ELEZIONI FRANCESI di ANDRÉ GLUCKSMANN corriere della sera

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ELEZIONI FRANCESI di ANDRÉ GLUCKSMANN corriere della sera
ELEZIONI FRANCESI di ANDRÉ GLUCKSMANN
corriere della sera 30 gennaio 2007
In Francia, la sorpresa delle elezioni presidenziali c’è stata. Prima di andare a
votare, i francesi vivono un mutamento mentale. I sondaggi variano, il risultato finale
resta imprevedibile, ma ovunque trapela l’atteggiamento di rifiuto espresso da un
Paese immobilizzato in museo-ospedale e in preda a infezioni nosocomiali: egoismi,
discriminazione, furori, depressione. Ségolène Royal e Nicolas Sarkozy hanno
poche cose in comune, se non l’età, ma entrambi hanno ottenuto un consenso
unanime da una base refrattaria a inquadramenti tradizionali e a dottrine antiquate.
Non si vota più per i socialisti o i gollisti, si vota per un soprassalto nazionale.
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A pagina 14 Nava e L. Salvia
A Parigi, d’inverno, i Senza domicilio fisso, gli Sdf, soffrono il freddo da un quarto
di secolo. Improvvisamente, ecco che diventano visibili, le loro tende saltano agli
occhi, l’opinione pubblica s’intromette e il governo si dà da fare. Perché non prima?
Come nel febbraio 1954, i francesi sentono che non è più il caso di dare tempo al
tempo. «È bastato che un uomo agisse al di fuori degli schemi ufficiali perché i
francesi si muovessero, ma c’è voluto anche il freddo. Senza il freddo, niente abbé
Pierre! Quando la Francia avrà freddo, anch’io potrò agire» (de Gaulle). Una Francia
lucida ha di nuovo «freddo», e questo è un momento che ricorda l’epoca di de
Gaulle: un momento in cui è bene osare pensare, fosse pure contro le proprie
certezze, poi osare intraprendere.
La battaglia delle idee è un fatto compiuto… Compiuto a destra, stranamente. Il
dibattito Sarkozy-Villepin illustra, più che una lite fra egocentrici, lo scontro di due
modi di vedere la Francia e il mondo. Quel che è in corso è un movimento contro il
conservatorismo. Sarkozy rompe chiaramente con la destra abituata a nascondere il
proprio vuoto dietro grandi concetti pontificanti. Per esempio: esaltando la
discriminazione positiva, che elude l’Uguaglianza virtuale per sradicare le
ineguaglianze reali, dovute al colore della pelle, al domicilio e al cognome. O ancora:
teorizzando gli aiuti pubblici per la costruzione delle moschee, al fine di evitare ai
fedeli della seconda religione di Francia di pregare nelle cantine o in locali offerti da
ricchi integralisti. A costo di urtare una concezione rigida della laicità, ricordiamo che
nel 1905 la Francia che contava decine di migliaia di campanili ignorava i minareti.
La domanda è cambiata, l’offerta è rimasta la stessa. La società si trasforma, i
principi devono trasformarsi con essa.
La rottura a destra abbraccia la politica internazionale non meno di quella interna.
Curiosa metamorfosi del «gollismo», il feticismo conservatore coltiva il primato degli
Stati, qualunque cosa facciano. Questa «realpolitik» sacrifica la nostra storia e la
nostra influenza internazionale a interessi che si limitano alla vendita d’armi e a
contratti petroliferi. Alla caduta del Muro di Berlino, i nostri dirigenti storsero la bocca,
poi sostennero gli alleati genocidari del Ruanda e tributarono a Vladimir Putin la
Gran Croce della Legion d’onore. Curiosa evoluzione che ha fatto della «patria dei
diritti dell’uomo» l’apostolo degli ordini costituiti.
Eppure, esisteva una Francia generosa che non dimenticava gli oppressi: i boatpeople vietnamiti che fuggono dal comunismo, i sindacalisti incarcerati di
Solidarnosc, le «Madri di Maggio» sotto il fascismo argentino, le algerine esposte al
terrorismo, i cileni torturati, i dissidenti russi, bosniaci, kosovari, ceceni… In nessun
altro Paese si è parlato tanto di queste mostruosità e di queste resistenze. La
possibilità di aprirsi fraternamente al mondo è nel nostro patrimonio culturale: vedi
Montaigne, vedi Hugo, vedi i «French doctors» e i loro emuli. Nessuna fatalità
condanna i nostri compatrioti ad essere scontenti di tutto, a vituperare gli «idraulici
polacchi», a tagliarsi fuori dal mondo.
Nicolas Sarkozy è l’unico candidato, oggi, ad essersi impegnato a seguire le orme
di questa Francia del cuore. Denuncia il martirio delle infermiere bulgare condannate
a morte in Libia, i massacri nel Darfur e l’assassinio dei giornalisti, poi enuncia una
regola sul modo di governare ben lontana da quella di Jacques Chirac: «Non credo
a quella che viene chiamata "realpolitik", che fa rinunciare ai propri valori senza
ottenere un solo contratto. Non accetto quello che accade in Cecenia, perché
250.000 ceceni morti o perseguitati non sono un dettaglio della storia del mondo. Il
generale de Gaulle ha voluto la libertà per tutti i popoli e la libertà vale anche per
loro… Il silenzio è complice e io non voglio essere complice di alcuna dittatura»
(14/1/2007).
Cosa risponde la sinistra? Purtroppo ben poco. Dov’è finita la battaglia per le idee
che tanto a lungo fu il suo privilegio? Dove si è smarrito lo stendardo della solidarietà
internazionale, un tempo orgoglio del socialismo francese? Non si tratta
d’incriminare una candidata che rispetto, anche se non mi va giù il modo in cui ha
elevato la giustizia cinese a modello di celerità. È una candidata alle prese con un
vuoto più grande di lei, che questo piaccia o meno ai commentatori e agli invidiosi
che con tanta facilità fustigano i suoi metodi o la sua persona. La lezione dell’aprile
2002 - quando il candidato socialista e primo ministro Lionel Jospin ottiene meno voti
del capo dell’estrema destra Jean-Marie Le Pen - non ha portato né a fare un
bilancio né a rimettersi in questione. Ogni fazione del partito socialista ha ritenuto
che il fallimento confermava le proprie inossidabili certezze.
La sinistra ufficiale francese si crede moralmente infallibile e mentalmente
intoccabile. Crede d’incarnare il movimento e la repubblica. Il che era relativamente
esatto fino al 1945. La sinistra aveva osato rimettersi in questione e aveva portato
avanti le battaglie da cui nacque la nostra democrazia laica e sociale. Ma dopo il
1945, poiché la collaborazione con l’occupante nazista aveva sotterrato il
conformismo di destra, la sinistra di professione si è addormentata sugli allori. E
disprezza le discussioni tedesche (attorno al Bad Godesberg) o inglesi (a proposito
del New Labour), ignora l’esplosione spirituale della dissidenza ad Est, se ne
infischia delle rivoluzioni di velluto da Praga a Kiev e Tbilisi.
Macerandosi nel proprio narcisismo, si trova ad essere assai impreparata quando
Nicolas Sarkozy prende in contropiede le tradizioni della destra e invoca i ribelli e gli
oppressi, il giovane resistente comunista Guy Môquet, le donne musulmane
martirizzate, Simone Veil che abolisce la sofferenza degli aborti clandestini, il frate
Christian assassinato in Algeria a Tibhirine e i repubblicani spagnoli. Invece di
gridare all’appropriazione d’eredità, come ha fatto il Psf, permettetemi di
rallegrarmene. Quando nel discorso del candidato di destra ritrovo Hugo, Jaurès,
Mandel, Chaban, Camus, mi sento un po’ a casa mia.
In una campagna presidenziale, è utile scegliere un campo quando i confronti si
fanno spietati. È normale anche richiamare i candidati ai loro limiti. A condizione di
non eliminare colui che si combatte cancellandolo dalla nazione, come ha fatto un
deputato socialista inveendo contro il «neoconservatore americano dal passaporto
francese». L’ostracismo e la stigmatizzazione dell’Anti-Francia sono stati a lungo
appannaggio di una destra estrema. La sinistra merita qualcosa di meglio.
Nel corso di una vita lunga e di mobilitazione in tante battaglie, mai mi sono
schierato pubblicamente per un candidato o per un altro (salvo per Chirac contro Le
Pen nel 2002). Figlio di ebrei austriaci che combatterono i nazisti in Francia, ho
scelto questo Paese e la sinistra è la mia famiglia d’origine. È per la sinistra che, da
quarant’anni, mi batto contro le sue fossilizzazioni ideologiche (sostegno a
Solzenicyn, ai dissidenti antitotalitari dell’Est, critica dei paraocchi marxisti).
Per un momento ho sognato una candidatura di Bernard Kouchner (fondatore di
«Medici senza Frontiere»), che restituisse alla sinistra francese la dimensione
internazionale che ha perso. Ed ecco il veto di un Psf spaventato dall’audacia di un
elettrone libero. Mi sarebbe piaciuto un ticket Sarkozy-Kouchner. Prendendo
posizione per il primo, perderò qualche amico. La mia decisione, frutto di antichi
dolori e prospettive nuove, nasce da una riflessione. Non condivido tutte le opzioni
del candidato Ump (Union pour un Mouvement populaire). Per esempio: vorrei che
la regolarizzazione dei «sans papiers» fosse più ampia, fondata su criteri di umanità
più rispettati. Votare non significa pronunciare i voti, ma optare per il progetto più
vicino alle proprie convinzioni.
L’umanesimo del XXI secolo si astiene dall’imporre un’idea perfetta dell’uomo.
Come una barriera contro l’inumano, che è in noi e attorno a noi, esso non può
accontentarsi di deplorare le vittime e recensire morti ed emarginati. Rifiutando
l’indifferenza colpevole e la mania dottrinaria, l’umanesimo si ostina - lotta
ricominciata senza sosta - a «ostacolare la follia degli uomini rifiutando di lasciarsi
impadronire da essa» (discorso del 14/1/2007). Il «mormorio delle anime innocenti»
che Sarkozy udì a Yad Vashem gli detta questa definizione della politica. Da sempre,
è questo mormorio a sorreggere la mia filosofia.
(traduzione di Daniela Maggioni)
mi Batto per la Sinistra
ma Voterò Sarkozy di André Glucksmann