I. Lo "scandalo" giorno per giorno

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I. Lo "scandalo" giorno per giorno
Guido Nozzoli e Pier Maria Paoletti
“ La Zanzara”
Cronache e documenti di uno scandalo
Prima edizione: maggio 1966
Copyright by
©
Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano
Omnia munda mundis
I. Lo “scandalo” giorno per giorno
Il pomeriggio del 22 febbraio 1966, il Corriere Lombardo
- già in procinto di sospendere le pubblicazioni - annunciava ai suoi ultimi lettori con uno stuzzicante titolo su
sei colonne: “Suscita scandalo al ‘Parini’ – un’inchiesta
pubblicata - sul giornale degli studenti.” (vedi Appendice
1). E nell’articolo, lardellato di frasi di protesta dei “pariniani cattolici,” si leggeva che le “pazzesche affermazioni
di alcune studentesse intervistate dalla rivistina interna
La Zanzara (Appendice 2 e 3), avevano provocato “grande
scalpore” tra gli allievi e “disappunto” tra i genitori, che
molti di loro si erano recati a protestare dal preside, che
alcuni altri avrebbero chiesto il trasferimento dei figli.
Una delle più severe ed efficienti scuole milanesi, il liceo
prediletto dalla migliore borghesia, dai ragazzi della “Milano-bene,” dunque, si era improvvisamente trasformato
in un covo di immoralismo dove si corrompevano le
anime belle dei fanciulli parlando di libero amore e di
pillole antifecondative? Nel vigile ufficio della Procura
della Repubblica i dottori Lanzi e Carcasio, percossi da
questo “urlo dei sensi” che erompeva dalla scuola, erano
già pronti a levarsi in difesa. della “società buona e sana”
contro “l’ondata di corruzione e di malcostume,” sollecitando l’intervento della polizia, da parte sua già tempestata - si diceva - dalle telefonate di cittadini sbigottiti,
anzi “traumatizzati,” da questo affronto alla pubblica moralità.
In un Paese tanto malizioso e insieme tanto distratto e
rassegnato come il nostro, abituato a sopportare senza
sussulti la presenza di 1 milione e 300 mila disoccupati, i
delitti impuniti della mafia coperti da complicità ad altissimo livello, le evasioni fiscali, le piraterie degli speculatori delle aree fabbricabili, dei sofisticatori di cibi e di bevande, di certi bonzi degli enti caritatevoli e previdenziali,
in un Paese dove si sa di religiosi simoniaci dediti al
contrabbando di tabacco e di opere d’arte sacra, di orfanelli seviziati nei collegi, di pubblici funzionari della Sanità arricchiti concedendo in sub-appalto bambini tubercolotici, è difficile immaginare che qualcuno potesse veramente restare “traumatizzato” dalle dichiarazioni un
po’ troppo esplicite e disinvolte di due studentesse.
Ma il fariseismo pubblico e privato ha le sue esigenze,
come il finto patriottismo, specialmente quando diventa
un atto di liturgia quotidiana, una specie di professione o
addirittura un mestiere.
L’azione contro gli “immoralisti” del “Parini,” a pensarci
bene, poteva anche essere un pretesto per mettere il
guinzaglio a tutta la stampa studentesca, sempre meno
disposta, con l’andar del tempo, a seguire gli appelli furbeschi del grande opportunismo nazionale, e guardata
con sospetto dagli studenti integralisti della destra clericale che, essendo minoranza, non riescono né a dirigerla
né a condizionarla. Infatti, denunciando redattori e
stampatori de La Zanzara anche per le violazioni della
legge sulla stampa, si tentava di affermare implicitamente
il principio che, da quel momento in poi, per non essere
“illegali,” i giornaletti studenteschi avrebbero dovuto registrare la pubblicazione in Tribunale, consegnare quattro
copie di ogni numero in Questura, esser diretti da un
maggiorenne iscritto all’elenco speciale dell’Ordine dei
giornalisti, rinunciando così al loro carattere di libere
espressioni studentesche per rimettersi alla paterna e
sterilizzata tutela dei “grandi.” Un altro attentato contro
la libertà di pensiero e di stampa come l’arresto dei giovani che avevano distribuito volantini pacifisti e anti-imperialisti sgraditi agli stati maggiori.
In ogni modo, con o senza secondi scopi, l’inchiesta
della magistratura sul “Parini” aveva trasformato una
questioncella scolastica in un problema nazionale seguito
con ironia dalla stampa di mezzo mondo. Gli italiani avevano ora un tema nuovo e impreveduto di dibattito, il
“caso” de La Zanzara, che avrebbe diviso il Paese in due
come una grande contesa politica.
Tutto era cominciato lunedì 14 febbraio, quando i
gruppi di Gioventù Studentesca (il cosiddetto “Giesse,”
fondato da don Giussani per raccogliere gli alunni in una
specie di brigata d’assalto di piccoli missionari), che operano alacremente all’interno di tutti gli istituti di istruzione media, con la voce sempre autorevole e favorevol-
mente ascoltata dai benpensanti del moralismo ipocrita e
col fervore della crociata contro la pericolosa e dilagante
decadenza dei costumi, avevano diffuso un manifestino di
amara deplorazione per l’inchiesta giornalistica de La
Zanzara. Firmandosi “Pariniani cattolici,” i dissidenti
stigmatizzavano “la estrema superficialità e la scorretta
parzialità con cui è stato trattato un tema così importante; la gravità dell’offesa recata alla sensibilità e al costume morale comune; la slealtà con cui, una volta di
più, si è abusato della scuola e della sua autorevolezza.”
Così, sollecitato dal gruppo di GS e da “numerosissime
telefonate” di genitori indignati che minacciano di ritirare
i ragazzi dalla scuola (gli indignati saranno, poi, 14 su
1200) il Corriere Lombardo esce il 22 pomeriggio col suo
titolo a sensazione e sostenendo ovviamente le ragioni,
lui sempre finora così dichiaratamente “liberale,”
dell’integralismo cattolico.
Ma non succede niente. L’opinione pubblica per ora
non è turbata né il contenuto dell’inchiesta si è mostrato
ancora “idoneo” a offendere il sentimento morale dei fanciulli e degli adolescenti e a costituire per essi incitamento alla corruzione. Il “costume morale comune” offeso
continua a circondarli come sempre con i film della violenza più atroce, con certi rotocalchi pieni di nudità, di
inchieste sessuali sui giovani e di “risposte del medico”
che circolano per casa e, insomma, con tutte le sollecitazioni delle agenzie pubblicitarie che propongono in chiave
erotica anche il buon brodo casalingo.
In città, dunque, l’opinione pubblica non è affatto “turbata,” né mobilitata. A mobilitarla ci penserà qualche
settimana più tardi il sostituto procuratore Pasquale
Carcasio, in una vastità di ceti sociali e con una profondità di interesse come raramente s’era verificato nella
storia d’Italia.
Soltanto lo studente Marco De Poli, 17 anni, direttore
de La Zanzara, rassegna le dimissioni e si mette a disposizione del preside, prof. Daniele Mattalia. Il quale non
ritiene opportuno prendere alcun provvedimento nei riguardi del suo alunno, che conosce fin troppo bene e non
gli sembra un pervertito corruttore di minorenni. Per lui è
un allievo modello, con i suoi 10 in condotta, la sua media dell’8, i suoi temi meditati, seri, scritti con proprietà e
acutezza di linguaggio critico, su Dante, sul Rinascimento, sulla formazione della classe borghese, contemporanea alla crisi dell’autorità del principe eccetera. E poi
con quella sua aria di primo della classe, un po’ pallido e
allampanato, l’occhio vivo dietro le lenti.
Ma se il preside è tollerante, o addirittura approva
(approva l’inchiesta, naturalmente, non le risposte un
po’ “ciniche” o “infantilmente provocatorie” di alcune
delle ragazze intervistate) la Procura della Repubblica
passa subito all’attacco. Figurarsi la Procura di Milano,
con l’eredità lasciatale da Carmelo Spagnuolo, abituata
a vedere oscenità e vilipendio, dappertutto. Sempre attenta a scoprire, dovunque, le notizie “false e tendenziose, atte a turbare l’ordine pubblico.” Quell’ordine
pubblico, infatti, che fu turbato tanto dall’articolo della
giornalista Merlin sull’Unità (puntualmente rinviata a
giudizio) per aver raccontato, assai prima della catastrofe, che la popolazione della zona del Vajont era da
tempo in allarme e temeva il peggio. Non turbato, certo,
l’ordine pubblico, a catastrofe avvenuta.
Così il 22 stesso, dopo l’articolo del Lombardo e le
pressioni dei gruppi di GS, il procuratore aggiunto,
dottor Oscar Lanzi, incarica il vicequestore dott. Giovanni Grappone, terrore dei criminali più audaci e incalliti, di avviare le indagini sull’inchiesta del giornaletto studentesco.
Il 23 pomeriggio, mentre la città continua a ignorare
lo “scandalo” denunciato dal declinante giornale del
pomeriggio e l’opinione pubblica continua a non essere
“turbata,” il preside del “Parini,” prof. Mattalia e il vicepreside Silvano Stolfa vengono interrogati per varie ore
dal dottor Grappone nel suo ufficio in Questura. È naturale che l’ambiente abbia intimidito quel brav’uomo
del preside che cerca di giustificarsi come può e non ha
ancora assunto quella posizione esplicita di solidarietà
assoluta con l’operato dei suoi allievi che gli varrà, poi,
l’aperta
simpatia
della
stragrande
maggioranza
dell’opinione pubblica. Ammette che il preside ha facoltà di censura sugli articoli del giornale studentesco,
che in altra occasione l’ha esercitata ma che in questo
caso non era stato possibile poiché si trovava in vacanza proprio nel periodo in cui La Zanzara era in via di
preparazione. Era andato nel suo ufficio qualche volta
per sbrigare qualche pratica urgente, aveva anche trovato sul suo tavolo le bozze del numero-bomba ma non
aveva avuto il tempo di scorrerle attentamente. Del resto, il passato di serietà e di “impegno” del giornaletto
del “Parini” l’avevano lasciato del tutto tranquillo.
Il vicepreside, professor Stolfa, si mette ancor più fuori
causa: il suo compito è quello di occuparsi degli affari ordinari in assenza del preside, non ha visto le bozze della
Zanzara e comunque non ha facoltà di prendere iniziative
personali.
Al provveditorato agli studi, intanto, il caso del “Parini” che non è ancora “l’affare Parini,” è ignorato ufficialmente: il provveditore, prof. Tornese, è a Roma.
Se in città non si parla ancora de La Zanzara, se ne
parla a scuola e davanti alla scuola. Centoquaranta genitori che hanno saputo da Il Giorno della convocazione
del preside in Questura, gli mandano un telegramma di
solidarietà. Sono dieci volte di più, dunque, di quelli che
hanno telefonato, senza “firma,” al Lombardo. Anche i
ragazzi, naturalmente, hanno saputo, hanno capito subito da quale parte veniva l’attacco, discutono in capannelli davanti all’istituto.
“Che cosa c’era scritto, in fondo, nell’inchiesta?” si
chiedono. Sono tutti giovanotti che vivono insieme alle
compagne, andando e tornando da scuola o uscendo
alla sera, la vita di una metropoli; che seguono dibattiti
e conferenze sui più diversi argomenti; che leggono i
giornali di papà, i rotocalchi di mamma e le riviste mediche nell’anticamera del dentista. E magari traducono
Catullo, per esempio quella poesia dedicata a Flavio,
quando dice “Che tu non ve […] dove giaci le notti / la
indarno tacita camera il grida / spirando Sirio balsamo e
fiori; / l’impronta duplice de l’origliere / sgualcito, e il
tremulo letto che a scosse / arguto scricchiola nel dimenìo...”
Il primo passo ufficiale, fuori della scuola, lo fa il liberale Giomo, che non sa ancora come più avanti il suo
partito si schiererà su posizioni un poco diverse. Così
accogliendo
subito
la
tesi
di
GS,
presenta
un’interrogazione al ministro della P.I. “per sapere come
il ministro intende intervenire nel caso lamentato, anche perché nel futuro tali avventate iniziative non abbiano a verificarsi altrove, e ciò a tutela della serietà e
della moralità della scuola italiana.”
Fa subito eco all’onorevole liberale il Comitato Lombardo dell’Associazione nazionale Scuola italiana con
un comunicato, il giorno dopo, che “vivamente deplora
quanto le associazioni interne di istituto compiono, sia
con i giornali sia con propaganda in forma lesiva del di-
ritto dei genitori alla educazione e formazione morale e
spirituale dei propri figli.”
Siamo alle prime, timide polemiche sulla vicenda e già
si contrappongono due concezioni antitetiche della scuola
italiana: quella tradizionale, nozionistica, e quella moderna, formativa dell’uomo e del cittadino, aperta a tutti i
problemi della società in cui i giovani stessi vivono - non
si può pretendere con gli occhi chiusi - e si fanno adulti.
Così, limitare al minimo la libertà di manifestazione del
proprio pensiero, al di fuori dei programmi scolastici,
anziché incoraggiarla come suggeriscono ben precise
circolari ministeriali. “Se le opinioni degli studenti appaiono errate - scrive un lettore su Il Giorno del 26 febbraio - si confutino, non si perseguitino e si metta finalmente alla porta la rispettabilità offesa dei soliti genitori spesso privi del minimo aggiornamento culturale
e le cui idee mummificate avrebbero, queste sì, bisogno
di una severa revisione.”
Le polemiche e le notizie, del resto, non escono ancora
dal limbo del titolo su una colonna in cronaca, il caso
Zanzara continua a non essere, ancora, un affare nazionale. Con echi internazionali.
Il giorno 24 ritorna da Roma il provveditore agli studi,
professor Tornese, e chiede un colloquio col vice questore Grappone, che dura un’ora, dalle 12 alle 13. Intanto il procuratore Oscar Lanzi dà incarico a Grappone
di invitare al più presto nel suo ufficio preside e provveditore.
Il 25 è una giornata “tranquilla.”
Il 26 Marco De Poli, direttore de La Zanzara, fa la sua
prima esperienza di delinquente precoce. Trattato ancora, naturalmente, con formale cortesia. Convocato in
Questura, il dott. Grappone gli rivolge molte domande,
si informa della situazione e della conduzione del giornale d’istituto, gli chiede le ragioni di quell’inchiesta.
Nient’altro. De Poli risponde, tranquillo, che si tratta di
un problema attuale, moderno, che interessa la coscienza dei giovani, che in altri paesi di grandi tradizioni civili è normalmente dibattuto senza ipocrisie.
L’articolo, spiega, riportava gli interventi registrati nel
corso di una tavola rotonda con un gruppo di nove studentesse di cui, per correttezza, non riferisce il nome.
Pausa domenicale il 27 febbraio, il 28 vengono convocati i redattori dell’inchiesta, Marco Sassano e Claudia
Beltramo Ceppi. Specialmente dalla ragazza si vuol sa-
pere se è d’accordo con quanto hanno dichiarato le sue
compagne di scuola nell’intervista, e anche lei si rifiuta
di fare dei nomi. A un certo momento le offrono una sigaretta, che non accetta. “Davvero non fumi?” le chiedono. “Allora non sei poi tanto viziosa come si potrebbe
pensare leggendo il tuo giornaletto.”
Il primo marzo il dott. Grappone ha un lungo colloquio col procuratore aggiunto Oscar Lanzi.
Intanto, mentre la risonanza intorno al caso Zanzara è
ancora molto circoscritta, si alternano manifestazioni di
pubblica solidarietà e di pubblica deplorazione, queste
ultime, per la precisione, sempre da una sola parte. Il 2
marzo la sezione milanese dell’Associazione nazionale
studenti serali, ANSS, proclama per lunedì 7 uno sciopero di protesta e di solidarietà con gli studenti del “Parini”: gli studenti-lavoratori della provincia si asterranno
dal frequentare la prima ora di lezione.
Il 5 marzo l’Unione Cattolica Insegnanti Medi, sezione
di Milano, concorda un documento, al termine di una
riunione, in cui si precisa che “il diritto primario
all’educazione spetta alla famiglia e che le associazioni
d’istituto e le loro manifestazioni si riducono spesso ad
espressioni aberranti o diseducative di singoli o di
gruppi esigui che pretendono, data l’ufficialità delle associazioni, di rappresentare tutti gli studenti.” Ben presto si vedrà quanto “esigui” siano quei gruppi.
Intanto che il magistrato studia attentamente il caso
Zanzara per decidere o meno il rinvio a giudizio (ma lo
deciderà, su questo non c’è alcun dubbio) dei “corruttori” del liceo Parini, un autentico colpo di scena conclude l’inchiesta aperta quattro mesi prima a carico di
un altro gruppo di giovani, e di due anziani tipografi,
imputati di aver stampato e diffuso manifestini sul problema de l’obiezione di coscienza e contro la guerra nel
Vietnam.
L’arresto, per tale tipo di reato, non è obbligatorio, ma
il Procuratore Capo Carmelo Spagnuolo, che ha affidato,
prima di lasciare la sede di Milano, l’inchiesta al dott.
Gino Alma, ha instaurato in tanti anni un costume ben
preciso. E la Procura di Milano, già sconfessata decine
di volte dalle sentenze della magistratura giudicante,
ma sempre irremovibile su posizioni di assoluta intransigenza quando si tratti di reati d’opinione, firma il
mandato di cattura. Anche se poi essa stessa si concede
qualche licenza procedurale quando i giovani, che do-
vrebbero esser processati per direttissima entro cinque
giorni dall’arresto, vengono citati in giudizio quindici
giorni dopo. Un po’ di galera prolungata oltre il diritto
non fa mai male per le teste calde.
Così i carabinieri, nella notte fra il 9 e il 10, come
s’usa fare per gli assassini più pericolosi, i rapinatori e
gli sfruttatori di prostitute, suonano al campanello di
undici famiglie per bene, aspettandosi, forse, chissà
quale reazione a mano armata.
Otto dei ricercati sono in casa e passano dal letto a S.
Vittore fra l’angoscia dei familiari: Andrea Strik Lievers,
18 anni, studente liceale, suo fratello Lorenzo, 22 anni,
studente di filosofia, Donatella Borghese, 21 anni, universitaria, Giovanni Zambardieri, 24 anni, impiegato,
Luigi Metaldi, 26 anni, attrezzista della Scala, Luigi
Mai, 17 anni, studente, Armando Fiorin, 66 anni, titolare della tipografia omonima in via Vignola 3, Vincenzo
Cordani, 77 anni, presidente della SpA “A. Cordani” in
via Donatello 36. Gli altri tre, pure colpiti da mandato
di cattura, si trovano fuori casa: Piero Cardinali, di 22
anni, Giorgio Soragna, di 27 anni e Tullio Muraro, resistente a Monza.
L’inchiesta si era aperta il 4 novembre del 1965,
quando il Partito Radicale di Milano aveva diffuso fra la
cittadinanza un volantino contro la violenza e la guerra
e per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza (un
diritto per il quale si sono battuti in numerosi convegni,
articoli, conferenze o affrontando lunghi processi anche
insigni studiosi cattolici e coraggiosi sacerdoti). Poi
l’indagine si era ampliata agli inizi di febbraio quando
alcune organizzazioni di estrema sinistra, dissidenti del
PCI e perciò stesso fuori del gioco, delle indignazioni e
delle difese (il Centro antimperialista milanese e la Lega
marxista-leninista) avevano diffuso altri tipi di manifestini contro la guerra nel Vietnam.
I reati contestati ai giovani e ai due vecchi tipografi
sono due ed entrambi abbastanza gravi. Il primo (art.
266) riguarda l’istigazione di militari a disubbidire alle
leggi o a violare il giuramento dato e comporta una pena
da uno a 3 anni (da 2 a 5 se commesso pubblicamente).
Il secondo (art. 656) punisce con l’arresto fino a tre
mesi chi si rende responsabile di pubblicazione o diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose, atte a
turbare l’ordine pubblico.
Non c’è niente di più facile, pare, in Italia, che turbare
questo sacrosanto ordine pubblico.
Nella mattinata del 10 i legali dei “pacifisti” arrestati
(gli avvocati Salinari, Boneschi, Malagugini, Sergio e
Giuliano Spazzali) chiedono subito un colloquio con il
procuratore aggiunto, dott. Oscar Lanzi, sollecitando
spiegazioni sulla cattura notturna e relativa traduzione
a S. Vittore dei loro assistiti.
Cinque giorni di pausa nel “caso Zanzara,” che sembra
ormai quasi dimenticato dalla stampa, ma si sa quanto
siano impenetrabili gli uffici giudiziari (Oscar Lanzi, intanto, si apprende, ricevuto il rapporto conclusivo della
polizia, rinvierà a giudizio per direttissima il preside e i
tre ragazzi del “Parini,” oltre ad Aurelia Terzaghi, proprietaria della tipografia di via Boscovich 17 dove si
stampa La Zanzara) e il giorno 17 marzo, per una notizia
“incredibile” apparsa su tutti i giornali, l’ordine pubblico
sarà finalmente davvero turbato. Non da manifestini,
questa volta, o da libri o da conferenze. Il caso del
“Panni,” finora circoscritto al mondo della scuola, agli
antagonismi fra associazioni d’istituto e associazioni
cattoliche dissidenti, conosciuto nei particolari da una
minoranza di lettori assidui di quotidiani, quelli cui non
sfuggono neppure i trafiletti su una colonna in cronaca;
esplode improvvisamente in tutta la sua violenza, si trasforma in “affare” nazionale, dilaga sui giornali stranieri
che solitamente dedicano qualche riga all’Italia per l’esito
delle elezioni, mobilita giuristi, parlamentari, segreterie
politiche, ministri, intellettuali, associazioni, autorevoli
riviste letterarie, pedagogiche, teologiche, scatena correnti avversarie appena sopite nel seno stesso della magistratura, sospinge una lunga ventata di interesse in tutte
le classi sociali, fra i bottegai, gli operai, gli impiegati,
come soltanto le partite di scudetto, e mai fatti politici o
di costume, da noi riescono a suscitare.
Accade dunque che i tre redattori de La Zanzara,
Marco De Poli, Marco Sassano, Claudia Beltramo Ceppi,
vengono invitati nel pomeriggio del 16 marzo, nello studio del sostituto Procuratore della Repubblica.
Pasquale Carcasio è un magistrato abbastanza giovane, un po’ pingue, pacioso, con gli occhiali e l’aria
prelatizia, di modi ineccepibilmente corretti e discreti.
Con un sorriso dice ai ragazzi: “L’avete combinata bella,
non penserete per caso di passarla liscia.” Poi con tono
già più brusco di voce: “Be’, chiuso per oggi, perché c’è
qui il dottore e dobbiamo compilare la scheda minorile
medica. Cominciamo da questo qui,” dice riferendosi a
Sassano. “Escano gli altri due e tu togliti il pastrano.”
Mentre la Beltramo, sconcertata da quell’inattesa richiesta, si precipita a telefonare al padre, De Poli, facendo qualche passo nel corridoio, scorge attraverso
una delle finestre dell’ufficio di Carcasio, prima che il
cancelliere accosti le tende, il suo compagno in piedi
davanti alla scrivania, già in maniche di camicia.
Il dottor Carcasio sa benissimo, per aver letto attentamente il fascicolo della polizia e aver studiato il caso
come si conviene a un magistrato della sua scrupolosa
meticolosità, che quei ragazzi “hanno capacità di intendere e volere,” che a scuola hanno buoni voti e De Poli
addirittura 10 in condotta, ma poiché la legge, come
pensa di interpretarla rettamente lui, gliene dà la facoltà (anche se non gli impone l’obbligo) li vuole ugualmente nudi davanti a sé. Come i teppisti, i ricattatori, i
violenti da riformatorio per cui il legislatore ha consigliato la ricerca di eventuali tare fisiche o psichiche.
Cosa importano i bei voti e l’ottima condotta?
Incalzano le domande. Prima quelle normali di tutte le
visite mediche, “varicella, morbillo, orecchioni?” Quindi,
mentre il medico ausculta e palpa, l’interrogatorio per
compilare la scheda. Con accenti d’ironia. Così lo raccontano i ragazzi.
“Dato che scrivi queste cose, certo sei abituato a frequentare prostitute.”
Sassano risponde secco di no. “Hai fatto mai la Wasserman?” “La... cosa?”
“Wasserman. Be’, andiamo avanti. I tuoi genitori
hanno mai avuto malattie veneree?” Un lampo di sdegno negli occhi del ragazzo, che crede di non aver capito
bene. “Vivono insieme?”
“Certo che vivono insieme.”
“Mah! Sei ben denutrito. Evidentemente i tuoi genitori
se ne fregano di te.”
Quando Sassano esce, finendo ancora di ficcarsi la
camicia nei pantaloni, col cappotto buttato sulle spalle
ed entra De Poli (“Guarda che ti visitano a fondo” gli
dice), ci sono davanti all’ufficio due giornalisti e un fotografo che gli chiedono particolari sull’”interrogatorio.”
Intanto vede Claudia, in fondo al corridoio, che ritorna
dopo la telefonata al padre. Le corre incontro, le racconta quel che è successo, lei gli dice che suo padre le
ha proibito tassativamente di sottoporsi alla prova (il
padre, intanto, telefonerà a Delitala e Delitala a Lanzi:
un lungo colloquio).
Mentre De Poli è dentro i due ragazzi chiacchierano
con i tre giornalisti, esce il segretario (o il cancelliere: il
terzo uomo, insomma, che era nell’ufficio del dott. Carcasio) e gironzola intorno al gruppetto. Che si allontana
di qualche passo.
Dopo la visita allo studente-direttore (“Hai malattie
veneree? Ma sai cosa voglion dire?” - “Certo che lo so” “E già, con quel che scrivi!...”) esce dall’ufficio, dietro il
ragazzo, il dottor Carcasio che, rivolgendosi alla Beltramo Ceppi, ingiunge, con cortese fermezza: “Adesso,
signorina, tocca a lei.”
“No” replica Claudia, e i giovani compagni, mettendosi
davanti alla porta: “No, la ragazza non entra.” Il dott.
Carcasio insiste, dice che è assolutamente necessario per
la compilazione della scheda, ma Claudia e i ragazzi non
cedono. “Va bene” fa il magistrato “allora telefoniamo a
suo padre” ed entra nell’ufficio insieme alla Beltramo
Ceppi.
De Poli e Sassano vedono attraverso una delle finestre
dell’ufficio la ragazza e il magistrato che parlano, poi il
magistrato che telefona. Il padre di Claudia, si saprà in
seguito, ribatte il suo no deciso alla visita e il dottor
Carcasio, allora, ordina a Claudia di ritornare il giorno
dopo, accompagnata dalla madre. Quindi, uscendo e
congedando i tre ragazzi: “Bene, i vostri genitori se ne
impippano di voi, perché non vi hanno neanche accompagnato.” A parte il fatto che l’invito era formulato
molto laconicamente su un foglietto dattiloscritto e diceva: “La preghiamo di comparire il giorno 16 marzo
nell’ufficio del sostituto procuratore dott. Carcasio per
fatti inerenti alla giustizia.” Non accennava né alla visita
né alla necessità che i tre fossero accompagnati dai familiari.
I ragazzi escono dal Palazzo di Giustizia avviliti, umiliati e si recano subito nello studio dell’avv. Sbisà, difensore del Sassano, che, ascoltando tutta la storia, si
mostra esterrefatto. In quarant’anni di carriera, dice,
non gli era mai capitato un fatto del genere.
La sera stessa, naturalmente, i difensori degli studenti rilasciano due dichiarazioni sull’atteggiamento
della Procura ai cronisti che li assediano per aver con-
ferma del singolare provvedimento. La visita per la
compilazione della cosiddetta scheda minorile, spiega il
prof. Delitala, è prevista effettivamente da una vecchia
circolare fascista (n. 2326 del 21 settembre 1933) la
quale prevede che una colonna del modulo debba essere
riempita da un medico in concorso con il magistrato.
Tale circolare, però, aggiunge l’illustre penalista, è da
ritenersi annullata dall’articolo 13 della Costituzione,
per cui la libertà personale è inviolabile e non è ammessa alcuna ispezione personale se non per atto motivato dall’autorità giudiziaria nei modi voluti e previsti
dalla legge. Per questo motivo il dott. Pasquale Carcasio, per procedere alla compilazione della scheda,
avrebbe dovuto stendere un atto motivato soprattutto
per spiegare a che cosa gli serviva “un esperimento del
genere” in riferimento a un reato squisitamente di
stampa.
La circolare del 1933, tramutata successivamente in
legge, e i riflessi su di essa della Costituzione repubblicana saranno successivamente approfonditi prima e durante il processo.
Il prof. Alberto Dall’Ora, da parte sua, annuncia un ricorso alla Procura Generale della Repubblica “per tutti i
provvedimenti del caso in relazione alla violazione patente dei diritti e della dignità del cittadino, non essendo
lecito riesumare norme che risalgono al tempo fascista e
che sono state travolte dalla lettera e dallo spirito della
Costituzione.”
In serata, una novantina di insegnanti delle scuole medie superiori milanesi inviano al Provveditore agli Studi
un documento (App. 4) in cui, riferendosi al caso del liceo
“Parini,” esprimono apertamente il loro parere favorevole
a una libera circolazione dei giornali studenteschi di
istituto. “I giovani studenti - riporta fra l’altro il testo hanno oggi una serietà che è ignota a molti adulti e una
consapevolezza dei problemi che sarebbe stolto voler soffocare.” Il che è verissimo, e basta parlare con qualsiasi
liceale per accorgersi dell’abisso di serietà che li divide
dai coetanei d’un tempo.
Ma i giornaletti d’allora, le battute a doppi sensi, le caricature dei professori, le vignette maliziose, l’assenza
totale di qualsiasi argomento politico o sociale, attuale o
scottante (sia pure trattato con la giovanile inesperienza
dell’inchiesta su La Zanzara) il goliardismo qualunquista
da quattro soldi non portavano certo i compilatori, guar-
dati dagli adulti con occhio indulgente, sul banco degli
imputati.
Lo “scandalo” dilaga, i giornali, anche quelli che non
hanno approvato la crudezza di linguaggio dell’inchiesta
de La Zanzara, sono ormai quasi tutti schierati dalla
parte degli studenti del “Parini.” Lo “spogliarello” in Procura, come ormai viene definita la visita a sorpresa di De
Poli e Sassano e la mancata visita della Beltramo Ceppi,
ha indignato l’opinione pubblica, la stampa e - come vedremo nei giorni seguenti - gran parte della magistratura.
Mai s’era visto in Italia un simile fronte tanto compatto
a difesa della Costituzione. Forse anche perché si trattava di una difesa facile, di principi generali, ovvi, comunemente accettati, e la politica, per il momento, restava
nelle retrovie.
Il Procuratore Oscar Lanzi deve aver avvertito questa
ondata di ostilità montante, deve aver letto le centinaia di
fogli più o meno importanti ammonticchiati sul suo tavolo di lavoro, qualche espressione irriguardosa -o anche
qualche interpretazione giuridica inesatta, e così, per le 5
del pomeriggio di giovedì 17 marzo convoca una conferenza stampa che si risolve - come scrive anche Giornalismo, organo dell’Associazione Lombarda dei Giornalisti in
un
lungo
monologo-stampa.
Eccezionale
l’avvenimento, tuttavia, se si pensa al riserbo consueto
dei magistrati durante la fase istruttoria d’un processo.
Alto, quasi calvo, dal volto abbronzato, dai sottilissimi e
curatissimi baffetti alla Douglas Fairbanks sotto il grosso
naso, il dottor Oscar Lanzi comincia a parlare con studiata pacatezza, di fronte a una piccola folla di cronisti.
“Le notizie apparse sui quotidiani - dice - circa il procedimento penale a carico. del professor Mattalia e dei tre
studenti De Poli, Sassano e Beltramo, e in particolare
circa la compilazione della scheda degli imputati minori
disposta da questa Procura, rappresentano una realtà
deformata, alterata e male interpretata.”
Detta lentamente, come un maestro, il testo che ha
lungamente meditato (prima non aveva voluto che qualche giornalista prendesse appunti). “L’obbligo per il giudice e per il P.M. - continua - di procedere alla compilazione della scheda nei confronti di imputati minorenni
senza particolari formalità discende dall’articolo 11 del
RD 20 luglio 1934 n. 1404, modificato dal RD legge I1
novembre 1938 n. 1802, convertito nella legge 16 gennaio 1939 n. 90, legge 25 luglio 1956 n. 888 e legge 27
dicembre 1956 n. 1441. Detto articolo recita: ‘Nei procedimenti a carico di minori, speciali ricerche devono essere rivolte ad accertare i precedenti familiari e personali
dell’imputato, sotto l’aspetto fisico, psichico, morale e
ambientale. Il PM, il Tribunale e la sezione della Corte
d’Appello possono assumere informazioni e sentire pareri
di tecnici senza alcuna formalità di procedura, quando si
tratti di determinare la personalità del minore e la causa
della sua irregolare condotta. Appaiono pertanto ingiustificate e gratuite - scandisce solennemente Oscar Lanzi le allarmistiche interpretazioni e i minacciati ricorsi riportati dalla stampa come formulati da noti avvocati,
ammesso che il pensiero di tali illuminati professionisti
sia stato fedelmente riportato dai redattori degli articoli
pubblicati. Appare opportuno far conoscere come questo
ufficio, tenuta presente la minore età dell’imputata Claudia Beltramo, constatato che quest’ultima si era presentata senza essere accompagnata dai genitori, ha provveduto a interpellare telefonicamente il padre della minore
pregandolo di riaccompagnare la ragazza o di farla accompagnare dalla mamma per il giorno successivo a
quello in cui l’imputata si era presentata.”
Tutto uno scandalo, dunque, nato da una realtà “deformata, alterata e male interpretata” dai giornalisti. Ma
subito, il 17 sera, il prof. Delitala risponde chiaramente
alla conferenza-monologo di Oscar Lanzi.
“L’invocato articolo 11 della legge sul Tribunale dei
minorenni - dice - ammette soltanto sommarie indagini
per stabilire le capacità di intendere e di volere dei minorenni sottoposti a giudizio penale, e non visite mediche vere e proprie. Principio confermato dalla Cassazione. Il tipo di indagine adottato, invece, è previsto
soltanto dalla circolare illiberale del 21 settembre 1933,
firmata dall’allora ministro di Grazia e Giustizia De
Francisci, che disponeva visite mediche, ma soltanto
per soggetti traviati. Tale circolare, perciò, deve ritenersi
superata dall’art. 13 della Costituzione che dispone
come nessun cittadino possa essere sottoposto a ispezione corporale senza motivato provvedimento della
stessa autorità giudiziaria.”
Nella stessa giornata del 17 viene indirizzato alla Procura della Repubblica e trasmesso per conoscenza al
Presidente Saragat, un esposto del prof. Dall’Ora: “Eccellentissimo signor Procuratore Generale, in data di
ieri, in Milano, è avvenuto un fatto che per la sua gra-
vità sembra meritare l’immediato e fermo intervento di
codesto onorevole ufficio.” Dopo aver raccontato con dovizia di particolari, così come del resto era stato riferito
dalla stampa, lo “spogliarello” nell’ufficio del sostituto
Procuratore Carcasio, il prof. Dall’Ora continua: “Incredibile che ciò possa accadere nel 1966, dopo tanti anni
dall’andata in vigore della Costituzione e in una città
come Milano, in un paese che si ritiene civile.” Il penalista prosegue nel sua esposto parlando di “fatti degradanti,” di “inutile, vessatoria mortificazione, anche più
grave se si tien conto che esso è accaduto in relazione a
una procedura che ha per oggetto il giornale studentesco e che già appaiono discutibili le ragioni
dell’eventuale incriminazione per reato di stampa, posto
che ‘ictu oculi,’ nessun carattere di oscenità è dato ravvisare nello stesso giornale.”
I ragazzi del “Parini” non sono soli. Intorno a loro c’è
una vera sollevazione dell’opinione pubblica. L’inchiesta
giornalistica de La Zanzara un po’ maldestra o incauta
o acerba secondo la si vuol definire, sembra ormai dimenticata, si muovono partiti, deputati, associazioni, si
sente che sono in gioco valori fondamentali di civiltà e
di costume democratico. Ed è un fatto significativo che
soltanto il MSI neghi una sia pur minima parte di solidarietà o di indulgenza (concessa da molti giornali cattolici) agli studenti del “Parinf” e concordi pienamente
con i provvedimenti della Procura.
Il 17 stesso, così denso di avvenimenti e di notizie, le
segreterie provinciali del PSI e del PSDI concordano una
dichiarazione (App. 5) e inviano telegrammi di protesta
al Presidente della Repubblica, al Presidente del Consiglio, al Vicepresidente Nenni, al Guardasigilli Reale, al
Presidente della Commissione Giustizia della Camera
Antonio Greppi.
Da parte sua il Consiglio Superiore della Magistratura
delibera di “assumere immediate informazioni circa i
fatti denunciati e in particolare circa le modalità
dell’intervento del sostituto procuratore relativamente
alle ispezioni personali.” Chi dovrà fornire le notizie, richieste telegraficamente, è lo stesso Procuratore Generale di Milano Piero Trombi: un preparatissimo e rigido
magistrato della “vecchia guardia,” arrivato a Milano nel
1961, superiore ideale, per tanti anni, di Carmelo Spagnuolo.
Intanto alla Camera il sottosegretario agli Interni, Leonetto Amadei, dichiara che il fatto, così come è stato
riferito dalla stampa, esce talmente dalla norma da apparire incredibile. “Se fosse vero, il magistrato avrebbe
palesemente e gravemente violato la norma di procedura penale e, quel che è più grave, un principio fondamentale della Costituzione. Che siano graditi o no, i
principi costituzionali devono essere osservati da tutti,
in particolare dai pubblici poteri e soprattutto dai magistrati che usufruiscono d’un’amplissima discrezionalità
non sempre controllabile e contenibile...”
Incredibile quanto sta succedendo a Milano anche per
il socialista Ballardini, presidente della Commissione
per gli Affari costituzionali. “È chiaro - dice - che la
parte più retriva della magistratura italiana si sottrae al
rispetto della Costituzione e viola in modo clamoroso i
diritti elementari dei cittadini.”
L’on. Bozzi, del PLI, afferma che le pubblicazioni scolastiche sono, più che utili, necessarie quali strumenti
dialettici di formazione della coscienza morale e civile
dei giovani.
Ferruccio Parri afferma: “La cosa mi indigna profondamente. Casco dalle nuvole per l’ingiunzione del magistrato. Se ha un’intenzione provocatoria non può non
essere riprovata nel modo più categorico.”
Davide Lajolo, del PCI, chiede chiarimenti “affinché la
famiglia e gli studenti siano rassicurati sul costume
democratico all’interno della scuola.” Altre interrogazioni vengono presentate alla Camera dagli onorevoli
Cacciatore, Basso, Alimi e Naldini del PSIUP.
La Costituzione è dovunque invocata, richiamata, additata: non si credeva che il suo spirito fosse così profondamente radicato nella coscienza dei cittadini. Liberali e comunisti, questa volta (in cui la politica è dissimulata dietro un problema di costume) possono ancora
cimentarsi a difenderla insieme.
I quotidiani grandi e piccoli, di Milano, Torino, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Palermo, dei cento capoluoghi di provincia italiani dedicano ormai colonne e colonne di piombo con titoli su cinque, sei, sette colonne o
a tutta pagina al caso Zanzara, seguendo ora per ora gli
avvenimenti, registrando lo stupore, lo sbigottimento,
l’indignazione per gli uni o per gli altri, il turbamento
dell’opinione pubblica.
Venerdì 18 marzo, vigilia di S. Giuseppe, con relativo
“ponte” per scuole e pubblici uffici. Il telefono squilla
inutilmente nella casa di Marco De Poli, direttore de La
Zanzara. Un vecchio, vasto appartamento pieno di libri,
di pubblicazioni e riviste disseminate fra i tavoli, di
quadri moderni, alcuni importanti, e di mobili misti, un
po’ d’antiquariato, un po’ di tradizionale rispettabilità
borghese. Il ragazzo è partito con il suo compagno di incriminazione, Marco Sassano, per il villaggio turistico
“La Francesca” vicino a Bonassola. Anche Claudia Beltramo Ceppi si è allontanata da Milano, dopo il rifiuto a
sottoporsi all’ispezione corporale davanti alle lenti del
giovane magistrato oltre che sotto l’occhio esperto del
medico. Non subirà, dunque, l’onta di quello “spogliarello” richiesto dall’interpretazione “gretta e formalistica” - come ha detto Delitala - “di una norma illiberale” nata in ben altro clima politico e destinata del resto a ben altri tipi di ragazzi “traviati.” Si è presentato
ieri al Palazzo di Giustizia il padre, dottor Marco Beltramo Ceppi, direttore di una società pubblicitaria e già
vice questore di Milano dopo la Liberazione, convocato
appunto dal magistrato. Il colloquio è durato circa
mezz’ora . Pare che gli sia stato chiesto nuovamente se
accondiscendeva a quell’interrogatorio particolare della
figlia per la compilazione di questa benedetta scheda
minorile e che abbia risposto: “Non parliamone neanche.”
Continua intanto la polemica, sempre più aspra, fra i
difensori dei tre studenti e la Procura, soprattutto nella
persona del Procuratore aggiunto Oscar Lanzi, quello che
ieri ha tenuto la conferenza-monologo rilasciando le sue
dure dichiarazioni sull’interpretazione “allarmistica” (aggettivo quant’altri mai carissimo nel corso dei secoli ai
benpensanti) data dalla stampa all’interrogatorio “particolare” e agli interventi degli “illuminati professionisti.” I
quali “illuminati” ribadiscono parola per parola il loro
pensiero così come riportato dalla stampa che l’aveva
rettissimamente interpretato.
Anzi, il prof. Delitala, in aperto contrasto con quanto
dichiarato dal dott. Lanzi, insiste sul fatto che Claudia
non era stata affatto spontaneamente invitata dal sostituto procuratore - quasi meravigliato che non fossero
presenti - a telefonare ai propri genitori per la visita “di
controllo.” La ragazza era stata fatta solo uscire momentaneamente dall’ufficio e, sapendo la sorte che
l’attendeva, corse di sua iniziativa a telefonare al padre
e quindi, per consiglio dello stesso Delitala, si rifiutò
decisamente all’umiliante “prova.”
Esiste dunque, da oggi, una totale divergenza fra la
posizione ufficiale della Procura e quella dei difensori
non soltanto in linea di diritto ma anche di fatto.
Per il prof. Carlo Smuraglia, difensore col Dall’Ora del
De Poli, la ragazza e i ragazzi erano assolutamente impreparati al genere di interrogatorio che li attendeva.
Erano stati convocati con quel semplice invito dattiloscritto a presentarsi in Procura. Se Claudia ha deciso di
andarsene e di telefonare al padre, i ragazzi che non sapevano di potersi rifiutare all’esperimento imposto dalla
circolare fascista (ma solo ammesso dalla successiva
legge), sono stati invece sottoposti alle “speciali ricerche” consigliate per i ragazzi traviati. Quali segni di traviamento fisico o psichico e di tare familiari si proponesse di scoprire il magistrato sui corpi nudi dei due
giovanetti è piuttosto difficile da capire. Anche da parte
di coloro che, in principio, non avevano del tutto approvato l’inchiesta del giornaletto e le risposte troppo disinvolte di alcune intervistate. Forse credeva di vedervi
tatuate le frasi più oscene?
Eppure appariva certo a chiunque avesse preso in
mano una sola volta La Zanzara che lo scopo
dell’inchiesta (perché questo è il punto del reato:
l’intenzione patente di oscenità) non era né immorale né
goliardicamente sconcio e malizioso. E del resto, per
rendersi conto della personalità dei ragazzi, senza bisogno di denudarli, bastava pensare agli altri problemi
trattati da La Zanzara: la religione nella civiltà contemporanea, la pace del mondo, la libertà del cittadino, eccetera. La scuola “formativa,” insomma, che tanto
vanno raccomandando le circolari ministeriali, al posto
della scuola nozionistica che l’Italia ha avuto per almeno un secolo. Senza dire che anche i temi di Marco
De Poli dimostrano l’estrema serietà del ragazzo “da riformatorio,” la sua maturità intellettuale e la sua preparazione non meramente scolastica. Vincitore di numerose borse di studio, collazionatore di altissimi voti in
tutte le materie, smilzo, occhialuto, potrebbe sembrare
il tipico primo della classe se la definizione non sembrasse poco simpatica: perché invece è simpatico, moderno, parla tre lingue, si interessa di sociologia, ha
l’hobby” del giornalismo, studierà filosofia delle scienze,
e in più gioca anche a tennis. La sua professoressa di
italiano, Maria Teresa Rossi, lo considera un allievo eccezionale ed è stata lei a farsi promotrice del comunicato di protesta sottoscritto dagli insegnanti delle medie
superiori milanesi.
Meno grave e meditativo, ma forse più vivace e “temperamentale,” è Marco Sassano, figlio di Fidia il giornalista, bravissimo nelle materie classiche, meno diligente
nelle altre: il che dimostra una scelta, un orientamento
precisi, non la volontà di essere il primo della classe a
tutti i costi. Si interessa molto di cinema e con la sua
macchina da presa ha girato molti film sperimentali, per
lo più di intonazione surrealista. E legge moltissimo, a
qualsiasi ora e in qualsiasi occasione della giornata.
Claudia Beltramo Ceppi ha 17 anni anche lei, frequenta
la seconda liceale, è primogenita di tre fratelli, è una ragazza aperta, leale, sincera, anticonformista con moderazione, di una bellezza sana, pulita, che ispira subito
simpatia.
È appunto il contrasto quasi grottesco tra la personalità dei tre ragazzi e la gravità di un’ispezione corporale
che lo stesso spirito della legge fascista aveva previsto,
in fondo, per i soggetti traviati, che ha colpito maggiormente la sensibilità dell’uomo della strada, ne ha suscitato l’indignazione, gli ha insinuato il dubbio che
qualcosa, negli ordinamenti del nostro Paese non andava, che la legge potesse anche essere stata fraintesa,
che, insomma, ci fosse “del marcio in Danimarca.”
La stampa periodica, stimolata dall’avvenimento, si
sente spinta a indagare sull’ambiente scolastico di questi giovani, sul “liceo dello scandalo,” compiendo sondaggi fra gli allievi. Cosi si viene a sapere che il 56 per
cento degli studenti del “Parini” si occupa di politica con
un certo impegno, anche se soltanto meno di uno su
cinque di loro ritiene opportuno iscriversi ad un partito,
che un po’ tutti considerano “inadeguate e forse storicamente superate” le strutture dei vari partiti, che la
quasi totalità di loro avversa il fascismo e giudica positivamente l’opera di Giovanni XXIII e del Concilio benché manifestino qualche disagio per i criteri con cui
viene impartito l’insegnamento religioso. Dai sondaggi
escono anche informazioni curiose: per esempio si viene
a sapere che il “pariniano medio” ogni cento lire di cui
dispone ne spende 40 per i dischi, 30 per il cinema e le
sigarette, 15 per i libri e giornali. Pochi, in verità, i gior-
nali letti, e quasi sempre diversi da quelli del padre. Si
vede benissimo che non è proprio il caso di pensare al
“Parini” con apprensione.
In un ampio servizio su Epoca, Giuseppe Grazzini
riassume e commenta numerosi dibattiti promossi dal
settimanale a Milano, a Torino e in altre città ai quali
sono intervenuti studenti di diversi istituti, di diversa
età, di diverse estrazione sociale, di diversa opinione
politica. Si parla, naturalmente, del caso Zanzara e i
punti di vista sono contrastanti: c’è chi sostiene
l’inchiesta del giornale del “Parini,” chi la giustifica, chi
la respinge. E si parla di altri argomenti riguardanti la
vita sociale dei giovani, i giornali d’istituto ma anche
l’insegnamento, la disciplina, le associazioni, il tempo
libero, le vacanze.
“Alla base di questi problemi - scrive l’articolista - c’è
il metodo della nostra scuola di Stato: `La Scuola è
neutralista e come tale tende semplicemente a informare. A noi non basta. Noi vorremmo diventare degli
uomini capaci di formulare un giudizio: e invece siamo
soltanto delle memorie. Memorie che durano appena
quanto è necessario, fino a quando abbiamo preso il
voto. Ci danno da imparare dieci cose, riusciamo a dimostrare di ricordarne sei, gabbiamo la sufficienza e
tutto va bene. A che cosa serve tutto questo?’ Questa
critica è forse l’unico punto sul quale abbiamo incontrato una totale concordia.”
Le reazioni dell’uomo della strada e le opinioni qualificati di uomini di legge, di scienza, di cultura su tutta la
faccenda cominciano a finire sui giornali in attesa degli
sviluppi giudiziari della vicenda.
Fra i primi, Il Giorno, in data 19 marzo, pubblica interviste di cui è interessante riportare qualche passo
più significativo.
II Prof. Pietro Nuvolone, per esempio, ordinario di diritto penale all’Università di Pavia, dopo avere acutamente analizzato se esista o meno il contrasto, dato per
certo da tutti i difensori, fra l’articolo 13 della Costituzione e l’articolo 11 della legge minorile del 1934 invocato dalla Procura (“io sarei molto cauto nell’affermare
che la norma costituzionale escluda la legittimità
dell’altra dal momento che, per esempio, l’articolo 13
della Costituzione non esclude altre leggi in materia di
prevenzione sociale...”) conclude affermando che si
tratta di vedere se la legge sui minorenni possa essere
considerata applicabile ai particolari reati addebitati ai
tre ragazzi del “Parini.” Che è, in fondo, proprio il dubbio che assilla l’uomo della strada.
“Per quanto la legge minorile - prosegue Nuvolone non distingua quando si debba procedere a ispezione
medica, mi sento senz’altro di affermare che il legislatore non ha voluto generalizzare bensì limitare
l’applicazione nei casi con spiccata tendenza a delinquere, nelle ipotesi, cioè, di delitti classici, naturali e
non di reati d’opinione come quello di cui si discute che
è tipico reato di stampa... La legge d’altro canto parla di
esami di carattere medico e non d’ispezioni corporali. Al
massimo, dunque, i tre giovani imputati avrebbero potuto essere sottoposti a esami psicologici.”
La psicanalisi dà la carica polemica e, per qualcuno,
provocatoria nella risposta del professor Franco Fornari.
“Mi sono posto il problema di cosa voglia dire tutto ciò.
Presso i popoli primitivi vengono praticati riti
d’iniziazione che sono dei veri e propri maltrattamenti
contro gli adolescenti... Mi sono domandato se per caso,
in questa reazione così clamorosa di fronte al fatto che
alcuni adolescenti abbiano osato, così pubblicamente,
ma con tanta pulizia morale e schiettezza, affrontare
problemi di carattere sessuale, vi siano radici di questo
tipo come reazione, sia pure inconscia, intimidatoria a
una volontà di umiliare dei giovani che si affacciano alla
vita. Anche nella visita medica ordinata dal magistrato,
ci doveva essere un certo riserbo. Invece pare di esser
rimasti fermi al Lombroso, alla scuola naturalista.
Quando la coscienza umana ha la sensazione di un
abuso, è lecito pensare che, in chi lo pratica, esistono
allo stato inconscio elementi di colpa che egli proietta
nel presunto reo come per punire se stesso. Conseguenza di inibizioni, di pressioni autoritarie, magari
paterne, che ne compressero le manifestazioni sessuali.
“Ora, se i popoli primitivi adottano i riti cui prima ho
accennato per soffocare la sessualità infantile, per sciogliere i legami dell’adolescente con la madre, il moralismo non ha altro scopo che intimidire nell’adolescente
un’attività essenziale alla sua esistenza. Tende cioè a
intralciare la sua ricerca di un oggetto sessuale adulto,
premessa, del resto, per la formazione di un suo nucleo
familiare. Di qui il disagio della nostra cultura,
l’imbarazzo ad affrontare certi problemi, la mancanza di
istituzioni sociali che definiscano in modo sereno il pro-
blema. L’adolescente, così, da una parte riceve tutta
una serie di sollecitazioni da una civiltà di consumi che
fa leva sugli stimoli sessuali, dall’altra è costretto a subire ogni sorta di frustrazioni. La preoccupazione della
nostra società, perciò, dovrebbe consistere in una effettiva educazione sessuale dei giovani.”
Assai esplicito contro l”‘etica bugiarda” il prof. Riccardo Bauer, presidente della Società Umanitaria. “Non
riesco a comprendere perché dei giovani dabbene debbano essere minacciati di gravi sanzioni solo perché
hanno mostrato di volere, alla luce del sole, discutere
problemi che li toccano in profondo e che in passato,
nell’atmosfera di ipocrisia e di stupido conformismo,
erano lasciati agli equivoci ‘chuchotements’ dei peggiori
compagni o alle più torbide esperienze... Quanti credono di imporre ai giovani una sana disciplina mentale
e morale, minacciandoli di sanzioni quando cerchino di
evadere liberamente e sinceramente dalle soffocanti
muraglie di un’etica bugiarda, sono dei diseducatori, e il
fatto che contro gli allievi del `Parini si sia scatenata la
pruderie di cosiffatti tutori è triste indice dello stagnare
nella vita italiana di tendenze che nemmeno dirò di
cieco conservatorismo ma semplicemente ottuse, e della
assenza di un profondo senso della libertà proprio nelle
generazioni che ai giovani dovrebbero essere di esempio
e di guida...”
Conciso ma tutt’altro che laconico nell’esprimere il
suo giudizio sull”‘ispezione corporale,” il prof. Caio Mario Cattabeni, rettore dell’Università di Milano: “La circostanza che rende più perplessi non è tanto il fatto in
sé che un minorenne di età compresa tra i 14 e i 18
anni venga interrogato ed esaminato da un medico per
la compilazione della cosiddetta ‘scheda minorile in
caso di procedimento penale, quanto le modalità con le
quali si sarebbe adempiuto a tale incombenza.”
Padre Mario Merlin, rettore dell’Istituto Leone XIII, distingue in due categorie i difensori della libertà che
hanno fatto sentire così plebiscitariamente in questi
giorni le loro voci. Rivolgendosi ai difensori buoni, “sinceri,” dice: “Andiamo piano con un’esaltazione a oltranza di questo sommo valore umano. I giornali studenteschi sono espressione di giovani ancora in formazione. La scuola vuol formare e non solo istruire, e ha
quindi il dovere di controllare e intervenire quando
l’esuberanza giovanile porta ad affermazioni in se stesse
riprovevoli e certamente dannose per gli altri sprovveduti che leggono il giornale con semplicità. Resta sempre vero che non tutto il male vien per nuocere, e questa zanzara fuori stagione ci ha ricordato l’importanza
di una educazione sessuale positiva, non fatta di proibizioni soltanto, ma di una visione serena dei piani di Dio
sul destino umano. Ricordo a questo proposito una pastorale dell’episcopato tedesco, uscita da pochi mesi, in
cui si affermano con coraggio criteri di educazione positiva alla castità.”
Anche il Corriere d’Informazione pubblica numerose
interessanti interviste con docenti, uomini di cultura,
giornalisti, poeti, scrittori.
Intanto, la sera del 18 marzo, l’Ordine degli avvocati e
dei procuratori di Milano, il Sindacato avvocati e procuratori, il Comitato dei procuratori legali inviano alla
stampa un vibrante ordine del giorno di protesta in cui
“facendosi interpreti del grave allarme suscitato fra i
cittadini da recenti iniziative prese dalla locale Procura
della Repubblica con particolare riferimento agli arresti
di studenti e tipografi per reati che non comportano obbligatoriamente la detenzione... esprimono la loro ferma
protesta per l’insistenza del nominato Ufficio nel perseguire, con tanto accanimento e rigore, attività che possono rientrare nella libera manifestazione del pensiero.”
Non solo, ma conoscendo evidentemente la maretta che
da tempo preannuncia tempesta in campo “avverso,”
confidano “che le associazioni dei magistrati che si sono
dimostrati sempre sensibili alla rigorosa interpretazione
della Costituzione” vorranno aderirvi; decidendo quindi
di inviare tale o.d.g. al Consiglio Superiore della Magistratura, al Ministero della Giustizia e al Procuratore
Generale presso la Corte d’Appello di Milano.
A proposito del Consiglio Superiore della Magistratura, va ricordata una dichiarazione piuttosto polemica,
nella sua forma ossequiosa, del prof. Carlo Smuraglia,
difensore del De Poli, il giorno prima, il quale, lodando
apertamente la tempestività dell”‘invocato” intervento,
lamentava tuttavia il modo con cui tale inchiesta sarebbe stata condotta, data la delicatezza del caso: rivolgendosi cioè per informazioni al Procuratore Generale
dott. Piero Trombi. “Dati i rapporti gerarchici esistenti
nell’ufficio del PM e dato il tenore della conferenza
stampa tenuta giovedì 17 dai dott. Oscar Lanzi, è fatalmente prevedibile quali saranno le informazioni che
giungeranno al Consiglio Superiore della Magistratura.”
Il quale, sempre secondo il prof. Smuraglia, avrebbe dovuto mandare a Milano un inviato per espletare
un’indagine prudente e accurata, ascoltando la voce di
tutte le parti interessate.
Il week-end di S. Giuseppe ha fatto segnare una
pausa nella vicenda processuale dell’”affare Parini.” Il
Palazzo di Giustizia è deserto, chiuso l’ufficio del sostituto Procuratore Carcasio, assenti Oscar Lanzi, promotore dell’inchiesta giudiziaria, e il Procuratore generale Trombi. Per lunedì 21, è atteso l’arrivo a Milano del
nuovo Procuratore Capo Enrico De Peppo, in sostituzione di Carmelo Spagnuolo, il cui posto è vacante da
tempo. Si smentisce che l’arrivo, deciso tuttavia così
“tempestivamente,” sia da mettere in relazione al “caso
Zanzara.”
Tacciono i magistrati in vacanza, si muovono invece
gli uomini di cultura, i professionisti, gli artisti, con ordini del giorno, incontri, dibattiti.
Una lettera di protesta al Presidente Saragat, ai presidenti delle Camere, al presidente del Consiglio, ai ministri, ai magistrati, è stata presentata e fatta sottoscrivere da numerosi intellettuali, dall’architetto Cesare
Mercandino. In essa, denunciando l’accaduto, si ravvisa
“nella eccezionale evidente sproporzione tra i reati contestati, i fatti di cui si discute e la procedura sin qui seguita, un attacco contro la libertà di associazione e di
stampa dei giovani studenti della scuola di Stato.” E si
protesta “per il grave attentato alla libertà e alla democrazia che ha trovato nell’intolleranza di pochi genitori
la sua origine e in leggi dimenticate e superate un iniquo sostegno.” Seguono un centinaio di firme, da Mario
Bonfantini a Gianandrea Gavazzeni, da Achille Cutrera
a Guido Piovene, da Mario Soldati a Camilla Cederna,
da Enrico Emanuelli a Filippo Sacchi, da Giorgio Bocca
a Raffaele De Grada, Carlo Cavallotti, Giuseppe Aimone.
Paolo Grassi, Franco Fortini, Giò Ponti, Umberto Segre,
Aldo Aniasi, Orazio Mottola, Leonardo Borgese, Giansiro
Ferrata, Dino Origlia, Maurizio Chierici, Sergio Turone,
Claudio Rise, Franco Momigliano, Ernesto Treccani, Cesare Musatti, Rodolfo Margaria, Guido Aristarco eccetera.
Un altro autorevole appello al Governo e alle Autorità
italiane è presentato da Giangiacomo Feltrinelli e sottoscritto, oltre che dai nomi pi ù importanti di tutta la
cultura italiana, da migliaia e migliaia di cittadini, giovani, studenti, operai, impiegati, professionisti, presso
le Librerie Feltrinelli di Milano e di Roma, ogni giorno
dalle 9 alle 20 per tutti i mesi di marzo e aprile.
L’adesione all’appello di Feltrinelli (App. 6) in cui si manifesta “preoccupazione e allarme per il susseguirsi dei
gravi fatti e delle gravi misure prese dagli organi ufficiali
di polizia e della Procura della Repubblica in merito ai
ben noti avvenimenti che hanno coinvolto i giovani redattori de La Zanzara del liceo “Parini” nonché i giovani
recentemente arrestati per la distribuzione di manifestini in difesa della pace” è addirittura plebiscitaria. Si
riempiono rapidamente di firme grossi volumi e in certe
ore la folla fa la coda, davanti alla libreria, come per
compiere un dovere civile.
Sempre durante il week-end di S. Giuseppe, si svolge
un
pubblico
dibattito
serale
nell’Aula
Magna
dell’Università sul tema “Codici penali e libertà civili”
organizzato dal Comitato per le libertà civili con la partecipazione dei professori Origlia e Smuraglia, degli avvocati Spazzali e dell’on. Arialdo Banfi: vi si parla de La
Zanzara, ma vi si parla anche dell’arresto notturno dei
giovani accusati della diffusione di manifestini antimilitaristi, quasi dimenticati nel clamore suscitato dalla
vicenda del Liceo “Parini.” L’intervento del prof. Bressan, rappresentante di uno dei gruppi politici “cinesi,”
dopo i calorosi consensi iniziali, provoca una specie di
sollevazione di una parte non trascurabile dei convenuti. Si capisce chiaramente che molti propensi a sostenere fino in fondo la causa dei “pariniani” non sono
disposti a legare la loro solidarietà alla causa dei giovani incarcerati per la diffusione dei volantini pacifisti (i
radicali) e “antimperialisti.”
Lunedì 21 marzo accade il fatto più clamoroso, dopo
la famosa “visita,” in tutta questa vicenda de La Zanzara: scoppia il conflitto, da tempo latente in seno
all’Associazione Nazionale Magistrati (che dovrebbe
contrapporsi all’UMI, l’Unione Magistrati Italiani, teoricamente più “conservatrice,” alla quale aderiscono i
magistrati di grado superiore) e la corrente più agguerrita, pugnace e numerosa, quella di “Magistratura democratica,” appoggiata in gran parte dalle forze di
“Terzo potere,” dà battaglia in campo aperto alla corrente minoritaria, ma anch’essa assai agguerrita, di
“Magistratura indipendente,” rappresentante, se una
così approssimativa esemplificazione è possibile, della
destra dell’Associazione.
La sezione di Milano dell’ANMI, dunque, si riunisce in
assemblea nell’Aula Magna. del Palazzo di Giustizia:
un’assemblea formalmente ordinaria, convocata già da
alcuni giorni, in realtà riunitasi per rispondere all’invito
(di aderire alla loro protesta) rivolto genericamente alla
Magistratura nell’ordine del giorno formulato il 18
marzo dagli ordini forensi.
Un’assemblea tumultuosa, carica di elettricità,
tutt’altro che in stile con la severa liturgia dei dibattimenti processuali di cui i magistrati sono così gelosi e
rigorosi sacerdoti. Un fatto nuovo, vorremmo dire, nella
storia del nostro Paese, un fatto positivo, confortante,
che dimostra come certi problemi essenziali di civiltà, di
costume democratico, di nuovi orizzonti del diritto siano
profondamente e quasi angosciosamente sentiti da una
categoria circondata finora di astratto rispetto, considerata composta di intoccabili divinità.
“Sentiamo una marea di sfiducia salire dal Paese
verso di noi!”, “Non siamo dei tabù!”, “Non ricerchiamo
la protezione dal vilipendio!” Mai prima d’ora s’erano
sentite simili dichiarazioni uscire dalla bocca di un magistrato.
Discussa
a
lungo
la
legittimità
o
meno
dell’inserimento, da parte della Giunta, del “caso Zanzara” nell’ordine del giorno già da tempo inviato agli associati, accettato infine con 68 voti favorevoli e 13 contrari il punto di vista della Giunta (senza entrare nel
merito del caso giudiziario specifico, si è voluto precisare ufficialmente), l’assemblea inizia i suoi lavori presieduta dal dottor Eugenio Zumin, presidente del Tribunale di Varese. E la posizione apertamente polemica
di gran parte dei magistrati nei confronti dei noti provvedimenti della Procura si capta subito nell’aria quando
il dottor Zumin porge il suo cordiale benvenuto alla
prima donna magistrato presente in assemblea. “Benvenuta, ma senza spogliarello” si grida con ironia allusiva da quattro o cinque parti nella sala affollata.
Subito dopo, ancora in senso chiaramente polemico,
scoppia una fragorosa ovazione quando il presidente,
leggendo la risposta del nuovo Procuratore capo della
Repubblica, dottor De Peppo, al saluto inviatogli dalla
Giunta dell’Associazione, parla di “osservanza della
legge nello spirito della Costituzione.”
“La Costituzione soltanto deve essere la nostra bandiera” fa eco alla risposta di De Peppo (molto “ufficiale,”
del resto) il presidente, e gli applausi si rinnovano,
prolungati e calorosissimi.
Qualcuno, intanto, nota in aula alcuni volti sconosciuti, non di magistrati, presumibilmente di giornalisti,
entrati non certamente di nascosto ma alla spicciolata,
insieme agli altri, tuttavia non ufficialmente invitati.
Sono soltanto tre, del Giorno, della Gazzetta del Popolo e
dell’Avanti!. Un’altra occasione di polemica, un ottimo
test per osservare lo schieramento dei vari settori
dell’assemblea. Si devono ammettere (o meglio, lasciare)
in aula i rappresentanti della stampa?
“Non abbiamo niente da nascondere!” si grida. “Certo
che devono restare.” “Guardate, colleghi, che è una riunione privata, guardate che non è ammissibile che certe
prese di posizione vadano poi in pasto al pubblico!” “No,
collega, quello che non è ammissibile è che nella civilissima Milano si cerchi di allontanare i rappresentanti
della pubblica opinione, soprattutto in una situazione
come l’attuale in cui proprio la pubblica opinione ha turbamenti e inquietudini piuttosto giustificati nei riguardi
della magistratura.” Sembrano periodi lunghi, da “intervento,” invece si afferrano in una mareggiata di voci contrastanti. “Figurarsi” si alzano insieme due giovani magistrati in prima fila “i giornalisti sono stati ammessi perfino al Concilio, dovremmo allontanarli noi, gli intoccabili, i privilegiati!”
Mentre le due “fazioni” si scambiano risentite le opposte opinioni, i tre giornalisti, in piedi di fianco al presidente cordiale e paterno sembrano imputati in attesa di
giudizio. Alla fine, dopo molto clamore (e mai s’erano visti
magistrati così decisi e appassionati nel difendere pubblicamente le funzioni della stampa) la proposta se ammettere i giornalisti alla discussione viene posta ai voti e
approvata a maggioranza.
Si entra, quindi, nel vivo della questione. Se nella maggior parte degli intervenuti c’è l’ansia, vivissima, di prendere una posizione decisa nelle questioni scottanti di
questi giorni (escludendo sempre, ufficialmente, di voler
entrare nel merito della vicenda particolare del “Parini” in
fase istruttoria) si nota tuttavia un certo risentimento per
l’invito alla magistratura di aderire alla protesta fatta nel
loro ordine del giorno dalle associazioni forensi.
“L’invito però è stato fatto,” dice il presidente “e se non
rispondessimo bianco o nero verremmo meno alla nostra
dignità.”
Contro gli ordini forensi si esprime vivacemente, soprattutto, il pretore dottor Genesio (che presenta anche
un suo o.d.g.), chiedendosi in che misura fosse legittimo
il loro intervento, sul fatto specifico del “Parini,” con dichiarazioni e informazioni tendenziose alla stampa nei
giorni precedenti. Un altro magistrato, il dottor Raimondo
Attardo, si presenta al banco della presidenza agitando
una copia dell’Avanti! che riporta nel titolo, a grandi caratteri rossi, il giudizio “Ipocriti, parrucconi, conformisti”
e grida tremendo d’ira che denuncerà il giornale per vilipendio alla magistratura. Un coro di proteste lo zittisce. I
magistrati che si ribellano, per la prima volta pubblicamente, al privilegio dell’intoccabilità, che rifiutano la nozione di “vilipendio” così cara al codice italiano.
“E allora vi dico che do le dimissioni,” replica il dottor
Attardo, agitando nuovamente il giornale. Dalla parte avversa si applaude con intenzione ironica.
Assai sereno, poco dopo, l’intervento del giudice Greco.
“Non siamo qui - dice - per rispondere al manifesto
dell’Ordine degli avvocati, ma perché abbiamo la sensibilità di capire che un diffuso stato d’animo dell’opinione
pubblica richiede una nostra presa di posizione. Siamo
qui non per La Zanzara, ma per un fatto molto più semplice e importante: non si tratta di un solo giornale che
velatamente ci accusa - alza la voce - ma di tutta la
stampa, di tutto il mondo politico, di tutti gli uomini di
cultura! La magistratura è investita da un’ondata di sfiducia sulle sue capacità di adeguarsi ai tempi. Ecco cosa
succede, questo sì che è grave, c’è ben altro che cercare il
vilipendio!”
Dopo aver espresso la sua opinione sfavorevole alle
conferenze stampa tenute dai rappresentanti della Procura della Repubblica e aver ribadito che si tratta ora di
conquistare il prestigio reale nel Paese e non solo
l’ossequio formale, il giudice Greco conclude con solennità: “Dobbiamo essere magistrati sensibili, misurati, attenti alla Costituzione e allo spirito della nostra società.”
Applausi fragorosi e prolungati.
Più cauto l’intervento del sostituto Procuratore dottor
Vaccari, che esprime i suoi dubbi sull’opportunità di giudicare fatti “che non conosciamo né noi né la stampa né
gli avvocati” e che si sono verificati nel chiuso di un ufficio.
“Cosa volete che diciamo - chiede - che c’è stato un attentato alla Costituzione?”
“Sì, sì” si risponde gridando da molte parti.
Il giudice Mascione, che pure presenta un suo o.d.g.,
dice che si dovrebbe assumere una posizione di imparzialità, sia nei confronti della Procura (parte dei magistrati la considerano dunque inconsciamente imputata?)
sia nei confronti dei cittadini giudicati. Un eventuale pronunciamento della sezione milanese dell’ANM sarebbe
un atto di ingiustizia verso gli uni e gli altri.
Molto esplicito e battagliero contro i “privilegi” e
l’intoccabilità” è il giudice Beria d’Argentine, un giovane
magistrato piemontese di formazione liberal-cattolica,
attualmente segretario dell’Associazione. “La stampa dice - ha tutto il diritto, per sua stessa funzione, di
controllare che non esista abuso nell’esercizio di indipendenza del magistrato. Credete proprio che il Consiglio Superiore della Magistratura sia in grado di intervenire negli eventuali abusi? E chi dovrà intervenire,
allora? La nostra deve essere una casa di vetro. Se sbaglia il magistrato dovrà rispondere il magistrato, se sbaglia la stampa dovrà essere la stampa a rispondere dei
suoi errori. Ma dobbiamo decisamente rifiutare le posizioni di privilegio. Ricordiamo che proprio perché siamo
indipendenti, proprio perché oggi non dobbiamo rendere
conto a nessuno del nostro operato, neppure al ministro, dobbiamo rendere conto per primi a noi stessi e rivendicare solennemente il principio costituzionale, che
non concepisce soltanto l’indipendenza della magistratura ma garantisce tutte quante le libertà democratiche.”
Il dottor Lombardo, sostituto Procuratore Generale,
dopo aver riconosciuto la funzione insostituibile della
stampa anche qualora incorra in errori e interpretazioni
giuridiche non ortodosse, comincia a parlare della
scheda minorile istituita dal fascismo quando nacque la
sezione del tribunale che doveva occuparsi solo dei minorenni. La scheda esiste, ha un valore puramente statistico, ne ha compilate anche lui a centinaia e “non voglio dire di aver fatto le cose con più delicatezza.” Se c’è
stato qualcosa per cui qualcosa si debba dire contro la
magistratura la dirà il Consiglio Superiore. Invochiamo
piuttosto il potere legislativo perché il processo a tre
minorenni non sia fatto insieme a dei maggiorenni, viviamo il dramma di quelle tre famiglie e chiediamo, se si
vuole, di modificare quelle norme che il magistrato ha il
dovere di applicare. Dopo un po’ di vociferazione, lo si
invita a non proseguire perché la sua circostanziata relazione entra proprio nel merito di quella vicenda che
doveva, invece, restar fuori dell’aula (anche se tutto il
dibattito, in sostanza, è stato animato da inconfondibili
prese di posizione sui fatti del liceo “Parini”).
Al termine della lunga e appassionata discussione, la
seduta è sospesa per qualche tempo e si decide di concordare un testo di compromesso che tenga conto dei diversi o.d.g. presentati nel corso dell’assemblea e in cui, in
sostanza, si stabilisce e si ribadisce il principio che tutti i
provvedimenti riguardanti i diritti di libertà dei cittadini
sono riservati al magistrato giudicante e non all’istituto
del Pubblico Ministero; proprio quell’istituto che, nel caso
de La Zanzara e degli studenti arrestati per diffusione di
manifestini antimilitaristi ha provocato tanta inquietudine nell’opinione pubblica. Una inquietudine verso la
quale l’o.d.g. dell’Assemblea dei magistrati esprime tutta
la propria “comprensione” (App. 7).
Finito il “ponte” di S. Giuseppe, sempre lunedì 21
marzo il Procuratore aggiunto Oscar Lanzi convoca una
nuova conferenza stampa per annunciare il rinvio a
giudizio, per direttissima, del preside del Parini, Daniele
Mattalia, e degli studenti De Poli, Sassano e Beltramo
Ceppi. La data del processo è fissata per il 30 marzo.
Assieme a loro comparirà, coimputata, nell’aula della I°
sezione penale, la responsabile della tipografia dove si
stampava il giornaletto, la signora Aurelia Terzaghi.
Presiederà il dibattito lo stesso presidente del tribunale
di Milano, dottor Luigi Bianchi d’Espinosa. Di lui
L’Espresso scriverà: “Per i magistrati più retrivi, Bianchi
era un personaggio estremamente imbarazzante: viene
da una famiglia di vecchia aristocrazia napoletana, e
non possono quindi accusarlo di comunismo, non si
può accusare neppure di partigianeria perché non è
“schierato” con nessuna delle correnti dei magistrati
(anche se collabora col comitato scientifico di “Magistratura democratica” nell’Associazione Nazionale Magistrati) e soprattutto è uno dei maggiori giuristi, primo a
tutti i concorsi (insieme con Giannattasio e Novelli è
l’enfant prodige della magistratura italiana, arrivando
ancora giovane in Cassazione).”
È anche il primo giorno di lavoro, nel suo nuovo ufficio a Milano, del Procuratore Capo Enrico De Peppo.
Una pura coincidenza, però, si afferma al Palazzo di
Giustizia. I tre ragazzi, il preside e la Terzaghi sono rinviati a giudizio ai sensi dell’art. 14 della legge sulla
stampa, in relazione all’art. 528 del Codice Penale.
Quest’ultimo stabilisce che “chiunque, allo scopo di
farne commercio o distribuzione, ovvero di esporli pubblicamente, fabbrica, introduce nel territorio dello
Stato, acquista, detiene, esporta ovvero mette in circolazione scritti, disegni, immagini o altri oggetti osceni,
di qualsiasi specie, è punito con la reclusione da 3 mesi
a 3 anni e multa di L. 40 mila. L’articolo 14 della legge
sulla stampa estende tali disposizioni alle pubblicazioni
destinate all’infanzia e all’adolescenza e precisa, anzi,
che le pene previste dall’articolo citato sono aumentate.
Gli altri articoli della legge sulla stampa (5 e 16) riguardano la mancata registrazione e il mancato deposito di copie del giornale d’istituto, che dovrebbe essere
considerato, quindi, come stampa “clandestina.”
La convocazione dei giornalisti è avvenuta a mezzogiorno. A fianco del dottor Lanzi c’è il sostituto Procuratore Carcasio, con aria abbastanza serena. Prima
Lanzi
legge
una
breve
comunicazione
scritta
sull’insediamento del Procuratore Capo De Peppo “in
seguito a provvedimento ministeriale che anticipa la
presa di possesso della carica prima della prescritta registrazione del decreto di nomina, in seguito alla disposizione del Procuratore Generale Trombi, il quale si è
avvalso
della
facoltà
prevista
dalle
norme
sull’ordinamento giudiziario.” Quindi polemizza, più o
meno amabilmente, coi giornalisti i cui articoli, in questi giorni, avevano tutti, o quasi tutti, un’intonazione
ostile nei riguardi dei provvedimenti adottati per i tre
ragazzi dalla Procura. “Sfido chiunque - dice a un certo
punto - a fare accertamenti in tutti gli uffici giudiziari
italiani, dalle Alpi alla Trinacria, per vedere se esiste
una sola pratica a carico di un minorenne che non sia
corredata dalla scheda in discussione.”
“Allora è tutto come prima,” dice un giornalista. Lanzi
risponde che la scheda è disposta per legge e quando
non la si compila succede che il giudice protesta e la richiede. Poi qualcuno afferma che la Cassazione ha
sentenziato più volte il contrario e la discussione, per
qualche tempo, diventa un rapido intrecciarsi di disqui-
sizioni giuridiche. “Mi avete dato del fascista - dice a un
certo momento Lanzi - ma non sapete che ho una medaglia al valore conquistata durante la lotta di liberazione.” Quindi, indicando Carcasio che gli è al fianco,
afferma: “Certo, è un tipo deciso, ma fa bene ad esserlo.
Io non so di preciso cosa sia avvenuto nel suo studio...”
“Come non lo sa! - replica Carcasio - ho fatto auscultare i ragazzi con lo stetoscopio.” Lampeggiano alcuni
flash, Carcasio ha un gesto di stizza ma Lanzi lo redarguisce paternamente. “Lasci stare - dice - purtroppo bisogna essere gentili con tutti.” Già, purtroppo.
Poi annuncia che Bianchi d’Espinosa presiederà il
Tribunale e, congedando con un sorriso eloquente i
giornalisti, conclude: “E non vi dirò chi sarà il PM in
questo processo.” Troppo facile da capirlo. Nel pomeriggio, al piano di sotto, la tumultuosa assemblea dei magistrati, di cui s’è detto.
Pressoché concordi le reazioni dei tre giovani imputati. Marco De Poli, che ha appreso la notizia al ritorno
da Bonassola, dice: “Sono lieto di poter chiarire in un
dibattito aperto davanti al giudice le intenzioni
dell’articolo e, più in generale, le funzioni della stampa
studentesca. Questi problemi sarebbero rimasti in ombra nel caso di una archiviazione.” Fidia Sassano, padre
di Marco, dice: “Ritengo che il processo servirà a chiarire l’infondatezza dell’accusa.” Reazione molto simile
quella di Claudia Beltramo Ceppi.
Sempre sul “caso Zanzara” viene presentata
un’interrogazione al Ministro di Grazia e Giustizia
dall’on. Antonio Montanti, del PRI.
In serata, la polemica s’accende in Consiglio Comunale. I primi a dare battaglia sono i consiglieri comunisti con un lungo intervento di Elio Quercioli che, rifacendo la conosciutissima storia del “caso” conclude:
“Tutta questa mobilitazione non si spiega se non come
attacco alla libertà e all’autonomia della scuola pubblica, come intimidazione verso i giovani che cercano di
capire il mondo nel quale vivono respingendo o demistificando le posizioni prefabbricate non solo in politica
ma anche nel campo delle idee e della morale.” Parla
quindi l’architetto Achilli, socialista, che già fu direttore
de La Zanzara dal 1948 al 1950. “È sufficiente guardarsi intorno - dice - nel campo del cinema, dello spettacolo, della pubblicità per rendersi conto come il problema sessuale sia trattato in modo certo più volgare e
grossolano di quanto non abbiano fatto gli studenti de
La Zanzara.” Anche il socialdemocratico Accetti esprime
in parte le opinioni di Achilli sugli argomenti trattati
volgarmente nel mondo dello spettacolo; aggiunge il dilagare di inchieste promosse sui giornali e perfino in
televisione, auspicando che il Consiglio esprima la propria solidarietà al Preside e agli studenti del “Parini.”
Solidarietà cui si associa perfino l’indipendente Magliocco.
Il liberale Fadini, ovviamente, invoca l’astensione da
ogni intervento mentre l’istruttoria è in corso, perché in
questo campo è estremamente difficile, dice lui, tracciare una linea netta di confine tra il lecito e l’illecito;
quindi si duole che intorno alla vicenda de La Zanzara
si sia sviluppata una grave speculazione politica. Quale,
non si sa, ma figurarsi se l’accusa di speculazione politica, antidoto per le destre contro ogni sdegno autentico
nel Paese, poteva mancare.
Diviso il campo cattolico. Il consigliere Bossi è scandalizzato della “asocialità di alcune risposte contenute
nell’inchiesta del giornaletto,” accusando di colpevole
disinteresse gli educatori; il consigliere Poretti, aclista,
invece, definisce “vessatoria” la procedura adottata nei
riguardi degli studenti pariniani; il consigliere Clerici
afferma la solita incompetenza dell’assise comunale a
intervenire in questioni squisitamente giudiziarie.
II socialista Antonio Greppi deplora l’operato della
magistratura e auspica le attese modifiche al codice penale e alle leggi di PS mentre il liberale Cesura afferma:
“Mi pare che il comportamento degli adulti sia stato più
scandaloso di quello dei giovani.”
II sindaco Bucalossi, infine, conclude l’animata discussione associandosi a quanti hanno rivendicato
l’indipendenza della magistratura e a quanti hanno
chiesto la riforma dei codici e il pieno rispetto della Costituzione, specie quando sono in gioco le libertà personali del cittadino.
Ma la giornata del 21 ha ancora in serbo molte sorprese.
L’avvocato
Mario
Berutti,
presidente
dell’Associazione Nazionale Magistrati, invia il seguente
telegramma al Ministro della Giustizia, Oronzo Reale:
“Pregola disporre immediata inchiesta ministeriale su
operato PM per accertare se veramente sussistano gravi
soprusi denunciati da giornali quotidiani et promuovere
eventuale azione disciplinare prevista da articolo 107
Costituzione repubblicana. Ossequi.”
Commenta l’iniziativa Galante Garrone su La Stampa:
“Non tutti sanno, o sembrano ricordare, che per
l’articolo 107 della Costituzione, il Ministro della Giustizia ha facoltà di promuovere l’azione disciplinare nei
confronti di qualsiasi magistrato. In relazione a tale sua
facoltà, competono al Ministro poteri di sorveglianza
sulla Magistratura. Dispone infatti l’art. 56 del DP 16
settembre 1958 n. 916: ‘Per l’esercizio dell’azione disciplinare, per l’organizzazione dei servizi della giustizia,
nonché per l’esercizio di ogni altra attribuzione riservatagli dalla legge, il Ministro esercita la sorveglianza su
tratti gli uffici giudiziari e può chiedere ai Capi di Corte
informazioni sul conto di singoli magistrati.”‘
“A nessuno sfuggirà l’importanza della richiesta fatta
telegraficamente al ministro della Giustizia da un alto
magistrato,
che
non
soltanto
è
presidente
dell’Associazione Nazionale Magistrati, ma è a tutti noto
come geloso e strenuo difensore dell’indipendenza della
magistratura di fronte al potere esecutivo. È evidente
che, di fronte a fatti di risonanza nazionale, che turbano
l’opinione pubblica e involgono delicati problemi ‘lato
sensu’ politici, un Ministro della Giustizia non può, non
deve restare inerte, adducendo il principio, in sé sacrosanto, dell’indipendenza dell’ordine giudiziario e
l’insindacabilità dei suoi atti da parte dell’esecutivo.”
Alla solidarietà espressa agli studenti del “Parini” dai
movimenti giovanili degli altri partiti, esclusi ovviamente i neofascisti, si unisce - fatto piuttosto significativo se si pensa che tutto lo “scandalo” era stato montato dai manifestini di G.S. - quella del Comitato Nazionale del Movimento Giovanile della D.C., riunitosi a Pesaro. Dice il loro o.d.g. “Preso atto della vicenda giudiziaria scaturita dalla pubblicazione di una indagine
giornalistica del periodico degli studenti del Liceo “Parini,” il Comitato esprime vivo rammarico per le misure
gravemente lesive della dignità umana adottate a carico
di due giovani studenti. Il Comitato Nazionale, mentre
riconferma il valore formativo delle pubblicazioni studentesche, strumento di educazione delle nuove generazioni ad una maggiore consapevolezza critica e ad un
senso dei problemi dell’oggi direttamente legato alle
esperienze della vita giovanile, invita le autorità di governo a prendere immediate misure per garantire il li-
bero esplicarsi delle iniziative di stampa studentesca. II
Comitato nazionale, inoltre, ritiene indispensabile
l’immediata abrogazione di tutte quelle norme in sostanziale contrasto con i principi di dignità e di libertà
espressamente riconosciuti dalla Costituzione, così che
non abbiano a ripetersi situazioni che turbano la coscienza delle nuove generazioni e il costume democratico del Paese.”
Adesso i codini, i benpensanti, gli ipocriti e i falsi moralisti sono veramente soli nella loro disperata difesa dei
“sacri valori.”
Escono con vibranti assemblee i magistrati da una
antica tradizione di riserbo, si fanno prudenti, sempre
più prudenti i presidi. Storditi dal clamore che si è fatto
intorno alla vicenda del giornaletto fin troppo serio e per
niente goliardicamente pornografico del “Parini,” intimoriti dalle conseguenze che può affrontare il capoistituto,
ritenuto penalmente responsabile, se non esercita la
sua censura fino alla pedanteria più insopportabile.
Fino, cioè, ad escludere qualsiasi iniziativa di inchieste
“impegnate,” che non riguardino lo sport o la musica
leggera, a soffocare qualsiasi libera espressione del pensiero, quando i confini con il reato sono tanto incerti e
facili a valicare.
Gli studenti, così, sono in agitazione. Sanno cosa li
aspetta, in nome della “prudenza.” Al “Leonardo,” al
“Berchet,” al “Carducci,” i giornali della scuola sono
ampiamente censurati e si avverte già nell’aria il pericolo che possano essere vietati col ricatto del direttore
responsabile maggiorenne o del preside penalmente
perseguibile. Con tanti saluti, come succede sempre in
Italia, alle circolari di Martino e di Gui, ministri della
P.I., che raccomandano caldamente la diffusione e
l’impegno nei giornali d’istituto.
Al “Carducci,” per esempio, il preside era già timoroso
“in proprio” prima del caso Zanzara. Nel corso dell’anno
scolastico, precisa in un suo comunicato il collegio dei
probiviri dell’Associazione Studentesca Carducci, su
venti articoli presi in visione dalla presidenza, sedici
sono stati totalmente vietati e quattro sostanzialmente
modificati. Il collegio dei probiviri (Stefano Rolando,
Piero Melodia, Roberto Trovati) precisa inoltre che “tra i
sedici articoli censurati compaiono, per quanto riguarda
il numero in via di pubblicazione: una difesa degli
scrittori russi Daniel e Siniavski, una difesa dei principi
costitutivi dell’Associazione d’Istituto e dei giornali studenteschi contro gli attacchi provocatori mossi da alcuni settori della stampa nazionale, un’analisi del problema della fame in India, opinioni e pareri sulla nonviolenza e sulla obiezione di coscienza.” Il comunicato
conclude affermando che sostanzialmente è impedito il
libero dibattito e il libero confronto delle opinioni su
ogni problema di interesse fondamentale per la formazione morale e civile degli studenti.
Di cosa dovrebbero occuparsi, dunque, i giornali tanto
raccomandati dal ministero della Pubblica Istruzione?
Quali argomenti, secondo il preside del “Carducci,” non
sarebbero tabù? La vita di Dante, le amabili canzonature dei professori o i resoconti delle gare interne di atletica leggera?
Ma i presidi, anche loro, sono terrorizzati da quanto è
successo al professor Mattalia (e, per molti, quanto è
successo a Mattalia è solo un ottimo pretesto per soffocare i giornali d’Istituto che a loro non sono mai piaciuti).
Comunque, il 22 marzo, ventidue presidi di scuole
medie e licei milanesi si occupano dei giornali d’istituto
in una riunione straordinaria presso il Provveditorato
agli studi, presente il provveditore, professor Tornese.
“L’esito del dibattito - riferisce Il Giorno, in data 23
marzo – che è durato oltre tre ore, si può così riassumere: ‘nessun tabù e nessuna abdicazione.’ Cosa significa? Le pubblicazioni studentesche non saranno toccate. Dal canto loro i presidi espleteranno la sorveglianza su tutte le iniziative dei giovani con particolare
oculatezza. In pratica, si dice negli ambienti del Provveditorato agli studi di Milano, le autorità scolastiche fino a quando quelle centrali non dirameranno nuove
disposizioni - dovranno adeguarsi alla circolare ministeriale n. 13-1817 del 27 marzo 1954 ed alla circolare n.
1 emessa dal Provveditore di Milano nel gennaio del
1955. Qualcuno si è chiesto cosa bisognerebbe fare nel
caso in cui la ‘vigilanza’ del preside dovesse scontrarsi
con la ‘libertà di iniziativa’ dei giovani. In questo caso è stato risposto - la cosa migliore è di allargare il dialogo, facendo intervenire il consiglio di presidenza,
quello dei professori e quello di classe. In altre parole, si
intendono evitare sia i casi come quello de La Zanzara,
sia gli episodi del tipo Mr. Giosuè, il giornale degli studenti del ‘Carducci,’ sospeso dai redattori ‘per la pe-
sante censura del preside.’ Non è escluso che Mr. Giosuè abbia pagato lo scotto a causa di una situazione
piuttosto pesante per i giornali studenteschi milanesi
esplosa con il caso Zanzara. Non va comunque dimenticato che la stampa studentesca della nostra città è
stata sempre caratterizzata da una certa vivacità. Fu
proprio Il Giorno che in un servizio del 3 giugno 1965
portò alla ribalta il problema dei giornali degli studenti.
In quella occasione furono intervistati oltre venti redattori dei più importanti giornali scolastici: Il nuovo cinque e mezzo (“Istituto Cattaneo”), Mr. Giosuè (“Carducci”), La Zanzara (“Parini”), Petronius (“Vittorio Veneto”), Berchet 65 (“Berchet”), Il Leonardo (“Leonardo”),
Obiettivo (“Ettore Conti”). Dall’inchiesta emerse che
questi giovani ‘facevano squillare la tromba soltanto per
svegliare i loro compagni troppo pigri.”‘
Intanto si apprende che il preside dell’Istituto tecnico
“Marconi” di Bologna, professor Alaimo, ha censurato sul
giornale Lo Spillo il verso dantesco “libertà va cercando,
ch’è si cara..., una poesia di Prévert, un sonetto di Shakespeare, un articolo sull’educazione sessuale dei giovani, uno sulla guerra nel Vietnam. Uno studente ha
protestato - secondo un’interrogazione dell’on. Codignola
(PSI) al ministero della P.I. - contro questo intervento del
preside, richiamandosi al diritto concessogli dalla Costituzione. Ma il professor Alaimo avrebbe risposto testualmente: “La democrazia si ferma fuori da questo istituto:
qui comando io.” Sospendendo lo studente dalle lezioni.
Nella sua interrogazione l’on. Codignola ha chiesto al
ministro se “non creda necessario di prendere pubblicamente posizione in favore dei professori, dei presidi e
degli studenti che ritengono proprio dovere di cittadini
realizzare nella scuola una convivenza davvero democratica, di assumere iniziative tali da garantire una
volta per tutte la libertà di associazione e di stampa degli studenti nell’ambito della scuola... e di intervenire
energicamente in via amministrativa dovunque risulti
che la professione di educatore, particolarmente delicata quando si tratta di capi di istituto, venga distorta
al punto da diventare esempio di ineducazione, di intolleranza, di autoritarismo.”
A Torino il preside del liceo “Gioberti,” professor Eugenio Mulas, invita il comitato di redazione del giornaletto d’istituto a trovarsi un direttore responsabile e ad
attenersi alle norme previste dalla legge sulla stampa,
facendo in modo, oltre tutto, che la diffusione del giornale avvenga fuori dell’ambito dell’istituto ed escluda le
personali responsabilità del preside.
L’intimidazione ha raggiunto il suo scopo, episodi di
presidi preoccupati “autoritari” si registrano dovunque,
negli istituti di istruzione media italiani. Ma le associazioni giovanili sono vigilanti, ed attestazioni di solidarietà, come già nei giorni scorsi, continuano a pervenire
ai redattori de La Zanzara.
Ben 18 circoli di Milano e della Lombardia inviano
all’Associazione studenti del “Parini,” al preside, al
Provveditore agli studi la seguente lettera: “Di fronte
alla campagna di stampa nei confronti del giornale del
Liceo “Parini,” La Zanzara, e all’inammissibile intervento delle autorità di polizia, un gruppo di esponenti
di circoli di Milano e della Lombardia esprime la propria
piena solidarietà col fianco, aperto, democratico dibattito ideale tra gli studenti e sottolinea l’esigenza di una
riconferma del loro pieno diritto ad affrontare responsabilmente - così come ha fatto La Zanzara - tutti i
problemi che appassionano o preoccupano la coscienza
dei giovani.”
Firmano i circoli: Il Quartiere, Pensieri d’oggi, Gernimo, Cattaneo, Pintor, Marchesi, Battaglia, Ravizza di via Canonica,
Brecht, Pisacane, Ghiglione, Labriola di via della Leghe, Centro
Terzo Mondo, Grimau dì Brescia, Banfi di Brescia, Labriola di
Pavia, ARCI di Pavia, Comitato provinciale ARCI di Milano.
Il presidente del Circolo “Piero Gobetti” di Milano così
scrive: “Desidero esprimervi, a nome del circolo da me
presieduto, il nostro pieno appoggio in questo momento
particolarmente delicato. Quella libertà per cui lo stesso
Gobetti mori., quando non diventi licenza, che si esprime
attraverso la possibilità di affermare la propria opinione,
merita di essere difesa ad ogni costo, anche se a volte
può essere particolarmente difficile mantenere posizioni
che per l’incomprensione di molti si rivelano foriere di
difficoltà.”
Il Comitato per la creazione dell’Associazione studentesca del liceo scientifico “Einstein” di Milano, invia il
seguente messaggio: “Noi, studenti del liceo scientifico
statale ‘Einstein’ in attesa di costituire il nostro gruppo
studentesco, manifestiamo la nostra indignazione contro i tentativi di colpire le libertà democratiche di associazione e di stampa nell’interno delle scuole: esprimiamo la nostra piena solidarietà agli studenti del Liceo
“Parini” e in particolare al direttore del giornale La Zanzara e ai giovani e alle ragazze che hanno collaborato ai
suoi articoli e inchieste.”
Intanto, alla Camera, una nuova ondata di interrogazioni e di interventi. Gli onorevoli Gullo (PCI) e Paolicchi
(PSI) chiedono quali siano gli intendimenti del Governo
di fronte all’inquietudine dell’opinione pubblica nel Paese.
Gli onorevoli Maria Elettra Morini, Arnaud e Barbi,
tutti della DC, chiedono che venga modificata la norma
per cui è stabilito che debba essere compilata una
scheda individuale per i minori denunciati o giudicati
per un delitto. E la modifica deve essere effettuata nel
senso che se si vuole fare un “profilo psicofisico del minore” per conoscere meglio la sua personalità e consentire così una vera opera di rieducazione “si debbono
usare strumenti e metodi consigliati dalla scienza medica e dalla psicologia moderna.”
Ugualmente, secondo la proposta dell’on. Renato
Massari (PSDI), si dovrebbe sostituire la legge vigente
con una norma che consentirebbe al magistrato di indagare sui precedenti eccetera, escludendo tale diritto
nel caso in cui l’imputazione si riferisca a un reato
d’opinione.
Sempre il giorno 22 un volantino degli studenti viene
distribuito davanti alle scuole milanesi. “Basta! - c’è
scritto. - L’attacco contro le associazioni di istituto e i
giornali studenteschi è durato fin troppo: è il momento
di reagire.” E ancora: “Noi studenti di Milano, facendo
appello anche ai nostri professori, dobbiamo unire le
nostre forze e respingere l’attacco che certi ambienti
retrivi portano alla vita democratica della Scuola e alla
libertà d’espressione.” Quindi si invitano tutti gli studenti milanesi a un corteo di protesta fissato per
l’indomani, partendo dai bastioni di Porta Venezia. Il
manifesto è firmato da una ventina di circoli e associazioni studenteschi. (App. 8).
Si apprende che il fascicolo processuale è stato depositato in mattinata alla Cancelleria della I° sezione penale del Tribunale a disposizione dei difensori (App. 9).
Mercoledì 23 marzo più di duemila studenti si radunano a Porta Venezia per la loro “marcia della libertà.”
Libertà di dibattiti, di opinione, di discussione nelle
scuole, nelle associazioni, nei giornali di istituto. Una
dimostrazione confortante di maturità, di serietà, di ci-
viltà dei giovani d’oggi, nonostante tutte le nostalgie dei
benpensanti, se si ricorda, magari, che i cortei vociferanti dei loro padri bruciavano le effigie del Negus e
scandivano ben altri slogan - invocando il bisillabo di
una mascelluta divinità - che non “Libera Stampa.” Alle
15,30 sono già quasi tutti radunati sui bastioni a distribuire centinaia di cartelloni pennellati in rosso in
modo un po’ rudimentale o a vergarne altri col lampostile, gremiti di frasi di protesta, troppe parole, quasi
illeggibili a pochi metri di distanza. “Chi di penna ferisce, nudo finisce” dicono alcuni più sintetici, oppure
“L’educazione è libertà, altrimenti è allevamento di pecore.”
Non ci sono, intorno, divise di agenti o di carabinieri.
E del resto non ce n’è bisogno. Soltanto pochi vigili sorvegliano a distanza il corteo, aperto da un’auto della
polizia urbana, seguita da qualche “500” e da vecchie
spider piene zeppe di studenti, con altri manifesti stesi
sul cofano o sul portabagagli. In testa, su un fronte
d’una quindicina di persone, i professori solidarizzanti e
i dirigenti d’associazione d’istituto, poi, per oltre mezzo
chilometro, i ragazzi e le ragazze, insieme, di tutte le
scuole superiori cittadine.
Qualcuno in spalla al compagno per mostrare meglio i
cartelli, altri innalzandoli su bastoni e manici di ombrelli. “Finiremo tutti nudi o tutti muti?” sventolano alcune automobili che s’affrancano al corteo, “La Costituzione è per tutti, a maggior ragione per gli studenti,”
oppure “Libertà per gli arrestati,” riferimento ai ragazzi
dei manifestini antimilitaristi, ancora a San Vittore in
attesa del processo.
Scomparsi i berrettini da “Beatles” o da marittimi
norvegesi che popolano le strade nell’ora di uscita da
scuola. In prima fila uno studente, col megafono elettrico, diffonde a distanza “Solidarietà con il preside
professor Mattalia.”
A metà corso Venezia le auto e le moto pavesate di
striscioni e di cartelli si moltiplicano, balconi e finestre
affollatissimi, i commercianti e i commessi a gruppi
sulle porte dei negozi, la gente, quasi sempre irritata
dai cortei, ferma sorridente sui marciapiedi, il traffico
bloccato all’incrocio con la cerchia dei Navigli. Allora,
ogni tanto, un capogruppo spezza il corteo, corre avanti
e dà un po’ di respiro al traffico ingolfato che non alza
neanche tanto il solito concerto di claxon. La solidarietà
della cittadinanza è evidente, in mille episodi.
A piazza San Babila le vetrate dei palazzoni littori
sono gremite di impiegati. Poco oltre, all’inizio di corso
Europa, s’accende una piccola zuffa fra gli studenti e
un gruppo di missini in motocicletta, ma i provocatori
vengono subito allontanati da alcuni agenti in borghese
che seguono a distanza, lungo i marciapiedi.
Ammassatisi in via Festa del Perdono, fra i corridoi
lucidi di marmo, le scale aeree e le vetrate
dell’Università, i liceali si trovano un po’ spaesati. Poi
cominciano ad affluire alla piccola aula di riunione che
subito si riempie fino all’inverosimile. Allora, per concessione del Rettore, si spalancano le porte dell’aula
magna, tutta velluti, tendaggi e moquette grigio perla.
Seduti al tavolo della presidenza, il vicepresidente
dell’Interfacoltà, Antonio Mereu (che porge il benvenuto
e apre la seduta), la professoressa Adele Casanova
Sozzi, insegnante di lettere al “Vittorio Veneto,” Stefano
Rolando, secondo anno del Liceo “Carducci,” Andrea
Milani, sempre del “Carducci,” rappresentante del Comitato milanese interstudentesco, e il professor Aloisio
Rendi, incaricato di lettere tedesche all’Università.
Parla, per prima, la professoressa Sozzi. Affrontando
il problema della finalità della scuola, dice fra l’altro:
“C’è un punto su cui tutti in Italia siamo d’accordo: la
scuola deve informare; senza informazione, prima, non
si costruisce niente. Il dissenso comincia dopo: qualcuno pensa che questa ‘informazione,’ per una specie di
intervento taumaturgico costruisca la mente e la coscienza del giovane. Ma è da questo momento che comincia il suo giudizio, la sua formazione critica.” Per
formare la coscienza critica dei giovani, invece, nella
scuola non devono esistere tabù: l’unica vera immoralità è la leggerezza e la superficialità, l’inerzia dello spirito. Per questo la scuola cerca di essere lasciata tranquilla, libera da interferenze grossolane. Una scuola che
vogliamo problematica e mai dogmatica. È chiaro che se
i giovani devono mettere a confronto, nella complessità
dei problemi, le loro diverse opinioni, devono avere una
stampa d’istituto libera. “Che non succeda - conclude
in un uragano d’applausi - che per aver parlato con
onestà, come noi abbiamo sempre loro insegnato, corrano il rischio di finire in galera.”
Andrea Milani fa un panorama della situazione nelle
scuole milanesi dove, dopo il caso Zanzara, la vita democratica e d’associazione è messa in pericolo. In tutti
gli istituti, dice, i giornali studenteschi non potranno
uscire che dopo il processo. Censura pesante ovunque,
al “Carducci,” al “Leonardo” (su 12 articoli, 10 censurati nella prima versione dattiloscritta), al “Galvani,” al
Liceo “Einstein” dove il giornale, anzi, è stato proibito
del tutto. Non si può lasciare che la sopravvivenza dei
giornali d’istituto sia affidata all’arbitrio di un preside o
di un provveditore. Cosa ci resta, dunque? Stringerci
intorno alle associazioni studentesche e chiederne il riconoscimento giuridico.
Il prof. Aloisio Rendi dice che quest’attacco alla
stampa studentesca mira più lontano e porta alla sua
eliminazione attraverso il potere dei presidi e il timore
della magistratura. Se sarà necessario che esista un direttore responsabile, egli offre la sua firma e quella di
altri colleghi universitari.
Stefano Rolando, del “Carducci,” per normalizzare
una volta per tutte la situazione nelle associazioni
d’istituto, presenta addirittura un progetto di legge. Fra
gli articoli: l’associazione nasce su proposta di un
quarto della popolazione studentesca; essa svolge attività culturale e ricreativa e il programma deve essere
proposto a un’assemblea generale; l’associazione deve
avere il suo giornale; al finanziamento si provvede con il
contributo acquisti; trattandosi di un organo interno, il
giornale non deve essere sottoposto ad alcuna legge
sulla stampa.
Il prof. Raimondi, del liceo “Carducci,” tiene un discorso vivacemente polemico, interrotto alla fine da
qualche dissenso in “galleria” quando si colora di
un’intonazione politica che molti rifiutano in questa occasione. “La libertà è altrettanto sacrosanta che
l’indipendenza della Magistratura” dice in principio. “Il
bigottismo più il conservatorismo politico ci hanno dato
un’occasione magnifica anche se sofferta in questi
giorni a Milano.” Dopo aver offerto, come Aloisio Rendi,
la propria direzione responsabile ai giornali d’istituto,
affronta un argomento che ad alcuni sembra scottante,
e protestano, ma dalla maggioranza è accettato con applausi di solidarietà, anche se non condividono le opinioni politiche dell’insegnante. “Sono dieci giorni” grida
“che dei vostri compagni giacciono segregati in celle di
isolamento, due giovani radicali e sette della lega dei
giovani marxisti-leninisti. Arrestati all’alba come pericolosi gangster che minacciassero Milano. Non si può
tollerare che si perseguano penalmente delle opinioni
politiche liberamente espresse!”
Intervengono, quindi, Roberto Beinstein, del Circolo
studentesco “Berchet,” che parla con violenza imprevedibile nella sua giovane, esile figura, di “società ingiusta
e sporca, ipocrita e fascista” che vuole imporre alla gioventù studentesca il silenzio; Marco Martorelli,
dell’Associazione intercircoli di Torino, 5ª ginnasio del
“D’Azeglio,” che elenca casi analoghi verificatisi in Piemonte; Emanuele Criscione, dell’Organismo rappresentativo universitario. Dopo numerosissimi altri interventi, accolti tutti da applausi (e qualcuno, più qualificato politicamente, da contrasti e dissensi), Antonio
Mereu conclude proponendo che i giornali e le associazioni d’istituto abbiano d’ora in poi un legame più continuo, stretto e duraturo con le associazioni universitarie, perché nell’unione compatta delle forze giovanili si
trovi un valido baluardo contro l’ipocrisia e la reazione.
Nella stessa giornata, in risposta al corteo e
all’assemblea degli studenti, moltissime firme vengono
raccolte nei vari istituti dagli studenti cattolici di GS
per una mozione nella quale si dichiara che “i cosiddetti
giornali d’istituto godono nella nostra scuola una situazione di privilegio” e si protesta contro “il pressante
monopolio proprio delle associazioni uniche d’istituto.”
Gran folla, alla sera, per l’annunciato dibattito alla
Libreria Feltrinelli, gente arrampicata su per la scala a
chiocciola, schiacciata contro gli scaffali, una coda di
ritardatari in via Manzoni.
Parlano, prima, tutti i direttori de La Zanzara dal
1945 ad oggi, il fondatore Mario Scamoni, Valerio Riva,
Robertazzi, Mascherpa, Marchetti, Sisti, ciascuno raccontando brevemente le proprie esperienze nel giornale
del “Parini.” Un giornale, dice Valerio Riva, uscito ininterrottamente dal giugno del ‘45 (più libero di oggi), il
preside lo sapeva solo quando era stampato, lo pagavamo coi nostri soldi, non avevamo bisogno di autorizzazioni.
Il ‘62, dice Mascherpa, è stato l’ultimo anno di vera
autonomia, poi ha cominciato il preside a esercitare
una certa censura. Memorabili le polemiche con GS nel
1963. “Tutto dovete dire - consiglia ai giovani, presenti
numerosissimi in sala, Robertazzi - ma tutto dovete saper dire perché non vi si metta la museruola.”
L’aria è nebbiosa di fumo, la folla imponente, il tempo
stringe, il pubblico è impaziente di ascoltare gli oratori
invitati.
Primo è Enzo Biagi: in questo paese devastato dagli
elefanti è singolare che ci si trovi tutti qui riuniti per il
ronzio di una zanzara. Da questa piccola inchiesta di
giornalisti in erba è nato un caso che riguarda tutto il
Paese, il Governo, la Magistratura, la pubblica opinione. Si può non condividere le idee a volte troppo disinvolte o puerilmente ciniche delle ragazze intervistate,
ma non si può non ammirare la loro sincerità. Comunque, i redattori si consolino: quel che è capitato a loro è
capitato anche a direttori di giornali molto più autorevoli e diffusi. Tutta la nostra solidarietà, in ogni modo,
soprattutto al preside, perché nella sua posizione è
molto più difficile essere spregiudicati.
Franco Fornari, contrappuntando ovviamente tutto il
suo brillante intervento sulla psicanalisi: ritengo che De
Poli sia rimasto turbato dall’umiliazione della visita e
dal rinvio a giudizio, ma ha senza dubbio in sé sufficiente serietà per aver liquidato in modo umoristico
tutta questa situazione che ha della buffonata. Le misure moralistiche messe in atto per combattere una
supposta immoralità hanno determinato, proprio esse,
una situazione autenticamente immorale (l’ispezione
corporale ha dell’oscenità e la ragazza dei volantini antimilitaristi non ha trovato certo in carcere un ambiente
da educande). I due reati per cui questi giovani rischiano la prigione: la “difesa” del sesso, la guerra alla
guerra, la difesa dell’istinto di vita, il rifiuto dell’istinto
di morte. Altrettanto dicasi per gli articoli censurati di
Mr. Giosuè che toccano la coscienza etica individuale (la
fame in India, la guerra nel Vietnam eccetera): se facessero dei giornaletti goliardici tutto andrebbe liscio, ma
poiché fanno giornali seri, suscitano commenti e censure supercigliosi. Sono giovani da ammirare, che
hanno saputo rinunciare al manicheismo della nostra
vita politica, che assumono la stessa posizione critica di
fronte ai fatti di San Domingo e ai fatti d’Ungheria.
Quindi, fra grandi applausi e sorrisi divertiti, parla dei
complessi d’Edipo e di Crono e del “complesso di tipo
sadico del magistrato per vedere di fronte a sé il giovane
umiliato e ridotto a una dipendenza di carattere autoritaristico.”
Franco Nasi, centrando in sintesi il vero problema: le
nostre leggi, disposizioni, circolari sono sempre possibilistiche, impostate sul “può”: il giudice può, il preside
può, l’ispettore può e si finisce sempre in situazioni paradossalmente contraddittorie. Per esempio, la circolare
del Ministero della P.I. raccomanda vivamente la maggior diffusione dello spirito studentesco e della stampa
d’istituto e poi si scopre, con i provvedimenti
dell’autorità giudiziaria, che questi giornali si devono
considerare “clandestini.”
Umberto Eco: “Siamo al vogliamoci tutti bene, tutti
contro lo spogliarello, tutt’Italia balzata in piedi, imita
nella protesta contro il sopruso. Perché protestiamo?
Per dimenticarci di protestare su argomenti più scottanti e delicati. Rompete un momento il fronte dello
spogliarello, affrontiamo per esempio il problema dei
giornali universitari per trattare i grandi temi politici e
sociali e allora cominciano i ‘distinguo.’ Intanto cominciano le paure. Il pavore dei presidi, l’imbecillità burocratica si nascondono ovunque. Le firme dei novanta
professori milanesi non bastano.”
Sempre il 23 marzo, il Consiglio regionale milanese
dell’Ordine dei Giornalisti prende posizione, anche in
risposta alle affermazioni del procuratore aggiunto
Oscar Lanzi nel corso della sua ultima conferenza
stampa, allorché aveva accusato la stampa di aver gonfiato il caso, dando notizia della “ispezione corporale”
che rientrerebbe, secondo lui, nel campo della normale
procedura processuale. Nell’o.d.g. votato, oltre a respingere superficiali giudizi e considerazioni espressi
nei confronti dei giornalisti, “rivendicando alla stampa,
di fronte a eventi che ponevano in gioco i diritti di libertà nello spirito della Costituzione, il merito di aver
corrisposto con immediatezza e tempestività alla sua
insostituibile funzione di informatrice dell’opinione
pubblica,” ci si richiama all’azione svolta dai ministri
della P.I. Martino e Gui per incoraggiare i giornali
d’istituto e si auspica che venga al più presto emanata
la conseguente regolamentazione, oggi totalmente mancante (App. 10).
Interrogato dai giornalisti, il ministro di Grazia e Giustizia, Oronzo Reale, risponde intanto: “Credo che a
nessuno potranno sfuggire le ragioni imperiose di di-
screzione che mi impediscono di fare comunicazioni ed
esprimere opinioni alla vigilia del processo che si svolgerà, come è noto, il 30 corrente, sotto la presidenza del
Presidente capo del Tribunale di Milano col massimo
delle garanzie. Posso soltanto confermare che fin dal
primo momento, e indipendentemente da richieste e
suggerimenti, il Ministero della Giustizia, nei limiti dei
suoi poteri, ha seguito la vicenda nei suoi vari aspetti.
L’avvenuta fissazione del processo alla detta prossima
data e il dovere di non turbarne comunque lo svolgimento, mi hanno indotto a riservare ogni ulteriore accertamento in ordine ad alcuni aspetti della vicenda.”
Fra tante voci concordi levatesi da ogni parte a isolare
l’iniziativa di GS, il finto sdegno moralistico del Lombardo e il procedimento comunemente giudicato “vessatorio” della Procura della Repubblica, la presa di posizione contraria ai giovani del “Parini” (e in realtà alla
scuola di Stato) da parte del Movimento Laureati di
Azione Cattolica, per bocca del dott. Gianernesto Rossi.
Il quale, però, preferisce la reprimenda paternalistica
alla repressione autoritaria e parruccona. Dice perfino
“parruccona.” E questo per non creare dei martiri della
libertà di pensiero.
Lo stesso giorno 23 la scrittrice Milena Milani e il signor Mario Monti, responsabile della casa editrice Longanesi, imputati di concorso in pubblicazione oscena
(“La ragazza di nome Giulio”) vengono condannati dalla
prima sezione del Tribunale penale a sei mesi di reclusione e 100 mila lire di multa. Il romanzo fu sequestrato, anche allora, per ordine del sostituto procuratore Pasquale Carcasio, nel febbraio scorso, in seguito
alle denunce della signora Milena Rachello e dell’avv.
Sandro Pini, subito accolte. A nulla è valsa la deposizione favorevole alla scrittrice del poeta Giuseppe Ungaretti, che non risulta essere un pornografo e, sul piano
della critica estetica, ha voce certamente più autorevole
del dott. Carcasio e del Tribunale. Il quale ha ordinato
altresì la confisca di tutte le copie del libro in circolazione.
La mattina del 24 marzo, la cittadinanza apprende
notizie particolareggiate sulle ghiandole ascellari e inguinali, sulla scoliosi e su altri mali che affliggono
Marco De Poli e Marco Sassano. Mali che i loro genitori
e i loro medici di fiducia non avrebbero mai scoperto se
il dott. Carcasio non li avesse fatti sottoporre alla fa-
mosa visita per riempire la “prescritta” scheda minorile
e rendersi ragione, dalle loro nudità, del motivo per cui
(pur sapendo benissimo che sono giovani tanto seri e
con ottimo profitto a scuola) scrivono e sollecitano sul
giornaletto d’istituto tante compiaciute “sconcezze” da
ragazzi di riformatorio.
Sulla famosa visita medica è ormai nota la versione degli studenti e degli illustri difensori. Ora si apprende da
“una fonte qualificata” negli ambienti della Procura quale
sarebbe la versione che i magistrati interessati sosterrebbero nel caso di un procedimento disciplinare o nel
caso che, il 30 marzo, la questione venisse sollevata al
processo. “Si esclude, innanzi tutto – così riporta Il
Giorno la dichiarazione della `fonte qualificata - che i tre
ragazzi
siano
stati
riuniti
contemporaneamente
nell’ufficio del P.M. La prima a entrare è stata la ragazza,
Claudia Beltramo Ceppi. Il doti. Carcasio, dopo averle
comunicato la necessità della visita medica, ha aggiunto
che la giovane avrebbe dovuto farsi accompagnare da un
familiare, preferibilmente la madre. La ragazza ha risposto che si sarebbe presentata con il padre il giorno dopo.
L’appuntamento con il padre veniva concordato per telefono immediatamente. Ma il magistrato ha poi atteso invano entrambi.” Tutto diverso, come si vede, dalla versione più volte ribadita dal prof. Delitala e dal prof.
Dall’Ora.
“Congedata la ragazza, è entrato nell’ufficio uno dei
due studenti maschi. Senza alcuna protesta, questi ha
aperto la camicia sul petto, lasciando che il medico gli
auscultasse il cuore, con il risultato della scoperta di
un vizio mitralico, bisognoso di cure immediate.” Ed è
per questo vizio, probabilmente, come fornirà spiegazione all’Istituto Centrale di Statistica la scheda minorile, che il ragazzo ha redatto quell’inchiesta incriminata.
“Quindi il sanitario ha proceduto a un esame delle
ghiandole ascellari e inguinali, per accertare la presenza di eventuali malattie veneree.” Sempre con la sola
camicia aperta sul petto? E perché il “portavoce” non
dice che gli hanno fatto togliere anche le mutande? Perché questa volontà di minimizzare anche fatti più che
ovvi (l’esame delle ghiandole inguinali)?
“Stessa procedura per il suo compagno, anche questi
invitato separatamente. Il medico, con lo stetoscopio,
ha avvertito alla spalla del giovane qualcosa di anor-
male, invitandolo a farsi visitare da uno specialista.
L’esame ghiandolare, quindi, ha rivelato la presenza di
una forma di rachitismo, causa prima di una scoliosi in
atto.”
Bene, da oggi la cittadinanza conosce che genere di
rachitici, malati di cuore, deperiti e malandati sono i
suoi eroi e si renderà conto delle ragioni psicofisiche
che li hanno spinti alla loro “inqualificabile condotta.”
Con la visita medica, finalmente, il grave reato di cui
sono imputati ha una sua logica, lampante spiegazione.
Giorno 24 marzo. Anche a Roma ci sarà una manifestazione di solidarietà per i tre studenti milanesi. Fatto
più rilevante della giornata, una lettera molto esplicita e
significativa del vicepresidente del Consiglio, Pietro
Nenni, ai genitori di Marco De Poli e Marco Sassano
(entrambi militanti socialisti) che verrà poi pubblicata
da l’Avanti!.
“Caro compagno - dice Nenni con l’abituale franchezza -quello del liceo ‘Parini’ è uno scandalo di tipo
borbonico. lo quasi non me ne dolgo, giacché sono arrivato alla conclusione che soltanto gli scandali possono
raddrizzare la situazione. Noi paghiamo duramente il
fatto di avere, vent’anni orsono, abbandonato lo Stato
ai moderati. I guasti sono tali e tanti che, nel migliore
dei casi, ci vorranno anni a risanarli.”
“Salutami il tuo figliolo - prosegue la lettera - digli che
alla sua età o poco più, io facevo la spola da carcere a
carcere per l’allora tristemente famoso articolo 247 del
codice penale (istigazione a delinquere). Ci sono purtroppo ancora un’infinità di articoli da far sparire. E ci
riusciremo, non so in quanto tempo perché tutto è lento
e arrugginito. Ci vuole un tempo enorme per varare una
legge in sede governativa. Ci vogliono mesi e mesi, e sovente anni, per farla approvare al Parlamento (pensa
alla riforma del codice di procedura penale oppure alta
legge sul referendum). Il problema è sempre quello di
battere e ribattere finché la porta non si apre (o non si
sfonda).”
Come si vede, il vicepresidente del Consiglio non ha
aspettato la conclusione del processo per dire francamente il suo parere, con aggettivi ed espressioni molto
precisi e meditati, su una certa situazione del costume
pubblico e della legislazione in Italia.
Cominciano intanto a correre voci insistenti, più o
meno controllabili, di procedure e situazioni analoghe a
quella de La Zanzara di cui sarebbe stato protagonista
il doti. Pasquale Carcasio quando era pretore a Torino.
Ne dà notizia La Stampa del 25 marzo.
“Nell’ambiente giudiziario - scrive il foglio torinese sono sorte critiche alla decisione del dott. Mario Berutti
di sollecitare un’inchiesta ministeriale sul P.M. che
volle l’ispezione corporale per gli studenti de La Zanzara. Bastavano le notizie pubblicate sui giornali, si
obietta, per indurre il presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati a prendere una simile iniziativa? Il
dott. Berutti, a quanto ci risulta, ritenne suo dovere rivolgersi per telegramma al Guardasigilli perché sul
conto del P.M. di Milano correvano voci di alcuni precedenti occorsi quand’egli era pretore a Torino.”
“Sull’argomento abbiamo avuto un colloquio con il
dott. Carcasio, il sostituto Procuratore dell’istruttoria per
La Zanzara, e con il dott. Lanzi, Procuratore della Repubblica aggiunto, che sosterrà l’accusa al processo in
Tribunale, mercoledì prossimo.”
“‘ È vero che sono stato pretore a Torino fino al 1960 ci ha detto il dott. Carcasio - ma non mi risulta d’aver
subito un’inchiesta. Lettere di protesta sul mio operato
torinese? Pazzi che scrivono contro i magistrati ce ne
sono sempre. Ma quelle lettere non hanno mai avuto
seguito. Si parla di casi specifici di cui sarei responsabile? Non ne so nulla. Io a Milano sono venuto su mia
domanda. Vuol sapere di più? Su invito del dott. Spagnuolo, allora Procuratore capo della Repubblica.’ Il
dott. Lanzi è il diretto superiore del dott. Carcasio: ‘Precedenti sul suo conto? Non mi risulta. E poi lei parla di
precedenti torinesi. Che ne so io? Io sono a Milano, non
a Torino.”‘
Fa un certo effetto sentire l’intransigente moralizzatore rispondere, adesso, come un inquisito, sentirlo dire
“di cui sarei responsabile” o “non mi risulta.” La quale
ultima non è un’affermazione secca, decisa, vibrante di
sdegno.
Del resto, un accenno piuttosto esplicito a presunte
irregolarità avvenute a Torino in merito a “ispezioni
corporali” era già stato fatto da La Gazzetta del Popolo
del 19 marzo in un corsivo dal titolo “Non è la prima
volta,” in cui si legge fra l’altro: “Dunque, l’ispezione
non era tassativamente prescritta dalla legge e in più come è chiaramente avvertibile secondo quei principi di
logica che sono poi il fondamento delle leggi medesime -
era inutile ai fini dell’inchiesta sulla vicenda del ‘Parini.’
Ma purtroppo non è la prima volta che questo tipo
d’ispezioni - le quali oltretutto possono assumere
aspetti delicatissimi e ambigui ove non siano sorrette
da impellenti esigenze giudiziarie - sono effettuate
senza evidente necessità. A Torino, per esempio, si ricordano alcuni casi che diedero anche motivo
d’inchiesta e che si conclusero con un trasferimento. Di
essi a suo tempo non si parlò per ragioni di riserbo e di
rispetto verso la personalità di coloro che furono oggetto di tali indagini, ma ora i fatti di Milano ci danno
occasione di accennarne brevemente, senza tuttavia far
nomi.”
“Ricordiamo che alcuni anni fa la giovane moglie di
un capitano di artiglieria, querelatasi contro il marito
per lesioni, fu sottoposta nella fase istruttoria a
un’ispezione corporale che andò ben oltre i limiti imposti dal fatto in causa, dato che la signora aveva dichiarato di essere stata schiaffeggiata dal marito, cioè colpita al viso e non altrove. Detta signora presentò un
esposto che si concluse con un trasferimento. Pressappoco la stessa cosa capitò a una diciassettenne figlia di
un funzionario statale. Denunciata per simulazione di
reato, in quanto aveva dichiarato di essere stata derubata della borsetta durante una gita col fidanzato,
mentre l’aveva perduta, fu sottoposta a visita con modalità, diciamo così, ultronee, rispetto alle esigenze di
giustizia; la ragazza si ribellò, gridò e si durò fatica a far
riacquistare la calma al padre che stava nel corridoio.”
“L’ultimo caso di cui si ha ricordo, riguarda un processo di Corte d’Assise dove mi medico fu condannato
per corruzione di minorenni. In istruttoria fu effettuato
un confronto fra il medico e le sue vittime e risultò che
anche quella volta l’atto giudiziario andò ben oltre i limiti necessari al buon fine delle indagini.”
Il 26 marzo si apprende che Mario Berutti, avvocato
generale della Corte d’Appello di Torino, si è dimesso il
25 dalla carica di presidente dell’Associazione nazionale
Magistrati.
Il Consiglio di presidenza dell’UMI, Unione Magistrati
Italiani (l’organizzazione che raggruppa, in prevalenza, i
giudici dei pio alti gradi), aveva preso dura posizione
contro Berutti per il suo telegramma a Reale in merito
al comportamento della Procura milanese. Ma l’ANM,
l’Associazione Nazionale Magistrati, l’organizzazione
“concorrente,” che raccoglie il maggior numero di giovani magistrati e di cui Berutti era finora presidente,
non pare che difenda del tutto quella sua iniziativa.
Anch’essa è divisa in due, e una parte sembra avallare
le accuse rivolte a Berutti dall’UMI.
L’UMI sostiene, ovviamente, che l’ANM avrebbe potuto
adottare provvedimenti interni nei confronti del suo socio
Pasquale Carcasio, “ma non avrebbe in alcun modo potuto muovere accuse e sollecitare provvedimenti disciplinari contro un magistrato.” L’iniziativa di Berutti, per
l’UMI, è “una inammissibile ingerenza in un procedimento penale in corso; un atto che discredita l’Ordine
giudiziario; una invadenza dei poteri degli organi dello
Stato cui è demandato il controllo sull’operato dei magistrati.” Una forte corrente dell’ANM, come si è detto, condivide, se pur in modo meno categorico, il pensiero
dell’UMI sostenendo che Berutti ha preso una posizione
coraggiosa, sì, ma imbarazzante. Un’altra corrente, diciamo quella di “Magistratura democratica,” sostiene che
Berutti ha agito in modo corretto e onesto, invocando
un’inchiesta che non lasciasse alcuna zona d’ombra
sull’operato del dottor Carcasio. Si prevede, dunque,
grossa battaglia nella Giunta dell’Associazione Nazionale
Magistrati quando domani si discuteranno le dimissioni
del presidente, avvocato Berutti.
Ma non è solo Berutti che, raccogliendo le voci insistenti circolanti negli ambienti giudiziari di Torino, abbia chiesto, pur con tanta doverosa cautela, l’intervento
del ministro Guardasigilli, che ha provocato poi la reazione di una parte dell’ANM e le sue dimissioni da presidente. Il giorno 26 il Procuratore Generale dottor Bernardo Merlo e il Presidente della Corte d’Appello di Torino inviano in serata il seguente telegramma al Consiglio Superiore della Magistratura e al ministro Reale: “I
giornali locali, richiamandosi a voci di fatti scorretti
commessi da magistrati di questo distretto, insistono
nel richiedere da organi Magistratura torinese precisazioni in ordine ad azioni svolte e da svolgere in ordine
fatti medesimi. I capi della Corte torinese richiamano in
proposito le indagini svolte a suo tempo e ancora recentemente e riferite a codesto Consiglio Superiore con
rapporto pari numero inviato con assicurata 25 corrente. Ritengono dover mantenere assoluto riserbo, anche per essi doveroso, in attesa delle eventuali comuni-
cazioni che V.E. e codesto Consiglio Superiore reputassero del caso.”
Nonostante le “preoccupazioni” dimostrate dal Procuratore Generale e dal Presidente della Corte d’Appello di
Torino per le “voci di fatti scorretti commessi da magistrati di quel distretto,” l’azione precedente di Mario Berutti, presidente dimissionario dell’ANM, che aveva inviato il telegramma del 21 marzo al Ministro Reale, è
praticamente sconfessata dalla Giunta esecutiva della
stessa Associazione Nazionale Magistrati. La quale,
dopo aver rimesso ogni decisione sulle dimissioni presentate da Berutti al Comitato direttivo centrale,
esprime in un comunicato “il proprio rincrescimento
per la situazione determinata da un’iniziativa personale
che non può incontrare il consenso della Giunta, in
quanto ha. offerto la possibilità, per la sua forma, di essere anche interpretata in contrasto con la regola, costantemente osservata dagli organi dell’Associazione, di
non interferire nei procedimenti in corso e nelle funzioni giudiziarie.”
Una sconfessione attenuata, per distinguere la propria presa di posizione da quella dell’UMI, dal riconoscimento che si offre a Berutti quando si afferma che,
tuttavia, il suo gesto è stato travisato dall’Unione Magistrati Italiani mentre era stato “dettato, nell’intenzione,
da sensibilità democratica” e gli si riconosce il contributo
recato per molti anni alle lotte dell’Associazione.
Nel pomeriggio, il Presidente dimissionario, senza
esprimere alcun rammarico per la quasi aperta sconfessione venuta dalla Giunta della sua Associazione, raduna
i giornalisti e polemizza, con tono quanto mai pacato e
sereno, contro l’UMI che avrebbe volutamente travisato il
suo pensiero, ripetendo che egli si era limitato a chiedere
al Ministro di “accertare se veramente sussistessero i soprusi denunciati dalla stampa per il caso del ‘Parini.” La
sua intenzione, dunque, era quella di rassicurare
l’opinione pubblica gravemente turbata dalle notizie
pubblicate,
promuovendo
o
almeno
sollecitando
un’inchiesta che negasse la sussistenza dei fatti (ispezioni corporali non necessarie ai fini dell’accertamento
della capacità di intendere e volere) oppure portasse
all’adozione dei necessari provvedimenti disciplinari.
Concludendo il suo sereno incontro con i giornalisti,
Berutti, sottolineando generosamente come l’opera della
ANM (nonostante la sconfessione) punti all’integrale at-
tuazione della Costituzione, ribadisce “la situazione anacronistica e grottesca di una Repubblica democratica che
si regge con i codici e le leggi del regime autoritario da
essa stessa abbattuto.”
Roberto Martinelli, sul Corriere della sera riferisce del
dialogo avvenuto fra Berutti e i giornalisti: “Ma allora,
perché si è dimesso?”
“Avendo avuto sentore dei dissensi espressi dai colleghi
circa la opportunità dell’intervento del ministro da me
sollecitato e trattandosi di un’iniziativa presa senza aver
potuto consultare la Giunta, ho ritenuto doveroso rassegnare le dimissioni.”
“Parteciperà alla riunione del Comitato Centrale fissata
per domani?”
“Ritengo di non dover partecipare avendo già fornito
tutti i chiarimenti necessari.”
“Nei confronti del dott. Carcasio sono state formulate
dai giornali altre accuse, di aver disposto cioè ispezioni
corporali non necessarie quando egli era in forza negli
uffici giudiziari di Torino. Come avvocato generale di
quella Corte d’Appello lei può confermare o smentire
queste voci?”
“Dei fatti attribuiti al dott. Carcasio non so nulla di
preciso. Quello che so l’ho appreso dai pettegolezzi di
corridoio, dai giornali, dalla voce pubblica.”
“Lei ha presentato le sue dimissioni prima o dopo aver
preso conoscenza del comunicato diramato dall’Unione
Magistrati?”
“Prima. Il comunicato l’ho letto solo stamane sui giornali”
Nella stessa giornata, a Milano, il dott. Raimondo Attardo, il magistrato che già s’era agitato nel corso della
prima accesa riunione della sezione milanese dell’ANM
scagliandosi contro l’Avanti! ed era stato clamorosamente zittito da una parte dei colleghi, sporge denuncia
per vilipendio della magistratura da parte del quotidiano
socialista, presentandola direttamente alla Procura che
ha già in corso gli accertamenti per aprire un procedimento penale a carico del vicedirettore responsabile, Aldo
Quaglio. L’articolo incriminato apparve domenica 20
marzo, sotto il titolo “Ipocriti, parrucconi, conformisti.”
Continuano le dimostrazioni di solidarietà ai ragazzi del
“Parini.” L’UDI invia un telegramma a Marco De Poli,
condannando “il processo in atto che mira a soffocare la
libertà di ricerca manifestata in occasione dell’inchiesta
sulla posizione della donna italiana nella società.”
Gli studenti del Convitto-scuola “Rinascita” emettono
un o.d.g, in cui si sostiene come “il malcostume che ha
creato il caso Zanzara dimostra l’impellente necessità di
una revisione secondo principi costituzionali della legislazione tipicamente fascista.”
- Il Circolo culturale “Verri” ha raccolto 989 firme di
solidarietà presso gli allievi dell’Istituto commerciale
“Verri.” Contrari all’associazione unica d’istituto, come
noto, sono invece i giovani cattolici di GS che continuano
la raccolta di firme per una mozione in cui respingono
“tale tipo di associazione come lesiva di elementari valori
di libertà e democrazia.”
Il 27 marzo, con 19 voti favorevoli e 14 contrari, il Direttivo dell’Associazione Nazionale Magistrati accetta le
dimissioni dalla presidenza dell’avv. Mario Berutti, pur
riconoscendo, come già fece ieri la Giunta, che la sua
“iniziativa personale” era stata dettata, nell’intenzione, da
sensibilità democratica. Grossa battaglia, nel direttivo,
per accettare di stretta misura (due membri della corrente maggioritaria erano passati all’opposizione) le dimissioni dell’anziano presidente. Una battaglia di correnti di cui già s’era avuto un saggio eloquente durante
l’assemblea milanese dell’ANM il 21 marzo, di cui Il
Giorno aveva riportato con dovizia di particolari il tumultuoso svolgimento. Con identica votazione (19 contro
14) il Comitato direttivo respinge un o.d.g. presentato
dagli oppositori, affinché le dimissioni vengano accettate con un’aperta deplorazione dell’operato del presidente “arbitrario, inopportuno, ingiustificato” (gli stessi
aggettivi usati dall’UMI). A favore dell’o.d.g. di deplorazione avrebbero votato gli oppositori più accaniti di Berutti (e più vicini alla posizione dell’UMI) e cioè quelli
appartenenti alla corrente di “Magistratura Indipendente.” Contrarie le correnti di “Magistratura Democratica” e di “Terzo Potere.” Sarà difficile, in questa situazione tesa, l’elezione del nuovo presidente in sostituzione di Berutti. Per tale elezione occorre una maggioranza di due terzi e nessuno dei blocchi in cui il direttivo si è diviso dispone di tanti voti. Occorrerà trovare
un nome che abbia la possibilità di calamitare la fiducia di tutte le correnti: ma si dovrà trovare un accordo
anche sulla futura conduzione dell’Associazione. Se
questo venisse a mancare, ogni decisione dovrebbe essere rimessa all’Assemblea e a nuove elezioni generali.
Il caso degli studenti del Liceo “Parini” sarà esaminato
con ogni probabilità il 29 marzo dal Consiglio Superiore
della Magistratura al quale dovrebbero essere pervenute
le richieste formulate dal Consiglio stesso al Procuratore Generale Pietro Trombi e quelle inviate, sul comportamento del dott. Carcasio, dal Presidente e dal Procuratore Generale della Corte d’Appello di Torino.
Mentre il Consiglio Superiore esamina i rapporti sul
comportamento del dott. Carcasio, il reato di vilipendio
continua a preoccupare le Procure. Dopo la denuncia
dell’Avanti!, questa volta è Camilla Cederna a provocare
lo sdegno della Procura di Novara per il suo articolo apparso su L’Espresso dal titolo “I Borboni di Milano” e
dall’occhiello “Leggi fasciste ed atteggiamenti autoritari
trasformano il processo contro La Zanzara in un caso
nazionale.” Il sostituto Procuratore dott. Ferdinando
Alessio firma così il decreto di sequestro del settimanale
che viene recapitato nel pomeriggio all’agenzia di giornali di via S. Francesco d’Assisi. Poiché non si tratta di
pubblicazione oscena, il commissario di polizia Schifone
requisisce solo tre copie del rotocalco che vengono trasmesse alla Procura. Oltre all’articolo della Cederna,
anche l’articolo che appare nella pagina seguente, dal
titolo “Gli studenti peccatori,” siglato E. S. (probabilmente Eugenio Scalfari direttore del giornale) viene incriminato. Ogni frase, ogni accenno critico all’operato
della Magistratura, ogni commento, di quelli fatti più
volte in questi giorni non solo dalla pubblica opinione
ma da parlamentari, uomini politici, ministri (vedi
Nenni) e perfino magistrati (vedi le assemblee dell’ANM)
si trasformano nell’articolo della Cederna, secondo la
motivazione del decreto di sequestro, in reato di vilipendio.
“Considerato che nell’articolo firmato da Camilla Cederna - dice la motivazione - si fa apparire la Magistratura nel suo complesso ed in alcuni dei suoi esponenti come autoritaria `longa manus’ di interessi di
parte e di classe, come l’istituzione che, con atteggiamenti borbonici, chiari sinonimi di regressione ed egoismo, quasi avesse un particolare preordinato programma di persecuzione in danno di determinati gruppi
di minoranza politica e di insopprimibili nuove esigenze
sociali; considerato che l’intento vilipendioso è partico-
larmente raggiunto anche attraverso la critica disdicevole che rasenta la contumelia a danno dei magistrati
singoli nominativamente indicati nell’articolo,” considerati altri punti dell’articolo, quasi frase per frase e altresì dell’articolo siglato E. S. nel quale si additerebbe
la Magistratura al pubblico disprezzo... “si ordina il sequestro di tre esemplari del settimanale L’Espresso.
Poiché tale periodico viene stampato a Roma, tutta la
pratica è stata inviata alla Procura della Repubblica
della capitale.”
Una dimostrazione lampante dell’inesattezza delle
critiche e del giudizio di “autoritarismo borbonico”
contenuti negli articoli incriminati.
Giorno 29 marzo. Mentre continuano le interrogazioni
alla Camera, gli ordini del giorno, i comunicati, mentre
ogni settore della vita pubblica esprime in modo “vibrante” il proprio punto di vista, mentre le polemiche
proseguono nelle associazioni e negli organismi ad ogni
livello e la stampa internazionale sottolinea questo “affare” italiano nato da un’occasione apparentemente banale e ingigantitosi fino al punto di coalizzare l’interesse
di tutta l’opinione pubblica ben più dello scandalo di
Fiumicino, del processo Ippolito, forse dello stesso affare Montesi, si annuncia per domani, davanti alla
prima sezione del Tribunale di Milano, l’attesissimo
processo. Il collegio di difesa è numeroso e agguerrito, il
pubblico sarà folla, la stampa sarà rappresentata dagli
inviati dei quotidiani e delle agenzie fotografiche di
tutta Italia e non solo d’Italia.
Così il dibattimento - è stato deciso oggi - si svolgerà
nell’aula magna del Palazzo di Giustizia, tanto carica
ancora di simboli littori. Presidente, come già s’è detto,
sarà il dott. Luigi Bianchi d’Espinosa, primo presidente
del Tribunale di Milano. Giudici a latere, il dott. Lodovico Landi e il dott. Camillo Passerini. L’Accusa sarà
rappresentata, come lui stesso aveva annunciato, dal
dott. Oscar Lanzi, il magistrato che ha firmato il rinvio
a giudizio degli imputati: gli studenti Marco De Poli,
Marco Sassano, Claudia Beltramo Ceppi, il preside del
“Parini” prof. Daniele Mattalia, la titolare della tipografia stampatrice de La Zanzara Aurelia Terzaghi.
Del collegio di difesa, composto da un gran numero di
“principi del foro,” fanno parte: il prof. Giacomo Delitala
(per Claudia Beltramo Ceppi), i professori Alberto
Dall’Ora e Carlo Smuraglia (Marco De Poli), l’avv. En-
rico Sbisà (Marco Sassano), il prof. Alberto Crespi (Daniele Mattalia), il prof. Giandomenico Pisapia e l’avv.
Vittorio Gaballo (Aurelia Terzaghi).
Imponente sarà il servizio d’ordine predisposto, anche
in considerazione del fatto che un gran numero di studenti liceali vorranno assistere al processo dei loro
compagni. Moltissimi, però, non potranno entrare in
aula perché “vietato ai minori di 18 anni” in base
all’articolo 426 del Codice di procedura penale.
La vigilia del processo giunge dagli Stati Uniti alla redazione del giornale studentesco del “Parini” un messaggio della Federazione Americana degli Insegnanti: “La Federazione Americana degli Insegnanti, membro dell’AFLCO, vede con profonda preoccupazione la restrizione
della libertà scolastica comportata dal caso del Liceo `Parini’ di Milano. Perché la democrazia possa sopravvivere,
la Scuola non deve temere le idee, né aver paura di concedere a studenti e insegnanti il diritto di esprimere idee,
quand’anche alcune di esse possano andare contro
l’opinione comune. Vogliate esprimere al Preside e agli
studenti di quella scuola la nostra solidarietà e la calda
partecipazione ai loro problemi. Firmato: Charles Cogen,
presidente della Federazione Americana degli Insegnanti.”