I. Lo "scandalo" giorno per giorno
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I. Lo "scandalo" giorno per giorno
Guido Nozzoli e Pier Maria Paoletti “ La Zanzara” Cronache e documenti di uno scandalo Prima edizione: maggio 1966 Copyright by © Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano Omnia munda mundis I. Lo “scandalo” giorno per giorno Il pomeriggio del 22 febbraio 1966, il Corriere Lombardo - già in procinto di sospendere le pubblicazioni - annunciava ai suoi ultimi lettori con uno stuzzicante titolo su sei colonne: “Suscita scandalo al ‘Parini’ – un’inchiesta pubblicata - sul giornale degli studenti.” (vedi Appendice 1). E nell’articolo, lardellato di frasi di protesta dei “pariniani cattolici,” si leggeva che le “pazzesche affermazioni di alcune studentesse intervistate dalla rivistina interna La Zanzara (Appendice 2 e 3), avevano provocato “grande scalpore” tra gli allievi e “disappunto” tra i genitori, che molti di loro si erano recati a protestare dal preside, che alcuni altri avrebbero chiesto il trasferimento dei figli. Una delle più severe ed efficienti scuole milanesi, il liceo prediletto dalla migliore borghesia, dai ragazzi della “Milano-bene,” dunque, si era improvvisamente trasformato in un covo di immoralismo dove si corrompevano le anime belle dei fanciulli parlando di libero amore e di pillole antifecondative? Nel vigile ufficio della Procura della Repubblica i dottori Lanzi e Carcasio, percossi da questo “urlo dei sensi” che erompeva dalla scuola, erano già pronti a levarsi in difesa. della “società buona e sana” contro “l’ondata di corruzione e di malcostume,” sollecitando l’intervento della polizia, da parte sua già tempestata - si diceva - dalle telefonate di cittadini sbigottiti, anzi “traumatizzati,” da questo affronto alla pubblica moralità. In un Paese tanto malizioso e insieme tanto distratto e rassegnato come il nostro, abituato a sopportare senza sussulti la presenza di 1 milione e 300 mila disoccupati, i delitti impuniti della mafia coperti da complicità ad altissimo livello, le evasioni fiscali, le piraterie degli speculatori delle aree fabbricabili, dei sofisticatori di cibi e di bevande, di certi bonzi degli enti caritatevoli e previdenziali, in un Paese dove si sa di religiosi simoniaci dediti al contrabbando di tabacco e di opere d’arte sacra, di orfanelli seviziati nei collegi, di pubblici funzionari della Sanità arricchiti concedendo in sub-appalto bambini tubercolotici, è difficile immaginare che qualcuno potesse veramente restare “traumatizzato” dalle dichiarazioni un po’ troppo esplicite e disinvolte di due studentesse. Ma il fariseismo pubblico e privato ha le sue esigenze, come il finto patriottismo, specialmente quando diventa un atto di liturgia quotidiana, una specie di professione o addirittura un mestiere. L’azione contro gli “immoralisti” del “Parini,” a pensarci bene, poteva anche essere un pretesto per mettere il guinzaglio a tutta la stampa studentesca, sempre meno disposta, con l’andar del tempo, a seguire gli appelli furbeschi del grande opportunismo nazionale, e guardata con sospetto dagli studenti integralisti della destra clericale che, essendo minoranza, non riescono né a dirigerla né a condizionarla. Infatti, denunciando redattori e stampatori de La Zanzara anche per le violazioni della legge sulla stampa, si tentava di affermare implicitamente il principio che, da quel momento in poi, per non essere “illegali,” i giornaletti studenteschi avrebbero dovuto registrare la pubblicazione in Tribunale, consegnare quattro copie di ogni numero in Questura, esser diretti da un maggiorenne iscritto all’elenco speciale dell’Ordine dei giornalisti, rinunciando così al loro carattere di libere espressioni studentesche per rimettersi alla paterna e sterilizzata tutela dei “grandi.” Un altro attentato contro la libertà di pensiero e di stampa come l’arresto dei giovani che avevano distribuito volantini pacifisti e anti-imperialisti sgraditi agli stati maggiori. In ogni modo, con o senza secondi scopi, l’inchiesta della magistratura sul “Parini” aveva trasformato una questioncella scolastica in un problema nazionale seguito con ironia dalla stampa di mezzo mondo. Gli italiani avevano ora un tema nuovo e impreveduto di dibattito, il “caso” de La Zanzara, che avrebbe diviso il Paese in due come una grande contesa politica. Tutto era cominciato lunedì 14 febbraio, quando i gruppi di Gioventù Studentesca (il cosiddetto “Giesse,” fondato da don Giussani per raccogliere gli alunni in una specie di brigata d’assalto di piccoli missionari), che operano alacremente all’interno di tutti gli istituti di istruzione media, con la voce sempre autorevole e favorevol- mente ascoltata dai benpensanti del moralismo ipocrita e col fervore della crociata contro la pericolosa e dilagante decadenza dei costumi, avevano diffuso un manifestino di amara deplorazione per l’inchiesta giornalistica de La Zanzara. Firmandosi “Pariniani cattolici,” i dissidenti stigmatizzavano “la estrema superficialità e la scorretta parzialità con cui è stato trattato un tema così importante; la gravità dell’offesa recata alla sensibilità e al costume morale comune; la slealtà con cui, una volta di più, si è abusato della scuola e della sua autorevolezza.” Così, sollecitato dal gruppo di GS e da “numerosissime telefonate” di genitori indignati che minacciano di ritirare i ragazzi dalla scuola (gli indignati saranno, poi, 14 su 1200) il Corriere Lombardo esce il 22 pomeriggio col suo titolo a sensazione e sostenendo ovviamente le ragioni, lui sempre finora così dichiaratamente “liberale,” dell’integralismo cattolico. Ma non succede niente. L’opinione pubblica per ora non è turbata né il contenuto dell’inchiesta si è mostrato ancora “idoneo” a offendere il sentimento morale dei fanciulli e degli adolescenti e a costituire per essi incitamento alla corruzione. Il “costume morale comune” offeso continua a circondarli come sempre con i film della violenza più atroce, con certi rotocalchi pieni di nudità, di inchieste sessuali sui giovani e di “risposte del medico” che circolano per casa e, insomma, con tutte le sollecitazioni delle agenzie pubblicitarie che propongono in chiave erotica anche il buon brodo casalingo. In città, dunque, l’opinione pubblica non è affatto “turbata,” né mobilitata. A mobilitarla ci penserà qualche settimana più tardi il sostituto procuratore Pasquale Carcasio, in una vastità di ceti sociali e con una profondità di interesse come raramente s’era verificato nella storia d’Italia. Soltanto lo studente Marco De Poli, 17 anni, direttore de La Zanzara, rassegna le dimissioni e si mette a disposizione del preside, prof. Daniele Mattalia. Il quale non ritiene opportuno prendere alcun provvedimento nei riguardi del suo alunno, che conosce fin troppo bene e non gli sembra un pervertito corruttore di minorenni. Per lui è un allievo modello, con i suoi 10 in condotta, la sua media dell’8, i suoi temi meditati, seri, scritti con proprietà e acutezza di linguaggio critico, su Dante, sul Rinascimento, sulla formazione della classe borghese, contemporanea alla crisi dell’autorità del principe eccetera. E poi con quella sua aria di primo della classe, un po’ pallido e allampanato, l’occhio vivo dietro le lenti. Ma se il preside è tollerante, o addirittura approva (approva l’inchiesta, naturalmente, non le risposte un po’ “ciniche” o “infantilmente provocatorie” di alcune delle ragazze intervistate) la Procura della Repubblica passa subito all’attacco. Figurarsi la Procura di Milano, con l’eredità lasciatale da Carmelo Spagnuolo, abituata a vedere oscenità e vilipendio, dappertutto. Sempre attenta a scoprire, dovunque, le notizie “false e tendenziose, atte a turbare l’ordine pubblico.” Quell’ordine pubblico, infatti, che fu turbato tanto dall’articolo della giornalista Merlin sull’Unità (puntualmente rinviata a giudizio) per aver raccontato, assai prima della catastrofe, che la popolazione della zona del Vajont era da tempo in allarme e temeva il peggio. Non turbato, certo, l’ordine pubblico, a catastrofe avvenuta. Così il 22 stesso, dopo l’articolo del Lombardo e le pressioni dei gruppi di GS, il procuratore aggiunto, dottor Oscar Lanzi, incarica il vicequestore dott. Giovanni Grappone, terrore dei criminali più audaci e incalliti, di avviare le indagini sull’inchiesta del giornaletto studentesco. Il 23 pomeriggio, mentre la città continua a ignorare lo “scandalo” denunciato dal declinante giornale del pomeriggio e l’opinione pubblica continua a non essere “turbata,” il preside del “Parini,” prof. Mattalia e il vicepreside Silvano Stolfa vengono interrogati per varie ore dal dottor Grappone nel suo ufficio in Questura. È naturale che l’ambiente abbia intimidito quel brav’uomo del preside che cerca di giustificarsi come può e non ha ancora assunto quella posizione esplicita di solidarietà assoluta con l’operato dei suoi allievi che gli varrà, poi, l’aperta simpatia della stragrande maggioranza dell’opinione pubblica. Ammette che il preside ha facoltà di censura sugli articoli del giornale studentesco, che in altra occasione l’ha esercitata ma che in questo caso non era stato possibile poiché si trovava in vacanza proprio nel periodo in cui La Zanzara era in via di preparazione. Era andato nel suo ufficio qualche volta per sbrigare qualche pratica urgente, aveva anche trovato sul suo tavolo le bozze del numero-bomba ma non aveva avuto il tempo di scorrerle attentamente. Del resto, il passato di serietà e di “impegno” del giornaletto del “Parini” l’avevano lasciato del tutto tranquillo. Il vicepreside, professor Stolfa, si mette ancor più fuori causa: il suo compito è quello di occuparsi degli affari ordinari in assenza del preside, non ha visto le bozze della Zanzara e comunque non ha facoltà di prendere iniziative personali. Al provveditorato agli studi, intanto, il caso del “Parini” che non è ancora “l’affare Parini,” è ignorato ufficialmente: il provveditore, prof. Tornese, è a Roma. Se in città non si parla ancora de La Zanzara, se ne parla a scuola e davanti alla scuola. Centoquaranta genitori che hanno saputo da Il Giorno della convocazione del preside in Questura, gli mandano un telegramma di solidarietà. Sono dieci volte di più, dunque, di quelli che hanno telefonato, senza “firma,” al Lombardo. Anche i ragazzi, naturalmente, hanno saputo, hanno capito subito da quale parte veniva l’attacco, discutono in capannelli davanti all’istituto. “Che cosa c’era scritto, in fondo, nell’inchiesta?” si chiedono. Sono tutti giovanotti che vivono insieme alle compagne, andando e tornando da scuola o uscendo alla sera, la vita di una metropoli; che seguono dibattiti e conferenze sui più diversi argomenti; che leggono i giornali di papà, i rotocalchi di mamma e le riviste mediche nell’anticamera del dentista. E magari traducono Catullo, per esempio quella poesia dedicata a Flavio, quando dice “Che tu non ve […] dove giaci le notti / la indarno tacita camera il grida / spirando Sirio balsamo e fiori; / l’impronta duplice de l’origliere / sgualcito, e il tremulo letto che a scosse / arguto scricchiola nel dimenìo...” Il primo passo ufficiale, fuori della scuola, lo fa il liberale Giomo, che non sa ancora come più avanti il suo partito si schiererà su posizioni un poco diverse. Così accogliendo subito la tesi di GS, presenta un’interrogazione al ministro della P.I. “per sapere come il ministro intende intervenire nel caso lamentato, anche perché nel futuro tali avventate iniziative non abbiano a verificarsi altrove, e ciò a tutela della serietà e della moralità della scuola italiana.” Fa subito eco all’onorevole liberale il Comitato Lombardo dell’Associazione nazionale Scuola italiana con un comunicato, il giorno dopo, che “vivamente deplora quanto le associazioni interne di istituto compiono, sia con i giornali sia con propaganda in forma lesiva del di- ritto dei genitori alla educazione e formazione morale e spirituale dei propri figli.” Siamo alle prime, timide polemiche sulla vicenda e già si contrappongono due concezioni antitetiche della scuola italiana: quella tradizionale, nozionistica, e quella moderna, formativa dell’uomo e del cittadino, aperta a tutti i problemi della società in cui i giovani stessi vivono - non si può pretendere con gli occhi chiusi - e si fanno adulti. Così, limitare al minimo la libertà di manifestazione del proprio pensiero, al di fuori dei programmi scolastici, anziché incoraggiarla come suggeriscono ben precise circolari ministeriali. “Se le opinioni degli studenti appaiono errate - scrive un lettore su Il Giorno del 26 febbraio - si confutino, non si perseguitino e si metta finalmente alla porta la rispettabilità offesa dei soliti genitori spesso privi del minimo aggiornamento culturale e le cui idee mummificate avrebbero, queste sì, bisogno di una severa revisione.” Le polemiche e le notizie, del resto, non escono ancora dal limbo del titolo su una colonna in cronaca, il caso Zanzara continua a non essere, ancora, un affare nazionale. Con echi internazionali. Il giorno 24 ritorna da Roma il provveditore agli studi, professor Tornese, e chiede un colloquio col vice questore Grappone, che dura un’ora, dalle 12 alle 13. Intanto il procuratore Oscar Lanzi dà incarico a Grappone di invitare al più presto nel suo ufficio preside e provveditore. Il 25 è una giornata “tranquilla.” Il 26 Marco De Poli, direttore de La Zanzara, fa la sua prima esperienza di delinquente precoce. Trattato ancora, naturalmente, con formale cortesia. Convocato in Questura, il dott. Grappone gli rivolge molte domande, si informa della situazione e della conduzione del giornale d’istituto, gli chiede le ragioni di quell’inchiesta. Nient’altro. De Poli risponde, tranquillo, che si tratta di un problema attuale, moderno, che interessa la coscienza dei giovani, che in altri paesi di grandi tradizioni civili è normalmente dibattuto senza ipocrisie. L’articolo, spiega, riportava gli interventi registrati nel corso di una tavola rotonda con un gruppo di nove studentesse di cui, per correttezza, non riferisce il nome. Pausa domenicale il 27 febbraio, il 28 vengono convocati i redattori dell’inchiesta, Marco Sassano e Claudia Beltramo Ceppi. Specialmente dalla ragazza si vuol sa- pere se è d’accordo con quanto hanno dichiarato le sue compagne di scuola nell’intervista, e anche lei si rifiuta di fare dei nomi. A un certo momento le offrono una sigaretta, che non accetta. “Davvero non fumi?” le chiedono. “Allora non sei poi tanto viziosa come si potrebbe pensare leggendo il tuo giornaletto.” Il primo marzo il dott. Grappone ha un lungo colloquio col procuratore aggiunto Oscar Lanzi. Intanto, mentre la risonanza intorno al caso Zanzara è ancora molto circoscritta, si alternano manifestazioni di pubblica solidarietà e di pubblica deplorazione, queste ultime, per la precisione, sempre da una sola parte. Il 2 marzo la sezione milanese dell’Associazione nazionale studenti serali, ANSS, proclama per lunedì 7 uno sciopero di protesta e di solidarietà con gli studenti del “Parini”: gli studenti-lavoratori della provincia si asterranno dal frequentare la prima ora di lezione. Il 5 marzo l’Unione Cattolica Insegnanti Medi, sezione di Milano, concorda un documento, al termine di una riunione, in cui si precisa che “il diritto primario all’educazione spetta alla famiglia e che le associazioni d’istituto e le loro manifestazioni si riducono spesso ad espressioni aberranti o diseducative di singoli o di gruppi esigui che pretendono, data l’ufficialità delle associazioni, di rappresentare tutti gli studenti.” Ben presto si vedrà quanto “esigui” siano quei gruppi. Intanto che il magistrato studia attentamente il caso Zanzara per decidere o meno il rinvio a giudizio (ma lo deciderà, su questo non c’è alcun dubbio) dei “corruttori” del liceo Parini, un autentico colpo di scena conclude l’inchiesta aperta quattro mesi prima a carico di un altro gruppo di giovani, e di due anziani tipografi, imputati di aver stampato e diffuso manifestini sul problema de l’obiezione di coscienza e contro la guerra nel Vietnam. L’arresto, per tale tipo di reato, non è obbligatorio, ma il Procuratore Capo Carmelo Spagnuolo, che ha affidato, prima di lasciare la sede di Milano, l’inchiesta al dott. Gino Alma, ha instaurato in tanti anni un costume ben preciso. E la Procura di Milano, già sconfessata decine di volte dalle sentenze della magistratura giudicante, ma sempre irremovibile su posizioni di assoluta intransigenza quando si tratti di reati d’opinione, firma il mandato di cattura. Anche se poi essa stessa si concede qualche licenza procedurale quando i giovani, che do- vrebbero esser processati per direttissima entro cinque giorni dall’arresto, vengono citati in giudizio quindici giorni dopo. Un po’ di galera prolungata oltre il diritto non fa mai male per le teste calde. Così i carabinieri, nella notte fra il 9 e il 10, come s’usa fare per gli assassini più pericolosi, i rapinatori e gli sfruttatori di prostitute, suonano al campanello di undici famiglie per bene, aspettandosi, forse, chissà quale reazione a mano armata. Otto dei ricercati sono in casa e passano dal letto a S. Vittore fra l’angoscia dei familiari: Andrea Strik Lievers, 18 anni, studente liceale, suo fratello Lorenzo, 22 anni, studente di filosofia, Donatella Borghese, 21 anni, universitaria, Giovanni Zambardieri, 24 anni, impiegato, Luigi Metaldi, 26 anni, attrezzista della Scala, Luigi Mai, 17 anni, studente, Armando Fiorin, 66 anni, titolare della tipografia omonima in via Vignola 3, Vincenzo Cordani, 77 anni, presidente della SpA “A. Cordani” in via Donatello 36. Gli altri tre, pure colpiti da mandato di cattura, si trovano fuori casa: Piero Cardinali, di 22 anni, Giorgio Soragna, di 27 anni e Tullio Muraro, resistente a Monza. L’inchiesta si era aperta il 4 novembre del 1965, quando il Partito Radicale di Milano aveva diffuso fra la cittadinanza un volantino contro la violenza e la guerra e per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza (un diritto per il quale si sono battuti in numerosi convegni, articoli, conferenze o affrontando lunghi processi anche insigni studiosi cattolici e coraggiosi sacerdoti). Poi l’indagine si era ampliata agli inizi di febbraio quando alcune organizzazioni di estrema sinistra, dissidenti del PCI e perciò stesso fuori del gioco, delle indignazioni e delle difese (il Centro antimperialista milanese e la Lega marxista-leninista) avevano diffuso altri tipi di manifestini contro la guerra nel Vietnam. I reati contestati ai giovani e ai due vecchi tipografi sono due ed entrambi abbastanza gravi. Il primo (art. 266) riguarda l’istigazione di militari a disubbidire alle leggi o a violare il giuramento dato e comporta una pena da uno a 3 anni (da 2 a 5 se commesso pubblicamente). Il secondo (art. 656) punisce con l’arresto fino a tre mesi chi si rende responsabile di pubblicazione o diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose, atte a turbare l’ordine pubblico. Non c’è niente di più facile, pare, in Italia, che turbare questo sacrosanto ordine pubblico. Nella mattinata del 10 i legali dei “pacifisti” arrestati (gli avvocati Salinari, Boneschi, Malagugini, Sergio e Giuliano Spazzali) chiedono subito un colloquio con il procuratore aggiunto, dott. Oscar Lanzi, sollecitando spiegazioni sulla cattura notturna e relativa traduzione a S. Vittore dei loro assistiti. Cinque giorni di pausa nel “caso Zanzara,” che sembra ormai quasi dimenticato dalla stampa, ma si sa quanto siano impenetrabili gli uffici giudiziari (Oscar Lanzi, intanto, si apprende, ricevuto il rapporto conclusivo della polizia, rinvierà a giudizio per direttissima il preside e i tre ragazzi del “Parini,” oltre ad Aurelia Terzaghi, proprietaria della tipografia di via Boscovich 17 dove si stampa La Zanzara) e il giorno 17 marzo, per una notizia “incredibile” apparsa su tutti i giornali, l’ordine pubblico sarà finalmente davvero turbato. Non da manifestini, questa volta, o da libri o da conferenze. Il caso del “Panni,” finora circoscritto al mondo della scuola, agli antagonismi fra associazioni d’istituto e associazioni cattoliche dissidenti, conosciuto nei particolari da una minoranza di lettori assidui di quotidiani, quelli cui non sfuggono neppure i trafiletti su una colonna in cronaca; esplode improvvisamente in tutta la sua violenza, si trasforma in “affare” nazionale, dilaga sui giornali stranieri che solitamente dedicano qualche riga all’Italia per l’esito delle elezioni, mobilita giuristi, parlamentari, segreterie politiche, ministri, intellettuali, associazioni, autorevoli riviste letterarie, pedagogiche, teologiche, scatena correnti avversarie appena sopite nel seno stesso della magistratura, sospinge una lunga ventata di interesse in tutte le classi sociali, fra i bottegai, gli operai, gli impiegati, come soltanto le partite di scudetto, e mai fatti politici o di costume, da noi riescono a suscitare. Accade dunque che i tre redattori de La Zanzara, Marco De Poli, Marco Sassano, Claudia Beltramo Ceppi, vengono invitati nel pomeriggio del 16 marzo, nello studio del sostituto Procuratore della Repubblica. Pasquale Carcasio è un magistrato abbastanza giovane, un po’ pingue, pacioso, con gli occhiali e l’aria prelatizia, di modi ineccepibilmente corretti e discreti. Con un sorriso dice ai ragazzi: “L’avete combinata bella, non penserete per caso di passarla liscia.” Poi con tono già più brusco di voce: “Be’, chiuso per oggi, perché c’è qui il dottore e dobbiamo compilare la scheda minorile medica. Cominciamo da questo qui,” dice riferendosi a Sassano. “Escano gli altri due e tu togliti il pastrano.” Mentre la Beltramo, sconcertata da quell’inattesa richiesta, si precipita a telefonare al padre, De Poli, facendo qualche passo nel corridoio, scorge attraverso una delle finestre dell’ufficio di Carcasio, prima che il cancelliere accosti le tende, il suo compagno in piedi davanti alla scrivania, già in maniche di camicia. Il dottor Carcasio sa benissimo, per aver letto attentamente il fascicolo della polizia e aver studiato il caso come si conviene a un magistrato della sua scrupolosa meticolosità, che quei ragazzi “hanno capacità di intendere e volere,” che a scuola hanno buoni voti e De Poli addirittura 10 in condotta, ma poiché la legge, come pensa di interpretarla rettamente lui, gliene dà la facoltà (anche se non gli impone l’obbligo) li vuole ugualmente nudi davanti a sé. Come i teppisti, i ricattatori, i violenti da riformatorio per cui il legislatore ha consigliato la ricerca di eventuali tare fisiche o psichiche. Cosa importano i bei voti e l’ottima condotta? Incalzano le domande. Prima quelle normali di tutte le visite mediche, “varicella, morbillo, orecchioni?” Quindi, mentre il medico ausculta e palpa, l’interrogatorio per compilare la scheda. Con accenti d’ironia. Così lo raccontano i ragazzi. “Dato che scrivi queste cose, certo sei abituato a frequentare prostitute.” Sassano risponde secco di no. “Hai fatto mai la Wasserman?” “La... cosa?” “Wasserman. Be’, andiamo avanti. I tuoi genitori hanno mai avuto malattie veneree?” Un lampo di sdegno negli occhi del ragazzo, che crede di non aver capito bene. “Vivono insieme?” “Certo che vivono insieme.” “Mah! Sei ben denutrito. Evidentemente i tuoi genitori se ne fregano di te.” Quando Sassano esce, finendo ancora di ficcarsi la camicia nei pantaloni, col cappotto buttato sulle spalle ed entra De Poli (“Guarda che ti visitano a fondo” gli dice), ci sono davanti all’ufficio due giornalisti e un fotografo che gli chiedono particolari sull’”interrogatorio.” Intanto vede Claudia, in fondo al corridoio, che ritorna dopo la telefonata al padre. Le corre incontro, le racconta quel che è successo, lei gli dice che suo padre le ha proibito tassativamente di sottoporsi alla prova (il padre, intanto, telefonerà a Delitala e Delitala a Lanzi: un lungo colloquio). Mentre De Poli è dentro i due ragazzi chiacchierano con i tre giornalisti, esce il segretario (o il cancelliere: il terzo uomo, insomma, che era nell’ufficio del dott. Carcasio) e gironzola intorno al gruppetto. Che si allontana di qualche passo. Dopo la visita allo studente-direttore (“Hai malattie veneree? Ma sai cosa voglion dire?” - “Certo che lo so” “E già, con quel che scrivi!...”) esce dall’ufficio, dietro il ragazzo, il dottor Carcasio che, rivolgendosi alla Beltramo Ceppi, ingiunge, con cortese fermezza: “Adesso, signorina, tocca a lei.” “No” replica Claudia, e i giovani compagni, mettendosi davanti alla porta: “No, la ragazza non entra.” Il dott. Carcasio insiste, dice che è assolutamente necessario per la compilazione della scheda, ma Claudia e i ragazzi non cedono. “Va bene” fa il magistrato “allora telefoniamo a suo padre” ed entra nell’ufficio insieme alla Beltramo Ceppi. De Poli e Sassano vedono attraverso una delle finestre dell’ufficio la ragazza e il magistrato che parlano, poi il magistrato che telefona. Il padre di Claudia, si saprà in seguito, ribatte il suo no deciso alla visita e il dottor Carcasio, allora, ordina a Claudia di ritornare il giorno dopo, accompagnata dalla madre. Quindi, uscendo e congedando i tre ragazzi: “Bene, i vostri genitori se ne impippano di voi, perché non vi hanno neanche accompagnato.” A parte il fatto che l’invito era formulato molto laconicamente su un foglietto dattiloscritto e diceva: “La preghiamo di comparire il giorno 16 marzo nell’ufficio del sostituto procuratore dott. Carcasio per fatti inerenti alla giustizia.” Non accennava né alla visita né alla necessità che i tre fossero accompagnati dai familiari. I ragazzi escono dal Palazzo di Giustizia avviliti, umiliati e si recano subito nello studio dell’avv. Sbisà, difensore del Sassano, che, ascoltando tutta la storia, si mostra esterrefatto. In quarant’anni di carriera, dice, non gli era mai capitato un fatto del genere. La sera stessa, naturalmente, i difensori degli studenti rilasciano due dichiarazioni sull’atteggiamento della Procura ai cronisti che li assediano per aver con- ferma del singolare provvedimento. La visita per la compilazione della cosiddetta scheda minorile, spiega il prof. Delitala, è prevista effettivamente da una vecchia circolare fascista (n. 2326 del 21 settembre 1933) la quale prevede che una colonna del modulo debba essere riempita da un medico in concorso con il magistrato. Tale circolare, però, aggiunge l’illustre penalista, è da ritenersi annullata dall’articolo 13 della Costituzione, per cui la libertà personale è inviolabile e non è ammessa alcuna ispezione personale se non per atto motivato dall’autorità giudiziaria nei modi voluti e previsti dalla legge. Per questo motivo il dott. Pasquale Carcasio, per procedere alla compilazione della scheda, avrebbe dovuto stendere un atto motivato soprattutto per spiegare a che cosa gli serviva “un esperimento del genere” in riferimento a un reato squisitamente di stampa. La circolare del 1933, tramutata successivamente in legge, e i riflessi su di essa della Costituzione repubblicana saranno successivamente approfonditi prima e durante il processo. Il prof. Alberto Dall’Ora, da parte sua, annuncia un ricorso alla Procura Generale della Repubblica “per tutti i provvedimenti del caso in relazione alla violazione patente dei diritti e della dignità del cittadino, non essendo lecito riesumare norme che risalgono al tempo fascista e che sono state travolte dalla lettera e dallo spirito della Costituzione.” In serata, una novantina di insegnanti delle scuole medie superiori milanesi inviano al Provveditore agli Studi un documento (App. 4) in cui, riferendosi al caso del liceo “Parini,” esprimono apertamente il loro parere favorevole a una libera circolazione dei giornali studenteschi di istituto. “I giovani studenti - riporta fra l’altro il testo hanno oggi una serietà che è ignota a molti adulti e una consapevolezza dei problemi che sarebbe stolto voler soffocare.” Il che è verissimo, e basta parlare con qualsiasi liceale per accorgersi dell’abisso di serietà che li divide dai coetanei d’un tempo. Ma i giornaletti d’allora, le battute a doppi sensi, le caricature dei professori, le vignette maliziose, l’assenza totale di qualsiasi argomento politico o sociale, attuale o scottante (sia pure trattato con la giovanile inesperienza dell’inchiesta su La Zanzara) il goliardismo qualunquista da quattro soldi non portavano certo i compilatori, guar- dati dagli adulti con occhio indulgente, sul banco degli imputati. Lo “scandalo” dilaga, i giornali, anche quelli che non hanno approvato la crudezza di linguaggio dell’inchiesta de La Zanzara, sono ormai quasi tutti schierati dalla parte degli studenti del “Parini.” Lo “spogliarello” in Procura, come ormai viene definita la visita a sorpresa di De Poli e Sassano e la mancata visita della Beltramo Ceppi, ha indignato l’opinione pubblica, la stampa e - come vedremo nei giorni seguenti - gran parte della magistratura. Mai s’era visto in Italia un simile fronte tanto compatto a difesa della Costituzione. Forse anche perché si trattava di una difesa facile, di principi generali, ovvi, comunemente accettati, e la politica, per il momento, restava nelle retrovie. Il Procuratore Oscar Lanzi deve aver avvertito questa ondata di ostilità montante, deve aver letto le centinaia di fogli più o meno importanti ammonticchiati sul suo tavolo di lavoro, qualche espressione irriguardosa -o anche qualche interpretazione giuridica inesatta, e così, per le 5 del pomeriggio di giovedì 17 marzo convoca una conferenza stampa che si risolve - come scrive anche Giornalismo, organo dell’Associazione Lombarda dei Giornalisti in un lungo monologo-stampa. Eccezionale l’avvenimento, tuttavia, se si pensa al riserbo consueto dei magistrati durante la fase istruttoria d’un processo. Alto, quasi calvo, dal volto abbronzato, dai sottilissimi e curatissimi baffetti alla Douglas Fairbanks sotto il grosso naso, il dottor Oscar Lanzi comincia a parlare con studiata pacatezza, di fronte a una piccola folla di cronisti. “Le notizie apparse sui quotidiani - dice - circa il procedimento penale a carico. del professor Mattalia e dei tre studenti De Poli, Sassano e Beltramo, e in particolare circa la compilazione della scheda degli imputati minori disposta da questa Procura, rappresentano una realtà deformata, alterata e male interpretata.” Detta lentamente, come un maestro, il testo che ha lungamente meditato (prima non aveva voluto che qualche giornalista prendesse appunti). “L’obbligo per il giudice e per il P.M. - continua - di procedere alla compilazione della scheda nei confronti di imputati minorenni senza particolari formalità discende dall’articolo 11 del RD 20 luglio 1934 n. 1404, modificato dal RD legge I1 novembre 1938 n. 1802, convertito nella legge 16 gennaio 1939 n. 90, legge 25 luglio 1956 n. 888 e legge 27 dicembre 1956 n. 1441. Detto articolo recita: ‘Nei procedimenti a carico di minori, speciali ricerche devono essere rivolte ad accertare i precedenti familiari e personali dell’imputato, sotto l’aspetto fisico, psichico, morale e ambientale. Il PM, il Tribunale e la sezione della Corte d’Appello possono assumere informazioni e sentire pareri di tecnici senza alcuna formalità di procedura, quando si tratti di determinare la personalità del minore e la causa della sua irregolare condotta. Appaiono pertanto ingiustificate e gratuite - scandisce solennemente Oscar Lanzi le allarmistiche interpretazioni e i minacciati ricorsi riportati dalla stampa come formulati da noti avvocati, ammesso che il pensiero di tali illuminati professionisti sia stato fedelmente riportato dai redattori degli articoli pubblicati. Appare opportuno far conoscere come questo ufficio, tenuta presente la minore età dell’imputata Claudia Beltramo, constatato che quest’ultima si era presentata senza essere accompagnata dai genitori, ha provveduto a interpellare telefonicamente il padre della minore pregandolo di riaccompagnare la ragazza o di farla accompagnare dalla mamma per il giorno successivo a quello in cui l’imputata si era presentata.” Tutto uno scandalo, dunque, nato da una realtà “deformata, alterata e male interpretata” dai giornalisti. Ma subito, il 17 sera, il prof. Delitala risponde chiaramente alla conferenza-monologo di Oscar Lanzi. “L’invocato articolo 11 della legge sul Tribunale dei minorenni - dice - ammette soltanto sommarie indagini per stabilire le capacità di intendere e di volere dei minorenni sottoposti a giudizio penale, e non visite mediche vere e proprie. Principio confermato dalla Cassazione. Il tipo di indagine adottato, invece, è previsto soltanto dalla circolare illiberale del 21 settembre 1933, firmata dall’allora ministro di Grazia e Giustizia De Francisci, che disponeva visite mediche, ma soltanto per soggetti traviati. Tale circolare, perciò, deve ritenersi superata dall’art. 13 della Costituzione che dispone come nessun cittadino possa essere sottoposto a ispezione corporale senza motivato provvedimento della stessa autorità giudiziaria.” Nella stessa giornata del 17 viene indirizzato alla Procura della Repubblica e trasmesso per conoscenza al Presidente Saragat, un esposto del prof. Dall’Ora: “Eccellentissimo signor Procuratore Generale, in data di ieri, in Milano, è avvenuto un fatto che per la sua gra- vità sembra meritare l’immediato e fermo intervento di codesto onorevole ufficio.” Dopo aver raccontato con dovizia di particolari, così come del resto era stato riferito dalla stampa, lo “spogliarello” nell’ufficio del sostituto Procuratore Carcasio, il prof. Dall’Ora continua: “Incredibile che ciò possa accadere nel 1966, dopo tanti anni dall’andata in vigore della Costituzione e in una città come Milano, in un paese che si ritiene civile.” Il penalista prosegue nel sua esposto parlando di “fatti degradanti,” di “inutile, vessatoria mortificazione, anche più grave se si tien conto che esso è accaduto in relazione a una procedura che ha per oggetto il giornale studentesco e che già appaiono discutibili le ragioni dell’eventuale incriminazione per reato di stampa, posto che ‘ictu oculi,’ nessun carattere di oscenità è dato ravvisare nello stesso giornale.” I ragazzi del “Parini” non sono soli. Intorno a loro c’è una vera sollevazione dell’opinione pubblica. L’inchiesta giornalistica de La Zanzara un po’ maldestra o incauta o acerba secondo la si vuol definire, sembra ormai dimenticata, si muovono partiti, deputati, associazioni, si sente che sono in gioco valori fondamentali di civiltà e di costume democratico. Ed è un fatto significativo che soltanto il MSI neghi una sia pur minima parte di solidarietà o di indulgenza (concessa da molti giornali cattolici) agli studenti del “Parinf” e concordi pienamente con i provvedimenti della Procura. Il 17 stesso, così denso di avvenimenti e di notizie, le segreterie provinciali del PSI e del PSDI concordano una dichiarazione (App. 5) e inviano telegrammi di protesta al Presidente della Repubblica, al Presidente del Consiglio, al Vicepresidente Nenni, al Guardasigilli Reale, al Presidente della Commissione Giustizia della Camera Antonio Greppi. Da parte sua il Consiglio Superiore della Magistratura delibera di “assumere immediate informazioni circa i fatti denunciati e in particolare circa le modalità dell’intervento del sostituto procuratore relativamente alle ispezioni personali.” Chi dovrà fornire le notizie, richieste telegraficamente, è lo stesso Procuratore Generale di Milano Piero Trombi: un preparatissimo e rigido magistrato della “vecchia guardia,” arrivato a Milano nel 1961, superiore ideale, per tanti anni, di Carmelo Spagnuolo. Intanto alla Camera il sottosegretario agli Interni, Leonetto Amadei, dichiara che il fatto, così come è stato riferito dalla stampa, esce talmente dalla norma da apparire incredibile. “Se fosse vero, il magistrato avrebbe palesemente e gravemente violato la norma di procedura penale e, quel che è più grave, un principio fondamentale della Costituzione. Che siano graditi o no, i principi costituzionali devono essere osservati da tutti, in particolare dai pubblici poteri e soprattutto dai magistrati che usufruiscono d’un’amplissima discrezionalità non sempre controllabile e contenibile...” Incredibile quanto sta succedendo a Milano anche per il socialista Ballardini, presidente della Commissione per gli Affari costituzionali. “È chiaro - dice - che la parte più retriva della magistratura italiana si sottrae al rispetto della Costituzione e viola in modo clamoroso i diritti elementari dei cittadini.” L’on. Bozzi, del PLI, afferma che le pubblicazioni scolastiche sono, più che utili, necessarie quali strumenti dialettici di formazione della coscienza morale e civile dei giovani. Ferruccio Parri afferma: “La cosa mi indigna profondamente. Casco dalle nuvole per l’ingiunzione del magistrato. Se ha un’intenzione provocatoria non può non essere riprovata nel modo più categorico.” Davide Lajolo, del PCI, chiede chiarimenti “affinché la famiglia e gli studenti siano rassicurati sul costume democratico all’interno della scuola.” Altre interrogazioni vengono presentate alla Camera dagli onorevoli Cacciatore, Basso, Alimi e Naldini del PSIUP. La Costituzione è dovunque invocata, richiamata, additata: non si credeva che il suo spirito fosse così profondamente radicato nella coscienza dei cittadini. Liberali e comunisti, questa volta (in cui la politica è dissimulata dietro un problema di costume) possono ancora cimentarsi a difenderla insieme. I quotidiani grandi e piccoli, di Milano, Torino, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Palermo, dei cento capoluoghi di provincia italiani dedicano ormai colonne e colonne di piombo con titoli su cinque, sei, sette colonne o a tutta pagina al caso Zanzara, seguendo ora per ora gli avvenimenti, registrando lo stupore, lo sbigottimento, l’indignazione per gli uni o per gli altri, il turbamento dell’opinione pubblica. Venerdì 18 marzo, vigilia di S. Giuseppe, con relativo “ponte” per scuole e pubblici uffici. Il telefono squilla inutilmente nella casa di Marco De Poli, direttore de La Zanzara. Un vecchio, vasto appartamento pieno di libri, di pubblicazioni e riviste disseminate fra i tavoli, di quadri moderni, alcuni importanti, e di mobili misti, un po’ d’antiquariato, un po’ di tradizionale rispettabilità borghese. Il ragazzo è partito con il suo compagno di incriminazione, Marco Sassano, per il villaggio turistico “La Francesca” vicino a Bonassola. Anche Claudia Beltramo Ceppi si è allontanata da Milano, dopo il rifiuto a sottoporsi all’ispezione corporale davanti alle lenti del giovane magistrato oltre che sotto l’occhio esperto del medico. Non subirà, dunque, l’onta di quello “spogliarello” richiesto dall’interpretazione “gretta e formalistica” - come ha detto Delitala - “di una norma illiberale” nata in ben altro clima politico e destinata del resto a ben altri tipi di ragazzi “traviati.” Si è presentato ieri al Palazzo di Giustizia il padre, dottor Marco Beltramo Ceppi, direttore di una società pubblicitaria e già vice questore di Milano dopo la Liberazione, convocato appunto dal magistrato. Il colloquio è durato circa mezz’ora . Pare che gli sia stato chiesto nuovamente se accondiscendeva a quell’interrogatorio particolare della figlia per la compilazione di questa benedetta scheda minorile e che abbia risposto: “Non parliamone neanche.” Continua intanto la polemica, sempre più aspra, fra i difensori dei tre studenti e la Procura, soprattutto nella persona del Procuratore aggiunto Oscar Lanzi, quello che ieri ha tenuto la conferenza-monologo rilasciando le sue dure dichiarazioni sull’interpretazione “allarmistica” (aggettivo quant’altri mai carissimo nel corso dei secoli ai benpensanti) data dalla stampa all’interrogatorio “particolare” e agli interventi degli “illuminati professionisti.” I quali “illuminati” ribadiscono parola per parola il loro pensiero così come riportato dalla stampa che l’aveva rettissimamente interpretato. Anzi, il prof. Delitala, in aperto contrasto con quanto dichiarato dal dott. Lanzi, insiste sul fatto che Claudia non era stata affatto spontaneamente invitata dal sostituto procuratore - quasi meravigliato che non fossero presenti - a telefonare ai propri genitori per la visita “di controllo.” La ragazza era stata fatta solo uscire momentaneamente dall’ufficio e, sapendo la sorte che l’attendeva, corse di sua iniziativa a telefonare al padre e quindi, per consiglio dello stesso Delitala, si rifiutò decisamente all’umiliante “prova.” Esiste dunque, da oggi, una totale divergenza fra la posizione ufficiale della Procura e quella dei difensori non soltanto in linea di diritto ma anche di fatto. Per il prof. Carlo Smuraglia, difensore col Dall’Ora del De Poli, la ragazza e i ragazzi erano assolutamente impreparati al genere di interrogatorio che li attendeva. Erano stati convocati con quel semplice invito dattiloscritto a presentarsi in Procura. Se Claudia ha deciso di andarsene e di telefonare al padre, i ragazzi che non sapevano di potersi rifiutare all’esperimento imposto dalla circolare fascista (ma solo ammesso dalla successiva legge), sono stati invece sottoposti alle “speciali ricerche” consigliate per i ragazzi traviati. Quali segni di traviamento fisico o psichico e di tare familiari si proponesse di scoprire il magistrato sui corpi nudi dei due giovanetti è piuttosto difficile da capire. Anche da parte di coloro che, in principio, non avevano del tutto approvato l’inchiesta del giornaletto e le risposte troppo disinvolte di alcune intervistate. Forse credeva di vedervi tatuate le frasi più oscene? Eppure appariva certo a chiunque avesse preso in mano una sola volta La Zanzara che lo scopo dell’inchiesta (perché questo è il punto del reato: l’intenzione patente di oscenità) non era né immorale né goliardicamente sconcio e malizioso. E del resto, per rendersi conto della personalità dei ragazzi, senza bisogno di denudarli, bastava pensare agli altri problemi trattati da La Zanzara: la religione nella civiltà contemporanea, la pace del mondo, la libertà del cittadino, eccetera. La scuola “formativa,” insomma, che tanto vanno raccomandando le circolari ministeriali, al posto della scuola nozionistica che l’Italia ha avuto per almeno un secolo. Senza dire che anche i temi di Marco De Poli dimostrano l’estrema serietà del ragazzo “da riformatorio,” la sua maturità intellettuale e la sua preparazione non meramente scolastica. Vincitore di numerose borse di studio, collazionatore di altissimi voti in tutte le materie, smilzo, occhialuto, potrebbe sembrare il tipico primo della classe se la definizione non sembrasse poco simpatica: perché invece è simpatico, moderno, parla tre lingue, si interessa di sociologia, ha l’hobby” del giornalismo, studierà filosofia delle scienze, e in più gioca anche a tennis. La sua professoressa di italiano, Maria Teresa Rossi, lo considera un allievo eccezionale ed è stata lei a farsi promotrice del comunicato di protesta sottoscritto dagli insegnanti delle medie superiori milanesi. Meno grave e meditativo, ma forse più vivace e “temperamentale,” è Marco Sassano, figlio di Fidia il giornalista, bravissimo nelle materie classiche, meno diligente nelle altre: il che dimostra una scelta, un orientamento precisi, non la volontà di essere il primo della classe a tutti i costi. Si interessa molto di cinema e con la sua macchina da presa ha girato molti film sperimentali, per lo più di intonazione surrealista. E legge moltissimo, a qualsiasi ora e in qualsiasi occasione della giornata. Claudia Beltramo Ceppi ha 17 anni anche lei, frequenta la seconda liceale, è primogenita di tre fratelli, è una ragazza aperta, leale, sincera, anticonformista con moderazione, di una bellezza sana, pulita, che ispira subito simpatia. È appunto il contrasto quasi grottesco tra la personalità dei tre ragazzi e la gravità di un’ispezione corporale che lo stesso spirito della legge fascista aveva previsto, in fondo, per i soggetti traviati, che ha colpito maggiormente la sensibilità dell’uomo della strada, ne ha suscitato l’indignazione, gli ha insinuato il dubbio che qualcosa, negli ordinamenti del nostro Paese non andava, che la legge potesse anche essere stata fraintesa, che, insomma, ci fosse “del marcio in Danimarca.” La stampa periodica, stimolata dall’avvenimento, si sente spinta a indagare sull’ambiente scolastico di questi giovani, sul “liceo dello scandalo,” compiendo sondaggi fra gli allievi. Cosi si viene a sapere che il 56 per cento degli studenti del “Parini” si occupa di politica con un certo impegno, anche se soltanto meno di uno su cinque di loro ritiene opportuno iscriversi ad un partito, che un po’ tutti considerano “inadeguate e forse storicamente superate” le strutture dei vari partiti, che la quasi totalità di loro avversa il fascismo e giudica positivamente l’opera di Giovanni XXIII e del Concilio benché manifestino qualche disagio per i criteri con cui viene impartito l’insegnamento religioso. Dai sondaggi escono anche informazioni curiose: per esempio si viene a sapere che il “pariniano medio” ogni cento lire di cui dispone ne spende 40 per i dischi, 30 per il cinema e le sigarette, 15 per i libri e giornali. Pochi, in verità, i gior- nali letti, e quasi sempre diversi da quelli del padre. Si vede benissimo che non è proprio il caso di pensare al “Parini” con apprensione. In un ampio servizio su Epoca, Giuseppe Grazzini riassume e commenta numerosi dibattiti promossi dal settimanale a Milano, a Torino e in altre città ai quali sono intervenuti studenti di diversi istituti, di diversa età, di diverse estrazione sociale, di diversa opinione politica. Si parla, naturalmente, del caso Zanzara e i punti di vista sono contrastanti: c’è chi sostiene l’inchiesta del giornale del “Parini,” chi la giustifica, chi la respinge. E si parla di altri argomenti riguardanti la vita sociale dei giovani, i giornali d’istituto ma anche l’insegnamento, la disciplina, le associazioni, il tempo libero, le vacanze. “Alla base di questi problemi - scrive l’articolista - c’è il metodo della nostra scuola di Stato: `La Scuola è neutralista e come tale tende semplicemente a informare. A noi non basta. Noi vorremmo diventare degli uomini capaci di formulare un giudizio: e invece siamo soltanto delle memorie. Memorie che durano appena quanto è necessario, fino a quando abbiamo preso il voto. Ci danno da imparare dieci cose, riusciamo a dimostrare di ricordarne sei, gabbiamo la sufficienza e tutto va bene. A che cosa serve tutto questo?’ Questa critica è forse l’unico punto sul quale abbiamo incontrato una totale concordia.” Le reazioni dell’uomo della strada e le opinioni qualificati di uomini di legge, di scienza, di cultura su tutta la faccenda cominciano a finire sui giornali in attesa degli sviluppi giudiziari della vicenda. Fra i primi, Il Giorno, in data 19 marzo, pubblica interviste di cui è interessante riportare qualche passo più significativo. II Prof. Pietro Nuvolone, per esempio, ordinario di diritto penale all’Università di Pavia, dopo avere acutamente analizzato se esista o meno il contrasto, dato per certo da tutti i difensori, fra l’articolo 13 della Costituzione e l’articolo 11 della legge minorile del 1934 invocato dalla Procura (“io sarei molto cauto nell’affermare che la norma costituzionale escluda la legittimità dell’altra dal momento che, per esempio, l’articolo 13 della Costituzione non esclude altre leggi in materia di prevenzione sociale...”) conclude affermando che si tratta di vedere se la legge sui minorenni possa essere considerata applicabile ai particolari reati addebitati ai tre ragazzi del “Parini.” Che è, in fondo, proprio il dubbio che assilla l’uomo della strada. “Per quanto la legge minorile - prosegue Nuvolone non distingua quando si debba procedere a ispezione medica, mi sento senz’altro di affermare che il legislatore non ha voluto generalizzare bensì limitare l’applicazione nei casi con spiccata tendenza a delinquere, nelle ipotesi, cioè, di delitti classici, naturali e non di reati d’opinione come quello di cui si discute che è tipico reato di stampa... La legge d’altro canto parla di esami di carattere medico e non d’ispezioni corporali. Al massimo, dunque, i tre giovani imputati avrebbero potuto essere sottoposti a esami psicologici.” La psicanalisi dà la carica polemica e, per qualcuno, provocatoria nella risposta del professor Franco Fornari. “Mi sono posto il problema di cosa voglia dire tutto ciò. Presso i popoli primitivi vengono praticati riti d’iniziazione che sono dei veri e propri maltrattamenti contro gli adolescenti... Mi sono domandato se per caso, in questa reazione così clamorosa di fronte al fatto che alcuni adolescenti abbiano osato, così pubblicamente, ma con tanta pulizia morale e schiettezza, affrontare problemi di carattere sessuale, vi siano radici di questo tipo come reazione, sia pure inconscia, intimidatoria a una volontà di umiliare dei giovani che si affacciano alla vita. Anche nella visita medica ordinata dal magistrato, ci doveva essere un certo riserbo. Invece pare di esser rimasti fermi al Lombroso, alla scuola naturalista. Quando la coscienza umana ha la sensazione di un abuso, è lecito pensare che, in chi lo pratica, esistono allo stato inconscio elementi di colpa che egli proietta nel presunto reo come per punire se stesso. Conseguenza di inibizioni, di pressioni autoritarie, magari paterne, che ne compressero le manifestazioni sessuali. “Ora, se i popoli primitivi adottano i riti cui prima ho accennato per soffocare la sessualità infantile, per sciogliere i legami dell’adolescente con la madre, il moralismo non ha altro scopo che intimidire nell’adolescente un’attività essenziale alla sua esistenza. Tende cioè a intralciare la sua ricerca di un oggetto sessuale adulto, premessa, del resto, per la formazione di un suo nucleo familiare. Di qui il disagio della nostra cultura, l’imbarazzo ad affrontare certi problemi, la mancanza di istituzioni sociali che definiscano in modo sereno il pro- blema. L’adolescente, così, da una parte riceve tutta una serie di sollecitazioni da una civiltà di consumi che fa leva sugli stimoli sessuali, dall’altra è costretto a subire ogni sorta di frustrazioni. La preoccupazione della nostra società, perciò, dovrebbe consistere in una effettiva educazione sessuale dei giovani.” Assai esplicito contro l”‘etica bugiarda” il prof. Riccardo Bauer, presidente della Società Umanitaria. “Non riesco a comprendere perché dei giovani dabbene debbano essere minacciati di gravi sanzioni solo perché hanno mostrato di volere, alla luce del sole, discutere problemi che li toccano in profondo e che in passato, nell’atmosfera di ipocrisia e di stupido conformismo, erano lasciati agli equivoci ‘chuchotements’ dei peggiori compagni o alle più torbide esperienze... Quanti credono di imporre ai giovani una sana disciplina mentale e morale, minacciandoli di sanzioni quando cerchino di evadere liberamente e sinceramente dalle soffocanti muraglie di un’etica bugiarda, sono dei diseducatori, e il fatto che contro gli allievi del `Parini si sia scatenata la pruderie di cosiffatti tutori è triste indice dello stagnare nella vita italiana di tendenze che nemmeno dirò di cieco conservatorismo ma semplicemente ottuse, e della assenza di un profondo senso della libertà proprio nelle generazioni che ai giovani dovrebbero essere di esempio e di guida...” Conciso ma tutt’altro che laconico nell’esprimere il suo giudizio sull”‘ispezione corporale,” il prof. Caio Mario Cattabeni, rettore dell’Università di Milano: “La circostanza che rende più perplessi non è tanto il fatto in sé che un minorenne di età compresa tra i 14 e i 18 anni venga interrogato ed esaminato da un medico per la compilazione della cosiddetta ‘scheda minorile in caso di procedimento penale, quanto le modalità con le quali si sarebbe adempiuto a tale incombenza.” Padre Mario Merlin, rettore dell’Istituto Leone XIII, distingue in due categorie i difensori della libertà che hanno fatto sentire così plebiscitariamente in questi giorni le loro voci. Rivolgendosi ai difensori buoni, “sinceri,” dice: “Andiamo piano con un’esaltazione a oltranza di questo sommo valore umano. I giornali studenteschi sono espressione di giovani ancora in formazione. La scuola vuol formare e non solo istruire, e ha quindi il dovere di controllare e intervenire quando l’esuberanza giovanile porta ad affermazioni in se stesse riprovevoli e certamente dannose per gli altri sprovveduti che leggono il giornale con semplicità. Resta sempre vero che non tutto il male vien per nuocere, e questa zanzara fuori stagione ci ha ricordato l’importanza di una educazione sessuale positiva, non fatta di proibizioni soltanto, ma di una visione serena dei piani di Dio sul destino umano. Ricordo a questo proposito una pastorale dell’episcopato tedesco, uscita da pochi mesi, in cui si affermano con coraggio criteri di educazione positiva alla castità.” Anche il Corriere d’Informazione pubblica numerose interessanti interviste con docenti, uomini di cultura, giornalisti, poeti, scrittori. Intanto, la sera del 18 marzo, l’Ordine degli avvocati e dei procuratori di Milano, il Sindacato avvocati e procuratori, il Comitato dei procuratori legali inviano alla stampa un vibrante ordine del giorno di protesta in cui “facendosi interpreti del grave allarme suscitato fra i cittadini da recenti iniziative prese dalla locale Procura della Repubblica con particolare riferimento agli arresti di studenti e tipografi per reati che non comportano obbligatoriamente la detenzione... esprimono la loro ferma protesta per l’insistenza del nominato Ufficio nel perseguire, con tanto accanimento e rigore, attività che possono rientrare nella libera manifestazione del pensiero.” Non solo, ma conoscendo evidentemente la maretta che da tempo preannuncia tempesta in campo “avverso,” confidano “che le associazioni dei magistrati che si sono dimostrati sempre sensibili alla rigorosa interpretazione della Costituzione” vorranno aderirvi; decidendo quindi di inviare tale o.d.g. al Consiglio Superiore della Magistratura, al Ministero della Giustizia e al Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Milano. A proposito del Consiglio Superiore della Magistratura, va ricordata una dichiarazione piuttosto polemica, nella sua forma ossequiosa, del prof. Carlo Smuraglia, difensore del De Poli, il giorno prima, il quale, lodando apertamente la tempestività dell”‘invocato” intervento, lamentava tuttavia il modo con cui tale inchiesta sarebbe stata condotta, data la delicatezza del caso: rivolgendosi cioè per informazioni al Procuratore Generale dott. Piero Trombi. “Dati i rapporti gerarchici esistenti nell’ufficio del PM e dato il tenore della conferenza stampa tenuta giovedì 17 dai dott. Oscar Lanzi, è fatalmente prevedibile quali saranno le informazioni che giungeranno al Consiglio Superiore della Magistratura.” Il quale, sempre secondo il prof. Smuraglia, avrebbe dovuto mandare a Milano un inviato per espletare un’indagine prudente e accurata, ascoltando la voce di tutte le parti interessate. Il week-end di S. Giuseppe ha fatto segnare una pausa nella vicenda processuale dell’”affare Parini.” Il Palazzo di Giustizia è deserto, chiuso l’ufficio del sostituto Procuratore Carcasio, assenti Oscar Lanzi, promotore dell’inchiesta giudiziaria, e il Procuratore generale Trombi. Per lunedì 21, è atteso l’arrivo a Milano del nuovo Procuratore Capo Enrico De Peppo, in sostituzione di Carmelo Spagnuolo, il cui posto è vacante da tempo. Si smentisce che l’arrivo, deciso tuttavia così “tempestivamente,” sia da mettere in relazione al “caso Zanzara.” Tacciono i magistrati in vacanza, si muovono invece gli uomini di cultura, i professionisti, gli artisti, con ordini del giorno, incontri, dibattiti. Una lettera di protesta al Presidente Saragat, ai presidenti delle Camere, al presidente del Consiglio, ai ministri, ai magistrati, è stata presentata e fatta sottoscrivere da numerosi intellettuali, dall’architetto Cesare Mercandino. In essa, denunciando l’accaduto, si ravvisa “nella eccezionale evidente sproporzione tra i reati contestati, i fatti di cui si discute e la procedura sin qui seguita, un attacco contro la libertà di associazione e di stampa dei giovani studenti della scuola di Stato.” E si protesta “per il grave attentato alla libertà e alla democrazia che ha trovato nell’intolleranza di pochi genitori la sua origine e in leggi dimenticate e superate un iniquo sostegno.” Seguono un centinaio di firme, da Mario Bonfantini a Gianandrea Gavazzeni, da Achille Cutrera a Guido Piovene, da Mario Soldati a Camilla Cederna, da Enrico Emanuelli a Filippo Sacchi, da Giorgio Bocca a Raffaele De Grada, Carlo Cavallotti, Giuseppe Aimone. Paolo Grassi, Franco Fortini, Giò Ponti, Umberto Segre, Aldo Aniasi, Orazio Mottola, Leonardo Borgese, Giansiro Ferrata, Dino Origlia, Maurizio Chierici, Sergio Turone, Claudio Rise, Franco Momigliano, Ernesto Treccani, Cesare Musatti, Rodolfo Margaria, Guido Aristarco eccetera. Un altro autorevole appello al Governo e alle Autorità italiane è presentato da Giangiacomo Feltrinelli e sottoscritto, oltre che dai nomi pi ù importanti di tutta la cultura italiana, da migliaia e migliaia di cittadini, giovani, studenti, operai, impiegati, professionisti, presso le Librerie Feltrinelli di Milano e di Roma, ogni giorno dalle 9 alle 20 per tutti i mesi di marzo e aprile. L’adesione all’appello di Feltrinelli (App. 6) in cui si manifesta “preoccupazione e allarme per il susseguirsi dei gravi fatti e delle gravi misure prese dagli organi ufficiali di polizia e della Procura della Repubblica in merito ai ben noti avvenimenti che hanno coinvolto i giovani redattori de La Zanzara del liceo “Parini” nonché i giovani recentemente arrestati per la distribuzione di manifestini in difesa della pace” è addirittura plebiscitaria. Si riempiono rapidamente di firme grossi volumi e in certe ore la folla fa la coda, davanti alla libreria, come per compiere un dovere civile. Sempre durante il week-end di S. Giuseppe, si svolge un pubblico dibattito serale nell’Aula Magna dell’Università sul tema “Codici penali e libertà civili” organizzato dal Comitato per le libertà civili con la partecipazione dei professori Origlia e Smuraglia, degli avvocati Spazzali e dell’on. Arialdo Banfi: vi si parla de La Zanzara, ma vi si parla anche dell’arresto notturno dei giovani accusati della diffusione di manifestini antimilitaristi, quasi dimenticati nel clamore suscitato dalla vicenda del Liceo “Parini.” L’intervento del prof. Bressan, rappresentante di uno dei gruppi politici “cinesi,” dopo i calorosi consensi iniziali, provoca una specie di sollevazione di una parte non trascurabile dei convenuti. Si capisce chiaramente che molti propensi a sostenere fino in fondo la causa dei “pariniani” non sono disposti a legare la loro solidarietà alla causa dei giovani incarcerati per la diffusione dei volantini pacifisti (i radicali) e “antimperialisti.” Lunedì 21 marzo accade il fatto più clamoroso, dopo la famosa “visita,” in tutta questa vicenda de La Zanzara: scoppia il conflitto, da tempo latente in seno all’Associazione Nazionale Magistrati (che dovrebbe contrapporsi all’UMI, l’Unione Magistrati Italiani, teoricamente più “conservatrice,” alla quale aderiscono i magistrati di grado superiore) e la corrente più agguerrita, pugnace e numerosa, quella di “Magistratura democratica,” appoggiata in gran parte dalle forze di “Terzo potere,” dà battaglia in campo aperto alla corrente minoritaria, ma anch’essa assai agguerrita, di “Magistratura indipendente,” rappresentante, se una così approssimativa esemplificazione è possibile, della destra dell’Associazione. La sezione di Milano dell’ANMI, dunque, si riunisce in assemblea nell’Aula Magna. del Palazzo di Giustizia: un’assemblea formalmente ordinaria, convocata già da alcuni giorni, in realtà riunitasi per rispondere all’invito (di aderire alla loro protesta) rivolto genericamente alla Magistratura nell’ordine del giorno formulato il 18 marzo dagli ordini forensi. Un’assemblea tumultuosa, carica di elettricità, tutt’altro che in stile con la severa liturgia dei dibattimenti processuali di cui i magistrati sono così gelosi e rigorosi sacerdoti. Un fatto nuovo, vorremmo dire, nella storia del nostro Paese, un fatto positivo, confortante, che dimostra come certi problemi essenziali di civiltà, di costume democratico, di nuovi orizzonti del diritto siano profondamente e quasi angosciosamente sentiti da una categoria circondata finora di astratto rispetto, considerata composta di intoccabili divinità. “Sentiamo una marea di sfiducia salire dal Paese verso di noi!”, “Non siamo dei tabù!”, “Non ricerchiamo la protezione dal vilipendio!” Mai prima d’ora s’erano sentite simili dichiarazioni uscire dalla bocca di un magistrato. Discussa a lungo la legittimità o meno dell’inserimento, da parte della Giunta, del “caso Zanzara” nell’ordine del giorno già da tempo inviato agli associati, accettato infine con 68 voti favorevoli e 13 contrari il punto di vista della Giunta (senza entrare nel merito del caso giudiziario specifico, si è voluto precisare ufficialmente), l’assemblea inizia i suoi lavori presieduta dal dottor Eugenio Zumin, presidente del Tribunale di Varese. E la posizione apertamente polemica di gran parte dei magistrati nei confronti dei noti provvedimenti della Procura si capta subito nell’aria quando il dottor Zumin porge il suo cordiale benvenuto alla prima donna magistrato presente in assemblea. “Benvenuta, ma senza spogliarello” si grida con ironia allusiva da quattro o cinque parti nella sala affollata. Subito dopo, ancora in senso chiaramente polemico, scoppia una fragorosa ovazione quando il presidente, leggendo la risposta del nuovo Procuratore capo della Repubblica, dottor De Peppo, al saluto inviatogli dalla Giunta dell’Associazione, parla di “osservanza della legge nello spirito della Costituzione.” “La Costituzione soltanto deve essere la nostra bandiera” fa eco alla risposta di De Peppo (molto “ufficiale,” del resto) il presidente, e gli applausi si rinnovano, prolungati e calorosissimi. Qualcuno, intanto, nota in aula alcuni volti sconosciuti, non di magistrati, presumibilmente di giornalisti, entrati non certamente di nascosto ma alla spicciolata, insieme agli altri, tuttavia non ufficialmente invitati. Sono soltanto tre, del Giorno, della Gazzetta del Popolo e dell’Avanti!. Un’altra occasione di polemica, un ottimo test per osservare lo schieramento dei vari settori dell’assemblea. Si devono ammettere (o meglio, lasciare) in aula i rappresentanti della stampa? “Non abbiamo niente da nascondere!” si grida. “Certo che devono restare.” “Guardate, colleghi, che è una riunione privata, guardate che non è ammissibile che certe prese di posizione vadano poi in pasto al pubblico!” “No, collega, quello che non è ammissibile è che nella civilissima Milano si cerchi di allontanare i rappresentanti della pubblica opinione, soprattutto in una situazione come l’attuale in cui proprio la pubblica opinione ha turbamenti e inquietudini piuttosto giustificati nei riguardi della magistratura.” Sembrano periodi lunghi, da “intervento,” invece si afferrano in una mareggiata di voci contrastanti. “Figurarsi” si alzano insieme due giovani magistrati in prima fila “i giornalisti sono stati ammessi perfino al Concilio, dovremmo allontanarli noi, gli intoccabili, i privilegiati!” Mentre le due “fazioni” si scambiano risentite le opposte opinioni, i tre giornalisti, in piedi di fianco al presidente cordiale e paterno sembrano imputati in attesa di giudizio. Alla fine, dopo molto clamore (e mai s’erano visti magistrati così decisi e appassionati nel difendere pubblicamente le funzioni della stampa) la proposta se ammettere i giornalisti alla discussione viene posta ai voti e approvata a maggioranza. Si entra, quindi, nel vivo della questione. Se nella maggior parte degli intervenuti c’è l’ansia, vivissima, di prendere una posizione decisa nelle questioni scottanti di questi giorni (escludendo sempre, ufficialmente, di voler entrare nel merito della vicenda particolare del “Parini” in fase istruttoria) si nota tuttavia un certo risentimento per l’invito alla magistratura di aderire alla protesta fatta nel loro ordine del giorno dalle associazioni forensi. “L’invito però è stato fatto,” dice il presidente “e se non rispondessimo bianco o nero verremmo meno alla nostra dignità.” Contro gli ordini forensi si esprime vivacemente, soprattutto, il pretore dottor Genesio (che presenta anche un suo o.d.g.), chiedendosi in che misura fosse legittimo il loro intervento, sul fatto specifico del “Parini,” con dichiarazioni e informazioni tendenziose alla stampa nei giorni precedenti. Un altro magistrato, il dottor Raimondo Attardo, si presenta al banco della presidenza agitando una copia dell’Avanti! che riporta nel titolo, a grandi caratteri rossi, il giudizio “Ipocriti, parrucconi, conformisti” e grida tremendo d’ira che denuncerà il giornale per vilipendio alla magistratura. Un coro di proteste lo zittisce. I magistrati che si ribellano, per la prima volta pubblicamente, al privilegio dell’intoccabilità, che rifiutano la nozione di “vilipendio” così cara al codice italiano. “E allora vi dico che do le dimissioni,” replica il dottor Attardo, agitando nuovamente il giornale. Dalla parte avversa si applaude con intenzione ironica. Assai sereno, poco dopo, l’intervento del giudice Greco. “Non siamo qui - dice - per rispondere al manifesto dell’Ordine degli avvocati, ma perché abbiamo la sensibilità di capire che un diffuso stato d’animo dell’opinione pubblica richiede una nostra presa di posizione. Siamo qui non per La Zanzara, ma per un fatto molto più semplice e importante: non si tratta di un solo giornale che velatamente ci accusa - alza la voce - ma di tutta la stampa, di tutto il mondo politico, di tutti gli uomini di cultura! La magistratura è investita da un’ondata di sfiducia sulle sue capacità di adeguarsi ai tempi. Ecco cosa succede, questo sì che è grave, c’è ben altro che cercare il vilipendio!” Dopo aver espresso la sua opinione sfavorevole alle conferenze stampa tenute dai rappresentanti della Procura della Repubblica e aver ribadito che si tratta ora di conquistare il prestigio reale nel Paese e non solo l’ossequio formale, il giudice Greco conclude con solennità: “Dobbiamo essere magistrati sensibili, misurati, attenti alla Costituzione e allo spirito della nostra società.” Applausi fragorosi e prolungati. Più cauto l’intervento del sostituto Procuratore dottor Vaccari, che esprime i suoi dubbi sull’opportunità di giudicare fatti “che non conosciamo né noi né la stampa né gli avvocati” e che si sono verificati nel chiuso di un ufficio. “Cosa volete che diciamo - chiede - che c’è stato un attentato alla Costituzione?” “Sì, sì” si risponde gridando da molte parti. Il giudice Mascione, che pure presenta un suo o.d.g., dice che si dovrebbe assumere una posizione di imparzialità, sia nei confronti della Procura (parte dei magistrati la considerano dunque inconsciamente imputata?) sia nei confronti dei cittadini giudicati. Un eventuale pronunciamento della sezione milanese dell’ANM sarebbe un atto di ingiustizia verso gli uni e gli altri. Molto esplicito e battagliero contro i “privilegi” e l’intoccabilità” è il giudice Beria d’Argentine, un giovane magistrato piemontese di formazione liberal-cattolica, attualmente segretario dell’Associazione. “La stampa dice - ha tutto il diritto, per sua stessa funzione, di controllare che non esista abuso nell’esercizio di indipendenza del magistrato. Credete proprio che il Consiglio Superiore della Magistratura sia in grado di intervenire negli eventuali abusi? E chi dovrà intervenire, allora? La nostra deve essere una casa di vetro. Se sbaglia il magistrato dovrà rispondere il magistrato, se sbaglia la stampa dovrà essere la stampa a rispondere dei suoi errori. Ma dobbiamo decisamente rifiutare le posizioni di privilegio. Ricordiamo che proprio perché siamo indipendenti, proprio perché oggi non dobbiamo rendere conto a nessuno del nostro operato, neppure al ministro, dobbiamo rendere conto per primi a noi stessi e rivendicare solennemente il principio costituzionale, che non concepisce soltanto l’indipendenza della magistratura ma garantisce tutte quante le libertà democratiche.” Il dottor Lombardo, sostituto Procuratore Generale, dopo aver riconosciuto la funzione insostituibile della stampa anche qualora incorra in errori e interpretazioni giuridiche non ortodosse, comincia a parlare della scheda minorile istituita dal fascismo quando nacque la sezione del tribunale che doveva occuparsi solo dei minorenni. La scheda esiste, ha un valore puramente statistico, ne ha compilate anche lui a centinaia e “non voglio dire di aver fatto le cose con più delicatezza.” Se c’è stato qualcosa per cui qualcosa si debba dire contro la magistratura la dirà il Consiglio Superiore. Invochiamo piuttosto il potere legislativo perché il processo a tre minorenni non sia fatto insieme a dei maggiorenni, viviamo il dramma di quelle tre famiglie e chiediamo, se si vuole, di modificare quelle norme che il magistrato ha il dovere di applicare. Dopo un po’ di vociferazione, lo si invita a non proseguire perché la sua circostanziata relazione entra proprio nel merito di quella vicenda che doveva, invece, restar fuori dell’aula (anche se tutto il dibattito, in sostanza, è stato animato da inconfondibili prese di posizione sui fatti del liceo “Parini”). Al termine della lunga e appassionata discussione, la seduta è sospesa per qualche tempo e si decide di concordare un testo di compromesso che tenga conto dei diversi o.d.g. presentati nel corso dell’assemblea e in cui, in sostanza, si stabilisce e si ribadisce il principio che tutti i provvedimenti riguardanti i diritti di libertà dei cittadini sono riservati al magistrato giudicante e non all’istituto del Pubblico Ministero; proprio quell’istituto che, nel caso de La Zanzara e degli studenti arrestati per diffusione di manifestini antimilitaristi ha provocato tanta inquietudine nell’opinione pubblica. Una inquietudine verso la quale l’o.d.g. dell’Assemblea dei magistrati esprime tutta la propria “comprensione” (App. 7). Finito il “ponte” di S. Giuseppe, sempre lunedì 21 marzo il Procuratore aggiunto Oscar Lanzi convoca una nuova conferenza stampa per annunciare il rinvio a giudizio, per direttissima, del preside del Parini, Daniele Mattalia, e degli studenti De Poli, Sassano e Beltramo Ceppi. La data del processo è fissata per il 30 marzo. Assieme a loro comparirà, coimputata, nell’aula della I° sezione penale, la responsabile della tipografia dove si stampava il giornaletto, la signora Aurelia Terzaghi. Presiederà il dibattito lo stesso presidente del tribunale di Milano, dottor Luigi Bianchi d’Espinosa. Di lui L’Espresso scriverà: “Per i magistrati più retrivi, Bianchi era un personaggio estremamente imbarazzante: viene da una famiglia di vecchia aristocrazia napoletana, e non possono quindi accusarlo di comunismo, non si può accusare neppure di partigianeria perché non è “schierato” con nessuna delle correnti dei magistrati (anche se collabora col comitato scientifico di “Magistratura democratica” nell’Associazione Nazionale Magistrati) e soprattutto è uno dei maggiori giuristi, primo a tutti i concorsi (insieme con Giannattasio e Novelli è l’enfant prodige della magistratura italiana, arrivando ancora giovane in Cassazione).” È anche il primo giorno di lavoro, nel suo nuovo ufficio a Milano, del Procuratore Capo Enrico De Peppo. Una pura coincidenza, però, si afferma al Palazzo di Giustizia. I tre ragazzi, il preside e la Terzaghi sono rinviati a giudizio ai sensi dell’art. 14 della legge sulla stampa, in relazione all’art. 528 del Codice Penale. Quest’ultimo stabilisce che “chiunque, allo scopo di farne commercio o distribuzione, ovvero di esporli pubblicamente, fabbrica, introduce nel territorio dello Stato, acquista, detiene, esporta ovvero mette in circolazione scritti, disegni, immagini o altri oggetti osceni, di qualsiasi specie, è punito con la reclusione da 3 mesi a 3 anni e multa di L. 40 mila. L’articolo 14 della legge sulla stampa estende tali disposizioni alle pubblicazioni destinate all’infanzia e all’adolescenza e precisa, anzi, che le pene previste dall’articolo citato sono aumentate. Gli altri articoli della legge sulla stampa (5 e 16) riguardano la mancata registrazione e il mancato deposito di copie del giornale d’istituto, che dovrebbe essere considerato, quindi, come stampa “clandestina.” La convocazione dei giornalisti è avvenuta a mezzogiorno. A fianco del dottor Lanzi c’è il sostituto Procuratore Carcasio, con aria abbastanza serena. Prima Lanzi legge una breve comunicazione scritta sull’insediamento del Procuratore Capo De Peppo “in seguito a provvedimento ministeriale che anticipa la presa di possesso della carica prima della prescritta registrazione del decreto di nomina, in seguito alla disposizione del Procuratore Generale Trombi, il quale si è avvalso della facoltà prevista dalle norme sull’ordinamento giudiziario.” Quindi polemizza, più o meno amabilmente, coi giornalisti i cui articoli, in questi giorni, avevano tutti, o quasi tutti, un’intonazione ostile nei riguardi dei provvedimenti adottati per i tre ragazzi dalla Procura. “Sfido chiunque - dice a un certo punto - a fare accertamenti in tutti gli uffici giudiziari italiani, dalle Alpi alla Trinacria, per vedere se esiste una sola pratica a carico di un minorenne che non sia corredata dalla scheda in discussione.” “Allora è tutto come prima,” dice un giornalista. Lanzi risponde che la scheda è disposta per legge e quando non la si compila succede che il giudice protesta e la richiede. Poi qualcuno afferma che la Cassazione ha sentenziato più volte il contrario e la discussione, per qualche tempo, diventa un rapido intrecciarsi di disqui- sizioni giuridiche. “Mi avete dato del fascista - dice a un certo momento Lanzi - ma non sapete che ho una medaglia al valore conquistata durante la lotta di liberazione.” Quindi, indicando Carcasio che gli è al fianco, afferma: “Certo, è un tipo deciso, ma fa bene ad esserlo. Io non so di preciso cosa sia avvenuto nel suo studio...” “Come non lo sa! - replica Carcasio - ho fatto auscultare i ragazzi con lo stetoscopio.” Lampeggiano alcuni flash, Carcasio ha un gesto di stizza ma Lanzi lo redarguisce paternamente. “Lasci stare - dice - purtroppo bisogna essere gentili con tutti.” Già, purtroppo. Poi annuncia che Bianchi d’Espinosa presiederà il Tribunale e, congedando con un sorriso eloquente i giornalisti, conclude: “E non vi dirò chi sarà il PM in questo processo.” Troppo facile da capirlo. Nel pomeriggio, al piano di sotto, la tumultuosa assemblea dei magistrati, di cui s’è detto. Pressoché concordi le reazioni dei tre giovani imputati. Marco De Poli, che ha appreso la notizia al ritorno da Bonassola, dice: “Sono lieto di poter chiarire in un dibattito aperto davanti al giudice le intenzioni dell’articolo e, più in generale, le funzioni della stampa studentesca. Questi problemi sarebbero rimasti in ombra nel caso di una archiviazione.” Fidia Sassano, padre di Marco, dice: “Ritengo che il processo servirà a chiarire l’infondatezza dell’accusa.” Reazione molto simile quella di Claudia Beltramo Ceppi. Sempre sul “caso Zanzara” viene presentata un’interrogazione al Ministro di Grazia e Giustizia dall’on. Antonio Montanti, del PRI. In serata, la polemica s’accende in Consiglio Comunale. I primi a dare battaglia sono i consiglieri comunisti con un lungo intervento di Elio Quercioli che, rifacendo la conosciutissima storia del “caso” conclude: “Tutta questa mobilitazione non si spiega se non come attacco alla libertà e all’autonomia della scuola pubblica, come intimidazione verso i giovani che cercano di capire il mondo nel quale vivono respingendo o demistificando le posizioni prefabbricate non solo in politica ma anche nel campo delle idee e della morale.” Parla quindi l’architetto Achilli, socialista, che già fu direttore de La Zanzara dal 1948 al 1950. “È sufficiente guardarsi intorno - dice - nel campo del cinema, dello spettacolo, della pubblicità per rendersi conto come il problema sessuale sia trattato in modo certo più volgare e grossolano di quanto non abbiano fatto gli studenti de La Zanzara.” Anche il socialdemocratico Accetti esprime in parte le opinioni di Achilli sugli argomenti trattati volgarmente nel mondo dello spettacolo; aggiunge il dilagare di inchieste promosse sui giornali e perfino in televisione, auspicando che il Consiglio esprima la propria solidarietà al Preside e agli studenti del “Parini.” Solidarietà cui si associa perfino l’indipendente Magliocco. Il liberale Fadini, ovviamente, invoca l’astensione da ogni intervento mentre l’istruttoria è in corso, perché in questo campo è estremamente difficile, dice lui, tracciare una linea netta di confine tra il lecito e l’illecito; quindi si duole che intorno alla vicenda de La Zanzara si sia sviluppata una grave speculazione politica. Quale, non si sa, ma figurarsi se l’accusa di speculazione politica, antidoto per le destre contro ogni sdegno autentico nel Paese, poteva mancare. Diviso il campo cattolico. Il consigliere Bossi è scandalizzato della “asocialità di alcune risposte contenute nell’inchiesta del giornaletto,” accusando di colpevole disinteresse gli educatori; il consigliere Poretti, aclista, invece, definisce “vessatoria” la procedura adottata nei riguardi degli studenti pariniani; il consigliere Clerici afferma la solita incompetenza dell’assise comunale a intervenire in questioni squisitamente giudiziarie. II socialista Antonio Greppi deplora l’operato della magistratura e auspica le attese modifiche al codice penale e alle leggi di PS mentre il liberale Cesura afferma: “Mi pare che il comportamento degli adulti sia stato più scandaloso di quello dei giovani.” II sindaco Bucalossi, infine, conclude l’animata discussione associandosi a quanti hanno rivendicato l’indipendenza della magistratura e a quanti hanno chiesto la riforma dei codici e il pieno rispetto della Costituzione, specie quando sono in gioco le libertà personali del cittadino. Ma la giornata del 21 ha ancora in serbo molte sorprese. L’avvocato Mario Berutti, presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, invia il seguente telegramma al Ministro della Giustizia, Oronzo Reale: “Pregola disporre immediata inchiesta ministeriale su operato PM per accertare se veramente sussistano gravi soprusi denunciati da giornali quotidiani et promuovere eventuale azione disciplinare prevista da articolo 107 Costituzione repubblicana. Ossequi.” Commenta l’iniziativa Galante Garrone su La Stampa: “Non tutti sanno, o sembrano ricordare, che per l’articolo 107 della Costituzione, il Ministro della Giustizia ha facoltà di promuovere l’azione disciplinare nei confronti di qualsiasi magistrato. In relazione a tale sua facoltà, competono al Ministro poteri di sorveglianza sulla Magistratura. Dispone infatti l’art. 56 del DP 16 settembre 1958 n. 916: ‘Per l’esercizio dell’azione disciplinare, per l’organizzazione dei servizi della giustizia, nonché per l’esercizio di ogni altra attribuzione riservatagli dalla legge, il Ministro esercita la sorveglianza su tratti gli uffici giudiziari e può chiedere ai Capi di Corte informazioni sul conto di singoli magistrati.”‘ “A nessuno sfuggirà l’importanza della richiesta fatta telegraficamente al ministro della Giustizia da un alto magistrato, che non soltanto è presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, ma è a tutti noto come geloso e strenuo difensore dell’indipendenza della magistratura di fronte al potere esecutivo. È evidente che, di fronte a fatti di risonanza nazionale, che turbano l’opinione pubblica e involgono delicati problemi ‘lato sensu’ politici, un Ministro della Giustizia non può, non deve restare inerte, adducendo il principio, in sé sacrosanto, dell’indipendenza dell’ordine giudiziario e l’insindacabilità dei suoi atti da parte dell’esecutivo.” Alla solidarietà espressa agli studenti del “Parini” dai movimenti giovanili degli altri partiti, esclusi ovviamente i neofascisti, si unisce - fatto piuttosto significativo se si pensa che tutto lo “scandalo” era stato montato dai manifestini di G.S. - quella del Comitato Nazionale del Movimento Giovanile della D.C., riunitosi a Pesaro. Dice il loro o.d.g. “Preso atto della vicenda giudiziaria scaturita dalla pubblicazione di una indagine giornalistica del periodico degli studenti del Liceo “Parini,” il Comitato esprime vivo rammarico per le misure gravemente lesive della dignità umana adottate a carico di due giovani studenti. Il Comitato Nazionale, mentre riconferma il valore formativo delle pubblicazioni studentesche, strumento di educazione delle nuove generazioni ad una maggiore consapevolezza critica e ad un senso dei problemi dell’oggi direttamente legato alle esperienze della vita giovanile, invita le autorità di governo a prendere immediate misure per garantire il li- bero esplicarsi delle iniziative di stampa studentesca. II Comitato nazionale, inoltre, ritiene indispensabile l’immediata abrogazione di tutte quelle norme in sostanziale contrasto con i principi di dignità e di libertà espressamente riconosciuti dalla Costituzione, così che non abbiano a ripetersi situazioni che turbano la coscienza delle nuove generazioni e il costume democratico del Paese.” Adesso i codini, i benpensanti, gli ipocriti e i falsi moralisti sono veramente soli nella loro disperata difesa dei “sacri valori.” Escono con vibranti assemblee i magistrati da una antica tradizione di riserbo, si fanno prudenti, sempre più prudenti i presidi. Storditi dal clamore che si è fatto intorno alla vicenda del giornaletto fin troppo serio e per niente goliardicamente pornografico del “Parini,” intimoriti dalle conseguenze che può affrontare il capoistituto, ritenuto penalmente responsabile, se non esercita la sua censura fino alla pedanteria più insopportabile. Fino, cioè, ad escludere qualsiasi iniziativa di inchieste “impegnate,” che non riguardino lo sport o la musica leggera, a soffocare qualsiasi libera espressione del pensiero, quando i confini con il reato sono tanto incerti e facili a valicare. Gli studenti, così, sono in agitazione. Sanno cosa li aspetta, in nome della “prudenza.” Al “Leonardo,” al “Berchet,” al “Carducci,” i giornali della scuola sono ampiamente censurati e si avverte già nell’aria il pericolo che possano essere vietati col ricatto del direttore responsabile maggiorenne o del preside penalmente perseguibile. Con tanti saluti, come succede sempre in Italia, alle circolari di Martino e di Gui, ministri della P.I., che raccomandano caldamente la diffusione e l’impegno nei giornali d’istituto. Al “Carducci,” per esempio, il preside era già timoroso “in proprio” prima del caso Zanzara. Nel corso dell’anno scolastico, precisa in un suo comunicato il collegio dei probiviri dell’Associazione Studentesca Carducci, su venti articoli presi in visione dalla presidenza, sedici sono stati totalmente vietati e quattro sostanzialmente modificati. Il collegio dei probiviri (Stefano Rolando, Piero Melodia, Roberto Trovati) precisa inoltre che “tra i sedici articoli censurati compaiono, per quanto riguarda il numero in via di pubblicazione: una difesa degli scrittori russi Daniel e Siniavski, una difesa dei principi costitutivi dell’Associazione d’Istituto e dei giornali studenteschi contro gli attacchi provocatori mossi da alcuni settori della stampa nazionale, un’analisi del problema della fame in India, opinioni e pareri sulla nonviolenza e sulla obiezione di coscienza.” Il comunicato conclude affermando che sostanzialmente è impedito il libero dibattito e il libero confronto delle opinioni su ogni problema di interesse fondamentale per la formazione morale e civile degli studenti. Di cosa dovrebbero occuparsi, dunque, i giornali tanto raccomandati dal ministero della Pubblica Istruzione? Quali argomenti, secondo il preside del “Carducci,” non sarebbero tabù? La vita di Dante, le amabili canzonature dei professori o i resoconti delle gare interne di atletica leggera? Ma i presidi, anche loro, sono terrorizzati da quanto è successo al professor Mattalia (e, per molti, quanto è successo a Mattalia è solo un ottimo pretesto per soffocare i giornali d’Istituto che a loro non sono mai piaciuti). Comunque, il 22 marzo, ventidue presidi di scuole medie e licei milanesi si occupano dei giornali d’istituto in una riunione straordinaria presso il Provveditorato agli studi, presente il provveditore, professor Tornese. “L’esito del dibattito - riferisce Il Giorno, in data 23 marzo – che è durato oltre tre ore, si può così riassumere: ‘nessun tabù e nessuna abdicazione.’ Cosa significa? Le pubblicazioni studentesche non saranno toccate. Dal canto loro i presidi espleteranno la sorveglianza su tutte le iniziative dei giovani con particolare oculatezza. In pratica, si dice negli ambienti del Provveditorato agli studi di Milano, le autorità scolastiche fino a quando quelle centrali non dirameranno nuove disposizioni - dovranno adeguarsi alla circolare ministeriale n. 13-1817 del 27 marzo 1954 ed alla circolare n. 1 emessa dal Provveditore di Milano nel gennaio del 1955. Qualcuno si è chiesto cosa bisognerebbe fare nel caso in cui la ‘vigilanza’ del preside dovesse scontrarsi con la ‘libertà di iniziativa’ dei giovani. In questo caso è stato risposto - la cosa migliore è di allargare il dialogo, facendo intervenire il consiglio di presidenza, quello dei professori e quello di classe. In altre parole, si intendono evitare sia i casi come quello de La Zanzara, sia gli episodi del tipo Mr. Giosuè, il giornale degli studenti del ‘Carducci,’ sospeso dai redattori ‘per la pe- sante censura del preside.’ Non è escluso che Mr. Giosuè abbia pagato lo scotto a causa di una situazione piuttosto pesante per i giornali studenteschi milanesi esplosa con il caso Zanzara. Non va comunque dimenticato che la stampa studentesca della nostra città è stata sempre caratterizzata da una certa vivacità. Fu proprio Il Giorno che in un servizio del 3 giugno 1965 portò alla ribalta il problema dei giornali degli studenti. In quella occasione furono intervistati oltre venti redattori dei più importanti giornali scolastici: Il nuovo cinque e mezzo (“Istituto Cattaneo”), Mr. Giosuè (“Carducci”), La Zanzara (“Parini”), Petronius (“Vittorio Veneto”), Berchet 65 (“Berchet”), Il Leonardo (“Leonardo”), Obiettivo (“Ettore Conti”). Dall’inchiesta emerse che questi giovani ‘facevano squillare la tromba soltanto per svegliare i loro compagni troppo pigri.”‘ Intanto si apprende che il preside dell’Istituto tecnico “Marconi” di Bologna, professor Alaimo, ha censurato sul giornale Lo Spillo il verso dantesco “libertà va cercando, ch’è si cara..., una poesia di Prévert, un sonetto di Shakespeare, un articolo sull’educazione sessuale dei giovani, uno sulla guerra nel Vietnam. Uno studente ha protestato - secondo un’interrogazione dell’on. Codignola (PSI) al ministero della P.I. - contro questo intervento del preside, richiamandosi al diritto concessogli dalla Costituzione. Ma il professor Alaimo avrebbe risposto testualmente: “La democrazia si ferma fuori da questo istituto: qui comando io.” Sospendendo lo studente dalle lezioni. Nella sua interrogazione l’on. Codignola ha chiesto al ministro se “non creda necessario di prendere pubblicamente posizione in favore dei professori, dei presidi e degli studenti che ritengono proprio dovere di cittadini realizzare nella scuola una convivenza davvero democratica, di assumere iniziative tali da garantire una volta per tutte la libertà di associazione e di stampa degli studenti nell’ambito della scuola... e di intervenire energicamente in via amministrativa dovunque risulti che la professione di educatore, particolarmente delicata quando si tratta di capi di istituto, venga distorta al punto da diventare esempio di ineducazione, di intolleranza, di autoritarismo.” A Torino il preside del liceo “Gioberti,” professor Eugenio Mulas, invita il comitato di redazione del giornaletto d’istituto a trovarsi un direttore responsabile e ad attenersi alle norme previste dalla legge sulla stampa, facendo in modo, oltre tutto, che la diffusione del giornale avvenga fuori dell’ambito dell’istituto ed escluda le personali responsabilità del preside. L’intimidazione ha raggiunto il suo scopo, episodi di presidi preoccupati “autoritari” si registrano dovunque, negli istituti di istruzione media italiani. Ma le associazioni giovanili sono vigilanti, ed attestazioni di solidarietà, come già nei giorni scorsi, continuano a pervenire ai redattori de La Zanzara. Ben 18 circoli di Milano e della Lombardia inviano all’Associazione studenti del “Parini,” al preside, al Provveditore agli studi la seguente lettera: “Di fronte alla campagna di stampa nei confronti del giornale del Liceo “Parini,” La Zanzara, e all’inammissibile intervento delle autorità di polizia, un gruppo di esponenti di circoli di Milano e della Lombardia esprime la propria piena solidarietà col fianco, aperto, democratico dibattito ideale tra gli studenti e sottolinea l’esigenza di una riconferma del loro pieno diritto ad affrontare responsabilmente - così come ha fatto La Zanzara - tutti i problemi che appassionano o preoccupano la coscienza dei giovani.” Firmano i circoli: Il Quartiere, Pensieri d’oggi, Gernimo, Cattaneo, Pintor, Marchesi, Battaglia, Ravizza di via Canonica, Brecht, Pisacane, Ghiglione, Labriola di via della Leghe, Centro Terzo Mondo, Grimau dì Brescia, Banfi di Brescia, Labriola di Pavia, ARCI di Pavia, Comitato provinciale ARCI di Milano. Il presidente del Circolo “Piero Gobetti” di Milano così scrive: “Desidero esprimervi, a nome del circolo da me presieduto, il nostro pieno appoggio in questo momento particolarmente delicato. Quella libertà per cui lo stesso Gobetti mori., quando non diventi licenza, che si esprime attraverso la possibilità di affermare la propria opinione, merita di essere difesa ad ogni costo, anche se a volte può essere particolarmente difficile mantenere posizioni che per l’incomprensione di molti si rivelano foriere di difficoltà.” Il Comitato per la creazione dell’Associazione studentesca del liceo scientifico “Einstein” di Milano, invia il seguente messaggio: “Noi, studenti del liceo scientifico statale ‘Einstein’ in attesa di costituire il nostro gruppo studentesco, manifestiamo la nostra indignazione contro i tentativi di colpire le libertà democratiche di associazione e di stampa nell’interno delle scuole: esprimiamo la nostra piena solidarietà agli studenti del Liceo “Parini” e in particolare al direttore del giornale La Zanzara e ai giovani e alle ragazze che hanno collaborato ai suoi articoli e inchieste.” Intanto, alla Camera, una nuova ondata di interrogazioni e di interventi. Gli onorevoli Gullo (PCI) e Paolicchi (PSI) chiedono quali siano gli intendimenti del Governo di fronte all’inquietudine dell’opinione pubblica nel Paese. Gli onorevoli Maria Elettra Morini, Arnaud e Barbi, tutti della DC, chiedono che venga modificata la norma per cui è stabilito che debba essere compilata una scheda individuale per i minori denunciati o giudicati per un delitto. E la modifica deve essere effettuata nel senso che se si vuole fare un “profilo psicofisico del minore” per conoscere meglio la sua personalità e consentire così una vera opera di rieducazione “si debbono usare strumenti e metodi consigliati dalla scienza medica e dalla psicologia moderna.” Ugualmente, secondo la proposta dell’on. Renato Massari (PSDI), si dovrebbe sostituire la legge vigente con una norma che consentirebbe al magistrato di indagare sui precedenti eccetera, escludendo tale diritto nel caso in cui l’imputazione si riferisca a un reato d’opinione. Sempre il giorno 22 un volantino degli studenti viene distribuito davanti alle scuole milanesi. “Basta! - c’è scritto. - L’attacco contro le associazioni di istituto e i giornali studenteschi è durato fin troppo: è il momento di reagire.” E ancora: “Noi studenti di Milano, facendo appello anche ai nostri professori, dobbiamo unire le nostre forze e respingere l’attacco che certi ambienti retrivi portano alla vita democratica della Scuola e alla libertà d’espressione.” Quindi si invitano tutti gli studenti milanesi a un corteo di protesta fissato per l’indomani, partendo dai bastioni di Porta Venezia. Il manifesto è firmato da una ventina di circoli e associazioni studenteschi. (App. 8). Si apprende che il fascicolo processuale è stato depositato in mattinata alla Cancelleria della I° sezione penale del Tribunale a disposizione dei difensori (App. 9). Mercoledì 23 marzo più di duemila studenti si radunano a Porta Venezia per la loro “marcia della libertà.” Libertà di dibattiti, di opinione, di discussione nelle scuole, nelle associazioni, nei giornali di istituto. Una dimostrazione confortante di maturità, di serietà, di ci- viltà dei giovani d’oggi, nonostante tutte le nostalgie dei benpensanti, se si ricorda, magari, che i cortei vociferanti dei loro padri bruciavano le effigie del Negus e scandivano ben altri slogan - invocando il bisillabo di una mascelluta divinità - che non “Libera Stampa.” Alle 15,30 sono già quasi tutti radunati sui bastioni a distribuire centinaia di cartelloni pennellati in rosso in modo un po’ rudimentale o a vergarne altri col lampostile, gremiti di frasi di protesta, troppe parole, quasi illeggibili a pochi metri di distanza. “Chi di penna ferisce, nudo finisce” dicono alcuni più sintetici, oppure “L’educazione è libertà, altrimenti è allevamento di pecore.” Non ci sono, intorno, divise di agenti o di carabinieri. E del resto non ce n’è bisogno. Soltanto pochi vigili sorvegliano a distanza il corteo, aperto da un’auto della polizia urbana, seguita da qualche “500” e da vecchie spider piene zeppe di studenti, con altri manifesti stesi sul cofano o sul portabagagli. In testa, su un fronte d’una quindicina di persone, i professori solidarizzanti e i dirigenti d’associazione d’istituto, poi, per oltre mezzo chilometro, i ragazzi e le ragazze, insieme, di tutte le scuole superiori cittadine. Qualcuno in spalla al compagno per mostrare meglio i cartelli, altri innalzandoli su bastoni e manici di ombrelli. “Finiremo tutti nudi o tutti muti?” sventolano alcune automobili che s’affrancano al corteo, “La Costituzione è per tutti, a maggior ragione per gli studenti,” oppure “Libertà per gli arrestati,” riferimento ai ragazzi dei manifestini antimilitaristi, ancora a San Vittore in attesa del processo. Scomparsi i berrettini da “Beatles” o da marittimi norvegesi che popolano le strade nell’ora di uscita da scuola. In prima fila uno studente, col megafono elettrico, diffonde a distanza “Solidarietà con il preside professor Mattalia.” A metà corso Venezia le auto e le moto pavesate di striscioni e di cartelli si moltiplicano, balconi e finestre affollatissimi, i commercianti e i commessi a gruppi sulle porte dei negozi, la gente, quasi sempre irritata dai cortei, ferma sorridente sui marciapiedi, il traffico bloccato all’incrocio con la cerchia dei Navigli. Allora, ogni tanto, un capogruppo spezza il corteo, corre avanti e dà un po’ di respiro al traffico ingolfato che non alza neanche tanto il solito concerto di claxon. La solidarietà della cittadinanza è evidente, in mille episodi. A piazza San Babila le vetrate dei palazzoni littori sono gremite di impiegati. Poco oltre, all’inizio di corso Europa, s’accende una piccola zuffa fra gli studenti e un gruppo di missini in motocicletta, ma i provocatori vengono subito allontanati da alcuni agenti in borghese che seguono a distanza, lungo i marciapiedi. Ammassatisi in via Festa del Perdono, fra i corridoi lucidi di marmo, le scale aeree e le vetrate dell’Università, i liceali si trovano un po’ spaesati. Poi cominciano ad affluire alla piccola aula di riunione che subito si riempie fino all’inverosimile. Allora, per concessione del Rettore, si spalancano le porte dell’aula magna, tutta velluti, tendaggi e moquette grigio perla. Seduti al tavolo della presidenza, il vicepresidente dell’Interfacoltà, Antonio Mereu (che porge il benvenuto e apre la seduta), la professoressa Adele Casanova Sozzi, insegnante di lettere al “Vittorio Veneto,” Stefano Rolando, secondo anno del Liceo “Carducci,” Andrea Milani, sempre del “Carducci,” rappresentante del Comitato milanese interstudentesco, e il professor Aloisio Rendi, incaricato di lettere tedesche all’Università. Parla, per prima, la professoressa Sozzi. Affrontando il problema della finalità della scuola, dice fra l’altro: “C’è un punto su cui tutti in Italia siamo d’accordo: la scuola deve informare; senza informazione, prima, non si costruisce niente. Il dissenso comincia dopo: qualcuno pensa che questa ‘informazione,’ per una specie di intervento taumaturgico costruisca la mente e la coscienza del giovane. Ma è da questo momento che comincia il suo giudizio, la sua formazione critica.” Per formare la coscienza critica dei giovani, invece, nella scuola non devono esistere tabù: l’unica vera immoralità è la leggerezza e la superficialità, l’inerzia dello spirito. Per questo la scuola cerca di essere lasciata tranquilla, libera da interferenze grossolane. Una scuola che vogliamo problematica e mai dogmatica. È chiaro che se i giovani devono mettere a confronto, nella complessità dei problemi, le loro diverse opinioni, devono avere una stampa d’istituto libera. “Che non succeda - conclude in un uragano d’applausi - che per aver parlato con onestà, come noi abbiamo sempre loro insegnato, corrano il rischio di finire in galera.” Andrea Milani fa un panorama della situazione nelle scuole milanesi dove, dopo il caso Zanzara, la vita democratica e d’associazione è messa in pericolo. In tutti gli istituti, dice, i giornali studenteschi non potranno uscire che dopo il processo. Censura pesante ovunque, al “Carducci,” al “Leonardo” (su 12 articoli, 10 censurati nella prima versione dattiloscritta), al “Galvani,” al Liceo “Einstein” dove il giornale, anzi, è stato proibito del tutto. Non si può lasciare che la sopravvivenza dei giornali d’istituto sia affidata all’arbitrio di un preside o di un provveditore. Cosa ci resta, dunque? Stringerci intorno alle associazioni studentesche e chiederne il riconoscimento giuridico. Il prof. Aloisio Rendi dice che quest’attacco alla stampa studentesca mira più lontano e porta alla sua eliminazione attraverso il potere dei presidi e il timore della magistratura. Se sarà necessario che esista un direttore responsabile, egli offre la sua firma e quella di altri colleghi universitari. Stefano Rolando, del “Carducci,” per normalizzare una volta per tutte la situazione nelle associazioni d’istituto, presenta addirittura un progetto di legge. Fra gli articoli: l’associazione nasce su proposta di un quarto della popolazione studentesca; essa svolge attività culturale e ricreativa e il programma deve essere proposto a un’assemblea generale; l’associazione deve avere il suo giornale; al finanziamento si provvede con il contributo acquisti; trattandosi di un organo interno, il giornale non deve essere sottoposto ad alcuna legge sulla stampa. Il prof. Raimondi, del liceo “Carducci,” tiene un discorso vivacemente polemico, interrotto alla fine da qualche dissenso in “galleria” quando si colora di un’intonazione politica che molti rifiutano in questa occasione. “La libertà è altrettanto sacrosanta che l’indipendenza della Magistratura” dice in principio. “Il bigottismo più il conservatorismo politico ci hanno dato un’occasione magnifica anche se sofferta in questi giorni a Milano.” Dopo aver offerto, come Aloisio Rendi, la propria direzione responsabile ai giornali d’istituto, affronta un argomento che ad alcuni sembra scottante, e protestano, ma dalla maggioranza è accettato con applausi di solidarietà, anche se non condividono le opinioni politiche dell’insegnante. “Sono dieci giorni” grida “che dei vostri compagni giacciono segregati in celle di isolamento, due giovani radicali e sette della lega dei giovani marxisti-leninisti. Arrestati all’alba come pericolosi gangster che minacciassero Milano. Non si può tollerare che si perseguano penalmente delle opinioni politiche liberamente espresse!” Intervengono, quindi, Roberto Beinstein, del Circolo studentesco “Berchet,” che parla con violenza imprevedibile nella sua giovane, esile figura, di “società ingiusta e sporca, ipocrita e fascista” che vuole imporre alla gioventù studentesca il silenzio; Marco Martorelli, dell’Associazione intercircoli di Torino, 5ª ginnasio del “D’Azeglio,” che elenca casi analoghi verificatisi in Piemonte; Emanuele Criscione, dell’Organismo rappresentativo universitario. Dopo numerosissimi altri interventi, accolti tutti da applausi (e qualcuno, più qualificato politicamente, da contrasti e dissensi), Antonio Mereu conclude proponendo che i giornali e le associazioni d’istituto abbiano d’ora in poi un legame più continuo, stretto e duraturo con le associazioni universitarie, perché nell’unione compatta delle forze giovanili si trovi un valido baluardo contro l’ipocrisia e la reazione. Nella stessa giornata, in risposta al corteo e all’assemblea degli studenti, moltissime firme vengono raccolte nei vari istituti dagli studenti cattolici di GS per una mozione nella quale si dichiara che “i cosiddetti giornali d’istituto godono nella nostra scuola una situazione di privilegio” e si protesta contro “il pressante monopolio proprio delle associazioni uniche d’istituto.” Gran folla, alla sera, per l’annunciato dibattito alla Libreria Feltrinelli, gente arrampicata su per la scala a chiocciola, schiacciata contro gli scaffali, una coda di ritardatari in via Manzoni. Parlano, prima, tutti i direttori de La Zanzara dal 1945 ad oggi, il fondatore Mario Scamoni, Valerio Riva, Robertazzi, Mascherpa, Marchetti, Sisti, ciascuno raccontando brevemente le proprie esperienze nel giornale del “Parini.” Un giornale, dice Valerio Riva, uscito ininterrottamente dal giugno del ‘45 (più libero di oggi), il preside lo sapeva solo quando era stampato, lo pagavamo coi nostri soldi, non avevamo bisogno di autorizzazioni. Il ‘62, dice Mascherpa, è stato l’ultimo anno di vera autonomia, poi ha cominciato il preside a esercitare una certa censura. Memorabili le polemiche con GS nel 1963. “Tutto dovete dire - consiglia ai giovani, presenti numerosissimi in sala, Robertazzi - ma tutto dovete saper dire perché non vi si metta la museruola.” L’aria è nebbiosa di fumo, la folla imponente, il tempo stringe, il pubblico è impaziente di ascoltare gli oratori invitati. Primo è Enzo Biagi: in questo paese devastato dagli elefanti è singolare che ci si trovi tutti qui riuniti per il ronzio di una zanzara. Da questa piccola inchiesta di giornalisti in erba è nato un caso che riguarda tutto il Paese, il Governo, la Magistratura, la pubblica opinione. Si può non condividere le idee a volte troppo disinvolte o puerilmente ciniche delle ragazze intervistate, ma non si può non ammirare la loro sincerità. Comunque, i redattori si consolino: quel che è capitato a loro è capitato anche a direttori di giornali molto più autorevoli e diffusi. Tutta la nostra solidarietà, in ogni modo, soprattutto al preside, perché nella sua posizione è molto più difficile essere spregiudicati. Franco Fornari, contrappuntando ovviamente tutto il suo brillante intervento sulla psicanalisi: ritengo che De Poli sia rimasto turbato dall’umiliazione della visita e dal rinvio a giudizio, ma ha senza dubbio in sé sufficiente serietà per aver liquidato in modo umoristico tutta questa situazione che ha della buffonata. Le misure moralistiche messe in atto per combattere una supposta immoralità hanno determinato, proprio esse, una situazione autenticamente immorale (l’ispezione corporale ha dell’oscenità e la ragazza dei volantini antimilitaristi non ha trovato certo in carcere un ambiente da educande). I due reati per cui questi giovani rischiano la prigione: la “difesa” del sesso, la guerra alla guerra, la difesa dell’istinto di vita, il rifiuto dell’istinto di morte. Altrettanto dicasi per gli articoli censurati di Mr. Giosuè che toccano la coscienza etica individuale (la fame in India, la guerra nel Vietnam eccetera): se facessero dei giornaletti goliardici tutto andrebbe liscio, ma poiché fanno giornali seri, suscitano commenti e censure supercigliosi. Sono giovani da ammirare, che hanno saputo rinunciare al manicheismo della nostra vita politica, che assumono la stessa posizione critica di fronte ai fatti di San Domingo e ai fatti d’Ungheria. Quindi, fra grandi applausi e sorrisi divertiti, parla dei complessi d’Edipo e di Crono e del “complesso di tipo sadico del magistrato per vedere di fronte a sé il giovane umiliato e ridotto a una dipendenza di carattere autoritaristico.” Franco Nasi, centrando in sintesi il vero problema: le nostre leggi, disposizioni, circolari sono sempre possibilistiche, impostate sul “può”: il giudice può, il preside può, l’ispettore può e si finisce sempre in situazioni paradossalmente contraddittorie. Per esempio, la circolare del Ministero della P.I. raccomanda vivamente la maggior diffusione dello spirito studentesco e della stampa d’istituto e poi si scopre, con i provvedimenti dell’autorità giudiziaria, che questi giornali si devono considerare “clandestini.” Umberto Eco: “Siamo al vogliamoci tutti bene, tutti contro lo spogliarello, tutt’Italia balzata in piedi, imita nella protesta contro il sopruso. Perché protestiamo? Per dimenticarci di protestare su argomenti più scottanti e delicati. Rompete un momento il fronte dello spogliarello, affrontiamo per esempio il problema dei giornali universitari per trattare i grandi temi politici e sociali e allora cominciano i ‘distinguo.’ Intanto cominciano le paure. Il pavore dei presidi, l’imbecillità burocratica si nascondono ovunque. Le firme dei novanta professori milanesi non bastano.” Sempre il 23 marzo, il Consiglio regionale milanese dell’Ordine dei Giornalisti prende posizione, anche in risposta alle affermazioni del procuratore aggiunto Oscar Lanzi nel corso della sua ultima conferenza stampa, allorché aveva accusato la stampa di aver gonfiato il caso, dando notizia della “ispezione corporale” che rientrerebbe, secondo lui, nel campo della normale procedura processuale. Nell’o.d.g. votato, oltre a respingere superficiali giudizi e considerazioni espressi nei confronti dei giornalisti, “rivendicando alla stampa, di fronte a eventi che ponevano in gioco i diritti di libertà nello spirito della Costituzione, il merito di aver corrisposto con immediatezza e tempestività alla sua insostituibile funzione di informatrice dell’opinione pubblica,” ci si richiama all’azione svolta dai ministri della P.I. Martino e Gui per incoraggiare i giornali d’istituto e si auspica che venga al più presto emanata la conseguente regolamentazione, oggi totalmente mancante (App. 10). Interrogato dai giornalisti, il ministro di Grazia e Giustizia, Oronzo Reale, risponde intanto: “Credo che a nessuno potranno sfuggire le ragioni imperiose di di- screzione che mi impediscono di fare comunicazioni ed esprimere opinioni alla vigilia del processo che si svolgerà, come è noto, il 30 corrente, sotto la presidenza del Presidente capo del Tribunale di Milano col massimo delle garanzie. Posso soltanto confermare che fin dal primo momento, e indipendentemente da richieste e suggerimenti, il Ministero della Giustizia, nei limiti dei suoi poteri, ha seguito la vicenda nei suoi vari aspetti. L’avvenuta fissazione del processo alla detta prossima data e il dovere di non turbarne comunque lo svolgimento, mi hanno indotto a riservare ogni ulteriore accertamento in ordine ad alcuni aspetti della vicenda.” Fra tante voci concordi levatesi da ogni parte a isolare l’iniziativa di GS, il finto sdegno moralistico del Lombardo e il procedimento comunemente giudicato “vessatorio” della Procura della Repubblica, la presa di posizione contraria ai giovani del “Parini” (e in realtà alla scuola di Stato) da parte del Movimento Laureati di Azione Cattolica, per bocca del dott. Gianernesto Rossi. Il quale, però, preferisce la reprimenda paternalistica alla repressione autoritaria e parruccona. Dice perfino “parruccona.” E questo per non creare dei martiri della libertà di pensiero. Lo stesso giorno 23 la scrittrice Milena Milani e il signor Mario Monti, responsabile della casa editrice Longanesi, imputati di concorso in pubblicazione oscena (“La ragazza di nome Giulio”) vengono condannati dalla prima sezione del Tribunale penale a sei mesi di reclusione e 100 mila lire di multa. Il romanzo fu sequestrato, anche allora, per ordine del sostituto procuratore Pasquale Carcasio, nel febbraio scorso, in seguito alle denunce della signora Milena Rachello e dell’avv. Sandro Pini, subito accolte. A nulla è valsa la deposizione favorevole alla scrittrice del poeta Giuseppe Ungaretti, che non risulta essere un pornografo e, sul piano della critica estetica, ha voce certamente più autorevole del dott. Carcasio e del Tribunale. Il quale ha ordinato altresì la confisca di tutte le copie del libro in circolazione. La mattina del 24 marzo, la cittadinanza apprende notizie particolareggiate sulle ghiandole ascellari e inguinali, sulla scoliosi e su altri mali che affliggono Marco De Poli e Marco Sassano. Mali che i loro genitori e i loro medici di fiducia non avrebbero mai scoperto se il dott. Carcasio non li avesse fatti sottoporre alla fa- mosa visita per riempire la “prescritta” scheda minorile e rendersi ragione, dalle loro nudità, del motivo per cui (pur sapendo benissimo che sono giovani tanto seri e con ottimo profitto a scuola) scrivono e sollecitano sul giornaletto d’istituto tante compiaciute “sconcezze” da ragazzi di riformatorio. Sulla famosa visita medica è ormai nota la versione degli studenti e degli illustri difensori. Ora si apprende da “una fonte qualificata” negli ambienti della Procura quale sarebbe la versione che i magistrati interessati sosterrebbero nel caso di un procedimento disciplinare o nel caso che, il 30 marzo, la questione venisse sollevata al processo. “Si esclude, innanzi tutto – così riporta Il Giorno la dichiarazione della `fonte qualificata - che i tre ragazzi siano stati riuniti contemporaneamente nell’ufficio del P.M. La prima a entrare è stata la ragazza, Claudia Beltramo Ceppi. Il doti. Carcasio, dopo averle comunicato la necessità della visita medica, ha aggiunto che la giovane avrebbe dovuto farsi accompagnare da un familiare, preferibilmente la madre. La ragazza ha risposto che si sarebbe presentata con il padre il giorno dopo. L’appuntamento con il padre veniva concordato per telefono immediatamente. Ma il magistrato ha poi atteso invano entrambi.” Tutto diverso, come si vede, dalla versione più volte ribadita dal prof. Delitala e dal prof. Dall’Ora. “Congedata la ragazza, è entrato nell’ufficio uno dei due studenti maschi. Senza alcuna protesta, questi ha aperto la camicia sul petto, lasciando che il medico gli auscultasse il cuore, con il risultato della scoperta di un vizio mitralico, bisognoso di cure immediate.” Ed è per questo vizio, probabilmente, come fornirà spiegazione all’Istituto Centrale di Statistica la scheda minorile, che il ragazzo ha redatto quell’inchiesta incriminata. “Quindi il sanitario ha proceduto a un esame delle ghiandole ascellari e inguinali, per accertare la presenza di eventuali malattie veneree.” Sempre con la sola camicia aperta sul petto? E perché il “portavoce” non dice che gli hanno fatto togliere anche le mutande? Perché questa volontà di minimizzare anche fatti più che ovvi (l’esame delle ghiandole inguinali)? “Stessa procedura per il suo compagno, anche questi invitato separatamente. Il medico, con lo stetoscopio, ha avvertito alla spalla del giovane qualcosa di anor- male, invitandolo a farsi visitare da uno specialista. L’esame ghiandolare, quindi, ha rivelato la presenza di una forma di rachitismo, causa prima di una scoliosi in atto.” Bene, da oggi la cittadinanza conosce che genere di rachitici, malati di cuore, deperiti e malandati sono i suoi eroi e si renderà conto delle ragioni psicofisiche che li hanno spinti alla loro “inqualificabile condotta.” Con la visita medica, finalmente, il grave reato di cui sono imputati ha una sua logica, lampante spiegazione. Giorno 24 marzo. Anche a Roma ci sarà una manifestazione di solidarietà per i tre studenti milanesi. Fatto più rilevante della giornata, una lettera molto esplicita e significativa del vicepresidente del Consiglio, Pietro Nenni, ai genitori di Marco De Poli e Marco Sassano (entrambi militanti socialisti) che verrà poi pubblicata da l’Avanti!. “Caro compagno - dice Nenni con l’abituale franchezza -quello del liceo ‘Parini’ è uno scandalo di tipo borbonico. lo quasi non me ne dolgo, giacché sono arrivato alla conclusione che soltanto gli scandali possono raddrizzare la situazione. Noi paghiamo duramente il fatto di avere, vent’anni orsono, abbandonato lo Stato ai moderati. I guasti sono tali e tanti che, nel migliore dei casi, ci vorranno anni a risanarli.” “Salutami il tuo figliolo - prosegue la lettera - digli che alla sua età o poco più, io facevo la spola da carcere a carcere per l’allora tristemente famoso articolo 247 del codice penale (istigazione a delinquere). Ci sono purtroppo ancora un’infinità di articoli da far sparire. E ci riusciremo, non so in quanto tempo perché tutto è lento e arrugginito. Ci vuole un tempo enorme per varare una legge in sede governativa. Ci vogliono mesi e mesi, e sovente anni, per farla approvare al Parlamento (pensa alla riforma del codice di procedura penale oppure alta legge sul referendum). Il problema è sempre quello di battere e ribattere finché la porta non si apre (o non si sfonda).” Come si vede, il vicepresidente del Consiglio non ha aspettato la conclusione del processo per dire francamente il suo parere, con aggettivi ed espressioni molto precisi e meditati, su una certa situazione del costume pubblico e della legislazione in Italia. Cominciano intanto a correre voci insistenti, più o meno controllabili, di procedure e situazioni analoghe a quella de La Zanzara di cui sarebbe stato protagonista il doti. Pasquale Carcasio quando era pretore a Torino. Ne dà notizia La Stampa del 25 marzo. “Nell’ambiente giudiziario - scrive il foglio torinese sono sorte critiche alla decisione del dott. Mario Berutti di sollecitare un’inchiesta ministeriale sul P.M. che volle l’ispezione corporale per gli studenti de La Zanzara. Bastavano le notizie pubblicate sui giornali, si obietta, per indurre il presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati a prendere una simile iniziativa? Il dott. Berutti, a quanto ci risulta, ritenne suo dovere rivolgersi per telegramma al Guardasigilli perché sul conto del P.M. di Milano correvano voci di alcuni precedenti occorsi quand’egli era pretore a Torino.” “Sull’argomento abbiamo avuto un colloquio con il dott. Carcasio, il sostituto Procuratore dell’istruttoria per La Zanzara, e con il dott. Lanzi, Procuratore della Repubblica aggiunto, che sosterrà l’accusa al processo in Tribunale, mercoledì prossimo.” “‘ È vero che sono stato pretore a Torino fino al 1960 ci ha detto il dott. Carcasio - ma non mi risulta d’aver subito un’inchiesta. Lettere di protesta sul mio operato torinese? Pazzi che scrivono contro i magistrati ce ne sono sempre. Ma quelle lettere non hanno mai avuto seguito. Si parla di casi specifici di cui sarei responsabile? Non ne so nulla. Io a Milano sono venuto su mia domanda. Vuol sapere di più? Su invito del dott. Spagnuolo, allora Procuratore capo della Repubblica.’ Il dott. Lanzi è il diretto superiore del dott. Carcasio: ‘Precedenti sul suo conto? Non mi risulta. E poi lei parla di precedenti torinesi. Che ne so io? Io sono a Milano, non a Torino.”‘ Fa un certo effetto sentire l’intransigente moralizzatore rispondere, adesso, come un inquisito, sentirlo dire “di cui sarei responsabile” o “non mi risulta.” La quale ultima non è un’affermazione secca, decisa, vibrante di sdegno. Del resto, un accenno piuttosto esplicito a presunte irregolarità avvenute a Torino in merito a “ispezioni corporali” era già stato fatto da La Gazzetta del Popolo del 19 marzo in un corsivo dal titolo “Non è la prima volta,” in cui si legge fra l’altro: “Dunque, l’ispezione non era tassativamente prescritta dalla legge e in più come è chiaramente avvertibile secondo quei principi di logica che sono poi il fondamento delle leggi medesime - era inutile ai fini dell’inchiesta sulla vicenda del ‘Parini.’ Ma purtroppo non è la prima volta che questo tipo d’ispezioni - le quali oltretutto possono assumere aspetti delicatissimi e ambigui ove non siano sorrette da impellenti esigenze giudiziarie - sono effettuate senza evidente necessità. A Torino, per esempio, si ricordano alcuni casi che diedero anche motivo d’inchiesta e che si conclusero con un trasferimento. Di essi a suo tempo non si parlò per ragioni di riserbo e di rispetto verso la personalità di coloro che furono oggetto di tali indagini, ma ora i fatti di Milano ci danno occasione di accennarne brevemente, senza tuttavia far nomi.” “Ricordiamo che alcuni anni fa la giovane moglie di un capitano di artiglieria, querelatasi contro il marito per lesioni, fu sottoposta nella fase istruttoria a un’ispezione corporale che andò ben oltre i limiti imposti dal fatto in causa, dato che la signora aveva dichiarato di essere stata schiaffeggiata dal marito, cioè colpita al viso e non altrove. Detta signora presentò un esposto che si concluse con un trasferimento. Pressappoco la stessa cosa capitò a una diciassettenne figlia di un funzionario statale. Denunciata per simulazione di reato, in quanto aveva dichiarato di essere stata derubata della borsetta durante una gita col fidanzato, mentre l’aveva perduta, fu sottoposta a visita con modalità, diciamo così, ultronee, rispetto alle esigenze di giustizia; la ragazza si ribellò, gridò e si durò fatica a far riacquistare la calma al padre che stava nel corridoio.” “L’ultimo caso di cui si ha ricordo, riguarda un processo di Corte d’Assise dove mi medico fu condannato per corruzione di minorenni. In istruttoria fu effettuato un confronto fra il medico e le sue vittime e risultò che anche quella volta l’atto giudiziario andò ben oltre i limiti necessari al buon fine delle indagini.” Il 26 marzo si apprende che Mario Berutti, avvocato generale della Corte d’Appello di Torino, si è dimesso il 25 dalla carica di presidente dell’Associazione nazionale Magistrati. Il Consiglio di presidenza dell’UMI, Unione Magistrati Italiani (l’organizzazione che raggruppa, in prevalenza, i giudici dei pio alti gradi), aveva preso dura posizione contro Berutti per il suo telegramma a Reale in merito al comportamento della Procura milanese. Ma l’ANM, l’Associazione Nazionale Magistrati, l’organizzazione “concorrente,” che raccoglie il maggior numero di giovani magistrati e di cui Berutti era finora presidente, non pare che difenda del tutto quella sua iniziativa. Anch’essa è divisa in due, e una parte sembra avallare le accuse rivolte a Berutti dall’UMI. L’UMI sostiene, ovviamente, che l’ANM avrebbe potuto adottare provvedimenti interni nei confronti del suo socio Pasquale Carcasio, “ma non avrebbe in alcun modo potuto muovere accuse e sollecitare provvedimenti disciplinari contro un magistrato.” L’iniziativa di Berutti, per l’UMI, è “una inammissibile ingerenza in un procedimento penale in corso; un atto che discredita l’Ordine giudiziario; una invadenza dei poteri degli organi dello Stato cui è demandato il controllo sull’operato dei magistrati.” Una forte corrente dell’ANM, come si è detto, condivide, se pur in modo meno categorico, il pensiero dell’UMI sostenendo che Berutti ha preso una posizione coraggiosa, sì, ma imbarazzante. Un’altra corrente, diciamo quella di “Magistratura democratica,” sostiene che Berutti ha agito in modo corretto e onesto, invocando un’inchiesta che non lasciasse alcuna zona d’ombra sull’operato del dottor Carcasio. Si prevede, dunque, grossa battaglia nella Giunta dell’Associazione Nazionale Magistrati quando domani si discuteranno le dimissioni del presidente, avvocato Berutti. Ma non è solo Berutti che, raccogliendo le voci insistenti circolanti negli ambienti giudiziari di Torino, abbia chiesto, pur con tanta doverosa cautela, l’intervento del ministro Guardasigilli, che ha provocato poi la reazione di una parte dell’ANM e le sue dimissioni da presidente. Il giorno 26 il Procuratore Generale dottor Bernardo Merlo e il Presidente della Corte d’Appello di Torino inviano in serata il seguente telegramma al Consiglio Superiore della Magistratura e al ministro Reale: “I giornali locali, richiamandosi a voci di fatti scorretti commessi da magistrati di questo distretto, insistono nel richiedere da organi Magistratura torinese precisazioni in ordine ad azioni svolte e da svolgere in ordine fatti medesimi. I capi della Corte torinese richiamano in proposito le indagini svolte a suo tempo e ancora recentemente e riferite a codesto Consiglio Superiore con rapporto pari numero inviato con assicurata 25 corrente. Ritengono dover mantenere assoluto riserbo, anche per essi doveroso, in attesa delle eventuali comuni- cazioni che V.E. e codesto Consiglio Superiore reputassero del caso.” Nonostante le “preoccupazioni” dimostrate dal Procuratore Generale e dal Presidente della Corte d’Appello di Torino per le “voci di fatti scorretti commessi da magistrati di quel distretto,” l’azione precedente di Mario Berutti, presidente dimissionario dell’ANM, che aveva inviato il telegramma del 21 marzo al Ministro Reale, è praticamente sconfessata dalla Giunta esecutiva della stessa Associazione Nazionale Magistrati. La quale, dopo aver rimesso ogni decisione sulle dimissioni presentate da Berutti al Comitato direttivo centrale, esprime in un comunicato “il proprio rincrescimento per la situazione determinata da un’iniziativa personale che non può incontrare il consenso della Giunta, in quanto ha. offerto la possibilità, per la sua forma, di essere anche interpretata in contrasto con la regola, costantemente osservata dagli organi dell’Associazione, di non interferire nei procedimenti in corso e nelle funzioni giudiziarie.” Una sconfessione attenuata, per distinguere la propria presa di posizione da quella dell’UMI, dal riconoscimento che si offre a Berutti quando si afferma che, tuttavia, il suo gesto è stato travisato dall’Unione Magistrati Italiani mentre era stato “dettato, nell’intenzione, da sensibilità democratica” e gli si riconosce il contributo recato per molti anni alle lotte dell’Associazione. Nel pomeriggio, il Presidente dimissionario, senza esprimere alcun rammarico per la quasi aperta sconfessione venuta dalla Giunta della sua Associazione, raduna i giornalisti e polemizza, con tono quanto mai pacato e sereno, contro l’UMI che avrebbe volutamente travisato il suo pensiero, ripetendo che egli si era limitato a chiedere al Ministro di “accertare se veramente sussistessero i soprusi denunciati dalla stampa per il caso del ‘Parini.” La sua intenzione, dunque, era quella di rassicurare l’opinione pubblica gravemente turbata dalle notizie pubblicate, promuovendo o almeno sollecitando un’inchiesta che negasse la sussistenza dei fatti (ispezioni corporali non necessarie ai fini dell’accertamento della capacità di intendere e volere) oppure portasse all’adozione dei necessari provvedimenti disciplinari. Concludendo il suo sereno incontro con i giornalisti, Berutti, sottolineando generosamente come l’opera della ANM (nonostante la sconfessione) punti all’integrale at- tuazione della Costituzione, ribadisce “la situazione anacronistica e grottesca di una Repubblica democratica che si regge con i codici e le leggi del regime autoritario da essa stessa abbattuto.” Roberto Martinelli, sul Corriere della sera riferisce del dialogo avvenuto fra Berutti e i giornalisti: “Ma allora, perché si è dimesso?” “Avendo avuto sentore dei dissensi espressi dai colleghi circa la opportunità dell’intervento del ministro da me sollecitato e trattandosi di un’iniziativa presa senza aver potuto consultare la Giunta, ho ritenuto doveroso rassegnare le dimissioni.” “Parteciperà alla riunione del Comitato Centrale fissata per domani?” “Ritengo di non dover partecipare avendo già fornito tutti i chiarimenti necessari.” “Nei confronti del dott. Carcasio sono state formulate dai giornali altre accuse, di aver disposto cioè ispezioni corporali non necessarie quando egli era in forza negli uffici giudiziari di Torino. Come avvocato generale di quella Corte d’Appello lei può confermare o smentire queste voci?” “Dei fatti attribuiti al dott. Carcasio non so nulla di preciso. Quello che so l’ho appreso dai pettegolezzi di corridoio, dai giornali, dalla voce pubblica.” “Lei ha presentato le sue dimissioni prima o dopo aver preso conoscenza del comunicato diramato dall’Unione Magistrati?” “Prima. Il comunicato l’ho letto solo stamane sui giornali” Nella stessa giornata, a Milano, il dott. Raimondo Attardo, il magistrato che già s’era agitato nel corso della prima accesa riunione della sezione milanese dell’ANM scagliandosi contro l’Avanti! ed era stato clamorosamente zittito da una parte dei colleghi, sporge denuncia per vilipendio della magistratura da parte del quotidiano socialista, presentandola direttamente alla Procura che ha già in corso gli accertamenti per aprire un procedimento penale a carico del vicedirettore responsabile, Aldo Quaglio. L’articolo incriminato apparve domenica 20 marzo, sotto il titolo “Ipocriti, parrucconi, conformisti.” Continuano le dimostrazioni di solidarietà ai ragazzi del “Parini.” L’UDI invia un telegramma a Marco De Poli, condannando “il processo in atto che mira a soffocare la libertà di ricerca manifestata in occasione dell’inchiesta sulla posizione della donna italiana nella società.” Gli studenti del Convitto-scuola “Rinascita” emettono un o.d.g, in cui si sostiene come “il malcostume che ha creato il caso Zanzara dimostra l’impellente necessità di una revisione secondo principi costituzionali della legislazione tipicamente fascista.” - Il Circolo culturale “Verri” ha raccolto 989 firme di solidarietà presso gli allievi dell’Istituto commerciale “Verri.” Contrari all’associazione unica d’istituto, come noto, sono invece i giovani cattolici di GS che continuano la raccolta di firme per una mozione in cui respingono “tale tipo di associazione come lesiva di elementari valori di libertà e democrazia.” Il 27 marzo, con 19 voti favorevoli e 14 contrari, il Direttivo dell’Associazione Nazionale Magistrati accetta le dimissioni dalla presidenza dell’avv. Mario Berutti, pur riconoscendo, come già fece ieri la Giunta, che la sua “iniziativa personale” era stata dettata, nell’intenzione, da sensibilità democratica. Grossa battaglia, nel direttivo, per accettare di stretta misura (due membri della corrente maggioritaria erano passati all’opposizione) le dimissioni dell’anziano presidente. Una battaglia di correnti di cui già s’era avuto un saggio eloquente durante l’assemblea milanese dell’ANM il 21 marzo, di cui Il Giorno aveva riportato con dovizia di particolari il tumultuoso svolgimento. Con identica votazione (19 contro 14) il Comitato direttivo respinge un o.d.g. presentato dagli oppositori, affinché le dimissioni vengano accettate con un’aperta deplorazione dell’operato del presidente “arbitrario, inopportuno, ingiustificato” (gli stessi aggettivi usati dall’UMI). A favore dell’o.d.g. di deplorazione avrebbero votato gli oppositori più accaniti di Berutti (e più vicini alla posizione dell’UMI) e cioè quelli appartenenti alla corrente di “Magistratura Indipendente.” Contrarie le correnti di “Magistratura Democratica” e di “Terzo Potere.” Sarà difficile, in questa situazione tesa, l’elezione del nuovo presidente in sostituzione di Berutti. Per tale elezione occorre una maggioranza di due terzi e nessuno dei blocchi in cui il direttivo si è diviso dispone di tanti voti. Occorrerà trovare un nome che abbia la possibilità di calamitare la fiducia di tutte le correnti: ma si dovrà trovare un accordo anche sulla futura conduzione dell’Associazione. Se questo venisse a mancare, ogni decisione dovrebbe essere rimessa all’Assemblea e a nuove elezioni generali. Il caso degli studenti del Liceo “Parini” sarà esaminato con ogni probabilità il 29 marzo dal Consiglio Superiore della Magistratura al quale dovrebbero essere pervenute le richieste formulate dal Consiglio stesso al Procuratore Generale Pietro Trombi e quelle inviate, sul comportamento del dott. Carcasio, dal Presidente e dal Procuratore Generale della Corte d’Appello di Torino. Mentre il Consiglio Superiore esamina i rapporti sul comportamento del dott. Carcasio, il reato di vilipendio continua a preoccupare le Procure. Dopo la denuncia dell’Avanti!, questa volta è Camilla Cederna a provocare lo sdegno della Procura di Novara per il suo articolo apparso su L’Espresso dal titolo “I Borboni di Milano” e dall’occhiello “Leggi fasciste ed atteggiamenti autoritari trasformano il processo contro La Zanzara in un caso nazionale.” Il sostituto Procuratore dott. Ferdinando Alessio firma così il decreto di sequestro del settimanale che viene recapitato nel pomeriggio all’agenzia di giornali di via S. Francesco d’Assisi. Poiché non si tratta di pubblicazione oscena, il commissario di polizia Schifone requisisce solo tre copie del rotocalco che vengono trasmesse alla Procura. Oltre all’articolo della Cederna, anche l’articolo che appare nella pagina seguente, dal titolo “Gli studenti peccatori,” siglato E. S. (probabilmente Eugenio Scalfari direttore del giornale) viene incriminato. Ogni frase, ogni accenno critico all’operato della Magistratura, ogni commento, di quelli fatti più volte in questi giorni non solo dalla pubblica opinione ma da parlamentari, uomini politici, ministri (vedi Nenni) e perfino magistrati (vedi le assemblee dell’ANM) si trasformano nell’articolo della Cederna, secondo la motivazione del decreto di sequestro, in reato di vilipendio. “Considerato che nell’articolo firmato da Camilla Cederna - dice la motivazione - si fa apparire la Magistratura nel suo complesso ed in alcuni dei suoi esponenti come autoritaria `longa manus’ di interessi di parte e di classe, come l’istituzione che, con atteggiamenti borbonici, chiari sinonimi di regressione ed egoismo, quasi avesse un particolare preordinato programma di persecuzione in danno di determinati gruppi di minoranza politica e di insopprimibili nuove esigenze sociali; considerato che l’intento vilipendioso è partico- larmente raggiunto anche attraverso la critica disdicevole che rasenta la contumelia a danno dei magistrati singoli nominativamente indicati nell’articolo,” considerati altri punti dell’articolo, quasi frase per frase e altresì dell’articolo siglato E. S. nel quale si additerebbe la Magistratura al pubblico disprezzo... “si ordina il sequestro di tre esemplari del settimanale L’Espresso. Poiché tale periodico viene stampato a Roma, tutta la pratica è stata inviata alla Procura della Repubblica della capitale.” Una dimostrazione lampante dell’inesattezza delle critiche e del giudizio di “autoritarismo borbonico” contenuti negli articoli incriminati. Giorno 29 marzo. Mentre continuano le interrogazioni alla Camera, gli ordini del giorno, i comunicati, mentre ogni settore della vita pubblica esprime in modo “vibrante” il proprio punto di vista, mentre le polemiche proseguono nelle associazioni e negli organismi ad ogni livello e la stampa internazionale sottolinea questo “affare” italiano nato da un’occasione apparentemente banale e ingigantitosi fino al punto di coalizzare l’interesse di tutta l’opinione pubblica ben più dello scandalo di Fiumicino, del processo Ippolito, forse dello stesso affare Montesi, si annuncia per domani, davanti alla prima sezione del Tribunale di Milano, l’attesissimo processo. Il collegio di difesa è numeroso e agguerrito, il pubblico sarà folla, la stampa sarà rappresentata dagli inviati dei quotidiani e delle agenzie fotografiche di tutta Italia e non solo d’Italia. Così il dibattimento - è stato deciso oggi - si svolgerà nell’aula magna del Palazzo di Giustizia, tanto carica ancora di simboli littori. Presidente, come già s’è detto, sarà il dott. Luigi Bianchi d’Espinosa, primo presidente del Tribunale di Milano. Giudici a latere, il dott. Lodovico Landi e il dott. Camillo Passerini. L’Accusa sarà rappresentata, come lui stesso aveva annunciato, dal dott. Oscar Lanzi, il magistrato che ha firmato il rinvio a giudizio degli imputati: gli studenti Marco De Poli, Marco Sassano, Claudia Beltramo Ceppi, il preside del “Parini” prof. Daniele Mattalia, la titolare della tipografia stampatrice de La Zanzara Aurelia Terzaghi. Del collegio di difesa, composto da un gran numero di “principi del foro,” fanno parte: il prof. Giacomo Delitala (per Claudia Beltramo Ceppi), i professori Alberto Dall’Ora e Carlo Smuraglia (Marco De Poli), l’avv. En- rico Sbisà (Marco Sassano), il prof. Alberto Crespi (Daniele Mattalia), il prof. Giandomenico Pisapia e l’avv. Vittorio Gaballo (Aurelia Terzaghi). Imponente sarà il servizio d’ordine predisposto, anche in considerazione del fatto che un gran numero di studenti liceali vorranno assistere al processo dei loro compagni. Moltissimi, però, non potranno entrare in aula perché “vietato ai minori di 18 anni” in base all’articolo 426 del Codice di procedura penale. La vigilia del processo giunge dagli Stati Uniti alla redazione del giornale studentesco del “Parini” un messaggio della Federazione Americana degli Insegnanti: “La Federazione Americana degli Insegnanti, membro dell’AFLCO, vede con profonda preoccupazione la restrizione della libertà scolastica comportata dal caso del Liceo `Parini’ di Milano. Perché la democrazia possa sopravvivere, la Scuola non deve temere le idee, né aver paura di concedere a studenti e insegnanti il diritto di esprimere idee, quand’anche alcune di esse possano andare contro l’opinione comune. Vogliate esprimere al Preside e agli studenti di quella scuola la nostra solidarietà e la calda partecipazione ai loro problemi. Firmato: Charles Cogen, presidente della Federazione Americana degli Insegnanti.”