condivisione e conflittualità della coppia genitoriale
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condivisione e conflittualità della coppia genitoriale
CONDIVISIONE E CONFLITTUALITÀ DELLA COPPIA GENITORIALE Di Marilina Intrieri Come noto la separazione coniugale in Italia è un fenomeno particolarmente diffuso. L’indagine conoscitiva pubblicata dall’ISTAT nel 2004, che riporta i dati aggiornati al 2003, evidenzia che nel nostro paese si è avuto un progressivo incremento dei casi di separazione e divorzio, che nell’ultimo decennio sono progressivamente aumentati di circa il 60%. La “separazione” non esprime solo la disunione di due persone che stanno insieme, ma anche ridefinizione dei parametri per un nucleo familiare che viene a mutare poiché coinvolge soggetti, i figli, estranei al rapporto di coppia ma parte fondamentale della famiglia che la coppia pronta ha dividersi ha generato. I coniugi che constatano il fallimento della loro unione, attraverso la separazione, scioglieranno la reciproca congiunzione di bisogni e di aspettative, ma non potranno mai sciogliere il loro legame genitoriale. Tale considerazione è consacrata del nostro ordinamento in una serie di norme del c.c. la cui lettura d’insieme evidenzia che dalla separazione (giudiziale o consensuale che sia) derivano effetti giuridici che incidono sui rapporti personali e patrimoniali fra i coniugi; rimangono invece immutati gli obblighi verso i figli, ovvero gli obblighi di mantenere, istruire ed educare i figli e di prendersi cura di loro. La separazione coniugale comporta modalità di relazione con i figli che non sono più libere, ma regolate spesso da un organo esterno, il Tribunale, (ad esempio per ciò che concerne modalità e durata degli incontri tra genitore non affidatario e minore) o da un accordo dei coniugi. Il minore che assiste alla divisione dei propri genitori è, indubbiamente, sottoposto ad un evento disturbante, non foss’altro perché un bambino spesso non è in grado di distinguere le relazioni che intercorrono tra lui e i genitori e le relazioni che riguardano, invece, esclusivamente i propri genitori. La letteratura scientifica ha rilevato, in relazione ad una separazione genitoriale, cambiamenti comportamentale dei figli (svogliatezza, aggressività, difficoltà a rapportarsi con gli altri, ecc.) ed emozionale (tristezza, rabbia, paura, vergogna, ecc.). E’ evidente, infatti, che il minore è privo di strumenti cognitivi sufficientemente idonei ad elaborare la “perdita” di uno dei genitori e per comprendere i motivi che hanno portato i genitori alla separazione. I nostri tecnici di psicologia e psichiatria ci insegnano che in alcuni casi il figlio della coppia separata può arrivare ad attribuirsi la colpa del fallimento dell’unione coniugale ritenendosi responsabilità del fallimento. Oppure il figlio può vivere l’allontanamento del genitore dalla casa (coniugale per noi giuristi, luogo di affetti e protezione per il minore) come un abbandono della famiglia . Nella norma, in assenza di patologie e con il supporto della coppia genitoriale i figli riescono, comunque, a fronteggiare la situazione trovando un buon equilibrio psicologico; alcuni hanno un periodo iniziale di difficoltà, che può durare anche 2-3 anni, ma poi raggiungono il loro equilibrio; una minima parte altri ancora, invece, anche a distanza di anni stentano ad adattarsi alla nuova situazione. Quando, però, la separazione dei genitori è accompagnata da una elevata ostilità e conflittualità tra i coniugi, il bambino rischia di venire manipolato dai genitori allo scopo di ottenerne l’affidamento non solo per effetto di affetto materno/paterno, quanto piuttosto per un reciproco sentimento di rivalsa dei coniugi l’uno nei confronti dell’altro. La costante denigrazione dell’altro genitore durante la separazione (il cui giudizio sappiamo può durare anni) è definita triangolazione del minore e può costituire una delle cause scatenanti sindromi da alienazione parentale. Il bambino diviene oggetto dei pressanti e fastidiosi tentativi di alleanza che ognuno dei due genitori vuole instaurare con lui a scapito dell’altro, è evidente che tali comportamenti rischiano di minare il rapporto tra il minore ed il genitore denigrato. Assistiamo, infatti, a situazioni nelle quali la elevata conflittualità genitoriale produce l’associazione di valutazioni negative espresse dall’altro genitore, il genitore denigrato viene “disegnato” come colui/colei che lo ha abbandonato ed, evidentemente, ciò comporta l’insorgere di sentimenti negativi del minore. Negli anni antecedenti la riforma del 2006 si è notata, in caso di elevata conflittualità, un comportamento estremamente frequente nei casi di affidamento esclusivo: Il genitore affidatario tende ad ostacolare, anziché favorire, i rapporti del figlio con l’altro genitore. Il genitore non affidatario si comporta allo stesso modo denigrando il genitore affidatario. Anche le limitazioni educative poste nei confronti dei figli spesso sono strumentalizzate. La coppia genitoriale non sfrutta le risorse educative di ogni singolo genitore –cioè non condivide la genitorialità perché non è in grado di essere una coppia- ma approfitta delle limitazioni imposte da uno dei genitori per concedere deroghe (senz’altro diseducative) ed apparire al minore come il genitore più aperto, liberale e possibilista. Elizabeth Kübler Ross, medico, psichiatra e docente di medicina comportamentale, ha in proposito affermato che la separazione dei genitori è vissuta dal bambino come una miscela di emozioni che toccano il senso di abbandono, rabbia, frustrazione, sentimenti simili al dolore provato di fronte alla morte di una persona cara. E’ opportuno ripercorrere per grandi linee il modello elaborato dall’Autrice. L’elaborazione del lutto che il figlio vive in caso di separazione e divorzio è caratterizzato da 5 fasi: - 1° stadio: negazione. I figli rifiutano di accettare la separazione dei genitori; - 2° stadio: rabbia. Molto spesso i figli provano rabbia e ostilità nei confronti di uno o di entrambi i genitori, dei fratelli, delle sorelle, degli amici e persino di loro stessi, ritenendoli/ritenendosi la causa del conflitto e/o della separazione; - 3° stadio: negoziazione. Alcuni figli, attraverso un cambiamento comportamentale negativo (es. ricatto emotivo) oppure positivo (es. alleanza per manipolare il fanciullo), cercano di frenare il processo di separazione genitoriale o di posticiparne il distacco; - 4° stadio: depressione. Si è rilevato che i bambini in questione hanno una probabilità maggiore di sviluppare sentimenti di abbandono, di paura e manifestano apatia; - 5° stadio: accettazione. Con il passare del tempo i figli riacquistano un loro equilibrio, si sentono a loro agio nella nuova situazione familiare, potendo rivivere sentimenti di conferma d’amore e di accoglimento affettivo. Ovviamente questi fasi vivono variabili in relazione all’età, temperamento, capacità di recuperare un proprio equilibrio dopo le avversità, sostegno sociale (compagni e amici, altri membri della famiglia), ma soprattutto questo percorso è influenzato dalla qualità del rapporto che ciascun genitore intrattiene col figlio e con l’altro genitore. Perché è evidente che solo se i genitori, continuando in primis a fare i genitori e non preoccupandosi solo delle relazioni di coppia, sono in grado di far comprendere che anche se si è sciolta la coppia coniugale, non si è sciolta e non si potrà mai sciogliere la coppia genitoriale, il minore troverà il supporto necessario per elaborare, in assenza di patologie, la separazione o il divorzio dei propri genitori. Proprio con il fine di impedire la strumentalizzazione genitoriale in caso di separazione e divorzio e garantire al minore il diritto alla bigenitorialità (la letteratura scientifica internazionale ha evidenziato quanto per la sana crescita psicofisica del minore siano importanti entrambe le figure genitoriali), oltre che il diritto alla propria famiglia (intesa come l’insieme delle relazioni strutturanti con tutti i membri che si vedono coinvolti, nonni e zii inclusi), la riforma del 2006 ha introdotto l’affidamento condiviso. Affinché sia, infatti, realizzato il principio di consentire al figlio minore, in caso di separazione dei coniugi, di conservare un rapporto equilibrato e continuativo con ciascun genitore, di ricevere cura, educazione ed istruzione tanto dal padre quanto dalla madre, e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun genitore, l'art. 155 codice civile stabilisce che il giudice valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati ad entrambi i genitori (c.d affidamento condiviso). Il legislatore non ha casualmente modificato la locuzione affidamento congiunto in affidamento condiviso, è proprio nella nuova concezione di affidamento espressa ne termine condivisione che s’incentra tutta la riforma. In passato si affidavano congiuntamente i figli ai genitori i quali avevano entrambi stessi diritti e poteri sul minore e potevano esercitare tale potestà nel modo che ritenevano opportuno, rivolgendosi al magistrato in caso di conflitto. Oggi ai genitori è chiesto qualcosa in più. Non è una parità di poteri, ma un obbligo di condividere la genitorialità, cioè di agire come coppia genitoriale e non come due genitori ex coniugi che singolarmente esercitano la potestà sul figlio. La valutazione della possibilità di ricorrere all’affidamento condiviso deve ritenersi, oltre che prioritaria, pure necessaria, tanto che il successivo art. 155-bis prevede l'obbligo di motivare il provvedimento che dispone l'affidamento ad uno solo dei genitori. Pertanto, il giudice dovrà preventivamente e necessariamente valutare se vi siano interessi contrari del minore al fatto che la potestà genitoriale continui ad essere esercitata da entrambi i genitori. Nel caso in cui non si rinvenga un interesse contrario per il minore, il giudice dovrà disporre che i figli restino affidati ad entrambi i genitori, eventualmente stabilendo che essi possono esercitare separatamente la potestà limitatamente alle questioni di ordinaria amministrazione. Nel caso, invece, di sussistenza di interessi contrari del minore, la potestà sarà concessa in via esclusiva ad uno solo dei coniugi, ma con provvedimento motivato, che spieghi cioè le ragioni che hanno determinato il giudice in questo senso. Per la realizzazione di tale interesse del minore il Legislatore ha introdotto alcuni rimedi e strategie volti ad indirizzare, a volte anche a spingere, il comportamento genitoriale verso l’interesse dei figli. In caso di gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell'affidamento, il giudice può modificare i provvedimenti in vigore e può, anche congiuntamente: - ammonire il genitore inadempiente; - disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti del minore; - disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti dell'altro; - condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di 75 euro a un massimo di 5.000 euro a favore della Cassa delle ammende. In ogni caso, qualora l’elevata conflittualità dei coniugi sia così forte da rendere impossibile l’affidamento all’interno della famiglia poiché da questo deriverebbero gravi ed irreparabili danni per il minore, il giudice può disporre l’affidamento a persona diversa dai genitori. L'art. 155-sexies, secondo comma, introduce nel nostro ordinamento il possibile ricorso all'istituto della mediazione familiare. La norma in questione prevede che, qualora ne ravvisi l'opportunità, il giudice, sentite le parti e ottenuto il loro consenso, può rinviare l'adozione dei provvedimenti temporanei per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell'interesse morale e materiale dei figli.