell'art.4 della legge citata, secondo cui ciascuno dei genitori
può richiedere, nei modi previsti dall'art.710 c.p.c. o dall'art.9 della Legge n.898/70 l'applicazione delle disposizioni della
stessa legge, induce ad affermare che anche ragioni di economia processuale militino a sfavore di una pronuncia
contenente principi difformi alla normativa vigente e, per di più, immediatamente passibile di giudizio di revisione.
Tribunale di Chieti civ., ord. 28.06.2006
Separazione e divorzio - Affidamento dei figli - Affidamento condiviso - Conflittualita' tra i coniugiaffidamento condiviso - Regola generale - Affidamento monogenitoriale - Mera ipotesi residuale
A seguito dell'entrata in vigore della novella introdotta con la legge n. 54/2006 di immediata applicazione
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anche ai procedimenti pendenti, la regola è ormai quella dell' affidamento condiviso, essendo l' affidamento
esclusivo mera ipotesi residuale, da adottare solo quando il tribunale ritenga contrario all'interesse del
minore l'affido ad uno dei due genitori.
Separazione e divorzio - Affidamento dei figli - Affidamento condiviso - Eguale permanenza del minore
presso l'abitazione dei genitori - Legittimità
In tema di affidamento condiviso del figlio minore, il giudice, decidendo sui tempi e sulle modalità della sua
presenza presso ciascun genitore, salvo diverso accordo intervenuto tra le parti, può disporre la eguale
permanenza del minore presso entrambi i genitori
Tribunale di Napoli civ., 28.06.2006
Separazione di coniugi - Figli minori - Conflittualità tra i coniugi - Affidamento condiviso - Esclusione fattispecie
In tema di separazione personale dei coniugi, non può disporsi l' affidamento condiviso dei figli minori, in
quanto contrastante con il loro interesse, a fronte dell'accertata, fortissima conflittualità tra i coniugi
medesimi (nella specie il tribunale ha confermato l' affidamento in via esclusiva di un minore, di circa undici
anni di età, alla moglie, a fronte della radicale, quanto ingiustificata negazione della idoneità genitoriale di
quest'ultima da parte del marito, il quale l'aveva infondatamente accusata di aver avuto rapporti
omosessuali, ed atteso che la separazione era stata invece addebitata al marito perché questi aveva tenuto,
nei confronti della moglie, una condotta improntata a prevaricazione, intimidazione e violenza, anche alla
presenza del figlio). (Repertorio Lex24 - Zanichelli, Il Foro Italiano, 2007, 1, pg. 138, pt. I)
Corte d'Appello di Trento sez. I, civ., ord. 15.06.2006
Separazione e divorzio - Affidamento dei figli - Affidamento condiviso - Conflittualità tra i coniugi ed i
rispettivi nuclei familiari - Affidamento esclusivo della figlia - illegittimita' - Affidamento ad entrambi i genitori
con collocazione prevalente presso uno di essi - Necessità
In tema di affidamento dei figli minori, l'elevata conflittualità tra i coniugi non costituisce motivo sufficiente
per disattendere la scelta prioritaria dell' affidamento condiviso, secondo la recente riforma degli artt. 155 ss.
c.c., ferma restando, in ipotesi di tenera età della minore, la sua collocazione prevalente presso l'abitazione
di uno dei genitori, risultando pregiudizievole una modifica dell'assetto raggiunto dopo la fine della
convivenza tra i genitori, in quanto costituirebbe solo fonte di nuovo disagio per la stessa.
Tribunale di Firenze sez. I, civ., 07.06.2006, n. 2069
Famiglia - Scioglimento di matrimonio - Affidamento condiviso del minore - Caratteristiche - Applicabilità
Secondo l'attuale disposto dell'art. 155 c.c., come modificato dalla legge n. 54/2006 (c.d. Legge sull'
affidamento condiviso), al fine di garantire al minore, in caso di scioglimento del matrimonio dei genitori, la
conservazione di un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, nonché di ricevere cura,
educazione ed istruzione da entrambi, il giudice deve adottare i provvedimenti relativi alla prole con
esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di essa. Per attuare tale finalità, il giudice deve dunque
valutare prioritariamente la possibilità che il minore resti affidato ad entrambi i genitori, potendo disporre l'
affidamento ad uno solo di essi solo ove ritenga che l' affidamento all'altro sia contrario all'interesse del
minore (nel caso di specie, il tribunale ha disposto l' affidamento condiviso ad entrambi i genitori,
attribuendo al solo padre le decisioni su questioni di ordinaria amministrazione). (P.Russo) (Integrale
disponibile in banca dati)
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Tribunale di Catania sez. I, civ., ord. 01.06.2006
Separazione e divorzio - Affidamento dei figli - Affidamento condiviso - Conflittualità tra i coniugi Affidamento condiviso -- Regola generale - Affidamento ad uno solo dei genitori - Eccezione - Esistenza di
una mera conflittualità tra i coniugi - Irrilevanza - Presenza di ragioni concrete contrarie all'interesse del
minore - Necessità
L' affidamento esclusivo può esser adottato, in via di eccezione, solo in presenza del manifestarsi di concrete
ragioni contrarie all'interesse del minore (art.155 bis) che lo giustifichino, quali in via esemplificativa, la
obiettiva lontananza del genitore, il suo stato di salute psichica, l'insanabile contrasto con i figli, la sua
anomala condotta di vita (ad esempio se detenuto o altro), ovvero ancora -secondo quanto da taluni
ritenuto- il suo disinteresse e gli accordi espliciti o taciti in tal senso raggiunti dalle parti (in base alla lettera
dell'art. 155 c.c il giudice infatti "prende atto, se non contrari all'interesse dei figli degli accordi intervenuti
tra i genitori" donde la norma va letta sganciandola dal successivo art. 155 bis c.c. secondo cui deve
valutarsi se il mancato affidamento all'altro sia contrario all'interesse del minore).
Separazione e divorzio - Affidamento dei figli - Affidamento condiviso - Conflittualità tra i coniugi Affidamento condiviso - Regola generale - Affidamento ad uno solo dei genitori - Eccezione - Esistenza di
una mera conflittualità tra i coniugi - Irrilevanza - Presenza di ragioni concrete contrarie all'interesse del
minore - Necessità
La legge di riforma in esame laddove dispone che il giudice valuti prioritariamente la possibilità che i figli
restino affidati ad entrambi i genitori (art.155 comma 2 c.c.) ha inteso prevedere come regola quella che
prima era un eccezione, riaffermando così il diritto alla bigenitorialità. L' affidamento condiviso non può
peraltro ritenersi precluso di per sé dalla mera conflittualità esistente (come nel caso in esame) tra i coniugi,
poiché altrimenti avrebbe solo un applicazione residuale, coincidente con il vecchio affidamento congiunto, e
ciò anche considerato il fatto che l'uno dei coniugi potrebbe strumentalmente innescare in via unilaterale i
conflitti al fine magari di orientare il decidente verso un affidamento esclusivo.
Separazione e divorzio - Affidamento dei figli - Affidamento condiviso - Conflittualità tra i coniugi Affidamento condiviso - Regola generale - Affidamento ad uno solo dei genitori - Eccezione -presenza di
ragioni concrete contrarie all'interesse del minore - Necessità
Nell'ipotesi di conflittualità o comunque di opportunità di programmazione, pur nell'ambito dell' affidamento
condiviso, l'intervento del giudice soccorrerà oltre a stabilire con quale dei genitori la prole debba convivere,
a disciplinare i diversi tempi di permanenza e la "elasticità" o -viceversa - "rigidità" delle disposizioni
impartite al riguardo verrà graduata caso per caso sino anche a coincidere, per il genitore non convivente,
con il vecchio "diritto di visita": ma con la differenza in questo caso che verrà comunque conservato
l'esercizio della potestà e quindi il diritto ad aver voce in capitolo anche nei rapporti con i terzi (ad esempio
nell'ambito scolastico).
Tribunale di Catania sez. I, civ., ord.18.05.2006
Separazione e divorzio - Affidamento dei figli - Affidamento condiviso - Conflittualità tra i coniugi - Irrilevanza
- Presenza di ragioni concrete contrarie all'interesse del minore - Necessità
In tema di affidamento dei figli minori, alla luce della ratio legis sottesa alla novella, la sussistenza di una
notevole conflittualità tra i coniugi, di per sé, non è ostativa all' affidamento condiviso, ne consegue che l'
affidamento dei figli ad uno solo dei genitori può essere disposto soltanto in presenza di elementi che
travalicano i limiti dell'ordinaria conflittualità, in presenza dei quali l' affidamento condiviso risulterebbe
contrario all'interesse morale e materiale del minore (Nella specie, il padre si trovava in stato di detenzione
per il reato di tentato omicidio della moglie ed era, altresì, affetto, per sua stessa ammissione, da gravi
patologie psichiche).
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Corte di Cassazione sez. I, civ., 05.05.2006, n. 10374
Famiglia - Potestà dei genitori - Convenzione de l'aja del 25.10.1980 sugli effetti civili della sottrazione
internazionale dei minori, resa esecutiva con legge n. 64 del 1994 - diritto di affidamento e diritto di visita tutela differenziata - Diritto di visita del genitore non affidatario - Violazione - Trasferimento della residenza
del minore - Illiceità - Esclusione - Ritorno immediato del minore nello stato di sua residenza abituale obbligatorietà - Esclusione - Garanzia dell'esercizio del diritto di visita - Modalità e limiti - Nuova disciplina
codicistica ex art. 155 - quater cod. civ., introdotto dall'art. 1, comma 2, della legge n. 54 del 2006
La Convenzione de L'Aja del 25 ottobre 1980 sugli effetti civili della sottrazione internazionale di minori,
ratificata e resa esecutiva in Italia con la legge n. 64 del 1994 distingue nettamente il diritto di affidamento
dal diritto di visita e prevede per le due situazioni una tutela differenziata, sancendo l'immediato ritorno del
minore nello Stato di residenza abituale esclusivamente per l'ipotesi di illecito trasferimento o trattenimento,
che ricorre solo in caso di violazione del diritto di affidamento o custodia, mentre, allorché il genitore
affidatario scelga una diversa residenza, la caratterizzazione del trasferimento come lecito impedisce all'altro
genitore di chiedere il ritorno immediato del minore, potendo, invece, costui solo sollecitare l'Autorità
centrale, ai sensi dell'art. 21 della Convenzione, a compiere tutti i passi necessari per rimuovere, per quanto
possibile, ogni ostacolo all'esercizio del suo diritto, ovvero rivolgersi al giudice della separazione, o del
divorzio, per ottenere una rivalutazione delle condizioni dell'affidamento alla stregua della nuova circostanza
del trasferimento della residenza del minore. La relativa procedura tra l'altro, ha trovato di recente
formalizzazione anche nel codice civile, attraverso la introduzione, ad opera dell'art. 1 comma secondo, della
legge 8 febbraio 2006, n. 54. (Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei
figli), dell'art. 155 quater che, al secondo comma, dispone che «nel caso in cui uno dei coniugi cambi la
residenza o il domicilio, l'altro coniuge può chiedere, se il mutamento interferisce con le modalità
dell'affidamento, la ridefinizione degli accordi o dei provvedimenti adottati, ivi compresi quelli
economici».(Integrale disponibile in banca dati)
Corte d'Appello di Milano civ. decr. 30.03.2006
Separazione e divorzio - Affidamento dei figli - Affidamento condiviso - Conflittualità tra i coniugi - Ragioni
manifestamente ostative all' affidamento condiviso - Necessità
In presenza di caratteristiche personali di un genitore che lo rendano pervicacemente restio a seguire ogni
indicazione che possa favorire un riparto non conflittuale delle funzioni genitoriali solo l' affidamento
esclusivo della prole all'altro genitore pare la soluzione che meglio possa assicurare il sereno sviluppo della
personalità dei figli stessi, in conformità agli obiettivi perseguiti dalla previsione normativa di cui all'art. 155
bis c.c. in caso di violazione dei doveri genitoriali.
Competenza
Tribunale per i Minorenni di Roma civ., 17.10.2006, n. 6229
Filiazione naturale - Affidamento dei figli - Affidamento condiviso - Competenza funzionale del tribunale dei
minorenni - Insussistenza - Competenza funzionale del tribunale ordinario - Sussistenza
Con la legge 54/2006 il legislatore ha inteso attribuire al tribunale ordinario, lo stesso giudice della
separazione dei genitori coniugati, la competenza a provvedere in tema di affidamento di figli naturali di
genitori non più conviventi tra loro. Solo a detto giudice pertanto è rimesso per effetto della novella il potere
di regolamentare i contatti tra il minore e l'altro genitore nonché di stabilire l'entità dell'assegno di
mantenimento a carico di quest'ultimo e la quota spese straordinarie di cui questi deve farsi carico.
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Tribunale di Monza sez. IV, civ., ord. 11.10.2006
Filiazione naturale - Affidamento dei figli - Affidamento condiviso - Giudice competente a decidere della
domanda proposta da genitore naturale - Dichiarazione di incompetenza - Presenza di altro provvedimento di
incompetenza del tribunale per i minorenni - Ricorso per regolamento di competenza - Trasmissione degli
atti alla corte di cassazione
Dichiarata dal tribunale per i minorenni la propria incompetenza rationae materiae a conoscere della
domanda diretta a stabilire le condizioni dell' affidamento del figlio naturale di genitori non coniugati e
riassunto il procedimento innanzi al tribunale ordinario indicato come competente quest'ultimo può sollevare
conflitto di competenza ai sensi dell'art. 45 c.p.c.
Tribunale di Monza sez. IV, civ., 29.06.2006
Filiazione naturale - Affidamento dei figli - Affidamento condiviso - Giudice competente a decidere della
domanda proposta da genitore naturale - Tribunale per i minorenni
La nuova disciplina dell'affido condiviso non ha inciso a livello del riparto delle competenze tra Tribunale
ordinario e Tribunale per i minorenni. Invece, il fatto che il giudice chiamato a decidere sull' affidamento
condiviso debba contestualmente fissare anche "la misura e modo con cui ciascuno dei genitori deve
contribuire al mantenimento, alla cura, all'istruzione ed all'educazione dei figli" e che l'art. 155, 2° comma,
cod. civ., applicabile alle unioni di fatto in crisi, preveda l'adozione di "ogni altro provvedimento relativo alla
prole", fa ritenere che non sia più proponibile lo sdoppiamento di competenze tra Tribunale per i minorenni e
Tribunale ordinario, cosicché anche le determinazioni di ordine economico dovranno essere adottate dal
giudice minorile nell'ambito dei rapporti di sua competenza.
Tribunale di Milano civ., 28.06.2006, n. 7711
Minori - affidamento condiviso - Giudice competente a decidere della domanda proposta da genitore naturale
- Tribunale per i minorenni.
Anche dopo l'entrata in vigore della legge 8 febbraio 2006, n. 54 è competente il tribunale per i minorenni, ai
sensi dell'articolo 317 bis del Cc e 38 delle disposizioni di attuazione del Cc, a decidere sulla domanda di
affidamento di un minore proposta dal genitore naturale, non contenendo l'articolo 4 della suddetta legge,
che estende l'applicazione della riforma anche ai figli naturali, alcuna disposizione espressa in tema di
competenza giurisdizionale. (Integrale disponibile in banca dati)
Tribunale di Catania sez. I, civ., 14.04.2006
Filiazione naturale - Affidamento dei figli - Affidamento condiviso - Giudice competente a decidere della
domanda proposta da genitore naturale - Tribunale per i minorenni
In tema di affidamento di figli naturali, in seguito all'entrata in vigore della legge n. 54/2006 il Tribunale per i
minorenni è competente anche in relazione all'assegno di mantenimento poiché la legge (ivi compresi gli
aspetti patrimoniali) si applica "ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati". La tesi può
accogliersi in riferimento alle statuizioni patrimoniali da emettersi "contestualmente" al procedimento di
affidamento dei figli naturali (così codificando una prassi seguita da molti tribunali), ferma restando quella
del Tribunale ordinario negli altri casi.
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COMMENTI
Famiglia e minori
Famiglia e Minori n. 7, 01.07.2007 pg. 70 - E. Buldo
Una scelta di buon senso che non intacca l'esercizio della potestà
La decisione della Corte d'appello di Roma del 30 novembre 2006 invita a riflettere su alcuni rilevanti
interrogativi che continua a suscitare la legge 8 febbraio 2006 n. 54.
La vicenda - Con il decreto de quo i giudici di secondo grado della capitale, ritenendo l'affidamento condiviso
non confacente all'interesse della prole, hanno affidato la minore in modo esclusivo alla madre,
riconoscendo, tuttavia, in capo a entrambi i genitori l'esercizio della potestà genitoriale, da esercitarsi in
modo congiunto per le decisioni di maggiore interesse e separatamente, in base al tempo di permanenza
della figlia presso ciascuno, per le decisioni di carattere ordinario.
Il provvedimento annotato veniva reso in parziale accoglimento dell'accordo raggiunto dai genitori in corso di
causa, accordo ritenuto dal giudice adito rispondente al preminente interesse della minore e ai suoi diritti,
statuiti dal comma 1 dell'articolo 155 del Cc, come novellato dalla legge n. 54 del 2006 «di mantenere un
rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da
entrambi».
Si ricorda che, allo scopo di realizzare i diritti suindicati, l'articolo 155 comma 2 del Cc nuovo testo privilegia,
quale regime di affidamento della prole, quello condiviso, dovendo il giudice valutare prioritariamente la
possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori e solo subordinatamente stabilire a quale di
essi i figli sono affidati.
Il nuovo testo dell'articolo 155 del Cc prosegue stabilendo, al comma 3, senza peraltro alcuno specifico
riferimento all'ipotesi di affido condiviso, che la potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori e che le
decisioni di maggiore importanza relative alla prole debbono essere assunte di comune accordo dagli stessi,
salva la possibilità per il giudice, con riferimento alle sole decisioni su questioni di ordinaria amministrazione,
di stabilire l'esercizio separato delle potestà.
Conseguentemente, in base all'interpretazione letterale del nuovo testo dell'articolo 155 del Cc, sembrerebbe
riconosciuto a entrambi i genitori, indipendentemente dal regime di affidamento stabilito, l'esercizio della
potestà genitoriale (da esercitarsi, in via generale, congiuntamente, e quindi in accordo tra gli stessi, e
separatamente solo in caso di specifica statuizione dell'autorità giudicante, limitatamente alle questioni di
ordinaria amministrazione).
È da rilevare, difatti, che la problematica della potestà non viene affatto trattata nel successivo articolo 155
bis del Cc, introdotto dalla legge n. 54 del 2006 e dedicato precipuamente all'ipotesi residuale di affidamento
monogenitoriale, da disporre con provvedimento motivato solo nel caso in cui l'affidamento all'altro genitore
sia contrario all'interesse della prole.
L'esercizio separato della potestà - Nella fattispecie de qua, la Corte d'appello adita, applicando letteralmente
la novella normativa, dopo aver ritenuto non confacente al superiore interesse della minore l'affidamento
condiviso a entrambi i genitori - data la notevole distanza tra le rispettive residenze - e conseguentemente
affidato la bambina in modo esclusivo alla madre, ha stabilito in relazione all'esercizio della potestà
genitoriale in conformità ai principi contenuti nel comma 3 dell'articolo 155 del Cc, nuovo testo. Difatti,
l'autorità giudicante ha riconosciuto l'esercizio della potestà in modo congiunto a entrambi i genitori, pur
stabilendo che essi esercitino separatamente la potestà stessa in ordine alle questioni di ordinaria
amministrazione nei tempi di permanenza della minore presso ciascuno di essi, con ciò avvalendosi del
potere discrezionale che la legge attribuisce al giudice e che, peraltro, nel caso di specie, sembra
correttamente esercitato in relazione alla distanza geografica tra le residenze dei due genitori, distanza che
renderebbe di fatto complicato un esercizio congiunto anche per le questioni di ordinaria amministrazione.
Ancorché appaia adeguata, in relazione alle circostanze di fatto relative al caso in esame, la decisione sulle
modalità di esercizio della potestà genitoriale stabilita dal collegio giudicante - in ragione, appunto, della
notevole distanza sussistente tra le residenze dei genitori - sarebbe stato opportuno far seguire alla giusta
30
statuizione in materia di potestà il regime di affidamento condiviso.
Infatti, anche se le novella normativa non prevede modalità di esercizio della potestà genitoriale diversificate
a seconda del regime di affidamento stabilito, risulta ragionevole, nel superiore interesse del minore - con
esclusivo riferimento al quale debbono essere prese tutte le decisioni che lo riguardano in base non solo
all'articolo 155 comma 2, del Cc, come novellato dalla legge 54 del 2006 ma anche ex articolo 3 della
Convenzione sui diritti del Fanciullo di New York del 20 novembre 1989 - ritenere l'esercizio della potestà
collegato all'affidamento genitoriale e pertanto, non applicabile, in caso di affidamento esclusivo, il comma 3
dell'articolo 155 del Cc che riconosce tout court a entrambi i genitori l'esercizio della potestà.
Tale soluzione appare condivisibile perché, essendo l'affidamento un istituto attinente alle scelte genitoriali,
diversamente, qualora cioè l'esercizio della potestà fosse regolato in modo uniforme sia in caso di affido
condiviso che monogenitoriale, in base al novellato articolo 155 comma 3 del Cc, le differenze tra i due
regimi di affidamento scomparirebbero quasi del tutto; inoltre, se venisse riconosciuto l'esercizio della
potestà anche al genitore non affidatario, verrebbero contraddette le finalità dell'affidamento esclusivo di
evitare intromissioni del genitore non affidatario dannose per la prole.
Si ricorda, difatti, che il disposto previgente dell'articolo 155 del Cc - da ritenersi comunque non più
applicabile in assenza di una specifico rinvio da parte della novella normativa - riconosceva, salvo diversa
statuizione del giudice, l'esercizio della potestà genitoriale esclusivamente in capo al genitore affidatario.
Pertanto, qualora si ritenga necessario disporre l'affidamento a un solo genitore, sarebbe opportuno, da
parte del giudice, sopperire al «vuoto» normativo stabilendo un regime appropriato di esercizio della potestà
genitoriale.
D'altronde, proprio in considerazione del fatto che affidamento ed esercizio della potestà sono istituti tra loro
strettamente collegati, essendo stato ritenuto, nel caso in esame, confacente all'interesse superiore della
minore l'esercizio della potestà anche da parte del padre, e conseguentemente la possibilità per questi di
assumere decisioni di carattere ordinario, collegate ad aspetti di vita quotidiana della figlia, non si
comprende perché affidare quest'ultima solo alla madre.
L'affidamento condiviso, infatti, come espressamente statuito dalla normativa introdotta dalla legge n. 54 del
2006 può essere escluso solo se lo stesso, e il conseguente riconoscimento in capo a entrambi gli affidatari
dell'esercizio della potestà genitoriale, possano danneggiare l'interesse superiore del minore e, quindi,
compromettere il suo sereno sviluppo e la sua salute psicofisica.
Nel caso di specie non emergono situazioni tali da far ritenere l'affidamento anche all'altro genitore contrario
all'interesse della minore.
Né può considerarsi valido motivo per escludere l'affidamento condiviso, la notevole distanza sussistente tra
le residenze dei genitori, unico motivo che sembrerebbe aver portato il collegio giudicante ad assumere la
decisione in esame.
Proprio la possibilità prevista dal nuovo testo dell'articolo 155 del Cc, peraltro correttamente utilizzata dalla
Corte d'appello adita, di autorizzare l'esercizio della potestà genitoriale separatamente per le questioni di
ordinaria amministrazione, rende evidentemente applicabile l'affido condiviso anche in ipotesi di genitori
dimoranti in Stati diversi.
Infatti, come giustamente osservato nella decisione de qua, la notevole distanza tra le residenze dei genitori
consiglia l'esercizio separato della potestà parentale per le decisioni da adottarsi giorno per giorno, ma non
di certo esclude tout court l'affidamento della prole anche al genitore non convivente.
In conclusione, nel superiore interesse della prole, sarebbe stato opportuno e ragionevole che la novella
normativa avesse riconosciuto espressamente l'esercizio della potestà genitoriale, per quanto attiene alle
decisioni di carattere ordinario, in modo esclusivo in capo al genitore affidatario e che, quindi, la regola
generale stabilita dal nuovo testo dell'articolo 155 del Cc fosse stata limitata all'ipotesi di affidamento
condiviso. In pratica, il legislatore avrebbe dovuto prevedere un regime della potestà collegato, ex lege,
all'affidamento monogenitoriale differenziato da quello introdotto dall'articolo 155 comma 3 del codice civile.
Di fronte a tale vuoto normativo, appare congruo, al fine di tutelare l'interesse della prole, ritenere l'autorità
giudicante investita del compito di stabilire, in considerazione delle circostanze concrete, un diverso regime
di esercizio della potestà.
Qualora, comunque, i genitori risiedano in luoghi distanti, è certamente opportuno disporre l'esercizio
separato della potestà genitoriale in ordine alle decisioni quotidiane da adottarsi per la prole, ma non per
questo necessariamente escludere l'affido anche al genitore non convivente.
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Guida al Diritto
Guida al Diritto n. 10, 10.03.2007 pg. 10 – Marino Maglietta
Affido condiviso: un anno di vita tra difficoltà e scarsa conoscenza
Un monitoraggio di Crescere Insieme, avviato subito dopo l'entrata in vigore della legge 54/2006 ha
permesso di rilevare un marcato disorientamento degli addetti ai lavori che si traduce in provvedimenti assai
disomogenei.
È opportuno precisare subito che non si tratta di interpretazioni diverse di passi ambigui, o di quella
fisiologica variabilità che si colloca all'interno dei giusti poteri discrezionali del magistrato, ma di un vero e
proprio mancato rispetto della norma là dove si presenta non equivoca. Ad esempio, esiste ancora,
indubbiamente, la possibilità di stabilire un affidamento esclusivo, ma questo non è rimesso alla libera
valutazione del giudice, bensì disciplinato dall'articolo 155 bis. E il 155 bis al comma 1 non dice che il giudice
può, nell'interesse del minore, valutare a suo insindacabile giudizio quale regime è più adatto a fare
l'interesse del figlio; non dice che si stabilisce l' affidamento esclusivo ove l' affidamento condiviso sia
ritenuto contrario all'interesse del minore.
Stabilisce, invece, che si può escludere un genitore dall' affidamento ove quel genitore presenti carenze o
motivi di inadeguatezza tali da poter portare pregiudizio al figlio, come del resto conferma il successivo
comma che invoca la necessità del sussistere di oggettive circostanze di fatto a carico di un genitore e
sanziona le false accuse.
Se l' affidamento esclusivo potesse basarsi su una preferenza, su una opinione, la sanzione sarebbe
impensabile. A dispetto di questa limpida enunciazione è stato sviluppato in alcuni tribunali una sorta di
sillogismo, le cui perverse conseguenze si ritrovano in provvedimenti sparsi un po' ovunque per l'Italia. Il
ragionamento (si veda, ad esempio, tribunale di Napoli, 28 giugno 2006) si fonda su queste affermazioni:
a) l' affidamento condiviso e l' affidamento congiunto sono all'incirca la stessa cosa;
b) l' affidamento congiunto veniva concesso in casi estremamente limitati, e solo ove fossero rispettati
determinati prerequisiti, come la bassa conflittualità, un'elevata età dei figli e una ridotta distanza tra le
abitazioni;
c) dunque l' affidamento condiviso per essere concesso deve soddisfare le medesime condizioni, e tutta la
giurisprudenza accumulata negli anni per l' affidamento congiunto (ovviamente si parla di quella ostile a
esso) è trasferibile all' affidamento condiviso.
Ma è facile vedere l'infondatezza dell'affermazione al punto a). Al di là del fatto che per introdurre l'
affidamento condiviso è stata utilizzata un'apposita legge, strutturata in numerosi articoli, che ne illustrano
tutta una serie di aspetti sconosciuti al congiunto, introdotto senza alcuna definizione, anche limitandosi alla
giurisprudenza maggioritaria relativa all' affidamento congiunto questo prevedeva la necessità di una
permanente consultazione tra i genitori, tenuti a concordare ogni decisione anche di minimale importanza,
mentre il condiviso ha introdotto l'esercizio separato della potestà limitatamente alla gestione del quotidiano,
proprio per consentire al figlio un rapporto equilibrato con entrambi i genitori e di essere accudito da
ciascuno di essi anche quando la conflittualità non consente collaborazione. Senza contare che anche
l'affermazione al punto b) è falsa. Una corrente di pensiero sempre più largamente diffusa vedeva
nell'elevata conflittualità un motivo per non concedere l' affidamento esclusivo - che sarebbe stato fonte di
conflitti ancora maggiori, discriminando pesantemente i genitori - a favore dell' affidamento a entrambi
(affidamento congiunto terapeutico). Dunque il ragionamento del tribunale di Napoli è privo di fondamento
in ogni suo aspetto e sono estranee alla legge tutte le sue consapevoli o inconsapevoli applicazioni: ad
esempio, la sentenza del tribunale di Monza del 15 maggio 2006 - analoga a innumerevoli altre - che nega l'
affidamento condiviso per i «gravi e persistenti contrasti tra i genitori», o il provvedimento del tribunale di
Locri (n. 171 RGVG, 20 luglio 2006) che al medesimo scopo utilizza la tenera età dei figli e, in altro
provvedimento, la distanza fra le abitazioni (12 km).
D'altra parte, per comprendere quanto al momento non sia osservata la legge 54/2006 basta leggere i
quesiti posti in una larga varietà di casi al consulente tecnico d'ufficio, formulati non come richiesta di
verificare l'eventuale esistenza in qualcuno dei genitori di motivi di pregiudizio per il figlio e in assenza di
questi individuare le migliori condizioni per realizzare l' affidamento condiviso; bensì come richiesta di
valutare quale sia il tipo di affidamento da preferire nell'interesse del minore, se non addirittura il genitore
più idoneo a essere affidatario.
Naturalmente questo non avviene ovunque. In varie altre situazioni il magistrato correttamente afferma che
32
a dispetto della conflittualità si deve dare l' affidamento condiviso perché nessuno dei genitori appare
inidoneo (si veda, ad esempio, il tribunale di Catania, 16 giugno 2006).
Il risultato di questa imprevedibile variabilità è che per il cittadino viene meno la certezza del diritto. La sorte
di chi si presenta a Pisa è molto probabilmente diversa da quella di chi, in condizioni perfettamente
analoghe, si presenta a Livorno, come in una sorta di mondo medioevale in cui ciascun feudatario si fa la
propria legge.
Alla sostanziale inosservanza della norma sulla scelta del tipo di affidamento è da affiancare un'altra rilevante
disapplicazione: il totale oblio della forma diretta del mantenimento fin qui riscontrato in quasi tutti i
provvedimenti e le sentenze passate in esame dall'associazione, a favore del sempiterno assegno. Una scelta
che penalizza fortemente il figlio, al quale toglie la gratificazione di ricevere attenzione ai suoi bisogni da
parte di entrambi i genitori e di frequentarli entrambi nel quotidiano, così come di conseguenza, gli toglie il
recupero dei fine-settimana per le proprie attività ricreative e la propria vita sociale, mantenendo di fatto
l'aberrante prassi della visita domenicale.
Questo comportamento di alcuni magistrati o addirittura di alcuni tribunali, non importa se dovuto a ostilità
preconcetta o disattenzione, pone anche innegabilmente una rilevante questione istituzionale. La legislazione
italiana prevede la separazione dei poteri legislativo ed esecutivo e giudiziario. Ma nel momento in cui si
pronuncia una sentenza che esce dai margini di discrezionalità che la legge consente, per riformularla
arbitrariamente, per riscriverla, il potere giudiziario va a invadere il campo del potere legislativo e si
sostituisce a esso.
Tutto questo mentre il maggior capo d'accusa mosso all' affidamento condiviso per bloccarne l'approvazione,
cioè che avrebbe scatenato una imponente conflittualità, paralizzando addirittura i tribunali, si è rivelato
privo di fondamento. Nessun tribunale ha dovuto chiudere i battenti e il rapporto fra separazioni consensuali
e iscritte come contenziose non ha mostrato alcun crollo. Come si può vedere dai risultati dell'indagine
campionaria sulle separazioni svolta dalla nostra associazione, riportata nella tabella a pagina 11, non esiste
alcuna tendenza significativa all'incremento della litigiosità, come da molte parti previsto. Talune oscillazioni
(come per la sede di Firenze) trovano spiegazione nella disomogeneità di conteggio - come, ad esempio, il
considerare oppure no le variazioni in corso d'opera - separazioni iniziate come giudiziali che diventano
consensuali e viceversa.
È vero, d'altra parte, che un po' tutti gli interessati stanno mostrando un notevole grado di impreparazione.
Se è vero che molti provvedimenti sono incoerenti con la norma è anche vero che i reclami sono scarsissimi.
Se il mantenimento diretto non viene stabilito è anche vero che ben pochi insistono per averlo.
Evidentemente non è stato compreso che il diritto dei figli a ricevere cura da entrambi i genitori - termine
che al comma 1 del 155 sostituisce «mantenimento» - trova proprio nella formulazione del comma 4 la sua
possibilità di realizzazione. Certo, l'assegno per gli adulti è molto più comodo: per il giudice, che indica una
cifra anziché sforzarsi di assegnare dei capitoli di spesa valutandone la consistenza; per il genitore che lo
riceve, che può farne quello che vuole; e perfino per l'obbligato, che se la cava dando una tantum una
disposizione alla banca. Continua, cioè, a dominare una visione adultocentrica. Si rifletta bene, si faccia caso.
Le giustificazioni sono tutte «nell'interesse dei figli», ma la sostanza qual è? Diritti, opportunità, negati ai
figli, vantaggi per gli adulti. Sull'ascolto quasi sempre si sorvola: parlano solo gli adulti. L'assegno al figlio
maggiorenne è negato: ed è versato al genitore convivente. Gli accordi tra i genitori per l' affidamento
esclusivo vengono omologati in assenza di giusta causa: dimenticando che la bigenitorialità è un diritto
soggettivo, indisponibile, del minore. E voler dare al genitore assegnatario della casa il diritto di introdurci chi
vuole, modificando profondamente l'assetto familiare senza guardare se al figlio sta bene, a quale
preoccupazione corrisponde?
L'interesse del minore, dunque, usato in sede legislativa per ampliare il potere discrezionale del giudice e
seminare incertezze, è oggi strumentalizzato in sede giudiziaria, e usato solo per coprire il tornaconto degli
adulti.
Certamente è auspicabile che questo desolante quadro induca il potere politico a un intervento di ripristino,
di rispetto della normativa in vigore e di rilancio di quegli aspetti - come un passaggio preliminare
obbligatorio informativo presso un centro di mediazione familiare accreditato per le coppie in disaccordo estromessi dal progetto originario. Ciò tenendo anche conto della direzione in cui evolve il quadro
dell'Europa, dove in Belgio, con recentissima legge, si è stabilito di privilegiare l' affidamento paritetico. E in
effetti è in questa direzione che si muove la proposta di legge 2231, depositata significativamente l'8
febbraio 2007, a un anno esatto dalla promulgazione dell' affidamento condiviso, intorno alla quale si stanno
favorevolmente orientando in modo trasversale numerosi esponenti politici. Anche se l'approvazione di un
nuovo provvedimento in questa delicata materia appare non semplice, è augurabile che l'iniziativa
33
contribuisca a rendere più stretta l'osservanza della 54 nei tribunali italiani
AVANZANO LE CONSENSUALI
Separazioni consensuali, giudiziali e rapporto percentuale in alcune sedi giudiziarie
Tribunali
Genova
Separazioni
Rapporto in %
Consensuali
Giudiziali
2004
1.489
544
2,74
2005
1.399
480
2,91
887
322
2,75
2004
927
372
2,49
2005
970
389
2,49
2006 (fino al 31/10)
677
273
2,48
2004
1.415
292
4,84
2005
1.334
249
5,36
950
291
3,26
2004
661
123
5,37
2005
601
154
3,90
2006 (fino al 31/12)
456
94
4,85
2004
104
27
3,85
2005
100
33
3,03
2006 (fino al 30/9)
81
18
4,50
2004
402
302
1,33
2005
376
297
1,27
2006 (fino al 27/11)
343
252
1,36
2006 (fino al 30/9)
Padova
Firenze
2006 (fino al 7/11)
Pescara
Campobasso
Torre Annunziata
Fonte: Associazione nazionale "Crescere Insieme"
Ventiquattrore Avvocato
Ventiquattrore Avvocato n. 7/8, 10.07.2006 pg. 8 - Cerrai Cristina
Conflittualità genitoriale e affidamento dei figli tra vecchia e nuova disciplina:
l’affidamento condiviso
L' affidamento condiviso è una possibilità che può reggersi solo sul consenso libero e consapevole di
entrambi i genitori e può essere suggerita solo come soluzione scelta da entrambi e mai imposta
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obbligatoriamente secondo regole standard valevoli sempre e comunque per tutti i casi.
LA QUESTIONE
Alla luce delle nuove disposizioni in tema di affidamento dei figli, quali sono i problemi che si pongono
nell'applicazione pratica dell'istituto dell'affido condiviso?
INTRODUZIONE
La problematica dell' affidamento dei figli in caso di elevata conflittualità tra i genitori è stata affrontata più
volte in passato dalla giurisprudenza, che ha dato risposte prevalentemente orientate verso il diniego dell'
affidamento congiunto in presenza di un'ostilità tale da impedire il dialogo tra genitori nell'interesse del
minore.
L'approccio alla questione dell' affidamento si è peraltro modificato alla luce della riforma introdotta con la
legge recante «Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli», con la
quale è stato riformulato l'art. 155 del Codice civile muovendo dalla premessa secondo cui «anche in caso di
separazione dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con
ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi
con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale».
Il disegno di legge n. 3537 sull' affidamento condiviso, definitivamente approvato all'unanimità dal
Parlamento il 24 gennaio 2006, è stato tradotto nella legge n. 54 dell'8 febbraio 2006, entrata in vigore il 16
marzo, autorevolmente definita come la riforma più importante del diritto di famiglia dopo quella del 1975. E
infatti il provvedimento, nel fissare obiettivi e criteri ai quali il giudice deve attenersi nell'adozione delle
misure relative alla prole, dispone che quest'ultimo «adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo
riferimento all'interesse morale e materiale di essa. Valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori
restino affidati ai genitori; oppure stabilisce a quali di essi i figli siano affidati e determina i tempi e le
modalità della loro presenza presso ciascun genitore fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di
essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all'istruzione e all'educazione dei figli. Prende atto, se non
sono contrari agli interessi dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori e adotta ogni altro provvedimento
relativo alla prole». Trova, pertanto, piena affermazione il principio di bigenitorialita, principio di diritto
naturale e quindi preesistente alla legge, affermatosi da tempo negli ordinamenti europei e presente altresì
nella Convenzione sui diritti del fanciullo sottoscritta a New York il 20 novembre 1989, e resa esecutiva in
Italia con la legge n. 176 del 1991.
Da oggi, quella contenuta in tale direttiva sarà la prima soluzione che il giudice valuterà anche in caso di
elevata conflittualità fra i coniugi. In caso di separazione dei genitori, i figli saranno affidati come regola a
entrambi i genitori mentre, soltanto come eccezione, a uno di essi quando in tal senso spinga l'interesse del
minore nei confronti del quale l' affidamento condiviso determinerebbe una situazione di pregiudizio.
LA FATTISPECIE
L' affidamento del minore al Comune
Per analizzare la questione oggetto del quesito partiamo da una emblematica pronuncia della Corte di
Cassazione che si esprime in un caso limite di elevata conflittualità tra i genitori, in cui riconosce due
emergenze fattuali: in primo luogo l'opportunità di garantire la continuità abitativa e il costante contatto del
minore con il proprio padre, e in secondo luogo la necessità di evitare che la conflittualità renda il minore
uno strumento attraverso il quale questa si possa ulteriormente sviluppare, laddove proprio il contatto
continuativo con il padre rischierebbe di compromettere gravemente il rapporto con la madre, e,
conseguentemente, di pregiudicare l'armonico sviluppo del minore. La Corte ritiene adeguatamente
bilanciate tali esigenze attraverso il provvedimento adottato dal Giudice di merito di affidamento del minore
al Comune con collocamento presso il padre, soluzione ritenuta congrua e ponderata in vista della piena ed
effettiva tutela dell'interesse del minore, in quanto in tal modo si garantisce la continuità del rapporto padrefiglio assicurando il diritto del minore a rimanere nell'ambito della propria famiglia, e, allo stesso tempo,
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«l'accessibilità al rapporto con la madre, che potrebbe altrimenti essere gravemente compromesso». L'
affidamento del minore al Comune traeva il suo fondamento normativo da una serie di disposizioni di legge,
prima fra tutte l'art. 155 c.c., che, nella sua precedente formulazione, recitava al primo comma «il giudice,
nel pronunciare la separazione, dichiara a quale dei coniugi sono affidati i figli», e al sesto comma disponeva
che «in ogni caso il giudice può per gravi motivi ordinare che la prole sia collocata presso una terza persona
, o, nell'impossibilità, in un istituto di educazione ». A sua volta l'art. 6 comma 8, della legge n. 898/1970 previsione certamente applicabile anche al regime di separazione personale, in quanto finalizza al
perseguimento dell'interesse morale e materiale della prole, cui si riferisce l'art. 155 c.c., comma 1 -,
legittimava il giudice del divorzio a procedere ad affidamento familiare ex art. 2 della legge n. 184 del 1983
«in caso di temporanea impossibilità di affidare il minore a uno dei genitori». L' affidamento a terzi può
essere inoltre disposto in ambito di procedimenti ablativi o limitativi della potestà ex artt. 330 e 333 c.c. L'
affidamento a terzi disposto in sede di separazione o di divorzio si differenziava dall' affidamento familiare in
quanto veniva ad assumere una specifica funzione di stimolo per i genitori a stabilire atteggiamenti adeguati
nei confronti dei figli in vista di un ripristino del regime ordinario di affidamento, esclusivo ovvero congiunto.
LA GIURISPRUDENZA
Modalità di affidamento del minore
La disciplina stabilita dall'art. 6 della legge n. 898 del 1970 prevedeva tre modalità diverse di affidamento del
figlio minore: l' affidamento monogenitoriale o esclusivo, l' affidamento congiunto e l' affidamento alternato.
L' affidamento esclusivo
Tuttavia l' affidamento esclusivo è stato fino a questo momento la forma di affidamento applicata nella
prevalenza dei casi dal giudice della separazione o del divorzio, che generalmente lo disponeva in favore
della madre, - salvo un numero limitatissimo di casi, connotati da problemi gravi e specifici (quali ad esempio
alcool, droga o maltrattamenti anche psicologici, che hanno condotto a giustificare un affidamento al padre,
come, ad esempio, «in considerazione dei cattivi rapporti che il figlio aveva con la madre, con il suo
convivente, e con la nonna, siccome finalizzato a eliminare, attraverso l'allontanamento del minore dal
domicilio della madre, i pregiudizi di natura psicologica che tale convivenza comportava per il ragazzo»);
infatti la giurisprudenza si è espressa a sfavore dell' affidamento alternato e/o congiunto del minore richiesto
dal padre in casi normali, in cui ad esempio: «(...) la madre non essendo impegnata in attività lavorativa
esterna, era in condizioni di seguire più assiduamente la figlia rispetto al padre, impiegato in banca e, perciò,
assente da casa per gran parte della giornata, e non in condizione di offrire alla figlia uguale assistenza; (...)
che, per il passato, la stessa madre aveva già adeguatamente provveduto alle esigenze morali e materiali del
minore; (...) che le modalità di frequentazione stabilite con riguardo al genitore non affidatario consentivano
di valorizzare altrettanto adeguatamente la figura paterna».
L' affidamento congiunto
L' affidamento congiunto veniva introdotto attraverso la legge n. 74 del 1987 che modificava l'art. 6 comma
2 della legge n. 898 del 1970; tale istituto si caratterizza in quanto entrambi i genitori esercitano la potestà
sui figli, con la conseguenza che ogni decisione riguardante la prole deve essere adottata di comune
accordo.
L'applicazione pratica dell'istituto dell' affidamento congiunto ha avuto, come già detto, una scarsa rilevanza
anche in virtù del fatto che l'orientamento giurisprudenziale prevalente riteneva essenziali una serie di
presupposti di ordine pratico senza i quali questa forma di affidamento non avrebbe avuto significato, primo
fra tutti la disponibilità dei genitori e l'assenza di conflittualità tra gli stessi. In particolare la Corte d'Appello
di Perugia disponeva: «Non è possibile disporre l' affidamento congiunto dei figli minori, dei quali si
accrescerebbe altrimenti l'incombente danno psicologico, allorquando sussista tra i genitori un invalicabile
muro di reciproca ostilità».
Alcuni Tribunali invece ritenevano applicabili d'ufficio l' affidamento a entrambi i genitori pur in presenza di
conflittualità, ovvero «anche in mancanza di un rapporto di totale fiducia e collaborazione tra i coniugi»; in
36
particolare il Tribunale di Venezia stabiliva che «La richiesta unilaterale del coniuge che lamenti l'esistenza di
una situazione di conflittualità non è sufficiente a giustificare la revoca dell' affidamento congiunto
concordato in sede di separazione consensuale omologata, finché il conflitto non si traduca in una completa
incomunicabilità o in un clima tale da recare irreversibile pregiudizio ai figli. L' affidamento congiunto infatti
(...) può essere considerato rispondente all'interesse della prole anche in mancanza di un rapporto di totale e
incondizionata fiducia e collaborazione tra coniugi». Analogamente il Tribunale di Milano riteneva che «Il
provvedimento di affidamento congiunto dei figli a entrambi i genitori, in sede di divorzio, può risultare
conforme agli interessi degli stessi anche in presenza di conflitto tra i genitori, in particolare quando risulti
essenziale per richiamare entrambi alla pariteticità del ruolo genitoriale» .
TIPOLOGIE DI AFFIDAMENTO E CRITERI DI SCELTA
Cassazione civ., Sez. I, 8 maggio 2003, n. 6970
I giudici possono decidere di affidare al Comune i figli di genitori separati qualora nel corso del giudizio di
separazione, questi ultimi manifestino un alto tasso di litigiosità che interferisca negativamente sullo sviluppo
del minore. (Fam. dir., 4, 2003)
Cassazione civ., Sez. I, 15 marzo 2001, n. 3765
In tema di affidamento di minori, dovendo il discrimine tra la competenza del Tribunale ordinario e quella del
Tribunale dei minorenni essere individuato in riferimento al petitum ed alla causa petendi , rientrano, ai sensi
del combinato disposto degli artt. 333
c.c., e 38 disp. att. c.c., nella competenza del Tribunale dei minorenni le domande finalizzate a ottenere
provvedimenti cautelari e temporanei idonei a ovviare a situazioni pregiudizievoli per il minore, anche se non
di gravità tale da giustificare la declaratoria di decadenza dalla potestà genitoriale, di cui all'art. 330 c.c.,
mentre rientrano nella competenza del Tribunale ordinario, in sede di separazione personale dei coniugi, di
annullamento del matrimonio o di pronunzie ex legge n. 898 del 1970 le pronunzie di affidamento dei minori
che mirino solo a individuare quale dei due genitori sia più idoneo a prendersi cura del figlio. (Nella specie, è
stato ritenuto rientrante nella competenza del Tribunale per i minorenni il provvedimento di affidamento di
minore al padre, da questo richiesto, in considerazione dei cattivi rapporti che il figlio aveva con la madre,
con il suo convivente e con la nonna, siccome finalizzato a eliminare, attraverso l'allontanamento del minore
dal domicilio della madre, i pregiudizi di natura psicologica che tale convivenza comportava per il ragazzo).
(Banca Dati La Legge)
Cassazione civ., Sez. I, 4 novembre, 1997, n. 10791
La ratio legis e il tenore letterale della norma di cui al secondo comma dell'art. 6 della legge n. 898 del 1970,
come sostituito dall'art. 11 della legge n. 74/1987 (a mente del quale il tribunale, pronunciando lo
scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, provvede in ordine alla prole con esclusivo
riferimento all'interesse morale e materiale di essa e, ove lo ritenga utile all'interesse dei minori, anche in
relazione all'età degli stessi, può disporne l' affidamento congiunto o alternato) sono tali da lasciar intendere
che la questione dell' affidamento della prole ivi disciplinata è rimessa, in via esclusiva, alla valutazione
discrezionale del giudice di merito, il quale, nel dare adeguatamente conto delle ragioni della decisione
adottata (secondo il parametro normativo di riferimento costituito dall'interesse del minore), esprime un
apprezzamento di fatto non suscettibile di censura in sede di legittimità. (Nella specie, la Corte territoriale,
nel motivare il rigetto della richiesta di affidamento alternato avanzata dal padre della minore, aveva
evidenziato: 1) che la madre, non essendo impegnata in attività lavorativa esterna, era in condizioni di
seguire più assiduamente la figlia rispetto al padre, impiegato di banca e, perciò, assente da casa per gran
parte della giornata e non in condizione di offrire alla figlia eguale assistenza; 2) che, per il passato, la stessa
madre aveva già adeguatamente provveduto alle esigenze materiali e morali del minore; 3) che le modalità
di frequentazione stabilite con riguardo al genitore non affidatario consentivano di valorizzare altrettanto
adeguatamente la figura paterna. La S.C., nell'enunciare il principio di diritto di cui in massima, ha
confermato l'impugnata decisione). (Banca Dati Lex 24; Dir. fam., 1998, I 891, con nota di DE ROBERTIS)
37
LA DOTTRINA
La nuova normativa in materia di affidamento prevista dal novellato art. 155 c.c. specifica in modo puntuale
l'aspetto dell' affidamento e quello della potestà genitoriale, laddove nella precedente formulazione della
norma vi era solo un mero richiamo contenuto nel comma 5 a un eventuale esercizio della potestà affidato a
entrambi i genitori.
Le critiche all' affidamento congiunto della dottrina precedente la novella
A fronte di un caso specifico di imposizione da parte dell'autorità giudiziaria dell' affidamento congiunto, - di
cui si è detto sopra - autorevole dottrina aveva espresso una valutazione fortemente negativa, partendo dal
presupposto secondo cui l'interesse del minore non avrebbe trovato realizzazione che attraverso l'
affidamento esclusivo unito a un esercizio limitato della potestà genitoriale da parte del genitore non
affidatario. Tale dottrina aveva messo in evidenza due aspetti: il primo legato alla contraddittorietà di un
affidamento congiunto caratterizzato da rigide condizioni di attuazione, e in particolare la previsione di una
convivenza privilegiata - presso uno dei genitori - e di una attenuata, dato che ciò significherebbe conservare
le potestà genitoriali in capo a entrambi i genitori solo nominalmente, mentre nella sostanza ben poca
sarebbe la differenza con un affidamento di tipo esclusivo. Il secondo aspetto è dato dalla considerazione
che mentre prima dell'avvenuta separazione il giudice può opporsi all'omologa, successivamente non
potrebbe non prendere atto della libertà di ciascun coniuge di scegliere come impostare i propri rapporti
reciproci, «che sarebbe compromessa da un tipo di affidamento il quale, mantenendo piene le potestà dei
genitori, riconosce a ciascuno il diritto di sindacare la quotidianità del figlio, anche se questo trovasi presso
l'altro».
La potestà genitoriale nella nuova formulazione
Passiamo ora all'analisi dell'aspetto legato all'esercizio della potestà genitoriale: il terzo comma del nuovo
testo dell'art. 155 c.c. recita: «La potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni di
maggiore interesse per i figli relative all'istruzione, all'educazione e alla salute sono assunte di comune
accordo tenendo conto delle capacità, dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di
disaccordo la decisione è rimessa al giudice. Limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria
amministrazione, il giudice può stabilire che i genitori esercitino la potestà separatamente».
Pertanto la nuova disciplina dell'art. 155 del c.c., applicabile in base al comma 4 della legge n. 54 del 2006
anche in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio, nonché ai
procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati, riproduce la disciplina generale riguardante l'esercizio
della potestà sul figlio minore prevista dall'art. 316 e art. 317 bis del c.c., secondo cui «la potestà è
esercitata di comune accordo da entrambi i genitori». Ciò significa che l'esercizio della potestà genitoriale è
sempre congiunto a prescindere dalla modalità di affidamento - condiviso ovvero esclusivo -.
Dall'analisi della normativa si evince che è avvenuta una tipizzazione delle decisioni di maggiore interesse in
quelle riguardanti l'istruzione, la salute e l'educazione. Tali questioni, benché di scarso rilievo economico,
dovranno essere trattate necessariamente da entrambi i genitori. Sul piano dottrinario questo aspetto viene
valutato favorevolmente mettendo in evidenza come in passato si verificavano casi in cui le decisioni di
straordinaria amministrazione, ossia quelle di valore economico rilevante come per esempio una costosa
vacanza, non coincidevano spesso con le questioni di maggiore interesse per i figli, cosicché «il genitore non
affidatario veniva sostanzialmente costretto a concorrere a spese straordinarie decise unilateralmente
dall'altro». Attualmente le uniche decisioni che possono sottrarsi alla regola dell'esercizio congiunto della
potestà genitoriale sono al contrario esclusivamente quelle di ordinaria amministrazione.
Altra questione è quella della possibile ripartizione di compiti tra genitori nell'ambito delle questioni di
ordinaria amministrazione per le quali la potestà viene esercitata in modo disgiunto, ipotesi che è stata
fortemente criticata sostenendo che «immaginare che il giudice stabilisca un esercizio separato delle potestà
nelle questioni di ordinaria amministrazione, attribuendo a ciascun genitore competenze specifiche, tenuto
conto delle attitudini e capacità, indicazioni dei figli ecc., prospetta un burocratismo mortificante. [...]
Introdurre mansionari è ben altro dal superamento del taglio potestativo del ruolo genitoriale auspicato da
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chi ne perora un passaggio, anche definitorio, a compiti concepiti come doveri molteplici di una
responsabilità educativa unitaria». Ne deriva un giudizio sostanzialmente a sfavore di una gestione congiunta
della potestà genitoriale in caso di conflittualità tra genitori tanto per la difficoltà pratica nell'adozione delle
decisioni di maggiore interesse quanto per quelle da prendere quotidianamente.
I poteri del giudice nella riforma
Posto pertanto che l'imposizione legislativa dell' affidamento condiviso imposto implica di per sé rendere
totalmente nullo il valore della volontà dei coniugi, a ciò deve aggiungersi il peso dei poteri del giudice
nell'ambito della gestione della crisi familiare, i quali sono stati ulteriormente ampliati dalla riforma.
Innanzitutto vi è un potere decisionale del giudice in caso di disaccordo tra genitori nelle decisioni da
assumere nell'interesse dei figli, come si evince dal comma 3 dell'art. 155 c.c. (mentre al contrario l'art. 316
c.c. stabilisce che in caso di disaccordo il giudice designa il genitore più idoneo ad assumere la decisione).
In secondo luogo l'art. 709 ter del c.p.c., introdotto dall'art. 2 della legge n. 54 del 2006, prevede una serie
di strumenti di intervento del giudice per la soluzione delle controversie insorte tra genitori per l'esercizio
della potestà, stabilendo che «In caso di gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al
minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell' affidamento, può modificare i provvedimenti
in vigore e può, anche congiuntamente: ammonire il genitore inadempiente; disporre il risarcimento dei
danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti del minore; disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno
dei genitori, nei confronti dell'altro; condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione
amministrativa pecuniaria, da un minimo di 75 euro a un massimo di 5.000 euro a favore della Cassa delle
ammende». A riguardo c'è chi sostiene che tali strumenti normativi, consentendo al giudice di avere un ruolo
attivo nella «promozione di diversi contegni genitoriali, in modo tale da indurre i genitori a conformarsi alle
proprie responsabilità, se utilizzati correttamente dall'interprete, potranno garantire una tutela effettiva nei
confronti dei figli minori. In tale ottica vengono valutati anche l'art. 155 quater , il quale giustifica una
revisione degli accordi tra coniugi circa le modalità di affidamento dei figli nel caso del cambiamento di
residenza o domicilio di uno di essi per frapporre ostacoli al rapporto dei figli con l'altro genitore, e altresì
l'art. 155 bis , in base al quale il giudice deve tenere conto del comportamento del genitore che assuma in
modo manifestamente infondato l'esistenza dei presupposti per negare l' affidamento condiviso. Di parere
contrario è invece altra dottrina, la quale non condivide un intervento esterno così invasivo nell'ambito della
gestione della crisi familiare partendo dal presupposto che «La potestà dei genitori è un officium , ma di
natura privata, a sostegno e protezione dei figli», laddove il controllo della potestà è di natura pubblicistica
essendo compito della Repubblica proteggere i minori, ex art. 31 della Costituzione, e ritenendo pertanto
necessario trovare un giusto bilanciamento tra disciplina privatistica della separazione personale tra coniugi
da un lato, e disciplina pubblicistica della tutela dei minori dall'altro.
Per ulteriori approfondimenti dottrinali
-LONGO, nota ad App. Milano 30 marzo 2001, in Fam. e dir. , 2002, 177;
- GALOPPINI , « affidamento dei figli nella crisi coniugale e trasformazione dei ruoli genitoriali », in Fam. e
dir., 1994, 725 ss.
LE CONCLUSIONI
Alla luce delle premesse sopra esposte c'è da chiedersi se la regola dell' affidamento condiviso imposto dalla
legge produrrà dei benefici nei rapporti tra genitori e figli. Emblematica in tal senso è la situazione
verificatesi in Germania, dove è stata prevista nel 1998 la regola dell' affidamento in comune tra i genitori.
Le prime applicazioni dei giudici di merito sono state nel senso di disporre l' affidamento anche in mancanza
di accordo delle parti. Ciò ha portato a un sensibile aumento della conflittualità tra i genitori, cosicché solo
un anno dopo, nel 1999, è stato necessario un intervento della Corte Federale che ha fissato i seguenti
principi fondamentali: l' affidamento condiviso presuppone sempre il consenso delle parti; l'accordo deve
essere analitico e riguardare ogni aspetto essenziale dell' affidamento; in mancanza di accordo o di accordo
che non appaia conforme all'interesse del figlio, il giudice potrà disporre anche l' affidamento in capo a un
solo genitore.
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Quanto appena detto ci porta a concludere necessariamente che l' affidamento condiviso è una possibilità
che può reggersi solo sul consenso libero e consapevole di entrambi i genitori e può essere suggerita solo
come soluzione scelta dai genitori, e mai imposta come soluzione obbligata secondo regole standard valevoli
sempre e comunque per tutti i casi. Se c'è conflitto tra i genitori, il conflitto non verrà eliminato dalle
previsioni di legge, come affermano i sostenitori della riforma, anzi al contrario l'essere obbligati a una
collaborazione forzata potrà innescare reazioni di maggiori conflittualità, il tutto a scapito dei figli minori.
Rassegna dei commenti
Il Merito
Il Merito n. 6, 01.06.2006 pg. 2 - Russo Paolo
Affidamento condiviso e modifiche al codice civile: prime pronunce e dubbi
interpretativi
Consulente Immobiliare
Consulente Immobiliare n. 771, 01.07.2006 pg. 1294
L'assegnazione della casa coniugale nella nuova legge sull' affidamento condiviso
Guida al Diritto
Guida al Diritto n. 16, 21.04.2007 pg. 77 - Fiorini Marcella
La vertenza sul bene in comproprietà è soggetta alle regole della comunione
Guida al Diritto n. 15, 14.04.2007 pg. 36 - Finocchiaro Mario, Padalino Carmelo
Quell’occasione perduta dalla Cassazione per superare anacronistiche ripartizioni
Guida al Diritto n. 14, 08.04.2006 pg. 11 – M.R.Verardo Romano
Affido condiviso: regole sulla mediazione per far funzionare la nuova normativa
Guida al Diritto n. 11, 18.03.2006 pg. 11 – Marino Maglietta
Quelle interpretazioni sull’affido condiviso che rischiano di pregiudicarne le finalità
Guida al Diritto n. 9, 04.03.2006 pg. 10 – Bagnati Fabrizia
Affido condiviso: una normativa inadeguata che non assicura la giusta tutela ai figli
Guida al Diritto n. 7, 18.02.2006 pg. 6 - Marino Marina
L’inadeguata discussione parlamentare ha impedito un corretto affido condiviso
Guida al Diritto n. 6, 11.02.2006 pg. 13 - Dosi Gianfranco
Con l’affidamento condiviso dei figli determinante il ruolo degli avvocati
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Guida al Lavoro
Guida al Lavoro n. 17, 20.04.2007 pg. 24 - Ernandes Francesco
Congedi di paternità e parentali e autocertificazione: istruzioni Inps
Guida al Lavoro n. 11, 10.03.2006 pg. 27 - Gottardi Donata
Affido condiviso: i riflessi sul rapporto di lavoro
Famiglia e minori
Famiglia e Minori n. 1, 01.11.2006 pg. 9 – Balestra Luigi
Affidamento condiviso: l’imperdonabile “balletto” della competenza
QUESITI de “L’ESPERTO RISPONDE”
L’Esperto Risponde
L'Esperto Risponde n. 78, 08.10.2007 – Giuseppe Merlino
La detrazione per i figli al genitore affidatario
Ho un dubbio relativo alle detrazioni di imposta nel caso di una coppia separata legalmente da 5 anni (non
divorziata) con un figlio minore. All'epoca della sentenza di separazione consensuale, nel 2002, i coniugi
hanno stabilito che il figlio è affidato alla madre e due giorni alla settimana al padre; un assegno mensile per
il figlio e nulla per il coniuge, anche se al momento non lavorava. Le detrazioni e l'assegno continuavano ad
essere percepiti al 100% dal marito nella propria busta paga. Nel 2006, la moglie inizia a lavorare, e fa la
richiesta per gli assegni familiari, conseguentemente il marito ha comunicato alla propria ditta la sua
rinuncia. In sede di 730, il fatto che il marito corrisponda l'assegno per il figlio dava diritto ad avere
comunque una detrazione per figlio a carico del 50 per cento? Anche se la moglie ha chiesto di percepire
l'assegno per figlio a carico al 100 per cento?
----La principale novità rispetto agli anni precedenti è costituita dalla modalità di attribuzione delle detrazioni fra
i genitori. È stata, infatti, soppressa la possibilità di ripartire liberamente la detrazione fra i coniugi cosa che
consentiva di massimizzare il beneficio corrispondente. A partire dal 2007, la detrazione deve essere ripartita
nella misura del 50% fra i coniugi non legalmente ed effettivamente separati, ovvero, previo accordo fra gli
stessi, può spettare al genitore che possiede il reddito complessivo di ammontare più elevato. Nel caso di
separazione legale ed effettiva o di annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del
matrimonio, è invece stabilito che la detrazione spetta per intero al genitore affidatario. Ciò penalizza il
genitore non affidatario eventualmente tenuto al mantenimento dei figli: in tale circostanza, infatti, lo stesso
non solo non potrà dedurre la parte dell'assegno di mantenimento destinato ai figli, ma non potrà nemmeno
fruire delle detrazioni in parola. La circolare n. 15 del 16 marzo 2007, al paragrafo 1.4.5, evidenzia che nel
caso di affidamento del figlio ad uno solo dei genitori, la detrazione spetta interamente al genitore affidatario
salvo la possibilità di un diverso accordo che può essere finalizzato a ripartire la detrazione nella misura del
50% ovvero ad attribuire l'intera detrazione al genitore che ha il reddito più elevato. Viene altresì evidenziato
41
che nel caso di affidamento congiunto o condiviso la detrazione è ripartita tra i genitori nella misura del 50
per cento salvo la possibilità di un diverso accordo. Tale accordo può avere il contenuto di attribuire l'intera
detrazione al genitore che ha il reddito più elevato.
L’Esperto Risponde
L'Esperto Risponde n. 26, 02.04.2007 – Antonio Tangorra
L'affidamento congiunto non riguarda i maggiorenni
Con la nuova Finanziaria 2007, legge 296/2006 sono state introdotte nuove regole per i figli a carico. Per
coniugi separati o divorziati è stabilito che se non c'è accordo la detrazione spetta al genitore affidatario; per
i figli maggiorenni esiste il genitore affidatario? È quello con il quale vivono i figli?
----Il nuovo articolo 12 del Tuir ha ridisegnato ex novo il sistema delle detrazioni familiari. In particolare, la
norma prevede che spetta una detrazione di imposta di 800 euro per ciascun figlio, compresi i figli naturali
riconosciuti, i figli adottivi e gli affidati o affiliati, che può essere aumentata in determinati casi. Per quanto
concerne la questione sollevata nel quesito, la norma precisa che la detrazione è ripartita nella misura del
50% tra i genitori non legalmente ed effettivamente separati ovvero, previo accordo tra gli stessi, spetta al
genitore che possiede un reddito complessivo di ammontare più elevato. In caso di separazione legale ed
effettiva o di annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, la detrazione spetta,
in mancanza di accordo, al genitore affidatario. Nel caso di affidamento congiunto o condiviso la detrazione è
ripartita, in mancanza di accordo, nella misura del 50% tra i genitori. In effetti, l'osservazione del lettore è
pertinente, atteso che l'articolo 155 del Codice civile, come modificato dalla legge 54 dell'8 febbraio 2006,
disciplina, in senso letterale, l'affidamento congiunto (dei figli minori) come nuova opportunità riconosciuta
dall'ordinamento. Tuttavia, la stessa norma continua a prevedere l'affidamento dei figli maggiorenni ad uno
dei genitori, per cui è evidente che la norma fiscale relativa all'affidamento congiunto (con detrazione
ripartita al 50% tra i genitori) non può che riguardare i figli minori, mentre l'altra norma che assegna la
detrazione, in mancanza di accordo, al genitore affidatario (che poi è quello che convive con il figlio) può
riguardare sia i figli minori affidati disgiuntamente che quelli aventi maggiore età (che non possono che
essere affidati a un solo genitore).
L’Esperto Risponde
L'Esperto Risponde n. 49, 26.06.2006 – Gragnani Umberto
Con la nuova convivenza si perde l'ex casa coniugale
Vorrei sapere se la legge sull'affido condiviso ha introdotto qualche novità sulle regole per l'assegnazione
della casa familiare e sul mantenimento dei figli, una volta divenuti maggiorenni, ma non ancora autonomi
sul piano economico.
----La nuova legge sull' affidamento condiviso (legge 56/2006) è intervenuta radicalmente sull'articolo 155 del
Codice civile, relativo ai «provvedimenti riguardo ai figli» in caso di separazione, e ha aggiunto altri articoli,
dal 155 bis al 155 sexies, sempre relativi ai provvedimenti per i figli. I provvedimenti relativi alla casa
familiare sono contenuti nell'articolo 155 quater, la cui prima indicazione è che: « Il godimento della casa
familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli». Questa norma è una variazione
sul tema di quella precedente (articolo 155, comma 4), secondo cui: « L'abitazione nella casa familiare
spetta di preferenza, e ove sia possibile, al coniuge cui vengono affidati i figli». Il senso di entrambe è che la
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casa familiare rappresenta un punto di riferimento importante per i figli, i quali hanno diritto di continuare ad
abitarvi in caso di separazione dei genitori, in modo da evitare che al trauma della separazione si aggiunga
quello del cambiamento della casa, con tutto ciò che questo comporta in termini di perdita di punti di
riferimento. I figli. Il cambiamento di linguaggio, nella parte in cui non si parla più del genitore affidatario
quale beneficiario dell'assegnazione, è dovuto all'introduzione dell' affidamento condiviso, in virtù del quale
entrambi i coniugi conservano l' affidamento in caso di separazione, salvo che ragioni gravi facciano
propendere per l' affidamento esclusivo a uno dei due. Tuttavia, anche in caso di affidamento condiviso, i
figli continuano a stare con uno dei due, il che impone di scegliere a chi assegnare la casa. La nuova norma
non ha risolto legislativamente il problema fondamentale che il testo precedente creava, vale a dire se fosse
possibile assegnare la casa coniugale ad uno dei due coniugi anche in assenza di figli. Per la soluzione di
questo problema si dovrà quindi continuare a tenere conto della giurisprudenza formatasi nei trent"anni di
applicazione della riforma del diritto di famiglia del 1975. Con riferimento al testo precedente, è stato
autorevolmente sostenuto che le espressioni «di preferenza» e «ove sia possibile», relative al fatto che la
casa dovesse essere assegnata al genitore affidatario, rendevano possibili altre opzioni, tra cui quella di non
assegnare per nulla la casa anche in presenza di figli, oppure quella di assegnarla, pur in assenza di figli, al
coniuge economicamente più debole. Rispetto al primo caso, si è posta l'ipotesi di una famiglia in cui la casa
familiare sia l'unico bene di proprietà del genitore non affidatario, a fronte di un cospicuo patrimonio del
genitore affidatario. In questo caso, tenuto conto delle possibilità economiche del genitore affidatario,
sarebbe stato piuttosto ingeneroso privare il genitore non affidatario dell'uso dell'unico bene di sua proprietà.
Eppure, la tendenza è sempre stata quella di favorire i figli disponendo comunque l'assegnazione. Nel
secondo caso, si è posta l'ipotesi di un'abitazione di proprietà di entrambi i coniugi o di proprietà del solo
coniuge economicamente più forte. La Corte di cassazione ha tenuto sul punto un atteggiamento
ambivalente, sostenendo nelle proprie sentenze sia la tesi restrittiva, secondo la quale l'assegnazione può
essere disposta solamente se ci sono dei figli, sia quella più possibilista, secondo la quale l'assegnazione può
essere disposta anche quale prestazione in natura, in tutto o in parte, del mantenimento. Si è detto, in altre
parole, che il coniuge economicamente più debole, anziché percepire un assegno onnicomprensivo con cui
provvedere al proprio mantenimento, avrebbe potuto anche percepire un assegno di entità inferiore, a fronte
della possibilità di continuare a stare nella casa comune o dell'altro. Data la contraddittorietà di simili
pronunce, la Corte di cassazione ha emesso una sentenza a sezioni unite (11297/95) volta a dirimere la
controversia, stabilendo che in assenza di figli non può essere disposta alcuna assegnazione. La nuova
norma (articolo 155 quater) fa riferimento all'interesse dei figli, dicendo che deve essere tenuto
prioritariamente in considerazione per attribuire il "godimento" della casa familiare. Pur in assenza di un
testo legislativamente chiaro, tenuto conto della giurisprudenza formatasi negli anni, dobbiamo ritenere che
quello della presenza dei figli sia l'unico criterio su cui fondare un provvedimento di assegnazione. Pertanto,
in assenza di figli, la casa non può essere assegnata e si seguono le norme generali, in virtù delle quali la
casa, se è comune, deve essere divisa, mentre se è di proprietà esclusiva di uno dei coniugi deve essere
utilizzata solamente da questi. L'aspetto economico. Sempre l'articolo 155 quater stabilisce che: «
Dell'assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato
l'eventuale titolo di proprietà». Il senso della norma è chiaro: per il genitore che la subisce, se proprietario o
comproprietario, l'assegnazione rappresenta un costo, sia per il mancato utilizzo del bene, sia perché egli si
deve cercare una nuova abitazione, con i relativi costi, sia perché la casa costituisce un capitale
immobilizzato. Tutto ciò deve essere valutato nella regolazione complessiva delle conseguenze economiche
della separazione. La dottrina aveva già elaborato questo principio, ritenendolo implicito nell'ordinamento.
Tuttavia, l'applicazione pratica non sempre è stata all'altezza delle aspettative. La vera novità dell'articolo
155 quater è rappresentata dalla disposizione secondo la quale: « Il diritto al godimento della casa familiare
viene meno nel caso che l'assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva
more uxorio o contragga nuovo matrimonio». E ciò non tanto per la parte in cui si dice che l'assegnazione
viene meno in caso di mancato utilizzo della casa (principio già acquisito), quanto per la cessazione del
diritto in caso di convivenza more uxorio o di matrimonio. Capita infatti spesso che il nuovo compagno del
genitore assegnatario della casa vi si stabilisca il che costituisce di fatto un arricchimento senza causa a
danno dell'altro genitore. La legge ha scelto di tutelare quello del genitore che subisce l'assegnazione. I terzi.
Un"altra importante novità è costituita dalla disposizione secondo la quale: « Il provvedimento di
assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell'articolo 2643» del Codice
civile. Questo principio era già presente nell'articolo 6 comma 6, legge 898/70 sul divorzio, introdotto con la
riforma di questa legge effettuata nel 1987 (legge 74/87), ed era stato esteso alla separazione con una
sentenza della Corte costituzionale (454//89). Inoltre, le sezioni unite della Cassazione, con la sentenza
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11096/2002, avevano stabilito che il provvedimento di assegnazione, anche in caso di mancata trascrizione,
era opponibile ai terzi per nove anni. Il nuovo articolo 155 quater ha quindi reso esplicito un principio già
presente nell'ordinamento. Il puntoTra le novità della nuova legge sull' affidamento condiviso vi è quella sul
mantenimento dei figli maggiorenni, a fronte di una normativa precedente in cui si stabiliva solamente il
momento in cui sorge il dovere dei genitori di mantenere i figli, che coincide con la loro nascita, ma non il
momento in cui tale dovere finisce. Con il tempo, l'elaborazione dottrinale e giurisprudenziale ha maturato il
principio del raggiungimento dell'indipendenza economica, da valutarsi caso per caso. In altre parole, un
figlio cessa di dipendere dai genitori quando è in grado di mantenersi da solo, il che solitamente coincide con
la fine degli studi e con l'ingresso nel mondo del lavoro. Pertanto, se i figli proseguono gli studi andando
all'università, hanno diritto di essere mantenuti sino al compimento degli studi, purché naturalmente studino
con profitto restando nei termini, in quanto la legge non può certo premiare la mancanza di impegno.
Tuttavia, non è detto che i figli, terminati gli studi, trovino subito un lavoro, nel qual caso continuano a dover
essere mantenuti dai genitori per il tempo necessario all'avviamento al lavoro. Il nuovo articolo 155
quinquies ha consacrato tutto questo in una norma secondo la quale: « Il giudice, valutate le circostanze,
può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno
periodico». Non si tratta quindi di una novità, bensì dell'esplicitazione legislativa di un principio già presente
nella prassi. La vera novità, invece, sta nell'affermazione: « Tale assegno, salvo diversa determinazione del
giudice, è versato direttamente all'avente diritto». Si tratta di una norma già molto contestata, in quanto
foriera di possibili conflitti tra il genitore convivente con i figli e questi ultimi circa la gestione del denaro. È
quindi probabile che i giudici finiscano per utilizzare frequentemente il potere di disporre diversamente
previsto dalla norma.
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091-110 (Affidamento)
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Capitolo 4
Poteri del Giudice, ascolto del minore e indagini sugli
aspetti economici
4.1 L’ascolto del minore: se, da chi, come e quando
Le Convenzioni internazionali da molto tempo hanno regolato l’ascolto del
minore nei procedimenti che lo riguardano; la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva in Italia con
legge 27 maggio 1991, n. 176, all’art. 12 prevede: «Gli Stati parti garantiscono al fanciullo capace di discernimento il diritto di esprimere liberamente la
sua opinione su ogni questione che lo interessa, le opinioni del fanciullo essendo debitamente prese in considerazione tenendo conto della sua età e del suo
grado di maturità». Pochi anni dopo la convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996 che ha avuto necessità di ratifica, provvedimento che il nostro Paese
come sempre, ha assunto ben 7 anni dopo con la legge di ratifica del 20 marzo
2003, n. 77, ha stabilito schematicamente i diritti del minore nei procedimenti
che lo riguardano e cioè: ricevere ogni informazione pertinente, essere consultato ed esprimere la propria opinione, essere informato delle eventuali conseguenze dell’attuazione della sua opinione e delle eventuali conseguenze di ogni
decisione. Infine va ricordato che in materia di adozione e cooperazione in materia di adozione internazionale, la Convenzione de L’Aja del 29 maggio 1993
stabilisce che il minore per cui si propone l’adozione nel suo Paese d’origine,
sia stato reso edotto delle conseguenze che derivano dall’adozione ed abbia
prestato ad essa il proprio consenso, tenuto conto dell’età e della capacità di discernimento del medesimo.
A tutt’oggi pur in presenza delle convenzioni internazionali e della previsione di cui alla L. 54/2006 si devono registrare numerose riserve in ordine alla opportunità di ascolto del minore nei procedimenti attinenti la crisi della famiglia. Da un lato si potrebbe affermare che tale riserva dipenda essenzialmente da una valutazione negativa rispetto alla preparazione della persona che do-
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L’AFFIDAMENTO CONDIVISO DEI FIGLI
vrebbe effettuare l’ascolto ed il conseguente timore di creare allo stesso un
trauma ulteriore.
Tale posizione legata ad una concezione arcaica dei diritti del minore, del
ruolo di colui che ascolta, e delle modalità non condivisibili con le quali storicamente è stato realizzato l’ascolto del minore (verbalizzazione praticamente
inesistente, non preventiva informazione al minore di quello che ci si avvia a
fare, domande dirette che finivano per trasformare il minore in un teste), dovrà
necessariamente essere superata e tanto più ciò sarà possibile quanto più si modificherà il modo di intendere l’ascolto del minore.
In via preliminare deve essere chiarito che questo non serve, né deve servire a raccogliere elementi di prova a carico di uno o dell’altro dei componenti
del nucleo familiare, ma semplicemente a fornire al Tribunale elementi di informazione che gli siano utili al fine di calibrare nel modo più adeguato alle
esigenze dei figli i provvedimenti che lo stesso deve assumere.
4.2 Le modalità dell’audizione del minore
In ordine alle modalità con le quali si deve svolgere l’ascolto del minore, è
necessario chiarire come esso possa essere diretto se viene effettuato direttamente dal Giudice o indiretto ogniqualvolta lo stesso venga effettuato per il tramite di un Ctu oppure da un neuropsichiatra o psicologo appartenenti al servizio pubblico individuato dai servizi sociali o nei servizi di neuropsichiatria infantile delle ASL o nei consultori. In tal caso, al termine dell’ascolto dei minori verrà inviata al Giudice istruttore una relazione scritta sul contenuto dell’ascolto. Va detto che questa seconda modalità, a giudizio di chi scrive, non
garantisce affatto il rispetto del principio del contraddittorio e, se è vero che
l’ipotesi di ascolto indiretto tramite il servizio pubblico è alla portata dei soggetti meno abbienti, è altrettanto indiscutibile che anche a questi ultimi deve essere garantito dal nostro Paese un processo nel corso del quale sia rispettato il
principio del contraddittorio. Pertanto non è condivisibile il principio in forza
del quale, se le parti non possono affrontare il costo di una Ctu, dovranno accontentarsi di uno strumento che non rispetti il contraddittorio: vorrà dire che
se le parti non possono o non intendono affrontare le spese per una Ctu, dovrà
necessariamente essere espletato l’ascolto del minore in forma diretta e quindi
dovrà essere il Giudice ad ascoltare il minore. Agevole comprendere come anche il vedere fisicamente il bambino, ascoltarlo1, osservare le posture che as-
1 Interessante è la riflessione sulla derivazione etimologica della parola ascolto, che proviene dall’unione del sostantivo aus-as (orecchio) con il verbo colere che significa coltivare, con la conseguenza che ascolto significa coltivare ciò che si è sentito con l’orecchio.
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sume nel corso dell’incontro, siano informazioni di non poco momento che,
fornendo indicazioni su quelle che sono le abitudini di vita del minore, le attività che effettua o desidera effettuare, costituiscono una base di conoscenza
fondamentale in grado di fornire al Giudice tutti gli strumenti necessari ad assumere le decisioni che maggiormente realizzino il diritto del minore ad una
condizione di vita che tenga effettivamente conto delle sue esigenze, ed alle
parti informazioni che potrebbero non avere sui propri figli e sul modo in cui
gli stessi si pongono all’esterno, utili a far riflettere gli stessi sui comportamenti e sugli atteggiamenti in cui si pongono rispetto ai figli. Tutto ciò deve necessariamente avvenire nel rispetto dei diritti di tutti i componenti della famiglia.
La scienza ha fornito elementi atti a valutare la capacità di discernimento
del minore, ed a questo proposito la psicologia spiega come i minori normodotati dell’età di sette-otto anni abbiano già capacità di effettuare elaborazioni
concettuali, di svolgerle e svilupparle, ed all’età di dodici anni lo stesso sarà in
grado di esprimerle in modo logico e conseguente.
Al contempo la tecnologia ha fornito, ormai da tempi assai lontani, gli strumenti che consentano di svolgere questo ascolto in ambienti con specchi unidirezionali, o almeno di videoregistrare l’ascolto.
In primo luogo è necessario chiarire che laddove si usa la locuzione “ascolto protetto” si intende fare riferimento ai casi previsti dagli artt. 498, comma 4ter cod. proc. pen. e 398, comma 5-bis cod. proc. pen. e conseguentemente agli
incidenti probatori nei casi di minori vittime o presunti tali di reati di abuso sessuale; conseguentemente è tecnicamente errato parlare di ascolto protetto con
riferimento all’ascolto dei minori nei procedimenti civili aventi ad oggetto la
crisi coniugale.
Un problema da risolvere è quello di decidere chi dovrà o potrà presenziare all’ascolto del minore e con quale funzione. A tale proposito si osserva come generalmente nella magistratura sia radicato il convincimento in forza del
quale la presenza dei genitori sia un elemento tale da compromettere la riuscita dell’ascolto, e conseguentemente gli stessi debbano essere esclusi dalla assistenza all’ascolto dei figli. Può essere comprensibile che la presenza dei genitori possa costituire un ostacolo alla libera espressione dei figli minori, che potrebbero vivere con imbarazzo questo momento, soprattutto se uno od entrambi i genitori abbiano posto in essere azioni volte a condizionare in qualche modo la libera espressione degli stessi, dato che questo potrebbe essere un limite
alla possibilità che i minori rappresentino al Giudice ciò che desiderano, convinti, magari a torto, che questo possa essere vissuto dai genitori come un tradimento. Ma per quanto detto prima, sarebbe invece opportuno che i genitori
conoscessero quelli che sono i pensieri, i modi di atteggiarsi, i comportamenti
dei figli dinanzi a terzi che li ascoltino parlare di loro stessi e della loro vita.
Analoga opposizione viene dai giudici, salvo rare eccezioni, mossa nei con-
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fronti della presenza dei legali all’ascolto dei minori. Tale opposizione costituisce in realtà una violazione del principio del contraddittorio; è una abitudine
invalsa quella per cui i legali, al momento dell’ascolto dei minori, si allontanino spontaneamente dall’aula. Orbene se ciò avviene perché il legale è stato autorizzato dalla parte che lo stesso rappresenta in giudizio a non partecipare a
questa fase processuale, non vi sono problemi di violazione degli obblighi nascenti dall’obbligo di prestare la propria attività difensiva, ma se si rinuncia
senza essere preventivamente autorizzati dal proprio assistito, potrebbero poi
esservi problemi derivanti dalla contestazione di un abbandono di difesa.
Un modo per espletare il proprio mandato difensivo e nel contempo consentire che l’ascolto avvenga nel modo più agevole per il minore potrebbe essere
quello di effettuare tutte le audizioni o in una stanza munita di specchio unidirezionale, oppure almeno quella di determinare preventivamente tra il Giudice
ed i difensori delle parti l’ambito di indagine sul quale deve svolgersi l’ascolto, e successivamente l’ascolto possa essere videoregistrato in modo che questo strumento sia conoscibile a pieno sia dai legali, sia eventualmente dal
Giudice di appello che dovesse successivamente essere investito della vicenda.
La diffusa abitudine per cui dell’ascolto viene fatta una verbalizzazione che
definire sommaria è poco, merita di essere stigmatizzata duramente perché non
consente alle parti di conoscere in forza di quali elementi valutativi si sia formato il convincimento del Giudice e quindi non offre alcuna possibilità di impugnare con sostanza il provvedimento assunto, né offre ai giudici di secondo
grado analoghe possibilità. Le prassi nei diversi tribunali sono al riguardo le
più diversificate e sarebbe opportuno raggiungere un protocollo che renda possibile l’unificazione di queste prassi. Alcuni ritengono che validamente i difensori e le parti possano essere esclusi dall’ascolto dei minori sulla scorta della
osservazione che non trattandosi di prove, ma dell’assunzione di informazioni
(art. 738 cod. proc. civ.) il provvedimento di esclusione sarebbe legittimo. Altri
ritengono sia sufficiente acquisire a verbale il consenso delle parti e dei difensori alla esclusione dall’ascolto; altri definiscono precedentemente a verbale
quali saranno le domande rivolte al minore e quale sarà il metodo di informazione prescelto e successivamente sia i difensori che le parti si allontanano, altri ancora raccolgono il consenso dei genitori a non assistere all’ascolto, definiscono con gli avvocati dei genitori, prima di far entrare il minore, quali saranno i temi sui quali si svolgerà l’ascolto, al quale gli avvocati delle parti assisteranno senza intervenire nel corso di detto incombente, ed il Giudice farà
in modo di orientare l’ascolto sui temi individuati in precedenza.
Una attività molto importante da espletare all’inizio dell’ascolto è quella
volta ad informare il minore di che cosa ci si accinge a fare e quali potranno
essere le decisioni che lo riguardano che il Giudice potrà adottare, nel contempo il minore dovrà essere rassicurato che quanto lui dirà verrà tenuto in consi-
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derazione2, ma che la decisione del Giudice potrà essere diversa da quella che
lui si attende, tutta questa attività è prevista dalla Convenzione di Strasburgo ed
è specifico compito del Giudice e conseguentemente, anche se il Giudice si fa
assistere da un ausiliario per l’espletamento dell’ascolto, tutta questa attività
dovrà essere compiuta dal Giudice. Ciò che appare necessario evitare è che il
minore si convinca della propria onnipotenza laddove ad esempio manifestando la volontà di stare con uno piuttosto che con l’altro genitore diventi l’ago
della bilancia che determinerà l’assegnazione della casa coniugale, e conseguentemente assume importanza determinante l’avvertimento che quanto esso
dirà sarà tenuto in considerazione dal Giudice, il quale peraltro non sarà tenuto ad uniformarsi alle eventuali richieste del minore.
Importante è che non venga sentito il minore se non quando detto incontro
sia stato fissato e stabilito dal Giudice, il fatto che un minore venga portato in
udienza per essere sentito è di norma segno della “preparazione” del minore all’incontro.
4.3 Le modalità della verbalizzazione di quanto detto dal minore
La verbalizzazione di quanto detto dal minore deve essere assicurata dal
cancelliere la cui presenza in questa incombenza è necessaria, essendo impossibile che il Giudice, già di per sé impegnato in una attività delicata quale quella di stabilire una via di comunicazione con il minore, non potrà vedere condizionata questa sua attività dalla verbalizzazione che verrebbe a influenzare negativamente il rapporto di comunicazione che il Giudice dovrebbe essere riuscito a creare con il minore. Per quanto poi riguarda la modalità di verbalizzazione, appare evidente che la stessa debba essere effettuata in forma diretta, dare conto degli atteggiamenti e delle posture fisiche del minore al fine di offrire ai difensori ed al tribunale il massimo della conoscenza di come si è svolto
l’ascolto, ciò almeno fino a quando non verranno uliizzate forme più adeguate
quali lo specchio unidirezionale o la videoregistrazione.
È utile ricordare che ad esempio il tribunale di Genova, al termine dell’ascolto del minore effettuato con l’aiuto di un Ctu e senza la presenza dei genitori e
dei difensori, effettua la verbalizzazione di quanto detto dal minore alla presenza degli avvocati delle parti. Come si vede in alcuni tribunali vi è la prassi per
cui il presidente si fa assistere da un ausiliario (art. 68 cod. proc. civ.) e questo
2 Cfr. Trib. Napoli 20 gennaio 2003, in Giur. nap. 2003, 135; è interessante anche la lettura della sentenza Cass. civ., sez. I, 15 gennaio 1998, n. 317, in Fam. dir. 1998, 275, che ha ritenuto la manifestazione da
parte del figlio adolescente di sentimenti di ripulsa nei confronti del genitore non affidatario, laddove lo stesso sia in grado di spiegare in modo serio ed approfondito il perché di tali sentimenti che sono il segnale del
distacco affettivo dal genitore, ben potrà essere sospeso a tempo indeterminato il diritto di visita.
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ausiliario viene individuato e scelto tra gli psicologi o gli assistenti sociali.
Tra le diverse forme di ascolto indiretto del minore vi è anche quella dell’utilizzazione della consulenza tecnica d’ufficio come mezzo volto all’approfondimento e alla indagine delle relazioni familiari. A tal fine e perché la relazione
con cui si concluderà la Ctu sia utile al raggiungimento delle finalità per le quali era stata disposta, sarà necessario che la stessa si ponga rispetto al compito assegnatole con un approccio sistemico rispetto al complesso delle relazioni familiari e quindi in grado di esaminare i rapporti del minore non solo con le due figure genitoriali, ma anche con gli adulti significativi e gli eventuali componenti della famiglia allargata che hanno rilievo nella vita del minore. D’abitudine
l’incarico è affidato ad uno psicologo, a meno che elementi che siano emersi
non possano far ritenere l’esistenza di patologie psichiatriche, nel qual caso si
ricorre alla scelta di un neuropsichiatria infantile (ciò in quanto solo un medico
specialista in neuropsichiatria sarà in grado di formulare una diagnosi), o a collegi di periti in cui siano presenti le diverse competenze professionali. In ordine
alla valutazione delle capacità genitoriali di una coppia è necessario porre particolare attenzione a quelle che sono le caratteristiche del contesto socio-economico da cui questa proviene, dato che questo elemento potrebbe fortemente incidere sulla valutazione generale. Non si deve dimenticare che il concetto di responsabilità genitoriale risente degli usi, costumi, provenienze etniche di cui il
Ctu dovrà comunque tenere adeguato conto. Ed è sulla scorta di queste osservazioni che l’utilizzo di alcuni test quali ad esempio il Rorschach appare improprio in questo tipo di Ctu dato che nello specifico si tratta di test proiettivi della personalità che sono stati adattati alla valutazione in campo processuale. Va
detto che vi sono test appositamente creati per affrontare la materia dell’affidamento quali il BPS, il PORT, il PASS, ecc. Un problema che si pone non infrequentemente è quello per cui qualora il Ctu non ritenga di sottoporre le parti ad
alcuna batteria testologica, e al contrario i Ctp non concordino su tale scelta o
viceversa vi sia contrasto tra il Ctu ed i Ctp sul tipo di test da applicare, sia il
Ctu che le parti potranno ricorrere al Giudice perché questi possa assumere tutte le decisioni del caso (art. 92 att. cod. proc. civ.).
Interessante è la prassi adottata dal tribunale di Bari che, dopo il deposito
della relazione di Ctu, ordina la comparizione personale delle parti per l’esame
e la discussione delle risultanze e delle indicazioni offerte dal Ctu; l’esperienza di questo tribunale evidenzia come molto di frequente il progetto del Ctu
venga condiviso dalle parti, soprattutto sul piano delle indicazioni e suggerimenti utili a trovare un nuovo equilibrio tra le relazioni familiari, che è una delle maggiori difficoltà che le persone incontrano al momento della crisi coniugale e rispetto alla quale sono troppo spesso lasciati soli senza supporti o indicazioni di sorta.
Avviene di frequente che il Ctu nominato sia anche mediatore familiare, ed
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a questo proposito è necessario che non vi siano confusioni di sorta tra le due
funzioni che sono diversissime e che rispondono a regole deontologiche totalmente differenti e distanti tra loro.
Il Ctu potrà acquisire tutte le informazioni raccolte anche in precedenza
dai servizi sociali attinenti al nucleo familiare in esame, tenendo conto che a
tale riguardo il Giudice ha, in forza dell’art. 23, lett. c) del D.P.R. n. 616/1977,
il potere di acquisire tutte le informazioni raccolte anche al di fuori dei limiti
propri di cui all’art. 213 cod. proc. civ. per la richiesta d’informazioni alla P.A.
La magistratura in genere ritiene che, nonostante la presenza nella nostra carta costituzionale dell’art. 111 secondo comma le relazioni di carattere informativo dei servizi, redatte utilizzando informazioni o accertamenti raccolti
senza la presenza delle parti e dei loro difensori, non integrino una violazione
del principio del contraddittorio, che considerano rispettato ex post nel momento in cui dette informazioni vengono acquisite al fascicolo d’ufficio3, rispetto alle quali le parti possono svolgere le proprie controdeduzioni. Questa
teoria, in verità non condivisibile, si fonda su di una sentenza del 1986, antecedente alla riforma dell’art. 111 della Carta Costituzionale, e quindi è ad oggi priva del ben che minimo fondamento giuridico; pertanto questa tesi è confutabile non solo sotto il profilo scientifico, ma dovrà anche essere vigorosamente combattuta sul piano giurisprudenziale. Infatti il principio del contraddittorio non ammette applicazioni eventuali, preventive o successive se solo si
riflette sul fatto che la caratteristica del contraddittorio è la contestualità dello svolgimento di ogni e qualsiasi attività processuale, mentre nel caso di specie ci si trova di fronte a prove raccolte fuori dal processo e senza la presenza
dei difensori che si troverebbero poi a dover smontare elementi ed accertamenti già compiuti, che peraltro provenendo dai servizi sociali acquistano agli
occhi dei giudici un dato di inconfutabilità inesistente ed inammissibile; ed a
questo proposito quid iuris se, come quasi sempre avviene, gli incombenti di
cui all’art. 183, sesto comma numeri 1, 2, 3 sono già stati consumati dalle parti che fine fa il contraddittorio?
Il contraddittorio deve essere osservato anche durante tutte le operazioni di
Ctu (art. 194 secondo comma cod. proc. civ.). In relazione all’ascolto del minore da parte del Ctu senza la presenza delle parti, dei difensori e dei loro consulenti si può richiamare quanto ampiamente detto in ordine all’ascolto del minore da parte del Giudice, fermo restando che non si comprende in che modo
potrebbero turbare lo svolgimento dell’ascolto i Ctu se solo gli stessi si impegnano a non intervenire direttamente in presenza del minore ed a concordare in
precedenza con il Ctu il campo di indagine.
3 Cfr., con riferimento però all’ambito di applicazione dell’art. 213 cod. proc. civ., Cass. civ., sez. I, 20
febbraio 1986, n. 1032, in Giust. civ. Mass. 1986, f. 2.
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4.4 L’indagine in ordine alle capacità economiche e reddituali
dell’obbligato all’assegno di mantenimento
La novella all’art. 155, sesto comma cod. civ. prevede che: «Ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori risultino non sufficientemente documentate, il Giudice dispone un accertamento della polizia tributaria
sui redditi e sui beni oggetto della comunicazione, anche se intestati a soggetti
diversi».
Questa formulazione è del tutto imprecisa ed inappropriata sotto diversi profili; infatti già nel passato, quando si è affrontato l’esame dell’art. 4, ottavo
comma della L. 898/70 e successive modificazioni, si è osservato come non sia
ammissibile l’utilizzo del termine “accertamento” con riguardo alle attività che
possono essere delegate dal Giudice alla polizia tributaria, che, essendo ausiliaria del Giudice, opera su delega dello stesso, dal momento che per poter delegare l’espletamento di una attività colui che delega deve essere titolare del potere ad essa connesso. Siccome gli accertamenti operati dalla polizia tributaria
sono alla medesima delegati dal Ministro delle Finanze, non possono di certo
essere di competenza del Giudice civile, che può invece delegare alla polizia tributaria, in funzione di polizia giudiziaria, indagini sui redditi e patrimoni.
Come si vede il legislatore ha utilizzato una terminologia errata che potrà dare
non pochi problemi all’atto della applicazione pratica delle norme, e data l’evidenza di questo errore è legittimo chiedersi se esso sia frutto di incompetenza
o non sia invece una scelta precisa, dato che queste osservazioni erano state
avanzate rispetto alla precedente normativa, osservando come detto termine
fosse stato utilizzato in quella sede e materia, non nel senso tecnico tributario,
bensì come acquisizione di prove relative a quelle che sono le reali situazioni
patrimoniali e reddituali riferibili alle parti, e di conseguenza ben avrebbe potuto il legislatore del 2006 tenere conto delle osservazioni avanzate anche da autorevoli rappresentanti della guardia di finanza, se solo avesse voluto farlo.
Una osservazione è stata fatta in merito alla struttura dell’attuale udienza
presidenziale delineata dal legislatore del 2006, che ha attribuito al presidente poteri di cognizione (seppure sommaria) e di decisione (seppure provvisoria). In detta udienza convivono criteri tra loro antitetici: da un lato l’obbligo
di lealtà e informazione imposto ai coniugi e dall’altro la amplissima discrezionalità attribuita al presidente. Per quel che attiene alle questioni relative ai
redditi in cui le parti debbono fornire le informazioni di carattere economico
al Giudice, è necessario ricordare come il dovere «di comportarsi in giudizio
con lealtà e probità» imposto alle parti dall’art. 88 cod. proc. civ., abbia avuto fino ad ora scarsa applicazione e sia caratterizzato da sanzioni di poco momento. Se solo si pensa come ha deciso la Cassazione in merito alla mancata
produzione documentale (v. Cass. 19 novembre 1994, n. 9839), si potrebbe os-
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servare che il legislatore del 2006 abbia voluto affermare un dovere di lealtà
più vincolante rispetto a quello previsto dal richiamato art. 88 cod. proc. civ.
e quindi l’esistenza, in capo alle parti e ai loro difensori, di un obbligo di lealtà più intenso rispetto alla normativa generale ed in particolare di un obbligo di informazione relativo ai figli ed alle capacità economiche e patrimoniali dei coniugi. Questa affermazione è sicuramente affascinante, ma poco utile
fino a quando non saranno esplicitate dalla norma le conseguenze riconducibili al mancato rispetto di tale dovere di lealtà che, come l’esperienza ci dice,
non tutti hanno.
4.5 Le indagini di polizia tributaria
La premessa di cui al precedente paragrafo rende utile una prima riflessione sul modo in cui sia stata applicata la precedente normativa per poter poi esaminare le differenze tra le due previsioni normative.
Preliminarmente è utile ricordare, pur senza voler in questa sede affrontare
la questione in modo approfondito, il ben noto problema della contrapposizione, in tema di regime delle prove, tra sistema inquisitorio e sistema dispositivo.
Il sistema inquisitorio lascia al Giudice ampia facoltà nell’avvalersi di mezzi di
prova, e pur non suscitando le preoccupazioni di assenza di garantismo che
contraddistingue questo sistema nel processo penale, fa però comunque sorgere legittimi dubbi in ordine al principio della terzietà del Giudice. Il sistema dispositivo al contrario è caratterizzato dal vincolo imposto al Giudice di porre a
fondamento della propria decisione esclusivamente le prove proposte dalle parti nel processo; conseguentemente il principio della disponibilità delle prove,
costituisce un limite posto al Giudice di servirsi solo ed esclusivamente di quegli strumenti tecnici di convincimento che sono le prove utilizzate dalle parti
nel processo.
Il nostro ordinamento prevede in alcuni casi, quali il processo del lavoro e,
per quel che ci riguarda più da vicino, il procedimento di divorzio, e poi anche
quello di separazione in forza della legge 74/87, un contemperamento del principio dispositivo, tanto che alcuni processualisti hanno utilizzato una definizione interessante e cioè quella di sistema dispositivo attenuato per quel che riguarda l’ordinamento del nostro Paese. Con il che, pur affermandosi come regola generale, il vincolo del Giudice alle prove offerte dalle parti, fa tuttavia
“salvi i casi previsti dalla legge”, che sono appunto quelli sovrariferiti e quelli
di cui agli artt. 115, 117, 118, 213 cod. proc. civ., che attengono alla possibilità di fondare il proprio convincimento sulle nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza: la possibilità per il Giudice di disporre d’ufficio l’interrogatorio libero delle parti, la possibilità per il Giudice di disporre d’ufficio
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l’ispezione di persone e cose, ed infine la possibilità per il Giudice di chiedere
informazioni scritte alla Pubblica Amministrazione.
Nella legge 898/70 con l’art. 4, ottavo comma il legislatore, quasi che nel
nostro ordinamento, per quel che attiene il regime delle prove, vigesse il principio inquisitorio, introdusse il principio dell’assunzione d’ufficio dei mezzi di
prova da parte del Giudice istruttore. Tale principio venne, successivamente, limitato con la legge n. 74/87 che ha definito il potere di assunzione d’ufficio
dei mezzi di prova ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 5, nono comma della
legge 1° dicembre 1970, n. 898 e successive modificazioni che recita: «in caso di contestazione il Tribunale dispone indagini sui redditi, sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria».
La norma appena richiamata, (art. 23, L. 74/87) utilizzabile anche per le separazioni, è quella che legittima la richiesta di intervento della polizia tributaria,
ma il presupposto per l’attivazione della procedura è la contestazione della documentazione fiscale in atti.
Riguardo la sovrarichiamata normativa è utile l’esame dei lavori preparatori per comprendere quanta parte dell’attività del legislatore sia stata impegnata
nel tentativo di risolvere i problemi che nella pratica iniziavano a porsi in ordine alla questione dell’accertamento dei redditi e dei patrimoni in questo tipo di
vertenze. Proprio l’analisi dei lavori preparatori spiega come il legislatore, senza forse essere riuscito a dare una formulazione adeguata alla norma, abbia inteso offrire uno strumento idoneo all’accertamento degli effettivi redditi della
parte tenuta alla prestazione.
Negli anni questa norma è di fatto stata assai poco utilizzata nei procedimenti di separazione e divorzio e tale circostanza merita una riflessione; poiché è necessario escludere che ciò sia avvenuto perché non si sono verificate
ipotesi nelle quali sarebbe stato non solo utile, ma necessario, detto accertamento, l’unico modo per tentare di comprendere il fenomeno è quello della verifica dei precedenti giurisprudenziali al riguardo. Per lo più dette richieste sono state respinte dai giudici istruttori od anche dai Tribunali in quanto malamente formulate: non ha infatti nessun significato, in assenza di altri elementi
di prova raggiunti nel corso del giudizio, richiedere in via alternativa ad essi
una indagine della polizia tributaria. Infatti il presupposto della medesima è
che sia stata raggiunta nel giudizio la prova della inattendibità delle documentazioni fiscali versate in atti, sia pure solo, sotto il profilo del patente contrasto
tra le risultanze della documentazione fiscale, rispetto al tenore di vita avuto
nel corso del matrimonio dalla famiglia ed accertato con prove documentali o
testimoniali. Una volta raggiunta la prova di tale incompatibilità, appare evidente che la richiesta di indagini della polizia tributaria potrà trovare ampio
margine di accoglimento, specie laddove sia stata realizzata dalla parte interessata una prima raccolta di dati, quale ad esempio l’individuazione e indicazio-
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ne delle società attraverso le quali l’obbligato opera, la raccolta di indicazioni
delle banche di cui si serve e con le quali intrattiene rapporti con l’indicazione
dei conti correnti ed eventuali conti titoli, l’indicazione delle sedi e dei luoghi
nei quali l’obbligato opera direttamente o tramite società. Ovviamente la raccolta di queste informazioni ha il duplice scopo di dare sostanza e fondamento
alla richiesta di indagini, e quello di offrire alla polizia tributaria il massimo
della collaborazione nello svolgimento dell’incarico conferito.
È comunque necessario ricordare come in capo agli organi giurisdizionali
insista l’obbligo di informare il comando della guardia di finanza competente
per territorio dei fatti che possano configurarsi come violazioni tributarie ai
sensi dell’art. 36, D.P.R. 600/1973. Altro elemento di assoluta rilevanza è quello relativo al modo in cui dette indagini vengono disposte dal collegio o dal G.I.
L’esperienza induce a ritenere che, quanto più generiche e vaghe sono state le
domande, tanto più inconsistenti si sono dimostrate le risposte. In una occasione le indagini e le successive risposte sono state determinanti ai fini dell’adozione di una decisione che fosse adeguata alla situazione, con ciò mi riferisco
ad un provvedimento emesso dal tribunale di Ancona, nel quale il tribunale ha
convocato dinanzi al G.I. il comandante del nucleo regionale di polizia tributaria ed ha formulato all’incaricato dal medesimo comandante un quesito dettagliato invitandolo a ritirare oltre ai fascicoli di parte anche la documentazione
raccolta dalla parte richiedente l’indagine. In tal modo si è di fatto costituito un
rapporto diretto tra gli operatori del nucleo di PT ed il tribunale, al punto che,
quando nel corso delle indagini, la PT rilevò la necessità di acquisire la documentazione relativa ai rapporti intrattenuti dalla persona soggetta ad indagini
con determinati istituti di credito originariamente non compresi nel quesito,
avanzò al tribunale una specifica richiesta in tal senso ed il G.I., portate le parti a conoscenza di tale richiesta, in contraddittorio, a seguito dell’istanza (art.
210 cod. proc. civ.) avanzata dalla parte che aveva richiesto l’indagine di PT,
ordinò, ai sensi dell’art. 210 cod. proc. civ., agli istituti di credito ed alle assicurazioni individuati dalla PT l’esibizione della documentazione relativa ai
rapporti intrattenuti con la persona oggetto delle indagini. Come si vede se si
trasmette alla PT una richiesta vaga, generica, e soprattutto fuori contesto, si
otterranno risposte assolutamente inutili, mentre se si danno indicazioni precise, si offrono spunti il più possibile chiari, ed infine se si stabilisce un rapporto di collaborazione, offrendo agli operatori di PT tutti gli elementi utili a fare
il loro lavoro, si otterranno risposte utili ed idonee a dare un quadro chiaro e
preciso della situazione che si voleva approfondire.
Sicuramente interessante è la riflessione che si potrebbe fare per individuare quali siano le modifiche sostanziali e processuali in materia che potranno rendere maggiormente efficaci e veloci tutte le operazioni volte all’accertamento
dei redditi di quanti siano tenuti al pagamento di assegni di mantenimento.
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Una prima riflessione indotta dall’esperienza è quella relativa alla risposta
che comunemente viene data dalla Banca d’Italia ogni qual volta le vengano indirizzate dai tribunali in questa materia, richieste di informazioni: gli organismi dirigenti della Banca d’Italia sostengono che solo nel corso di un procedimento penale i giudici possono rivolgere loro dette richieste. Chi scrive nutre
molteplici dubbi circa la legittimità di siffatta risposta, dal momento che ai sensi dell’art. 213 cod. proc. civ. è prevista la possibilità per il Giudice di richiedere informazioni alla pubblica amministrazione, e non esistono limitazioni a
questo potere del Giudice nel corso del procedimento civile. Resta comunque
il fatto che al fine di porre termine ad inutili e defatiganti questioni, sarebbe
estremamente facile per il legislatore emanare un provvedimento legislativo
che esplicitamente preveda l’obbligo per la Banca d’Italia di fornire ai giudici
civili tutte le documentazioni che gli stessi abbiano a richiedere in materia di
diritto di famiglia e minorile al fine di garantire l’adeguata determinazione degli importi dovuti a titolo di contributo al mantenimento dei figli e del coniuge che ne abbia diritto. Come si è visto lo svolgimento di indagini da parte della polizia tributaria in questo ambito trova fondamento nella legge 74/87. Negli
incontri che pur vi sono stati tra i tribunali ed i comandanti dei nuclei della
guardia di finanza spesso ci si è sentiti rispondere che tra i compiti della guardia di finanza non c’è quello di tutela del coniuge più debole, ma ci può, senza meno, essere un interesse comune nella scoperta di soggetti evasori: in tal
senso è fondamentale che la parte interessata fornisca dettagliati e fondati elementi di prova.
Senza dubbio interessante è la lettura della sentenza n. 16424/02 sulla necessità dello svolgimento delle indagini in maniera rituale ai sensi dell’art.
191 cod. proc. civ. con riguardo all’ammissione delle prove. La sentenza appena richiamata è stata pronunciata dalle sezioni unite della Cassazione il 17
ottobre 2002 e depositata il 21 novembre 2002, ed è di notevole rilevanza, dal
momento che risolve il precedente contrasto di giudicati. La pronuncia riguarda un accesso domiciliare autorizzato dal P.M. seguito di una richiesta della
guardia di finanza basata su rivelazioni fornite da una fonte anonima. Il
Ministero delle finanze, ricorreva in Cassazione sostenendo, in via principale,
«che il decreto del Procuratore della Repubblica di autorizzazione all’accesso
domiciliare, quale atto giurisdizionale rivolto a tutelare la personalità del contribuente, non la correttezza del rapporto tributario, non è sindacabile dal
Giudice di tale rapporto» e, in via subordinata, che «il carattere anonimo della fonte informativa comunque non tocca il potere di rilasciare l’autorizzazione, a seguito di un apprezzamento discrezionale ed incensurabile circa la serietà e l’attendibilità della notizia, ed aggiunge che l’eventuale illegittimità del
decreto autorizzativo in ogni caso non determinerebbe l’inutilizzabilità in causa delle prove acquisite per il tramite della perquisizione, in carenza di
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un’espressa previsione». Sulla scorta di queste premesse, le Sezioni unite affermano, l’inutilizzabilità dei dati acquisiti mediante l’accesso domiciliare illegittimamente autorizzato, nel presupposto che «detta inutilizzabilità non abbisogna di un’espressa disposizione sanzionatoria, derivando dalla regola generale secondo cui l’assenza del presupposto di un procedimento amministrativo infirma tutti gli atti nei quali si articola» e che «l’acquisizione di un documento con violazione di legge non può rifluire a vantaggio del detentore,
che sia l’autore di tale violazione, o ne sia comunque direttamente o indirettamente responsabile», principi peraltro già sanciti con la precedente pronuncia n. 8062 del 1990.
Tale decisione è stata oggetto di un acuto commento4 in cui si chiariscono
4 Cfr. GIANCARLO PEZZATO, in Notiziario fiscale dell’Agenzia delle Entrate, del 18 novembre 2003; «Le
Sezioni unite della Cassazione, con la sentenza n. 16424 del 21 novembre 2002, sembrano, dunque, aver finalmente fatto chiarezza su un problema per così dire tradizionale e davvero delicato del procedimento tributario, anche in considerazione dell’autorevolezza della fonte.
Si ritiene, tuttavia, che sul punto possano essere ulteriormente svolte alcune riflessioni.
In primo luogo, quanto alle informazioni raccolte da fonti confidenziali, va qui ricordato un profilo che
riveste oggettiva rilevanza, quello dell’accesso agli atti del procedimento tributario (e dei suoi limiti).
La disciplina trova il suo cardine fondamentale nella legge 7 agosto 1990, n. 241, sulla trasparenza amministrativa, con la quale, tra l’altro, è stato sancito il principio generale secondo cui ogni cittadino – in questo caso ogni cittadino/contribuente – ha diritto di accedere agli atti del procedimento che lo riguardi. Tale
basilare istituto è stato, successivamente, regolamentato con il D.P.R. 27 giugno 1992, n. 352, che nel disciplinare le modalità di esercizio dell’importante facoltà ha rimandato l’individuazione dei casi di esclusione
dall’accesso ad ulteriori regolamenti, da emanarsi a cura delle singole Amministrazioni.
Con riferimento all’Amministrazione finanziaria, le relative disposizioni sono state fissate con il D.M.
29 ottobre 1996, n. 603, che assume nel contesto in parola una rilevanza centrale, in quanto elenca in modo
tassativo i documenti sottratti al diritto di accesso e, tra l’altro, cita espressamente, all’art. 4, lettera d), gli
“atti e documenti attinenti alla identità e gestione delle fonti confidenziali ed alle informazioni fornite dalle
fonti stesse, individuate o anonime, nonché contenute in esposti da chiunque inoltrati”.
Quindi, tali documenti non possono in ogni caso costituire oggetto di accesso da parte del contribuente, il quale, conseguentemente, proprio con riferimento alle notizie confidenziali subisce una contrazione
delle proprie potestà conoscitive per effetto delle scelte dello stesso ordinamento giuridico.
Peraltro, la tutela accordata al riguardo alla riservatezza della cosiddetta attività di intelligence appare
piuttosto evidente anche alla luce della successiva lettera e) dell’art. 4 del D.M. n. 603 del 1996, che esclude l’accessibilità ai “documenti attinenti all’attività informativa nei settori istituzionali, siano essi originati
autonomamente sia che provengano da altri organismi, in Italia o all’estero, con i quali intercorrono rapporti di collaborazione diretta o indiretta”. Ancora, appare opportuno evidenziare in questa sede la successiva
lettera i) della medesima norma, che con formulazione quanto mai onnicomprensiva annovera per le medesime finalità i “documenti del Corpo della guardia di finanza inerenti all’emanazione di ordini di servizio,
nonché all’esecuzione del servizio stesso, relazioni, rapporti ed informative concernenti l’attività svolta nei
settori istituzionali”.
Ancora in tema di segnalazioni, può essere utile citare una sentenza del 20 dicembre 1999 della Sezione
VI della Cassazione penale, con la quale è stata annullata con rinvio alla competente Corte di Appello la pronuncia di assoluzione di due pubblici ufficiali che avevano omesso di informare l’Autorità giudiziaria circa
il contenuto di un esposto anonimo relativo a pretesi comportamenti illeciti.
Su questa delicata materia forse non sarebbe superfluo un intervento organico del legislatore volto a fornire una disciplina degli scritti anonimi univoca e svincolata da orientamenti ed indirizzi che, almeno in
astratto, possono risultare non del tutto coincidenti nelle diverse sedi, sul territorio nazionale.
Come, del resto, appare da auspicare un chiarimento definitivo ed univoco su un altro aspetto che appare non di secondaria importanza, vale a dire se l’inutilizzabilità degli elementi acquisiti dall’Amministrazione finanziaria in forma irrituale riguardi soltanto i beni protetti da precetti di tipo costituzionale (quale,
come si è visto, l’inviolabilità del domicilio) o si estenda all’intero ordinamento settoriale. Ad esempio, ci si
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quale possa essere l’attività legittimamente svolta dalla guardia di finanza e le
norme che tutelano il cittadino.
La polizia tributaria ha le funzioni di ausiliario qualificato del Giudice nei
giudizi di separazione e divorzio ed alla luce delle leggi vigenti, può solo adiuvare il Giudice nel compimento delle sue mansioni, nel senso che i campi di indagine debbono essere determinati nel processo dal Giudice sulla scorta delle
richieste in tal senso delle parti.
Le modalità di accertamento della guardia di finanza sono dati dall’utilizzo di una serie di sistemi informativi quali, a titolo esemplificativo, l’anagrafe tributaria, le camere di commercio, il pubblico registro automobilistico, le
conservatorie dei registri immobiliari che su tutto il territorio nazionale e con
molta rapidità consentono alla polizia tributaria di acquisire per così dire “a tavolino” una ricca serie di informazioni; per tutte le altre ricerche presso istituti di credito ecc. il Giudice ben potrà delegare la polizia tributaria ai sensi degli artt. 210 e 213 cod. proc. civ., a seconda dei casi. Altra modifica legislativa di poco momento sarebbe quella che preveda l’estensione della facoltà riconosciuta dall’art. 116 cod. proc. pen. (che prevede che chiunque abbia interesse possa ottenere a proprie spese copia delle indagini svolte in sede penale
dalla polizia tributaria) anche alle persone coinvolte in un giudizio civile volto alla determinazione del contributo al mantenimento per coniugi e figli.
Parimenti la normativa circa il cosiddetto scudo personale fiscale (L. 409/01
potrebbe domandare cosa accada nel caso in cui i verificatori nel corso di un accesso eseguito presso i locali nei quali viene esercitata l’attività fiscalmente rilevante non comunichino al contribuente espressamente o
con il dovuto livello di dettaglio le “ragioni della scelta” ovvero l’oggetto del controllo o ancora, sempre in
via esemplificativa, il suo diritto a farsi assistere da un professionista abilitato alla difesa innanzi alle
Commissioni tributarie, il tutto contravvenendo alle prescrizioni dell’art. 12 dello Statuto del contribuente
approvato con legge 27 luglio 2000, n. 212.
Allo stesso modo, va ricordato che la medesima norma appena citata impone ai verificatori l’obbligo di
comunicare al contribuente, con formulazione quanto mai generale, anche i diritti e gli obblighi che vanno
al medesimo riconosciuti in occasione delle verifiche. Va da sé che non appare del tutto certa la sorte che potrebbe avere un avviso di accertamento conseguente ad un’ispezione al cui avvio non si sia espressamente
notificato – per evidente e deprecabile incuria, ma ciò poco muterebbe la situazione – uno dei diritti e degli
obblighi della specie.
Gli esempi potrebbero proseguire: si pensi, ancora, al divieto imposto ai verificatori dall’art. 6, comma
4, dello Statuto di richiedere al contribuente documenti e informazioni già in possesso dell’Amministrazione
finanziaria o di altre Amministrazioni pubbliche dal medesimo indicate. In questo caso, se si optasse per una
soluzione eccessivamente rigorosa, si dovrebbe concludere per la nullità degli atti scaturenti, ad esempio,
dall’analisi della copia di una dichiarazione dei redditi richiesta al contribuente anche se già nella disponibilità del Fisco. Il che sembrerebbe decisamente eccessivo, anche perché si potrebbe giungere al paradosso per
cui un contribuente adeguatamente “consigliato” potrebbe simulare una grande disponibilità nei confronti
dei verificatori, ostentando un comportamento apparentemente improntato alla massima apertura ma, in realtà, molto più prosaicamente finalizzato alla precostituzione di una serie di “tasselli” da far valere a posteriori nelle sedi opportune.
Il tutto, è appena il caso di rilevarlo, assolutamente in controtendenza proprio con il principio di affidamento e buona fede sancito dallo stesso Statuto e – se si vuole – con il rinnovato rapporto tra Fisco e contribuente che ispira, soprattutto da diversi anni a questa parte, l’attività dell’Amministrazione finanziaria italiana».
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art. 14), che prevedeva che le dichiarazioni per effettuare il rimpatrio non potessero essere utilizzate se non in sede penale, avrebbe potuto essere agevolmente modificata rendendo dette informazioni disponibili anche per la materia che ci occupa, ma il D.L. n. 282 del 2002 convertito in legge 21 febbraio
2003, n. 27, ha annullato detta possibilità, e quindi lo strumento non è più utilizzabile ai fini degli accertamenti penali, è intuibile quali difficoltà si incontrerebbero a chiedere una modifica normativa, che consentisse l’utilizzo delle
dichiarazioni di rimpatrio ai fini dell’individuazione delle esatte consistenze
patrimoniali di un coniuge.
La novella rispetto alla norma contenuta nella legge sul divorzio e riferita
indistintamente sia alla determinazione dell’assegno in favore dei figli che del
coniuge, che richiedeva come presupposto per l’attivazione della procedura la
contestazione della documentazione fiscale in atti e la sua incompatibilità con
le risultanze probatorie acquisite nel procedimento tra il tenore di vita e quel
che emergeva dalla documentazione fiscale, si limita a dire che «Ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori risultino non sufficientemente documentate, il Giudice dispone un accertamento della polizia tributaria
sui redditi e sui beni oggetto della comunicazione, anche se intestati a soggetti
diversi». Come si vede la differenza è notevole, dal momento che questa possibilità è prevista evidentemente solo per quel che attiene la determinazione
dell’assegno per i figli, dovendosi ritenere che per quel che attiene la determinazione dell’assegno per la moglie non si sia modificato alcunché. Per quanto
attiene l’assegno dovuto per i figli è stato abolito il presupposto della contestazione, e, basterà quindi, che il Giudice ritenga non sufficientemente documentate le informazioni di carattere economico offerte dai genitori per permettergli di disporre indagine sui «redditi e beni oggetto della comunicazione, anche
se intestati a soggetti diversi». Tale dizione che sembra ad una prima lettura più
ampia della precedente e contiene in sé una imprecisione che rischia di vanificarla. Il limite dell’indagine del Giudice è costituito dall’oggetto della comunicazione e di conseguenza, se non è stata fatta alcuna comunicazione o non sono stati prodotti documenti, non potrà essere disposta alcuna indagine ed in
particolar modo se non è stata fatta alcuna comunicazione e non sono stati prodotti documenti che riguardino terzi, la possibilità che il Giudice disponga indagini sui redditi e beni oggetto della comunicazione anche se intestati a soggetti diversi, viene meno; del resto è agevole rilevare come detta norma si ponga in evidente contrasto con lo statuto del contribuente e possa quindi essere
impugnata in tal senso. Presso alcuni tribunali nell’ipotesi in cui la dichiarazione dei redditi venga ritenuta dal Giudice non esaustiva, viene ordinato alla parte il deposito di una autocertificazione che espliciti i redditi, la proprietà di beni immobili, di beni mobili registrati, i conti titoli indicandone l’ammontare, i
conti correnti, i depositi bancari, le rendite a qualsiasi titolo percepite pur se le
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stesse non sono soggette a tassazione, i mutui ipotecari, le assicurazioni che il
medesimo ha in corso. Questa non è di certo una soluzione di alcun pregio dal
momento che nessuno sarà disponibile a fare una autodichiarazione che contrasti con il modello unico o qualunque altra forma di denuncia fiscale, se solo si considera che il Giudice del giudizio di separazione o divorzio ha l’indubbio obbligo di comunicare alla guardia di finanza che quel soggetto ha depositato una autocertificazione in contrasto con le dichiarazioni fiscali inoltrate e
di conseguenza il medesimo si troverebbe esposto a un inevitabile accertamento fiscale.
Se si considera poi che la conseguenza della mancata produzione dell’autocertificazione potrebbe al più essere che le indagini vengano demandate alla
guardia di finanza, è indubbio che la scelta migliore non potrà che essere quella per cui operi direttamente la guardia di finanza, senza alcuna confessione da
parte dell’obbligato, posto tra l’altro che la stessa è tenuta al rispetto di una serie di norme tra cui quella dello Statuto del contribuente.
4.6 L’esecuzione dei provvedimenti che riguardano i minori
in materia di affidamento e diritto di visita
Un primo problema da risolvere è quello di individuare se si tratti di una attuazione del provvedimento in materia di affidamento quando il giudizio è pendente ovvero quando il giudizio è concluso.
L’attuazione di un provvedimento che regola l’affidamento e le modalità di
visita è di grande importanza non solo perché in questo modo si salvaguarda il
diritto del minore a mantenere adeguati e consistenti rapporti con entrambi i
genitori, ma anche perché maggiore è la velocità con cui si assicura l’adempimento di un provvedimento, maggiore è il livello di effettività della tutela dei
diritti dei minori, meno elevato sarà il pericolo di destabilizzazioni psicologiche che questi correranno. Infatti i soggetti bambini ed i ragazzi, più rapidamente vedono definita una situazione che li coinvolge, prima possono superare definitivamente il periodo di instabilità e di incertezza affettiva che deriva
loro da una vertenza in atto. Del tutto evidente che analogo discorso è parimenti valido anche per gli adulti che si trovano ad affrontare giudizialmente la soluzione di una crisi coniugale, posto che la rapidità della definizione del giudizio è un elemento decisivo ai fini della realizzazione e del rispetto dei diritti
delle parti e dei soggetti comunque coinvolti in un giudizio. Peraltro, il verificare che un provvedimento emesso dall’autorità giudiziaria è rimasto inattuato, spesso senza alcuna conseguenza, è un dato negativo per tutta la comunità,
anche in considerazione del messaggio che attraverso questo si diffonde: i
provvedimenti dell’autorità giudiziaria sono del tutto eventuali per quel che at-
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tiene la loro esecuzione e quindi, da un lato non vale la pena battersi per vedere realizzati i propri diritti, e dall’altro si diffonderà nei cittadini il convincimento che alla fine il sopruso e la prevaricazione hanno vinto sulla correttezza e il rispetto delle leggi.
Non vi è dubbio che l’esecuzione forzata di un provvedimento di affidamento sia l’ultima ratio, dato che esso, quando riesce realizza solo la consegna
del minore, ma non può esservi dubbio alcuno circa la assoluta necessità di dare esecuzione ai provvedimenti.
Nei casi in cui il giudizio di separazione o di divorzio sono in corso, non vi
è dubbio che il Giudice di detti procedimenti sarà competente anche dell’esecuzione dei provvedimenti da lui emessi in materia di figli minori, e ciò in virtù delle disposizioni contenute nell’art. 6, decimo comma, della legge sul divorzio che prevede: «All’attuazione dei provvedimenti relativi all’affidamento
della prole provvede il Giudice di merito», e ciò vale anche per i giudizi di separazione, in considerazione non solo dell’esistenza dell’art. 23, L. 74/87, ma
soprattutto perché la ratio che ispira l’art. 6, decimo comma, della L. 898/70 e
successive modificazioni è la stessa anche nei giudizi di separazione.
A volte, la difficoltà di esecuzione di un provvedimento relativo ai figli è indice del fatto che quel provvedimento è inadeguato a realizzare le esigenze dei
minori, il Giudice istruttore non solo ha a disposizione tutti i mezzi idonei ad
assicurare la attuazione del provvedimento, quali l’ascolto del minore, la comparizione dei coniugi, la collaborazione del servizio sociale, al quale lo stesso
può delegare la redazione di un calendario di incontri tra genitori e figli da effettuarsi alla loro presenza ed anche l’indagine volta ad acquisire notizie circa
i desideri dei figli minori. Nei casi in cui dopo aver posto in campo tutti questi
strumenti e supporti, ugualmente non si riesca a dare attuazione al provvedimento, non rimarrà al Giudice istruttore che comprendere come il proprio provvedimento sia ineseguibile e quindi modificarlo, facendo ricorso, se richiesto,
alle disposizioni di cui all’art. 709-ter cod. proc. civ. Una valutazione a parte
meritano i casi di sindrome di alienazione genitoriale che interferiscono seriamente con lo sviluppo del minore, costruendo una personalità nevrotica.
In questi casi è assolutamente auspicabile una revisione totale del provvedimento presidenziale, non essendo certo adeguato un provvedimento che, in
presenza di una sindrome di alienazione genitoriale diagnosticata nel corso di
una Ctu lasci poi il minore nelle mani di quel genitore affetto da un tale tipo di
sintomatologia libero di proseguire la propria opera di costruzione di una personalità nevrotica nei confronti del figlio minore. Spesso avviene che non trovando conforto ed intervento da parte del tribunale ordinario, la parte interessata sia costretta a rivolgersi al Tribunale per i minorenni che di solito valuta la
gravità della situazione ed interviene con incisività; le ipotesi che si possono
presentare sono disparate e possono essere grossolanamente individuate in
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questi gruppi: personalità caratterialmente distorte, ma non patologiche in senso psichiatrico: in questi casi di solito si può agire sul genitore imponendogli
delle prescrizioni a pena di decadenza dalla potestà, tra cui quella di sottoporsi ad una terapia familiare perché riesca a superare le difficoltà che lo affliggono e che si riversano negativamente sul rapporto con i figli; di norma stante
l’assenza di patologie psichiatriche il problema si risolve da un verso con la
presa di coscienza di qanto sia dannoso per i figli il proprio comportamento e
con la conseguente modifica dello stesso e miglioramento della situazione nel
suo complesso, dall’altro con la consapevolezza che il perdurare di detto comportamento non sarà privo di conseguenze negative.
Laddove la chiusura sia totale, o per una sindrome di alienazione genitoriale, ovvero per la presenza di rapporti patologici, non rimarrà altro che espletare una Ctu, se non già realizzata e la pronuncia di decadenza dalla potestà, disponendo il trasferimento del minore dalla casa del genitore precedentemente
convivente all’altro, fornendo l’aiuto e l’assistenza psicologica ad entrambi per
realizzare il riavvicinamento al genitore dal quale era stato allontanato a causa
del comportamento dell’altro genitore. Un ruolo importante in questo caso è
svolto dai servizi e dagli psicologi che debbono permettere l’esecuzione del
provvedimento preparando adeguatamente il minore al cambiamento delle proprie abitudini.
Nell’ipotesi di esecuzione del provvedimento relativo all’affidamento successivamente alla conclusione del giudizio, o viene introdotto un giudizio di
modifica delle condizioni di separazione o divorzio, nel qual caso si vi sarà un
nuovo giudizio pendente e nuovamente la competenza per l’esecuzione spetterà al Giudice investito del merito della modifica delle condizioni, oppure si
tratterà solo di un giudizio di esecuzione e il problema di maggior rilievo sarà
quello di individuare gli istituti processuali da utilizzare per una esecuzione
con caratteristiche così peculiari.
L’istituto che appare maggiormente confacente è quello dell’esecuzione ex
art. 612 cod. proc. civ., e cioè l’esecuzione degli obblighi di fare; nel caso di
specie si dovrà procedere alla notifica del titolo e del precetto per poi investire
il Giudice della questione proponendo un ricorso ex art. 612 cod. proc. civ. ed
il Giudice dell’esecuzione potrà assumere i provvedimenti che riterrà più utili
alla realizzazione della stessa ed eventualmente quando questi si dimostrino
inefficaci potrà arrivare a dichiarare ineseguibile il provvedimento, e se del caso segnalare al Tribunale per i minorenni competente la situazione, ove ovviamente nessuno dei genitori assuma l’iniziativa di richiedere una modifica di
quel provvedimento la cui esecuzione si è manifestata impossibile.
Parte della dottrina ritiene impossibile utilizzare lo strumento della esecuzione forzata in relazione ai provvedimenti riguardanti i minori e i loro rapporti affettivi con i genitori, e ritiene invece la soluzione migliore quella del ricor-
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so al Giudice tutelare che, investito dei poteri di vigilanza ex art. 337 cod. civ.,
altro non potrebbe fare che sollecitare una soluzione concordata tra i due genitori, richiamandoli al proprio compito di realizzare l’interesse dei minori.
Tanto l’una che l’altra soluzione hanno non pochi limiti dal momento che il
Giudice dell’esecuzione potrebbe nel ricorso ex art. 612 cod. proc. civ. utilizzare strumenti utili che nel diritto di famiglia richiedono una formazione e specializzazione anche nella fase esecutiva da parte del Giudice dell’esecuzione.
Il problema approfondito nel corso degli incontri di studio organizzati dal consiglio superiore della magistratura fin dal 2003, cui hanno partecipato anche
avvocati, aveva fatto formulare a coloro che lavoravano nel gruppo – che si occupava tra l’altro dei problemi connessi all’esecuzione dei provvedimenti – una
proposta concreta: individuare un Giudice tabellarmente competente all’esecuzione dei provvedimenti in materia di affidamento dei minori nell’ambito della sezione famiglia (G.E.F. cioè Giudice dell’esecuzione in materia di famiglia), anche per evitare che la materia venisse trattata (essendo ora possibile demandare la esecuzione mobiliare ai giudici onorari) da un G.O.T. Si è proposto
altresì di far coincidere, per tabella, le funzioni di Giudice dell’esecuzione in
materia di provvedimenti di affidamento con il Giudice tutelare. Tale proposta
nel 2005 è stata accolta con interesse dai numerosi presidenti di tribunale presenti ai lavori.
Una simile soluzione sarebbe estremamente vantaggiosa dal momento che
il G.T. ha senza dubbio una competenza e specializzazione che in materia difetta ai giudici dell’esecuzione, e di conseguenza potrebbe non solo intervenire con i poteri di vigilanza e di mediazione propri della sua funzione e nei casi in cui gli venga proposta una richiesta di esecuzione forzata ex art. 612 cod.
proc. civ. sarebbe comunque competente come Giudice tabellarmente designato alla esecuzione in materia di famiglia, e procedere con gli strumenti esecutivi. Tutto ciò darebbe ai giudici tutelari quello che è loro mancato fino ad ora,
e cioè uno strumento processuale idoneo a concludere il procedimento con un
provvedimento autoritativo, tale soluzione inoltre sarebbe estensibile anche ai
figli naturali senza equilibrismi speciosi.
Un limite che invece vale per entrambi (Giudice dell’esecuzione e G.T.) è
quello di non potere modificare il provvedimento passato in giudicato, limite
al quale il Giudice delle esecuzione deve fermarsi, eventualmente sospendendo l’esecuzione, ed al quale deve fermarsi anche il G.T., eventualmente rendendo noto alle parti che le modificazioni richieste ovvero auspicate possono essere ottenute con ricorso ad altro Giudice (il Collegio).
203
LIBRO PRIMO - DELLE PERSONE E DELLA FAMIGLIA
Art. 154
da irrilevanti riserve mentali - è fonte non soltanto di
effetti processuali, preclusivi del giudizio di separazione in corso, ma altresì di effetti sostanziali, consistenti nel determinare l’inidoneità dei fatti ad essa
anteriori - posti in essere durante la convivenza o la
separazione di fatto - ad assumere autonomo valore
giustificativo di una pronuncia di separazione personale, emessa su domanda successiva all’evento
riconciliativo rimasto privo di esito definitivo, con la
conseguenza che, ai fini di tale pronuncia e della valutazione dell’addebito, sono utilizzabili soltanto i fatti
successivi all’evento medesimo, mentre quelli anteriori
possono essere considerati al solo scopo di lumeggiare il contesto storico nel quale va operato
l’apprezzamento in ordine all’intollerabilità della convivenza (Cass. I, 29 novembre 1990, n. 11523)
In materia di separazione personale tra i coniugi,
al fine dell’accertamento dell’intollerabilità della convi-
venza possono essere presi in considerazione anche episodi risalenti ad epoca anteriore ad una riconciliazione intervenuta in passato tra i coniugi, ove
detti episodi si siano ripetuti in epoca successiva,
dando conferma dei comportamenti che, con il protrarsi nel tempo, hanno reso non sopportabile la convivenza tra i coniugi. (Cass. I, 22 maggio 1990, n. 4620)
L’avvenuta riconciliazione dei coniugi, come causa estintiva del diritto di chiedere la separazione,
concreta un’eccezione in senso proprio, la quale deve essere formulata mediante una specifica deduzione, non essendo all’uopo sufficiente la generica istanza di rigetto della domanda proposta dall’altra parte.
(Cass. I, 10 gennaio 1974, n. 70)
4. Rinvio
V. sub art. 157
155
Provvedimenti riguardo ai figli (1) (2) (3) - Anche in caso di separazione personale dei genitori
il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti
e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.
Per realizzare la finalità indicata dal primo comma, il giudice che pronuncia la separazione personale dei coniugi adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa.
Valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a
quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore,
fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli. Prende atto, se non contrari all’interesse dei figli, degli accordi intervenuti
tra i genitori. Adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole.
La potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative
all’istruzione, all’educazione e alla salute sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice. Limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, il giudice può stabilire che i genitori esercitino la potestà separatamente.
Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei
figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un
assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando:
1) le attuali esigenze del figlio;
2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori;
3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore;
4) le risorse economiche di entrambi i genitori;
5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.
L’assegno è automaticamente adeguato agli indici ISTAT in difetto di altro parametro indicato dalle parti o dal
giudice.
Ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate,
il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi.
(1) Articolo così sostituito, con decorrenza 16 marzo 2006, dall’art. 1, l. 8 febbraio 2006, n. 54.
L’articolo , in precedenza, era così formulato:
155 Provvedimenti riguardo ai figli. - Il giudice che pronunzia la separazione dichiara a quale dei coniugi i figli sono affidati e adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole, con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa [147, 148].
In particolare il giudice stabilisce la misura e il modo con cui l’altro coniuge deve contribuire al mantenimento, all’istruzione e all’educazione dei figli, nonché le modalità di esercizio dei suoi diritti nei rapporti con essi .
Il coniuge cui sono affidati i figli, salva diversa disposizione del giudice, ha l’esercizio esclusivo della potestà su di essi [317, 320];
egli deve attenersi alle condizioni determinate dal giudice. Salvo che sia diversamente stabilito, le decisioni di maggiore interesse per i
figli sono adottate da entrambi i coniugi. Il coniuge cui i figli non siano affidati ha il diritto e il dovere di vigilare sulla loro istruzione
ed educazione e può ricorrere al giudice quando ritenga che siano state assunte decisioni pregiudizievoli al loro interesse.
L’abitazione nella casa familiare spetta di preferenza, e ove sia possibile, al coniuge cui vengono affidati i figli .
Il giudice dà inoltre disposizioni circa l’amministrazione dei beni dei figli e, nell’ipotesi che l’esercizio della potestà sia affidato ad
entrambi i genitori, il concorso degli stessi al godimento dell’usufrutto legale.
CODICE CIVILE
3. Effetti della riconciliazione
Art. 155
LIBRO PRIMO - DELLE PERSONE E DELLA FAMIGLIA
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1. Questioni di legittimità costituzionale...
In ogni caso il giudice può per gravi motivi ordinare che la prole sia collocata presso una terza persona o, nella impossibilità, in un
istituto di educazione.
Nell’emanare i provvedimenti relativi all’affidamento dei figli e al contributo al loro mantenimento, il giudice deve tener conto dell’accordo fra le parti: i provvedimenti possono essere diversi rispetto alle domande delle parti o al loro accordo, ed emessi dopo l’assunzione di mezzi di prova dedotti dalle parti o disposti d’ufficio dal giudice.
I coniugi hanno diritto di chiedere in ogni tempo la revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli, l’attribuzione dell’esercizio della potestà su di essi e le disposizioni relative alla misura e alle modalità del contributo.
(2) V. anche art. 4, l. 8 febbraio 2006, n. 54: «4. (Disposizioni finali) - I. Nei casi in cui il decreto di omologa dei patti di separazione
consensuale, la sentenza di separazione giudiziale, di scioglimento, di annullamento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio
sia già stata emessa alla data di entrata in vigore della presente legge, ciascuno dei genitori può richiedere, nei modi previsti dall’articolo 710 del codice di procedura civile o dall’art. 9 della legge 1° dicembre 1970, n. 898 e successive modificazioni, l’applicazione delle disposizioni della presente legge. II. Le disposizioni della presente legge si applicano anche al caso di scioglimento, di cessazione
degli effetti civili o di nullità del matrimonio, nonché ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati».
(3) V. art. 6, l. 1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio) nonché art. 63 , l. 27 luglio 1978 n. 392
(Disciplina delle locazioni di immobili urbani).
GIURISPRUDENZA
SOMMARIO
1 Questioni di legittimità costituzionale (riferite alla formulazione della norma precedente alla l.
54/2006). 2 Affidamento della prole: criteri e modalità (v. ora anche 155-bis). 2.1 Criteri. 2.2 Modalità.
2.3 Sottrazione internazionale di minori. 3 Titolarità ed esercizio della potestà sui figli. 4 Misura e modalità di contribuzione del genitore non affidatario al mantenimentoto della prole. 4.1 Osservazioni generali. 4.2 Prova delle condizioni di reddito dei coniugi. 4.3 Decorrenza dell’assegno. 4.4 Estinzione del
dovere di contribuzione. 4.5 Assegni familiari. 5 Diritto-dovere di visita del genitore non affidatario. 6
Diritto di abitazione sulla casa familiare. 6.1 Nozione di casa familiare. 6.2 Presupposti ed i criteri per
l’assegnazione della casa familiare. 6.3 Diritto del coniuge assegnatario: natura ed opponibilità ai terzi.
6.4 Estinzione del diritto. 7 Conseguenze del raggiungimento della maggiore età della prole. 7.1 Legittimazione a richiedere l’assegno. 7.2 Confini del diritto al mantenimento del figlio maggiorenne. 7.3 Diritto di abitazione attribuito al coniuge convivente con prole maggiorenne. 8 Accordi dei coniugi in vista
della separazione e del divorzio (rinvio). 9 Modifiche dei provvedimenti concernenti la prole. 10 Questioni processuali. 10.1 Osservazioni generali. 10.2 Provvedimenti temporanei ed urgenti. 11 Rapporto
tra giudizio di delibazione della sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità del matrimonio e giudizio di separazione. 12 Cessazione della convivenza more uxorio. 13 Rinvii.
1. Questioni di legittimità costituzionale (riferite alla
formulazione della norma precedente alla l.
54/2006)
La convivenza more uxorio rappresenta l’effetto
di una scelta di libertà dalle regole costruite dal legislatore per il matrimonio, donde l’impossibilità, pena la
violazione della libera determinazione delle parti, di
estendere alla famiglia di fatto, per la diversità delle situazioni raffrontate, le regole anche processuali connesse all’istituto matrimoniale; pertanto, è manifestamente infondata, in relazione agli artt. 2, 3, 24 e 30
Cost., la questione di costituzionalità del combinato
disposto degli artt. 151 comma 1 e 155 c.c., nella parte
in cui, per l’appunto, non consente l’applicabilità alla
cessazione della convivenza di fatto degli artt. 706-709
c.p.c., dettati per il caso di separazione dei coniugi. La
mancanza di una disciplina corrispondente all’art.
155, comma 4, c.c. - sul preferenziale affidamento
della casa familiare, in caso di separazione o scioglimento del matrimonio, al coniuge affidatario dei figli
minori o non economicamente autosufficienti - per l’ipotesi in cui un analogo affidamento al genitore
naturale avvenga quando cessi un rapporto di convivenza di fatto, non contrasta, di per sé, con gli
artt. 3 e 30 Cost.; si può trarre, infatti, da un’interpretazione sistematica delle norme sulla filiazione
(artt. 261, 147, 148 e 317-bis c.c.) la regula juris da applicare in concreto, senza ricorrere all’analogia o ad
una declaratoria di incostituzionalità e facendo valere il
principio di responsabilità genitoriale, indipendentemente dalla qualificazione dello status dei figli,
per il soddisfacimento dei bisogni di mantenimento della prole, primo fra tali bisogni quello della conservazione e del godimento dell’ambiente domestico, quale
centro di affetti, interessi e consuetudini di vita necessario all’armonica formazione della personalità del figlio (C. cost. 166/1998). Il provvedimento di assegnazione della casa familiare, a seguito della cessazione di un rapporto di convivenza more uxorio,
è legittimamente trascrivibile nei registri immobiliari
ai fini dell’opponibilità ai terzi, anche nell’ipotesi di affidamento della prole naturale al genitore che non sia titolare di diritti reali o di godimento sull’immobile, in applicazione del principio di responsabilità genitoriale ex
art. 30 Cost. (C. cost. 394/2005)
La diversità di disciplina tra l’assegnazione dell’abitazione nella casa familiare al genitore, affidatario della
prole, opponibile al terzo acquirente, nell’ipotesi di scioglimento del matrimonio e l’assegnazione dell’abitazione, non opponibile, nell’ipotesi di separazione personale dei coniugi, è priva di ragionevole giustificazione;
pertanto, l’art. 155, comma 4, c.c., nella parte in cui
non prevede, in caso di separazione personale, la
trascrizione del provvedimento giudiziale di assegnazione della abitazione nella casa familiare al coniuge affidatario della prole, ai fini dell’opponibilità
ai terzi, è incostituzionale per violazione degli artt. 2,
29 e 31 Cost. poiché l’art. 11 della l. 6 marzo 1987 n.
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LIBRO PRIMO - DELLE PERSONE E DELLA FAMIGLIA
Art. 155
1. Questioni di legittimità costituzionale...
dell’art. 38 disp. att. c.c. e dei lavori preparatori, la
spettanza al tribunale per i minorenni della competenza all’adozione dei relativi provvedimenti. (C. cost.
135/1980, FI, 1980, I, 2961)
2. Affidamento della prole: criteri e modalità (v. ora
anche 155-bis)
2.1 Criteri
In materia di affidamento dei figli minori, il giudice
della separazione e del divorzio deve attenersi al criterio fondamentale, posto, per la separazione, nell’art. 155, comma 1, c.c. e, per il divorzio, dall’art. 6 l.
1° dicembre 1970 n. 898, rappresentato dall’esclusivo interesse morale e materiale della prole, privilegiando quel genitore che appaia il più idoneo a ridurre al massimo i danni derivati dalla disgregazione
del nucleo familiare e ad assicurare il migliore sviluppo della personalità del minore. L’individuazione di tale genitore deve essere fatta sulla base di un giudizio
prognostico circa la capacità del padre o della madre
di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione
di genitore singolo, giudizio che, ancorandosi ad elementi concreti, potrà fondarsi sulle modalità con cui il
medesimo ha svolto in passato il proprio ruolo, con
particolare riguardo alla sua capacità di relazione affettiva, di attenzione, di comprensione, di educazione,
di disponibilità ad un assiduo rapporto, nonché sull’apprezzamento della personalità del genitore, delle
sue consuetudini di vita e dell’ambiente che è in grado
di offrire al minore. La questione dell’affidamento della
prole è rimessa alla valutazione discrezionale del giudice di merito, il quale deve avere come parametro di
riferimento l’interesse del minore e, ove dia sufficientemente conto delle ragioni della decisione adottata,
esprime un apprezzamento di fatto non suscettibile di
censura in sede di legittimità. (Nella specie, la Corte
ha cassato con rinvio la sentenza d’appello, la quale
aveva ritenuto di dover affidare la figlia minore alla
madre facendo leva, soprattutto, sul fatto che “il cristiano - e il marito e la moglie con la scelta del matrimonio religioso avevano esplicitato alla società di esserlo - conosceva le ultime parole del Cristo e sapeva
che non era dato al cristiano togliere la madre al figlio
né il figlio alla madre”, laddove la sentenza di primo
grado - ancorata alle risultanze di una consulenza tecnica collegiale - aveva disposto l’affidamento alla zia
paterna ed al di lei coniuge e l’allontanamento dalla
madre, la quale - mossa esclusivamente dal desiderio
di soddisfare il suo istinto distruttivo della figura paterna-maschile - aveva determinato l’esaurimento di tutti
i meccanismi difensivi fisiologici della bambina, con il
rischio di scivolamento dallo stato premorboso ad uno
stato psicotico di difficile o impossibile remissione).
(Cass. I, 27 giugno 2006, n. 14840; vedi anche:
Cass. I, 8 maggio 2003, n. 6970, GI, 2004, 2078;
Cass. I, 16 luglio 1992, n. 8667 e Cass. I, 22 giugno
1999, n. 6312 che ha valorizzato il criterio della stabilità del rapporto del figlio con i luoghi in cui si esplicano
i suoi legami affettivi ed i suoi principali interessi ed ha
confermato la statuizione del giudice di merito circa
l’esercizio in Italia del diritto di visita del padre, quale
genitore non affidatario residente all’estero). La circostanza che uno dei genitori risieda o intenda trasferirsi
all’estero, pur se comporta una più attenta e delicata
valutazione di tale interesse, non vale a modificare il
quadro normativo di riferimento, non sussistendo alcu-
CODICE CIVILE
74 prevede tale opponibilità nel caso di scioglimento
del matrimonio, per il quale sussiste la eadem ratio della tutela morale e materiale della prole (C. cost.
454/1989, FI, 1989, I, 3336). L’onere di trascrivere il
provvedimento d’assegnazione nel caso di separazione, in analogia con la normativa vigente in materia
di scioglimento del matrimonio, riguarda ex art. 1599
c.c., la sola assegnazione ultranovennale, ferma restando l’opponibilità del provvedimento in tutte le
altre ipotesi. (C. cost. 20/1990, GiC, 1990, I, 54)
Non è fondata, in riferimento agli artt. 3, comma 1
e 2, 24, comma 2, e 30 Cost., la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 5, comma 1 (in relazione all’art.
62), della l. 1° dicembre 1970 n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio) e dell’art. 708 c.p.c.
(in relazione all’art. 155 c.c.), nella parte in cui, rispettivamente nel giudizio di cessazione degli effetti civili del
matrimonio e nel giudizio di separazione personale dei
coniugi, non prevedono la nomina di un curatore
speciale che rappresenti in giudizio il minore figlio
delle parti, in ordine alla pronuncia sull’affidamento e
ad ogni altro provvedimento che lo riguardi. I giudizi in
questione, infatti, non attengono né si riflettono sullo
status dei figli, ed inoltre, essendo preordinati a scegliere la soluzione migliore per gli interessi del minore,
gli interessi di quest’ultimo non rimangono senza tutela, ma sono garantiti da una serie non indifferente di
misure. (C. cost. 185/1986, GI, 1988, I, 1, 1112)
Non è fondata - in riferimento agli artt. 3 e 25,
comma 1, Cost. - la questione di legittimità costituzionale dell’art. 155, comma 3, c.c. interpretato nel senso
che spetta al tribunale ordinario (e non a quello per
i minorenni), in regime di separazione dei coniugi,
l’adozione delle decisioni di maggior interesse per
i figli (in ipotesi di disaccordo fra i coniugi stessi).
Alla stregua della stessa impostazione del giudice a
quo deve escludersi che l’art. 155, comma 3, cit., sottraendo al tribunale per i minorenni una competenza
per la quale appare naturalmente più idoneo, contrasti
con la nozione di giudice precostituito per legge. A parte il rilievo che sono ammissibili deroghe razionalmente giustificabili rispetto al principio di competenza fissato in via generale (C. cost. 274 /1974), nella specie
nemmeno è ravvisabile una siffatta deroga, essendosi
provveduto ad una ripartizione di competenza in via
generale, determinando la competenza del tribunale
ordinario rispetto a quella del tribunale minorile quale
espressione della discrezionalità legislativa. E stante la
peculiarità del regime della separazione, risulta giustificabile, sul piano dell’eguaglianza, l’attribuzione di competenza al tribunale ordinario rispetto alle controversie
di questioni di particolare importanza riguardanti i figli
che, ove non sussistesse la separazione stessa, sarebbero invece devolute, ex art. 316, comma 3 c.c., al
tribunale per i minorenni. In definitiva la ripartizione di
competenza fra il tribunale ordinario e per i minorenni non dà luogo a problemi di costituzionalità,
ma di politica legislativa, e le relative difficoltà sono
per certi aspetti superabili in via di interpretazione. Ed
in vero la esegesi da cui muove il giudice a quo non è
affatto pacifica, avendo la cassazione, sia pure con riferimento al comma 8 dell’articolo (per individuare il
giudice competente in tema di revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli, l’attribuzione
dell’esercizio della potestà su di essi, e le disposizioni
relative alla misura ed alla modalità del contributo) riconosciuto, per ragioni sistematiche, oltre la lettera
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2. Affidamento della prole: criteri e modalità...
na disposizione che vieti o comunque limiti l’affidamento dei figli ai genitori residenti all’estero, ed essendo anzi costituzionalmente garantito al cittadino il
diritto di uscire dal territorio della Repubblica (art. 16,
ult. c., Cost.) (Cass. I, 17 febbraio 1995, n. 1732;
conforme: Cass. I, 16 marzo 1991, n. 2817). Il giudice della separazione dei coniugi deve assicurare, in
difetto di specifiche situazioni ostative, il mantenimento dei rapporti tra il figlio medesimo ed il genitore non
affidatario, nei limiti compatibili con la frattura del nucleo familiare, tenuto conto che l’equilibrato sviluppo della prole abbisogna, di regola, dell’apporto di
entrambi i genitori. (Cass. I, 9 agosto 1990, n.
8109)
Il comportamento di un coniuge consistente nel
mutamento di fede religiosa (nella specie, da quella
cattolica a quella dei testimoni di Geova), con correlativa partecipazione alle pratiche del nuovo culto, si ricollega all’esercizio di diritti garantiti dall’art. 19 Cost. e
non può avere rilevanza come motivo di addebito o
come ragione incidente sull’affidamento dei figli se
ed in quanto non superi i limiti di compatibilità con
i concorrenti doveri di coniuge o di genitore, per le
forme di comportamento adottate. (Cass. I, 7 febbraio
1995, n. 1401, GI, 1996, I, 1, 538)
I provvedimenti del giudice della separazione relativi all’affidamento dei figli ed al contributo per il loro
mantenimento, dovendo ispirarsi all’esclusivo interesse dei minori, non solo possono discostarsi dalle
domande delle parti, ma soprattutto vanno ancorati
ad una adeguata verifica delle condizioni patrimoniali dei genitori, esperibile anche di ufficio (Cass.
I, 17 settembre 1992, n. 10659). Il potere del giudice
istruttore di richiedere, ex art. 213 c.p.c., le informazioni scritte relative ad atti e documenti dell’amministrazione, comprende anche quello di acquisire al processo le relazioni orali o scritte di assistenti
sociali, già in precedenza svolte nell’esercizio delle loro pubbliche funzioni, quando esse - come nel caso
del giudizio di separazione dei coniugi in ordine ai
provvedimenti sull’affidamento dei figli minori - si rivelino pertinenti all’oggetto del processo medesimo. Tali
relazioni, vagliate dopo essere state oggetto di contraddittorio, hanno valore di prova indiziaria e di consulenza tecnica. (Cass. I, 20 febbraio 1986, n. 1032)
La statuizione sull’affidamento del figlio prescinde
del tutto dai rapporti tra i coniugi e dai comportamenti
che hanno determinato la separazione: il riesame sulla addebitabilità della separazione non influisce
sulla pronuncia relativa all’affidamento, che d’altronde va adottata con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale del figlio (Cass. I, 4 maggio
1991, n. 4936)
Nel procedimento di separazione personale dei
coniugi, l’affidamento dei figli minori è rimesso alla decisione del giudice e non è configurabile né un diritto dei genitori all’affidamento stesso né un diritto
dei figli alla scelta del genitore (nella specie la Corte
ha escluso, sulla scorta di detto principio, che i minori
fossero titolari di un interesse ad agire in giudizio e
conseguentemente la necessità della nomina di un curatore speciale al fine della loro costituzione nel processo quali litisconsorti necessari). Il giudice del merito, in relazione alla finalità di tutelare in via preminente
il loro interesse, ha la facoltà di assumere anche di ufficio mezzi di prova, nonché quella di sentire direttamente i minori, anche senza la presenza dei genitori,
se ciò ritenga necessario od opportuno. (Cass. I, 4 dicembre 1985, n. 6063)
L’affidamento dei figli minori all’uno o all’altro dei
genitori va disposto, in caso di separazione, esclusivamente in considerazione di quanto appaia più proficuo
al benessere psicofisico dei figli stessi. Pertanto, la circostanza che un figlio minore, divenuto ormai adolescente perfettamente consapevole dei propri sentimenti e delle loro motivazioni, provi nei confronti del
genitore cui era stato in precedenza affidato sentimenti di avversione o addirittura di ripulsa, a tal
punto radicati da doversi escludere che possano essere rimossi con facilità e rapidità mediante un semplice
cambio di ambiente, costituisce fatto idoneo a giustificare l’affidamento all’altro genitore, indipendentemente dalle colpe del primo o dal meriti del secondo, ed indipendentemente anche dalla fondatezza
delle motivazioni addotte dal figlio per giustificare
detti sentimenti, dei quali vanno solo valutati la profondità e l’intensità al fine di prevedere se disporre la convivenza del minore con il genitore avversato potrebbe
portare ad un superamento senza gravi traumi psichici
della sua animosità iniziale ovvero ad una dannosa radicalizzazione della stessa. (Cass. I, 2 giugno 1983,
n. 3776)
In materia di separazione personale, le disposizioni concernenti l’affidamento dei figli minori non
passano mai in cosa giudicata, essendo sempre
prese allo stato degli atti, secondo il mutevole apprezzamento di quanto, col passare del tempo e col
modificarsi della situazione, possa essere ritenuto più
conveniente nello interesse preminente dei figli (Cass.
I, 2 giugno 1983, n. 3776). E pertanto possono sempre essere adeguati ai sentimenti ed alle necessità affettive e spirituali degli stessi. (Cass. I, 21 ottobre
1980, n. 5642)
2.2 Modalità
Con l’entrata in vigore della riforma di cui alla
legge n. 54 del 2006, di immediata applicazione anche ai procedimenti pendenti, la regola è costituita
dall’affidamento condiviso, avendo natura meramente residuale l’ipotesi di affidamento esclusivo da
attuare solo quando il primo risulti contrario all’interesse del minore. (T. Chieti, 28 giugno 2006, Red. Giuffré, 2006)
L’affidamento condiviso dei figli, previsto come
regola dall’art. 155 c.c., non può ritenersi precluso, di
per sé, dalla mera conflittualità esistente tra i coniugi; piuttosto, in siffatte ipotesi, può essere previsto l’esercizio separato della potestà nel senso che ciascun
coniuge, nei periodi di permanenza dei figli presso di sé,
potrà effettuare, senza l’accordo dell’altro, le scelte di ordinaria amministrazione che più riterrà opportune. (T.
Catania, 1° giugno 2006, RGiuffré, 2006)
Nel caso di separazione di coniugi con figli, questi
possono essere affidati congiuntamente ai genitori.
Considerato che il minore necessita di un riferimento
abitativo stabile e di una organizzazione domestica coerente con le necessità di studi e di normale vita sociale, è necessaria una collocazione privilegiata e una
regola organizzativa anche sui tempi da trascorrere con il genitore non domiciliatario, non limitativa
dei diritti e doveri del genitore, improntati alla parità dei
ruoli ed esercitati con frequentazione e con facoltà di
interloquire con l’altro genitore sulle vicende che ri-
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LIBRO PRIMO - DELLE PERSONE E DELLA FAMIGLIA
Art. 155
2. Affidamento della prole: criteri e modalità...
all’opera di cura e di educazione dei figli. (Cass. I, 10
giugno 1976, n. 2129)
2.3 Sottrazione internazionale di minori
In tema di sottrazione internazionale del minore
da parte di uno dei genitori, e ai fini del procedimento
monitorio previsto dalla convenzione del L’Aja, ratificata con la legge n. 64 del 1994, per il ritorno del minorenne presso l’affidatario al quale è stato sottratto, la
nozione di «residenza abituale» posta dalla succitata
convenzione non coincide con quella di «domicilio»
(art. 431, c.c.), né con quella, di carattere formale, di
residenza scelta d’accordo tra i coniugi (art. 144 c.c.),
ma corrisponde ad una situazione di fatto, dovendo
per essa intendersi il luogo in cui il minore, in virtù di
una durevole e stabile permanenza, anche di fatto, ha
il centro dei propri legami affettivi, non solo parentali,
derivanti dallo svolgersi in detta località la sua quotidiana vita di relazione. Il relativo accertamento, che è
riservato all’apprezzamento del giudice del merito, incensurabile in sede di legittimità, se congruamente e
logicamente motivato, prescinde dalla considerazione
dell’eventuale diritto soggettivo del genitore di pretendere - anche ragionevolmente, ma in un distinto procedimento - una diversa collocazione del figlio, e prescinde altresì dai progetti di vita, eventualmente concordi,
degli adulti. (Cass. I, 2 febbraio 2005, n. 2093; conforme: Cass. I, 11 gennaio 2006, n. 397)
In tema di sottrazione internazionale di minori l’accertamento della capacità di discernimento del minore
(al fine della sua audizione nel procedimento diretto al
rientro immediato del minore stesso) rientra nell’insindacabile giudizio del Tribunale per i minorenni, senza
che sussista l’obbligo per lo stesso – istituzionalmente
competente per natura, composizione e funzioni a rendersi direttamente conto del grado di sviluppo intellettivo del minore- di disporre specifici mezzi di accertamento di tale capacità, come la consulenza tecnica
d’ufficio, considerati anche i ritmi serrati in cui il procedimento è scandito, essendo la materia caratterizzata
dall’uregnza di provvedere. (Cass. I, 18 marzo 2006,
n. 6081)
L’applicazione della convenzione dell’Aja prescinde totalmente dall’esistenza di un titolo giuridico di
affidamento, avendo lo scopo esclusivo di tutelare l’affidamento quale situazione di mero fatto, da reintegrare con l’immediato rientro del minore nel proprio
Stato di residenza abituale; sicché il trasferimento è
considerato illecito quando avviene in violazione del diritto di custodia, derivi esso dalla legge, da una decisione giudiziaria o da un accordo, purché sia effettivamente esercitato. Il diritto di custodia di cui all’art. 3
della convenzione va correttamente riconosciuto nell’effettivo esercizio della potestà genitoriale da parte
del genitore a cui il bambino è stato sottratto, a prescindere dal titolo formante che lo sorregge (Cass. I,
10 febbraio 2004, n. 2474, FD, 2004, 221). In tema di
sottrazione internazionale di minore, nel verificare l’illiceità del trasferimento del minore secondo quanto stabilito dalla convenzione dell’Aja, il giudice adito non
deve fare riferimento agli istituti regolanti l’affidamento
all’interno dei singoli Stati, dovendo invece ricondurlo
al complesso dei diritti e dei doveri concernenti la cura
della persona del minore, secondo l’ampia formula
contenuta nell’art. 5 della convenzione; in questo modo la phisical custody attribuita esclusivamente ad un
CODICE CIVILE
guardano i figli, con l’adozione concordata delle scelte
di maggiore interesse, con l’assunzione di compiti di
cura, educazione ed istruzione dei figli da parte di entrambi, nonché con l’assunzione di un reciproco dovere di informazione sulle questioni che riguardano la
prole, molto più incisivo, per evidenti ragioni connesse
alla diversità di dimora, di quello proprio dei genitori
conviventi. (T. Messina, 18 luglio 2006, Red. Giuffré,
2006)
Il provvedimento provvisorio del Presidente del tribunale con il quale un minore è collocato presso i nonni, nonostante la modifica avvenuta con intervento legislativo, può comunque ammettersi come provvedimento atipico nell’interesse dei minori in base alla
clausola di riserva contenuta nell’ultima parte del
comma 2 del riformato art. 155 c.c. (T. Salerno, 20
giugno 2006, RGiuffré, 2006)
Anche in sede di separazione tra i coniugi, il giudice può affidare il figlio ad entrambi i genitori congiuntamente, trovando applicazione l’art. 6 legge sul divorzio
(1° dicembre 1970 n. 898, come sostituito dall’art. 11, l.
6 marzo 1987, n. 74), il quale, appunto, dispone che il
tribunale, pronunciando lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, provvede in ordine
alla prole, con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa, e, ove lo ritenga utile all’interesse del minore, può disporne l’affidamento congiunto. In
questo contesto, il disporre l’affidamento congiunto,
anziché quello esclusivo, è questione rimessa alla
valutazione discrezionale del giudice di merito, il quale
deve avere come parametro normativo di riferimento
l’interesse del minore medesimo e, ove dia sufficientemente conto delle ragioni della decisione adottata,
esprime un apprezzamento di fatto non suscettibile di
riesame in sede di legittimità. (Cass. I, 20 gennaio
2006, n. 1202)
L’affidamento alternato dei figli minori, che è
espressamente previsto per il divorzio dall’art. 6, comma 2, della l. 1° dicembre 1970, n. 898 (nel testo introdotto dall’art. 11 della l. 6 marzo 1987, n. 74), e che
può essere disposto anche dal giudice della separazione, in applicazione analogica di detta norma, deve rispondere all’interesse dei figli medesimi, anche in relazione alla loro età. Pertanto, nel caso in cui uno dei genitori appartenga ad una minoranza etnica o linguistica, l’esigenza di conservarne i relativi valori non può di
per sé giustificare l’affidamento alternato del figlio, occorrendo fare preminente riferimento alla necessità di
assicurargli un equilibrato sviluppo. (Cass. I, 4 maggio
1991, n. 4936)
Il giudice che pronuncia la separazione dei coniugi, nell’esercizio dei poteri conferitigli dall’art. 155 c.c. a
tutela dell’interesse preminente del figlio minore, può
disporre che l’affidamento di questi ad uno dei genitori sia condizionato al mantenimento della residenza in una determinata località, ove ciò risulti essenziale per il minore medesimo. (Cass. I, 25 maggio
1983, n. 3637)
In materia di separazione personale, il collocamento dei figli in un istituto di educazione costituisce misura a carattere eccezionale, alla quale deve
farsi ricorso solo quando ricorrono gravi motivi, e cioè
quando vi sia una vera e propria impossibilità di addivenire ad una diversa soluzione in favore dell’uno o
dell’altro dei genitori, in quanto entrambi abbiano rivelato un’assoluta deficienza morale e totale inidoneità
Art. 155
LIBRO PRIMO - DELLE PERSONE E DELLA FAMIGLIA
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2. Affidamento della prole: criteri e modalità...
genitore non è criterio per negare la tutela convenzionale all’altro genitore direttamente coinvolto nella crescita e nell’educazione del minore. (Cass. I, 14 febbraio 2004, n. 2894, FD, 2004, 221)
3. Titolarità ed esercizio della potestà sui figli
A seguito della separazione tra coniugi, la potestà
sui figli rimane ad essi comune, l’esercizio esclusivo della medesima è attribuito all’affidatario, che
deve attenersi alle condizioni fissate dal giudice, e le
decisioni di maggior interesse (tra cui la scelta della scuola) devono essere adottate da entrambi i genitori; in mancanza di accordo, compete al giudice
ordinario ai sensi dell’articolo 155, comma 3, c.c., accertare la congruità rispetto all’interesse del minore
della decisione assunta dall’affidatario, avvalendosi a
tal fine dei poteri ufficiosi di cui all’articolo 155, comma
7, c.c. e integrando all’occorrenza le condizioni della
separazione; benché la norma attribuisca il potere d’iniziativa al genitore non affidatario, analogo potere
spetta anche all’affidatario, il quale, in presenza di contrasto con l’altro coniuge, anziché decidere può chiedere direttamente al giudice di adottare i provvedimenti
necessari. (Cass. I, 3 novembre 2000, n. 14360)
In tema di separazione personale, l’art. 155 c.c.,
nel rimettere alle determinazioni di entrambi i coniugi «le scelte di maggior interesse per i figli»,
non impone, riguardo ad esse, alcuno specifico
onere di informazione al genitore affidatario, dovendo tale onere ritenersi implicitamente gravante su
quest’ultimo (sempre che il suo adempimento non rischi di risolversi in un danno per il minore in relazione
alla indifferibilità della scelta) nel solo caso in cui l’informazione sia necessaria affinché il genitore non affidatario possa partecipare alla decisione con riguardo
ad eventi eccezionali ed imprevedibili. Ne consegue
che, nelle scelte «di maggior interesse» della vita quotidiana del minore - quali, di regola, quelli attinenti alla
sua istruzione, in relazione ai quali l’art. 155 citato
prevede espressamente un dovere di vigilanza del coniuge non affidatario - ciascun genitore, in ogni caso
ed in ogni tempo, ha un autonomo potere di attivarsi
nei confronti dell’altro per concordarne le eventuali modalità, e, in difetto, ricorrere all’autorità giudiziaria. (Principio affermato in relazione ad una vicenda
in cui il genitore non affidatario, tenuto a corrispondere
un contributo pari al 50% delle spese scolastiche del
minore - così come disposto dalla sentenza di separazione - aveva contestato il diritto al rimborso della
somma pretesa a tal titolo dal coniuge affidatario con
riferimento alle spese sostenute per l’iscrizione del figlio presso un istituto scolastico privato non previamente concordata: la S.C., premessa l’irrilevanza della
inesistenza di un accordo tra i coniugi circa tale scelta
scolastica, ha ritenuto sufficiente, per la sussistenza
dell’obbligo di rimborso, l’esistenza del titolo giudiziale
e la mancata, tempestiva adduzione da parte del genitore non affidatario di validi motivi di dissenso circa la
scelta della scuola, a prescindere dalla circostanza
che l’altro coniuge gli avesse o meno comunicato tale
determinazione). (Cass. I, 29 maggio 1999, n. 5262)
La scelta e il mutamento del nome del figlio minore, coinvolgendo un diritto fondamentale e irrinunciabile della persona, da un lato rientrano tra le «questioni di particolare importanza» per le quali gli artt.
316 c.c. e 38 disp. att. c.c. esigono l’accordo dei geni-
tori e, in difetto, contemplano l’intervento del tribunale
per i minorenni, dall’altro, - nella pendenza della causa
di separazione - realizzano «decisioni di maggiore interesse» per il figlio minore, come tali demandate al
giudice della separazione, cioè al tribunale ordinario.
(Cass. I, 20 settembre 1997, n. 9339)
Il provvedimento di affidamento del figlio minore
ad uno dei coniugi separati comporta, quale normale
effetto di legge, ai sensi dell’art. 155, comma 3, c.c.,
che detto affidatario ha l’esercizio esclusivo della
potestà sul figlio medesimo (salva restandone la titolarità ad entrambi i coniugi). Ne consegue che il giudice
del merito, nel disporre detto affidamento, non è tenuto
ad indicare le ragioni che giustifichino quell’esercizio
esclusivo della potestà, mentre deve fornire adeguata
motivazione solo nel diverso caso in cui ritenga di
derogare, in relazione a particolari situazioni, alla
suddetta norma. (Cass. I, 13 maggio 1986, n. 3167)
4. Misura e le modalità di contribuzione del genitore
non affidatario al mantenimento della prole
4.1 Osservazioni generali
Sui criteri generali per la determinazione dell’ammontare del contributo a carico di ciascun genitore v.
sub art. 148, § 2
Sulla validità dell’accordo di separazione che contenga l’impegno di un coniuge di trasferire la proprietà
di un immobile al fine di concorrere al mantenimento
del figlio minore v. Cass. II, 17 giugno 2004, n. 11342
sub art. 158, § 2.2
In seguito alla separazione personale dei coniugi
o al divorzio, la prole ha diritto ad un mantenimento
tale da garantirle un tenore di vita corrispondente
alle risorse economiche della famiglia ed analogo,
per quanto possibile, a quello goduto in precedenza. Il dovere di mantenere, istruire ed educare la prole,
secondo il precetto di cui all’art. 147 c.c., impone ai genitori, anche in caso di separazione (o di divorzio), di
far fronte ad una molteplicità di esigenze dei figli, certamente non riconducibili al solo obbligo alimentare,
ma inevitabilmente estese all’aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, all’assistenza morale
e materiale, alla opportuna predisposizione - fin quando la loro età lo richieda - di una stabile organizzazione domestica, adeguata a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione. Il parametro di riferimento, ai fini della corretta determinazione del rispettivo concorso negli oneri finanziari, è costituito, secondo il disposto dell’art. 148 c.c., non solo dalle
«rispettive sostanze», ma anche dalla rispettiva capacità di lavoro, professionale o casalingo, di ciascun coniuge, con espressa valorizzazione, oltre che
delle risorse economiche individuali, anche delle accertate potenzialità reddituali. (Cass. I, 22 marzo
2005, n. 6197; conforme: Cass. I, 19 marzo 2002, n.
3974) L’attitudine al lavoro proficuo dei medesimi, quale potenziale capacità di guadagno, costituisce elemento valutabile ai fini della determinazione della misura dell’assegno di mantenimento da parte del giudice, che deve al riguardo tenere conto non soltanto
dei redditi in denaro ma anche di ogni utilità o capacità dei coniugi suscettibile di valutazione economica. Peraltro, l’attitudine del coniuge al lavoro assume in tal caso rilievo solo se venga riscontrata in termini di effettiva possibilità di svolgimento di un’atti-
209
LIBRO PRIMO - DELLE PERSONE E DELLA FAMIGLIA
Art. 155
vità lavorativa retribuita, in considerazione di ogni
concreto fattore individuale ed ambientale, e non già di
mere valutazioni astratte ed ipotetiche. (Cass. I, 2 luglio 2004, n. 12121; conforme: Cass. I, 19 marzo
2002, n. 3975). Ne deriva che la fissazione, da parte
del giudice di merito, di una somma (nella specie, cinquecentomila lire mensili) quale contributo per il mantenimento di un figlio minore (nella specie, dell’età di
nove anni) può legittimamente venir correlata non tanto alla quantificazione delle entrate derivanti dall’attività professionale svolta dal genitore non convivente,
quanto piuttosto ad una valutazione complessiva del
minimo essenziale per la vita e la crescita di un
bambino dell’età suindicata. (Cass. I, 8 novembre
1997, n. 11025) La valutazione della capacità economica di ciascun genitore, separato o divorziato, deve
essere effettuata considerando la complessiva consistenza del patrimonio di ciascuno di essi, quale
espressa da ogni forma di reddito od utilità, e quindi
anche dal valore intrinseco di beni immobili, siano
essi direttamente abitati o diversamente utilizzati.
(Cass. I, 21 gennaio 1995, n. 706; conforme: Cass.
I, 5 ottobre 1992, n. 10926)
Nel giudizio di separazione e divorzio, i provvedimenti necessari alla tutela degli interessi morali e
materiali della prole, tra i quali rientrano anche quelli
di attribuzione e determinazione di un assegno di mantenimento a carico del genitore non affidatario, possono essere adottati d’ufficio, essendo rivolti a soddisfare esigenze e finalità pubblicistiche sottratte all’iniziativa e alla disponibilità delle parti (Cass. I, 13 gennaio 2004, n. 270; conforme: Cass. I, 22 giugno
1999, n. 6312). L’adottabilità d’ufficio, da parte del giudice, ex art. 155 c.c., dei provvedimenti necessari alla
tutela morale e materiale dei figli minori (provvedimenti
caratterizzati da esigenze e finalità pubblicistiche e
sottratti, per l’effetto, all’iniziativa ed alla disponibilità
delle parti) condiziona la stessa applicazione dell’art.
345 c.p.c. in tema di ius novorum in appello, nel senso
che una richiesta di parte al riguardo formulata per
la prima volta in sede di gravame si risolve pur
sempre nell’allegazione di una omessa pronuncia
di provvedimenti che rientravano nei poteri d’ufficio del primo giudice. (Nella specie la S.C. ha così
confermato la sentenza d’appello che, a fronte di una
richiesta di modifica del provvedimento di affidamento
congiunto del minore - con residenza privilegiata presso la casa paterna - avanzata dalla madre, che chiedeva, invece, l’affidamento esclusivo del minore stesso,
aveva ampliato il diritto di visita riconosciuto alla ricorrente pur in assenza di una specifica richiesta in tal
senso). (Cass. I, 28 febbraio 2000, n. 2210)
In sede di separazione personale tra coniugi, al fine di determinare l’ammontare dell’assegno di mantenimento dovuto per i figli nati in costanza di matrimonio, il giudice non può trascurare di considerare,
nel valutare la capacità patrimoniale del genitore, anche gli obblighi di natura economica che incombono
per legge sul medesimo genitore per il mantenimento
di altro figlio, nato fuori dal matrimonio (Cass. I, 16
maggio 2005, n. 10197). È altresì legittimo tenere
conto delle esigenze economiche che l’affidamento comporta per il coniuge affidatario, e in particolare anche della voce di spesa costituita dall’importo
del canone necessario per la locazione della casa di
abitazione. Né assume rilievo il fatto che il coniuge affidatario utilizzi a tal fine un appartamento di proprietà
del proprio fratello, non potendo il coniuge tenuto a
versare l’assegno di mantenimento giovarsi di eventuali condizioni di favore esistenti fra il coniuge affidatario ed il fratello di quest’ultimo, anche tenuto conto
della precarietà di tale eventuale rapporto favorevole,
privo, com’è, di tutela giuridica (Cass. I, 26 marzo
2004, n. 6074). La formazione di una nuova famiglia
non legittima di per sé una diminuzione del contributo per il mantenimento dei figli nati in precedenza,
in quanto costituisce espressione di una scelta e non
di una necessità e lascia inalterata la consistenza degli
obblighi nei confronti della prole. (Cass. I, 22 novembre 2000, n. 15065, FD, 2001, 34)
La previsione dell’art. 5, comma 7, l. 1 dicembre 1970 n. 898 (come modificato dall’art. 10, l. 6 marzo 1987 n. 74), secondo cui la sentenza di scioglimento del matrimonio deve stabilire un criterio di adeguamento automatico, almeno con riferimento agli indici
di svalutazione monetaria, dell’assegno di mantenimento posto a carico di uno degli ex coniugi è applicabile in via analogica anche all’assegno previsto
dall’art. 155 c.c. Ne consegue che esso è rivalutabile,
anche in assenza di domanda di parte e senza obbligo di motivazione, in misura almeno pari agli indici
ISTAT, salvo i casi di palese iniquità, che richiedono viceversa specifica motivazione. (Cass. I, 5 agosto
2004, n. 15101; V. ora il V comma come modificato
dalla l. 54/2006)
In ipotesi di separazione personale dei coniugi, la
esclusione della possibilità per il coniuge affidatario di figli minori di fruizione della casa familiare legittima l’incremento della misura dell’assegno di
mantenimento. (Cass. I, 9 settembre 2002, n. 13065)
In tema di separazione personale dei coniugi, deve ritenersi che, in mancanza di diverse disposizioni, il contributo al mantenimento dei figli minori,
determinato in una somma fissa mensile in favore
del genitore affidatario, non costituisca il mero rimborso delle spese sostenute dal suddetto affidatario nel
mese corrispondente, bensì la rata mensile di un assegno annuale determinato, tenendo conto di ogni
altra circostanza emergente dal contesto, in funzione
delle esigenze della prole rapportate all’anno; ne consegue che il genitore non affidatario non può ritenersi sollevato dall’obbligo di corresponsione dell’assegno per il tempo in cui i figli, in relazione alle
modalità di visita disposte dal giudice, si trovino presso di lui ed egli provveda pertanto, in modo esclusivo,
al loro mantenimento (Cass. I, 17 gennaio 2001, n.
566; Cass. I, 1° aprile 1994, n. 3225, FI, 1996, I, 274;
vedi però: Cass. I, 13 dicembre 1988, n. 6786: Il dovere di contribuire al mantenimento dei figli, posto a
carico di uno dei coniugi separati, con l’obbligo di versare all’altro coniuge, affidatario della prole, un assegno mensile, deve ritenersi assolto quando l’obbligato
provveda in modo esclusivo al mantenimento degli
stessi figli, nel tempo in cui è autorizzato a tenerli presso di sé, sicché, per il relativo periodo, egli non è tenuto a versare detto assegno)
In tema di assegno di separazione o di divorzio, il
nostro ordinamento consente in ogni tempo all’avente
diritto o all’obbligato di avvalersi della tutela offerta dal
procedimento di revisione per porre rimedio alla
pretesa discordanza tra la situazione reale successiva e le previsioni iniziali, anche in funzione dell’elasticità dei mezzi economici a disposizione delle parti e
della erosione del potere di acquisto causato dalla sva-
CODICE CIVILE
4. Misura e le modalità di contribuzione del genitore...
Art. 155
LIBRO PRIMO - DELLE PERSONE E DELLA FAMIGLIA
210
4. Misura e le modalità di contribuzione del genitore...
lutazione monetaria, cosicché ogni determinazione
giudiziale costituisce un giudicato rebus sic stantibus ed ammette modificazioni in caso di comprovato
mutamento obiettivo della situazione di fatto accertata
al momento della pronuncia. (Cass. I, 26 febbraio
1988, n. 2043)
Ove la sentenza di separazione personale dei coniugi ponga a carico di quello non affidatario del figlio
minore un contributo pari al 50% delle spese scolastiche del minore stesso, a detto genitore non compete un diritto di veto a proposito della scuola
scelta dell’altro, ma unicamente il diritto di concordare con l’altro tale scelta e, in caso di mancato accordo,
di ricorrere al giudice. Pertanto, qualora il genitore non
affidatario non abbia tempestivamente addotto validi
motivi di dissenso circa la scelta operata dall’altro (provocando, eventualmente, l’intervento del giudice), non
può, poi, negare il diritto dell’altro a pretendere il 50%
della somma spesa per l’iscrizione in una scuola privata piuttosto che in una scuola pubblica. (Cass. I, 29
maggio 1999, n. 5262, GC, 2000, I, 428)
In tema di separazione personale dei coniugi, l’ordine al terzo di versare direttamente agli aventi diritto parte delle somme di denaro periodicamente
dovute all’obbligato può estendersi anche all’assegno in favore dei figli minori, nonostante l’art. 156
c.c. richiami il precedente art. 155 solo nel comma 4
(dove è prevista l’imposizione di idonee garanzie reali
e personali), in quanto l’assegno a favore del coniuge
affidatario è di regola comprensivo sia delle somme
dovute a titolo di mantenimento del coniuge privo di
adeguati redditi propri, sia di quelle dovute a titolo di
contributo nel mantenimento della prole, e, quand’anche consista solo in quest’ultimo contributo, rappresenta pur sempre un credito dell’altro coniuge e la sua
corresponsione da parte dell’obbligato si inserisce, necessariamente, nella disciplina dei rapporti patrimoniali
tra coniugi, salva restando la destinazione delle relative somme. (Cass. I, 4 dicembre 1996, n. 10813, GI,
1997, I, 1, 1532)
L’assegno dovuto al coniuge separato o divorziato, per il mantenimento dei figli ad esso affidati, non
può subire riduzioni o detrazioni in relazione ad altre elargizioni del coniuge obbligato in favore dei figli
medesimi, ove queste risultino effettuate per spirito
di liberalità per soddisfare esigenze ulteriori rispetto a
quelle poste a base del predetto assegno, sicché restino ricollegabili ad un titolo diverso. (Cass. I, 29 dicembre 1990, n. 12212, GC, 1991, I, 3033)
Sul diritto di rimborso del coniuge che ha provveduto integralmente al mantenimento della prole v. sub
art. 147, §§ 2, 4 e 5 nonché sub art. 148, § 3
4.2 Prova delle condizioni di reddito dei coniugi
In tema di presunzioni, è incensurabile in sede di
legittimità l’apprezzamento del giudice di merito circa
l’opportunità di fondare la decisione su tale mezzo di
prova e circa la ricorrenza dei requisiti di precisione,
gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare gli elementi di fatto come fonti di presunzione,
sempre che la motivazione adottata al riguardo sia
congrua dal punto di vista logico, immune da errori di
diritto e rispettosa dei principi che regolano la prova
per presunzioni. (Principio espresso in fattispecie nella
quale il giudice del merito, in un giudizio di separazione personale tra coniugi, aveva fatto ricorso allo stru-
mento presuntivo per ricostruire, al di là delle dichiarazioni fiscali, l’effettiva posizione reddituale
del marito - affermato medico specialista libero professionista con un’attività intensa, svolta presso numerosi studi professionali - e ciò ai fini della determinazione dell’assegno per il mantenimento della moglie e dei
figli). (Cass. I, 14 maggio 2005, n. 10135)
L’art. 6, comma 9, legge n. 898 del 1970, come
l’art. 155, comma 7, c.c. in materia di separazione, disponendo che i provvedimenti relativi all’affidamento dei
figli ed al contributo per il loro mantenimento «possono
essere diversi rispetto alle domande delle parti o al loro accordo, ed emessi dopo l’assunzione di mezzi di
prova dedotti dalle parti o disposti d’ufficio dal giudice», opera una deroga alle regole generali sull’onere della prova, attribuendo al giudice poteri istruttori di ufficio per finalità di natura pubblicistica,
con la conseguenza che le domande delle parti non
possono essere respinte sotto il profilo della mancata
dimostrazione degli assunti sui quali si fondano e che i
provvedimenti da emettere devono essere ancorati ad
una adeguata verifica delle condizioni patrimoniali dei
genitori e delle esigenze di vita dei figli esperibile anche di ufficio. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza del giudice d’appello che aveva ritenuto superate le esigenze prospettate dalla madre nel richiedere l’aumento dell’assegno per il figlio per aver il
padre dichiarato, che questi non frequentava più la piscina, non era più iscritto a un istituto privato e non necessitava più di baby sitter, in assenza di una specifica
contestazione della madre). (Cass. I, 22 novembre
2000, n. 15065)
4.3 Decorrenza dell’assegno
In tema di separazione o divorzio e nella ipotesi in
cui uno dei coniugi abbia chiesto un assegno di mantenimento per i figli, la domanda, se ritenuta fondata,
deve essere accolta, in mancanza di espresse limitazioni, dalla data della sua proposizione, e non da
quella della sentenza, atteso che i diritti ed i doveri
dei genitori verso la prole, salve le implicazioni dei
provvedimenti relativi all’affidamento, non subiscono
alcuna variazione a seguito della pronuncia di separazione o divorzio, rimanendo identico l’obbligo di ciascuno dei coniugi di contribuire, in proporzione delle
sue capacità, all’assistenza ed al mantenimento dei figli. (Cass. I, 3 novembre 2004, n. 21087; conforme:
Cass. I, 2 maggio 2006, n. 10119)
Nel giudizio di modifica delle condizioni della separazione, la rideterminazione del contributo dovuto
dal coniuge onerato va effettuata con riferimento alla
situazione in atto al momento della decisione, ed, a tal
fine, deve essere considerata anche l’evoluzione delle condizioni economiche delle parti nel corso del
giudizio. A tal riguardo il giudice è tenuto ad ancorare la decorrenza della nuova determinazione del
contributo, al momento dell’effettivo verificarsi del
mutamento di dette condizioni, ed ad eventualmente
modulare, nel tempo, l’ammontare dell’assegno, attraverso uno scaglionamento degli incrementi o delle diminuzioni, in relazione al loro progressivo variare.
(Cass. I, 11 settembre 1998, n. 9028; conforme:
Cass. I, 24 marzo 1994, n. 2870)
Nell’ipotesi in cui l’assegno di mantenimento per
il coniuge separato e per i figli sia quantificato in sentenza in misura maggiore rispetto a quella fissata
211
LIBRO PRIMO - DELLE PERSONE E DELLA FAMIGLIA
Art. 155
in via provvisoria dal presidente del tribunale, in considerazione della svalutazione monetaria intervenuta
nelle more, la decorrenza di tale maggiore misura non
può farsi coincidere con la data della decisione senza
alcun conguaglio per il periodo intermedio, dovendosi
invece riconoscere l’adeguamento secondo scaglioni progressivi, rapportati ad un anno fino a raggiungere, a partire dal momento della decisione, la quantità
aggiornata al valore della moneta all’epoca corrente.
(Cass. I, 16 febbraio 1995, n. 1702)
4.4 Estinzione del dovere di contribuzione
La prestazione di assistenza di tipo coniugale da
parte di un convivente more uxorio di uno dei coniugi
può assumere rilievo solo per escludere oppure ridurre
lo stato di bisogno dell’altro coniuge e, quindi, in ordine
all’esistenza e alla consistenza del diritto all’assegno di
mantenimento o divorzile, da parte di quest’ultimo, ma
non può incidere sull’obbligo di provvedere al mantenimento dei figli che, in base al disposto dell’art. 147
c.c., grava esclusivamente su ciascuno dei genitori, ed
è rivolto a far fronte ad una molteplicità di esigenze,
non riconducibili al solo obbligo alimentare. (Cass. I,
24 febbraio 2006, n. 4203)
Il diritto di percepire gli assegni di mantenimento
riconosciuti, in sede di divorzio, all’ex coniuge da sentenze passate in giudicato per i figli minori a lui affidati
può essere modificato, ovvero estinguersi del tutto, solo attraverso la procedura prevista dall’art. 710 c.p.c.
(oltre che per accordo tra le parti), con la conseguenza
che la raggiunta maggiore età e la raggiunta autosufficienza economica del figlio non sono, di per
sé, condizioni sufficienti a legittimare, ipso facto,
la mancata corresponsione dell’assegno. (Cass. I,
4 aprile 2005, n. 6975)
V. anche sub § 7.2
4.5 Assegni familiari
Il coniuge affidatario del figlio minorenne ha
diritto, ai sensi dell’art. 211, l. 19 maggio 1975 n. 151,
a percepire gli assegni familiari corrisposti per tale
figlio all’altro coniuge in funzione di un rapporto di lavoro subordinato di cui quest’ultimo sia parte, indipendentemente dall’ammontare del contributo per il mantenimento del figlio fissato in sede di separazione consensuale omologata a carico del coniuge non affidatario, salvo che sia diversamente stabilito in modo
espresso negli accordi di separazione. Gli assegni
familiari per il coniuge, consensualmente o giudizialmente separato invece, in mancanza di una previsione
analoga al citato art. 211, spettano al lavoratore, cui
sono corrisposti per consentirgli di far fronte al suo obbligo di mantenimento ex artt. 143 e 156 c.c., con la
conseguenza che, se nulla al riguardo è stato pattuito dalle parti in sede di separazione consensuale
(ovvero è stato stabilito dal giudice in quella giudiziale), deve ritenersi che nella fissazione del contributo
per il mantenimento del coniuge si sia tenuto conto anche di questa particolare entrata. (Cass. I, 2 aprile
2003, n. 5060, GI, 2003, 2011; conforme: Cass. SU,
27 novembre 1989, n. 5135)
5. Diritto-dovere di visita del genitore non affidatario
In materia di affidamento dei figli minori il giudice
della separazione e del divorzio deve attenersi al criterio fondamentale - posto, per la separazione, dal legislatore della riforma del diritto di famiglia, nell’art. 155
comma 1, c.c. (che ha esplicitamente codificato un
principio costantemente adottato in precedenza dalla
giurisprudenza e dalla dottrina), e, per il divorzio, dall’art. 6 della legge n. 898 del 1970 - rappresentato dall’esclusivo interesse morale e materiale della prole, privilegiando quel genitore che appaia il più idoneo a ridurre al massimo - nei limiti consentiti da una situazione comunque traumatizzante - i danni derivati dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicurare il migliore sviluppo possibile della personalità del minore. In
tale prospettiva consegue, da un lato, che la stessa posizione del genitore affidatario si configuri piuttosto che come un «diritto», come un munus, e che la
stessa regolamentazione del c.d. «diritto di visita»
del genitore non affidatario debba far conto del profilo
per cui un tal «diritto» si configuri esso stesso come
uno strumento in forma affievolita o ridotta per l’esercizio del fondamentale «diritto - dovere» di entrambi i genitori, di mantenere, istruire ed educare i
figli, il quale trova riconoscimento costituzionale nell’art. 30, comma 1, Cost., e viene posto, dall’art. 147
c.c., fra gli effetti del matrimonio. (Cass. I, 19 aprile
2002 n. 5714)
Il giudice della separazione e del divorzio, nel
disciplinare il diritto - dovere del genitore non affidatario di mantenere, istruire ed educare la prole, ha quale
misura e limite l’attuazione del preminente interesse
del figlio e può legittimamente imporre quelle cautele e
restrizioni che siano necessarie ad evitare un pregiudizio alla salute psicofisica dello stesso, arrivando anche
a sospendere gli incontri allorquando la continuazione dei rapporti genitore - figlio esporrebbe il minore a rischi gravi e comprovati per la sua crescita
serena ed equilibrata. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto
legittima la decisione del giudice di merito che, in un
caso di genitore non affidatario residente all’estero,
aveva disposto che le visite di questi al minore, per
evitare il nocumento derivatogli in passato dai continui
trasferimenti, si svolgessero in Italia e che il minore potesse espatriare solo col consenso della madre affidataria). (Cass. I, 22 giugno 1999, n. 6312; conforme:
Cass. I, 17 gennaio 1996, n. 364)
Lo stato di tossicodipendenza del genitore non
affidatario non può rivelarsi - di per sé - ostativo al
riconoscimento - al medesimo - del diritto di tenere
con sé il minore in tempi stabiliti, non potendosi per
ciò solo negare, al genitore non affidatario, di conservare e rafforzare i rapporti affettivi con il figlio, nonché
di seguire - al tempo stesso - la sua crescita, la sua
educazione e la sua vita, qualora risulti accertata l’utilità di tali rapporti per il minore medesimo. (Cass. I, 25
settembre 1998, n. 9606)
In tema di provvedimenti connessi all’affidamento
dei figli in sede di separazione personale dei coniugi,
la mancanza di un’espressa previsione di legge
non è sufficiente a precludere, al giudice, di riconoscere e regolamentare le facoltà di incontro e
frequentazione dei nonni con i minori, né a conferire a tale possibilità carattere solo «residuale» presupponente il ricorso di gravissimi motivi. Infatti non possono ritenersi privi di tutela vincoli che affondano le loro radici nella tradizione familiare la quale trova il suo
riconoscimento anche nella Costituzione (art. 29
Cost.), laddove, invece, anche un tal tipo di provvedi-
CODICE CIVILE
4. Misura e le modalità di contribuzione del genitore...
Art. 155
LIBRO PRIMO - DELLE PERSONE E DELLA FAMIGLIA
212
5. Diritto-dovere di visita del genitore non affidatario...
menti deve risultare sempre e solo ispirato al precipuo
interesse del minore. (Cass. I, 25 settembre 1998, n.
9606)
In tema di provvedimenti relativi alla prole, conseguenti alla dichiarazione di cessazione degli effetti civili
del matrimonio, ed anche in base ai principi sanciti dalla convenzione di New York del 20 novembre 1989, ratificata con l. n. 176 del 1991, la circostanza che un
figlio minore, divenuto ormai adolescente e perfettamente consapevole dei propri sentimenti e delle
loro motivazioni, provi nei confronti del genitore
non affidatario sentimenti di avversione o, addirittura, di ripulsa - a tal punto radicati da doversi escludere che possano essere rapidamente e facilmente rimossi, nonostante il supporto di strutture sociali e psicopedagogiche - costituisce fatto idoneo a giustificare anche la totale sospensione degli incontri tra
il minore stesso ed il coniuge non affidatario. Tale
sospensione può essere disposta indipendentemente
dalle eventuali responsabilità di ciascuno dei genitori rispetto all’atteggiamento del figlio ed indipendentemente anche dalla fondatezza delle motivazioni addotte da quest’ultimo per giustificare detti sentimenti,
dei quali vanno solo valutate la profondità e l’intensità,
al fine di prevedere se disporre il prosieguo degli incontri con il genitore avversato potrebbe portare ad un
superamento senza gravi traumi psichici della sua animosità iniziale ovvero ad una dannosa radicalizzazione della stessa. (Cass. I, 15 gennaio 1998, n. 317)
In caso di separazione personale (giudiziale) tra
coniugi, il diritto del genitore non affidatario della
prole a vedersi assicurata una sufficiente possibilità di visitare i figli e di permanere con essi, per
quanto non abbia carattere assoluto, essendo subordinato ai preminenti interessi dei minori, non può
tuttavia essere del tutto escluso per un periodo più o
meno lungo di tempo se non in presenza di gravi, proporzionati motivi, collegati alla pregressa condotta del
coniuge non affidatario, in ispecie nei riguardi dei figli,
condotta tale da far ragionevolmente presumere che la
frequentazione del genitore non affidatario abbia ad arrecare ad essi danni di rilievo; in mancanza di tali motivi, la sospensione del diritto di visita e permanenza in
capo al genitore non affidatario aggraverebbe, senza
contropartita alcuna, il trauma, soprattutto psicologico,
subito dai figli a seguito della crisi coniugale e del disfacimento della comunità domestica, arrecando ad essi grave ed ingiustificato pregiudizio. (Cass. I, 12 luglio 1994, n. 6548; Cass. I, 9 maggio 1985, n. 2882)
In tema di separazione personale tra coniugi, l’obbligo della corresponsione dell’assegno di mantenimento di un minore non può essere subordinato
al rispetto delle prescrizioni relative al diritto di visita del genitore obbligato al mantenimento presso il
coniuge affidatario della prole: la corresponsione dell’assegno e la regolamentazione degli incontri costituiscono strumenti per la realizzazione di diritti indisponibili della prole, ben distinti tra loro; pur se la regolamentazione degli incontri soddisfa, al tempo stesso,
anche il diritto-dovere del genitore non affidatario di
vedere ed avere con sé la prole, l’esercizio del diritto di
visita rimane invero subordinato alla tutela dell’interesse minorile, tanto da poter essere escluso qualora abbia ad arrecare danno ai figli. Ne consegue che, qualora il genitore non affidatario e debitore del mantenimento sia privato, a causa del comportamento (anche
colpevole) del coniuge affidatario, della possibilità di
vedere la prole e permanere con essa, egli non può
tuttavia sospendere l’erogazione del mantenimento,
nemmeno se l’assegno da lui dovuto sia diretto ad assicurare esigenze della prole superiori alle esigenze
minime, avendo la prole diritto ad un livello di vita correlato alle possibilità economiche dei genitori ed analogo, per quanto possibile, al tenore di vita da essa goduto prima della separazione dei genitori. (Cass. I, 22
marzo 1993, n. 3363, DFP, 1994, 839; vedi però
Cass. I, 11 febbraio 1980, n. 943: Qualora il coniuge
separato, residente all’estero, al quale sono stati affidati i figli, impedisca all’altro genitore di vedere i figli e
di averli con sé per i periodi fissati dal giudice, il versamento dell’assegno di mantenimento che non sia diretto a sovvenire i figli nelle loro minime esigenze essenziali di vita, può essere subordinato all’adempimento
dell’obbligo di visita dei figli al genitore non affidatario,
in vista dell’essenziale esigenza della migliore formazione fisio-psichica dei figli)
L’attuazione coattiva del diritto, attribuito con la
sentenza di divorzio o di separazione al coniuge non
affidatario della prole minorenne, di visitare periodicamente i figli e di intrattenersi con loro per un certo tempo (cosiddetto diritto di visita), deve avvenire nelle forme dell’esecuzione forzata degli obblighi di fare o di
non fare, sicché la competenza spetta, quale giudice
dell’esecuzione, al pretore del luogo in cui l’obbligo deve essere adempiuto, e cioè nel cui mandamento si
trova il comune di residenza del minore. (Cass. I, 15
dicembre 1982, n. 6912)
Il giudice della separazione personale dei coniugi, al fine di assicurare, con i provvedimenti relativi ai
figli minori, la possibilità del coniuge non affidatario di
seguirli, controllarne l’educazione e l’istruzione, ovvero
portarli eventualmente con sé in determinati periodi,
non può adottare statuizioni di contenuto generico, insuscettibili di essere poste in esecuzione, o
comunque tali da far sorgere contestazioni ed equivoci, come nel caso del mero riconoscimento della facoltà di visitarli durante l’anno scolastico e di averli seco
durante le vacanze, ma ha il dovere di specificare
tali periodi, nonché i tempi, i luoghi e le modalità
della consegna e riconsegna dei figli medesimi.
(Cass. I, 3 maggio 1986, n. 3013)
Nel caso di separazione dei coniugi i genitori conservano, nell’esercizio del potere di vigilare sull’istruzione e sull’educazione dei figli, anche se affidati all’altro coniuge, il diritto di opporsi al loro espatrio temporaneo rifiutando l’assenso al rilascio del passaporto,
salvo il potere del giudice di adottare provvedimenti al
riguardo solo nell’interesse materiale e morale dei figli
o per altri motivi degni di considerazione, intervenendo
con misure di carattere correttivo e sostitutivo contro
eventuali abusi del genitore nell’esercizio del predetto
diritto. (Cass. I, 23 giugno 1980, n. 3934)
6. Diritto di abitazione sulla casa familiare
6.1 Nozione di casa familiare
L’assegnazione della casa familiare prevista dall’art. 155, comma 4, c.c. risponde all’esigenza di conservare l’habitat domestico, inteso come il centro
degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in
cui si esprime e si articola la vita familiare. Ne consegue che l’istituto di cui si tratta presuppone indefettibilmente la persistenza, al momento della separazione
213
LIBRO PRIMO - DELLE PERSONE E DELLA FAMIGLIA
Art. 155
6. Diritto di abitazione sulla casa familiare
data la carenza di un rapporto di fatto permanente e
corrispondente alle esigenze primarie dell’abitazione.
(Cass. I, 23 giugno 1980, n. 3934, GI, 1981, I, 1, 544)
6.2 Presupposti ed i criteri per l’assegnazione della casa familiare
In materia di separazione e di divorzio, l’assegnazione della casa familiare, malgrado abbia anche
riflessi economici, particolarmente valorizzati dall’art.
6, comma 6, della legge n. 898 del 1970 (come sostituito dall’art. 11 della legge n. 74 del 1987), risulta finalizzata alla esclusiva tutela della prole e dell’interesse di questa a permanere nell’ambiente domestico
in cui è cresciuta, non potendo essere disposta, a mo’
di componente degli assegni rispettivamente previsti
dagli artt. 156 c.c. e 5 della legge n. 898 del 1970, allo
scopo di sopperire alle esigenze economiche del coniuge più debole, a garanzia delle quali sono destinati
unicamente gli assegni sopra indicati, onde la concessione del beneficio in parola resta subordinata all’imprescindibile presupposto dell’affidamento di figli
minori o della convivenza con figli maggiorenni ed
economicamente non autosufficienti, laddove, nell’ipotesi in cui l’alloggio de quo appartenga in proprietà ad uno solo dei coniugi e manchino figli in
possesso dei requisiti anzidetti, il titolo di proprietà vantato da quest’ultimo preclude ogni eventuale
assegnazione dell’immobile all’altro, rendendo poi
ridondante e superflua ogni e qualsivoglia pronuncia di
assegnazione in favore del coniuge proprietario.
(Cass. I, 6 luglio 2004, n. 12309; conformi: Cass. I,
17 gennaio 2003, n. 661, Cass. I, 22 gennaio 1998,
n. 565)
La disposizione che prevede l’assegnazione della
casa familiare (pur essendo applicabile in tema di divorzio) non è invocabile, neppure in via di interpretazione estensiva, con riferimento alla posizione
del coniuge non affidatario, ancorché avente diritto
al mantenimento, al quale, pertanto, il predetto diritto non può essere attribuito neppure in forza dell’art. 156 c.c., che non conferisce la giudice il potere di
imporre al coniuge obbligato al mantenimento di
adempiervi in forma diretta e non mediante prestazione pecuniaria (Cass. I, 18 settembre 2003, n. 13747;
conforme: Cass. I, 7 luglio 2000, n. 9073). Ove la casa coniugale sia di proprietà esclusiva di uno dei coniugi, la stessa non si rende suscettibile di assegnazione all’altro coniuge se non quando e se quest’ultimo risulti affidatario di figli minorenni, o comunque abbia
conviventi con sé figli maggiorenni non economicamente autosufficienti. (Cass. I, 28 marzo 2003, n.
4753; vedi però Cass. I, 11 aprile 2000, n. 4558: In
ipotesi di separazione personale dei coniugi, l’assegnazione della casa familiare, in presenza di figli minori o maggiorenni non autosufficienti, spetta di preferenza e ove possibile - perciò non necessariamente - al
coniuge cui vengano affidati i figli medesimi, mentre, in
assenza di figli, può essere utilizzata come strumento per realizzare in tutto o in parte - il diritto al
mantenimento del coniuge privo di adeguati redditi
propri; nel primo caso, trattandosi di provvedimento
da adottare nel preminente interesse della prole, il giudice può provvedere alla suddetta assegnazione anche in mancanza di una specifica domanda di parte,
mentre, nel secondo caso, trattandosi di questione
concernente il regolamento dei rapporti patrimoniali tra
CODICE CIVILE
dei coniugi, di una casa coniugale nell’accezione sopra
chiarita. Pertanto, ove manchi tale presupposto, per
essersi i figli già irrimediabilmente sradicati dal luogo in
cui si svolgeva la esistenza della famiglia, non v’è luogo per l’applicazione dell’istituto in questione (nella
specie: per essersi entrambi i coniugi, prima della separazione, trasferiti altrove e per avere il coniuge titolare dell’alloggio concesso la stessa in locazione a terzi)
(Cass. I, 9 settembre 2002, n. 13065). Il diritto di abitare la casa familiare può essere oggetto di controversia solo se l’immobile in questione sia riferibile a quel
complesso di beni funzionalmente attrezzato per
assicurare l’esistenza domestica della comunità familiare. (Cass. I, 22 maggio 1993, n. 5793, GI, 1994,
I, 1, 242)
L’assegnazione non ha più ragion d’essere soltanto se, per vicende sopravvenute, la casa non sia più
idonea a svolgere la sua essenziale funzione. (Cass. I,
23 maggio 2000, n. 6706)
Quando uno dei coniugi, in sede di divorzio (o
separazione) invochi il provvedimento di assegnazione della casa familiare e l’altro contesti tale qualità dell’immobile, spetta a chi chiede il suddetto
provvedimento dimostrare la sussistenza della
contestata qualità, essendo, in difetto di tale prova,
inibita al giudice l’applicazione delle speciali norme
che disciplinano l’abitazione della casa familiare in caso di separazione e divorzio, e restando pertanto il
rapporto assoggettato alla disciplina dei diritti reali o
personali di godimento degli immobili, secondo quanto
risultante dal titolo, atteso, peraltro, che l’art. 6, l. n.
898 del 1970 (nel testo modificato dall’art. 11, l. n. 74
del 1987) esclude soltanto l’assegnazione della casa
all’ex coniuge col quale non convivono figli minori o
maggiorenni non autosufficienti, ma non impone né
giustifica di per sé l’assegnazione in presenza dei suddetti figli, potendo anche l’assegnazione non essere
disposta in favore di alcuno degli ex coniugi. (Cass. I,
29 ottobre 1998, n. 10797; conforme: Cass. I, 22
maggio 1993, n. 5793)
In tema di separazione personale dei coniugi, se è
vero che l’assegnazione della casa familiare si
estende - di norma - anche a mobili ed arredi, nulla
vieta ai coniugi di pattuire, anche al di fuori dei poi
omologati accordi di separazione consensuale, che alcuni mobili, tanto più se di proprietà esclusiva di uno di
loro, siano prelevati dalla casa familiare. (Cass. I, 25
maggio 1998, n. 5189)
«Casa familiare» - che ai sensi dell’art. 155, comma 4, c.c., in caso di separazione personale dei coniugi, deve, di preferenza, essere assegnata al coniuge
cui vengono affidati i figli - è quella in cui il nucleo familiare aveva fissato la propria abitazione. Erroneamente, pertanto, è assegnato alla moglie l’immobile da
questa utilizzato solo successivamente alla cessazione
della convivenza e, quindi, in una prospettiva di precarietà e secondo esigenze del tutto difformi da quelle
cui il concetto di «casa familiare» si ispira. (Cass. I, 16
luglio 1992, n. 8667, SC, 1993, 506)
La casa familiare di cui all’art. 155 c.c. va identificata con riferimento ad uno stato duraturo e prevalente
nella convivenza del nucleo familiare: non possono
per ciò considerarsi case familiari le case esistenti
nelle località di villeggiatura o quelle usate per soggiorni temporanei o connessi ad esigenze stagionali,
pur se effettuati con periodica ed abituale ripetizione,
Art. 155
LIBRO PRIMO - DELLE PERSONE E DELLA FAMIGLIA
214
6. Diritto di abitazione sulla casa familiare
coniugi, la suddetta assegnazione presuppone un’apposita domanda del coniuge richiedente il mantenimento, onde non è configurabile in ogni caso un dovere - e un potere - del giudice di identificare ed assegnare comunque la casa familiare anche in assenza di
qualsivoglia istanza in tal senso)
In tema di separazione personale tra coniugi, l’art.
155, comma 4, c.c., consente al giudice di assegnare
l’abitazione al coniuge non titolare di un diritto di godimento (reale o personale) sull’immobile solo se a lui risultino affidati i figli minori, ovvero con lui risultino conviventi figli maggiorenni non autosufficienti. La nozione di convivenza rilevante agli effetti di cui si tratta
comporta, peraltro, la stabile dimora del figlio presso l’abitazione di uno dei genitori con eventuali
sporadici allontanamenti per brevi periodi e con
esclusione, quindi, della ipotesi di saltuario ritorno
presso detta abitazione per i fine settimana, ipotesi
nella quale si configura invece un rapporto di ospitalità,
con conseguente esclusione del diritto del genitore
ospitante all’assegnazione della casa coniugale in assenza di titolo di godimento della stessa, a prescindere
dalla mancanza di autosufficienza economica del figlio,
idonea, se mai, ad incidere solo sull’obbligo di mantenimento. (Cass. I, 22 aprile 2002, n. 5857, GC, 2002,
I, 1805)
La disposizione dell’art. 6 della legge n. 898 del
1970, come sostituito dall’art. 11 della legge n. 74 del
1987 (dettata in materia di divorzio, ma applicabile anche alla separazione personale dei coniugi), ferma restando la tutela dell’interesse dei figli a permanere nell’ambiente domestico nel quale sono cresciuti, prevede, come presupposto necessario ai fini dell’assegnazione della casa coniugale, la valutazione delle condizioni economiche dei coniugi, tale disposizione, tuttavia, non impone l’assegnazione al coniuge economicamente più debole (che non vanti sulla stessa
diritti reali o di godimento), neanche se a lui siano
affidati figli minori o con lui convivano figli maggiorenni non ancora economicamente autosufficienti, qualora l’equilibrio delle condizioni economiche dei coniugi e la tutela di quello più debole
possano essere perseguiti altrimenti. (La S.C. ha
così cassato la sentenza che aveva sostenuto la decisione unicamente sulla necessità di garantire l’esigenza del figlio maggiorenne, incolpevolmente non autosufficiente, a permanere nell’abitazione originaria, insieme con il padre non proprietario della casa). (Cass.
I, 21 giugno 2002, n. 9071; conforme: Cass. I, 15
gennaio 1999, n. 376)
L’art. 155, comma 4, c.c., nel disporre che l’abitazione della casa familiare spetta di preferenza, e ove
possibile, al coniuge cui vengono affidati i figli, non vieta l’assegnazione della casa al coniuge che sia affidatario di uno solo dei figli, ma esclude soltanto che il coniuge non affidatario possa pretenderne l’assegnazione quando tutti i figli sono stati affidati all’altro coniuge.
Pertanto, nel caso in cui entrambi i coniugi siano
affidatari di figli, non potendo essere soddisfatto contemporaneamente l’interesse dei medesimi a rimanere
nella casa coniugale, non può ritenersi inibito al giudice di procedere all’assegnazione della stessa,
comportando tale situazione soltanto che debbano essere utilizzati altri criteri diversi da quello dell’«affidamento», insuscettibile di offrire adeguato parametro
risolutore; è ammissibile in tale ipotesi, pertanto, che il
giudice abbia a decidere, nel quadro d’una prudente,
motivata discrezionalità, valutando il godimento dell’alloggio quale fattore e componente della regolamentazione dei rapporti economici tra i coniugi separati.
(Cass. I, 12 novembre 1996, n. 9909, FD, 1997, 170)
Nella separazione personale il provvedimento che
assegna la casa familiare al coniuge (non proprietario)
convivente con un figlio maggiorenne totalmente invalido trova specifica legittimazione nel disposto dell’art. 155, comma 4, c.c., ancorché il figlio stesso sia titolare di due pensioni e dell’assistenza gratuita in un
istituto che provvede al suo accompagnamento e alla
somministrazione del pasto e senza che rilevi la durata
indefinita dell’assegnazione. (Cass. I, 19 dicembre
2001, n. 16027, GC, 2002, I, 1271)
Nell’ipotesi in cui la casa coniugale appartenga in
comproprietà ad entrambi i coniugi, manchino figli minori o figli maggiorenni conviventi con uno dei genitori,
ed entrambi i coniugi rivendichino il godimento esclusivo della casa coniugale, l’esercizio del potere discrezionale del giudice della separazione non può trovare
altra giustificazione se non quella che, in presenza di
una sostanziale parità di diritti, può essere favorito
il solo coniuge che non abbia adeguati redditi propri, al fine di consentirgli la conservazione di un tenore
di vita corrispondente a quello di cui godeva in costanza di matrimonio. Ne consegue che, laddove entrambi i coniugi comproprietari della casa familiare abbiano adeguati redditi propri, il giudice della separazione dovrà respingere le domande contrapposte
di assegnazione del godimento esclusivo della casa
stessa, lasciandone la disciplina agli accordi tra comproprietari, i quali, ove non riescano a raggiungere un
ragionevole assetto dei propri interessi, restano liberi
di chiedere la divisione dell’immobile dopo lo scioglimento della comunione familiare che consegue al passaggio in giudicato della sentenza di separazione.
(Cass. I, 28 gennaio 1998, n. 822)
In tema di separazione personale, l’art. 155, comma 4, costituisce una norma di carattere
eccezionale, che consente al giudice di assegnare l’abitazione al coniuge che non sia titolare o contitolare
su di essa di un diritto di godimento, sia esso reale o
personale, solo allorché a detto coniuge siano affidati i figli minori ovvero con esso convivano figli
maggiorenni non autosufficienti. (Cass. I, 17 luglio
1997, n. 6557; conforme: Cass. I, 15 ottobre 1994,
n. 8426) Fuori di tale ipotesi, dettata nell’esclusivo interesse della prole, detta norma non può trovare applicazione, nemmeno come conseguenza dell’addebito
della separazione. (Nella specie, in assenza di figli, anche maggiorenni, il marito pretendeva l’assegnazione
della porzione di casa coniugale donata alla moglie,
cui era stata addebitata la separazione) (Cass. I, 16
marzo 1996, n. 2235). Né l’abitazione nella casa familiare può essere assegnata al coniuge che abbia diritto
al mantenimento ai sensi dell’art. 156 c.c., poiché tale
disposizione non conferisce al giudice il potere di imporre al coniuge obbligato al mantenimento di adempiervi in forma specifica (Cass. I, 29 gennaio 1996, n.
652; conformi: Cass. I, 24 giugno 1989, n. 3100,
Cass. SU, 23 aprile 1982, n. 2494). Salvo che i coniugi pattuiscano che l’obbligazione di mantenimento sia,
in tutto o in parte, soddisfatta, anziché a mezzo di una
prestazione periodica, mediante l’attribuzione di un diritto (reale o personale) sull’immobile adibito a casa
coniugale. (Cass. I, 14 gennaio 1987, n. 179; vedi
però Cass. I, 7 luglio 1997 n. 6106, FD, 1998, 161: In
215
LIBRO PRIMO - DELLE PERSONE E DELLA FAMIGLIA
Art. 155
tema di separazione personale dei coniugi, il godimento della casa familiare può essere assegnato dal giudice della separazione anche al coniuge che non sia
affidatario dei figli minori - e, quindi, al di fuori del
caso contemplato dall’art. 155, comma 4, c.c.- qualora
tale assegnazione trovi giustificazione in sede di regolamentazione dei rapporti patrimoniali tra i coniugi medesimi, nel senso che configuri una componente in
natura dell’obbligo al mantenimento dell’uno a favore dell’altro. (Nella specie, la S.C. ha così confermato
la decisione del giudice del merito che, pronunziata la
separazione, aveva lasciato che della casa, di proprietà comune ad entrambi i coniugi, continuasse a goderne la moglie, in considerazione del fatto che l’immobile
era «ragionevolmente» indivisibile, sia per struttura e
ridotte dimensioni, sia per l’acuta conflittualità tra i coniugi; nonché Cass. I, 26 settembre 1994, n. 7865: A
seguito della disposizione innovativa introdotta dall’art.
11 della l. 6 marzo 1987 n. 74 - Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio - secondo cui l’abitazione nella casa familiare spetta di
preferenza al genitore cui vengono affidati i figli o con il
quale i figli convivono oltre la maggiore età, fermo restando che in ogni caso ai fini dell’assegnazione il giudice dovrà valutare le condizioni economiche dei coniugi e le ragioni della decisione e favorire il coniuge
più debole, applicabile anche alla separazione nonostante la dizione più restrittiva dell’art. 155, comma 4,
c.c., l’assegnazione della casa coniugale va configurata non soltanto come strumento di protezione
della prole, ma come mezzo atto a garantire anche
il conseguimento di altre finalità, quali l’equilibrio
delle condizioni economiche dei coniugi e la tutela
del coniuge più debole, con la conseguenza che l’attribuzione del diritto di abitazione nella casa familiare
costituisce un provvedimento di contenuto economico
avente funzione alternativa o sussidiaria rispetto alla
determinazione dell’assegno. Pertanto, la restituzione
della casa familiare da parte dell’assegnatario all’altro
coniuge, rappresentando una utilità economicamente
valutabile in misura pari al risparmio occorrente per
godere dell’immobile a titolo di locazione, giustifica un
aumento dell’assegno di divorzio o di mantenimento
dovuto dal beneficiario della restituzione al coniuge rinunciante)
La norma eccezionale di cui all’art. 6 della l. n.
898 del 1970, come sostituito dall’art. 11, l. n. 74 del
1987 e 155 c.c., che consente il sacrificio della posizione del coniuge titolare, per diritto di proprietà od altro
diritto reale, della casa familiare, mediante l’assegnazione di questa al coniuge con cui convivono figli minorenni o maggiorenni, ma privi di autonomia economica,
non può trovare applicazione allorché il nucleo familiare formato dal coniuge assegnatario e dai figli
con lui conviventi abbia perso la propria identità
originaria, come nel caso della formazione di un
proprio aggregato familiare da parte del figlio convivente con il coniuge assegnatario, comportante
l’ingresso di persone estranee al nucleo esistente
quando l’assegnazione venne decisa dal giudice ed il
prevalente interesse di sopravvivenza del nuovo nucleo rispetto a quello originario. (Cass. I, 17 luglio
1997, n. 6559, DFP, 1998, 52)
Sia l’art. 155 comma 4 c.c., sia l’art. 6 l. n. 898 del
1970, nel testo sostituito dall’art. 11, l. n. 74 del 1987,
nel prevedere l’assegnazione della casa familiare, non
impongono l’assegnazione al coniuge che non sia tito-
lare di un diritto reale o di godimento sulla casa stessa,
per il solo fatto di essere affidatario dei figli minori o
convivente con figli maggiorenni non ancora autosufficienti economicamente, ma si limitano ad enunciare un
criterio preferenziale, con la conseguenza che non è
censurabile la decisione del giudice del merito che, pure in presenza di tale affidamento o convivenza, ritenga di non provvedere all’assegnazione per le particolari condizioni del coniuge titolare dell’immobile (Cass. I,
30 agosto 1995, n. 9163, GI, 1996, I, 1, 4). Il giudice
non ha solo il potere di non effettuare quell’assegnazione, ove non necessaria o, comunque, non opportuna, ma anche quello di limitarla alla parte occorrente
ai bisogni delle persone conviventi della famiglia,
in analogia alla definizione del diritto di abitazione di
cui all’art. 1022 c.c., ancorché di diversa natura (reale)
e origine (negoziale) tenendo conto anche delle necessità di vita dell’altro coniuge in relazione alle possibilità
di godimento separato ed autonomo dell’immobile
(Cass. I, 11 novembre 1989, n. 6570; conforme:
Cass. I, 23 giugno 1980, n. 3934, GI, 1981, I, 1, 544)
La norma di cui all’art. 155, comma 4, c.c. - secondo cui in caso di separazione l’abitazione nella casa familiare spetta di preferenza e ove sia possibile al
coniuge cui vengono affidati i figli - non è applicabile,
neppure in via estensiva, all’ipotesi di separazione
di coniugi con i quali conviva il figlio nato da un
precedente matrimonio di uno di essi e non legato,
quindi, da alcun vincolo di filiazione con l’altro coniuge.
(Cass. I, 3 settembre 1996, n. 8058)
In tema di provvedimenti relativi alla separazione
personale dei coniugi, l’art. 155, comma 4, c.c. - nel testo introdotto dall’art. 36 della l. 19 maggio 1975 n. 151
- secondo cui l’abitazione nella casa familiare spetta di
preferenza al coniuge affidatario di prole minore, anche
nel caso in cui la proprietà sia dell’altro coniuge, non
esclude che analogo sacrificio dell’interesse del coniuge proprietario possa essere disposto, in estensiva applicazione di quanto al riguardo previsto, con riferimento al divorzio, dall’art. 11 della l. 6 marzo 1987, n. 74,
anche nel caso in cui non vi sia luogo alla detta
pronunzia di affidamento, per essere i figli maggiorenni, ma si debba, nondimeno, in relazione alle
specifiche circostanze - il cui apprezzamento va condotto con rigore proporzionalmente crescente per effetto dell’aumento dell’età e, comunque, presuppone la incolpevole mancanza di autosufficienza economica o
anche soltanto psicofisica, da parte dei figli stessi - assicurare a questi ultimi la continuità dell’habitat domestico, inteso come centro degli affetti, degli interessi
e delle consuetudini in cui si articola la vita della famiglia, con la convivenza con il genitore non proprietario
della casa. (Cass. I, 12 gennaio 1995, n. 334; conformi: Cass. I, 21 marzo 1995, n. 3251, Cass. I, 17 marzo 1994, n. 2574, Cass. I, 6 aprile 1993, n. 4108)
L’assegnazione della casa familiare al coniuge
cui vengono affidati i figli, costituendo una misura di
garanzia e di protezione di questi ultimi, è giustificata
anche quando la sentenza di separazione abbia
disposto che i figli minori restino a vivere presso i
nonni, attenendo tale statuizione ad una mera modalità di esercizio dell’affidamento, caratterizzata da un
elemento di provvisorietà e comunque non idonea, per
il suo contenuto, a negare o comprimere la posizione
del genitore affidatario, con i relativi poteri, doveri e responsabilità. (Cass. I, 17 settembre 1992, n. 10659)
In tema di separazione personale giudiziale dei
CODICE CIVILE
6. Diritto di abitazione sulla casa familiare
Art. 155
LIBRO PRIMO - DELLE PERSONE E DELLA FAMIGLIA
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6. Diritto di abitazione sulla casa familiare
coniugi ed ai fini dell’assegnazione della casa coniugale, ove questa, quale casa colonica, sia asservita al
fondo coltivato dai coniugi stessi in virtù di rapporto
regolato dalla normativa di cui alla legge n. 203 del
1982, la circostanza che il rapporto agrario derivi da
contratto stipulato da uno solo di essi, non è da sola
sufficiente per assegnare a quest’ultimo l’uso esclusivo
di detta casa, occorrendo, invece, avere riguardo (ove
manchino i presupposti e le condizioni per far luogo all’applicazione dell’art. 155 c.c. e del criterio preferenziale in tale norma previsto, e rimanendo escluso che
l’assegnazione rilevi unicamente come componente
dell’assegno dovuto dall’un coniuge all’altro a titolo di
mantenimento) alla disciplina dell’impresa familiare
coltivatrice ed, in particolare, alle previsioni dell’art. 48
legge cit., in forza del quale i rapporti agrari intercorrono fra concedente e famiglia coltivatrice, anche se formalmente stipulati con uno solo dei membri di questa,
così da implicare pari facoltà di utilizzo, da parte di entrambi i coniugi, dell’alloggio necessario all’attività comune di coltivazione: ne deriva che l’abitazione spetta a quello dei coniugi che resta parte del rapporto
agrario, o ha titolo per rimanervi in quanto in grado di
assicurare nel modo più soddisfacente, e nella misura
di legge, la coltivazione del fondo. (Cass. I, 13 febbraio 1991, n. 1501, DFP, 1991, 918)
In sede di pronuncia della separazione coniugale,
il giudice, al fine di adottare le necessarie disposizioni
in ordine all’assegnazione della casa coniugale a norma dell’art. 155 c.c., deve accertare incidenter tantum
quale dei coniugi è titolare del diritto di godimento dell’immobile destinato ad abitazione familiare, senza che
tale accertamento possa pregiudicare la decisione della causa già instaurata o che dovesse instaurarsi tra i
coniugi stessi in merito all’effettiva proprietà dell’immobile. (Cass. I, 14 gennaio 1987, n. 179)
In relazione alla possibilità di disporre l’assegnazione della casa familiare in caso di cessazione della
convivenza more uxorio v. sub § 12
Sulla trascrizione ai fini dell’opponibilità a terzi v.
anche C. cost. 454/1989 e C. cost. 20/1990 sub § 1
Sulla modifica del provvedimento relativo all’assegnazione v. sub § 9
6.3 Diritto del coniuge assegnatario: natura ed opponibilità ai terzi
Il coniuge legittimo assegnatario dell’abitazione ex
familiare, in virtù di valido provvedimento giudiziale,
anche provvisorio, pronunciato nella causa di separazione personale o divorzio, può utilmente opporre detto titolo al terzo che abbia acquistato la casa in epoca
successiva al provvedimento di assegnazione; tale opponibilità sussiste, entro nove anni dalla data del provvedimento, anche se questo non sia stato trascritto e
anche oltre i nove anni se è stato trascritto. (Cass. I, 3
marzo 2006, n. 4719)
Accertato dal giudice del merito che le parti hanno nella loro autonomia - stipulato (con atto scritto) una
concessione ad aedificandum costitutiva di un diritto
personale di godimento sull’erigendo edificio a favore
dei coniugi concessionari perché fosse destinato ad abitazione familiare, correttamente il giudice, intervenuta la
separazione dei coniugi concessionari con assegnazione da parte del giudice della separazione a uno di essi,
assegnatario della prole minorenne, rigetta la domanda
proposta dal proprietario del terreno, concedente, per
ottenere la restituzione dell’immobile, essendo tenuto il
concedente a consentire la continuazione del godimento
per le esigenze abitative della famiglia. (Cass. I, 7 febbraio 2006, n. 2627, GD, 2006, n. 14, 76)
In tema di separazione personale, l’assegnazione della casa coniugale esonera l’assegnatario
esclusivamente dal pagamento del canone, cui altrimenti sarebbe tenuto nei confronti del proprietario
esclusivo (o, in parte qua, del comproprietario) dell’immobile assegnato, onde, qualora il giudice attribuisca
ad uno dei coniugi l’abitazione di proprietà dell’altro, la
gratuità di tale assegnazione si riferisce solo all’uso
dell’abitazione medesima (per la quale, appunto, non
deve versarsi corrispettivo), ma non si estende alle
spese correlate a detto uso (ivi comprese quelle, del
genere delle spese condominiali, che riguardano la
manutenzione delle cose comuni poste a servizio anche dell’abitazione familiare), onde simili spese - in
mancanza di un provvedimento espresso che ne accolli l’onere al coniuge proprietario - sono a carico del
coniuge assegnatario. (Cass. I, 19 settembre 2005, n.
18476; conforme: Cass. I, 22 febbraio 2006, n. 3836
e Cass. I, 3 giugno 1994, n. 5374)
Il coniuge assegnatario dell’alloggio destinato ad
abitazione coniugale continua a detenere l’immobile al
medesimo titolo precedente il provvedimento di assegnazione. Sicché, ove questo sia rappresentato da un
comodato precario, quindi senza determinazione di
tempo, il comodante viene correttamente ritenuto
obbligato a consentire la continuazione del godimento in considerazione del vincolo di destinazione dell’immobile alle esigenze abitative familiari
che si è impresso con il contratto: salva l’ipotesi di
sopravvenienza di urgente e impreveduto bisogno,
ai sensi dell’art. 1809, comma 2, c.c. (Cass. II, 13 febbraio 2006, n. 3072, GD, 2006, n. 16, 85)
Quando un terzo (nella specie: il genitore di
uno dei coniugi) abbia concesso in comodato un
bene immobile di sua proprietà perché sia destinato a casa familiare, il successivo provvedimento pronunciato nel giudizio di separazione o di divorzio di assegnazione in favore del coniuge (nella specie:
la nuora del comodante) affidatario di figli minorenni o
convivente con figli maggiorenni non autosufficienti
senza loro colpa, non modifica né la natura né il
contenuto del titolo di godimento sull’immobile, atteso che l’ordinamento non stabilisce una «funzionalizzazione assoluta» del diritto di proprietà del terzo a tutela di diritti che hanno radice nella solidarietà coniugale o postconiugale, con il conseguente ampliamento
della posizione giuridica del coniuge assegnatario. Infatti, il provvedimento giudiziale di assegnazione della
casa, idoneo ad escludere uno dei coniugi dalla utilizzazione in atto e a «concentrare» il godimento del
bene in favore della persona dell’assegnatario, resta regolato dalla disciplina del comodato negli
stessi limiti che segnavano il godimento da parte della
comunità domestica nella fase fisiologica della vita matrimoniale. Di conseguenza, ove il comodato sia stato
convenzionalmente stabilito a termine indeterminato
(diversamente da quello nel quale sia stato espressamente ed univocamente stabilito un termine finale), il
comodante è tenuto a consentire la continuazione del
godimento per l’uso previsto nel contratto, salva l’ipotesi di sopravvenienza di un urgente ed impreveduto
bisogno, ai sensi dell’art. 1809, comma 2, c.c. (Cass.
217
LIBRO PRIMO - DELLE PERSONE E DELLA FAMIGLIA
Art. 155
SU, 21 luglio 2004, n. 13603, VN, 2004, 1589) . Il
comma 6 dell’art. 6, l. 1 dicembre 1970 n. 898, come
modificato dall’art. 11, l. 6 marzo 1987 n. 74, nel prevedere che «l’abitazione nella casa familiare spetta di
preferenza al genitore cui vengono affidati i figli [….] e
che l’assegnazione, in quanto trascritta, è opponibile al
terzo acquirente ai sensi dell’art. 1599 c.c.», pur facendo riferimento alle disposizioni sulla locazione, si applica anche ad altri titoli di godimento, quali il comodato.
Tuttavia la trascrizione lascia immutata la qualifica
del contratto e l’opponibilità corrisponde al contenuto
del titolo preesistente. Consegue che il coniuge assegnatario dell’appartamento dato in comodato è tenuto a restituire l’immobile a richiesta del comodante, secondo quanto dispone l’art. 1810 c.c.
(Cass. III, 20 ottobre 1997, n. 10258; nonché: Cass.
I, 10 dicembre 1996, n. 10977, NGCC 1998, I, 591:
Quando il provvedimento di assegnazione della casa
familiare, in seno alla separazione personale dei coniugi, si renda opponibile e quando - in questo caso l’alloggio fosse utilizzato dai coniugi stessi in virtù di un
comodato senza predeterminazione di un termine finale, la durata dell’utilizzazione dell’immobile è governata dalla disciplina fissata nel provvedimento
giudiziale di assegnazione e non da quella propria
del rapporto originario di comodato)
In tema di comodato ed in ipotesi di casa adibita
ad abitazione dei coniugi, il provvedimento di assegnazione della stessa in sede di separazione personale, ai
sensi dell’art. 155, comma 4 c.c., costituisce un diritto
personale di godimento in favore del solo coniuge
assegnatario, sia pure nell’interesse della prole. Ne
consegue che, rispetto all’azione di rilascio dell’abitazione promossa dal comodante, non sussiste la
necessità di integrare il contraddittorio nei confronti del figlio minore del coniuge assegnatario.
(Cass. II, 7 marzo 2003, n. 3434; conforme: Cass.
III, 17 luglio 1996, n. 6458, FI, 1997, I, 205)
L’assegnazione della casa familiare ad uno dei coniugi, cui l’immobile non appartenga in via esclusiva, instaura un vincolo (opponibile anche ai terzi per nove
anni, e, in caso di trascrizione, senza limite di tempo) che oggettivamente comporta una decurtazione
del valore della proprietà, totalitaria o parziaria, di cui
è titolare l’altro coniuge, il quale da quel vincolo rimane
astretto, come i suoi aventi causa, fino a quando il provvedimento non venga eventualmente modificato. Ne
consegue che di tale decurtazione deve tenersi conto
indipendentemente dal fatto che il bene venga attribuito
in piena proprietà all’uno o all’altro coniuge, ovvero venduto a terzi in caso di sua infrazionabilità in natura.
(Cass. II, 15 ottobre 2004, n. 20319; vedi anche:
Cass. I, 17 settembre 2001, n. 11630, GI, 2002, 1147:
L’assegnazione, in sede di divorzio come di separazione
personale dei coniugi, della casa familiare al coniuge affidatario dei figli minori integra un diritto personale atipico di godimento, il quale non costituisce un peso
sull’immobile destinato ad abitazione, come avviene
per un diritto reale. Detta assegnazione non può, pertanto, essere presa in considerazione in sede di determinazione del valore dell’immobile, in caso di divisione, tra i coniugi, dell’immobile stesso ove comune
e il valore del cespite, quindi, deve essere accertato, ai
fini del giudizio di divisione, come se non esistesse il
provvedimento di assegnazione in questione)
Ai sensi dell’art. 6, comma 6, l. 1° dicembre 1970
n. 898 (nel testo sostituito dall’art. 11, l. 6 marzo 1987,
n. 74) - dettato con riguardo al procedimento di divorzio e applicabile anche in tema di separazione personale dei coniugi - il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario, avendo per definizione data certa, è opponibile, ancorché non trascritto, al terzo acquirente l’immobile in data successiva, limitatamente al periodo di nove anni, decorrenti dalla data del provvedimento di assegnazione; per il periodo eccedente i
nove anni, invece, il provvedimento di assegnazione
in tanto è opponibile al terzo acquirente in quanto sia
stato precedentemente trascritto, sicché è irrilevante la conoscenza in fatto da parte del terzo dell’avvenuta assegnazione dell’immobile da lui acquistato, l’unica disciplina dell’opponibilità essendo appunto quella
derivante dalla trascrizione e dalla conoscibilità legale
dell’atto da parte del terzo (Cass. I, 2 aprile 2003, n.
5067, FD, 2003, 488; conforme: Cass. SU, 26 luglio
2002, n. 11096). Stante la natura meramente dichiarativa della divisione ereditaria, non può considerarsi
terzo, ai fini dell’opponibilità del provvedimento di assegnazione - in sede di separazione personale dei coniugi - della casa coniugale, colui che, all’esito della
successiva divisione ereditaria, risulti il proprietario esclusivo dell’immobile già concesso, vigente
la comunione, anche da esso, in comodato per la
sua destinazione a casa familiare. (Cass. I, 10 dicembre 1996, n. 10977)
La regola posta dall’art. 1599, comma 3, c.c. - in
forza della quale le locazioni di beni immobili non trascritte sono opponibili, nei limiti di un novennio dall’inizio
della locazione, al terzo acquirente - costituisce una disposizione eccezionale, dettata con specifico riferimento al contratto di locazione, che non può trovare
applicazione analogica in caso di separazione personale o di divorzio e di assegnazione della casa
coniugale ad uno dei coniugi, qualora il relativo
provvedimento non sia stato trascritto. Pertanto, detto provvedimento è opponibile, al terzo acquirente dell’alloggio, solo in presenza della trascrizione del provvedimento d’assegnazione, senza che possa invocarsi, in
senso contrario, attesa la genericità del richiamo, il riferimento all’art. 1599 c.c. contenuto nell’art. 6, l. 1° dicembre 1970, n. 898, nel testo come sostituito dall’art. 11, l.
6 marzo 1987, n. 74. (Cass. I, 6 maggio 1999 n. 4529,
GC, 1999, I, 2305; vedi però: C. cost. 20/1990, GiC,
1990, I, 54 sub § 1 e Cass. II, 18 agosto 1997, n. 7680:
Il provvedimento di assegnazione della casa coniugale
ad uno dei coniugi all’esito del procedimento di separazione personale non è idoneo a costituire un diritto
reale di uso o di abitazione a favore dell’assegnatario, ma solo un diritto di natura personale, opponibile, se avente data certa, ai terzi entro il novennio, ai
sensi dell’art. 1599 c.c. ovvero anche dopo i nove
anni se il titolo sia stato in precedenza trascritto;
nonché Cass. I, 10 dicembre 1996, n. 10977, VN,
1997, 280: Ai sensi dell’art. 155 c.c. nel testo risultante a
seguito della sentenza della Corte cost. n. 454 del 1989
- e della successiva ordinanza della medesima Corte n.
20 del 1990 - l’onere della trascrizione del provvedimento di assegnazione della casa coniugale, ai fini della sua
opponibilità ai successivi acquirenti dell’immobile, riguarda, in analogia con la normativa vigente in materia di scioglimento del matrimonio, ed ai sensi dell’art. 1599 c.c., la sola assegnazione ultranovennale,
ferma restando l’opponibilità del provvedimento in tutte
le altre ipotesi)
CODICE CIVILE
6. Diritto di abitazione sulla casa familiare
Art. 155
LIBRO PRIMO - DELLE PERSONE E DELLA FAMIGLIA
218
6. Diritto di abitazione sulla casa familiare
Poiché l’istanza di assegnazione della casa coniugale in sede di separazione tra coniugi prescinde
dalla titolarità o meno di un preesistente diritto dell’istante su di essa ed è indispensabile per ottenerne la
disponibilità, non è incompatibile con la volontà di
esercitare su di essa un potere di fatto corrispondente al diritto di proprietà ai fini della dimostrazione
del possesso utile per usucapire la casa. (Cass. II,
27 febbraio 1998, n. 2170)
L’assegnatario è tenuto all’uso esclusivamente
personale dell’abitazione, senza possibilità di utilizzarla in modo diverso e tanto meno di disporne mediante
la costituzione di diritti in favore di terzi, suscettibili di
perdurare oltre la vita del coniuge assegnatario, come
darla in locazione; ne consegue che il coniuge escluso dal godimento può esigere che non sia alterata
la destinazione della casa familiare, anche in relazione alla possibilità che, per il sopraggiungere di nuove circostanze, sia modificata a suo favore la precedente assegnazione (nel caso di specie la S.C. ha
confermato la sentenza dei giudici del merito che avevano condannato la moglie, beneficiaria dell’appartamento di proprietà del marito e dei figli nati da un suo
precedente matrimonio, a pagare al marito la metà dell’importo delle somme percepite dalla locazione dell’immobile). (Cass. I, 2 aprile 1992, n. 4016)
Il provvedimento del giudice della separazione, che
assegna la casa coniugale al coniuge che non sia l’originario conduttore, comporta un’ipotesi di cessione ex lege del contratto in favore del coniuge assegnatario,
con la conseguenza che il rapporto in capo al coniuge
originario conduttore si estingue e non è più suscettibile
di reviviscenza neppure nell’ipotesi in cui la casa locata
venga abbandonata dal coniuge separato, nuovo conduttore. (Cass. III, 4 novembre 1993, n. 10890)
6.4 Estinzione del diritto
Ove l’assegnazione della casa familiare al coniuge divorziato sia avvenuta in funzione dell’affidamento
dei figli minorenni e per soddisfare il bisogno di conservare la pregressa localizzazione della comunità domestica, la cessazione di tali ragioni ed esigenze,
accertata dal giudice di merito, ha come effetto indiretto il ripristino delle facoltà e dei poteri inerenti
al diritto di proprietà per il naturale ricospandersi del
diritto dominicale, una volta esclusa la predetta destinazione, senza che sia necessaria un’apposita azione
giudiziaria da parte del coniuge titolare dell’immobile.
(Cass. I, 28 agosto 1993, n. 9157, FDP, 1994, 605)
L’opponibilità, nei confronti del terzo titolare del diritto di proprietà, del provvedimento di assegnazione
della casa al coniuge divorziato o separato, secondo le
previsioni, rispettivamente, dell’art. 11 della l. 6 marzo
1987 n. 74 (modificativo dell’art. 6 della l. 1 dicembre
1970 n. 898), e dell’art. 155 c.c., nel testo risultante a
seguito della sentenza della Corte cost. n. 454 del
1989 (e della successiva ordinanza della medesima
corte n. 20 del 1990), riguarda le ipotesi in cui detta titolarità sia stata acquisita dopo l’indicato provvedimento, mentre, nel caso in cui l’acquisto della proprietà
stessa sia anteriore, il relativo diritto non può essere
pregiudicato dalla assegnazione (salva restando la
previsione dell’art. 6 della l. 27 luglio 1978 n. 392 sul
subingresso nel rapporto di locazione del coniuge assegnatario). (Cass. I, 2 febbraio 1993, n. 1258)
V. anche sub § 6.3 e art. 155-quater
7. Conseguenze del raggiungimento della maggiore
età della prole
7.1 Legittimazione a richiedere l’assegno
Sul diritto al mantenimento del figlio maggiorenne
v. in generale sub art. 147, § 4 e 148, § 4
Il genitore, separato o divorziato, a cui il figlio
sia stato affidato durante la minore età, pur dopo
che il figlio (non ancora autosufficiente) sia divenuto maggiorenne, continua, in assenza di un’autonoma richiesta da parte di quest’ultimo, ad essere legittimato iure proprio ad ottenere dall’altro genitore il pagamento dell’assegno per il mantenimento del figlio, sempre che tra il genitore già affidatario e
il figlio persista il rapporto di coabitazione. Al fine di
ritenere integrato il detto requisito della coabitazione,
basta che il figlio maggiorenne - pur in assenza di una
quotidiana coabitazione, che può essere impedita dalla
necessità di assentarsi con frequenza, anche per non
brevi periodi, per motivi, ad esempio, di studio - mantenga tuttavia un collegamento stabile con l’abitazione
del genitore, facendovi ritorno ogniqualvolta gli impegni glielo consentano, e questo collegamento, se da
un lato costituisce un sufficiente elemento per ritenere
non interrotto il rapporto che lo lega alla casa familiare,
dall’altro concreta la possibilità per tale genitore di
provvedere, sia pure con modalità diverse, alle esigenze del figlio (Cass. I, 27 maggio 2005, n. 11320). Non
potendosi ravvisare nel caso in esame una ipotesi di
solidarietà attiva (che, a differenza di quella passiva,
non si presume), in assenza di un titolo, come di una
disposizione normativa che lo consentano, la eventuale rinuncia del figlio al mantenimento, anche a prescindere dalla sua invalidità, dovuta alla indisponibilità del relativo diritto, che può essere disconosciuto
solo in sede di procedura ex art. 710 c.p.c., non potrebbe in nessun caso spiegare effetto sulla posizione giuridico-soggettiva del genitore affidatario
quale autonomo destinatario dell’assegno. (Cass. I, 18
febbraio 1999, n. 1353)
Il genitore affidatario, il quale continui a provvedere
direttamente ed integralmente al mantenimento dei figli
divenuti maggiorenni e non ancora economicamente
autosufficienti, resta legittimato non solo ad ottenere iure proprio, e non già capite filiorum, il rimborso di
quanto da lui anticipato a titolo di contributo dovuto dall’altro genitore, ma anche a pretendere detto
contributo per il mantenimento futuro dei figli stessi.
La legittimazione del genitore concorre, peraltro,
con quella del figlio, la quale trova il suo fondamento
nella titolarità del diritto al mantenimento, ed i rapporti
tra le due legittimazioni si risolvono in base ai principi
della solidarietà attiva, applicabili in via analogica.
(Cass. III, 18 aprile 2005, n. 8007)
Nelle ipotesi di separazione o divorzio, il figlio divenuto maggiorenne ma non economicamente autosufficiente acquista una legittimazione iure proprio all’azione per ottenere dall’altro genitore il contributo al proprio mantenimento (che trova il suo fondamento nella titolarità del diritto al mantenimento), concorrente con la legittimazione, anch’essa iure pro-
219
LIBRO PRIMO - DELLE PERSONE E DELLA FAMIGLIA
Art. 155
prio, del genitore convivente; peraltro se il figlio non
interviene nel giudizio pendente, e la sentenza di condanna viene emessa solo in favore del genitore convivente, nei suoi confronti non opera il giudicato formale
della sentenza, e pertanto egli non ha titolo per richiedere direttamente il pagamento del contributo al mantenimento al genitore obbligato non convivente, non
potendosi ravvisare nel caso in esame una ipotesi di
solidarietà attiva (che, diversamente da quella passiva,
non si presume). (Cass. I, 21 giugno 2002, n. 9067)
Il contributo per mantenere il figlio maggiorenne
convivente, non in grado di procurarsi autonomi mezzi
di sostentamento, che il coniuge - divorziato o separato - ha diritto ad ottenere, iure proprio, dall’altro coniuge, è destinato, fino all’esclusione di esso, o alla riduzione dell’ammontare, con decisione passata in giudicato, ad assicurare detto sostentamento del figlio beneficiario, per cui dalla eventuale decisione di revoca o riduzione non può derivare la ripetibilità di
somme già percepite dal coniuge avente diritto,
non avendo egli l’obbligo di accantonarle in previsione dell’eventuale revoca o riduzione del corrispondente assegno, riconosciuto con provvedimenti giudiziali, ancorché non definitivi; peraltro, i suddetti provvedimenti ove caducati per effetto della definitiva decisione passata in giudicato, non legittimano l’esecuzione
coattiva per ottenere l’assegno o la parte di esso non
pagato, per il periodo in cui il provvedimento che lo
aveva riconosciuto era ancora efficace. (Cass. I, 24
maggio 2004, n. 11863)
7.2 Confini del diritto al mantenimento del figlio maggiorenne
Il principio generale di tutela della prole, desumibile da varie norme dell’ordinamento (artt. 30 Cost., artt.
147, 148, 155, comma 4, c.c., art. 6, l. n. 898 del 1970,
come modificato dalla l. n. 74 del 1987) che porta ad
assimilare la posizione del figlio divenuto maggiorenne, ma tuttora dipendente non per sua colpa dai genitori, a quella del figlio minore, e che impone di ravvisare la protrazione dell’obbligo di mantenimento, oltre
che di educazione e di istruzione, fino al momento in
cui il figlio stesso abbia raggiunto una propria indipendenza economica, ovvero versi in colpa per
non essersi messo in condizione di conseguire un
titolo di studio o di procurarsi un reddito mediante
l’esercizio di un’idonea attività lavorativa, o per
avere detta attività ingiustificatamente rifiutato comporta che il coniuge separato o divorziato è legittimato (in
via concorrente con la diversa legittimazione del figlio
maggiorenne, che trova il suo fondamento nella titolarità del diritto al mantenimento) ad ottenere iure proprio
dall’altro coniuge un contributo per il mantenimento del
figlio maggiorenne con esso convivente e che non sia
ancora in grado di procurarsi autonomi mezzi di sostentamento. (Cass. I, 8 settembre 1998, n. 8868)
Il dovere di mantenimento del figlio maggiorenne,
gravante sul genitore cessa con l’acquisizione di un’adeguata autosufficienza economica dei figli medesimi e
comunque allorché questi siano avviati ad un’attività lavorativa che consenta loro una concreta prospettiva
d’indipendenza economica. Non qualsiasi occasione
di lavoro può ritenersi sufficiente per esonerare il
genitore dal mantenimento, anche in presenza di
un rifiuto del figlio, ma solo quando possa conside-
rarsi idonea rispetto alle concrete e ragionevoli aspettative del figlio ed il suo rifiuto quindi privo di un’accettabile giustificazione (Cass. I, 7 maggio 1998, n. 4616,
GI, 1999, 252). L’autosufficienza del figlio maggiorenne
convivente va dimostrata da chi invoca la disapplicazione della norma. (Cass. I, 22 gennaio 1998, n. 565, GI,
1999, 34)
Il diritto del coniuge separato di ottenere dall’altro
coniuge un assegno per il mantenimento del figlio
maggiorenne convivente è da escludere quando quest’ultimo, ancorché allo stato non autosufficiente
economicamente, abbia in passato iniziato ad
espletare un’attività lavorativa, così dimostrando il
raggiungimento di una adeguata capacità e determinando la cessazione del corrispondente obbligo di
mantenimento ad opera del genitore. Né assume rilievo il sopravvenire di circostanze ulteriori (come, ad
esempio, la negatività dell’andamento dell’attività commerciale dal medesimo espletata), le quali, se pur determinano l’effetto di renderlo privo di sostentamento
economico, non possono far risorgere un obbligo di
mantenimento i cui presupposti siano già venuti meno.
(Cass. I, 2 dicembre 2005, n. 26259). Né non può
avere rilievo il successivo abbandono dell’attività lavorativa da parte del figlio, trattandosi di una scelta
che, se determina l’effetto di renderlo privo di sostentamento economico, non può far risorgere un obbligo di
mantenimento i cui presupposti erano già venuti meno,
ferma restando, ovviamente, l’obbligazione alimentare, fondata su presupposti affatto diversi e azionabile
direttamente dal figlio e non dal genitore convivente.
(Cass. I, 5 agosto 1997, n. 7195)
V. anche sub § 4.4 e sub art. 147, § 4 e 148 § 4
7.3 Diritto di abitazione attribuito al coniuge convivente
con prole maggiorenne
Al fine dell’assegnazione a uno dei coniugi separati o divorziati della casa familiare non basta la mera
constatazione della convivenza con figli maggiorenni,
ma occorre che si tratti della stessa abitazione in cui si
svolgeva la vita della famiglia finché era unita e che i
figli maggiorenni conviventi versino, senza loro colpa,
in condizione di non autosufficienza. (Cass. I, 20 gennaio 2006, n. 1198)
V. sub § 6.2
8. Accordi dei coniugi in vista della separazione e del
divorzio (rinvio)
V. sub art. 158, § 5
9. Modifiche dei provvedimenti concernenti la prole
Ritenuto che, come per tutti i provvedimenti conseguenti alla pronuncia di separazione personale o di
divorzio, anche per il provvedimento di assegnazione della casa familiare vale il principio della sua
modificabilità per fatti sopravvenuti, e che la modificabilità non incide sulla natura e sulle finalità dell’assegnazione, posta ad esclusiva tutela delle esigenze psicologiche e logistiche della prole, anche in sede di revisione resta imprescindibile il presupposto dell’affidamento dei figli minori, o maggiorenni, ma
non autosufficienti; se, da un canto, è pur vero, quindi, che la assegnazione della casa ha anche riflessi
CODICE CIVILE
7. Conseguenze del raggiungimento...
Art. 155
LIBRO PRIMO - DELLE PERSONE E DELLA FAMIGLIA
220
9. Modifiche dei provvedimenti concernenti la prole
economici mediati ed indiretti, evidenziati, peraltro, dall’art. 6, comma 6 della legge sul divorzio, è da ritenere,
dall’altro, che l’attribuzione della casa non può essere
disposta né al fine di sopperire alle esigenze economiche del coniuge più debole e della prole, a tutela dei
quali è unicamente destinato l’assegno, né quando è
certo che la prole ha, con il genitore affidatario, definitivamente lasciato l’immobile, che non può più, per ciò,
essere considerato «casa familiare». (Cass. I, 18 settembre 2003, n. 13736, DFP, 2005, 33)
Le domande proposte dai coniugi separati per ottenere provvedimenti nell’interesse della prole si configurano come domande volte a modificare l’assetto dei
rapporti riguardo ai figli minori determinato dalla sentenza di separazione ai sensi dell’art. 155 c.c. e, conseguentemente, devono essere proposte nelle forme
previste dall’art. 710 c.p.c. esclusivamente al tribunale ordinario, forme richiamate dall’art. 711 c.p.c.,
per quanto riguarda la modifica delle condizioni stabilite nella separazione consensuale. (Cass. I, 3 novembre 2000, n. 14360, FD, 2001, 38)
I provvedimenti di revisione di affidamento dei figli
minori di coniugi separati, in forza di separazione giudiziale o consensuale omologata, ovvero di coniugi il
cui matrimonio sia stato annullato o sciolto, sono devoluti alla competenza del tribunale ordinario, ai sensi
dell’art. 155 c.c., mentre va ravvisata la competenza
del tribunale per i minorenni, a norma dell’art. 38
disp. att. c.c., nei soli casi in cui si chieda un intervento cautelare ablativo della potestà genitoriale, a
norma degli artt. 330 e 333 c.c. In particolare sussiste
la competenza del tribunale per i minorenni, a norma
dell’art. 333 c.c., quando il provvedimento da adottare
si risolve in una compressione della potestà genitoriale
quale diretta conseguenza della condotta del genitore
pregiudizievole al figlio, restando salva in ogni altro caso la competenza del giudice della separazione. (Nel
caso di specie la S.C. ha negato la competenza del tribunale per i minorenni in un caso in cui detto tribunale
aveva adottato un provvedimento diretto a rimuovere
una situazione di obiettiva difficoltà della minore conseguente al disposto affidamento alla madre, ordinando, a modifica della statuizione del tribunale, l’affidamento di essa al comune, perché fosse collocata con
la madre in idonea struttura, nel dichiarato convincimento che tale soluzione valesse ad ovviare alle riscontrate carenze di entrambi i genitori). (Cass. I, 4
febbraio 2000, n. 1213; conforme: Cass. SU, 2 marzo 1983 n. 1551) Con la conseguenza che, adottato,
da parte del tribunale dei minorenni, in pendenza del
giudizio di separazione, un provvedimento ablativo o
modificativo della potestà genitoriale, il giudice
della separazione dovrà tener conto di esso, come
factum superveniens, ai fini della eventuale modifica
dei provvedimenti provvisori adottati. (Cass. I, 27 marzo 1998, n. 3222; conformi: Cass. I, 7 febbraio
1995, n. 1401, Cass. I, 4 giugno 1994, n. 5431)
Nel procedimento camerale instaurato per la modifica dei provvedimenti relativi ai coniugi ed alla prole
conseguenti a pregressa separazione personale, avente ad oggetto contrapposte situazioni di diritto soggettivo e quindi definito con provvedimento suscettibile di
acquisire autorità di giudicato, trovano applicazione i
principi del processo di cognizione circa l’onere
dell’impugnazione e la conseguente delimitazione del
riesame da parte del giudice di II grado alle questioni a
lui devolute con i motivi di gravame: è pertanto viziata
da ultrapetizione la pronuncia del giudice del reclamo che abbia riformato il provvedimento impugnato in difetto di apposito motivo di censura, avendo il
giudice di II grado provveduto, in difetto di richiesta, sulla assegnazione della casa familiare. (Cass. I, 4 settembre 1996, n. 8063, FD, 1997, 41)
10. Questioni processuali
10.1 Osservazioni generali
V. sub art. 150, § 2 e sub art. 151, § 5
La domanda con cui un coniuge, facendo
espresso riferimento e richiamo al provvedimento temporaneo ed urgente di assegnazione della casa familiare all’altro coniuge, adottato nella sede presidenziale
del giudizio di separazione personale, richieda il rimborso di quanto spontaneamente e consapevolmente corrisposto a titolo di spese condominiali e
di riscaldamento, nonché a titolo di imposte e tasse, si pone al di fuori dell’ambito del giudizio principale
di separazione ex artt. 706 ss. c.p.c., come pure del
giudizio per la modifica delle conseguenti statuizioni ex
art. 710 c.p.c., atteso che detta domanda non presenta
dirette connessioni od interferenze con quelle statuizioni, ma riguarda, più semplicemente, la sorte di oneri
che trovano il loro presupposto in detta assegnazione.
Ne deriva, pertanto, che la competenza in ordine a tale domanda va determinata secondo le regole comuni e non trova deroga in favore del giudice competente
per la separazione o del giudice competente per la
modifica dei relativi provvedimenti. (Cass. I, 19 settembre 2005, n. 18476)
Il decreto pronunciato dalla Corte d’appello in
sede di reclamo avverso il provvedimento del tribunale in materia di modifica delle condizioni della separazione dei coniugi concernenti il mantenimento dei figli
è ricorribile per cassazione ai sensi dell’art. 111
Cost., avuto riguardo alla natura sostanziale di sentenza riconoscibile a siffatto decreto, in quanto incidente
su diritti soggettivi, emesso a conclusione di un procedimento contenzioso, e pertanto caratterizzato dagli
elementi della decisorietà e definitività, a prescindere
dalla suscettibilità dello stesso ad essere oggetto di revisione in ogni tempo, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 155 c.c. (Cass. I, 4 febbraio 2005, n. 2348) La
decisione della domanda con le forme del procedimento camerale fa escludere l’ammissibilità del ricorso ordinario (art. 360, c.p.c.), ma non incide sulla natura
contenziosa del procedimento, che ha ad oggetto diritti soggettivi ed è definito con un decreto che, nonostante sia modificabile in ogni tempo, ha natura sostanziale di sentenza e carattere decisorio e definitivo,
dato che la definitività va riferita alla situazione esistente alla data della decisione. (Cass. I, 30 dicembre
2004, n. 24265; vedi però Cass. I, 28 giugno 2002,
n. 9484, Cass. I, 22 maggio 1999, n. 4988 e Cass. I,
28 marzo 2002, n. 4499 : Avverso i provvedimenti
emanati dalla Corte d’appello in sede di reclamo, concernenti la modifica della statuizione riguardante il contributo per il mantenimento dei figli, è inammissibile il
ricorso straordinario per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., trattandosi di provvedimenti che - in
quanto modificabili in ogni momento, ai sensi dell’art.
155, ult. comma, c.c., anche indipendentemente dal
sopravvenire di circostanze nuove, e perciò insuscettibili di passare in giudicato - sono privi del carattere
221
Art. 155
LIBRO PRIMO - DELLE PERSONE E DELLA FAMIGLIA
10. Questioni processuali
Con riguardo ai provvedimenti adottati in sede di
separazione dei coniugi circa l’affidamento dei figli minori, l’art. 337 c.c. attribuisce al giudice tutelare il potere
di vigilare sull’osservanza dei provvedimenti stessi,
ma non anche la competenza ad emettere statuizioni di tipo modificativo, la quale spetta al tribunale
ordinario, ovvero, quando si tratti di incidere in via ablativa o limitativa della potestà genitoriale, al tribunale per
i minorenni. (Cass. I, 13 dicembre 1985, n. 6306)
10.2 Provvedimenti temporanei ed urgenti
In tema di provvedimenti temporanei ed urgenti,
l’ordinanza del presidente del tribunale o del giudice istruttore in un processo di separazione personale
tra coniugi attributiva, ad uno di essi, del diritto di abitare la casa familiare deve ritenersi soggetta, in mancanza di spontaneo adempimento, ad esecuzione coattiva in via breve (a mezzo del competente ufficiale
giudiziario), ovvero alla normale procedura di esecuzione forzata, con la conseguenza che, nella prima
ipotesi, giudice competente per l’esecuzione sarà quello che ha emesso il provvedimento (ovvero quello
competente per il merito, se risulti iniziato il relativo
giudizio), mentre, nella seconda, la competenza si radica in capo al giudice dell’esecuzione, secondo le regole ordinarie. (Cass. I, 1° settembre 1997, n. 8317)
L’assegno a favore del minore, fissato in via temporanea nella fase presidenziale del procedimento di
separazione personale dei coniugi - ed eventualmente
modificato dal giudice istruttore o dal collegio nel corso
del giudizio - è diretto al soddisfacimento delle esigenze di mantenimento del minore durante il procedimento di separazione. Pertanto, è esclusa la ripetibilità,
anche in parte, delle somme erogate prima della
pronuncia definitiva sul punto, dovendo presumersi
che il genitore affidatario le abbia utilizzate tutte per il
mantenimento del minore, come era suo dovere.
(Cass. I, 22 marzo 1993, n. 3363; vedi anche: Cass.
I, 24 maggio 2004, n. 11863 sub § 7.1)
Il provvedimento emesso dal presidente del Tribunale in sede di separazione personale dei coniugi di
assegnazione della casa coniugale ad uno di essi ancorché di proprietà esclusiva dell’altro - conferisce al
coniuge assegnatario un diritto personale di abitazione con tutte le facoltà ad esso inerenti con la conseguenza che lo stesso assegnatario può legittimamente provvedere al cambiamento della serratura della
porta d’ingresso della detta abitazione senza che ciò
possa configurare spoglio, risultando interdetto il godimento del coniuge non assegnatario quale debito e valutato effetto del provvedimento presidenziale di attribuzione del diritto di abitazione all’altro coniuge. (Cass. II,
5 giugno 1991, n. 6348)
In materia di separazione personale, i provvedimenti presidenziali relativi all’assegnazione della
casa coniugale e del relativo arredamento, per la loro
natura cautelare, non possono, una volta caducati,
costituire fonte di obbligazione, in relazione al valore economico del loro godimento nel frattempo attuato, a carico del coniuge che li ha richiesti, se non
sotto il profilo di una eventuale responsabilità processuale aggravata ex art. 96 c.p.c. (Cass. I, 14 febbraio
1986, n. 878)
CODICE CIVILE
della decisorietà e definitività; nonché Cass. I, 16
gennaio 2003, n. 586, FD, 2004, 35: Il decreto con
cui il tribunale dichiara la propria incompetenza
territoriale sulla domanda di modifica delle condizioni della separazione personale dei coniugi con riguardo alle modalità di affidamento del figlio minore,
non è impugnabile con il regolamento di competenza - come non è impugnabile con il ricorso
straordinario per cassazione ex art. 111 Cost. - non
avendo - al pari del provvedimento di merito da adottarsi su tale domanda - carattere decisorio, neanche in
ordine alla negazione della competenza, atteso che la
negazione o l’affermazione di questa - come pure della
giurisdizione - è preliminare e strumentale alla decisione di merito e non ha una sua natura specifica, diversa
da quest’ultima, tale da giustificare un diverso regime
di impugnazione, né «fa giudicato» sulla competenza
se non all’interno di quello specifico procedimento che
termina con il decreto camerale)
Poiché nei provvedimenti di separazione e di divorzio l’audizione del minore, al fine dell’affidamento,
è rimessa a prudente apprezzamento del giudice,
non sussiste alcun vizio motivazionale della sentenza
di merito, che tale audizione non abbia disposto, senza
alcuna motivazione sul punto, ove il genitore, richiedente l’affidamento, non abbia richiesto l’audizione nelle pregresse fasi di merito. (Cass. I, 16 luglio 2001, n.
9632, GC, 2002, I, 693)
In tema di affidamento di minori, dovendo il discrimine tra la competenza del tribunale ordinario e
quella del tribunale dei minorenni essere individuato
in riferimento al petitum ed alla causa petendi, rientrano, ai sensi del combinato disposto degli artt. 333 c.c.
e 38 disp. att. c.c., nella competenza del tribunale dei
minorenni le domande finalizzate ad ottenere provvedimenti cautelari e temporanei idonei ad ovviare a situazioni pregiudizievoli per il minore, anche se non di gravità tale da giustificare la declaratoria di decadenza
dalla potestà genitoriale, di cui all’art. 330 c.c., mentre
rientrano nella competenza del tribunale ordinario, in
sede di separazione personale dei coniugi, di annullamento del matrimonio o di «pronunzie» ex legge n.
898 del 1970, le pronunzie di affidamento dei minori
che mirino solo ad individuare quale dei due genitori
sia più idoneo a prendersi cura del figlio. (Nella specie,
è stato ritenuto rientrante nella competenza del tribunale per i minorenni il provvedimento di affidamento di
minore al padre, da questo richiesto, in considerazione
dei cattivi rapporti che il figlio aveva con la madre, con
il suo convivente e con la nonna, siccome finalizzato
ad eliminare, attraverso l’allontanamento del minore
dal domicilio della madre, i pregiudizi di natura psicologica che tale convivenza comportava per il ragazzo).
(Cass. I, 15 marzo 2001, n. 3765)
Il carattere di eccezionalità della norma dell’art. 3,
della l. 7 ottobre 1969, n. 742, che pone una precisa deroga, per i procedimenti indicati nell’art. 92 dell’ordinamento giudiziario, al principio generale di sospensione
dei termini processuali durante il periodo feriale,
comporta che non possa esserne estesa l’applicazione
a tipologie di controversie diverse da quelle espressamente richiamate. Pertanto, la deroga alla predetta sospensione prevista per le controversie in materia di
alimenti, non si estende alle diverse controversie
concernenti la misura dell’assegno di mantenimento in favore dei figli, in regime di separazione dei coniugi. (Cass. I, 7 marzo 1990, n. 1800)
Art. 155
LIBRO PRIMO - DELLE PERSONE E DELLA FAMIGLIA
222
11. Rapporto tra giudizio di delibazione...
11. Rapporto tra giudizio di delibazione della sentenza
ecclesiastica dichiarativa della nullità del matrimonio e giudizio di separazione
Qualora, nel corso del giudizio di separazione personale dei coniugi, venga resa esecutiva la sentenza
ecclesiastica dichiarativa della nullità del matrimonio,
cessa la materia del contendere in ordine alla domanda di separazione personale, ma non viene
meno il provvedimento presidenziale adottato in
precedenza dal giudice della separazione ex art. 708
c.p.c. relativo al contributo al mantenimento dei figli, che conserva la sua efficacia finché non viene sostituito. (Cass. III, 6 agosto 2004, n. 15165)
Per effetto della delibazione, da parte della Corte
d’appello, di una sentenza ecclesiastica dichiarativa
della nullità del matrimonio, la regolamentazione dell’affidamento dei figli minori e del loro mantenimento trova fondamento nelle norme dettate in tema di
matrimonio putativo, con la conseguenza che, richiamando l’art. 129 (che disciplina, appunto, i rapporti tra
coniugi in caso di matrimonio putativo) il successivo art.
155 c.c., deve ritenersi legittimo il provvedimento di assegnazione della casa coniugale al genitore affidatario
dei figli minori, a prescindere dalla circostanza che proprietario della stessa risulti il coniuge non affidatario.
(Cass. I, 13 settembre 2002, n. 13428)
Sul rapporto tra procedimento di separazione e
azione di nullità del matrimonio v. sub art. 150 n. 4,
sub art. 117, § 6 e sub art. 82, § 4.5 e 5
12. Cessazione della convivenza more uxorio
In tema di famiglia di fatto e nella ipotesi di cessazione della convivenza more uxorio, l’attribuzione
giudiziale del diritto di (continuare ad) abitare nella
casa familiare al convivente cui sono affidati i figli
minorenni o che conviva con figli maggiorenni non
ancora economicamente autosufficienti per motivi
indipendenti dalla loro volontà è da ritenersi possibile per effetto della sentenza n. 166 del 1998 della
Corte cost., che fa leva sul principio di responsabilità
genitoriale, immanente nell’ordinamento e ricavabile
dall’interpretazione sistematica degli artt. 261 (che parifica doveri e diritti del genitore nei confronti dei figli legittimi e di quelli naturali riconosciuti), 147 e 148 (comprendenti il dovere di apprestare un’idonea abitazione
per la prole, secondo le proprie sostanze e capacità)
c.c., in correlazione all’art. 30 Cost. Tale diritto è attribuito dal giudice al coniuge (o al convivente), qualora
ne sussistano i presupposti di legge, con giudizio di
carattere discrezionale, non suscettibile di sindacato in
sede di legittimità se logicamente ed adeguatamente
motivato, tale da comprimere temporaneamente, fino
al raggiungimento della maggiore età o dell’indipendenza economica dei figli, il diritto di proprietà o di godimento di cui sia titolare o contitolare l’altro genitore,
in vista dell’esclusivo interesse della prole alla conservazione, per quanto possibile, dell’habitat domestico
anche dopo la separazione dei genitori. Ne consegue
che è legittimo, se congruamente motivato, il provvedimento del giudice di merito che, in relazione ad una
ipotesi di cessazione della convivenza more uxorio,
escluda - ritenendola incongrua rispetto al fine di garantire ai figli la continuità dell’habitat domestico - l’eventualità di ridurre l’abitazione ad una metà di quella
sino ad allora goduta. (Cass. I, 26 maggio 2004, n.
10102, VN, 2004, 969; v. sub § 1)
Sulla famiglia di fatto v. anche sub art. 143, § 10
13. Rinvii
Sui doveri dei doveri dei coniugi verso i figli v. anche sub artt. 147 e 148.
Vedi anche sub artt. 155-bis, 155-sexies
155 bis
Affidamento a un solo genitore e opposizione all’affidamento condiviso (1) (2) - Il giudice
può disporre l’affidamento dei figli ad uno solo dei genitori qualora ritenga con provvedimento
motivato che l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse del minore.
Ciascuno dei genitori può, in qualsiasi momento, chiedere l’affidamento esclusivo quando sussistono le condizioni indicate al primo comma. Il giudice, se accoglie la domanda, dispone l’affidamento esclusivo al genitore istante, facendo salvi, per quanto possibile, i diritti del minore previsti dal primo comma dell’articolo 155. Se
la domanda risulta manifestamente infondata, il giudice può considerare il comportamento del genitore istante
ai fini della determinazione dei provvedimenti da adottare nell’interesse dei figli, rimanendo ferma l’applicazione dell’articolo 96 del codice di procedura civile.
(1) Articolo inserito, con decorrenza dal 16 marzo 2006, dall’art. 1, l. 8 febbraio 2006, n. 54.
(2) Vedi anche art. 4, l. 8 febbraio 2006, n. 54: «4. (Disposizioni finali) - I. Nei casi in cui il decreto di omologa dei patti di separazione consensuale, la sentenza di separazione giudiziale, di scioglimento, di annullamento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio sia già stata emessa alla data di entrata in vigore della presente legge, ciascuno dei genitori può richiedere, nei modi previsti dall’articolo 710 del codice di procedura civile o dall’art. 9 della legge 1 dicembre 1970 n. 898 e successive modificazioni, l’applicazione
delle disposizioni della presente legge. II. Le disposizioni della presente legge si applicano anche al caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio, nonché ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati».
GIURISPRUDENZA
SOMMARIO
1 Rinvio.
1. Rinvio
Sui criteri e sulle modalità di affidamento della
prole v. sub art. 155, § 2 e 3 (anche in relazione alle
applicazioni della norma nella formulazione precedente alla l. 54/2006).